CAPITOLO 1
Disposizioni generali e ambito di applicazione SOMMARIO: 1. La mediazione, una “alternativa alla giustizia” e non una “giustizia alternativa”. – 2.Segue: il d.lgs. n. 28/2010, come risposta alle istanze comunitarie. – 3. Segue: i precedenti di diritto interno. L’esperienza della conciliazione delle camere di commercio e della conciliazione societaria. – 4. Le definizioni. “Mediazione” e “conciliazione”. – 5. “Mediatore”, “organismo” e “registro”. – 6. Ulteriori definizioni contenute nel D.M. n. 180/2010. – 7. L’ambito di applicazione. Le controversie civili e commerciali. – 8. Segue: il limite della disponibilità dei diritti. – 9. Segue: l’autonomia delle negoziazioni volontarie e paritetiche. – 10. Segue: abrogazioni e sopravvivenza delle altre forme di mediazione.
1. La mediazione, una “alternativa alla giustizia” e non una “giustizia alternativa” Il d.lgs. n. 28/2010 – reso in attuazione della legge delega n. 69/2009 e recante la disciplina della “mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali” – condivide con le altre (molteplici) riforme sulla giustizia civile il primario obiettivo perseguito ormai da anni (seppure senza garanzie di risultato) del decongestionamento 1 del contenzioso 2. L’esigenza è porre un freno all’ir-
1 Non a caso, la normativa è stata resa in attuazione dell’art. 60, legge n. 69/2009, contenente l’ennesima novella del processo civile, e nuovamente proiettata sull’esigenza di porre un freno al l’irragionevolezza nella durata dei giudizi. Non è questa la sede per ripercorrere negli anni la sto ria delle riforme; basti solo ricordare che la patologica durata delle controversie civili ridicolizza il nostro sistema e lo sottopone a continue sanzioni e condanne sul fronte europeo (oltre che di di ritto interno). Sul punto v. per tutti, BESSO, Inquadramento del tema: lo sviluppo del fenomeno della risoluzione alternativa delle controversie, in La mediazione civile e commerciale, a cura di B ESSO, Torino, 2010, 1 ss. Per una ricostruzione del fenomeno conciliativo nel contesto delle ADR e dei suoi precedenti nella legislazione interna, v. P UNZI, Mediazione e conciliazione , in Riv. dir. proc. , 2009, 845 ss. 2 Che la mediazione civile e commerciale – alla stregua di qualsiasi altra ADR – persegua lo scopo di deflazionare il contenzioso giurisdizionale è un dato certo, essendo in maniera più o meno dichiarata questo l’obiettivo di fondo perseguito dal più recente legislatore. Non si manca tuttavia di notare come inquadrare la ratio della mediazione tra i rimedi all’irragionevole durata del processo rischia di essere un criterio parziale se non del tutto errato. Parziale perché non è questo l’unico scopo del modello conciliativo; errato perché per garantire il miglior risultato al procedimento conciliativo sarebbe preferibile avere quale alternativa una giurisdizione funzionante. Osserva opportuna mente LUISO, Gli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie tra prassi ed interventi del le gislatore, in Quarto Rapporto sulla diffusione della giustizia alternativa in Italia, e-book a cura di ISDA-
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ragionevole durata del processo non tanto intervenendo sulle sue dinamiche 3, quanto promuovendo strumenti alternativi 4 alla giustizia statuale 5 (anche esso obiettivo tutt’altro che nuovo nel panorama legislativo 6). Letta in questi termini, la conciliazione stragiudiziale si colloca sulla stessa linea delle altre ADR, rectius, l’arbitrato, non meno che la soluzione della controversia affidata alla pubblica amministrazione 7: in tutti i casi, si tratta di modelli volti a porre un argine al contenzioso sottraendo il primato alla giustizia statuale. Occorre però correttamente inCI,
Unioncamere, Camera di commercio di Milano, Camera arbitrale di Milano, 2010, reperibile sul sito, www.camera-arbitrale.it, 111 ss., spec. 121: “è peraltro noto che un buon funzionamento dello strumento giurisdizionale costituisce il presupposto necessario di una buona mediazione e non viceversa. Infatti, un processo giurisdizionale che funziona male non soltanto incentiva ad un accordo “al ribasso” da parte di chi, a causa di ciò, deve rinunciare alla tutela dei propri diritti; ma anche e soprattutto disincentiva l’accordo da parte di colui al quale è richiesto di effettuare una prestazione, e sa di poter contare sui tempi lunghi del processo giurisdizionale. Poiché l’accordo volto a risolvere una controversia, come qualunque contratto, è stipulato se reputato conveniente, qualora l’interesse a dilazionare nel tempo la prestazione possa essere soddisfatto negando il proprio consenso e quindi costringendo l’altra parte a rivolgersi al giudice, difficilmente la mediazione avrà un esito positivo. È dunque la giurisdizione che deve acquisire accettabili standard di efficienza perché si abbia una mediazione che funzioni bene, e non viceversa” (dell’A. v. anche ID., Diritto processuale civile, Milano, ed. 2011, vol. 5, § 2 in corso di pubblicazione). Sostanzialmente nello stesso senso C APONI, La conciliazione stragiudiziale come metodo di ADR (“Alternative Dispute Resolution”), in Foro it., 2003, V, 172; CANALE, Il decreto legislativo in materia di mediazione, in Riv. dir. proc., 2010, 616; PAGNI, Introduzione, in Mediazione e processo nelle controversie civili e commerciali: risoluzione negoziale delle liti e tutela giurisdizionale dei diritti, in Società, 2010, 619 ss., spec. 620; RICCARDI, Commento sub art. 1, in La nuova disciplina della mediazione delle controversie civili e commerciali. Commentario al d.lgs. 4 marzo 20101, n. 28, a cura di BANDINI e SOLDATI, Milano, 2010, 1 ss., spec. 22. Sui vantaggi per lo Stato della funzione deflattiva della mediazione, v. CALIFANO, Procedura della mediazione per la conciliazione delle controversie civili e commerciali, Padova, 2011, 49 ss., spec. 55. 3 Altri e pur sempre numerosi sono stati negli ultimi anni gli interventi di riforma volti ad incidere sulle “tecniche” del processo (basti pensare alle tante modifiche del codice di procedura civile, nonché ai molteplici riti speciali pensati quale alternativa – sperabilmente migliore – rispetto alla cognizione piena). Riti dei quali si impone oggi un ridimensionamento, tenuto conto del decreto legi slativo di recente approvazione (anch’esso attuativo della legge delega n. 69/2009), volto alla “riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione”. 