INSEGNAMENTO DI DIRITTO PRIVATO COMPARATO LEZIONE VI
“INVALIDITÀ, INADEMPIMENTO ED ESECUZIONE FORZATA DEL CONTRATTO” PROF. CATERINA SIANO
Diritto privato comparato
Lezione VI
Indice 1
L’invalidità Del Contratto. Principi Di Base. ----------------------------------------------------------------------------- 3 1.1.
CONTRARIETÀ DEL CONTRATTO ALLA LEGGE, ALL’ORDINE PUBBLICO O AL BUON COSTUME. --------------- 6
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Violazione Del Principio Dell’equilibrio Tra Prestazioni E Controprestazione. ----------------------------------- 9
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L’inadempimento Del Contratto Negli Ordinamenti Di Civil Law. -------------------------------------------------- 12 3.1 L’INADEMPIMENTO DEL CONTRATTO NEGLI ORDINAMENTI DI COMMON LAW. ------------------------------------ 15
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Azione Per L’adempimento Ed Esecuzione Forzata. ------------------------------------------------------------------- 19 4.1 AZIONE PER L’ADEMPIMENTO ED ESECUZIONE FORZATA NEI SISTEMI DI COMMON LAW. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE. ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------ 22
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633)
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1 L’invalidità del contratto. Principi di base. Il contratto deve essere considerato del tutto invalido e privo di effetti quando risulti sprovvisto dei requisiti necessari per la sua stessa configurazione, oppure quando persegua finalità e funzioni vietate dalla legge. In tutti gli ordinamenti, le cause di invalidità del contratto dipendono innanzitutto dall’esistenza e dalla liceità dei suoi requisiti essenziali; ovunque vale altresì il principio generale secondo cui l’accordo contrattuale non deve essere contrario a norme imperative, ordine pubblico e buon costume. È importante sottolineare, però, che se da un lato tutti gli ordinamenti, sia di Civil law che di Common law seguono sostanzialmente il predetto schema, dall’altro le varie forme di invalidità predisposte da ciascun sistema giuridico non sono del tutto assimilabili e sovrapponibili, ma si differenziano secondo diversi profili. Partendo dal nostro ordinamento, ricordiamo che l’intero discorso sull’invalidità del contratto poggia sulla basilare e fondamentale distinzione tra nullità ed annullabilità. Tra queste due forme di invalidità contrattuale sussistono molteplici differenze che, solitamente, vengono così schematizzate: si rileva, innanzitutto, che mentre la nullità esclude che il contratto possa produrre qualsiasi effetto giuridico 1 ; ha portata applicativa generale (essa, infatti, consegue ad ogni violazione di legge, quando non sia prevista dall’ordinamento una diversa conseguenza o sanzione); ed è – in linea di massima – assoluta (nel senso che può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse) 2 e rilevabile d’ufficio, l’annullabilità invece non impedisce completamente l’efficacia del contratto; ha carattere tassativo nel senso che trova applicazione nei soli casi previsti dalla legge; non è rilevabile d’ufficio ed è – di regola – relativa, nel senso che può 1
L’art. 1418 c.c. dichiara in sostanza nullo il contratto quando la sua causa o il suo oggetto siano contrari a norme imperative, ordine pubblico o buon costume; a tali ipotesi bisogna aggiungere quelle di illiceità della causa concreta (contratto in frode alla legge, ex art. 1344) e di illiceità dei motivi, ex art. 1345. Il contratto inoltre è nullo quando manchi uno degli elementi essenziali (accordo, causa, oggetto e forma se richiesta ad substantiam sotto pena di nullità). Cfr. P. Stanzione, Diritto privato. Lineamenti istituzionali, Torino, 2003, p. 144. 2 In alcuni casi, la nullità non è assoluta ma relativa, cioè non può essere fatta valere da qualunque parte ma da uno solo dei contraenti. Così avviene per le clausole abusive nei contratti con i consumatori (art. 36 cod. cons., precedentemente art. 1469 quinquies c.c.). Per un approfondimento sia consentito il rinvio a C. Siano, Commento agli artt. 36, 37, 38,
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essere fatta valere soltanto da determinati soggetti appositamente legittimati dal legislatore. L’annullabilità è stata, infatti, concepita dal legislatore come una forma di tutela di uno dei due contraenti: si può dire, anzi, che essendo principalmente stabilita per i casi di incapacità d’agire o di intendere e di volere di una delle parti, ovvero quando sussistano vizi del volere, essa si configura come un vero e proprio istituto di protezione. Altra differenza importante riguarda il termine di prescrizione: mentre l’azione di nullità è imprescrittibile, quella diretta a far valere l’annullabilità del contratto si prescrive in cinque anni. Nell’ordinamento tedesco, la summa divisio è tra la nullità di tipo assoluto 3 , sostanzialmente derivante dall’assenza di un elemento essenziale della fattispecie negoziale, e la semplice impugnabilità, derivante principalmente da alcuni vizi di tali elementi. Nell’ordinamento francese, invece, la principale forma di invalidità del contratto è la nullità che si identifica nella sanzione che l’ordinamento pone in tutti i casi in cui il negozio presenti qualche irregolarità. Infatti, attraverso l’action en nullité ou en rescission des conventions (artt. 1304 e ss. code civil) vengono annientati gli effetti del contratto con effetto retroattivo. In quest’ordinamento, ferma restando l’identica funzione sanzionatoria della nullità, è presente una bipartizione tra nullità assoluta, posta a tutela degli interessi a carattere generale, e nullità relativa, sancita invece a salvaguardia dell’interesse particolare di una delle parti. È molto importante sottolineare che le due predette forme di nullità sono entrambe fondate sul principio generale per cui non “esiste nullità che non sia espressamente prevista da una norma” (pas de nullité sans texte). Il “principio di tipicità” delle azioni di nullità degli accordi negoziali, ha condotto gli interpreti a creare la categoria dell’inesistenza dell’accordo contrattuale per sopperire ad alcune dimenticanze del legislatore. Da qui la triade composta da inesistenza, nullità assoluta e nullità relativa che per lungo tempo ha contraddistinto l’ordinamento francese e che oggi, invece, si mira a superare a vantaggio della mera bipartizione tra nullità assoluta e relativa. Più precisamente, la tendenza attuale, è quella di inquadrare ogni azione di “nullité” attraverso la sua specifica regolamentazione che normalmente comprende: la legittimazione in Commentario al codice del consumo. Inquadramento sistematico e prassi applicativa (a cura di P. Stanzione e G. Sciancalepore), Milano 2006 – IPSOA, pp. 293-317. 3 La nullità è rilevabile d’ufficio ed è imprescrittibile. Cfr. P.G. Monateri – R. Sacco, Il contratto in diritto comparato, cit., p. 147.
