Peer Reviewed Papers
Dialogo interculturale aperto: prospettive per gli educatori
Francesca Helm, Sarah Guth Università di Padova, Italy
[email protected],
[email protected] Traduzione a cura di Valentina Comba
Mentre gli insegnanti di lingue vengono incoraggiati ad utilizzare estesamente il Web per sviluppare una comunicazione autenticamente multiculturale, la ricerca in questo campo mostra che, più che riuscire ad unire persone con background differenti, internet offre alle persone una piattaforma per esprimere proprie opinioni a coloro che condividono idee similari: ma quando c’è contatto interculturale molto di frequente si scatena un forte conflitto. Questo contributo inizia discutendo brevemente la tematica riguardante il web e lo scambio multiculturale e, a seguire, svolge una rassegna sull’atteggiamento verso il conflitto nella formazione e nell’insegnamento e apprendimento della lingua straniera. Passiamo poi ad uno studio preliminare sulle prospettive dei formatori delle Università europee sul disaccordo e sulla discussione di argomenti sensibili nel corso di scambi interculturali online. I nostri dati rilevano notevoli divergenze, la necessità che il dialogo tra educatori a questo riguardo cresca, e l’esigenza di ricerche ulteriori in for citations: Helm F., Guth S. (2012), Dialogo interculturale aperto: prospettive per gli educatori, Journal of e-Learning and Knowledge Society, Italian Edition, v.8, n.3, 135-146. ISSN: 1826-6223, eISSN:1971-8829
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Journal of e-Learning and Knowledge Society - IT Vol. 8, n. 3, Settembre 2012 (pp. 135 - 146) ISSN: 1826-6223 | eISSN: 1971-8829
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questo campo.
1 Introduzione Molto è stato scritto in questi ultimi anni sulla capacità da parte della rete di mettere insieme le persone e dei social networks, soprattutto, nel caso di proteste e di sostegno a giuste cause; gli esempi vanno dalla battaglia per costringere alle dimissioni il presidente filippino Estrada nel 2001 alla recente “primavera araba” (Schillinger, 2011), che ha portato all’allontanamento dal potere dei governanti di Tunisia, Egitto, Libia e Yemen. Tuttavia, come i ricercatori hanno sottolineato (ad es. Yardi & boyd, 2010) su internet le persone tendono ad associarsi ad altri gruppi che hanno caratteristiche similari, o che condividono una causa comune. Il fatto che sia aumentata l’opportunità per lo scambio multiculturale non comporta di fatto che la gente cerchi attivamente l’interazione con coloro che sono culturalmente “altri”; il traffico su internet all’interno dei confini cresce molto più rapidamente che con coloro che stanno all’estero (Hafez, 2007, p.2). Vi sono modesti riscontri sul fatto che, quando internet e i social networks vengano usati da persone che hanno differenti background etnici, sociali o religiosi per discutere tematiche interculturali lo scambio avvenga con mutua comprensione e rispetto. Per esempio, la ricerca di Hanna e de Nooy (De Nooy, 2009) sullo scambio interculturale su forum pubblici online ha trovato “flaming and ranting - insults and vitriolic diatribe” prevalere sui siti che sono stati studiati (De Nooy 2006, Intercultural exchanges p.3) piuttosto che un uno scambio di punti di vista rispettoso e dialettico. Nei primi anni del XXI secolo, visto il trend crescente della xenofobia in numerosi paesi europei, il Consiglio d’Europa dichiarò il 2008 Anno del Dialogo Interculturale, come “un modello per la gestione della diversità culturale aperto sul futuro” (Consiglio d’Europa, p.7). Parte di questo progetto fu la pubblicazione del Libro Bianco sul Dialogo Interculturale da parte dell’Unione Europea1, risultato della consultazione con molti stakeholders nel 2007. Il Libro Bianco descrive il dialogo interculturale come segue: il dialogo interculturale è uno scambio di vedute aperto, rispettoso e fondato sulla reciproca comprensione, fra individui e gruppi che hanno origini e un patrimonio etnico, culturale, religioso e linguistico differenti. Si pone in atto a tutti i livelli – all’interno delle società, fra le società europee e fra l’Europa e il resto del mondo (Ibidem, p. 17)
Sebbene il Libro Bianco si esponga a critiche perchè presenta i valori occidentali come “universali”, ha fatto fare un passo avanti verso il riconoscimento http://www.coe.int/t/dg4/intercultural/Source/Pub_White_Paper/WhitePaper_ID_ItalianVersion.pdf
