DEL POPOLO
I consigli per scegliere lo yogurt giusto Pagina 2
Tutti i segreti per un brodetto dai mille sapori Pagina 3
Birra, dissetante compagna quando il caldo è insostenibile Pagine 4 e 5
Dalla tavola l’aiuto per abbronzare meglio Pagine 6 e 7
Sull’isola di Cherso il signore degli... agnelli
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cucina
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Così forte da spaccare i sassi L’ANTIPASTO di Fabio Sfiligoi
An no II
• n. 5
06 • Sabato, 27 maggio 20
La pianta con il sapore di mare Critmo, cretamo, spaccasassi, bacicci, erba di San Pietro... Sono tutti nomi per identificare il finocchio marino, un’erba così spontanea e così splendida che cresce tra le rocce della nostra costa, iniziando dal litorale quarnerino, per finire, giù, fino in Dalmazia. Questa pianta, da considerare nella grande famiglia di alimenti legata all’Adriatico e di riflesso al Mediterraneo, era molto pregiato al tempo dell’Antica Grecia e lo dimostra anche l’origine di uno dei suoi tanti nomi. Krithe, da cui “chritmum maritimum”, in greco significa orzo ed è proprio all’orzo che assomiglia il frutto del finocchio marino. Poche persone conoscono questa pianta; “per fortuna” rispondono le persone che la raccolgono, andando a cercare nelle fenditure delle scogliere, sulla sabbia o in zone sassose interne, ma sempre in prossimità del mare. E aggiungono “così ne resta di più”, soprattutto per metterla sott’aceto d’estate (fiorisce da luglio a novembre) e quindi assaporare nelle fredde serate invernali tutto il sapore del mare. Quest’ultima considerazione
non è solo una leggenda “marinaresca”. È come se le foglie del finocchio marino assorbissero la salsedine ed è per questo che nel gustarle hanno un forte sapore aromatico e salato che, tra l’altro, permette al finocchio marino di essere impiegato in cucina con risultati più che soddisfacenti. Alle foglie del finocchio marino è legata un’altra particolarità. Sono carnose e coriacee (il cretamo appartiene alle Ombrelliferae) e sono coperte da un velo che limita le perdite d’acqua. Assomigliano, quindi, alle piante che vivono nelle zone desertiche e con il velo di cui sopra mostrano la capacità di adattamento delle piante: infatti l’aria salmastra tenderebbe ad assorbire acqua dalle foglie delle piante se la natura non avesse escogitato questo valido sistema di difesa. Ma chi volesse andare in cerca di finocchio marino, durante le imminenti ferie estive, come potrà riconoscere questa deliziosa pianta? I fusti sono robusti e ramificati, raggiungono un’altezza che varia dai 40 ai 60 centimetri. Le foglie si presentano glabre e carnose, di un co-
lore che può variare, a seconda delle zone, dal grigio al verde. Sono molto simili a quelle delle piante succulente e formano morbidi cuscini ricchi di vegetazione. Sono ricche di oli essenziali, vitamine e sali minerali, con proprietà aperitive, diuretiche e depurative. In antichità il finocchio marino era consigliato per la guarigione dei calcoli ai reni. Le infiorescenze della pianta sono a forma di ombrelle, con 20-30 raggi che portano fiori giallo-verdogonoli. Il frutto ha forma ovoidale, dal colore giallastro-rossastro. Considerato che molte Ombrelliferae sono velenose è necessaria una precisa identificazione di questa pianta prima di consumarla. L’uso alimentare più frequente, come detto, è quello della conservazione sott’aceto. Le foglie più giovani, dopo essere state lavate ed asciugate, vanno conservare in aceto di vino che va cambiato dopo due settimane con dell’altro aceto, in modo che le foglie cedano al primo liquido di salamoia l’eventuale amaro in eccesso. Ma c’è anche un altro modo, meglio dire un segreto, trasmesso da quel gran-
de esperto di cucina che risponde al nome di Veljko Barbieri. Al finocchio marino Barbieri abbina anche i capperi e consiglia di scottare un chilogrammo di finocchio marino e un chilogrammo di capperi, e qui sta la diversità, in acqua marina bollente. Una volta scolati e raffreddati, metteteli in dei larghi barattoli di vetro, coprite con dell’aceto di vino e lasciate macerare per due-tre settimane, prima di consumarli. Il finocchio marino di solito viene servito con dell’ottimo formaggio di pecora, un abbinamento dal quale traggono vantaggio entrambi gli alimenti esaltando reciprocamente i propri sapori. Un’altra ricetta può essere quella del cretamo lesso con capperi e filetti di sardelle salate, un primo sfizioso. I rametti di finocchio marino vanno cotti in acqua bollente per alcuni minuti. Scolate e aggiungete un uovo sodo sminuzzato grossolanamente, una manciata di capperi e qualche filetto di sardelle sotto sale. Condite con olio d’oliva, sale e pepe.