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633)
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all’azione; il termine di prescrizione; la possibilità di rinuncia all’azione o di conferma del negozio attraverso l’eliminazione dei motivi di nullità e così via4 . Dalle diverse forme di nullité si distingue poi la caducité, che si verifica quando l’atto giuridico sia stato regolarmente formato, ma sopravvenga un fattore esterno che infici uno degli elementi essenziali alla validità dell’accordo. In altre parole, nel caso in cui vi sia un’irregolarità originaria, il negozio deve essere considerato nullo; al contrario, se l’imperfezione sopravvenga a causa di un evento successivo alla creazione dell’atto ed indipendente dalla volontà delle parti, si tratta di caducité. I casi di caducité sono meno numerosi di quelli di nullità: l’esempio classico è quello della mancanza della condizione sospensiva. È opportuno precisare che, al di fuori di quest’ipotesi in cui il negozio non ha avuto mai efficacia, in tutti gli altri altri casi la caducité – a differenza della nullità – è normalmente considerata non retroattiva. Infine, per quanto riguarda gli ordinamenti di Common law, bisogna innanzitutto sottolineare che le categorie dell’invalidità del contratto sembrano ad un primo sguardo molto più numerose rispetto a quelle previste in Civil law. Tuttavia, alla molteplicità di concetti adoperati per descrivere i diversi gradi di incapacità del contratto a produrre effetti (void, voidable, illegal, unenforceable) si contrappone il fatto che essi, non avendo ricevuto definizioni precise, assumono diversi significati a seconda delle situazioni in cui vengono richiamati, per cui non costituiscono delle vere e proprie categorie generali. In linea di massima, nell’area giuridica anglosassone con il termine void si indica la forma di invalidità contrattuale più grave: il contratto in questo caso è del tutto nullo ed improduttivo di effetti, per cui sia le parti che i terzi si troveranno nella medesima situazione giuridica in cui erano prima che avvenisse l’accordo come se quest’ultimo non fosse mai avvenuto 5 .
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Cfr. Nullité, Enc. Dalloz, e P.G. Monateri – R. Sacco, Il contratto in diritto comparato, in Dig. IV – disc. priv. Sez. civ., vol. IV, Torino, 1989, p. 147. 5 Si sottolinea, però, che il termine void assume un diverso significato in alcuni statutes: secondo l’Infants Relief Act del 1874, il contratto stipulato con un minore è void, ma ciò non di meno tale contratto trasferisce, almeno fino all’eventuale impugnazione, la proprietà e il minore ha il diritto di agire per l’adempimento quando ciò corrisponde ai suoi interessi. Secondo il Gaming Act del 1845, invece, certi contratti di gioco sarebbero “null and void”: in tali casi non sorge alcun diritto di azione e tuttavia non si può ripetere quanto è stato pagato.
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1.1. Contrarietà del contratto alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume. Nessun ordinamento può rinunciare a ritenere nullo il contratto qualora esso sia in contrasto con norme imperative, l’ordine pubblico o il buon costume. Le regole che definiscono invalido un contratto per i motivi appena enunciati sono dunque analoghe in tutti gli ordinamenti, indipendentemente dal fatto che risultino fissate in una precisa norma di legge scritta o se, invece, appaiono cristallizzate nei precedenti giudiziari. Quando si tratta di applicare un principio giuridico, infatti, i giudici debbono ovunque valutare le circostanze del caso concreto per verificare se le parti si siano mosse nell’ambito di ciò che è giuridicamente consentito dalla legge, dall’ordine pubblico o dal buon costume. Particolari analogie, inoltre, si riscontrano proprio nella definizione di questi ultimi concetti, che come “clausole generali”, hanno un ambito di applicazione indefinito e si rivelano un valido strumento per adattare il sistema ai cambiamenti della società. Occorre puntualizzare che in tutti gli ordinamenti, le clausole generali svolgono un ruolo sussidiario rispetto alla legge, nel senso che si ricorre ad esse quando il contratto non risulti già nullo per violazione di norme imperative; tale ruolo sussidiario non esclude, tuttavia, che ad esse venga affidata un’altra funzione di fondamentale importanza, cioè quella di adattare l’ordinamento alla mutevolezza della realtà concreta. Si pensi semplicemente al concetto di moralità: considerati gli avvenimenti degli ultimi cinquant’anni, appare evidente che ciò che ieri poteva essere considerato immorale, viene oggi normalmente tollerato, e ciò ha notevolmente influito sul concetto di “buon costume”. Per converso, il ricorso alle stesse consente di impedire che i privati si possano accordare per un assetto di interessi non conforme ai principi cardine dell’ordinamento, oppure offensivo della morale comune, ancor prima ed indipendentemente da un intervento ad hoc del legislatore. Generalmente alla contrarietà del contratto alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume è collegata la nullità del contratto, e cioè la totale improduttività di effetti. In questi casi, perciò, non è possibile richiedere né l’adempimento del contratto né il risarcimento del danno per inadempimento o inesatto adempimento della prestazione. Diversamente, nel caso in cui le prestazioni siano state già eseguite, si distingue tra adempimento di un contratto illecito e adempimento di un contratto immorale, perché in tale ultimo caso è largamente adottato il principio generale secondo cui in pari causa turpitudinis melior est condicio possidentis. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633)
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In termini più semplici, mentre nel primo caso, chi ha eseguito un pagamento non dovuto (a causa dell’illiceità del rapporto) ha diritto di ripetere (cioè di richiedere) ciò che ha pagato (art. 2033 c.c.), nel secondo caso vale la regola per cui “chi ha eseguito una prestazione per uno scopo che, anche da parte sua, costituisca offesa al buon costume non può ripetere quanto ha pagato” (art. 2035 c.c.) 6 . Ciò detto, passiamo ad analizzare più in dettaglio quanto previsto nei singoli ordinamenti, partendo proprio dai cosiddetti “sistemi codificati”. In Italia e in Francia, la nullità del contratto per contrarietà alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume è messa in relazione soprattutto alla causa ed all’oggetto del contratto. In particolare, il code civil, all’art. 1131, afferma che l’obbligazione senza causa o che poggi su una causa falsa oppure illecita non può avere alcun effetto. L’art. 1133 code civil chiarisce poi che la causa è illecita quando è proibita dalla legge, oppure quando è contraria al buon costume o all’ordine pubblico. È evidente in questo caso la similitudine con il nostro ordinamento che all’art. 1343 c.c., con una corrispondenza quasi letterale al citato articoli del codice francese, afferma che “la causa è illecita quando è contraria alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume”. Illustre dottrina ha sottolineato che quest’ultima norma, benché dettata in tema di causa, ha una portata generale 7 . Ne consegue, allora, che in linea di principio è sufficiente dire che un contratto è nullo nella misura in cui valutando il suo contenuto e le circostanze concomitanti, inclusa la motivazione delle parti, risulti che esso urta contro i parametri di valore sopra indicati. Quanto appena affermato trova corrispondenza in alcune disposizioni del BGB, cioè del codice civile tedesco. In Germania, posto che la contrarietà alla legge e al buon costume sono cause di nullità non solo dei contratti ma di tutti i negozi giuridici, l’argomento è trattato nel I libro, ossia nella cosiddetta Parte Generale del codice civile. È stabilito che “il negozio giuridico è nullo (cioè privo di effetti) qualora sia contrario ad un divieto posto dalla legge” (§ 134 BGB). La medesima sanzione è poi prevista anche nel caso di contrarietà al buon costume (“il negozio giudico in contrasto con il buon costume è nullo” – § 138, 1° comma, BGB) 8 . Anche nel diritto diritto anglo-americano si distingue tra contatti “illegal” (vietati), contratti “immoral” (immorali). Nel primo gruppo rientrano in generale i contratti che perseguono 6