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della diversità e fluidità delle identità e culture, riconoscendo anche le tematiche del potere e dell’eguaglianza. Questi sono i temi che abbiamo ritenuto debbano essere presi in considerazione per formazione nella lingua straniera in quel che noi abbiamo chiamato “dialogo interculturale aperto” nel titolo del nostro lavoro. Affrontare argomenti come la discriminazione, la povertà e lo sfruttamento, come pure altre tematiche sensibili come il terrorismo, la politica e la religione può portare al disaccordo e finanche allo scontro. Un conflitto che perdura con violenza può comportare chiaramente aspetti distruttivi; tuttavia, almeno nei contesti formativi “occidentali”, sembra prevalere il punto di vista generale secondo cui qualsiasi forma di conflitto sia negativa e vada evitata. Ad esempio nel suo studio sui manuali usati in classe negli Stati Uniti, James Lowen concludeva che a process that comprises an open and respectful exchange of views between individuals and groups with different ethnic, cultural, religious and linguistic backgrounds and heritage, on the basis of mutual understanding and respect. It requires the freedom and ability to express oneself, as well as the willingness and capacity to listen to the views of others. (Ibidem. p.17)
Ciò mette in evidenza il legame tra quanto supponiamo sia culturalmente accettabile nella nostra vita sociale e quello che quindi è considerato socialmente accettabile (o no) in contesti formativi. L’evitamento del conflitto è particolarmente rilevante nel contesto della telecollaborazione, o dell’interscambio culturale online, che mette insieme studenti provenienti da due o più culture nello sviluppo di un dialogo interculturale (Dooly, 2008; O Dowd, 2007), e caratterizza quello che è stato descritto come “intercultural turn” (Thorne, 2010) nella formazione in lingua straniera. “The educational objectives of such exchanges include but extend beyond, linguistic and pragmatic development of the sort that comprise the preponderant focus of most instructed L2 settings” (Thorne, 2010, p. 142). Si è sviluppato il concetto di un “terzo spazio” interculturale (si veda ad es. Kramsch, 2009; Liaw, 2007; Dooly, 2011; Helm, Guth & Farrah, 2012) in cui “relations of identity and power can be reframed and choices of language negotiated” (Kelly, 2009, p.1). Vengono messi in discussione modelli prescrittivi di comunicazione e competenze sociocomunicative a cui debbono sottostare i discenti, che Block ha descritto come “McCommunication”, assimilati a convenzioni universali di buona educazione. Schneider e von der Emde (2006), ad esempio, promuovono la nozione di “conflitto produttivo”, sostenendo: 137
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language – any form of speech or writing – is not a self-unified system but the result and site of struggle, that is, conflict. […] all discourses and utterances arise out of a fundamental engagement with an Other, whether that Other is someone from a different culture and with a different language, or someone from within the same culture and language. (p. 82)
Descrivono il caso dell’approccio dialogico all’interscambio interculturale online, che implica l’”insegnare i conflitti” non attraverso strategie di evitamento dello scontro e di omissione comunicativa (Ware, 2005), ma fornendo ai discenti l’esperienza e le competenze concettuali per rapportarsi alle tensioni, prima di tutto perché presumibilmente le incontreranno nell’ambito dello scambio interculturale e poi perché questo può essere considerato un impegno intellettuale. Nello scambio interculturale online (OIE2), come pure nella maggioranza dei contesti di apprendimento della lingua, i formatori tendono a scegliere temi “sicuri” o neutrali, come la vita universitaria, la città in cui si abita, il cibo, la musica, ecc.. Gli studenti si impegnano in attività di scambio di informazioni, fanno paragoni e creano prodotti in modo collaborativo. Pochi studi danno conto di OIE dove i discenti provenienti da diverse parti del mondo si siano misurati nell’esplorazione e nella discussione aperta di temi sensibili o controversi quali il terrorismo, la religione, lo sfruttamento o i motivi di conflitto tra culture. Lo scopo del presente lavoro è esplorare l’atteggiamento dei formatori nei confronti della discussione di temi sensibili nel contesto degli scambi telecollaborativi. Innanzi tutto descriviamo il nostro approccio metodologico ed i risultati ottenuti; il lavoro termina con considerazioni conclusive nell’ambito delle quali si mette in evidenza la necessità di maggior dialogo tra educatori ed ulteriori ricerche.
