DIALOGO DI UN POETA E UN LETTORE
Non credo proprio che il poeta abbia il candore infantile, perché sarebbe come un ritardo o il ripercorrimento di mondi trapassati di fronte ai necessari e affascinanti cambiamenti che la vita esige. E che in fondo è bello riconoscere con piena maturazione delle facoltà umane migliori. Né pensieri né sogni o desideri possono tornare a chi ha vissuto i propri tempi giusti nel momento e nel modo giusto, in totale accettazione, di volta in volta, delle proprie e naturali vicissitudini di fronte alle varie tappe della vita. Né accolgo il bisogno di vivere una seconda volta il già visto, che, fortunatamente, non può essere lo stesso. Sono altresì convinto che la memoria, volontaria e involontaria, è una cosa buona se contempla il patrimonio di acquisizioni e di archivi e del poco o molto sapere con cui ci siamo incontrati e che abbiamo fissato in sempre libera dialettica. A mio modo, ho sempre accettato il precetto di Oreste Macrì, mio fermissimo maestro, che mi ha sempre ammonito di “ guardare avanti ”, per non perdere il presente, ma innestandolo nel futuro possibile, pronto al tempo e non prono. Essendo il fatto che il tempo agostinianamente non si sa bene che cos’è, eppure c’è, ma da volere e vivere da sopra, e con relativa ironia, non dall’interno, pena l’ingolfamento e la distorsione della vita consegnata all’istante, da vivere interamente, senza residui. C’è fin dall’inizio di questo sofferto libro di Antonio D’Elia un gruppetto di versi ( Sono l’albero ), in cui il poeta appassionato e tenace di vita si proietta in una figura emblematica di salda schiettezza: Sono l’albero cresciuto nel Salento con frutti rigogliosi maturati nei sogni [….] Pietà di me se tra l’erbe m’ergo dritto. Discendo dall’oblio nell’ombra. Ed è qui in questa netta fedeltà all’essere che il poeta vede chiaramente che si gioca la sua responsabilità e la sua persistenza, non solo come poeta, ma prima e più come uomo di pieno diritto umano, culturale ed esistenziale. Certamente, le stagioni ci mettono sempre a repentaglio con le loro contrastanti vicende, ma la vita non è solo tempo, bensì scontro con l’infinito e con l’eterno, e non sempre la solitudine o il timore dell’immenso possono flettere i piccoli o i grandi dolori, le perdite, i mali della giornata per farci pensare in grande, come ci insegnano i mistici. Perché, in definitiva, il poeta sa bene che le illusioni, le favole, le visioni, anche i sogni non vanno al di là delle nostre povere misure, e piuttosto intrattengono le nostre malinconie, fino a diventare ripetizioni sterili e monotone, che non saziano la nostra fame di vita , di continuità. Persino, ci nutriamo di normalità, pur di durare un po’ di più…. La noia, insomma, sta sempre dietro l’angolo, per eccesso di angustia, incapace di quel tale pensare in grande, insisto. Quattro versi asciutti e senza aggettivi ci dicono come il poeta non si sottragga al dovere migliore, fissare la bellezza nella sua esatta coscienza di serenità, semplice e ferma senza rimpianti né strascichi poetici: Dal balcone del cortile una ragazza guarda la bellezza dell’orizzonte. ( Dal balcone del cortile ) 1
La bellezza pura che il poeta ci comunica deve essere esatta, lineare come una notizia gioiosa: L’esametro greco m’addolcisce l’anima come il violino m’incanta con le sue note. ( L’esametro greco ) è un presente limitato ma senza tempo, una condizione lieta e permanente nella propria incondizionata durata. Per carità!, diciamo pure che il coincidere della memoria rappresenta, può rappresentare un riscontro anche positivo, perché l’uomo è tutto buono, figuriamoci il poeta; e qui, però, il poeta persuaso, deve rendersi conto che – come tutti – il poeta non è se non è amore, amore e basta : Stasera l’anima trascende nei confini del cuore. I ricordi ritrovano nel petto l’amore che muove i poeti.
