Da Giulio Cesare alle LPD di Franco Maria Puddu
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L’attuale situazione della componente navale anfibia che opera nella nostra Marina Militare
pesso e volentieri, studiosi e ricercatori, andando a rovistare quanto è avvenuto nel corso degli umani eventi, si sono trovati di fronte a episodi di occupazione militare di un Paese tramite uno sbarco. Oggi lo sbarco, segnatamente quello anfibio che è quello tradizionale, cui hanno fatto seguito prima l’avio, poi l’elisbarco, è una operazione tattica totalmente standardizzata: chi dispone dei mezzi adeguati, e tutti i Paesi industrializzati li hanno in quantità confacente alle loro possibilità militari, sa quali sono i problemi da affrontare e come provvedere a risolverli a seconda delle necessità. Una volta, neanche tanto tempo fa, non era così; in primis perché tutto era teorico, non esistendo alcuna base pratica su cui poter fare affidamento. Poi perché tecnologie più primitive o comunque non consone ad essere applicate a questo campo (si pensi ad esempio al periodo della marineria a vela) bloccavano all’inizio qualsiasi tipo di discorso. Inoltre, logicamente, nella storia, ogni sbarco anfibio è stato figlio dei suoi tempi e, fra le altre cose, delle tradizioni, delle tecnologie e delle strategie dell’epoca. I primi, comunque, furono ben poca cosa: gli eserciti erano piccoli e le marine ancor più esigue.
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Come ci racconta Omero, quando i Greci mossero guerra a Troia, presumibilmente tra il 1250 e il 1194 a.C., arrivarono sul litorale della città sul quale, scesi a terra, tirarono in secco le loro esili navi, sostennero una breve scaramuccia con i troiani e allestirono il campo; tutto lì. Da quel momento in poi, le flotte iniziarono ad aumentare di consistenza e di qualità; si pensi che alla battaglia navale di Salamina (480 a.C.) presero parte circa 400 navi greche e un migliaio di navi persiane.
Il primo sbarco Seguiranno altre grandi battaglie navali, come Milazzo e Azio, ma prima di avere notizie di uno sbarco dobbiamo attendere il 55 a.C., quando, al comando di Giulio Cesare, 80 onerarie, scortate da un numero imprecisato di navi da guerra, assieme ad altre 18 onerarie con la cavalleria, traghettarono due legioni da Portus Itius (oggi Boulogne) alla costa del Kent. Ma si trattò più che altro di una ricognizione in forze, che ben presto ripiegarono. L’anno seguente, il 54 a.C., Cesare si ripresentava con oltre 800 navi, la maggior parte onerarie, che trasportavano cinque legioni e 2.000 cavalieri; i britanni, che l’anno precedente avevano fatto qualche resistenza, alla vista del mare coperto di navi si dileguarono.
I fucilieri di una compagnia di sbarco della Regia Marina entrano nel porto di Tripoli su una chiatta trainata da un rimorchiatore il 1° ottobre 1911; in apertura, navi da guerra romane in navigazione con l’equipaggio al posto, da un bassorilievo della Colonna Traiana, Roma
Questo, probabilmente, fu il primo vero e proprio sbarco anfibio della storia, dobbiamo dire condotto con grande professionalità dagli equipaggi, se si considera che solo un piccolo numero di essi aveva l’esperienza di un analogo episodio precedente e molto più circoscritto. Inoltre, non era facile manovrare senza disperdere la formazione e senza far collidere con altri scafi le larghe onerarie (potevano avere una larghezza pari sino a un quarto della lunghezza), realizzate con poco pescaggio per poter arrivare agevolmente a terra, stracolme di legionari sofferenti di mal di mare e di cavalli terrorizzati, trascinate dalle forti correnti della Manica, assai poco ben disposta per quasi tutto l’anno. Dopo questo evento, comunque, di veri sbarchi anfibi nel senso moderno del termine, non se ne verificheranno più per secoli. Quando un esercito doveva invadere un Paese dal mare, era prassi utilizzare strutture portuali già esistenti, atterrendo magari la popolazione con un certo numero di bordate di artiglieria, oppure si procedeva con calma lungo un tratto di costa quando, come nel caso dei conquistadores spagnoli