Cfr. F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, 2003, p. 785 Cfr. F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, ed. 2003, p. 779 8 Cfr. K. Zweigert e H. Kötz, Introduzione al diritto comparato, vol. II – Istituti, Milano, 1998, p. 77 e ss. 7
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fini vietati dalla legge. Bisogna dire, però, che le ipotesi di contratti considerati “illegal” sono così eterogenee da non tollerare generalizzazioni. È importante sottolineare che sia nel common law inglese che nel common law americano, rientrano in tale categoria i contratti contrari alla cosiddetta “public policy”. Con tale espressione si indica un principio di contenuto variabile nel quale si comprende non solo la valutazione delle circostanze concrete in relazione all’intero ordinamento, ma anche la valutazione della situazione politica o economica, nonché l’etica, la morale e i costumi della società. Per questo si è detto che la public policy del diritto anglo-americano è la somma delle clausole generali di ordine pubblico e buon costume 9 utilizzate negli ordinamenti continentali.
9
Cfr. G. Alpa, Contratto nei sistemi di common law, in Dig, disc. priv. – sez. civ., vol. IV, Torino, 1989, p. 175.
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2 Violazione del principio dell’equilibrio tra prestazioni e controprestazione. Una particolare attenzione merita la questione dell’equo rapporto tra prestazione e controprestazione e relative implicazioni sulla validità del contratto. Per ben comprendere i termini della questione si prenda ad esempio il caso della vendita, quale tipico contratto di scambio con obbligazioni a carico di entrambe le parti. A tal proposito va detto che sotto il profilo storico, nel diritto romano classico, le parti erano considerate totalmente libere di definire il prezzo di scambio del bene. In altri termini, la sussistenza di una grave squilibrio fra il prezzo ed il valore reale del bene non legittimava la parte “lesa” a svincolarsi dall’adempimento del contratto. Successivamente, all’epoca di Giustiniano, si riconobbe al venditore la possibilità di pretendere dall’acquirente la restituzione del bene verso la restituzione del prezzo, nei casi tassativi in cui il valore effettivo del bene fosse superiore al doppio del prezzo pagato (laesio enormis); per contro, al compratore veniva concesso di offrire di integrare il prezzo pagato fino al valore effettivo del bene 10 . Su queste basi fu elaborata, nel Medioevo, la teoria dello iustum pretium a cui sono chiaramente ispirate alcune norme attualmente ancora presenti nei codici degli ordinamenti di Civil law. In effetti, benché nel mondo occidentale viga ovunque il principio basilare della libertà contrattuale, tale principio subisce delle limitazioni tra cui vi è anche quello dell’eccessiva sperequazione tra prestazione e controprestazione contrattuale. In numerose legislazioni dell’area giuridica in questione, infatti, qualora sussista un eccessiva sproporzione tra gli obblighi contrattuali delle parti, l’accordo viene ritenuto iniquo e quindi sanzionato dall’ordinamento. A questa logica risponde nell’ordinamento francese l’art. 1118 del code civil, il quale dispone che la “lesione” (cioè lo squilibrio tra le prestazioni contrattuali) vizia il contratto soltanto in alcuni casi o in relazione a determinate persone. Da ciò si evince, dunque, che in Francia la possibilità di richiedere la rescissione per “lésion” è prevista soltanto per alcuni tipi di contratto. Per fare un esempio, l’art. 1674 dispone che l’alienante di un immobile si sia accordato per un prezzo inferiore ai 7/12 del vero valore del bene, 10
Il presente paragrafo riporta quanto esposto da K. Zweigert e H. Kötz, op. cit, vol. II – Istituti, cap. 5, par. V, p. 86 e ss.
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questi potrà chiedere la rescissione del contratto anche nel caso in cui abbia rinunciato al diritto di chiedere la rescissione, o abbia dichiarato all’acquirente di volergli donare il maggior valore. È interessante sottolineare che i redattori del code civil hanno affiancato i concetti di nullité e rescission; si parla infatti di action en nullité ou en rescission des conventions (art. 1304 code civil). Attualmente, tuttavia, si tende a differenziare le due figure e, dunque, ad utilizzare il termine rescission soltanto con riferimento alle ipotesi di invalidità dell’atto per “lesione”, cioè per squilibrio delle prestazioni (artt. 1305 e 1338 code civil). Diversamente, nel nostro ordinamento l’azione di rescissione è ben distinta da quella diretta a far valere la nullità dell’accordo contrattuale (artt. 1418 e ss. c.c.); inoltre, a differenza dell’ordinamento francese, la norma che prevede il rimedio della rescissione per lesione ha portata generale e si applica a tutti i tipi di contratti. L’art. 1448 del codice civile italiano stabilisce, infatti, che tale fattispecie sussiste quando un contratto viene concluso con lesione ultra dimidium, nel senso che la prestazione di una delle parti ecceda di più della metà il valore della controprestazione. Ai fini della rescissione del contratto, tuttavia, è altresì necessario che tale lesione sia conseguenza del fatto che una parte si sia approfittata dello stato di bisogno dell’altra, ove per stato di bisogno si intende la difficoltà economica del soggetto leso 11 . In Germania, un riferimento alla teoria del disequilibrio si rinviene nel disposto del § 138, 2° comma, BGB. In base a tale disposizione, un’evidente sperequazione tra le obbligazioni contrattuali comporta la nullità del contratto qualora una parte abbia approfittato della situazione di bisogno, dell’inesperienza, dell’incapacità di giudizio o del difetto di volontà della parte danneggiata. Il diritto anglo-americano, invece, non conosce alcun istituto assimilabile al concetto di “nullità/rescissione per lesione”. Di certo ai fini della validità di un contratto, si esige che ogni parte abbia promesso la propria prestazione in considerazione della controprestazione della controparte (consideration). Non si richiede però che la tale prestazione si trovi in un particolare rapporto di valore con la controprestazione. Tuttavia, tale rapporto acquista rilevanza nei casi in cui vi sia stata violenza 11
Bisogna sottolineare che nel nostro ordinamento il rimedio della rescissione è previsto anche nel caso in cui il contratto sia concluso in stato di pericolo. L’art. 1447 c.c., infatti, prevede che: «il contratto con cui una parte ha assunto obbligazioni a condizioni inique, per la necessità, nota alla controparte, di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave
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(duress) o dolo (fraud); in questi casi, infatti, l’invalidità/inefficacia del contratto è tanto più facilmente riconosciuta quanto più è grave la mancanza di equivalenza tra prestazione e controprestazione.
