Facial Action Coding System (FACS): uno strumento di valutazione obiettiva dell’espressività mimica facciale e le sue potenziali applicazioni allo studio della schizofrenia Facial Action Coding System (FACS): an instrument for the objective evaluation of facial expression and its potential applications to the study of schizophrenia ELISA POLLI1, FRANCESCO SAVERIO BERSANI1,2, CRISTINA DE ROSE1, DAMIEN LIBERATI1, GIUSEPPE VALERIANI1, FILIPPO WEISZ1, CHIARA COLLETTI1, ANNALISA ANASTASIA1, GIUSEPPE BERSANI1 E-mail:
[email protected] 1
UOD Universitaria di Psichiatria, Ospedale A. Fiorini, DSM LT, Terracina, Dipartimento di Scienze e Biotecnologie Medico-Chirurgiche, Sapienza Università di Roma 2 Dipartimento di Neurologia e Psichiatria, Sapienza Università di Roma
RIASSUNTO. Introduzione. L’appiattimento affettivo e la conseguente espressione anomala delle emozioni sono considerati come elementi fondamentali dei sintomi negativi della schizofrenia. L’obiettivo di questo lavoro è di valutare quanto uno strumento d’indagine obiettiva delle emozioni basato sulla valutazione dell’espressività facciale (FACS) e un metodo di elicitazione delle emozioni (spezzoni di film) possano fornire informazioni su manifestazioni psicopatologiche inerenti la schizofrenia. Metodi. È stata effettuata una ricerca in letteratura di articoli scientifici digitando su Medline, PsychInfo e PubMed le parole chiave “elicitation of emotions”, “facial action coding system” e “schizophrenia”. La ricerca è stata limitata alle pubblicazioni in lingua inglese e agli studi condotti esclusivamente sull’uomo. Risultati. Dalla valutazione degli studi analizzati nella presente rassegna risulta che il FACS è uno strumento utile a evidenziare caratteristiche cliniche peculiari dei pazienti con schizofrenia che presentano deficit nell’espressione e riconoscimento delle emozioni, quali lo stato di ospedalizzazione, la maggiore età di esordio della malattia, la terapia con farmaci antipsicotici, gli elevati punteggi in scale cliniche quali SANS, SAPS e BPRS. Conclusioni. Anche se disponiamo di dati preliminari e incompleti, il FACS e l’elicitazione di emozioni tramite spezzoni di film possono fornire un contributo originale allo sviluppo delle conoscenze su manifestazioni fisiopatologiche e modelli interpretativi della schizofrenia. PAROLE CHIAVE: schizofrenia, emozione, espressività facciale, FACS, social cognition. SUMMARY. Introduction. Affective flattening and the consequent anomalous expression of emotions are considered as key elements of the negative symptoms of schizophrenia. The purpose of this work is to assess how a survey instrument based on objective evaluation of emotional facial expressiveness (FACS) and a method of elicitation of emotions (film clips) can provide psychopathological manifestations about schizophrenia. Methods. Relevant literature was identified through a search of Medline, PsychInfo and PubMed. Search terms included: “elicitation of emotions”, “facial action coding system” and “schizophrenia”. The research was limited to English-language publications and studies conducted exclusively in humans. Results. The overall evaluation of the studies analyzed in this work show that the FACS is a useful tool to highlight specific clinical characteristics of schizophrenic patients with significant deficits in the expression and recognition of emotions, such as the status of hospitalization, the age of onset, the treatment with antipsychotic drugs, the SANS, SAPS and BPRS scores. Conclusions. Even if we have preliminary and incomplete data, the FACS and the elicitation of emotions through film clips can give an original contribution to the development of knowledge on pathophysiological events and interpretive models of schizophrenia. KEY WORDS: schizophrenia, emotion, facial expression, FACS, social cognition.
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Facial Action Coding System (FACS)
INTRODUZIONE L’obiettivo di questo lavoro è quello di valutare quanto uno strumento d’indagine obiettiva delle emozioni basato sulla valutazione dell’espressività facciale quale il Facial Action Coding System (FACS) e un metodo di elicitazione delle emozioni (spezzoni di film) possano fornire informazioni, sulla base della letteratura attuale, su manifestazioni attinenti al campo della psicopatologia, con interesse specifico all’area clinica della schizofrenia, e possano contribuire a delineare modelli patogenetici o fisiopatologici di questa. Per rendere tale valutazione più completa ed esauriente, è stata effettuata un’attenta analisi dello stato dell’arte delle conoscenze su argomenti attinenti quali la biologia dell’espressione e dell’interpretazione delle emozioni e il rapporto tra espressività facciale e social cognition nella schizofrenia. L’espressività facciale è comune a tutti gli uomini ed è centrale per la comunicazione tra individui della stessa specie e di specie diversa (1). L’appiattimento affettivo viene considerato come l’elemento fondamentale dei sintomi negativi della schizofrenia (2) e l’espressione anomala delle emozioni che ne consegue è stata descritta come un sintomo caratteristico della malattia (3) che può precedere l’esordio psicopatologico di molti anni (4). Nonostante questo, nella corrente pratica psichiatrica esistono diversi strumenti che misurano e analizzano la disfunzione cognitiva nella schizofrenia e la sua neurobiologia, ma ne esistono pochi che misurano i sintomi negativi di tale patologia. Infatti, le valutazioni cliniche dell’appiattimento affettivo e di altri sintomi negativi si basano esclusivamente su una serie di scale basate sul giudizio dell’osservatore, quali la Scale for the Assessment of Negative Symptoms (SANS) (5) e la Scale for Emotional Blunting (SEB) (6). Per un esame più approfondito della specificità nosologica o dei determinanti neurobiologici dell’appiattimento affettivo, appare evidente che un approccio così soggettivo non può considerarsi sufficientemente raffinato. Secondo la definizione di umore data nel DSM-IV come «un insieme di comportamenti osservabili che è espressione di uno stato emotivo vissuto soggettivamente (emozione)», la ridotta espressività facciale è considerata il principale indicatore dell’appiattimento affettivo (7). Per questo motivo, sono state sviluppate alcune tecniche alternative che mirano alla valutazione oggettiva dell’espressività facciale per una più precisa definizione e valutazione dell’appiattimento affettivo, sebbene sia ancora in discussione se la ridotta espressività facciale nei pazienti con schizofrenia sia dovuta a
un deficit emotivo, a un deficit motorio o a entrambi, oltre che all’effetto di trattamenti farmacologici. D’altro canto, poiché la psicopatologia della schizofrenia è estremamente complessa e scarsamente definibile nelle sue varianti cliniche tradizionali, anche aspetti di espressività emotiva e affettiva relativi ad altri elementi della psicopatologia del disturbo, quali incongruità affettiva, interpretatività delirante, riduzione della psicomotricità, ecc., dovrebbero essere oggetto di indagine mediante strumenti in grado di fornirne un quadro obiettivo. Sulla base del movimento dei muscoli facciali, nel 1978 Ekman e Friesen hanno sviluppato il FACS (8). Questo sistema consente la registrazione dell’attività di 44 singole unità di muscoli facciali, codificate nel termine “unità di azione” (Action Units, AU), da parte di osservatori addestrati e certificati. Queste 44 AU sono definite su base anatomica e muscolare e rappresentano il repertorio di base dell’espressività facciale. Grazie a tale tecnica, l’intensità e la varietà dei movimenti facciali possono essere valutate oggettivamente, senza l’interferenza dell’interpretazione soggettiva dell’osservatore.
