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Presentazione
È con grande piacere che mi accingo a presentare questo lavoro che rappresenta il frutto dell’esperienza e il contributo di diversi colleghi impegnati nel campo della riabilitazione psichiatrica. Un settore, quello della riabilitazione, di cui mi sono occupato per molti anni e verso cui è ancora molto vivo il mio interesse. Ed è proprio guardando al passato che noto l’evoluzione dei modelli terapeutici attuali, che sono la dimostrazione del grande lavoro che è stato fatto negli ultimi anni nel trattamento delle psicopatologie gravi. Infatti, ho potuto constatare che il modello di intervento cognitivo-comportamentale si è affermato sempre di più come una delle più valide alternative rispetto ad altri approcci nel trattamento dei pazienti gravi. La flessibilità e la versatilità che contraddistingue quest’approccio e le sue varie integrazioni – come è stato più volte sottolineato dall’Autore – fanno sì che possa essere facilmente adattato a vari tipi di pazienti, tenendo conto delle risorse e dei bisogni del singolo, senza cercare di ridurre la terapia al puro e semplice trattamento farmacologico, o a difficili quanto incomprensibili trappole teoriche ideologiche. Gli eccellenti capitoli contenuti in questo libro danno una chiara visione dello stato dell’arte nella riabilitazione. La focalizzazione sul concetto di “vulnerabilità individuale”, ripreso da Perris (1996), inteso non solo nella sua accezione biologico/genetica, descritta nel primo capitolo, contribuisce a rendere chiaro che interventi psico-terapeutici non debbono ritenersi come sostitutivi del trattamento psico-farmacologico, né che sia possibile “curare” la schizofrenia come se si trattasse di una malattia unitaria ben definita. L’importanza più volte ribadita di ricorrere a un approccio multimodale, apre al futuro della riabilitazione una dimensione specialistica interdisciplinare, del tutto in linea con le tendenze della moderna ricerca scientifica, in particolare con i contributi apportati recentemente dalle neuroscienze (Le Doux, 1998, 2002). Infatti, trovo molto interessante il riferimento all’intelligenza emotiva (Goleman, 1996, 1997), e il contributo originale, contenuto nel secondo capitolo, riguardante la sperimentazione condotta su soggetti psicotici di appliXIII
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PRESENTAZIONE
cazioni di procedure meditative, per migliorare lo stato di coscienza e la capacità di regolazione delle emozioni disturbanti. La ricchezza di continui esempi pratici, e lo sforzo di verificare scientificamente i dati sperimentali delle varie ipotesi, rende più interessante la lettura e, al contempo, dà ampia testimonianza del grande lavoro che viene svolto oggi nei servizi territoriali della psichiatria. Il lettore si troverà a fare i conti con le diverse componenti che riguardano il lavoro clinico con lo psicotico: dall’approccio multimodale a quello metacognitivo, dall’intervento precoce alla pianificazione del PRI (Programma Riabilitativo Individualizzato), fino alla compliance farmacologica, che offrono una guida utile e degli strumenti operativi molto efficaci per affrontare la complessità delle problematiche relative alla malattia mentale. Sono certo che il presente volume rimarrà un contributo molto significativo per tutti gli operatori veramente interessati alla salute mentale. Gian Franco Goldwurm
Bibliografia Dalai Lama e Goleman, D. (2003). Emozioni distruttive. Liberarsi dai tre veleni della mente: rabbia, desiderio e illusione. Mondadori, Milano. Goldwurm, G.F., Baruffi, M. e Colombo, F. (2004). Qualità della vita e benessere psicologico. Aspetti comportamentali e cognitivi del vivere felice. Milano: McGraw-Hill. Goldwurm, G.F., Scarlato, A., Sacchi, D. e De Isabella, G. (1987). I disordini schizofrenici. Aspetti teorici e metodologici dell’intervento cognitivo-comportamentale. Roma: La Nuova Italia Scientifica. Goleman, D. (1996). Intelligenza emotiva. Milano: Rizzoli. Goleman, D. (1997). La forza della meditazione. Milano: Rizzoli. Le Doux, J. (1998). Il cervello emotivo. Alle origini delle emozioni. Milano: Baldini & Castoldi. Le Doux, J. (2002). Il Sé sinaptico. Come il nostro cervello ci fa diventare quelli che siamo. Milano: Raffaello Cortina. Perris, C., (1996). Terapia cognitiva con i pazienti schizofrenici. Torino: Bollati Boringhieri. XIV
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Prefazione