4 Va precisato che, evocando strumenti alternativi alla tutela giurisdizionale, ci si rivolge alla sola tutela “dichiarativa”. Mancano alternative alla tutela giurisdizionale esecutiva (che impone la spendita di poteri coercitivi tipici dell’autorità statuale), nonché – di regola – a quella cautelare (anch’essa riservata al giudice per scelta legislativa discutibile ma da accettare). Su questi profili, v. approfonditamente LUISO, Istituzioni di diritto processuale civile, Torino, 2009, 13; I D., Giustizia alternativa o alternativa alla giustizia?, in www.judicium.it, § 1 e in Giusto proc. civ., 2011, 325 ss. 5 La quale quindi ormai da anni ha perso il suo primato (PICARDI, La giurisdizione all’alba del terzo millennio, Milano, 2007, 13 ss.). 6 Sui risultati di della c.d. “giustizia alternativa”, v. il Quarto Rapporto sulla diffusione della giustizia alternativa in Italia, cit. 7 Sulla giustizia alternativa offerta dalla pubblica amministrazione, v. L UISO, Interpretazione dei dati e tendenze evolutive, in Terzo rapporto sulla diffusione della giustizia alternativa in Italia, e book, a cura di ISDACI, Unioncamere, Camera di commercio di Milano, Camera arbitrale di Milano, 2010, 127 ss., spec. 131, nonché I D., Gli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie tra prassi ed interventi del legislatore, in Quarto Rapporto, cit, 111 ss.
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tendersi sul ruolo di primazia che solo apparentemente appartiene alla giurisdi zione, nonché sulla funzione della conciliazione stragiudiziale in questo contesto. Quanto al primo profilo, è frutto di una visione “sacrale e ieratica” 8 – ai nostri giorni in deciso recesso – la convinzione secondo cui la giurisdizione è in grado di produrre effetti non perseguibili per altra via ed è perciò da collocare in posizione non solo centrale ma anche prioritaria. Vale invece la regola contraria 9, nel senso che tra la giurisdizione ed i mezzi ad essa alternativi opera un “principio di sussidiarietà”: ove percorribili, le strade alternative devono avere la precedenza, restando la giurisdizione l’ultima opzione (sempre garantita) per l’ipotesi in cui gli altri strumenti non possano funzionare 10. In altri termini, la giurisdizione è centrale in quanto unico strumento in grado di operare sempre e per qualsiasi forma di tutela dei diritti (di qui la sua protezione costituzionale), ma non è prioritaria, collocandosi essa logicamente e cronologicamente in posizione succedanea rispetto agli altri strumenti 11. Quanto al secondo, occorre considerare che nel panorama generale delle ADR, la conciliazione (rectius, “mediazione” nella scelta del decreto delegato 12) si colloca in posizione originale rispetto alle altre. La catalogazione in un unico genus di tutti gli strumenti alternativi alla giustizia civile non è infatti utile se non per una definizione in negativo, nel senso che sono tali tutti i rimedi diversi dalla giurisdizione volti ad impartire la tutela dichiarativa 13. Nell’ampio genus occorre però distinguere una “giustizia alternativa” da una “alternativa alla giustizia”14. La prima – strumento “eteronomo” di soluzione della lite, come la giurisdizione – punta a rendere una decisione, ad individuare regole di condotta contenute in un atto che, in quanto idoneo a risolvere una controversia, è vincolante per le parti 15 (qui si
Queste le parole di LUISO, Istituzioni di diritto processuale civile, cit., 187. LUISO, Istituzioni, cit., 187. 10 LUISO, op. loc. cit. nello stesso senso, I D., La conciliazione nel quadro della tutela dei diritti , in Riv. trim. dir. proc. civ., 2004, 1201. 11 “La giurisdizione è centrale, perché è l’unico strumento che funziona sempre, ed è appunto per questo costituzionalmente garantito. La giurisdizione non è però prioritaria né in senso logico (nel senso, cioè, che attraverso essa si possa ottenere più di quanto danno gli strumenti alternativi) né in senso cronologico (nel senso che gli altri strumenti costituiscano dei ripieghi e che, dunque, nel momento in cui si rende necessario risolvere la controversia, si debba immediatamente far ricorso alla tutela giurisdizionale, senza prima verificare la percorribilità delle altre vie; oppure, peggio ancora, che si debba far ricorso alle altre vie solo come ripiego, perché magari la giurisdizione funziona male!)” (LUISO, Istituzioni, cit., 187). 12 V. infra, § 4. 13 LUISO, Gli strumenti, cit., 111 ss. 14 Anche sul punto si rinvia a L UISO, Gli strumenti, cit., 111-112. Nello stesso senso, I D., Giustizia alternativa o alternativa alla giustizia?, cit., § 1 ss. 15 In questo caso, “il terzo, per determinare il contenuto dell’atto in questione, non ha a disposizione altro metro che la verifica della realtà giuridica sostanziale preesistente” (LUISO, Gli strumenti, cit., 112). 8 9
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colloca l’arbitrato o l’intervento della pubblica amministrazione nella risoluzione di controversie tra soggetti appartenenti al settore cui quella pubblica amministrazione è preposta 16). L’“alternativa alla giustizia” – mezzo “autonomo” – è invece costituita dagli strumenti che per il componimento del conflitto prescindono dalla verifica della realtà sostanziale preesistente ed hanno natura negoziale fondandosi sulla sola positiva valutazione di opportunità dell’accordo (sugli interessi delle parti, piuttosto che sulla fondatezza delle pretese) 17. Tra le “alternative alla giustizia” si colloca il fenomeno conciliativo, in generale, e la mediazione “amministrata” del d.lgs. n. 28/2010, in particolare. Sarà quest’ultima oggetto del nostro studio, da condurre con l’accortezza di non perdere di vista la migliore prospettiva per comprendere il modello: muovere dalla convinzione secondo cui si tratta di un fenomeno negoziale che rispetto alla giustizia si colloca quale “alternativa” non solo nelle sue dinamiche, non solo negli organi cui è demandata la gestione della procedura, ma anche negli obiettivi: la mediazione, volta al raggiungimento di un accordo (rectius, alla stipula di un contratto), la giurisdizione (ma non diversamente l’arbitrato, o l’attività svolta dalle Autorità Indipendenti) volta ad una decisione.
