"MISCELL.Ù B. 47
REALE
ACCADEMIA (ANNO
CCLXXX
M 14/19
DEI
LINCEI
1882-83)
DI ALCUNE ARMI E UTENSILI DEI FUEGHINI, E DEGLI ANTICHI PATAGONI.
MEMORIA DEL DOTT.
DOMENICO LOVISATO
---------
ROMA COI
TIPI
DEL
SALVIUCCI
1883
S •a r d Iloa d - library
Biblioteca universitaria di Sassari
© Digitalizzato da Sardoa
:a umvjMflHfe di Sassari
vitalizzato da Sardoa d-librs
REALE
ACCADEMIA (ANNO
CCLXXX
DEI
LINCEI
1882-83)
DI ALCUNE ARMI E UTENSILI DEI FUEGHINI, E DEGLI ANTICHI MAGONI.
MEMORIA
DEL DOTT.
DOMENICO LOVJSATO
—Oáífi!»—
KOMA COI T I P I DEL SALVIUCCI
1883
s •a rd Iloa d
library
Biblioteca universitaria di Sassari
© Digitalizzato da Sardoa d-library
SERIE
3.a — Memorie della Classe di scienze morali, sloriche e filologiche VOL. XI. — Seduta del 18 marzo 1883.
oa S •a r dI H 1
" Ubr a r y
Biblioteca universitaria di Sassari
© Digitalizzato da Sardoa d-library
Scrivo alcune pagine sullo armi, strumenti ed utensili degli indigeni della Fuegia o Terra del Fuoco, aggiungendo qualche parola sulle stazioni litiche degli antichi abitatori della Patagonia. Per comprendere bene a quale uso fossero destinati gli oggetti litici che oggi rinveniamo sparsi qua e là in tutte le parti della terra, come reliquie preziose, testimoni di gente barbara o selvaggia, della quale assieme alla stòria tacciono pur anco le tradizioni, sarà vera fortuna pel paletnologo il poter trovare popolazioni, che, ancora oggi vivendo nell'infimo gradino dell'umano incivilimento, adoperino di quegli strumenti, di quelle armi. Così entrando in mezzo a quegli esseri punitivi, egli potrà vedere e studiare eziandio il modo col quale vengono allestiti quegli oggetti, il significato di ciascuno di essi, lo scopo e l'uso pel quale sono preparati, e, facendo tesoro di tutte le osservazioni in questo campo, potrà il paletnologo dedurre la storia delle generazioni passate e formarsi un'idea dei successivi progressi nell'arte e nolr industria. È nella Terra del Fuoco, la più inospite contrada del globo, dove noi, fra le creature più abbiette e misere, troviamo gli aVanzi dei primi abitatori dell'America meridionale; è là che noi dobbiamo portarci per trovare l'uomo nello stato assolutamente primitivo, in uno degli stati più bassi di perfezionamento, con oggetti di pietra, di osso e di vetro; è laggiù, in quel vasto e frastagliato arcipelago della Fuogia, che noi possiamo apprendere il modo di preparare gli oggetti litici, che servono a quelle infelici popolazioni come strumenti o come armi. Che io mi sappia nessuno finora ebbe la fortuna di fare simili osservazioni nella Fuegia e lo stesso prof. Strobel, che ci regalò le più belle e preziose illustrazioni paleínologiche sulla Repubblica Argentina ('), si duole della sorte che ciò non gli permise. Lo stesso illustre Darwin, che assieme a King ed a Fitz Roy visitò quello contrade, potè raccogliere di quele; armi, di quei strumenti, ma non potò vedere il modo di loro preparazione. (') StroM, Materiali di Paletnologia comparata, raccolti in Sudamerica. Parma 18G8.