Negli ultimi anni il problema della terapia cognitiva delle psicopatologie gravi è diventato di estrema attualità. La letteratura scientifica in ambito clinico e riabilitativo abbonda di lavori e di riviste scientifiche che trattano di questo tema, tanto che oggi nessuno si meraviglia più di sentir parlare di approccio psicoterapeutico alla schizofrenia e ai disturbi di personalità. Dimenticando che fino agli anni ’70 altri approcci, come quello dinamico e sistemico, avevano mostrato tutto il loro limite nel trattamento di queste patologie. Il merito di aver introdotto la psicoterapia cognitiva in ambito psichiatrico va riconosciuta senza dubbio all’opera di Carlo Perris, che già dagli anni ’70 era noto per i suoi contributi sui disordini dell’affettività e sulle psicosi cicloidi, tanto da affermare che “non vi è alcun paziente che sia tanto ammalato da non poter cambiare in qualcosa”; dal momento che la stessa vulnerabilità individuale non è solo un tratto biologico, o per lo meno è errato ritenere che sia immodificabile. Perris ha insegnato a tutta la comunità scientifica internazionale come procedere con i cosiddetti malati “difficili”, proponendo una metodica complementare e integrativa efficace nella normale prassi operativa all’interno delle strutture intermedie e dei servizi di salute mentale. Con questo libro ho voluto, insieme agli altri coautori, ricordare la sua opera e mostrare tutta la riconoscenza che gli operatori del settore della salute mentale hanno nei suoi confronti per la preziosa eredità che ha lasciato con il suo lavoro di clinico e di ricercatore. Un patrimonio comune che oggi appartiene a tutti e in particolare a coloro che credono nella necessità di agevolare l’accesso alla comprensione della malattia mentale. I punti caratterizzanti il lavoro di ricerca portato avanti da Perris in ambito clinico riguardano in particolare: l’importanza attribuita alla persona e la possibilità di utilizzare procedure clinicamente testabili – e altamente compatibili – con i modelli biologici legati alla concezione della vulnerabilitàXVII
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PREFAZIONE
stress; tutte caratteristiche che si coniugano bene con un’approccio multimodale nel trattamento delle psicopatologie gravi. Altro punto fondamentale della sua impostazione teorica è stato quello di rappresentare ogni individuo come una persona unica, prodotto della costruzione di un sistema autorganizzato di conoscenza, in grado di interagire in maniera significativa e autoreferenziale con l’ambiente. Questa impostazione avvicina il suo orientamento cognitivista all’influenza del costruttivismo, che aggiunge contenuti importanti alla comprensione della malattia mentale grave, in quanto consente una visione più profonda dell’organizzazione cognitiva, che non si ferma all’analisi degli schemi superficiali, ma interviene sulle strutture profonde e sull’effetto che la loro interazione ha sulla rappresentazione del sé. Quest’ultima importante integrazione implica l’avvicinamento del cognitivismo alle teorie sull’attaccamento. Tale capacità di contenere contributi diversi ha favorito l’affermarsi di un approccio in cui coesistono elementi diversi – biologici, sociali, emotivo-affettivi – all’interno di uno stesso programma di trattamento. Questo “pluralismo integrativo” è fondamentale quando si trattano patologie che presentano una eziologia multifattoriale. Nella pratica clinica appare indispensabile l’uso di strumenti flessibili e di strategie che agiscano sinergicamente a diversi livelli. Questo è il principio teorico che ha ispirato il contenuto del presente lavoro, che aggiunge nuovi temi alla comprensione dei problemi relativi ai pazienti schizofrenici, in particolare per quanto riguarda la capacità autoriflessiva e di controllo delle emozioni disturbanti. Abbiamo ritenuto opportuno inserire contributi teorici provenienti dalla neuropsicologia cognitiva e dalle neuroscienze – soprattutto per quanto riguarda lo studio di particolari stati di coscienza – che aggiungono dati molto interessanti alla comprensione delle relazioni esistenti tra cognizioni ed emozioni e del loro rapporto con la corporeità. Sono stati inseriti contributi innovativi che affrontano questi argomenti, mentre un’attenzione particolare è stata riservata al trattamento precoce e alla compliance farmacologica. Inoltre, dato abbastanza singolare, tutto il lavoro è confortato da un costante riferimento a dati sperimentali che confermano le ipotesi originali presentate in questo libro dagli autori. Infine, nel sito Internet www.mcgraw-hill.it/biomediche/psicologia sono reperibili le schede inserite nell’appendice del volume e altri utili e importanti strumenti di sicuro riferimento nella pratica clinica quotidiana. Carlo Di Berardino