METODOLOGIA DELLO STUDIO Numerosi sono gli studi riguardanti i deficit nell’espressività facciale nei pazienti schizofrenici. Ricerche su PubMed, utilizzando parole chiave quali “facial expression and schizophrenia” hanno prodotto 142 articoli di datazione dal 1974 al 2010; analoghe indagini su PsychInfo hanno individuato 193 articoli. In questo lavoro ci siamo soffermati soprattutto sugli studi di elicitazione delle emozioni; abbiamo quindi ricercato in letteratura articoli scientifici digitando su Medline, PsychInfo e PubMed le parole chiave “elicitation of emotions, facial action coding system, and schizophrenia”. Ricerche approfondite sono state effettuate utilizzando riferimenti da articoli originali e recensioni. La ricerca è stata limitata alle pubblicazioni in lingua inglese e agli studi condotti esclusivamente sull’uomo.
FACS Il Facial Action Coding System nasce dagli studi condotti da Ekman e Friesen (8) sull’espressione facciale delle emozione in soggetti appartenenti a culture diverse. Si tratta di uno strumento che permette la decodifica delle espressioni facciali in termini emozionali. Gli autori hanno esaminato oltre 5000 videoregistrazioni di combinazioni dei muscoli facciali giungendo all’individuazione di 44 AU (Tabella 1), secondo una logica di economia nell’attività di decodifica.
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Tabella 1. Action Units AU Number
FACS Name
Muscular Basis
1
Inner Brow Raiser
Frontalis, Pars Medialis
2
Outer Brow Raiser
Frontalis, Pars Lateralis
4
Brow Lowerer
Depressor Glabellae; Depressor Supercilli; Corrugator
5
Upper Lid Raiser
Levator Palpebrae Superioris
6
Cheek Raiser
Orbicularis Oculi, Pars Orbitalis
7
Lid Tightener
Orbicularis Oculi, Pars Palebralis
8
Lips Toward Each Other
Orbicularis Oris
9
Nose Wrinkler
Levator Labii Superioris, Alaeque Nasi
10
Upper Lip Raiser
Levator Labii Superioris, Caput Infraorbitalis
11
Nasolabial Furrow Deepener
Zygomatic Minor
12
Lip Corner Puller
Zygomatic Major
13
Cheek Puffer
Caninus
14
Dimpler
Buccinnator
15
Lip Corner Depressor
Triangularis
16
Lower Lip Depressor
Depressor Labii
17
Chin Raiser
Mentalis
18
Lip Puckerer
Incisivii Labii Superioris; Incisivii Labii Inferioris
20
Lip Stretcher
Risorius
22
Lip Funneler
Orbicularis Oris
23
Lip Tightner
Orbicularis Oris
24
Lip Pressor
Orbicularis Oris
25
Lips Part
Depressor Labii, or Relaxation of Mentalis or Orbicularis Oris
26
Jaw Drop
Masetter; Temporal and Internal Pterygoid Relaxed
27
Mouth Stretch
Pterygoids; Digastric
28
Lip Suck
Orbicularis Oris
38
Nostril Dilator
Nasalis, Pars Alaris
39
Nostril Compressor
Nasalis, Pars Transversa and Depressor Septi Nasi
41
Lip Droop
Relaxation of Levator Palpebrae Superioris
42
Slit
Orbicularis Oculi
43
Eyes Closed
Relaxation of Levator Palpebrae Superioris
44
Squint
Orbicularis Oculi, Pars Palpebralis
45
Blink
Relaxation of Levator Palpebrae and Contraction of Orbicularis Oculi, Pars Palpebralis
46
Wink
Orbicularis Oculi
Tratto da Ekman P, Friesen WV (8).
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L’utilizzo del FACS permette di dissezionare un’espressione facciale, spontanea oppure indotta dall’esposizione a opportuni stimoli, e di scomporla nelle AU coinvolte. Vengono, inoltre, considerate l’intensità di attivazione delle AU, la durata ed eventuali asimmetrie. Le unità di punteggio del FACS, che di fatto listano le unità di azione coinvolte in un’espressione facciale, sono descrittive e non interferiscono con l’interpretazione delle emozioni. Lo strumento fornisce anche un dizionario per la codificazione delle emozioni (angoscia, paura, disgusto, tristezza, felicità, disprezzo e sorpresa), originariamente basato su una teoria psico-evoluzionistica delle emozioni e successivamente confermato dai numerosi riscontri empirici del gruppo di ricerca di Ekman e Friesen. I punteggi delle AU producono predizioni e post-dizioni molto accurate delle emozioni segnalate agli osservatori in più di quindici culture, sia dell’Est che dell’Ovest, letterate e pre-letterate; punteggi specifici di AU mostrano da moderata ad alta correlazione con i report soggettivi sulla qualità e l’intensità dell’emozione percepita dai soggetti che esprimono l’emozione stessa; circostanze sperimentali sono associate con specifiche espressioni facciali; modelli differenti e specifici di attività fisiologica concorrono con specifiche espressioni facciali (8). Gli autori distinguono quattro classi di segnali facciali: segnali facciali statici, lenti, artificiali e rapidi; questi ultimi, che sono i più difficili da discriminare, veicolano messaggi differenti tra i quali le emozioni. Questi movimenti dei muscoli facciali tirano la pelle, distorcendo temporaneamente la forma degli occhi, delle sopracciglia, delle labbra e la sembianza delle pieghe, delle rughe e dei rigonfiamenti facciali in differenti parti della pelle. Questi cambi nell’attività dei muscoli facciali sono brevi in quanto durano pochi secondi (raramente durano più di cinque secondi e meno di 250 millisecondi). Il FACS ha trovato il suo impiego in aree diverse: antropologica, psicologica, delle neuroscienze e clinica. Il valore clinico di tale strumento si misura sulla possibilità di avvalersi di una raffinata misurazione dell’espressione affettiva, in categorie diverse di pazienti, nell’ambito della pratica psichiatrica al fine di una maggiore accuratezza nella diagnosi dimensionale e nella misurazione dell’efficacia farmacologica.