Biblioteca universitaria di Sassari
S a rd oa d
••• " llbrary
Biblioteca universitaria di Sassari
© Digitalizzato da Sardoa d-library
-
4 —
Si hanno però notizie ed abbastanza dettagliato sulla maniera, colla quale gli Aztechi del Messico preparavano coltelli e rasoi coli'ossidiana, sul modo col quale anche oggigiorno gli Indiani del Messico fabbricano le cuspidi di freccia colla selce e coll'ossidiana, e come gli Eschimesi preparano le stesse punte colla petroselce. Nei lavori di coloro, che si occuparono di questo argomento, come Gastaldi, Fischer, Lubbock ecc., noi leggiamo che si ottengono le punte di freccia non già colla percussione, come a tutta prima sembrerebbe naturale, ma per mezzo della semplice prossione : è appunto colla pressione, che anche gli abitanti della Fuegia ottengono le stesse cuspidi. Fu Goachinimes, capo dei 34 Oria, che vennero a visitarci all'accampamento in fundo alla baia Sloggett (Hammacoaia degli indigeni) dopo il naufragio patito il 31 maggio 1882, che insegnò a me a preparare col vetro le punte di freccia. Ruppi una bottiglia qualunque (') e diedi a lui un pezzo di quel vetro. Egli, seduto sul Kelp (2) della costa, lo pose sopra la palma della mano sinistra e con un ciottolo, preso al momento dalla spiaggia, ruppe il pezzo di vetro, che io gli avea offerto. Eitcnne uno dei frammenti, gettando via gli altri. Si comprende che il frammento scelto dovea essere tuttavia soverchiamente grande, perchè avvolto quel pezzo nella pelle di guanaco (Auchenia guanaco), colla quale quei selvaggi si coprono lo spalle, le braccia o la parte superiore del corpo, ed avvicinatolo alla bocca, ne portò via un pezzo coi denti. Levò allora il vetro e vistolo adatto a fare la punta, da una borsetta, fatta pure di pelle di guanaco, in forma di grossa busta da lettera e che teneva sotto l'ascella sinistra, cavò fuori un pezzo d'osso grezzo, della lunghezza di 12 centimetri e mezzo (fig. 1), e rimettendo fra la pelle di guanaco il pezzo di vetro e premendo sopra i suoi margini col pezzo d'osso tenuto stretto nella mano destra, col pollice appoggiato alla parte estrema, girando il vetrino di posto dopo ciascuna operazione di pressione, in 14 minuti mi die'compita la cuspide, che qui raffiguro (fig. 2). Devo però osservare che, quando Goachinimes stava per completare la punta di freccia colle alette, levò fuori dalla sua borsetta un pezzo di ferro e con esso in due colpi ne cavò un'aletta prima ch'io l'avvisassi col mezzo dell'interprete Paiuan che desiderava m'avesse completato la punta di freccia collo stesso osso, ciò eh' egli fece tosto per l'altra aletta. Si noti che questi selvaggi nella costruzione delle loro cuspidi cominciano sempre colla punta, riducendo il vetro o la selce piromaca a triangolo isoscele, e poi intaccando la base per farne risultare le alette od il peduncolo. Osserverò ancora che le punte di freccia dei Pueghini non sono mai avvelenate, uè quegli infelici abitatori conoscono alcun veleno. I pezzi d'osso con cui vengono fatte le cuspidi di freccia sono per lo più ulne delle grosse volpi (canis magellanicus e e. azarae) o di lontre (lutra felina e lutra sp.) o del leone marino [otaria jubata) o del lobo de dos pelos (arctocoephalus australis) e vengono chiamati dagli indigeni col nome di cuschnei: possono variare nelle dimensioni, da 12 fino a 18 centimetri di lunghezza. (') Una bottiglia comune da vino. (') Mucchi della Macrocystispyriprra, l'alga gigantesca delle regioni australi.