alla persona, può essere rescisso su domanda della parte che si è obbligata». Cfr. P. Stanzione, Diritto privato. Lineamenti istituzionali, Torino, 2003, p. 148- 149.
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3 L’inadempimento del contratto negli ordinamenti di Civil law. Con il termine “inadempimento” si indicano non solo le ipotesi in cui la prestazione contrattuale sia totalmente mancata, ma anche quelle in cui la prestazione effettivamente realizzata non coincida, per qualche aspetto, con quella originariamente prevista dal contratto. La dottrina comparatistica preferisce, infatti, utilizzare il concetto più flessibile di “violazione contrattuale” 12 , in luogo di quello più specifico di “inadempimento”, che sembra riguardare soltanto le ipotesi di totale infrazione dell’obbligo contrattuale. Secondo l’impostazione tradizionale del codice civile tedesco (BGB), la violazione del contratto si ha sia nelle ipotesi di impossibilità della prestazione che in quelle di ritardo nell’adempimento. Per quanto riguarda l’impossibilità, il BGB distingue tra “impedimenti iniziali” – ossia già presenti al momento della conclusione del contratto – e “impedimenti sopravvenuti”. Relativamente ai primi, vale ovviamente la regola per cui il contratto è sempre nullo se, già al momento della sua conclusione, la prestazione promessa fosse di fatto impossibile, cioè non eseguibile da alcun soggetto. Da tale forma di impossibilità, normalmente definita “impossibilità iniziale assoluta”, si distingue la cosiddetta “impossibilità iniziale soggettiva” che si ha quando la prestazione promessa non sia impossibile in assoluto ma lo sia solo per il promettente. Qui la dottrina e la giurisprudenza dominanti partono dal presupposto che il debitore, con la conclusione stessa del contratto, abbia assunto la garanzia di essere nella possibilità di eseguire la prestazione. Di conseguenza, qualora emerga che il debitore già al momento della conclusione del contratto non era in grado di adempiere correttamente alla prestazione, questi, indipendentemente dalla colpa, sarà obbligato a risarcire alla controparte il danno derivante dall’inadempimento. Per quanto riguarda, invece, gli “impedimenti sopravvenuti”, non si tratta di distinguere, come per l’impossibilità iniziale, se essi riguardino qualsiasi soggetto o soltanto il debitore, ma di stabilire chi debba essere ritenuto responsabile della sopravvenuta impossibilità della prestazione. In particolare, se deve essere ritenuto responsabile il debitore, questi sarà tenuto al risarcimento del danno; se, viceversa, deve ritenersi responsabile il creditore, il debitore oltre ad essere liberato dal 12
Cfr. K. Zweigert e H. Kötz, op. cit, p. 182 e ss.
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proprio obbligo potrà, in presenza di determinati presupposti, richiedere comunque la controprestazione; infine, se l’impedimento all’esecuzione della prestazione non è da attribuire a nessuna delle parti, ambedue saranno liberate dai rispettivi obblighi contrattuali. Il mero ritardo nell’adempimento si verifica invece quando il debitore, nonostante la prestazione sia ancora possibile, lasci decorrere il termine previsto per il suo adempimento. Ci si domanda se ed a quali condizioni il creditore possa in questi casi recedere dal contratto, rifiutare di ricevere la prestazione eventualmente offerta in ritardo e pretendere il risarcimento del danno. A tal proposito, bisogna precisare che in Germania, per proporre l’azione per il risarcimento del danno derivante da ritardo nell’adempimento, occorre che il debitore sia stato precedentemente messo in mora. È perciò necessario che il creditore, immediatamente dopo la scadenza del termine previsto dal contratto per l’adempimento della prestazione, indirizzi al debitore una diffida ad adempiere; soltanto a partire da questo momento, infatti, il ritardo si considera giuridicamente rilevante con tutto quanto ne consegue, a meno che il debitore non riesca a provare che il ritardo sia stato determinato da una circostanza totalmente estranea al suo comportamento e della quale egli non debba rispondere. Secondo la giurisprudenza, la costituzione in mora del debitore non è necessaria quando dall’interpretazione del contratto si possa evincere che il termine per l’adempimento dovesse essere ritenuto essenziale. Va specificato, inoltre, che la mora del debitore, se attribuisce al creditore un’azione per il risarcimento del danno derivante dal ritardo, non lo libera però dall’obbligo di ricevere la prestazione tardiva. In tale ordinamento, infatti, al creditore è concesso di recedere dal contratto quando abbia intimato invano al debitore messo in mora di adempiere entro un congruo termine, dichiarando altresì che una volta decorso tale termine, egli si rifiuterà di ricevere la prestazione. Passando ad analizzare gli ordinamenti appartenenti all’area romanistica, si sottolinea innanzitutto che sia nel code civil francese che nel codice civile italiano è prevista la regola generale per cui nei contratti a prestazioni corrispettive, nel caso di inadempimento di una delle due prestazioni, ciascuna parte può scegliere tra la pretesa all’adempimento o la risoluzione del contratto 13 , salva in ogni caso l’azione per il risarcimento del danno. 13
Si ricorda che nel nostro ordinamento vale la regola per cui qualora l’attore abbia promosso il giudizio per ottenere l’adempimento, potrà ancora chiedere la risoluzione e il risarcimento del danno; al contrario, una volta richiesta la risoluzione, non sarà più possibile richiedere l’adempimento (art. 1453, 2° comma, c.c.). Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633)