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Introduzione
Il cognitivismo si è affermato, all’inizio degli anni ’80, con il trattamento rapido ed efficace di alcuni disturbi nevrotici come la depressione, le fobie, le ossessioni, ma negli ultimi anni sta ampliando il suo campo d’azione al trattamento dei pazienti gravi che costituiscono l’interesse prevalente della psichiatria. Questo interesse per il cognitivismo è giustificato dal fatto che rappresenta l’ultima e più significativa resistenza alla totale medicalizzazione del paziente grave che, considerata la grave situazione in cui versano i servizi pubblici, e di fronte al fallimento degli altri approcci psicoterapeutici, si troverebbe a essere governato interamente dal trattamento farmacologico. La patologia psichiatrica grave verrebbe pertanto considerata solamente la conseguenza di squilibri neurotrasmettitoriali e non l’espressione di un disagio che acquista significato dalla ricostruzione di una storia individuale. Spesso l’intervento terapeutico si riduce infatti alla sola riduzione sintomatologica, dimenticando che la consapevolezza al cambiamento, e la ricostruzione di un realistico progetto di vita, sono i requisiti indispensabili per il raggiungimento della qualità della vita. L’approccio cognitivo-comportamentale, quindi, rappresenta una indispensabile integrazione alla terapia farmacologica per la possibilità di poter strutturare dei protocolli riabilitativi ben definiti e di breve durata. Inoltre, offre la possibilità di valutare i risultati e la sua efficacia in modo chiaro e inequivocabile. Infatti, i risultati degli interventi clinici sono veramente incoraggianti se si pensa che le modificazioni prodotte dal trattamento, a livello cognitivo, apportano dei cambiamenti a livello di connessioni neuronali superiori a quelle determinate dalla terapia farmacologica (Roth e Fonagy, 1997).1 Le attività realizzate nel nostro Centro Diurno-Casa Famiglia dallo staff di Carlo Di Berardino dimostrano che è possibile ottenere dei risultati
1 Roth, A. e Fonagy, P. (1997). Psicoterapie e prove di efficacia. Roma: Il Pensiero Scientifico.
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INTRODUZIONE
interessanti a livello clinico basandosi sulle procedure cognitivo-comportamentali. Inoltre, la sperimentazione da lui condotta sulla consapevolezza emotiva e sugli stati di coscienza sono motivo di riflessione e di grande interesse per il futuro del trattamento terapeutico-riabilitativo delle psicopatologie gravi. In questo lavoro, in gran parte ispirato dal pensiero di un grande clinico, il compianto Carlo Perris, viene confermata la necessità di un approccio multimodale che risponde alle esigenze di una impostazione olistica, che ravvede la necessità di considerare anche le altre teorie che confluiscono oggi nel cognitivismo avanzato. Questa impostazione sembra convalidata non solo dalla molteplicità eziologica di gran parte delle patologie psichiatriche, ma anche dalla necessità di dare maggiore consistenza ed efficacia all’intervento terapeutico-riabilitativo. Considerata la crisi che sta attraversando oggi tutto il sistema sanitario, nella consapevolezza della carenza delle risorse da destinare alla salute mentale, il problema della riabilitazione e del reinserimento socio-lavorativo del malato mentale appare una necessità non più eludibile, se si intende concretamente ridurre la spesa derivante dalla cronicità e dal conseguente aumento dei posti letto della lungo degenza. Inoltre, i servizi pubblici, che hanno come mandato prioritario la psichiatria grave, non possono più esimersi dal considerare il problema della valutazione dei risultati e quindi dell’efficacia degli interventi e della metodologia applicata. Il modello cognitivo-comportamentale ha delle ottime referenze in tal senso e può porsi come teoria di riferimento per l’intervento con pazienti gravi nel servizio pubblico. Innanzitutto, perché i suoi modelli esplicativi sono semplici e di facile comprensione, e quindi si prestano ad essere appresi più facilmente anche da personale non specializzato. In secondo luogo, in quanto sono tendenzialmente brevi e facilmente verificabili. Il modello cognitivo, infine, non si esaurisce nella psicoterapia, ma fornisce un valido supporto teorico-metodologico, essenziale per la riabilitazione, nella prevenzione e persino nella organizzazione dei servizi stessi, per garantire un miglioramento anche della qualità del lavoro clinico, necessario a prevenire quelle patologie che il personale impegnato nelle strutture psichiatriche spesso incontra. Pierluigi De Iorio
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