a rd oa S III d
" llbrary
Biblioteca universitaria di Sassari
-
© Digitalizzato da Sardoa d-library
La punta di freccia allestitami è lunga 25,5 mm. e larga 17; raramente le cuspidi superano tali .dimensioni. Sono per lo più di vetro di bottiglia, ricavato da quei selva<"|,°'i dalle navi naufragate sulle coste della loro terra di desolazione. Solo raramente le troviamo di selce piromaca più o meno impura, mancando i calcari nella parte occidentale e meridionale della Terra del Fuoco. Non posso dire, se difetta questa forma litologica e quindi la selce nella parte orientale della Fuegia, che noi non potemmo visitare. L'illustre Darwin accenna a calcari nella baia del Buon Successo e verso la parte centrale, ma io suppongo elio i pochi pezzi di selce adoperati peile punte delle loro freccio dai selvaggi della Terra del Fuoco, provengano più dai conglomerati ed alluvioni del quaternario patagoniano, che dai calcari menzionati da Darwin. Noi non solo non abbiamo osservato alcuna formazione calcare nelle regioni esplorate, ma non trovammo neppure alcun ciottolo nelle molte alluvioni attraversato. Le punte di freccia dei Fuegiani sono tutte con alette e con peduncolo, che va inastato nel bastoncino, tratto dal berberís ilicifolia o dal maythenus magellanica. La cima dell'asticella più che fessa è scanalata per 2 o 3 mm. ed in questa incavatura è messa l'appendice basale, che viene poi fortemente legata con striscioline di budelli tagliati per lungo o di intestini tenui, che passando strettamente attorti
(1) Lubbock, Prehistoric times. London 1865. (2) Sotto questo nome di foca comprendiamo la otaria jubata e l'arclocoephalus australis.
oa S •a r d Il d
" llbr ary
Biblioteca universitaria di Sassari
© Digitalizzato da Sardoa d-library
— 6 —
Un tufo rosso e dei pezzi di pomice (') servono per ridurre lisci i bastoncini, sì, che niuna scabrosità si, trova in tutta la loro lunghezza di 70 cent., sottili alle due estremità e grossetti verso il mezzo. L'estremità opposta a quella, nella quale viene inastata la punta ha pure un' intaccatura, che serve per punto d'appoggio sulla corda dell'arco e da una parte e dall'altra vi stan le due penne, tagliate lungo la rachide e con una porzione della rachide stessa della lunghezza di 4 cent. Queste sono tenute strette col mezzo di un intestino tenue d'uccello tagliato per lungo e passante a distanze quasi eguali di tre o quattro barbe delle stesse pennette, tolte dalle timoniere, più che dalle remiganti. Sono così bene connesse al bastoncino, che chiunque è tratto in inganno, credendo una piuma sola passata nella fenditura del bastoncino e quindi legata coll'intestino menzionato: ad avvisarci dell'inganno sta però il fatto che per lo più le due penne sono di due colori, bianco e nero. La corda dell'arco è formata da un intreccio di nervi di guanaco o di foca, e l'arco è di legno di faggio (fagus betuloides) o di magnolia (Drimys Winteri). L'arco è detto uaiana, la punta di freccia jacusch, la piumetta aion e l'asta aìacu; ed è curioso il fatto che il maythenus magellanica 'è chiamato collo stesso nome, forse perchè questa pianta è la preferita pei bastoncini delle freccie. La faretra di pelle di foca è comoda e contiene da 10 a 16 freccie, che sporgono fuori dai 10 ai 15 cent.