2. Segue: il d.lgs. n. 28/2010, come risposta alle istanze comunitarie L’esigenza di introdurre una disciplina omnibus sulla mediazione nasce (an che 18) dalla necessità di rispondere alle istanze provenienti dalla Unione europea, in attuazione della direttiva comunitaria 2008/52/CE 19. 16 È quest’ultimo un fenomeno in fase di sviluppo negli ultimi anni soprattutto sotto l’impulso della normativa europea (ancora LUISO, Terzo rapporto, cit., 127 ss.). 17 Dalla distinzione scaturisce un profilo di convenienza della mediazione che qualsiasi altra forma eteronoma di componimento del conflitto è incapace di assicurare. Si tratta della “atipicità” della soluzione negoziale a fronte della “tipicità” del contenuto di ogni soluzione eteronoma. Osserva opportunamente LUISO, Istituzioni, cit., 188; I D., La conciliazione: i possibili sviluppi tratti dall’esperienza‚ in Secondo rapporto sulla diffusione della giustizia alternativa in Italia , e-book a cura di I SDACI, Unioncamere, Camera di commercio di Milano, Camera arbitrale di Milano, 2010, reperibile sul sito www.camera-arbitrale.it, 147; ID., voce Conciliazione, in Il Diritto. Enc. Giur., Milano, 2007, 501, come, dal momento che la soluzione negoziale si fonda sull’accordo delle parti, queste ultime possono dare a tale accordo il contenuto ritenuto più opportuno; la soluzione eteronoma si fonda invece sulla ricognizione della realtà sostanziale preesistente, sicché l’arbitro o il giudice sono obbligati a da re ad essa il contenuto risultante da tale ricognizione. Nello stesso senso, CAPOBIANCO, I criteri di formulazione della c.d. proposta “aggiudicativa” del mediatore , in www.judicium.it, § 1; C ARNEVALI, La nuova mediazione civile, in Contratti, 2010, 437. 18 Oltre a quella di decongestionare il contenzioso civile (supra, § precedente). 19 La copiosa dottrina sul tema non manca di rilevare i legami tra normativa interna e comunitaria, nonché la derivazione della prima dalla seconda. V. tra gli altri C APONI, La giustizia civile alla prova della mediazione (a proposito del d.lgs. 4 marzo 2010 , n. 28), I, Quadro generale, in Foro it., 2010, V, 89; ZUCCONI GALLI FONSECA, La nuova mediazione nella prospettiva europea: note a prima lettura, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2010, 653 ss.; BESSO, Inquadramento del tema, cit., 12; DITTRICH, Il procedimento di mediazione nel d.lgs. n. 28 del 4 marzo 2010 , in Riv. dir. proc., 2010, p. 575; I MPAGNA-
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Da più di un decennio l’ordinamento comunitario vive il problema delle ADR (arbitrato non meno che mediazione) come una priorità politica20. Un deciso passo verso la promozione di quella specifica forma di ADR volta a demandare la gestione della controversia ad una parte terza neutrale “ad esclusione dell’arbitrato propriamente detto” 21 (la mediazione) è compiuto con l’approvazione del Libro Verde predisposto dalla Commissione nel 2002 e volto a disciplinare i “modi alternativi di risoluzione delle controversie in materia civile e commerciale” 22. Il modello della mediazione viene così volutamente allontanato da quello arbitrale, avendo quest’ultimo la funzione di decidere una controversia, a differenza del primo il cui scopo è solo favorire l’incontro di volontà delle parti 23. La mediazione è inoltre vista come strumento per garantire l’effettività della giustizia esplicitamente riconosciuta dall’art. 6 CEDU nonché dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione 24. In questo percorso evolutivo sul fronte comunitario, ruolo TIELLO,
La «mediazione finalizzata alla conciliazione» di cui al d.lgs. n. 28/2010 nella cornice europea, in www.judicium.it; CANALE, Il decreto legislativo in materia di mediazione, cit., 616; DALFINO, Dalla conciliazione societaria alla «mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e com merciali», in Rass. forense, 2010, 50 ss. e in www.judicium.it; CARNEVALI, La nuova mediazione civile, cit., 437; CUOMO ULLOA, La mediazione nel processo civile riformato, Bologna, 2011, 12 ss. 20 Evoca la promozione delle ADR come una “priorità politica” il Libro Verde predisposto dal la Commissione europea nel 2002, su cui v. infra, nel testo. Sul tema, BESSO, Inquadramento, cit., 18. 21 Così il Libro Verde, ove si specifica che nella materia civile e commerciale sono inclusi il diritto del lavoro e la materia del consumo (sono invece “escluse dall’ambito di applicazione del presente Libro Verde le questioni relative ai diritti indisponibili e che interessano l’ordine pubblico, quali un certo numero di disposizioni del diritto delle persone e di famiglia, del diritto della concorrenza, del diritto del consumo, che in effetti non possono costituire oggetto di ADR”). 