Segue a pagina 2
2 cucina Dalla prima pagina Oppure potete scegliere un secondo piatto molto estivo facendo cuocere assieme finocchio marino, patate e zucchine. Una volta cotti questi ingredienti vanno ridotti a poltiglia con l’aiuto di una forchetta, si aggiunge un uovo sodo (da schiacciare a sua volta) e unodue cucchiai di capperi, finendo con dell’olio extravergine d’oliva. Può costituire un piatto unico, ma diventa una specialità fuori dal comune se abbinato ad una bella scarpena alla griglia. Infatti il sapore “marino” del cretamo lega perfettamente con quello “dolce” del pesce. Risultato garantito anche con una braciola di vitello. Oltre a queste ricette, molto diffuse in Dalmazia, il finocchio marino può venir usato per insaporire i minestroni.
Sabato, 27 maggio 2006
YOGURT Consigli per scegliere il prodotto giusto
Tante varietà: a ognuno la sua L
o yogurt è onnipresente sulle nostre tavole, abitudine che si trascina dall’infanzia fino all’età adulta, anche perché si tratta di un alimento ricco di sostanze che esercitano un’azione benefica per il colon e per l’organismo in generale. Ne esistono tantissimi tipi: cremo-
so, da bere, con i fermenti lattici e adesso anche quello arricchito di calcio che, pare, faccia dimagrire. Cerchiamo allora di fare un po’ di luce per orientarci meglio nelle nostre scelte, in base alle esigenze di ognuno. Tradizionalmente lo yogurt viene prodotto con l’impiego di
FAI DA TE E si risparmia anche
Farlo in casa è un divertimento Lo yogurt è un alimento che dovrebbe essere presente in un corretto regime alimentare. È molto più digeribile del latte, equilibrato, saziante e ricco di calcio. Produrre lo yogurt in proprio è semplice e divertente, ed economicamente è piuttosto vantaggioso. Con un litro di latte si produce un chilogrammo circa di yogurt e visti i prezzi che quotidianamente si presentano al cospetto dei nostro occhi, facendolo da noi, in un anno si può risparmiare una bella sommetta. Si può produrre con la yogurtiera, oppure con un metodo casalingo, infallibile, che ora andremo a descrivere.
Lo yogurt senza yogurtiera Innanzitutto dovete procurarvi un contenitore opaco di plastica per alimenti, con coperchio, con capacità superiore a 2 litri. Se possedete un forno in grado di mantenere una temperatura minima di 40 gradi non vi serve altro. Altrimenti, procuratevi un portalampada, una lampada da 40 Watt, e una prolunga abbastanza lunga da consentirvi di posizionare la lampada all’interno del vostro forno. Togliete la leccarda dal forno e lasciate solo una griglia. Posizionate un piatto piano bianco sul fondo del forno, e mettete sopra al piatto il portalampada con la lampada da 40 Watt.
chiai di latte tiepido e mescolate bene per eliminare tutti i grumi di yogurt. Unite il resto del latte filtrandolo attraverso un colino per eliminare tutti i grumi, e mescolate bene per 30 secondi.