BIOLOGIA DELLʼESPRESSIONE E DELLʼINTERPRETAZIONE DELLE EMOZIONI Molte specie di animali, inclusa la nostra, comunicano le proprie emozioni mediante cambiamenti posturali, espressioni facciali, suoni non verbali (sospiri, ge-
miti, ringhi). Queste espressioni assolvono diverse funzioni sociali, quali comunicare agli altri individui quello che proviamo e cosa abbiamo intenzione di fare (9). L’espressività facciale è innata. Tale ipotesi fu posta la prima volta da Darwin, il quale argomentava che se le persone di diverse aree del pianeta esibiscono le stesse espressioni facciali legate all’emotività, allora tali espressioni devono necessariamente avere un origine ereditaria, piuttosto che essere frutto dell’apprendimento (1) In effetti, mentre l’isolamento prolungato di comunità diverse porta allo sviluppo di linguaggi diversi, persone appartenenti a diverse culture utilizzano la stessa configurazione del movimento dei muscoli facciali per esprimere un particolare stato emozionale. Le espressioni facciali sono cioè il risultato di schemi comportamentali non appresi, il linguaggio è invece una capacità che consegue a un processo di apprendimento. L’ipotesi di Darwin è stata confermata nel tempo da numerose ricerche. Ekman e Friesen (10) riscontrarono che, per gli indigeni di tribù isolate della Nuova Guinea, riconoscere le espressioni facciali di persone occidentali era assolutamente possibile e che essi stessi producevano a loro volta espressioni facciali altamente interpretabili dagli occidentali. Altre serie di esperimenti hanno confrontato le espressioni facciali di bambini ciechi dalla nascita con quelle di bambini vedenti normalmente, attestando che esse erano di fatto molto simili (11). Il manifestarsi dell’espressività facciale conseguente a un’emozione è un processo che deriva da meccanismi cerebrali distinti da quelli coinvolti nell’esecuzione di movimenti volontari della muscolatura facciale. A differenza dei movimenti volontari del volto, infatti, l’espressività facciale è automatica e involontaria. In altre parole, è difficile produrre una mimica facciale realistica quando questa non coincide con lo stato d’animo provato (9). Guillaume-Benjamin Duchenne (12) aveva già strutturato, nel XIX secolo, l’idea della separazione neurofisiologica tra movimenti volontari ed espressività facciale, evidenziando che nei sorrisi genuini si contrae il muscolo orbicolare degli occhi, mentre nei sorrisi simulati si contrae il muscolo zigomatico maggiore. Un ictus cerebrale può portare a lesioni in parti diverse del cervello, dando luogo a due patologie neurologiche che esplicano efficacemente la differenza cerebrale tra il processo di movimento volontario della muscolatura facciale e il processo involontario dell’espressività facciale: la paresi dei movimenti facciali volontari e la paresi dei movimenti facciali spontanei. La paresi dei movimenti facciali volontari è provocata da lesioni nella regione della corteccia motoria primaria o nelle fibre che la connettono con il nucleo motore del ner-
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vo facciale. I pazienti affetti da tale patologia non possono muovere volontariamente i muscoli facciali, ma sono in grado di esprimere un’emozione spontanea con quegli stessi muscoli (13). La corteccia primaria risulta dunque essere un compartimento neuroanatomico essenziale nel movimento volontario dei muscoli del volto. La paresi dei movimenti facciali spontanei, invece, è causata da lesioni della regione insulare della corteccia prefrontale, della sostanza bianca del lobo prefrontale o di alcune parti del talamo. Le persone affette da questo disturbo possono muovere volontariamente la muscolatura facciale, ma non riescono a esprimere emozioni nel lato colpito della faccia (14). Le zone colpite da tale patologia risultano pertanto importanti nella neurofisiologia dell’espressività facciale. Oltre alle zone cerebrali sopracitate, è ormai accertato che l’emisfero destro sembra essere quello maggiormente coinvolto nell’espressione delle emozioni. Infatti, quando sia persone sia animali esprimono emozioni attraverso la mimica facciale, la parte sinistra del volto trasmette di solito un’espressione più intensa (15,16). Tale ipotesi è sostenuta da molti studi recensiti in una rassegna da Borod et al. nel 1998 (17), in cui la maggiore espressività del volto sinistro veniva accertata con l’EMG, con altre tecniche di quantificazione della contrazione muscolare o con la tecnica delle facce chimeriche. Tale tecnica consiste nel tagliare a metà fotografie ritraenti persone atteggiate in pose emotive e nel costruire una copia speculativa di ogni metà per analizzare quale emivolto è quello più espressivo (18). Anche i risultati ottenuti con il WADA test (19) confermano che l’emisfero destro possa essere quello maggiormente coinvolto nell’espressione delle emozioni. Il test consiste nel farsi raccontare dai pazienti alcuni dei momenti che maggiormente hanno stimolato emozioni intense nella loro vita (tradimenti, innamoramenti, lutti, incidenti stradali, morti scampate) e di descrivere il loro stato emotivo in quei momenti. Si chiede poi ai pazienti di raccontare nuovamente gli stessi avvenimenti dopo aver anestetizzato l’emisfero destro mediante un barbiturico iniettato nella arteria carotide destra. Nella stragrande maggioranza dei casi, i pazienti riferiscono gli stessi eventi usando termini molto più pacati e distaccati e con un coinvolgimento emozionale notevolmente minore. Un maggiore coinvolgimento dell’emisfero destro nelle emozioni in generale è dimostrato infine dai pazienti affetti da afasia di Wernicke, i quali sono in grado di modulare la propria voce conformemente alle emozioni che provano pur pronunciando parole che non hanno senso (20,21). Oltre a quanto detto sulla manifestazione delle emozioni tramite l’espressività facciale, è importante sottolineare che la comunicazione efficace di un’emo-