e degli indios, esisteva una abissale sperequazione tra la potenza delle armi dei primi e di quelle, primitive, dei secondi, che neanche la preponderanza numerica di questi ultimi (che fra l’altro fuggivano in massa al cospetto dei cavalli, animali a loro sconosciuti) poteva bilanciare. Comunque, dalla caduta di Roma a tempi ben più vicini a noi di quanto comunemente si creda, questa era la situazione che si era stabilizzata riguardo alla possibilità di effettuare sbarchi anfibi: o in porto o su spiagge sicure tramite normali lancioni. Quelle dei vichinghi che piombavano sui villaggi costieri con i loro Drakkar per razziarli, potevano essere considerate tutt’al più delle scorrerie piratesche. Nei secoli, si succedettero eventi notevoli, come, ad esempio, la guerra di Crimea o la spedizione per la repressione della rivolta dei Boxer in Cina, che videro l’impiego di vere e proprie forze multinazionali, nelle quali ci si adattò alle tecniche sopracitate. Ma nell’aprile del 1915, dopo lo scoppio della Grande Guerra, durante la campagna che vide op-
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Il vapore militarizzato River Clyde “spiaggiato” a Gallipoli dopo il fallito sbarco dell’aprile 1915; notare la lunga passerella che, assieme ad un’altra sul lato sinistro della nave, avrebbe dovuto consentire al personale di uscire dalle due aperture realizzate sulla fiancata per scendere su chiatte che, alate a mano, lo avrebbero condotto a terra. Dei 2.000 uomini imbarcati se ne salvarono poche decine; gli altri furono falciati dalle mitragliatrici turche prima di aver raggiunto la spiaggia
porsi nell’area dei Dardanelli l’esercito ottomano a una coalizione di forze francesi, inglesi, neozelandesi e australiane (queste due fuse in un corpo di spedizione chiamato ANZAC), un giovane Primo Lord dell’Ammiragliato britannico preconizzò con tenacia e sagacia alcune sue teorie su una strategia che sarebbe stata determinante per raggiungere una vittoria rapida ed immediata in quel teatro. Si trattava di un certo Winston Leonard Spencer Churchill, che in futuro farà molto parlare di se, già comunque ben noto in quanto ufficiale dell’e-
sercito, combattente nella Guerra Afghana, nella rivolta dei Dervisci in Sudan, nella seconda Guerra Boera in Sudafrica e corrispondente apprezzato da queste aree, da Cuba e dall’India.
Gloria e morte a Gallipoli Secondo Churchill sarebbe stato sufficiente effettuare uno sbarco anfibio, che previde in termini entusiasticamente futuristici, con navi particolarmente adattate, prese di terra con mezzi speciali e così via. Ma, vuoi perché la Royal Navy era molto
La MTC 1005, rinominata A 5345, una delle unità anfibie costruite da Cantieri italiani su licenza tedesca sul progetto delle Marine Fahr Pram cedute alla Regia Marina in previsione del mai effettuato sbarco a Malta
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tradizionalista, poco disposta verso concetti e modalità operative particolarmente innovative, vuoi perché ci furono incomprensioni e malintesi fra gli alleati, decisioni prese alla leggera e con pressappochismo, un grossolano senso di superiorità sui turchi, lo sbarco si rivelò un drammatico e completo errore che costò morti, feriti e prigionieri, oltre alla perdita totale di interi reparti, e non portò il minimo vantaggio, per cui il giovane Primo Lord dovette rassegnare immediatamente le Un gruppo alquanto eterogeneo di mezzi cosiddetti anfibi durante un’esercitazione di sbarco proprie dimissioni. in previsione dell’attuazione dell’Operazione C3 Attenzione, però, non bisogna addossare tutte le colpe al povero Churchill, bia e a salvare l’esercito serbo facendo la spola tra perché se osserviamo attentamente un altro ben le navi alla fonda e le spiagge del Montenegro, con