2 Metodologia Abbiamo definito, allo scopo di esplorare lo stato attuale del dialogo interculturale aperto nell’ambito delle pratiche telecollaborative in Europa, i seguenti interrogativi di ricerca: • Chi pratica la telecollaborazione inserisce intenzionalmente temi sensibili nei propri scambi, oppure li evita, e perché ? • Quali sono le sensazioni percepite nei momenti di disaccordo e conflitto da parte di chi agisce lo scambio interculturale online ? OIE (online interculturale exchange) è l’acronimo utilizzato in questo lavoro come sinonimo di telecollaborazione e e scambio telecollaborativo.
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Facciamo una distinzione tra disaccordo, che marca una divergenza di opinioni, e conflitto, momento in cui si sviluppa maggiormente aggressività, e che si presume si sviluppi nella discussione di temi potenzialmente sensibili quali religione, politica, storia e questioni correnti. Abbiamo utilizzato un misto di approcci metodologici con in primo luogo la raccolta di dati quantitativi e in secondo luogo di dati qualitativi. Come co-autrici di una indagine su docenti e discenti europei sull’OIE, sviluppata come parte del progetto INTENT3 (Integrating Telecollaborative Networks into Foreign Language Higher Education) abbiamo introdotto due domande per investigare gli atteggiamenti nei confronti del disaccordo e l’uso di tematiche sensibili. L’indagine si è rivolta sia ad insegnanti che avevano utilizzato l’OIE, che ad insegnanti che non si erano cimentati in quest’ambito. 210 formatori da 24 paesi europei hanno fornito risposte complete al questionario (Helm et al., 2012). Come follow-up a questo progetto, per indagare sulle risposte divergenti ricevute, è stato inviato un questionario con sei domande aperte ai rispondenti (con esperienza OIE) alla precedente indagine che avevano dichiarato di essere disponibili ad essere contattati per ulteriori ricerche. Sono state ricevute risposte da 11 formatori da 9 diversi paesi. Per avere ancora altri dati di tipo qualitativo, abbiamo condotto interviste semistrutturate in presenza e discussioni in gruppo con educatori che praticano la telecollaborazione e insegnanti interessati a sviluppare progetti in quest’ambito. I dati qualitativi sono quindi stati analizzati con la metodologia dell’analisi di contenuto e l’analisi del discorso, per analizzare trends e atteggiamenti degli insegnanti di cui sono stati presi in considerazione i dati. La tabella che segue riassume i dati raccolti: TABELLA 1 Dati Data collection tool
No. of respondents
Quantitative survey questions
102 educators with experience of OIE 108 educators with no experience of OIE
Open questions (OQ)
11 educators with experience of OIE
Semi-structured interviews and group discussions (GD)
23 educators with and without experience of OIE
Il progetto INTENT è stato finanziato dai fondi europei LLP. Lo scopo del progetto era raccogliere i punti di vista di studenti e docenti riguardo le potenzialità dell’Online Interculturale Exchange a supporto dell’apprendimento delle lingue, le competenze di comunicazione interculturale e di attività in rete.
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3 Risultati 3.1 Risposte ai questionari Le risposte alle domande del questionario indicano che, mentre una esigua maggioranza di formatori con esperienza OIE (58%) non hanno sentito la necessità di scegliere “argomenti per la discussione che evitassero ogni tipo di disaccordo e conflitto di opinioni”, meno della metà (44%) ha attivamente incoraggiato gli studenti a discutere su argomenti “sensibili” quali ad esempio religione, razzismo o terrorismo (si veda la fig.1). Le risposte dai formatori che non hanno implementato l’OIE sono abbastanza simili: la differenza più notevole sta nel grado di incertezza leggermente più elevato (si veda la fig.2), il che è comprensibile considerato il livello di inesperienza al riguardo. Queste risposte sembrerebbero indicare che mentre da una parte molti formatori si sentono a proprio agio con un certo grado di disaccordo o di conflitto nel corso degli scambi online, dall’altra non ritengono necessario incoraggiare gli studenti ad affrontare argomenti con un potenziale di conflitto maggiore.