22 Tre sono le ragioni del rinnovato interesse dell’Unione europea per i modelli di ADR: “In pri mo luogo, ci si è resi conto del rinnovamento che conoscono sul campo i metodi di ADR, a beneficio dei cittadini, il cui accesso alla giustizia risulta migliorato. Secondo, l’ADR è oggetto di una particolare attenzione da parte degli Stati membri, attenzione che a volte si traduce in iniziative legislative. Infine, l’ADR rappresenta una priorità politica – più volte riaffermata – per le istituzioni dell’Unione eu ropea cui spetta il compito di promuovere tali metodi alternativi, di garantire il miglior contesto possibile per il loro sviluppo, e di cercare di garantirne la qualità. Questa priorità politica è stata messa in particolare evidenza nel settore della società dell’informazione, dove, in particolare, è stato ricono sciuto il ruolo dei nuovi servizi on line di risoluzione delle controversie (“ODR”, che sta per “Online Dispute Resolution”) in materia di risoluzione delle controversie transfrontaliere su Internet”. 23 Utile il chiarimento offerto dallo stesso Libro Verde intorno alle diverse forme di ADR: “I modi alternativi di risoluzione delle controversie di diritto civile e commerciale possono essere catalogati in diverse categorie, suscettibili di essere disciplinate da altrettanti regimi giuridici. Una prima distinzione s’impone tra le funzioni di ADR che sono esercitate da un giudice o affidate da un giudice ad un terzo (“ADR nell’ambito di procedimenti giudiziari”), e i metodi di ADR a cui ricorrono le parti in conflitto al di fuori di qualsiasi procedura giudiziaria (“ADR convenzionale”). Una seconda distinzione altrettanto fondamentale agli occhi della Commissione deve essere operata tra i vari metodi di ADR convenzionali. In esito ad alcuni processi di ADR, il terzo o i terzi possono essere con dotti ad emettere una decisione vincolante per una delle parti o a fare delle raccomandazioni alle par ti, che queste ultime sono libere di seguire oppure no. In altre procedure di ADR, i terzi non prendono formalmente una posizione sulla soluzione che potrebbe applicarsi alla controversia, e si limitano ad assistere le parti nella ricerca di un accordo”. Sul tema v. anche supra, § precedente. 24 BESSO, Inquadramento, cit., 19.
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fondamentale ricopre la direttiva 2008/52/CE, approvata dopo più di quattro anni di gestazione 25. Nelle sue linee di fondo, il d.lgs. n. 28/2010 ripropone nel diritto interno la normativa comunitaria, di quest’ultima riproducendo istituti, disciplina positiva e criteri interpretativi. Ad essa quindi si ispira non solo la legge delega n. 69/2009, ma anche lo stesso decreto delegato. Il che induce a ritenere ragionevolmente che la normativa interna non sia altro che il recepimento di quella comunitaria. Tuttavia, mentre la direttiva si applica alle “controversie tranfrontaliere”26, il d.lgs. n. 28/2010 non se ne occupa in maniera esplicita e completa. Pochi e sporadici sono i riferimenti al profilo internazionale: ne parla l’art. 3, comma 3, sez. B), D.M. n. 180/2010, laddove – nel descrivere la struttura del registro conte nente l’elenco degli organismi di mediazione – individua una apposita sezione B relativa all’“elenco dei mediatori esperti nella materia internazionale”. Ne parla poi l’art. 12 d.lgs. cit., con riferimento al procedimento di omologa, stabilendo che “nelle controversie transfrontaliere di cui all’art. 2 della direttiva 2008/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2008, il verbale è omolo gato dal presidente del tribunale nel cui circondario l’accor do deve avere esecuzione” 27. È innegabile che sarebbe stato opportuno un più compiuto esame dei profili transfrontalieri 28, una disciplina cioè concretamente capace di risolvere gli innumerevoli problemi derivanti da controversie in cui le parti sono territorialmente collocate in paesi diversi e di cui molteplici regolamenti comunitari si sono occupati in altri settori. Non si può escludere pertanto che, anche in questo ambito, l’intervento regolamentare dell’Unione europea sarà in grado di colmare le lacune lasciate aperte dalla presente normativa. In ogni caso, la continuità tra il d.lgs. n. 28/2010 e la direttiva 2008/52/CE trova conferma nella stessa direttiva (così il considerando n. 8), la quale ammette esplicitamente che “le disposizioni della presente direttiva dovrebbero applicarsi soltanto alla mediazione nelle controversie transfrontaliere, ma nulla dovrebbe vietare agli Stati membri di applicare tali disposizioni ai procedimenti di mediazione interni”. Tenuto conto poi del fatto che il termine previsto per il recepimento della direttiva in Italia era fissato al 21 maggio 2011 29, e tenuto conto dell’omogeneità tra i contenuti della direttiva stessa e quel-
25 Per una ricostruzione dell’evoluzione normativa nel passaggio dalla proposta di direttiva al testo definitivamente approvato, v. BESSO, Inquadramento, cit., 20. 26 Tali si intendono le controversie “in cui almeno una delle parti è domiciliata o risiede abitualmente in uno Stato membro diverso da quello di qualsiasi altra parte” (art. 2, comma 1, dir. cit.). 27 Sul punto amplius infra, cap. 5, § 8. 28 In questo senso anche VACCÀ, Commento all’art. 2, in La nuova disciplina della mediazione delle controversie civili, a cura di BANDINI e SOLDATI, cit., 35 ss. cit., 48. 29 Fatta eccezione per la disposizione dell’art. 10 (informazioni sugli organi giurisdizionali e sulle autorità competenti comunicate dagli Stati Membri ai sensi dell’art. 6, par. 3), “per il quale tale da ta è fissata al più tardi al 21 novembre 2010” (art. 12: attuazione).