zione è un processo bidirezionale. In altre parole, la nostra capacità di esibire stati emotivi attraverso cambiamenti di espressione è utile solo se la persona con cui interagiamo è in grado di interpretarli. In molte malattie neuropsichiatriche, tra cui la schizofrenia, tanto l’espressione quanto l’interpretazione delle emozioni sono alterate (22). Così come nell’espressività facciale, anche nella decodificazione delle emozioni l’emisfero cerebrale destro sembra essere più importante rispetto al sinistro. Numerosi studi sono stati condotti in pazienti con lesioni all’emisfero destro in cui è stato accertato che tali pazienti sono meno capaci di comprendere il significato emozionale di alcune frasi (23,24). Inoltre, nel 1996 la maggiore attività dell’emisfero destro è stata evidenziata da George et al. (25) in uno studio condotto con la PET, in cui i pazienti erano invitati a interpretare il contenuto emotivo di alcune canzoni mentre erano monitorati neuroradiologicamente. Oltre all’emisfero destro in generale, varie regioni neuroanatomiche sono certamente connesse con la decodificazione delle emozioni. Le lesioni dell’amigdala (dovute a disturbi degenerativi o a interventi neurochirurgici per la terapie di epilessie gravi) compromettono la capacità delle persone di riconoscere le espressioni facciali delle emozioni, specialmente le espressioni di paura (26). Tenuto presente che l’amigdala riceve afferenze corticali e sottocorticali (pulvinar), sembra che l’impulso sottocorticale sia quello deputato a fornire le informazioni più importanti per il riconoscimento dell’espressione facciale delle emozioni (27). Krolak-Salmon et al. nel 2004 (28) hanno confermato il coinvolgimento dell’amigdala nella decodificazione delle emozioni mediante uno studio basato sulla registrazione di potenziali elettrici. Una lesione ai gangli della base spesso associata alla Corea di Hungtinton e al disturbo ossessivo-compulsivo danneggia la capacità di riconoscere l’emozione del disgusto (29). Lesioni riguardanti la corteccia associativa sensoriale, invece, generano nei pazienti difficoltà a riconoscere le emozioni negative come la paura o la tristezza (30). Philippi et al. (31), infine, hanno valutato la capacità di riconoscere le emozioni in 103 pazienti con lesioni cerebrali focalizzate, individuando l’importanza di alcuni tratti di sostanza bianca (fascio longitudinale inferiore, fascio fronto-occipitale inferiore) in tale processo.
RAPPORTO TRA ESPRESSIVITÀ FACCIALE E SOCIAL COGNITION NELLA SCHIZOFRENIA Negli ultimi anni si è giunti a un progresso decisivo nel chiarire l’effettivo ruolo delle emozioni nei proces-
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si mentali e nelle relazioni interpersonali. Tale processo trae origine, in realtà, da una rilevante quantità di dati che aveva lo scopo, in sostanza, di determinare la relazione reciproca fra processi emotivi e cognitivi. L’idea che potesse esistere una sostanziale indipendenza o addirittura un primato delle emozioni rispetto alle cognizioni risale all’ipotesi di James (32), il quale vedeva le prime come stati specifici di attivazione viscero-motoria rappresentanti essenzialmente la percezione di stati corporei. Studi successivi indagarono la sostanziale dipendenza della qualità positiva o negativa delle emozioni dalle informazioni disponibili sul contesto all’interno del quale vengono attivate, affermando di fatto il primato dei processi cognitivi (33,34). Esistono in realtà ricerche che testimoniano l’influenza rilevante delle emozioni sul pensiero (35), come testimoniato dal fenomeno denominato “mood congruity effect”, attraverso il quale lo stato emotivo corrente sarebbe in grado di influenzare i processi di memoria, rievocazione e apprendimento in sintonia con esso. Tali dati dimostrano, in sostanza, la reciproca influenza tra emozioni e cognizioni, rendendo infruttuoso qualsiasi tentativo di stabilire una sorta di supremazia. Il convergere di questi dati con quelli del filone darwiniano, che ponevano l’accento sul ruolo comunicativo delle emozioni attraverso le espressioni facciali, ha permesso di inserire emozioni e processi di pensiero all’interno di una teoria più complessa (36). Secondo tale prospettiva, un sistema cognitivo sarebbe composto da numerosi sottosistemi, denominati “moduli”, operanti in parallelo, e ciascuno connesso a uno scopo specifico. Le emozioni sarebbero intese come quei fenomeni, affiancati alla coscienza e ai processi di pensiero, che regolerebbero il passaggio da un modulo all’altro, tenendo conto dell’andamento degli scopi in corso. Sono dunque una fonte di informazione rapida e sintetica che permette al sistema di adeguare il comportamento al fine di raggiungere il maggior numero di scopi possibile. Un ulteriore, decisivo contributo alla comprensione del ruolo delle emozioni nei processi cognitivi proviene dall’ambito delle neuroscienze e, più nello specifico, dal lavoro di Damasio del 1995 (37). Dallo studio di pazienti con lesioni specifiche dell’area ventromediale del lobo frontale, i quali mantenevano pressoché intatte le proprie funzioni cognitive e il proprio sistema di valori morali, si rese evidente la loro sostanziale incapacità di provare emozioni. Tale deficit dimostrò pesanti ripercussioni nella vita sociale e nel comportamento di questi soggetti, diventati grossolanamente incapaci di scelte quotidiane efficaci. Secondo l’ipotesi di Damasio, l’emozione rappresenterebbe una componente in grado di facilitare le decisioni operando una
sintesi fra i vari fattori da valutare e le possibili conseguenze di ogni scelta, associando specifici scenari mentali a stati positivi o negativi del corpo. Damasio ha denominato questa componente “marcatore somatico”. In assenza di tale fattore, il soggetto sarebbe praticamente bloccato in ogni decisione quotidiana, dovendo valutare razionalmente infiniti scenari ipotetici emotivamente neutri e quindi di scarso interesse nel perseguirli. Attualmente le varie linee di ricerca sembrano abbastanza in accordo nell’attribuire alle emozioni anche una forte connotazione comunicativa, essendo estremamente connesse con l’andamento delle relazioni interpersonali in corso fino al punto di influenzarle in maniera diretta (38). È tenendo presente questa prospettiva che acquisiscono estrema importanza studi atti a dimostrare e a indagare la connessione fra l’alterazione nella capacità di provare e manifestare emozioni e il funzionamento sociale. A questo proposito si sta rivelando utile il concetto di “social cognition”. In letteratura è difficile trovare una definizione univoca di questo. Molto semplicemente, la social cognition può essere descritta come “pensare alla gente” (39), o, in maniera più precisa, “l’abilità di costruire rappresentazioni tra sé stessi e gli altri e usare queste rappresentazioni in modo flessibile per guidare i comportamenti” (40). Tale abilità è stata successivamente scomposta in almeno quattro componenti (Percezione delle Emozioni, Percezione Sociale, Teoria della Mente, Stile Attribuitivo). L’alterazione di tale abilità è stata studiata in diversi disturbi psichiatrici, ma appare più pronunciata nella schizofrenia, fino