(') Ho menzionato la pomice, che i selvaggi della Terra del Fuoco usano per lisciare le aste delle loro freccio e le costole di balena, che servono per le punte degli arponi e delle lancie, ma è necessario dire una parola sul luogo probabile di sua provenienza, mancando assolutamente l'è roccie vulcaniche nella parte occidentale e meridionale della grande isola. Gli indigeni ci dissero raccogliere quella sostanza sulle coste delle isole New e Lennox, alle quali forse è portata per mezzo delle correnti dal vulcanico del Pacifico e molto più probabilmente da quello delle Shetland Australi o da regioni ancora più basse, per non dire dall'Erebo. Non intendo con ciò negare la presenza di roccie vulcaniche nella Fuegia: anzi ritengo come molto probabile la comparsa di coni di lava e di colate basaltiche nella vasta zona terziaria e quaternaria, che si estende sopra tutta la parte settentrionale e buona parte della orientale della Terra del Fuoco, a quella stessa guisa che nella Patagonia meridionale e non lungi dal mare fra il Eio Gallegos e lo stretto di Magellano si osservano i monticoli, che nelle carte portano i nomi di Friars, di Convents, di North Hill, ecc. Nego però la presenza di qualunque roccia vulcanica sia nella parte occidentale, che nella meridionale, almeno fino alla baia di Sloggett, da noi esplorata da ultimo. È vero che sopra la missione di Usciuvaia troviamo un monte che nelle carte porta il nome di Vulcano, l'Apaca degli indigeni. Non so da chi quel monte abbia ricevuto tal nome, suppongo però che l'ardito esploratore, che forse per primo navigava in quei canali e così battezzava quella pittoresca e tanto caratteristica vetta, che in forma di perfetto cono si eleva per più che 1000 m. sul livello del mare, a ciò fosse indotto da certe vaporose colonne, che nelle belle giornate si elevano da quella cima e così bene imitano le fumaiole dei vulcani, da trasformare quella schistosa vetta in cono vulcanico allo stato di solfatara. In numero infinito abbiamo noi veduto nell'arcipelago fueghino nelle fredde ed asciutte mattino del maggio e del giugno, pennacchi fumanti sullo ardite aguglie di quelle orridamente belle montagne. E chi sa che queste nuvolette vaporose, in forma di colonne talvolta oscure, talaltra imbiancate dal sole, folleggianti nell'aria, ora dense ed ora leggere come piume, non abbiano tratto in errore anche altri viaggiatori nel descrivere i vulcani del canale di Smith e delle superiori Cordigliere!
Biblioteca universitaria di Sassari
© Digitalizzato da Sardoa d-library
Arco, freccie e coltello sono le uniche armi dei Fuegiani Oria, die abitano l'Est ed il Nord della Terra del Fuoco, occupandone la più grande parte. . Sono cacciatori, robusti, discendenti dai Tsonaca o dai Temici della Patagonia, coi quali hanno comuni le belle forme sviluppate e poco diversificano forse anche nella lingua che a vero dire non merita il nome di articolata, perche con suoni aspri, chioccianti, gutturali, qualche cosa di simile al rumore prodotto da chi infreddato violentemente volesse rischiararsi la gola. Si nutrono di carne per lo più di guanaco e fanno vita randagia, attraversando da una parte all'altra la Terra del Fuoco. I Jahgan, che abitano la parte meridionale della «rande isola, dove e stabilita la missione inglese, specialmente sulle sponde del canale di Beagle e nelle isole che stanno al Sud di esso, non hanno frecoie ne archi, anzi non ho trovato alcuno di questa razza, che sapesse prepararmi una punta di freccia, neppure Ukoko Lory, Paiuan ed altri, i meno stupidi di quella tribù, che si trovarono a contât o colle altre razze non solo, ma