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li del decreto delegato, può agevolmente ritenersi quest’ultimo frutto del recepimento della prima, a prescindere dai rispettivi ambiti di applicazione 30.
3. Segue: i precedenti di diritto interno. L’esperienza della conciliazione delle camere di commercio e della conciliazione societaria Sarebbe un fuor d’opera ripercorrere in questa sede le tante e varie ipotesi di conciliazione stragiudiziale – facoltativa o obbligatoria che sia – note al sistema italiano prima del d.lgs. n. 28/2010 31. Occorre però soffermarsi brevemente sul ruolo di primazia che in questo ambito ricopre da anni l’attività delle camere di commercio (primazia che in qualche modo conferma lo stesso d.lgs. n. 28/2010 32). Va ascritto alla legge n. 580/1993, recante il Riordinamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, il merito di collocare tra gli obiet tivi primari degli organismi camerali la promozione e gestione delle ADR (arbi trato non meno che conciliazione). Stabilisce infatti l’attuale testo dell’art. 2, comma 2, lett. g), legge n. 580/1993 (come modificato dalla legge n. 23/2010) che “le camere di commercio, singolarmente o in forma associata, svolgono in particolare le funzioni e i compiti relativi a: […] costituzione di commissioni arbitrali e conciliative per la risoluzione delle controversie tra imprese e tra imprese e consumatori e utenti”. È questa una attività in precedenza demandata alle camere di com mercio per via di prassi e che la legge del 1993 assegna loro in virtù di normazione positiva 33. Collocato nel sistema camerale, il ruolo della conciliazione non va letto solo (e tanto) nella prospettiva del decongestionamento del contenzioso civile (della quale la disciplina camerale si poteva a ragione disinteressare) quanto perché i modelli alternativi alla tutela giurisdizionale assicurano una forma di giustizia più accessibile per i soggetti – consumatori o piccole imprese – collocati nel rapporto contrattuale in posizione di debolezza 34, nonché per essi più conveniente tenuto con-
30 La continuità tra direttiva comunitaria 2008/52/CE e d.lgs. n. 28 cit. è posta in dubbio da una recente ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale che sospetta il decreto delegato di incostituzionalità sotto diversi profili (T.a.r. Lazio, ord. 12 aprile 2011, n. 3202, inCorr. merito, 2011, 644), su cui si tornerà ampiamente in più parti del lavoro. 31 Ancor prima che dell’esigenza di promuovere tali forme di conciliazione si facesse portatrice l’Unione europea. V. supra, § precedente. 32 Il che è evincibile in diversi profili della disciplina delegata, ma soprattutto nella facoltà delle Camere di commercio di ottenere l’iscrizione nel registro degli Organismi di mediazione depositato presso il Ministero della giustizia, “a domanda” dell’organismo stesso (amplius infra, cap. 2, § 16). 33 Da anni le camere di commercio istituiscono camere arbitrali e di conciliazione, anche se non in attuazione di esplicite regole di legge (il che limita non poco il carattere generale di tali interventi). 34 Non è un caso che le ADR ricevono notevole sviluppo nel settore delle controversie di lavoro, caratterizzato da un forte squilibrio contrattuale tra le parti. Fenomeno questo ancora attuale nonostante la recente trasformazione della mediazione in tale materia da obbligatoria a facoltativa (v. leg-
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to del minor costo oltre che della durata più limitata (soprattutto per il contenzioso di basso cabotaggio) 35. La funzione di deflazione del contenzioso resta quindi in ombra, ma senza sparire: anche se non è questo l’obiettivo primario a cui aspi ra la promozione di arbitrato e conciliazione nel sistema camerale, è tuttavia questo l’effetto tipico di qualsiasi forma di ADR impostasi sul mercato quale che sia l’organismo abilitato a gestirla. La legge n. 580/1993 è poi confermata da singole legislazioni di settore, volte a disciplinare questo o quel modello di conciliazione stragiudiziale (obbligatoria o facoltativa) attraverso il rinvio alle Commissioni istituite presso le camere di commercio 36. La critica 37 mossa negli anni a tali specifici interventi legislativi è una loro eccessiva frammentarietà, mancando un modello unitario per tutte le conciliazioni assoggettate al trattamento camerale (basti pensare al fatto che con molta agilità il legislatore ordinario oscilla da mediazioni obbligatorie a facoltative, ovvero obbligatorie nella forma ma facoltative nella sostanza 38). Indubbiamente, tra gli obiettivi primari del legislatore non vi è stato (sino ad ora) quello di uniformare la disciplina della conciliazione, collocandola sotto l’egida delle camere di commercio 39, tanto che, pure rafforzando la conciliazione camerale attraverso la sua in-