Fig. 1 - Risposte da parte degli educatori che hanno implementato l’interscambio online
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Fig. 2 - Risposte da parte degli educatori che non hanno implementato l’interscambio online
Anche se questi dati quantitativi sono chiaramente insufficienti per provare qualsiasi tipo di ipotesi, la considerevole divergenza sul conflitto e sugli argomenti sensibili possono essere visti come un riflesso della dicotomia tra il punto di vista consolidato che reputa importante evitare il conflitto nella formazione, e il punto di vista emergente, citato nell’introduzione, di approcci più critici, aperti e dialogici nella comunicazione e nella formazione. Val la pena di sottolineare che queste erano le uniche due domande in tutto il questionario che hanno condotto a risposte ripartite in modo così omogeneo.
3.2 Risultati dai dati qualitativi In questo paragrafo vengono discussi i risultati derivanti dall’indagine di follow-up su domande aperte inviate ai rispondenti della ricerca INTENT che avevano esperienza di telecollaborazione (codificati OQ) e la trascrizione delle discussione nei gruppi (codificate GD) composti da persone con e senza esperienza di telecollaborazione. In risposta al questionario aperto inviato a coloro che avevano sperimentato l’OIE, solo 2 su 11 formatori hanno riportato istanze di disaccordo nei loro interscambi, ma molti hanno percepito che tali situazioni conflittuali erano state deliberatamente evitate da docenti e studenti. “Students tend to maintain telecollaboration somewhat superficial so as not to have strong disagreements and maintain the topics agreeable”. (OQ11)
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“In my previous experiences with telecollaboration, I noticed that students and teachers avoid conflict and potential face threatening acts. I feel that an in depth conversation sometimes is missing because of this avoidance strategy” (OQ1)
Anche se entrambi i commenti riferiscono un evitamento del conflitto, sono tuttavia indicativi di due atteggiamenti diversi. L’uso delle parole “maintain” e “agreeable” nel primo commento sembra indicare che il rispondente considera una discussione superficiale come una forma di autoregolazione finalizzata all’evitamento del conflitto nel contesto dello scambio online. Al contrario la seconda risposta offre la percezione che tali strategie di evitamento impediscano scambi più significativi tra gli studenti, e l’uso della parola “missing” indica che l’insegnante avrebbe voluto che la conversazione fosse meno superficiale. Numerosi educatori hanno riferito che il tema critico più che essere relativo al disaccordo poteva dirsi correlato alla mancanza di impegno nel progetto telecollaborativo: “Disagreement is not the issue I have experienced at all even though I have closely watched out for it. The issue is much more that some student groups feel less inclined to take the exchange seriously, put the same effort into it”. (OQ10)
La mancanza di dedizione, o differenti aspettative in termini di impegno negli scambi telecollaborativi sono stati ampiamente riportati in letteratura (si veda ad es. Ware, 2005) ma non ce ne occuperemo in questa sede. Tuttavia un aspetto interessante che si è presentato nei nostri dati circa l’impegno degli studenti, riguarda il fatto che numerosi formatori avevano la sensazione che fosse importante avere argomenti controversi su cui gli studenti avrebbero dissentito per sviluppare partecipazione e impegno, come rimarcano le osservazioni che seguono: “if we don’t do a controversial topic responses are very limited” (GD3) “in our exchange with American students, the American students themselves could choose what topics to write about (texts which Italian students then had to translate) and when there was a controversial issue it was good because it started a discussion on why they had chosen that topic and it was those students who stayed in touch, established friendship and engaged in other activities” (GD1) “I have always believed it is wrong to use topics that promote strong conflict of opinions. However, as a non-native speaker of English who rarely takes part in discussions using English, I have never spoken as much as I have in this discussion [on the use of sensitive topics in telecollaboration] because I feel so strongly about it.” (GD2)
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Quest’ultimo commento sembra indicare che vi sia un legame tra produzione linguistica e impegno in argomenti potenzialmente controversi. Tuttavia, alcuni dati mostrano che gli insegnanti fanno una distinzione tra i temi controversi su cui gli studenti si sentono liberi di esprimere divergenze e tematiche su cui gli studenti mostrano un forte attaccamento emozionale, la cui discussione si teme possa essere difficile da gestire da parte degli insegnanti in quanto può sfociare in un conflitto “scomodo”. “The only bad situation I have had was working with US American-Italian students immediately after 9/11. The American students were not emotionally detached enough to be able to talk about it as a political event and we had to leave the topic.” (OQ2) “If students feel very strongly about something, if it’s too close to them it’s going to get difficult, while if it’s a controversial topic but not too close to them it’s ok.” (GD3)