che uscirono anche dalla Fuegia e furono a le isole Malvine. Questi selvaggi adoperano arponi, lancie e fiondo I primi (fig. 4 e 5) sono formati da un bastone ottagonale schiacciato di legno di faggio o di magnolia delh lunghezza di due metri e mezzo a tre, portante nella fenditura dell estremità più grossa una punta di frecciadiossodibalena,lungadai20ai30cent,edassicurata all'asta col mezzo di una striscia di cuoio di foca della lunghezza di 20, e più metri: con questa arma i fueghini dan la caccia alle foche ed alle baleno stesse. Le lancie (fig 6) sono della stessa lunghezza dell arpone, ma la testa, della lunghezza dai 17 ai 40 cent., a forma di sega, con denti da 6 fino a 20, è solidamente fissata all'asta. Servono per cacciare animali acquatici ed uccelli. II manico sia degli arponi che delle lancie è detto caschumar, l'arpone schaia, la lancia schoaschaia, la punta d'osso dell'arpone auaia e quella della lancia suschschoasohaia. Le aste vengono ridotte ottagonali e lisce col mezzo del tucalapana o di semplici galuf e col tufo rosso o colla pomice. La fionda è di cuoio, come le fionde ordinare, e nelle mani di un Fueghino è un'arma così terribile, che alla distanzadi25e30metril'animalepiùpiccoloviene da essi colpito. I ciottoli impiegati non superano in grandezza le uova di gallina evengono raccolti sulle spiaggie, ma specialmente in vicinanza delle alluvioni glaciali, e le loro capanne (wigwam) e le loro barche (canoe) ne sono sempre provviste. Gli Alaculuf che costituirebbero la terza tribù, ma di razza quasi eguale ai Jahgan, e che abitano all'occidente della Terra del Fuoco e fino a Tres Montes nella Patagonia Chilena, usano e le armi dei Jahgan e quelle degli Ona: però le freccie sono un po' più corte,superandodipocoi60cent.,ibastoncininoncosìbenlisciati, le'punte di freccia più rozzameme preparate e non così bene assicurate ai bastoncini, che qui si veggono tagliati con coltelli metallici, trovandosi questi Fueghini assai più frequentemente che non sieno i loro fratelli a contatto cogli Americani e cogli Europei, che sui bastimenti a vapore passano lo Stretto di Magellano. Anche la faretra è più piccola, contiene un minor numero di freccie ed e assai più grossolanamente cucita. Una piccola differenza si deve notare ancora per ciò che riguarda il manico
S •a rd••oa d
llbr
ary
Biblioteca universitaria di Sassari
© Digitalizzato da Sardoa d-library
dei loro arponi o delle loro lancio, che anziché ottagonale è cilindrico, tale quale lo levano dalla.natura dal superbo, sebbene melanconico pino (libooedrus tetragonus), detto da loro lipaim. Se a tutto ciò aggiungiamo la canoa, la quale è l'opera più ingegnosa per questa povera gente della Fuegia, che però da Drake a noi, per 300 anni adunque, e rimasta sempre la stessa, cioè uno schifo di scorza d'albero, cucita coi fannoni della balena o con striscioline di pelle di foca o con giunchi, impeciata colle foglie e rami della macrocystis, e coll'ossatura formata da ramoscelli tagliati per mezzo e piegati ad arco; se aggiungiamo i cestelli di mirabile fattura (tauala, caigin, taiapù), fatti con una specie di giunco (rosikovia grandiflora), il mappi degli indigeni; il grande recipiente con sospensione per l'acqua (cala) ed il piccolo (lucu), fatti di corteccia del maythenus magellanica, o della Drimys Wintert, più raramente di pelle di foca ; le collane di budelli di guanaco, comuni agli Ona ed agli Alaculuf, quelle di ossicini di uccello (asch), comuni a tutte e tre le tribù, e le altre di conchiglie e precisamente di due specie di trochus (upusca o schonupusca a seconda che son fatte col piccolo o col grande