ge n. 183/2010, c.d. collegato lavoro). Sul tema, v. per tutti, S ASSANI-TISCINI (a cura di), Profili processuali del collegato lavoro, Roma, 2011, passim. 35 GHIRGA, Conciliazione e mediazione alla luce della proposta di direttiva europea , in Riv. dir. proc., 2006, 478. 36 Queste le principali leggi speciali che, nel contemplare diverse forme conciliative, rinviano alla disciplina camerale: legge n. 481/1995, art. 2, comma 24 ( norme per la concorrenza e regolazione dei servizi di pubblica utilità. Istituzione delle Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità ); legge n. 192/1998, art. 10, comma 1 ( disciplina della subfornitura); legge n. 281/1998, art. 3, commi 2, 3, e 4 ( disciplina del diritto dei consumatori ), disciplina sostituita dall’art. 140, comma 2, d.lgs. n. 205/2006, codice del consumo; legge n. 135/2001, art. 4, comma 3 (riforma della legislazione nazionale del turismo); d.lgs. n. 5/2003, art. 38, comma 2 ( conciliazione societaria); legge n. 129/2004, art. 7 (franchising, affiliazione commerciale); legge n. 55/2006, art. 2 (in materia di patto di famiglia) che richiama la conciliazione societaria; legge n. 84/2006 (in tema di tintolavanderia); legge n. 262/2005, art. 27 (disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari) contenente una delega legislativa, poi attuata con il d.lgs. n. 179/2007, istitutiva della camera di conciliazione e arbitrato presso la Consob (su cui v. amplius infra, cap. 3, § 6). 37 MINERVINI, Le camere di commercio e la conciliazione delle controversie , in Riv. trim. dir. proc. civ., 2001, 939; ID., La conciliazione stragiudiziale delle controversie. Il ruolo delle Camere di commercio, Bari, 2003, passim; ID., La conciliazione amministrata dalle camere di commercio, in I contratti di composizione delle liti, a cura di GABRIELLI e LUISO, Torino, 2005, 242 ss., spec. 252. Sul tema, v. anche CAPONI-ROMUALDI, La conciliazione amministrata dalle camere di commercio, in La via della conciliazione, a cura di GIACOMELLI, Milano, 2003, 152 ss. 38 Mancando esse di conseguenze per il caso in cui non fosse osservata la condizione di procedibilità (così ad esempio nella disciplina sulla subfornitura della legge n. 192/1998). 39 Non a torto si è notato che “l’utilizzo della conciliazione camerale non sembra la conseguenza di scelte programmatiche, ma il frutto di iniziative dettate da scelte contingenti, osservando come appare governata dal caso la preferenza che il legislatore accorda ora per l’obbligatorietà, ora per la facoltatività del tentativo di conciliazione, ora per la natura contrattuale del verbale di conciliazione, ora per il suo valore di titolo esecutivo, ora per la sospensione dei termini per agire in giudizio, ora
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troduzione quale procedimento-tipo in molteplici discipline, non ne fa un modello assoluto, talora privilegiando delle vie alternative 40. A parziale superamento di tale profilo critico, un merito va attribuito alle singole camere di commercio, assoggettate alla disciplina ed al controllo di Unioncamere. Da diversi anni infatti quest’ultimo istituisce degli appositi servizi di conciliazione, a cui tutte le camere sono chiamate ad uniformarsi ed approva un Regolamento uniforme di conciliazione delle camere di commercio (così nel 2005, rivisto nel 2009 e nel novembre 2010, dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 28/2010) di volta in volta aggiornato ed operante per le conciliazioni assoggettate alla disciplina camerale. Il regolamento ha l’obiettivo di assicurare a tutti gli operatori l’applicazione di regole uniformi, anche se poi ciascuna camera è abilitata ad approvare, con delibera del consiglio camerale, un proprio regolamento specifico 41. La centralità del sistema camerale nella conciliazione stragiudiziale trova conferma – se ce ne era bisogno – nell’attuale mediazione civile e commerciale, riconoscendo il d.lgs. n. 28 cit. una corsia preferenziale per gli organismi di mediazione istituiti proprio presso le camere di commercio (sul tema si tornerà a tempo debito 42). Sotto questo profilo, il d.lgs. n. 28/2010 va apprezzato rappresentando il completamento di un percorso già iniziato con l’affermarsi del sistema conciliativo camerale. Mentre infatti quest’ultimo ha acquistato potere negli anni attraverso episodiche riforme (oltre che in via di prassi), il d.lgs. n. 28/2010 chiude il cerchio colmando le lacune della frammentarietà normativa. In più, esso coniuga la sua portata generale ed astratta con i vantaggi della mediazione camerale, capace di favorire lo sviluppo del fenomeno conciliativo grazie non solo alla sua vasta diffusione sul territorio nazionale (data la capillarità delle camere di commercio), ma anche alla disponibilità di strutture organizzative in grado di accogliere procedure oltre che bagatellari, pure di elevato valore economico. Ulteriore tentativo nella direzione di promuovere attraverso una disciplina uniforme la soluzione negoziale delle controversie è individuabile nella c.d. conciliazione societaria, introdotta unitamente alla riforma del diritto e del processo societari (rispettivamente dd.lgs. nn. 6 e 5/2003) e sopravvissuta all’abrogazione di quest’ultimo (ad opera della legge n. 69/2009). L ’ostilità e la resistenza mostrata nei (pochi) anni di vigenza del rito societario non è stata la stessa che ha accompagnato l’affermarsi della relativa conciliazione stragiudiziale (artt. 38-40, d.lgs. n.
per la decorrenza degli stessi, ecc.” (M INERVINI, Le camere di commercio e la conciliazione della controversia, cit., 939). 40 Si veda ad esempio la legge n. 249/1997, art. 1, comma 11 recante l’Istituzione dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo , che ha prescelto come via di ordinaria risoluzione delle controversie il ricorso (obbligatorio) ad una procedura conciliativa diversa da quella camerale (pure prevista dalla legge n. 481/1995 quale legge generale di autorità e regolazione dei servizi di pubblica utilità). 41 Sul contenuto di tale regolamento ci si soffermerà di volta in volta nel corso dell’indagine. 42 Infra, cap. 2, § 16.