( L’amore che muove i poeti )
sennò, sono parole, non suoni del cuore….. Solitudine, tempo, memoria, ricordi, attesa, indifferenza, smarrimento, malinconia, sogno….. ripetiamo tutte le sue parole, e va bene, ne teniamo conto, ma per noi il suono, la musica, lo stupore, la meraviglia….le parole che contano si nutrono degli “ universali del sentimento ”, come diceva Antonio Machado, che voleva per la poesia una cosa ( soprattutto ) sola, “ poesia, cosa cordial ”, in cui e per cui l’umano e il vivere fioriscono, si svelano, s’impongono e finalmente trovano il senso. Il loro unico senso sul cuore della terra. E la poesia, d’altra parte, ha l’unica verità certa e che non muta e non tradisce, limpida e schietta nei suoi movimenti. che hanno intatta la loro necessità e purezza di una semplice economia sempre compensata e integrata: Il passero frettoloso nel becco porta un ramo secco al nido. L’autunno affretta le ombre e sbanda le sue premure. Ancora l’albero lo invita nel nimbo azzurro cielo.
( Il passero frettoloso )
E il mondo si filtra da solo e filtra i propri messaggi dei suoni più puri ed esigenti d’amore: Sento solo il canto delle donne salentine che con la nenia mi rapiscono il cuore.
( La nebbia )
e che, comunque, non occultano i travagli, le violenze, gli scontri con la relativa fatica ed anche rabbia; ma almeno accade qualcosa, si esce della monotonia della ripetizione:
Il gabbiano sorvola con fatica i marosi che la vita con rabbia nasconde.
( I marosi ) 2
Beninteso, che non venga mai a mancare, nelle svolte anche dolorose e defatiganti, lo stupore:
I veli maculati di stanchezza oscillano nello stupore del cielo sereno.
( La vita )
Ecco, caro poeta, dove più ci piaci, con tutto il tuo ansioso balbettio di sillabe da assaporare, pur accettando le tue quiete tempeste e le oscillazioni del tempo nell’anima; il poeta che sei, tenero e autentico, lo vogliamo del cielo limpido, aperto di vita , pronto sempre alla speranza che nasce e che noi sempre ci auguriamo: “ Lentamente il sole appare / e d’amore colora la vita. ” Il fatto è che il poeta sembra che abbia una particolare sensibilità per scegliere i negativi, le illusioni, gli inganni, i segreti, l’oblio,soprattutto, la “ brama del tempo ”, che dà stanchezza, malinconia, ambagi, il “ tempo uggioso ”, le monotonie, il “ logorato affanno ”, che preme sui giorni e sulle ore, raggelando di inquietudini, abitudine statiche. Diciamo quell’esperienza traumatica che è l’assuefazione leopardiana, che come “ nel cielo un corvo / con volo circolare / cerca la preda. ” Ed è la nostalgia che tenta in ogni modo di farsi strada. Cosi’, scorrono le dimenticanze, le rabbie che dividono le mente in memorie come ritorno del passato, anche se non sempre splendido e rassicurante di vita e di limpidezza. Ma tant’è, questo poeta insiste caparbio sul dramma dell’oblio, anzi, fa della ripresa dei ricordi il suo vero focolare, addirittura, il nido della nascita e della rinascita che sembra, tuttavia, ormai più segnata dall’ombra della sera, dal “ buio / [ che ] amplia l’enigma del tempo ”. Meno male che l’ “ attimo segna lo stupore / della luce che all’alba / sorge con l’infaticabile giorno ” ( L’enigma del tempo ) Solo Dio – a questo punto, comunque – sembra conciliare l’anima di armonia e ridare spazio alla vita, mentre la mente si muove – [ abbastanza ] liberamente – nella speranza: Amore di vita che manifesta l’armonia di Dio e l’intelletto deambula col mondo nella speranza. ( Tacita sera ) Ed è ancora vita, dunque! Perché più spesso la vita è smarrimento di sogni, parole ridotte ad alchimie stellari, che non servono a rassettare l’economia magra di quell’esistere gramo, persino noioso, essendo la “ povertà d’uomo ” a prevalere su ogni ragionevole liberazione dall’oppressione del tempo che affatica e si affatica per poi risolversi nella morte. Che finalmente è rivelazione, illuminazione che non si spegne più. Sì, ma