La maggioranza degli argomenti che i formatori hanno riferito di aver voluto evitare in certi gruppi di studenti erano correlati con tematiche nazionali/ politiche come l’11 settembre, e tematiche identitarie nazionali/culturali – come le relazioni tra Cina e Taiwan e tra Catalogna e Spagna – basate sulla collocazione e il background culturale degli studenti, e, in un caso, da limitazioni di carattere istituzionale e governativo4. Le motivazioni fornite erano che questi argomenti avrebbero messo i loro studenti a disagio e avrebbero causato da parte loro risposte emotive. Alcuni formatori hanno riferito di temere di perdere il controllo della classe non essendo in grado di gestire la situazione. Altri formatori erano preoccupati che gli studenti potessero assentarsi dallo scambio nel caso fossero coinvolti in argomenti scomodi per loro. I formatori che credono nel potenziale educativo del conflitto sembrano essere anche consapevoli dei vari fattori di contesto che è importante considerare nel caso di discussione su argomenti sensibili, ad es. quanto gli studenti si conoscono l’un l’altro, le relazioni tra insegnanti, la qualità della definizione dei compiti e del tutoraggio, e la misura dell’attività di moderazione e mediazione fornita. “I would avoid topics that cause serious clashes as long as students don’t know each other well enough to be able to negotiate these clashes which is a long time and very hard to achieve in my experience.” (OQ7) “Our focus is first upon building relationships, testing them through controver In alcuni casi come in Cina le attività formative debbono essere autorizzate dai funzionari del Partito Comunista e dagli organi accademici.
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sial debate may come later.” (OQ4) “It all depends on the moderation and on the mediation provided. All potential troubling topics also have a great discussion and formative potential.” (OQ1)
Ai rispondenti alle domande aperte del questionario nel follow-up è anche stato chiesto se avevano avuto, o avrebbero voluto avere della formazione specifica sulla gestione del conflitto in ambiente telecollaborativo. Nessuno aveva avuto un training formale, per quanto alcuni hanno fatto menzione di aver appreso qualcosa attraverso la propria esperienza e letture. Una rispondente ha affermato esplicitamente che non riteneva l’addestramento necessario: “No, I do not think I will need it. As I have said students tend to agree with their partners and keep conversations superficial.” (OQ11)
Questa risposta riflette quanto sia reale il fatto che nell’interscambio online il conflitto sia frequentemente evitato. Tuttavia durante le discussioni di gruppo è sembrato esserci consenso da parte di moltiti, sia tra chi pratica e chi non pratica la discussione online, sul fatto che la formazione sarebbe importante, come viene dimostrato dal commento che segue: “I never had such a training, but I participated in several telecollaboration projects. I think that information about how to mediate this episodes (instead of avoiding them) would be useful. I also think that information/training regarding the usefulness of conflict (as discursive motor) as well as regarding how to bring the conflict into the discursive surface instead of keeping hiding it would be of great help.” (OQ1)
Conclusioni Dal momento che – come è stato detto nell’introduzione – il dialogo interculturale aperto non si propone in modo naturale nei fora di discussione in internet e in altri social networks, le autrici di questo contributo sono dell’opinione che uno degli obiettivi della telecollaborazione potrebbe essere il fornire uno spazio “sicuro” per questo tipo di dialogo tra studenti di diverso background/cultura. L’essere in grado di gestire il disaccordo e il conflitto è una capacità importante che dovrebbe essere presa in considerazione sia come parte di competenze interculturali che di strategie comunicazionali. Tuttavia, come questo studio preliminare ha dimostrato, tale impegno potrebbe portare molti formatori fuori dal loro comfort zones. C’è la necessità di una discussione aperta tra i formatori su come promuovere un apprendimento più approfondito e scambi significativi dove i discenti possano andare oltre scambi superficiali e impegnarsi in
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discussioni su tematiche che stanno loro a cuore. In quest’ambito è necessario ampliare le ricerche: prima di tutto per esplorare il potenziale del conflitto per scatenare il dialogo e in secondo luogo per comprendere se è necessaria una formazione, e di quale tipo per preparare gli insegnanti per questa attività.
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