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Più in dettaglio, l’art. 1184 del code civil francese dispone sostanzialmente che rispetto ad ogni contratto sinallagamatico è sottintesa una tacita clausola risolutiva, per il caso in cui una delle due parti non rispetti l’impegno contrattuale assunto. Il secondo comma del medesimo articolo stabilisce poi che in questo caso la risoluzione 14 non opera di diritto e che la parte, che ha subito l’inadempimento, può scegliere o di forzare la controparte all’adempimento della prestazione – qualora essa sia ancora possibile – oppure di domandare la risoluzione del contratto e il risarcimento del danno. Parallelamente, l’art. 1453 del codice civile italiano stabilisce che: «nei contratti con prestazioni corrispettive, quando uno dei contraenti non adempie le sue obbligazioni, l’altro può a sua scelta chiedere l’adempimento o la risoluzione del contratto, salvo, in ogni caso, il risarcimento del danno». Nel caso appena descritto, la risoluzione non opera di diritto ma è pronunciata dal giudice su domanda di parte (cosiddetta risoluzione giudiziale) 15 . L’azione per la risoluzione del contratto presuppone in entrambi gli ordinamenti qui presi in considerazione che il convenuto non abbia adempiuto alla prestazione, oppure vi abbia adempiuto in ritardo o soltanto parzialmente (inesatto adempimento); in ogni caso, il giudice valuterà, secondo il suo equo apprezzamento, se – in base allo scopo del contratto – l’inadempimento sia tanto rilevante da giustificare l’immediata risoluzione dell’accordo (cfr. art. 1455 c.c.). Per quanto riguarda, invece, il risarcimento del danno sia l’ordinamento francese che quello italiano adottano la regola che il debitore è liberato dall’obbligo del risarcimento solo nel caso in cui l’inadempimento (o l’inesatto adempimento) sia dipeso da una causa esterna al suo comportamento. In particolare, l’art. 1147 code civil dispone che il debitore è condannato al pagamento di danni ed interessi (…) tutte le volte in cui egli non riesca a provare che l’inadempimento (o il ritardo nell’adempimento) sia imputabile ad una causa estranea al suo comportamento. Il successivo art. 1148 code civil precisa, poi, che nessun danno né interesse è dovuto qualora l’inadempimento contrattuale derivi da caso fortuito o da forza maggiore. 14
Anche nell’ordinamento francese la differenza tra nullità e risoluzione si basa sul fatto che mentre la prima sanziona un’irregolarità inerente alla formazione del contratto, la seconda invece invalida il contratto in ragione della sopravvenienza di una causa posteriore alla sua regolare formazione. Si rinvia a Y. Picod, Nullité, Enc. Dalloz, 2004. 15 È utile ricordare che nel nostro ordinamento alla risoluzione giudiziale si contrappone la cosiddetta risoluzione legale (o di diritto), che avviene automaticamente in tre casi: 1) quando vi sia stata diffida ad adempiere da parte del creditore (art. 1454 c.c.); 2) quando sia stata inserita nel contratto una clausola risolutiva espressa (art. 1456 c.c.); 3) quando la prestazione debba essere eseguita entro un termine essenziale (art. 1457 c.c.).
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Parimenti, nel nostro ordinamento si esclude, sulla base dell’art. 1218 c.c., la responsabilità del debitore quando questi riesca a provare che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile. A quest’articolo si collega la disposizione dell’art. 1256 c.c. secondo cui «l’obbligazione si estingue quando, per una causa non imputabile al debitore, la prestazione diventa impossibile»; in effetti, se tale obbligazione rappresenta il corrispettivo dei un contratto sinallagmatico, l’impossibilità sopravvenuta della stessa provoca la risoluzione del contratto, ex art. 1463 c.c. 16
3.1 L’inadempimento del contratto negli ordinamenti di Common law. In tema di rimedi contro l’inadempimento contrattuale, i sistemi di Common law appaiono impostati su dei principi diametralmente opposti rispetto a quelli adottati negli ordinamenti di Civil law. I diritti continentali, infatti, prevedono sanzioni solo qualora l’inadempimento possa essere imputato alla colpa del debitore. In altre parole, il mancato adempimento della prestazione contrattuale può comportare conseguenze giuridiche a carico del debitore solo se a costui possa essere mosso qualche “rimprovero” per avere tenuto un comportamento contrario a quanto era stato convenuto nel contratto 17 . Nel diritto anglo-americano, invece, la conclusione del contratto implica altresì l’assunzione di una promessa di garanzia, per cui ciò che rileva principalmente è che il debitore non abbia realizzato il risultato pattuito, senza alcuna formale differenza tra inadempimento, inesatto adempimento o ritardo nell’adempimento della prestazione contrattuale. Di regola, in tali ordinamenti, qualora non si realizzi lo scopo del contratto, il creditore può invocare il “breach of contract” e richiedere il risarcimento del danno. La pretesa al risarcimento del danno non è legata al fatto che l’inadempimento del contratto sia dipeso dalla colpa del debitore (o, eventualmente, dei suoi ausiliari). 16
Cfr. P. Stanzione, op. cit., p. 154, dove si sottolinea che “l’effetto risolutivo trova giustificazione in un evento obiettivo che irrompe nel sinallagma impedendo la corrispettività tra prestazione e controprestazione e pregiudicando irrimediabilmente la ragione giustificatrice del rapporto contrattuale”. A completare il quadro normativo relativo alla risoluzione del contratto, vi sono infine gli artt. 1467 e ss. che disciplinano la cosiddetta risoluzione per eccessiva onerosità concernente soltanto i contratti ad esecuzione continuata o periodica, ovvero quelli ad esecuzione differita. 17 Il presente paragrafo riproduce quanto esposto da K. Zweigert e H. Kötz, op. cit, p. 200. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633)