la luce è anche qua, poeta! Senza orologio, ma cerca con le tue parole “ nel tempo la strada / dove trovare la speranza ”. Lo dici anche tu “ qualcosa del tempo mi resta ”. Resta la vita, lo sai, e ogni istante di vita è tutta la vita. Non esiste proprio il tempo, se non come orologio per spingerci a fare, per non perderlo, e la vita è tutta una vita, tutta la vita, “ una spiaggia senza confini ”, dove il gran mare dell’essere è il grande amare dell’essere senza tempo. Dice bene il poeta quasi senza saperlo e dice fortemente il vero senso della vita: “ nella notte cercherai / l’uomo e troverai la sua ombra / proiettata nell’immortalità. ” E perché, poi, l’ombra, se l’ombra confonde i sogni? Lasciamo l’ombra al dolore, e noi, per conto nostro cerchiamo sempre la fiamma e la luce dell’amore – come per San Giovanni della Croce – “ è per me / si ridesta sereno l’amore delle cose. ” Ecco, il segreto appello del poeta D’Elia, di cui, perché buon poeta, si accettano anche le ombre, i risvolti dell’inquieta pena del tempo, il peso come trepido stridore dell’essere con le sue “ confuse paure ”, i “ falsi fulgori ”, la malinconia, il senso della “ catastrofe ”; ma vogliamo con lui anche percepire il vento, quello che tenta a vivere – sua figura radicale e salvifica – che “ risveglia la vita ”, nella sua sconfinata bellezza e fertilità. Ciò avviene quando il poeta non si fa “ anima ansiosa ” e allora preferisce il sogno e le favole alla visione del “ cielo infinito ”. Quando invece s’immerge e accetta il colore del mare, ecco, di nuovo, il “ fresco stupore / della vita ” – una musicalità che sembra caproniana ( “ che fresco odore di vita / mi punse sulla salita ” ) - , col suo per niente falso splendore , le sue fatiche, certo, i desideri inevasi, i volti cancellati, le logorate figure della cronaca….. E poi, il vento restituisce e riporta i segreti della natura e i suoi messaggi, il gioco lieve degli sguardi, i solchi delle stelle, la frescura dell’alba, le notti di Natale. Se ci siamo noi, la vita c’è. 3
Questo conosce bene il poeta D’Elia, attentissimo ai minimi della sua “ interminabile / inquietudine ”, e proprio lui è convinto che questa è la sua poesia, che si solleva dai “ limiti umani ” perché ne decifra il senso senza far precipitare l’angoscia che ci coglie all’imbrunire, quando non si riesce a ricordare che l’autunno è dolce trascorrenza di colori e di luci, non solo caduta di foglie, e che la notte non è solo notte, se il gallo canta. Entusiasma D’Elia quando dice, in modo felicemente lapidario: “ Ho posto nel sole/ la vita, perché i palpiti/ non cadano senza luce ” ( Ho posto nel sole la vita ). Mi ricorda Jorge Guillén, il poeta della luce, che diceva “ Tengo con el mismo sol / la eterna cita ” ( “ Ho con lo stesso sole / l’eterno appuntamento ” ), fermamente volendo trovare di fronte alle proprie paure e alle notti dell’attesa la fonte stessa della luce e dell’amore più caldo. Là, dove vige la più semplice naturalezza dell’amore, con tutta la sua lineare luminosità senza compromessi, immersa nella purezza del sentimento, tacitamente concreto ed operante: Mano nella mano passeggiamo per le strade nella sera senza luna. ( Orizzonte infinito e sonnolento ) L’amore, lo vedi, poeta? , diviene allora una quieta epifania, che forse il sogno ha contribuito a risvegliare, repentina e naturale, gesto schietto e spontaneo del desiderio tacito, che non ha bisogno di gesti e di parole, se un sorriso lo rivela agli occhi velati d’ombra, ignari e insoddisfatti ma fiduciosamente rivolti alla luce calda del cuore ( “ Finché vi sia un cuore / l’amore non morirà mai ” ). Il quale ce la mette tutta per esserci coi suoi palpiti solo un po’ ansiosi ma in amorosa ricerca dell’amore. Questo è il punto di salvezza del poeta, che giustamente comprende di dover andare generosamente oltre lo spazio effimero del tempo che si lacera nel gioco vano dei sogni, delle chimere