Fermentazione Chiudete il contenitore e posizionatelo nel forno sopra alla griglia a una distanza di un palmo (20 cm circa) dalla lampada. Accendete la lampada, chiudete il forno, e attendete 3 ore. Se possedete un forno in grado di mantenere una temperatura di 40 gradi, impostatelo a questa temperatura, modalità forno tradizionale o ventilato, e posizionate il contenitore al centro del forno, equidistante dalla parte superiore e inferiore. Passato questo tempo, estraete delicatamente il contenitore, apritelo e gurdate se lo yogurt si è formato. Potete anche provare a 50 gradi, e vedere se ci sono differenze di consistenza - sapore - tempo di fermentazione. Non vi aspettate una massa molto solida: scuotete il contenitore e verificate che la consistenza non sia più liquida, ma budinosa. Lo yogurt non si è formato solo se la consistenza è liquida come quella del latte. Mettete in frigorifero il contenitore per almeno 12-18 ore, finché non si è completamente raffreddato.
Preparazione del latte
Consistenza
Maggiore è la qualità del latte e migliore sarà quella dello yogurt. Consigliamo di utilizzare latte di alta qualità, che sia il più fresco possibile. Mettete due litri di latte in una pentola di acciaio con fondo spesso, e portatelo quasi ad ebollizione a fuoco medio. Se avete un termometro da cucina, portate il latte a 90 gradi e mettetelo sul fornello più piccolo che avete con il fuoco al minimo. Altrimenti, fate questa operazione quando il latte sta per bollire, ovvero quando la schiuma diventa abbondante. Lasciate il latte a cuocere per 15 minuti, mescolando ogni è minuti ma evitando di raschiare il fondo per non staccare i grumi che si saranno attaccati al fondo. Mettete la pentola a raffreddare dentro il lavello immersa nell’acqua fredda. Questa operazione velocizzerà il raffreddamento ed eviterà l’affioramento della panna. Mescolate bene il latte e fatelo raffreddare per 10 minuti. Assaggiatelo: quando sarà appena tiepido (40 gradi circa) tiratelo fuori dal lavello. Ovviamente, se avete il termometro da cucina potete verificare a temperatura in modo preciso. Prendete due cucchiaini del vostro yogurt naturale preferito (intero o magro non fa differenza) e metteteli nel contenitore di plastica, poi unite due cuc-
Una della caratteristiche più desiderate è la cremosità. Uno yogurt denso e cremoso è molto più piacevole di uno liquido. Uno yogurt sarà tanto più cremoso quanto più elevata è la qualità del latte e il suo contenuto in proteine e in grassi. Se utilizzate latte parzialmente scremato, lo yogurt verrà meno denso. Se volete produrre uno yogurt magro ma abbastanza denso, provate ad utilizzare un litro di latte intero e uno di latte parzialmente scremato. Otterrete uno yogurt con il 2,1 p.c. di grassi.
Conservazione Lo yogurt autoprodotto si conserva tranquillamente per 10-15 giorni, e oltre. Lo yogurt dentro al contenitore, si presenta come una massa omogenea, budinosa: è il cosiddetto yogurt a coagulo intero. Se volete uno yogurt omogeneo e cremoso, dovete rompere il coagulo, ovvero mescolare la massa con un cucchiaio fino a renderla omogenea. Togliete lo yogurt dal contenitore e mettetelo in due vasetti di vetro con coperchio a vite, mescolatelo per omogeneizzarlo. Se lasciate il coagulo intero, tenderà a separarsi la scotta, un liquido biancastro. Rimuovendo questo liquido, otterrete uno yogurt sempre più denso, ma sempre più calorico.