ad assurgere a caratteristica clinica (41) all’interno dei sintomi identificati come negativi, ossia derivanti da un’assenza di alcune delle normali capacità dell’individuo. Questo tipo di disabilità è spesso presente all’esordio (42) e tende a essere persistente, se non a peggiorare con il progredire della malattia (43). Infine, problematiche a carico della social cognition sono spesso presenti anche nei parenti sani di individui affetti da schizofrenia (44). Negli anni si sono avvicendati molti sforzi mirati a identificare quali caratteristiche neurocognitive potessero essere implicate, e in tal caso isolate, nell’alterazione della social cognition, tuttavia tale sforzo sembra aver prodotti risultati non sempre coerenti fra loro (45). Il passo successivo, perciò, è stato quello di cercare nuove aree della cognizione che differissero da quelle tradizionali e che rendessero conto, in modo autonomo, del comportamento sociale. Sempre maggiori evidenze sottolineano il ruolo centrale che ha il deficit di riconoscimento dell’identità e dell’espressione dei visi nella disfunzione della social cognition.
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L’elaborazione dell’informazione del volto altrui è un concetto strettamente connesso alla capacità di autorappresentazione delle proprie emozioni, dato che a livello cognitivo le informazioni che un organismo possiede sul proprio assetto emotivo corrente vengono usate come guida per la decodifica delle emozioni altrui. Chiaramente tale capacità può essere dedotta in maniera sufficientemente affidabile dalle modificazioni dell’espressività facciale. A livello clinico, si è visto che in molti pazienti affetti da schizofrenia, anche se non in tutti, vi sono sia deficit di riconoscimento/discriminazione di visi non noti (46,47), sia deficit nel riconoscimento di visi familiari (48,49). Apparentemente, laddove sembra esservi un ruolo maggiore della memoria a breve termine (ossia discriminazione dei visi non noti) vi è un peggioramento dei punteggi. Ciò lascia pensare che una componente di questo deficit sia attribuibile in parte a uno specifico deficit della memoria. In realtà, questo deficit non sembra specifico per i visi, poiché vi è un’alta correlazione tra deficit di riconoscimento dei visi e manipolazione (e percezione) tridimensionale. Pertanto, ulteriori studi dovranno approfondire questo legame. Va infine ricordato che il deficit di riconoscimento dei visi non è apparentemente associato a sintomi specifici o alla severità degli stessi. Un secondo grande filone di studi riguarda l’interpretazione delle espressioni facciali o meglio la capacità di riconoscimento delle emozioni mostrate dagli altri. Vi è una grande mole di dati che attesta una disabilità importante dei pazienti schizofrenici, rispetto ai controlli, nel riconoscimento delle espressioni emotive (50). In particolare, questa problematica investe le emozioni negative (51) e, in alcuni casi, è estremamente marcata per la paura (52). L’errata interpretazione delle emozioni altrui, secondo alcuni, potrebbe spiegare sintomi come il deliro di persecuzione o il ritiro sociale che seguirebbe alla sofferenza di numerose interazioni frustranti (53). Questo pertanto, per il suo valore, potrebbe imporsi come un vero e proprio tratto, dal momento che è spesso presente già al primo episodio (54), e talvolta anche nei parenti sani del paziente (55). Infine, sembra che il deficit tenda a peggiorare con il progredire della malattia (47).
LʼUTILIZZO DEI FILM PER ELICITARE LE EMOZIONI L’enfasi nell’interesse riguardante l’espressione delle emozioni è un filone scientifico sviluppato piuttosto di recente e risale a non oltre 25 anni or sono (56). Attualmente, si è giunti ben oltre la lineare definizione di emozione che Karl Jaspers forniva nella sua
“Psicopatologia Generale” (57): «Affetti o emozioni si chiamano modificazioni sentimentali complesse e momentanee di grande intensità, cui si associano manifestazioni somatiche concomitanti e consecutive». Ekman e Davidson (58) sottolineano come esistano quelle che loro stessi definiscono “famiglie di emozioni base”, ovvero raggruppamenti di emozioni intorno a un tema principale, innate e rintracciabili nell’uomo e negli animali, sottoposte poi a un modellamento culturale ed esperienziale. Attraverso le ricerche empiriche da loro condotte, il numero delle famiglie di emozioni individuato è sei: rabbia, disgusto, gioia, sorpresa, paura e tristezza. Un’emozione non è comandabile, sorge in maniera spontanea e rapida, dopo l’esposizione a uno stimolo. La rapidità ha un valore centrale che riconduce alla funzione adattativa dell’emozione, in quanto essa attiva nell’organismo una risposta subitanea capace di far fronte all’ambiente (59) a velocità di insorgenza e la rapidità della durata mette l’individuo nella condizione di reagire prontamente: ha dunque un valore decisionale. Gli autori che si sono occupati di studiare l’espressione delle emozioni in popolazioni di soggetti schizofrenici hanno adottato procedure differenti: alcuni autori hanno creato condizioni laboratoristiche riproducibili finalizzate a evocare risposte emotive prevedibili, altri hanno preferito osservare la naturale espressione emotiva dei pazienti in condizioni più basali, come per esempio durante un colloquio clinico. Alcuni autori hanno unito l’osservazione dell’espressione emotiva evocata alla valutazione della capacità di soggetti psicotici di decodificare l’espressione emotiva di altri (59). La differenza non è soltanto metodologica: è stato infatti dimostrato che nell’attività di decodifica delle emozioni si attivano aree cerebrali ben diverse da quelle che si attivano negli studi di elicitazione (60). Negli studi in cui si adotta un metodo evocativo dell’esperienza emotiva, in genere, si rivolge l’attenzione all’espressione facciale che ne consegue e si confronta questa con l’esperienza riportata dal paziente. Gli stimoli ai quali i partecipanti allo studio sono esposti possono essere di vario genere: film, fotografie, richiesta di rievocare un evento di vita particolarmente significativo, role-play, ecc. L’utilizzo dei film è una metodologia particolarmente facile da standardizzare, se confrontata ai racconti evocativi o al role-play, e soprattutto unisce fattori evocativi visivi e uditivi in un contesto più dinamico, se confrontato per esempio a immagini di espressioni facciali. L’interesse e la messa a punto di protocolli specifici si è andata sviluppando di pari passo con il crescente interesse per il campo delle emozioni (61).