trochus), ed i pezzi di pirite (isuale pei Jahgan e ci(a)ers per gli Ona) per accendere il fuoco, nulla resta più a dire per ciò che riguarda armi, strumenti ed utensili degli abitanti della Terra del Fuoco. Non posso però passare sotto silenzio due scoperte, che in relazione a quello che si e fatto ed a ciò che si farà in seguito, possono avere la loro importanza, L'egregio nostro Bove nel diseppellire alcuni scheletri fueghini rinvenne nella poco profonda fossa assieme alle ossa una bellissima cuspide (fig. 7), altra cui manca la punta (fig. 8) e la parte superiore di una terza, che poscia andò smarrita. Sono di dimensioni non ordinarie e tali che non si rinvengono attualmente né presso gli Ona, né presso gli Älaculuf, di selce impura, una bionda oscura, l'altra quasi nera, con moschette metalliche, le quali potrebbero essere di pirite di ferro, che in alcuni punti manifesta con qualche macchia giallo-ruggine la già avvenuta decomposizione in limonite. Queste interessantissime cuspidi sono molto somiglianti a quelle che si trovano nei paraderos di Patagonia, che in seguito avrò a descrivere. Sarebbe questa oltre a tante altre prova luminosissima che gli Ona sono veri Patagoni e che la Terra del Fuoco è l'ultima patria dell'uomo primitivo americano. È risaputo che i Fueghini assieme ai loro morti pongono nella fossa punte di freccia, di arponi, di lancie, fiondo, ecc., se uomini; cestelli ed attrezzi da pesca, se donne. L'altra scoperta sarebbe questa. Il giorno 20 giugno dovemmo sostare nella graziosa Cova Geltrude, dove finisce il canale di Beagle e comincia il superbo Nord West Arm, per dare sepoltura al povero Tispingir, piccolo fueguino, che ài portava a Punta Arenas per far visitare dal medico. Quivi mentre si scavava la fossa in una fina sabbia di granati rossi fra lugubri faggi ed allegre magnolie, ai piedi di uno dei maestosi ghiacciai del Darwin, che salutava la mesta cerimonia con salve d'artiglieria, assieme a molte ossa frammentate si rinvenne la parte inferiore di una azza di osso di balena, magnificamente levigata, col taglio assai bene conservato ed in tutto eguale alle molte di diorite, che descrissi delle Calabrie. Non posso dare il disegno di questo oggetto, perchè non lo posseggo, posso però aggiungere che nulla di simile rinvenimmo né nella Fuegia, nò nella parte di Patagonia da noi visitata.
Biblioteca universitaria di Sassari
© Digitalizzato da Sardoa d-library
— 9 — Se noi ora passiamo dalla Fuegia alla Patagonia abbiamo questo fatto, che mentre nella prima troviamo gli abitatori nello stadio d'adoperare armi e strumenti litici, nella seconda da molto tempo han lasciato il loro uso, ma troviamo le punte di freccia in numero infinito disseminate negli avvallamenti degli immensi bacini di quella vastissima regione, che, quale è oggigiorno, bene può essere detta la Siberia della Repubblica Argentina. Sembra però che ancora al tompo di Sarmiento (1580) i Patagoni usassero archi e freccio. Ma la quantità di punte di freccia, di scheggio lavorate, di scheggio di rifiuto, di raschiatoi, ecc., che noi troviamo sparsi in quella estesissima regione, fanno a noi testimonianza essere stata quella terra abitata da numerosissime tribù selvaggie e tutte armate di freccie, ecc. Infatti non si può correre da vallo a monte su per le sponde di uno qualunque dei traditori fiumi di quella tanto interessante provincia argentina, senza trovare ad ogni pie' sospinto avanzi di una stiziono dei primi abitatori, i quali compresi i rari cocci frammisti portano a pensare per la condiziono di loro lavorazione allo stato barbaro o semibarbaro di quelle prime