più famoso sbarco che avrà luogo 29 anni dopo il naviglio minore ad occupare il Dodecaneso, con con l’Operazione Neptune (aspetto navale di Overgli aerei ad annetterci l’Albania, ma mezzi da sbarlord, lo sbarco in Normandia), ci accorgiamo che co niente, a parte 10 ottime motozattere dette Maerrori e pressappochismi saranno tali e tanti, che rine Fahr Prahm (che arriveranno a guerra iniziata solo l’oramai consolidato predominio industriale e di cui solo 7 consegnate, forniteci dai tedeschi, americano su quello tedesco e l’insipienza di un che a guerra finita inizieremo a trasformare in MoHitler che non provvide (fra le tante cose) ad una to Officine Costiere e Moto Trasporti Costieri), in copertura aerea del fronte di sbarco e a scatenare grado di trasportare tre carri medi e 100 fanti arun immediato intervento corazzato contro le teste mati ciascuna. di ponte, consentiranno la vittoria alleata. A partire dal D-Day, senza voler considerare la Il rischio Malta campagna sostenuta dagli americani nel Pacifico e Quando con l’imminenza dell’Operazione C3, il che avrebbe creato buona parte della loro dottrina previsto sbarco a Malta, si formulerà la necessità di anfibia, gli sbarchi diverranno prassi comune presavere mezzi da sbarco in abbondanza, si reagirà so tutte le Marine; quella sovietica, addirittura ne improvvisando, e a questo punto subentrerà la farà uno dei cardini della propria proiezione di pofortuna, perché lo sbarco a Malta non si farà: metenza dal mare. no male perché vista la nostra impreparazione nelE l’Italia? Come si era comportata l’Italia nell’aflo specifico settore, avrebbe potuto essere un tale frontare questo nuovo scenario di operazioni milidisastro da far impallidire il tragico ricordo del tari marittime? Con molta prudenza, calma e anmassacro di Gallipoli. che un buon pizzico di fortuna. Per far avvicinare alla costa i soliti lancioni, si doPrudenza e calma perché non avevamo alcuna tarono questi di lunghe impavesate di scudi da esperienza in quel settore; avevamo eccellenti protrincea della Grande Guerra, trasformandoli in gettisti come Rota, Bonfiglietti, Rotundi, Pugliese, improbabili Drakkar; esili passerelle avrebbero doper citarne alcuni ma nel settore del naviglio da vuto consentire agli iperleggeri carri L3 da ricosbarco, zero assoluto. gnizione - ma da utilizzare come carri medi -, di Eravamo andati con le nostre navi da guerra nei scendere da bragozzi e pescherecci; per affrontare porti della Crimea, con le lance ad occupare la Li-
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i “cliff”, le alte scogliere maltesi, i fucilieri di Marina avrebbero dovuto utilizzare delle “scale Porta” (quelle scale telescopiche dei Vigili del Fuoco requisite ai reparti metropolitani del benemerito Corpo), montate, ebbene sì, sulla prora degli eterni lancioni a mo’ di “corvo” romano, mentre, in caso di spiaggia, i bravi marò avrebbero dovuto scavalcare la prora e scendere da due robuste “palanche” da muratore gettate fuoribordo una a sinistra e una a dritta. Fortunatamente non sbarcammo. Alla fine del conflitto, sappiamo in quali condizioni era la Marina, ma in pochi anni si sarebbe creata una nuova situazione, con la Jugoslavia titina scomunicata dalla Russia ma sempre comunista e in attrito con l’Italia, la demenziale Albania di Enver Hoxha, salito al potere nel 1944 e assillato dai dubbi se ad attaccare il suo “paradiso” sarebbe stata la NATO, il Patto di Varsavia, l’Italia o la Jugoslavia. E con l’Unione Sovietica che stringeva sempre nuovi accordi con i Paesi nordafricani e del Medio Oriente per ottenere basi navali in Mediterraneo. Era così tanto urgente per gli Stati Uniti che la nostra forza navale tornasse ad essere credibile che, prima ancora che entrasse in vigore la improcrastinabile Legge Navale del 1975, voluta dall’ammira-
glio Gino De Giorgi, la US Navy iniziava a cedere mezzi navali, fra i quali una componente anfibia, alla MM.