due soli fermenti lattici (lattobacillus bulgaris e streptoccoccus termophilus) responsabili del processo di scissione del lattosio, lo zucchero del latte, in acido lattico che lo rende molto più digeribile e tollerabile rispetto al latte di partenza. La gran parte degli yogurt in commercio, però, non si può definire alimento “probiotico”, in quanto i bacilli contenuti vengono inattivati a livello intestinale dall’azione della bile. Ecco perché negli ultimi anni sono entrati in commercio yogurt addizionati con sostanze ad azione probiotica, in grado cioè di favorire la crescita dei microrganismi con azione benefica per il colon e per l’organismo in generale. I probiotici sono consigliati in modo particolare in tutti i casi di “disbiosi” intestinale perché aiutano a regolarizzare le funzioni intestinali e a rinforzare le difese immunitarie. Possono essere assunti in qualunque momento della giornata, ma, sicuramente, il loro effetto è maggiore a stomaco vuoto. Le bevande a base di yogurt sono un prodotto di recente affermazione: tecnicamente sono generati da una variante del processo di produzione dello yogurt che fornisce un prodotto a metà strada tra un latte acidificato e lo yogurt compatto. Dopo la pastorizzazione del latte, questo viene acidificato con fermenti lattici, ovvero probiotici. Il principale vantaggio di questi yogurt sta nella praticità, ma occorre sapere che hanno un potere saziante basso, come tutti i liquidi rispetto alle creme, a parità di calorie fornite. Il rischio, quindi, è quello di eccedere nel consumo ed aumentare l’apporto calorico giornaliero più di quanto si pensi. Lo yogurt da bere si può consumare in qualunque momento della giornata: come colazione veloce, come spuntino gustoso e rinfrescante oppure come sfizio dopo cena. Nei supermercati più forniti si possono trovare anche varie mousse e yogurt più cremosi, che sono però allo stesso tempo più calorici perché in genere per realizzare questo tipo di yogurt viene utilizzato latte intero a cui viene aggiunta panna per renderli meno acidi e cremosi. L’aggiunta di panna aumenta i grassi e, quindi, l’apporto calorico in misura proporzionale alla percentuale addizionata. Il risultato è un prodotto saziante e contemporaneamente ricco di calorie, particolarmente indicato in caso in cui sia indicata una dieta ipercalorica. Devono, invece, essere inseriti in una dieta ipocalorica con molta attenzione e rinunciando a qualcosa d’altro.
Anche le mousse, non propriamente yogurt ma più dessert, contengono panna o crema di latte con aggiunta di zucchero e frutta. Le calorie fornite superano ampiamente le 100-120 kcal per confezione, vanno pertanto utilizzati come veri e propri dolciumi. L’ultima novità è lo yogurt arricchito di calcio: alcuni studi hanno ipotizzato che il calcio (in particolare quello derivato dai latticini) aumenti la velocità di smaltimento del grasso. Uno studio in particolare ha evidenziato che sostituire con yogurt magro, addizionato con una quota ulteriore di calcio, un alimento del pasto che contiene una pari quantità di calorie aiuta a perdere peso. Nella realtà non bisogna aspettarsi grandi risultati dall’utilizzo di questi prodotti se non, forse, in termini di pochi etti in molti mesi. Il rischio, invece, per alcune persone, potrebbe essere cadere nell’errore di sostituire un intero pasto con questi yogurt, ottenendo come unico risultato quello di sentire di nuovo fame dopo poche ore. Gli ultimissimi arrivati in commercio sono quelli con steroli: si tratta di bevande a base di latte fermentato a cui sono stati aggiunti steroli vegetali che, all’interno dell’intestino, competono con il colesterolo e ne limitano l’assorbimento. Le capacità ipocolesterolemizzanti degli steroli vegetali sono note fin dagli Anni Ottanta quando, con numerosi studi scientifici, si è dimostrata la loro capacità di ridurre significativamente il colesterolo “cattivo” (LDL) e il colesterolo totale nel sangue. Gli steroli vegetali derivano da differenti fonti di oli fra cui olio d’oliva, olio di semi di soia, olio di riso, olio di noci. È bene precisare che questi prodotti devono essere sempre associati ad un’alimentazione varia ed equilibrata, povera di grassi saturi e ricca di frutta e di verdura. Chiudiamo con gli yogurt tradizionali: si differenziano per il tipo di latte utilizzato, latte intero, parzialmente scremato o latte completamente scremato. A seconda della scelta varia il contenuto di grassi e conseguentemente di calorie, mentre rimane praticamente invariato quello di proteine e di carboidrati. L’apporto energetico per uno yogurt intero è di circa 176 kcal per 250 grammi contro le 100 kcal di uno magro con 0.1 p.c. di grassi. Gli yogurt bianchi non sono molto popolari, soprattutto nei più giovani per il loro gusto acidulo. Per questo hanno invaso il mercato le versioni alla frutta frullata o in pezzi. Nonostante la dicitura “yogurt alla frutta”, tecnicamente corretta, la presenza di frutta è veramente modesta e non è quindi giustificato utilizzarli in sostituzione alla frutta di stagione che contiene nutrienti preziosi in ben altre proporzioni. Questi yogurt hanno un indice di sazietà maggiore rispetto a quelli da bere e sono indicati in ogni occasione, ma, soprattutto, in sostituzione del latte alla prima colazione o come spuntino veloce a metà mattinata o a metà pomeriggio per calmare la fame senza abbondare in calorie.