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Philippot (62) mise a punto un set di 12 film-clip (selezionati a partire da 20 film candidati originariamente) volti a indurre forti stati emotivi; i film vennero per la prima volta testati su 60 studenti di nazionalità belga e di madrelingua francese. Il lavoro di Philippot pur permettendo di discriminare sei differenti stati emotivi indotti (divertimento, rabbia, disgusto, paura, tristezza e indifferenza) non è risultato in grado di elicitare le singole emozioni in modo discreto: si trattava più che altro di intensi stati emotivi in cui una tra le sei suddette emozioni tendeva a prevalere. Il lavoro di Gross e Levenson (61) è stato più estensivo: la selezione è avvenuta partendo dalla revisione di un pool di 250 film. Le scene selezionate sono poi state sottoposte alla visione di 495 soggetti di lingua inglese in sessioni di gruppo. I film selezionati hanno la caratteristica di essere brevi, chiaramente comprensibili nei contenuti senza bisogno di ulteriori chiarimenti e, soprattutto, in grado di indurre discreti stati emotivi tra i seguenti otto: divertimento, rabbia, soddisfazione (appagamento), disgusto, paura, indifferenza, tristezza e sorpresa. Dallo studio sono stati selezionati 16 film (Tabella 2), due per ogni emozione, sulla base dei criteri di intensità e di “discreteness”: La scelta dei film è stata poi seguita dalla valutazione di efficacia nell’induzione delle emozioni ricercate, ottenuta con un’analisi statistica dei risultati. Gli autori hanno notato come le singole emozioni non siano tutte ugualmente evocabili: il divertimento, il disgusto e la tristezza sono molto più semplici da indurre, per esempio, rispetto alla rabbia. Allo stesso modo, il di-
sgusto, la rabbia e il divertimento raggiungono picchi di intensità più elevata rispetto alle altre emozioni. I risultati riportati dai lavori che hanno utilizzato i film per studiare la capacità di indurre emozioni di stato in soggetti psicotici non sono tra di loro univoci (59). Tuttavia, sembra che questa procedura, unitamente alla videoregistrazione e successiva decodificazione dell’espressività facciale del soggetto in esame (medianti strumenti come il FACS e simili), risulti a oggi la più completa e quella dalla quale potremmo attenderci risultati migliori.
REVISIONE DEGLI STUDI SULLʼESPRESSIVITÀ FACCIALE NELLA SCHIZOFRENIA VALUTATA MEDIANTE FACS E VIDEOCLIP In letteratura sono presenti 5 studi in cui è stato impiegato il FACS quale sistema di valutazione delle emozioni in pazienti affetti da schizofrenia (Tabella 3) (63-67). Nel primo, datato 1992, Schneider et al. (63) hanno indagato l’influenza della terapia neurolettica sui movimenti facciali, in soggetti schizofrenici drug-naïve. Il campione era costituito da 16 pazienti con diagnosi di schizofrenia o disturbo schizofreniforme, divisi in due gruppi (8 in trattamento con neurolettici e 8 quali gruppo di controllo). L’attività facciale dei soggetti è stata videoregistrata durante un’intervista semistrutturata e quindi codificata tramite il FACS. È stata così
Tabella 3. Revisione degli studi sullʼuso del FACS nella schizofrenia Tabella 2. Elicitazione delle emozioni mediante i film Emozione
Film
Divertimento
When Harry met Sally (discussion of orgasm in café) Robin Williams Live (comedy routine)
Studio
Campione
Osservazioni
Schneider et al. (63)
16 sz (8 in terapia con neurolettici; 8 senza terapia)
Sz < controlli sani Non differenze tra i due gruppi di sz
Gaebel, Wölwer (64)
33 sz; 23 dep; 21 controlli sani
Sz e dep < controlli sani; con differenti pattern di espressività facciale nei 2 gruppi
Trémeau et al. (65)
58 sz; 25 dep; 25 controlli sani
Ridotta espressività facciale nei 2 gruppi di pz, più marcati nei pz con schizofrenia
Rabbia
My Bodyguard (bully scene) Cry Freedom (police abuse protesters)
Soddisfazione
Waves (Beach scene)
Disgusto
Pink Flamingos (person eat dog faeces) Amputation (amputation of arm)
Paura
The Shining (boy playing in hallway) Silence of the Lambs (basement chase scene)
Kohler et al. (66)
12 sz; 12 controlli sani
Sz < controlli sani
Neutrale
Abstract Shapes Colour Bars
Simons et al. (67)
Tristezza
The Champ (boy cries at father’s death) Bambi (mother deer dies)
35 sz ospedalizzati; 31 sz non ospedalizzati, 2 gruppi di controllo (di 29 e 32 soggetti)
Sorpresa
Capricorn One (agent burst through door) Sea of Love (person startled by pigeons)
Deficit nell’espressività facciale in pz schizofrenici; non sostanziali differenze tra pz ospedalizzati e non.
Legenda: Sz = schizofrenia; Dep = depressione.