Arrivano i “nostri”
Nel 1951 erano entrate nei nostri ruoli 6 piccole cannoniere da sbarco da 254 t che costituiranno la classe “Alano” (detta, nell’ambiente, più familiarmente, classe “cani”. Ndr.) che erano forti centri di fuoco in grado di tempestare l’obiettivo raggiungendo posizioni letteralmente sottocosta. Quindi nel 1962 era giunto un ex LST (Landing Ship Tank, nave da sbarco) con un dislocamento di 4.080 t ribattezzato Anteo, seguito nello stesso anno, da un AKA (Attak Cargo, cargo ausiliario da attacco) da 13.910 t convertito in nave anfibia, l’Etna. Nel 1968, l’Italia aveva tentato la carta di una classe di navi di progettazione e costruzione nazionale, la classe “Quarto” di 5 navi, ma dopo aver sperimentato la prima, decisamente “ballerina” e nauticamente difficile sino al livello dell’ingovernabilità, il programma venne abbandonato, la costruzione della seconda nave, il Marsala, bloccata e il Quarto convertito in nave sperimentale sino alla sua radiazione nel 1991, per tornare ai cari, vecchi ma affidabili residuati, come un grosso trasporto truppe da 8.510 t, giunto in Italia nel 1968, l’Andrea Bafile, seguito poi da due altre LST da 7.823 t, rinominate Grado e Caorle, entrate in servizio nel 1972. La situazione era quindi alquanto stabilizzata (le unità, a parte le cannoniere “Alano”, rimarranno in servizio sino, grosso modo, ad un periodo oscillante dalla metà degli Anni 70 a quella degli Anni 80), ed aveva avuto risvolti largamente positivi che andavano da quello economico, fino ad un forzata più rapida standardizzazione delle procedure con quelle NATO, in quanto il personale italiano si era trovato ad addestrarsi ed operare su materiali di comune oriUn mezzo da sbarco americano dirige alla volta di Omaha Beach, la spiaggia che i marines ribattezzeranno Bloody Omaha per le perdite che vi subiranno, il 6 giugno 1944, in Normandia gine con quello della US
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Una immagine di una unità da sbarco anfibio sovietica classe “Polnocny” tipo C con i portelloni prodieri aperti; questa nave, in grado di trasportare 8 carri armati e 250 uomini, è attualmente in forza alla Marina Ucraina con il nome di Kirovohrad
Navy e di molte altre Marine facenti parte dell’Alleanza. Veniva però ad essere carente nell’area specifica un’auspicabile evoluzione del settore “ricerca e sviluppo”, nonché la possibilità di un rinnovamento tecnico-militare in area nazionale. Anche perché i tempi erano mutati: le navi da battaglia che suscitavano lo stupore dei Governi mondiali all’inizio dello scorso secolo, non esistevano più, né tantomeno esistevano le “torri eburnee” nelle quali progettisti e vari altri pensatori studiavano e creavano. La rivoluzione industriale aveva travolto i bei tempi di una volta, per consegnare questi empirei ai progettisti dell’industria navalmeccanica che dai loro uffici, tempestavano lo Stato Maggiore di ben documentate proposte. Così la Marina, dopo l’infelice tentativo della classe “Quarto”, decise di fare il grande passo e di muoversi nuovamente nel settore nazionale. Dopo molte meditazioni, studi e riunioni, la Forza Armata decise di optare per una offerta della Fincantieri riguardante una Landing Platform Dock (nave anfibia con bacino interno allagabile) in grado di portare a termine operazioni di trasporto truppe o personale sanitario, effettuare operazioni
di sbarco eliassistite (per via dell’ampio ponte di volo), sia in ambito di strutture portuali esistenti e funzionanti che su spiagge libere, partendo da acque aperte; le unità proposte presentavano inoltre una notevole capacità di ricovero a bordo del personale evacuato da terra. La nave, che venne in seguito prescelta, sarebbe stata l’eponima di una classe di 2 LPD: San Giorgio e San Marco.
Le prime due LPD Il San Marco, sarebbe stato finanziato in parte dal Ministero della Protezione Civile e da quello dell’Interno, con l’opzione di prendere parte a incarichi di protezione civile. Entrambe avevano un bacino allagabile e rampa di accesso (se in banchina) da poppa, utilizzabile come apertura per rilascio o recupero di mezzi da sbarco in navigazione, un portellone di accesso laterale in banchina sul lato dritto e possibilità di mettere in mare o a terra mezzi anfibi, tramite una rampa retrostante il portellone di prora, la cui intera sezione era elevabile ed era detto “celata”, come il frontale degli elmi da giostra medievali (vedi immagine); questa soluzione venne comunque ben presto abbandonata, ritornando a una prora fissa.