popolazioni. Queste stazioni dagli Argentini o dagli Spagnuoli vengano dette paraderos, dagli Indiani sono chiamate caikes. Dalla pampa di Chascomus al Rio Gallegos, l'ultimo fiume della Patagonia, trovammo anche noi in numero immenso punte di freccia, giavellotti, raschiatoi, ecc. Ricorderò specialmente quello delle sponde del Rio di Santa Cruz, di Rio Desiderato, quelle del Golfo Nuovo fra Porto Roca ed il Chubut, quelle del Rio Negro e le altre che, sebbene rare, pure ancora oggi si rinvengono sulle sponde delle lagune di Witel e di Chascomus. Mi si permetta una parola sulla sostanza e sulla forma in aggiunta a quanto ci ha regalato in propòsito il chiarissimo prof. Strobel nei lavori già citati. In generale predomina fra gli oggetti litici della Patagonia una sostanza nera che finora fu creduta uno schisto argilloso compattissimo e che anche io alla bella prima presi per tale. Effettivamente la frattura esterna della roccia rassomiglia sotto la lente ad uno schisto chiastolitico, come pure la piastra levigata mostra sotto il microscopio la materia fondamentale di uno schisto argilloso di una compattezza straordinaria, come gli schisti chiastolitici od ottrelitici, cioè una materia fondamentale isotropica, semipellucida, nella quale si vedono moltissime particelle nere, opache, di forma non definita, e moltissimi cristalli assai piccoli, prismatici e di color bianca od incolori. Però osservazioni più accurate, nelle quali come sempre di forte aiuto mi fu l'illustre prof. Fischer, fan conoscere la roccia per vulcanica, una vera e bellissima trachite, nella cui materia fondamentale isotropica si vedono in numero infinito minutissimi cristalli prismatici, che sembrano il risultato della devitrificazione della stessa nateria fondamentale. Le particelle nero sono probabilmente di magnetite e le sezioni dei cristalli bianchi o diafani, con diversi contorni sarebbero di veri cristalli di feldispato. Vengono in seguito per abbondanza i diaspri, i calcedoni, le agate, le quarziti, le ossidiane, ecc. In quanto alla forma vi predomina il tipo ad alette quasi orizzontali ed a
Biblioteca universitaria di Sassari
© Digitalizzato da Sardoa d-library
-
10 —
peduncolo lungo largo, tagliente (fig. 9) : è il tipo che ha molta analogia con quello della Terra del Euoco; ma non lo trovai nella Pampa, dove sulle sponde delle lagune già cuate di Chascomus e di Witel rinvenni il tipo a triangolo isoscele e che già descrissi con un accenno nel Bollettino della Società Geografica Italiana ('). Lo stesso üpo si rinviene a S. Gabriele, se debbo giudicare da alcune punte di freccia, regalatemi dall egregio signor Calisto Martini, italiano residente a Carmen di Patagones: perb queue punte sono più lunghe, più grosse e rassomigliano più a b giavellotti, che a cuspidi. * m i f n \ C Z S a m f 0 m a Che i1'0™' n 1 6 a g 0 S t ° f r a P o r t o R o c a e R Madryn nel Gofo Nu vo. Non rinvenni alcun rappresentante di questo tipo nei pregiati lavori dello Strobel e pochi ne trovai nei vari musei. Ho rinvenuto di que ta forma una cuspide intiera e frammenti di altre due, sempre di selce piromaca Assieme ad esse devo notare la presenza di una bellissima punta di freccia di agata-calcedonio, bianca, appen iculata, stupendamente lavorata e di punta molto allungata, in mezz ad un quantità immensa di scheggio anche grosse d'ossidiana nera. È Nnioo varadero della Patagonia, che m'abbia offerto qualche coccio paradero delia L'intera, che qui raffiguro (fig. 10), è assai bene ritoccata, coi margini taglienti'