che nascondono l’abisso, della morte che raggela la speranza, togliendole ogni nuovo respiro di nuova alba, perduta ahimé nella tenebra della fine, sfumata senza ritorno e senza più figure. E questo mentre tutto il poemario di D’Elia tradisce il suo perenne e commosso desiderio d’infinito nella delusione dei suoi limiti, i deliri del sogno, le insonnie torpide e falsanti di energie che si temono spente, le ansie della natura e dei suoi colori che la notte sembra cancellare in un grigiore di aridità, le illimitate allegrie del mare che il buio crede nascondere. Eppure, tutto sarebbe pronto a nuovi risvegli, perché il poeta che ha paura del tempo, in realtà, lo ama, perché il tempo rinnova e si rinnova, quando a ogni alba si può ricominciare a camminare con la vita, con tutta la sua innocenza senza inganni né paure, nella gioventù permanente del cuore che ignora, alla fin fine, scadenze e svolte, falsi ritorni e sollecita più generose e disponibili andate. Ma sì, se il cuore regge il cammino nel vento, il canto è sempre vigile e scioglie le solitudini, le angosce, gli inutili inseguimenti dei sogni, anche della memoria, le gioie fuggitive per permettere gli aneliti dell’anima serena che non ama le vaghe e astratte fughe in avanti, che fanno arretrare o indebolire il cuore. C’è una rassicurata sentenza in cui il poeta – la sua fiducia e fede e fedeltà di fondo – arriva a chiarire i giusti segni della vita più nobile e più degna: “ nel silenzio torna la pace / e l’Eterno, come vento, / scrive la nostra storia ” ( Dormono i morti ). E questa è la poesia in cui i poeti si specchiano e, attraverso loro, le api del “ miele armonioso ” si attivano, là “ dove si rifugiano i segreti del cuore dolente ”. Questo è ciò che salva il poeta D’Elia e con lui attaccati alle sue vesti anche noi, e questo è il centro occulto e rivelato della sua opera di ascoltatore coerente e onesto e di scriba di pena e di lettore dell’ombra che, con la parola del soffrire, affronta per noi il rischio del sapere e del non sapere, dall’antico e da sempre, incalzando il nostro essere capaci di amare e anche di piangere, per addolcire ancor più la speranza. Anche se il tempo inesorabile consuma il sorriso delle ragazze e i colori dell’esserci, in cui il “ vento [….] penetra ” con tutta la “ freschezza di vita ”. E davvero di vita ce n’è tanta in questi versi semplici di canto apparentemente esile come petali cangianti. Ma ogni canzone è pietra, se la durezza non cede alla forma – persino timida, esitante, ma nitida – ed anzi essa è ribadita e confermata nelle numerose poesie delle raccolte di D’Elia, attraverso la tenacia con cui il poeta non rinuncia mai a trasformare in suono puro il suo travaglio del tempo e delle cose, della vita e della morte, della paura e del sogno, convertendolo in un diario poetico. Resta comunque il mistero di questa e di ogni poesia, col suo carico di sentimenti e di dolore in primo piano. Ma D’Elia non demorde, così insiste, ci rincorre, richiede il nostro ascolto, la nostra lettura paziente come la sua scrittura attenta che ci impone, con timore e tremore, ma anche con la sapienza severa di chi crede che, sebbene “ l’oblio renda lieve l’ombra ”, nessuno ci deve sottrarre – poeta e lettore in dialogo – a ritentare il “ laborioso cammino della vita ”. Il canto del poeta D’Elia continua fortunatamente anche per noi dal suo nobile e antico angolo salentino saggio ed amaro, ma anche loico e parmenideo, che geme ma non desiste dell’accarezzare con umiltà e protervia la “ vita della parola. ”
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Come risuonava nel magistero di Oreste Macrì, che aveva tracciato per i suoi e per tutti questo senso lucido e drammatico della verità della poesia e, in essa, del pur logorante ed esaltante esercizio della vita.
Gaetano Chiappini
Università degli Studi di Firenze
Da “ Allo sciogliersi della memoria ” Ed. Congedo 2010