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Non v’è dubbio, tuttavia, che anche nei sistemi di Common law si ponga il problema dei presupposti in base ai quali il debitore possa essere liberato dalla responsabilità contrattuale per inadempimento della prestazione. Ciò che contraddistingue tali ordinamenti rispetto a quelli dell’area continentale è che questa questione non viene risolta facendo riferimento alla “colpa” del debitore, ovvero – come si diceva prima – alla possibilità di muovere a questi un rimprovero per aver assunto un comportamento opposto allo scopo del contratto, ma sulla base del fatto che la promessa di garanzia dell’adempimento, implicitamente assunta dal debitore al momento della conclusione del contratto, non possa coprire determinati impedimenti. Riepilogando, dunque, in Common law, se una parte non adempie agli obblighi che le derivano dal contratto, l’altra parte ha diritto al risarcimento per “breach of contract”; inoltre, in presenza di determinate condizioni – e, in particolare, quando la clausola violata sia considerata “essenziale” – la parte diligente potrà considerare non sorta la propria obbligazione e, pertanto, rifiutare di eseguire la sua controprestazione, oppure pretendere la restituzione della prestazione eventualmente già effettuata. In via di ulteriore esplicazione, si precisa che nell’ordinamento inglese esiste una tradizionale distinzione tra il concetto di “warranty” (garanzia, che può essere express o implied, cioè espressa o tacita) e quello di “condition”. Dal punto di vista giuridico, ogni promessa contrattuale – espressa o tacita che sia – configura una “warranty”, ossia una garanzia. Ne consegue, perciò, che se tale promessa non viene mantenuta, la controparte è autorizzata a chiedere il risarcimento del danno per “breach of contract”, ma sarà ugualmente tenuta ad adempiere alla prestazione posta a suo carico 18 . Alla parte diligente, però, è consentito sciogliere il vincolo contrattuale qualora la promessa non mantenuta dalla controparte si configuri come una “condition” 19 del contratto, il che accade 18
Si ricorda che in base alla dottrina della consideration, nel diritto anglo-americano ad ogni prestazione contrattuale corrisponde sempre una controprestazione. 19 Cfr. K. Zweigert e H. Kötz, op. cit, p. 202, i quali annotano che: «L’impiego del termine “condition” in tale contesto risulta assai singolare agli occhi del giurista continentale. Con il termine condizione quest’ultimo intende, infatti, un avvenimento futuro ed incerto, da cui dipende il verificarsi o il venir meno di taluni effetti giuridici. Ed anche in Common law, il termine “condition” viene utilizzato con tale significato, quando si tratti di condizioni sospensive (conditions precedent) o risolutive (conditions subsequent). Oltre a ciò, però, il concetto di condition svolge, nel diritto contrattuale, anche un’altra funzione (…): i giuristi di common law affemano che l’obbligazione della controparte deve considerarsi sorta aolo alla “condizione” che l’altra parte abbia già effettuato la propria prestazione anticipata o sia pronta o in grado di effettuarla nel termine convenuto».
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quando tale promessa risulti particolarmente importante ai fini della realizzazione dello scopo contrattuale. Sembra, tuttavia, evidente che la contrapposizione teorica tra warranty e condition non risolve, sul piano pratico, il problema della distinzione sostanziale tra promesse contrattuali che debbono essere considerate essenziali e promesse che, non essendolo, non “autorizzano” lo scioglimento del contratto. Certamente si tratta di una questione rispetto alla quale giocano un ruolo fondamentale le circostanze di fatto presenti nel caso concreto. Anche per questo motivo, negli Stati Uniti la predetta distinzione ha perso rilevanza; attraverso il Restatement Contracts 2d del 1981, infatti, si riconosce alla parte contrattuale un’azione per il risarcimento del danno derivante dall’inadempimento dell’intero contratto (total breach), semplicemente quando si verifichi la cosiddetta “material failure of performance” (§§ 243 e 237), ossia quando sia materialmente mancata la prestazione contrattuale 20 . Infine, va detto che anche in Common law si distingue tra inadempimento e impossibilità della prestazione. In particolare, si ritiene che quando la realizzazione dello scopo del contratto divenga impossibile per un evento esterno ed indipendente alla volontà delle parti, si verifica la cosiddetta frustration che comporta la risoluzione del contratto con il risarcimento del danno, determinato in base ad un’equa ripartizione del rischio tra le parti contraenti. L’essenza della frustration è la sua indipendenza dal comportamento delle parti ed in questo si differenzia dal “breach of contract”. È importante sottolineare che il concetto di frustration deve, inoltre, essere tenuto distinto dall’impossibilità della prestazione (cosiddetta “impossibility of performance”). Più in chiaro, la distinzione tra impossibility e frustration sta nel fatto che mentre la prima riguarda tutti i casi in cui la prestazione sia divenuta di per sé stessa oggettivamente impossibile, la seconda, invece, riguarda lo scopo del contratto, ovvero la sua funzione o i propositi comuni alle parti che il contratto intendeva realizzare. Ad ogni modo, l’impossibilità deve essere sopravvenuta; infatti, se essa già esisteva al momento della conclusione del contratto, quest’ultimo deve essere considerato nullo o privo di 20
Al fine di decidere quando l’inadempimento possa essere considerato “material failure of performance” sono stati indicati vari criteri. Si valuta, ad esempio, se nonostante il mancato rispetto della promessa, la parte adempiente abbia già ricevuto la prestazione nel suo nucleo essenziale, o se possa comunque ancora riceverla; oppure, se un risarcimento del danno possa configurare un equo indennizzo e quindi compensare la mancata prestazione; oppure – ancora – se ed in quale misura il comportamento della parte inadempiente sia conforme agli standards di correttezza e buona fede e così via. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633)
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effetti, analogamente a quanto accade nei sistemi di Civil law anche se tale conseguenza è giustificata in maniera differente e cioè sulla base di una inadequate o non existent consideration 21 .
21
Cfr. G. Alpa, Contratto nei sistemi di common law, cit, p. 186.