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5/2003), apprezzata dai più per l’innovatività di talune scelte e il garantismo di altre. Non è un caso che nella legislazione a seguire essa sia stata assunta a parame tro di riferimento per regolare il fenomeno in settori diversi: così ad esempio nei contratti di franchising (affiliazione commerciale) (art. 7, legge n. 129/2004), ov vero nella disciplina dei patti di famiglia (art. 768 octies c.c.) 43. Anche della conciliazione societaria il d.lgs. n. 28/2010 fa un modello di riferimento, recependone molti profili. Non a caso lo stesso decreto delegato abroga la conciliazione societaria, la quale (una volta entrato in vigore) ne sarebbe stata una inutile ripetizione 44.
4. Le definizioni. “Mediazione” e “conciliazione” Il d.lgs. n. 28/2010 destina un apposito art. 1 alle “definizioni”. La scelta normativa è apprezzabile per varie ragioni: innanzi tutto perché in questo modo prende esplicita posizione sull’uso di termini “tecnici”, attribuendo ad essi significati e differenziazioni che la previgente settoriale disciplina non conosceva; in secondo luogo, perché così facendo individua non solo l’oggetto ed il contenuto dell’attività negoziale, ma anche i soggetti che ne sono protagonisti; da ultimo perché il gioco delle parole è centrale in un ambito in cui non sempre si ragiona per sillogismi giuridici, operandosi spesso sui profili psicologici dei contendenti (da qui l’esigenza di un uso attento del linguaggio, capace di influenzare la percezione delle sensazioni ed a sua volta di influire sulle scelte 45). Il criterio delle definizioni, peraltro, se è nuovo nella legislazione interna in tema di ADR, non è altrettanto nuovo nello scenario comunitario, già la direttiva 2008/52/CE (ma ancor prima il Libro V erde) 46 avendo ad esso destinato appositi spazi. Con specifiche definizioni apre poi il D.M. n. 180/2010 attuativo dello stesso decreto delegato n. 28/2010, del quale riproduce il contenuto, seppure con integrazioni47. 43 Come si vedrà meglio infra, § 10, l’art. 23, d.lgs. n. 28/2010 abroga gli artt. 38-40, d.lgs. n. 5/2003, precisando che “i rinvii operati dalla legge a tali articoli si intendono riferiti alle corrispondenti disposizioni del presente decreto”. 44 Amplius infra, § 10. 45 Quest’ultimo profilo non sarà indagato nel presente lavoro, destinato a scandagliare gli aspetti giuridici del d.lgs. n. 28/2010. Si coglie qui l’occasione per una precisazione una tantum. La gestione del conflitto ad opera di un terzo privo del potere di assegnare torti o ragioni, bensì proiettato sull’emersione degli interessi, apre ben altri scenari all’esame delle tensioni emotive il cui ap profondimento imporrebbe di deviare l’attenzione su tematiche di tutt’altro respiro. Per una indagine rivolta verso i profili “pratici” delle tecniche di mediazione, si rinvia, per tutti a R ONDOT, Problem solving (le tecniche di mediazione), in La mediazione civile e commerciale, a cura di BESSO, cit., 69 ss.; RICCARDI, Commento all’art. 1, cit., 3 ss. 46 Supra, § 2. 47 Per tutto il corso dell’indagine, oggetto di diretto interesse sarà, accanto al d.lgs. n. 28/2010, il D.M. n. 180/2010 che al primo ha dato concreta attuazione. Del contenuto di quest’ultimo si terrà conto alla luce delle recentissime modifiche ad esso apportate con D.M. n. 145/2011 del 6 luglio 2011, pubblicato nella G.U. n. 197 del 25 agosto 2011, Serie Generale.
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Ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 28/2010, si definisce “mediazione” “l’attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti sia nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, sia nella formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa” 48; diversamente, è “conciliazione” 49 “la composizione di una controversia a seguito dello svolgimento della mediazione” (art. 1, comma 1, lett. c) 50. Importanti scelte legislative derivano dall’uso delle parole. Cominciamo col dire che è chiara l’intenzione del legislatore di distinguere la “mediazione”, intesa come attività svolta dal mediatore, dalla “conciliazione” da leggere come risultato cui quella attività 51 deve puntare 52. È questa una distinzione ignota alla legislazione italiana previgente, sinora dominata dalla nozione di “conciliazione” in una accezione onnicomprensiva, tanto dell’attività quanto del suo eventuale risultato; molto più limitato era invece l’uso del termine mediazione 53, anch’esso talora proiettato sul duplice significato 54, ma più frequentemente destinato ad evocare il contratto di mediazione degli artt. 1754 ss. c.c. 55 L’uso disgiunto dei due termini 56 ha invece in altri ordinamenti radici antiche La definizione è riprodotta in maniera identica nell’art. 1, lett. c), D.M. n. 180/2010. La distinzione tra “mediazione” e “conciliazione” ha radici antiche, e nel tempo ai due termini sono stati attribuiti significati diversi e talora contrastanti. Sul tema si rinvia a G HIRGA, Conciliazione e mediazione alla luce della proposta di direttiva europea , cit., 473; C UOMO ULLOA, La conciliazione. Modelli di composizione dei conflitti, Padova, 2008, 6 ss. Sulle imprecisioni terminologiche nell’uso delle due locuzioni nel d.lgs. n. 28/2010, v. NELA, Il procedimento, in La mediazione civile e commerciale, a cura di B ESSO, cit., 263. Esprime un giudizio positivo sulla chiarezza delle scelte lin guistiche del decreto delegato, C HIARLONI, Prime riflessioni sullo schema di decreto legislativo di attuazione della delega in materia di mediazione ex art. 60 legge 69/2009, in AA.VV., Sull’arbitrato. Sudi offerti a Giovanni Verde, Napoli, 2010, 195 ss., spec. 197. 