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Sabato, 27 maggio 2006
PESCE I consigli della nonna sono sempre i migliori
Il brodetto, ricco cibo dei poveri di Ardea Velikonja
M
ia nonna, saggia donna benchè ignorante (ignorante nel senso che non sapeva leggere e scrivere), diceva sempre che il brodetto è il cibo dei poveri. E io le chiedevo: Ma perchè nonna? “Perchè i signori vanno al mercato del pesce al mattino, quando i banchi sono pieni di branzini, orate, scampi ecc., mentre i poveri vanno a mezzogiorno a raccogliere dalle cassette ciò che resta: due triglie, quattro sardoni, mezzo gattuccio, un ragno, una seppia, qualche granzeola se si ha la fortuna di trovarla, tutto pesce a basso prezzo a quell’ora e succede anche che, se la ven-
Origini del piatto
È nato in mezzo al mare Il brodetto esiste da quando esistono i pescatori: questo gustoso piatto marinaro ha costituito per secoli il principale elemento nutritivo, se non l’unico, dei “lavoratori del mare”. Infatti non si può dire che sia nato in questo o quella regione: è nato semplicemente dal mare, sui pescherecci, dove un pentolone al fuoco accoglieva mano a mano i pesci che venivano presi con le reti. Il brodetto ha quindi un’origine, oltre che antica, prettamente popolare e deriva dall’abitudine della gente di mare di utilizzare, quanto del pescato non potesse essere destinato al mercato, sia per la qualità (poco richiesta), sia per la troppo piccola taglia, sia infine per l’insufficienza quantitativa. E, da una “accozzaglia” di La pescheria al mattino offre pesce di tutti i tipi
che deve risultare di sapore omogeneo, permettendo tuttavia l’identificazione
il pesce, in realtà piccoli pesci di tutte le specie. Li ripuliva, li lavava e li metteva a “scolare” sulla tavoletta di legno. Intanto, e guardavo attentamente, su un tegame metteva l’olio di oliva (usava solo quello perché diceva che fa bene, specie a noi bambini), tagliuzzava
piccoli. Ricordate di non mescolare mai perché i pesci possono spezzarsi. Mettete un po’ di sale e pepe e dopo mezz’ora il brodetto è pronto. Finito tutto la nonna si metteva a fare una bella polenta, non di quelle istantanee, di tre minuti di
fornire la carne, devono dar gusto e sapore all’intingolo, cioè al brodetto.
Lo scorfano, brutto ma saporito, è d’obbligo nel brodetto
la qualche pesce. Ed ecco pronto il pranzo, un po’ di pomodoro, un po’ di polenta e c’è da mangiare per tutti”. Non potevo credere alle parole della nonna perché il brodetto mi piace tanto e quindi trovandomi nel piatto tante specie di pesce
La carica dei... tredici
pensavo fosse una specialità, tra l’altro molto costosa. Vero è che i pesci erano pieni di spine e quindi avevo il mio bel da fare a pulirli per gustarmi il brodetto, ma per me restava una specialità. Quindi mi piaceva guardare la nonna che puliva pazientemente Il pesce ragno non deve mancare Il brodetto realizzato dalla redazione di “Panorama” che ha vinto il primo campionato nazionale riservato ai giornalisti
II brodetto anconetano è ritenuto la ricetta più antica, ed è l’unico rimasto immutato nella sua preparazione fin dall’origine. Ingredienti: Tredici specie di pesce (tra cui seppie, granchi, pannocchie ecc.) Un bicchiere d’olio d’oliva Mezzo bicchiere di aceto Una cipolla Due spicchi d’aglio Passata di pomodoro Un cucchiaio di concentrato di pomodoro Un trito di prezzemolo Sale e pepe q.b. Pulire e lavare il pesce, sistemarlo per bene in un ampio piatto capace e spolverizzarlo leggermente di sale fino. In una casseruola con un bicchiere d’olio, imbiondire una cipolla tagliata sottilmente e due spicchi d’aglio schiacciati; aggiungere mezzo bicchiere di aceto (si aromatizza la “zuppa” e si evita che il pesce si spezzi). Evaporato l’aceto, unire un trito di prezzemolo, del passato di pomodoro ed un po’ di conserva allungata con acqua leggermente salata.