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evidenziata la presenza di un deficit nel riconoscimento e nell’espressione delle emozioni nei pazienti schizofrenici, in assenza di significative differenze tra i due gruppi. In uno studio del 2003, invece, Gaebel e Wolwer (64) hanno valutato la specificità nosologica e la stabilità nel tempo della riduzione dell’espressività facciale (valutata durante un’intervista) nella schizofrenia. A tal fine è stato impiegato il FACS in 33 pazienti con schizofrenia acuta, in 23 pazienti con depressione in fase acuta e in 21 soggetti di controllo. Dai risultati è emersa una sensibile riduzione dell’espressività facciale nei pazienti con schizofrenia, particolarmente nella parte superiore del volto e nei movimenti più frequentemente utilizzati per esprimere emozioni positive. Dubbia è risultata, invece, la specificità nosologica, in quanto anche nei pazienti depressi è stata osservata la presenza di un deficit dell’espressività facciale. Nel 2005 Trémeau et al. (65) hanno utilizzato il FACS per studiare e confrontare l’espressività facciale in 58 pazienti con schizofrenia, in 25 pazienti non psicotici con diagnosi di depressione unipolare e in 25 soggetti di controllo. Ciascun partecipante allo studio è stato invitato a riprodurre, per un tempo di due minuti, una specifica emozione (rabbia, disgusto, paura, gioia, dolore e sorpresa). Entrambi i gruppi di pazienti hanno evidenziato una ridotta capacità nell’esprimere le emozioni, con alcune differenze tra pazienti affetti da schizofrenia e pazienti depressi. Questi ultimi, infatti, hanno mostrato un’espressione meno spontanea della felicità, mentre le altre emozioni sono risultate maggiormente espressive. Più recentemente, Kohler et al. (66) hanno esaminato le differenze nell’espressività facciale in un campione costituito da 12 soggetti con schizofrenia cronica e da 12 controlli. In particolare, tramite il FACS è stata valutata l’espressione di 5 emozioni universali, quali felicità, rabbia, disgusto, paura e dolore. I risultati dello studio hanno rilevato la presenza di un appiattimento e di una inappropriatezza affettiva nei pazienti con schizofrenia. Particolarmente deficitarie, inoltre, sono risultate le espressioni di felicità, dolore e rabbia, piuttosto che di paura e disgusto. Nell’ultimo degli studi, Simons et al. (67) hanno indagato le differenze di genere nell’espressione facciale delle emozioni, in risposta a stimoli diversi (intervista e visione di un filmato) in due gruppi di pazienti affetti da schizofrenia, ospedalizzati e ambulatoriali (22 maschi e 33 femmine; 21 maschi e 8 femmine, rispettivamente). Anche in questo caso è stata evidenziata una significativa riduzione dell’attività facciale nei pazienti affetti da schizofrenia, rispetto ai controlli sani, senza sostanziali differenze tra pazienti ospedalizzati e
ambulatoriali. Inoltre, pazienti di sesso femminile non hanno evidenziato una maggiore capacità di esprimere le emozioni rispetto a quelli di sesso maschile. Effettuando una rivisitazione della letteratura scientifica nell’arco temporale compreso tra il 1992 e il 2010, sono emerse 10 ricerche utilizzanti film come strumenti di evocazione delle emozioni (Tabella 4) (68-77). In tali studi, tuttavia, sono stati impiegati metodi differenti da FACS quale strumento di misura dell’espressione facciale (varianti del FACS, oppure l’EMG).
Tabella 4. Rassegna degli studi sullʼespressività facciale nella schizofrenia in cui sono adottati spezzoni di film per elicitare le emozioni Studio
Campione
Osservazioni
Berenbaum et al. (68)
43 sz; 17 dep; 20 controlli
Sz < controlli sani; deficit meno marcati in pazienti con Dep
Kring et al. (69)
20 sz non in trattamento; 20 controlli
Sz < controlli sani
Mattes et al. (70)
20 sz; 20 controlli
All’EMG, minor reattività m. zigomatico e maggior reattività m. corrugatore in Sz
Kring et al. (71)
23 sz; 20 controlli
Sz < controlli sani
Earnst, Kring (72)
19 sz (tipo deficit syndrome); 22 sz (non deficit syndrome);
Sz tipo deficit syndrome < sz non deficit syndrome
Kring et al. (73)
15 sz; 15 controlli
Sz < controlli; stretta correlazione con sintomi negativi
Salem et al. (74)
15 sz; 17 controlli
Sz < controlli; stretta correlazione con l’appiattimento affettivo ma non con le social skills
Kring et al. (75)
15 sz; 15 controlli
Sz < controlli
Henry et al. (76)
29 sz; 30 controlli
Sz < controlli; correlazione con gravità sintomi negativi
Juckel et al. (77)
21 sz; 30 controlli
Dopo visione di film comico, maggior velocità di risata in sz non in trattamento vs controlli, più lenta velocità di risata in sz in trattamento vs controlli
Legenda: Sz = schizofrenia; Dep = depressione maggiore; EMG = elettromiografia.