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4 Azione per l’adempimento ed esecuzione forzata. In tutti gli ordinamenti vale il principio che se il creditore, che abbia riposto affidamento nello spontaneo e regolare adempimento della prestazione contrattuale da parte del debitore, sia rimasto deluso, questi dovrà innanzitutto far accertare da un tribunale le pretese derivanti dalla mancata esecuzione del contratto e poi ottenerne l’attuazione tramite l’intervento di un’autorità statale. L’ipotesi più semplice è quella relativa ai crediti pecuniari: la realizzazione di tali crediti, infatti, ha luogo ovunque sottoponendo a pignoramento – con l’aiuto dell’ufficiale giudiziario preposto all’esecuzione forzata – il patrimonio del debitore, ossia attraverso un meccanismo che consenta di convertire i beni del debitore in denaro ed assegnare poi tale denaro al creditore insoddisfatto 22 . Più complessa è, invece, l’ipotesi in cui il creditore abbia uno specifico interesse ad ottenere una certa prestazione considerata infungibile, che perciò risulta difficilmente convertibile in una somma di denaro. In tali casi, l’ordinamento accorre in aiuto del creditore mettendogli a disposizione un procedimento in cui la pretesa – accertata in giudizio – viene realizzata con l’impiego di uno strumento di coercizione. È dunque interessante analizzare quali sono i presupposti in base ai quali, nei vari ordinamenti, l’autorità giudiziaria può ingiungere al convenuto – su domanda dell’attore – l’adempimento in natura (rectius in forma specifica) della prestazione contrattuale. Nell’ordinamento tedesco (e in tutta l’area giuridica che fa capo a tale ordinamento), il creditore può naturalmente agire in giudizio per far valere il suo credito rimasto insoddisfatto ed ottenere dal giudice una sentenza di condanna che ordini al debitore di eseguire il contratto. Il § 241 BGB, infatti, stabilisce che il creditore – in virtù del rapporto obbligatorio – è legittimato a pretendere la prestazione dal debitore. Ciò vuol dire che in questo ordinamento la prestazione contrattuale può sempre essere richiesta giudizialmente al fine di ottenere una sentenza 22
I vari ordinamenti dispongono naturalmente di diversi procedimenti a seconda del tipo di bene che deve essere oggetto di esecuzione. In Inghilterra, ad esempio, il creditore che voglia soddisfare il suo credito patrimoniale su beni mobili deve ottenere dal tribunale un cosiddetto “writ of fieri facies”; in Germania ed in Francia, l’ufficiale giudiziario esegue il pignoramento non appena il creditore abbia ottenuto una sentenza munita di clausola esecutiva. Cfr. K. Zweigert e H. Kötz, op. cit, vol. II – Istituti, p. 158.
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di condanna all’adempimento “in natura”, a meno che tale adempimento sia divenuto impossibile; in tali casi, infatti, il creditore dovrà accontentarsi del risarcimento dei danni. All’impossibilità della prestazione è equiparata l’ipotesi in cui la prestazione contrattuale debba essere eseguita entro un termine ritenuto essenziale alla realizzazione dell’interesse del creditore e tale termine sia scaduto senza che il debitore abbia regolarmente adempiuto. In pratica, se la prestazione non possa essere adempiuta se non nel termine convenuto – come, ad esempio, nel caso di preparazione di una torta nuziale o dell’intervento del solista durante il concerto di Capodanno – alla scadenza del termine la prestazione diviene di fatto impossibile e si esclude la sentenza di condanna all’adempimento. Diversamente, qualora sia stabilito un termine ma la prestazione possa comunque essere eseguita successivamente e il creditore, nonostante la violazione del termine, conservi l’interesse ad ottenerne l’adempimento “in natura”, questi dovrà manifestare tale volontà alla controparte immediatamente dopo la scadenza del termine, altrimenti perderà la possibilità di chiedere l’adempimento. Si noti che l’impostazione del codice civile tedesco corrisponde all’idea che il creditore abbia principalmente interesse ad ottenere la prestazione contrattuale, con la conseguenza di ritenere che questi preferisca sempre agire in primo luogo per ottenere l’adempimento “in natura” della stessa. La pratica ha però dimostrato che non sempre è così, sicché le domande per l’adempimento in forma specifica non sono frequenti ed anzi vengono proposte solo qualora l’interesse contrattuale del creditore non possa essere facilmente convertito in denaro. Ciò non toglie, tuttavia, che in base alla predetta impostazione, i tribunali tedeschi debbano in teoria sempre condannare il debitore all’adempimento della prestazione in tutti i casi in cui essa sia ancora concretamente possibile. Va detto, però che ove l’attore abbia già ottenuto una sentenza di condanna all’adempimento nei confronti del convenuto, ma non ritenga di agire poi in esecuzione forzata e voglia piuttosto ottenere al più presto il risarcimento dei danni, il BGB prevede che questi fissi un termine entro cui il debitore debba eseguire la prestazione, decorso il quale egli potrà immediatamente proporre un’ulteriore azione volta ad ottenere il risarcimento del danno. Anche nei sistemi dell’area romanistica, nei casi di inadempimento contrattuale è prevista l’alternativa (non in senso proprio) tra risarcimento del danno ed esecuzione forzata in forma specifica.
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Nel nostro ordinamento, il debitore che non esegua esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile (art. 1218 c.c.). Più precisamente, è stabilito che il creditore può far valere le sue ragioni sul patrimonio del debitore, il quale, ex art. 2740 c.c., “risponde dell’adempimento delle sue obbligazioni con tutti i suoi beni, presenti e futuri”. A tal uopo è prevista l’esecuzione forzata in forma specifica che consente al creditore di ottenere in modo forzato lo stesso risultato che avrebbe conseguito se il debitore avesse spontaneamente adempiuto. Tale esecuzione forzata, tuttavia, non è sempre possibile: ed infatti si potrebbe trattare di una prestazione avente ad oggetto un’obbligazione di dare una cosa non più esistente, oppure un’obbligazione di svolgere un’attività ritenuta infungibile, e cioè realizzabile soltanto dal debitore originario e non da terzi. In tutte queste ipotesi, il creditore avrà diritto unicamente al risarcimento dei danni e cioè all’equivalente in denaro della prestazione non ricevuta, per cui la prestazione anche se aveva in origine un differente contenuto, diviene necessariamente pecuniaria 23 . In Francia, l’art. 1184 code civil stabilisce che nei contratti sinallagamatici (o a prestazioni corrispettive), è sempre possibile richiedere la risoluzione del contratto per inadempimento qualora una della parti non abbia ottemperato al proprio impegno contrattuale. In questo caso, tuttavia, il contratto non è risolto automaticamente: la parte il cui interesse contrattuale sia rimasto deluso può infatti scegliere o di richiedere l’esecuzione forzata della prestazione (quando è possibile), oppure la risoluzione del contratto e il risarcimento dei danni. L’alternativa tra le due suddette richieste subisce però una serie di limitazioni. Più precisamente, l’art. 1142 code civil stabilisce che ogni obbligo di fare o di non fare si converte, in caso di inadempimento, nell’obbligo di risarcire il danno da parte del debitore. Questa disposizione si basa sul principio per cui nessun soggetto, in quanto libero e responsabile, può essere costretto dall’autorità a porre in essere un determinato comportamento contro il suo volere. In sintesi si può dire che se in linea di principio anche il diritto francese ammette in generale l’adempimento “in natura”, l’esecuzione di tale condanna è però garantita in forma più attenuata rispetto all’ordinamento tedesco. Infatti, particolari regole sull’esecuzione esistono solo per l’ipotesi di condanna alla consegna di cose determinate per le quali l’ufficiale dell’esecuzione può agire direttamente; al contrario, ove si tratti di condanne a comportamenti od omissioni di altro genere, né il codice civile né quello di procedura civile prevedono disposizioni specifiche.