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Una bella immagine ripresa dopo i grandi lavori di ammodernamento della LPD San Marco, con il portellone che dà accesso al bacino poppiero dalla cui rampa inclinata, chiamata spiaggia, partono i mezzi da sbarco
Le navi, classificate LPD (Landing Platform Dock, nave da assalto anfibio) erano dotate di un’elica prodiera intubata, cosa che le rendeva particolarmente manovriere e affidabili in caso di operazioni in aree portuali non preparate, e di una vasta piattaforma elicotteristica, ma non avevano un hangar predisposto, di conseguenza non potevano essere considerate LHD (Landing Helicopter Dock, nave da sbarco elicotteristica). La sezione sanitaria era notevole ed equivalente ad un vero e proprio ospedale, con sala operatoria, ambulatorio medico, gabinetto odontoiatrico, gabinetto radiologico, gabinetto ginecologico e sala parto, mentre la capacità di trasporto consentiva lo spostamento di un battaglione (circa 350 uomini) equipaggiato e con 30 mezzi corazzati. La componente elicotteristica prevede 4 elicotteri. Nel 1994 sarebbe entrata in servizio una terza LPD, il San Giusto, che costituiva un miglioramento e un potenziamento delle precedenti, disponendo di un apparato motore più potente e di un pezzo da 76/62 automatico, a prora, per la difesa (per questo motivo il ponte di volo è stato accorciato), mentre gli ampi spazi di bordo sono rapida-
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mente trasformabili per utilizzare la LPD come nave scuola per le campagne d’istruzione degli allievi dell’Accademia Navale di Livorno. Una buona scelta, dunque, quella della Marina Militare, ma…naturalmente, non tutti gli osservatori, specie i più ortodossi, possono concordare in ogni particolare. In pratica il punto sul quale alcuni muovono perplessità è il fatto che si tratta di unità che sarebbe più opportuno definire “militari” che “da guerra”, in quanto nascono da progetti di impostazione civile; sono infatti dei traghetti RO–RO militarizzati, per questo più confortevoli e spaziosi, che fanno però ricorso, nella loro realizzazione, a norme di sicurezza validissime (lo dimostrano le loro lunghissime carriere senza incidenti, perdite o malfunzionamenti rimarchevoli), ma meno esasperate di quelle adottate dalle navi dotate di standard MM, e per questo risultano meno pesanti e meno costose. Le tre LPD, sin dalla loro entrata in servizio, hanno avuto una vita operativa intensissima, specialmente nelle frequenti missioni all’estero cui la Marina ha preso parte dal 1990 ai giorni nostri, e almeno una di loro, a rotazione a seconda delle necessità,
Sopra il San Giorgio, nella configurazione originale (a sinistra) e in quella successiva ai lavori di ristrutturazione (a destra); nella prima si può vedere la prora elevabile alzata per caricare, dalla banchina, i mezzi da trasportare, mentre i due mezzi da sbarco minori sono sul ponte di volo, a fianco dell’“isola”. Nella seconda, la prora è stata chiusa, mentre il ponte di volo ha aumentato la sua ricettività spostando i due mezzi da sbarco minori in due strutture poste sotto di lui, ben visibili nella foto precedente. Qui a fianco, un disegno di massima del progetto “San Giusto improved” da 20.000 t, con un forte aumento della componente elicotteristica (gli elicotteri medi sono passati da 4 a 11 e se ne è aggiunto uno pesante CH 47) ed anfibia (i mezzi minori sono passati da 2 a 4, più 4 motoscafi veloci in vetroresina)
ha mostrato bandiera praticamente in tutti i teatri, dalla Romania alla Somalia, alle Filippine, all’Iraq, a Timor Est, alla Libia e tanti altri ancora. Considerando anche le lunghe permanenze (di mesi) che hanno dovuto affrontare in località come la Somalia, ad esempio, dove, non essendo possibile andare in banchina, hanno dovuto far affidamento, per l’energia, solo sul proprio apparato motore in funzionamento ininterrotto (a turno una macchina per volta), H 24. Ma gli anni passano, le missioni aumentano e le navi si logorano; non è possibile riposare sugli allori. Se si vuole che la Marina Militare sopravviva, bisogna curarne le esigenze: un risparmio a oltranza, tirando troppo la corda, rischia di trasformarsi, prima o poi, in un disastroso tracollo. Da tempo, si parla di anni, la Fincantieri ha presentato varie proposte di una nuova LPD che, pur rimanendo sulla scia della oramai comprovata tradizione di efficienza (ma per quanto, ancora?) di quelle in servizio, potrebbe costituire un indispensabile avvicendamento. Uno di questi progetti, ufficiosamente denominato “San Giusto improved”
ha riscosso l’approvazione del Governo algerino che ha pensato di richiederne nel 1992 un esemplare, con opzione su un secondo, ad Orizzonte Sistemi Navali, del Gruppo Fincantieri; la LPD è stata varata a Riva Trigoso dagli scali Fincantieri nel gennaio 2014 e se ne prevede la consegna a breve termine. Il momento economico per l’Italia è, si sa, molto difficile e anche all’interno della stessa Marina, è noto, le difficoltà sono tante e le necessità ancora maggiori. Riteniamo, per questo, della massima importanza la nuova Legge Navale, destinata, come quella che l’ha preceduta, sia ad infondere nuove energie nella Forza Armata, mantenendola al passo con i compiti che la Nazione continua ad affidarle in tutti i mari del mondo, sia a stimolare l’industria nazionale, mantenendola sui noti standard di eccellente qualità. Ci auguriamo, che tale legge possa ■ operare quindi, anche per il futuro delle LPD.
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