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I pazienti con schizofrenia sia in trattamento (68,78) sia senza trattamento farmacologico (71,73) confrontati con i soggetti di controllo hanno presentato una riduzione nelle espressioni facciali positive e negative in risposta a filmati evocanti emozioni. In particolare, tre studi hanno esaminato le differenze di sesso nell’espressione emotiva tra gli individui con schizofrenia: in due di questi studi le donne con schizofrenia sono risultate maggiormente espressive rispetto agli uomini (67,79), mentre in uno studio non è stata rilevata alcuna differenza tra i sessi (73). È poi emerso che le ragazze, divenute affette da schizofrenia in età adulta, presentavano una minore espressività facciale rispetto agli adolescenti maschi che più tardi avrebbero sviluppato lo stesso disturbo (80); è possibile quindi che l’esordio della psicopatologia riduca l’espressività in maggior misura nel sesso maschile rispetto a quello femminile. Diversi studi hanno esaminato la correlazione tra espressione emotiva e altri domini della schizofrenia. In generale, questi indicano che la diminuzione dell’espressione in risposta a stimoli evocanti emozioni è correlata con i sintomi negativi, in particolare con l’appiattimento affettivo (81-83). Salem e Kring (74) hanno comunque trovato che l’espressione facciale diminuita non era collegata ad abilità sociali, suggerendo che l’espressione deficitaria può essere distinta da un deficit più ampio nelle social skills (84). I risultati degli studi che hanno utilizzato i film come strumento per evocare emozioni sono nel complesso più variabili rispetto a quelli che utilizzano immagini. Due ricerche hanno riportato differenze di esperienza emotiva “positiva” legata alla visione di spezzoni comici: queste hanno infatti rilevato esperienze emozionali meno positive in individui con schizofrenia (69,76). Quattro studi di Kring et al. (69,71-73) hanno trovato che gli individui con schizofrenia esperiscono emozioni più negative in tutti i tipi di film (positivo, negativo, neutro) rispetto ai soggetti di controllo. Nel complesso tuttavia, la variabilità dei risultati delle esperienze emotive nella schizofrenia suggerisce che possano esistere differenze anche importanti tra particolari sottotipi di schizofrenia o in alcuni contesti non ancora studiati in modo completo. Dalla valutazione complessiva degli studi analizzati nel presente lavoro, sono emerse alcune caratteristiche cliniche peculiari dei pazienti schizofrenici con importante deficit nell’espressione e riconoscimento delle emozioni. Status di ospedalizzazione Sono stati fatti studi comprendenti pazienti sia in regime di ricovero ospedaliero sia in regime extra-ospe-
daliero. L’analisi di tali ricerche ha rilevato che i pazienti ospedalizzati erano maggiormente deficitari nell’esprimere emozioni rispetto ai pazienti non ospedalizzati. Il numero totale di ospedalizzazioni passate e presenti non è apparso però avere un impatto sui risultati ottenuti nel riconoscimento delle emozioni. Età d’esordio/durata di malattia I pazienti affetti da schizofrenia variavano per ogni campione di studio in relazione all’età di esordio e durata di malattia. L’età d’esordio si è dimostrata una variabile significativa, correlando in particolare una maggiore età all’esordio con un maggior deficit (85). In contrasto, la durata di malattia non influenzava significativamente i risultati della percezione delle emozioni (86). Caratteristiche cliniche Per la valutazione dei sintomi clinici, i risultati sono basati sulla Scale for the Assessment of Negative Symptoms (SANS) e sulla Scale for the Assessment of Positive Symptoms (SAPS). Sono state rilevate relazioni significative tra il riconoscimento dell’emozione facciale e i punteggi sia SANS sia SAPS, correlando più alti livelli di sintomi negativi e positivi a un maggior deficit nella capacità di percepire le emozioni (87). Recenti ricerche sui sottotipi di schizofrenia hanno comunque riportato nei pazienti paranoidi una maggior accuratezza nel riconoscimento delle espressioni emotive rispetto agli altri sottotipi (88). Tramite la Brief Psychiatric Rating Scale (BPRS) è stata inoltre evidenziata l’esistenza di una significativa correlazione tra gravità del disturbo e i deficit emozionali (86). Farmaci antipsicotici In ordine alla valutazione di possibili influenze degli antipsicotici sugli effetti osservati, gli studi sono stati classificati come: a) studi con campioni di pazienti trattati, b) studi con campioni di pazienti non trattati; c) studi di campioni con pazienti misti (trattati e non trattati). I pazienti trattati farmacologicamente sono stati ulteriormente divisi tra quelli che assumevano antipsicotici di prima generazione e quelli che assumevano neurolettici di seconda generazione. Analisi di confronto hanno rilevato solo un ridotto scarto nel deficit dei pazienti trattati rispetto a quelli non trattati (e dei campioni misti); tale differenza si rendeva però più significativa se si considerava il confronto tra i pazienti trattati solo con antipsicotici di prima generazione rispetto ai pazienti non medicati (88).
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Caratteristiche demografiche Età: tale variabile ha mostrato una correlazione positiva con il deficit nel riconoscimento delle emozioni sia tra i pazienti schizofrenici sia tra i controlli (il deficit maggiore è stato riscontrato nei soggetti adulti rispetto agli adolescenti) (88). Sesso: l’analisi degli studi ha rilevato una correlazione con il sesso maschile, indicando che nei campioni di studio con più pazienti di sesso maschile il deficit nel riconoscimento delle emozioni facciali risultava maggiore (89). Istruzione: l’analisi dei livelli di istruzione dei gruppi di pazienti con schizofrenia non rilevava una significativa associazione con gli effetti sul riconoscimento delle emozioni (90).
DISCUSSIONE Sebbene i dati in letteratura siano ancora scarsi, essi risultano sufficientemente omogenei nell’indicare deficit dell’espressività delle emozioni nei pazienti schizofrenici. La presenza di tale dato non è ancora peraltro sufficientemente informativa rispetto alla sua specificità, in quanto almeno una parte degli aspetti espressivi deficitarii appare condivisa da pazienti affetti da altre forme di psicopatologia, in particolare dai pazienti depressi. Risultano quindi importanti i dati e le ipotesi relativi a possibili correlazioni tra aspetti generali o specifici di deficit espressivi e particolari aspetti della psicopatologia o di altri elementi deficitari dei singoli gruppi di pazienti. I dati più consistenti, anche se ancora nel complesso preliminari, indicano una maggiore riduzione dell’espressività mimica facciale come correlata alla prevalenza di sintomi schizofrenici di tipo negativo. Il dato è d’altro lato intuitivo e rinvia ai modelli patogenetici dei sintomi negativi e al loro rapporto con il campo estremamente eterogeneo delle anomalie del profilo neurocognitivo. L’associazione emersa in alcuni studi con altre aree sintomatiche sostiene naturalmente il dato di base dell’amplissima eterogeneità psicopatologica della malattia. La correlazione fra elementi espressivi deficitari e prevalenti aspetti cognitivi e negativi può essere al momento soggetta a ipotesi interpretative bidirezionali. Il deficit mimico potrebbe essere espressione secondaria e lineare della coartazione affettiva, elemento centrale del quadro negativo, anche potenzialmente rinforzata da ridotta capacità di elaborazione e assimilazione cognitiva. Ma lo stesso deficit potrebbe anche rappresentare un’espressione parallela a quelle delle alterazioni
affettivo-cognitive, indicative nel loro insieme di un’alterazione organizzativa generalizzata del funzionamento cerebrale, a sua volta rinforzata dalle difficoltà relazionali associate ad alcuni specifici deficit, quali per esempio quello della social cognition. È evidente che quest’ultima interpretazione fa riferimento a modelli di deviazione precoce dell’organizzazione cerebrale e quindi ad alterazioni di prevalente aspetto neuroevolutivo. Anche se i dati attuali sono ancora evidentemente preliminari e incompleti, uno strumento di valutazione obiettiva dell’espressività emotiva facciale, quale il FACS, nelle sue varie modalità di osservazione o elicitazione, può essere in grado di fornire un contributo originale allo sviluppo delle conoscenze su manifestazioni fisiopatologiche e modelli interpretativi di una malattia di così elevata complessità quale la schizofrenia.
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