50 Anche questa è definizione esattamente riprodotta nell’art. 1, lett. e), D.M. n. 180/2010. 51 Il che è agevolmente riassunto nell’espressione “mediazione finalizzata alla conciliazione”, reperibile nella legge delega n. 69/2009. 52 Si ha mediazione una volta attivata la procedura, mentre potrebbe non aversi conciliazione, qualora le parti non giungano all’accordo. 53 Il termine “mediazione” trova ad esempio spazio nei modelli conciliativi in materia di famiglia (art. 155 sexies, comma 2, c.c.). 54 La preferenza per il termine “conciliazione” piuttosto che “mediazione” deriva probabilmente dal fatto che in questo modo nella nostra tradizione si usa evocare l’attività svolta dal “conciliatore”, prima, e dal “giudice di pace”, poi, attualmente regolata dagli artt. 321 e 322 c.c. Sul tema v. in generale SANTAGADA, La conciliazione delle controversie civili, Bari, 2008, 167; B ESSO, Inquadramento del tema, cit., 21; N ELA, Il procedimento. A) Le regole, in La mediazione civile e commerciale, cit., 263 ss., spec. 266. Favorevole all’uso del termine “conciliazione” per tutti i metodi di ADR diversi dalla negoziazione privata e dall’arbitrato (ritenendo il termine “mediazione” non adeguato), DE PALO, Le procedure primarie di ADR, in Arbitrato, ADR, Conciliazione, a cura di RUBINO-SAMMARTANO, Bologna, 2009, 1196. 55 Secondo VACCÀ, Commento all’art. 2, cit., 36, l’uso del termine “mediazione” è frutto di una im precisione terminologica derivata da una impropria traduzione della direttiva comunitaria 2008/52/CE. 56 Per una ricostruzione delle intersezioni tra mediazione e conciliazione, ante d.lgs. n. 28/2010, v. CUOMO ULLOA, La conciliazione, cit., 9 ss. 48 49
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(è di derivazione anglosassone il termine mediation 57, mentre la distinzione tra conciliation e mediation trova spazio nel nouveau code de procédur e civile 58), in parte coincidenti con quelle poi recepite nella presente riforma, in parte diverse (laddove per “mediazione” si intende l’attività di componimento della lite posta in essere da un soggetto diverso dal giudice e per “conciliazione” quella corrispondente svolta dal giudice 59). La nozione di “mediazione” sposata nel d.lgs. n. 28/2010, va poi letta nel duplice significato di procedura, tanto c.d. facilitativa, quanto c.d. valutativa 60. L’art. 1, lett. a), definisce infatti come “mediazione”, sia l’attività svolta da un terzo imparziale “ finalizzata ad assistere due o più soggetti […] nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia”, sia la “formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa”. Nella prima accezione si cala bene la tradizionale nozione di mediazione c.d. facilitativa, nella quale il mediatore – piuttosto che ricercare ragioni o torti, rendendo una “decisione” – funge da amichevole compositore, allo scopo di aiutare le parti a far emergere i rispettivi interessi ed a favorire soluzioni negoziali. È questa la nozione “classica” 61 di mediazione, nella quale il mediatore, lungi dall’esprimere opinioni, è solo chiamato a “facilitare” l’incontro delle volontà delle parti, volontà che le stesse potrebbero autonomamente raggiungere per via negoziale; si tratta quindi di un ruolo il cui espletamento prescinde dal raggiungimento del risultato (l’accordo). La mediazione c.d. valutativa è invece frutto di una derivazione dell’accezione originaria 62 e si afferma nel momento in cui il mediatore incide più pesantemente sulla volontà delle parti: quando valutatore, egli si adopera per il raggiungimento dell’accordo esprimendo opinioni tecniche e/o giuridiche, nonché offrendo la propria soluzione anche a prescindere dalle tensioni soggettive delle parti 63.
V. la section 2 della Uniform Mediation Act statunitense del 2001. CHIARLONI, Prime riflessioni sullo schema di decreto legislativo , cit., 197. In senso contrario BESSO, La mediazione: definizioni e tipologie, in La mediazione civile e commerciale, a cura di B ESSO, cit., 31 ss., spec. 32, secondo cui il richiamo alla legislazione francese rischia di attribuire al legislatore francese una chiarezza terminologica che non possiede: “il termine conciliation nel codice francese fa riferimento, agli artt. da 127 a 131, alla conciliazione posta in essere dal giudice, mentre mediation – termine evidentemente tratto dall’idioma anglosassone – indica il procedimento, regolato agli artt. da 131-1 a 131-12, posto in essere da un soggetto diverso dal giudice, appunto il mediatore che usa le tecniche della moderna mediation”. 59 V. sul punto, BESSO, La mediazione, cit., 37; NELA, Il procedimento, cit., 266. 60 O aggiudicativa, per utilizzare l’espressione della Relazione illustrativa. Sul punto, v. amplius infra, cap. 3, § 26. 61 Così BESSO, La mediazione, cit., 33 ss. per la ricostruzione della vicenda in chiave storica. 62 Sviluppatasi negli anni ’80 negli Stati Uniti, quando la figura del mediatore assume una veste professionale (anche sul punto v. BESSO, op. loc. cit.). 63 Sulla distinzione tra le due forme di mediazione, v. LUISO, La conciliazione nel quadro della tutela dei diritti, cit., 1216 ss. 57
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