aei lago ai balda, m quella delle stazioni dei dintórni di TÏ4I«„« n• nell'Egitto ed ancora sebbene di scheggiatura m o l t o i ^ ^ Z ^ Z ^ nca Settentrionale del signor Ellmer E. Reynolds di Washington In un paradero del cañadon auemao fra la QT,V^„I • l'isola dei Lioni sulla sponda d e s t i A ^ ^ ^ ^ v ^ . Î ? * di mirabile fattura, fra i quali primeggia il tipo S T S si possono raccogliere scheggie di rifiuto di tutti i J o r i au i t T a ¿ diaSpn agate, di calcedoni e specialmente di ossidiana Nulla Z i ' ' Í dl »aradprm che ad n ™ \ i » ' „„ • * 7 comune presen ano gli altri S1 Van0 e d a Valle ed a m o l i T e h ' ta! S F u ° ^ ¿i quella statone, che ritengo pos e noie alle altre, per presentare queste strumenti »iù srezzi m più rozzamente scheggiati. ™ PU1 g iezzi ) In questo paradero trovai frammenti Ai «Ì,*,4 i. , di ossidiana (fig, 11), di quelle Z Z ^ Z ^ t \ T » *"* * ^ in altra stazione, da quella distante una d^ina i ^ u t i " 7 ^ ***** punta (fig. 12), pure d'ossidiana, lavorata c o 2 * ^ 1 2 7 ™ ^ ^ ™ tissima e che certo annovero fra le più fine T Z z s l T t V™ ^ ^ " anche la più piccola di quante io abbia mai vedute ^ ^ ™ fctte ** Raffiguro pure (fig. 13) dei grandi coltelli o medio m^^+n- t, d e s c r i t t i c e n e belle Memorie dello Strobel, ^ Z ^ ^ ^ X ^ di quarzite od anche talvolta della menzionata trachite della lunghezza i 8 9 ? Z 10 cent, grossolanamente lavorati dal lato convesso, che si tiene in mano ed nbh t bene scheggiati sul lato quasi diritto, che dovea servire per raschiare pelli, bastoni eie! (') Aprile 1882, pag. 311,
Biblioteca universitaria di Sassari
© Digitalizzato da Sardoa d-library
— 11 — Aggiungo qui pure le figure di due pezzi incompleti trovati nei paraderos della sponda destra del Santa Cruz : il primo (fig. 14) della trachite menzionata e l'altro (fig. 15) di agata calcedonio, i quali dimostrano ad evidenza che gli antichi Indiani, al contrario degli attuali Fueghini, costruivano le loro punte di freccia cominciando indifferentemente dalla punta e finendo colle alette e col peduncolo, come nel primo pezzo, oppure in senso contrario come nel secondo. Assai cose avrei a dire ancora per ciò che riguarda le stazioni litiche della Patagonia, specialmente per quelle che senza dubbio sono finora sconosciute e quindi di sommo interesse per le scienze paletnologiche, ma per ora mi pare basti intorno a tale argomento, sopra il quale ritornerò ben volentieri, se codesta Accademia dei Lincei vorrà accogliere con benevolenza queste poche pagine. Non posso però chiudere la presente senza menzionare che anche a me, come al dott. Lund ed all'egregio ed infaticabile sig. Fiorentino Ameghino, e riuscito di trovare delle ossa lavorate mescolate a quelle dei grossi mammiferi del pampeano. Per ora offro il disegno di un lisciatoio di osso (fig. 16), rinvenuto da me dentro la mascella inferiore di un ìoxodon Burmeisteri in terreno in posto sulla sponda sinistra dell'arroyo di Tapalquen a poche ore dall'Azul. Anche sopra questo argomento della massima importanza per la nostra preistoria, perchè mostra evidentemente la convivenza dell'uomo coi grossi mammiferi, ritornerò assai volentieri altra volta, tessendone un po' di storia.
Boooo 59ÇI-
oa S •a rd Il Biblioteca universitaria di Sassari
© Digitalizzato da Sardoa d-library
S Ia r dIo aI Biblioteca universitaria di Sassari
© Digitalizzato da Sardoa d-library
.tí '•co 3 Ti
ti
-• c ^ I I» '
C^KJ « : l.
'i.O •
O L.
0)
; :V > "tí 1
r-H
.éé
<¡l
«ge*.
<•'.
0 Í
i
T )
ftí f(l
i,
»
i
1" '. 0) tj
S •a r d oIIa d - library
Biblioteca universitaria di Sassari
© Digitalizzato da Sardoa d-library
oa S •a rd Il d - library
Biblioteca universitaria di Sassari
© Digitalizzato dasSardoa d-library