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Nei casi di prestazioni fungibili, però, il creditore già nel procedimento di cognizione, potrà essere autorizzato dal tribunale – ex artt. 1143 e 1144 code civil – ad eseguire lui stesso o a far eseguire da un terzo la prestazione dovuta a spese del debitore; in questi casi, inoltre, il debitore può essere condannato ad anticipare le somme necessarie a tale esecuzione. Al fine di garantire maggiormente l’esecuzione forzata di sentenze recanti condanna all’adempimento contrattuale, la giurisprudenza francese, già a partire dall’inizio del IX secolo, ha elaborato un particolare strumento di coercizione, la cosiddetta “astreinte”. In base a questa, il tribunale ove condanni il debitore ad adempiere “in natura” può contemporaneamente disporre che esso debba corrispondere al creditore, per ogni giorno di ritardo nell’adempimento, una determinata somma di denaro 24 . In altre parole, l’astreinte è una sanzione pecuniaria, stabilita dal giudice, mirante a vincere la resistenza del debitore ad adempiere ad una sentenza di condanna all’adempimento di una determinata prestazione contrattuale. Originariamente creata dalla giurisprudenza come rimedio extra legem per indurre i debitori inadempienti a dare esecuzione alla condanna all’adempimento “in natura”, l’atreinte è stata per la prima volta riconosciuta come rimedio generale dalla legge n. 626 del 5 luglio 1972 (Titolo II) ed è attualmente disciplinata dalla legge n. 650 del 9 luglio 1991 di riforma delle procedure di esecuzione, entrata in vigore il 1° gennaio 1993 25 .
4.1 Azione per l’adempimento ed esecuzione forzata nei sistemi di Common law. Considerazioni conclusive. Per quanto riguarda i sistemi di Common law si sottolinea, innanzitutto, che anche rispetto alla problematica dell’esecuzione forzata della prestazione contrattuale inadempiuta, essi muovono da principi diametralmente opposti rispetto a quelli dei sistemi continentali. Infatti, mentre gli ordinamenti sia dell’area tedesca che di quella cosiddetta romanistica garantiscono, in via di principio e laddove possibile, l’esecuzione forzata in forma specifica (più semplicemente “adempimento in natura”), in Common law invece vale il principio generale per cui la parte contrattuale delusa si deve limitare a chiedere il “breach of contract”. Tale azione, derivando storicamente da quella per responsabilità extracontrattuale del “trespass”, è diretta al mero risarcimento del danno in denaro. 23
Cfr. P. Stanzione, op. cit., p. 189. Cfr. K. Zweigert e H. Kötz, op. cit, vol. II – Istituti, p. 165. 25 Cfr. F. Chabas e S. Deis-Beauqesne, Astreintes –Généralités, in Enc. Dalloz, 2005. 24
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Al giurista di civil law appare quanto meno singolare che nel diritto anglo-americano l’assunzione di un’obbligazione non implichi, neppure in teoria, la contestuale assunzione dell’impegno di eseguire la prestazione fino al limite dell’impossibilità. Sembra, cioè, impossibile che resti del tutto estraneo a tali ordinamenti il concetto di adempimento coercibile e che l’obbligato – in virtù della conclusione del contratto – si trovi semplicemente nell’alternativa di adempiere la prestazione o di risarcire il danno 26 . In effetti, l’affermazione secondo cui i sistemi di Common law non conoscono l’imposizione dell’adempimento in natura vale solo per il common law in senso stretto, ossia per quei principi giuridici che, nella storia del diritto inglese, sono stati elaborati dalla cosiddetta giurisprudenza ordinaria, cioè derivante dalla giurisdizione dei Tribunali della Corona 27 . È noto che accanto a tale sistema, grazie alla giurisdizione del Cancelliere e successivamente delle Corti dipendenti da tale organo, si formò un altro sistema di norme detto di equity appunto perché finalizzato ad ottenere giustizia secondo un principio di equità in tutti i casi in cui le regole di common law si mostravano insufficienti a tale scopo. Così, nell’ambito dell’equity sono state elaborate alcune regole che hanno attenuato la rigidità del principio dell’esclusione dell’azione per l’adempimento specifico. In poche parole, si è ammesso che il soggetto che fosse riuscito a convincere il giudice “in equity” dell’inadeguatezza del rimedio di cui disponeva “at law” al soddisfacimento del suo interesse contrattuale, avrebbe potuto eccezionalmente domandare l’adempimento del contratto, attraverso una domanda di “specific performance”. Con l’andar del tempo tale domanda, che nonostante l’abolizione della formale differenza tra common law ed equity ha conservato carattere eccezionale per lungo tempo sia in Inghilterra che negli USA, si è consolidata nella prassi come rimedio alternativo al risarcimento del danno. Ancora oggi, tuttavia, condizione fondamentale per ottenere la condanna ad una “specific performance” è che l’ordinario risarcimento del danno si presenti “inadeguato” per il creditore, il cui interesse all’adempimento del contratto sarebbe difficilmente convertibile in una somma di denaro. Alla luce delle osservazioni fin qui svolte, si può quindi affermare che dalla originaria contrapposizione tra ordinamenti di Civil law ed ordinamenti di Common law si è passati ad una 26
Cfr. G. Alpa, Il contratto nei sistemi di common law, in Dig. Disc. priv. – sez. civ., vol, IV, Torino, 1989, p. 184. 27 K. Zweigert e H. Kötz, op. cit, p. 171.
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situazione di maggiore omogeneità dei rimedi. Si è infatti sottolineato, da una parte, che l’adempimento in natura, benché concepito – soprattutto in Germania – come strumento primario di tutela giuridica, conserva nella prassi un ruolo di gran lunga più limitato di quello formalmente attribuitogli; si cerca, in pratica, di evitare il rischio di un’esecuzione forzata che potrebbe risultare lunga costosa ed incerta nel risultato e si preferisce ottenere direttamente il risarcimento del danno per la mancata prestazione. Dall’altra parte, poi, si è messo in evidenza che nel Common law il tradizionale dogma della natura eccezionale della “specific performance” stia a poco a poco perdendo la sua originaria assolutezza ed acquisendo sempre più il ruolo di rimedio alternativo al risarcimento del danno per tutte le ipotesi in cui l’adempimento materiale della prestazione inadempiuta risulti ancora possibile.
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