Dopo qualche bollore mettere giù le seppie che devono cuocere un quarto d’ora abbondante, a fuoco dolce e a tegame coperto; poi, quando il sugo comincia a restringersi, le seppie si accostano in un lato della casseruola e si sistema il resto del pesce, tenendo presente che prima vanno messe le pannocchie, gli scampi e le teste grosse e via via gli altri tipi, i merluzzi, le triglie e le sogliole. Cuocere per non più di un quarto d’ora a fuoco dolce, dopodiché la casseruola, allontanata dal fuoco, deve rimanere coperta ancora qualche minuto. Quindi il pesce, con il suo intingolo abbastanza denso, che avrà assunto un bel colore rosso cupo, verrà versato nelle fondine e sarà servito con fette non abbrustolite di pane casereccio.
la cipolla fine fine e la metteva ad ingiallire non senza che l’intenso odore si spargesse per tutta la casa (all’epoca non esistevano le nappe). “Guarda, guarda così impari”, mi diceva. Presi tre spicchi d’aglio li sminuzzava e li gettava nella cipolla. “Ingiallita e “affogata” la cipolla, vi aggiungeva mezzo bicchiere d’aceto e mezzo d’acqua (mia nonna, santa donna, faceva tutto a occhio e non a decilitri o grammi). Poi ci metteva della salsa di pomodoro (e all’epoca le salse venivano fatte in casa, la nonna raccoglieva i pomodori più maturi, li cucinava ben bene e quindi li metteva nei vasi in vetro che teneva in soffitta). Quindi si deve lasciare per almeno venti minuti che l’aceto evapori. Si prendono i pesci, si salano e poi si passano nella farina grossa, poi vanno messi nel sugo di pomodoro facendo attenzione di mettere prima i pesci più grossi e poi quelli più
oggi, ma di quelle che si mescolano per mezz’ora sul fuoco e si rivoltano poi sulla tavola di legno. Polenta fumante e brodetto, che pranzo! Oggi si sta riscoprendo il valore di questi piatti tradizionali in tutte le città che si affacciano sul mare. Per promuovere questo antico cibo su ambedue le sponde dell’Adriatico si organizzano manifestazioni atte a rispolverare le tradizione marinaresche. Così in Croazia c’è addirittura il campionato di brodetto per giornalisti la cui prima edizione è stata vinta dalla redazione della nostra testata “Panorama” (grazie alla ricetta della nonna!) mentre in Italia esiste il Festival del brodetto arrivato quest’anno alla quarta edizione, che si tiene a settembre a Fano. Il campionato più ghiotto d’Italia come viene chiamata questa sfida tra quindici regioni italiane, terminerà con una grande festa popolare della cucina marinara.
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cucina
Sabato, 27 maggio2006
BIRRA
Sabato, 27 maggio 2006
Il consumo aumenta durante l’estate, ma per chi l’ama non c’è stagione che tenga...
A TAVOLA Alcuni criteri da seguire
Una varietà per ogni piatto compresi dolce e formaggio
Fresca e vivace: la bionda che conquista… S
CONSIGLI
La degustazione
Per conoscerla e apprezzarla meglio Vi proponiamo alcuni consigli da seguire per giudicare una birra, destinati soprattutto a chi la birra la consuma soltanto saltuariamente oppure non è un esperto in material. Le fasi sono quelle classiche di ogni degustazione che si rispetti: visiva, olfattiva e gustativa. L’esame visivo Il colore varia a seconda del tipo di birra ed è legato alla tostatura dei cereali. La gamma delle sfumature è molto ampia. Si va dal paglierino delle lager al biondo brillante delle pilsner; dall’ambrato delle doppio malto fino al marrone scuro delle scotch ale, fino ad arrivare alle nere stout e doppelbock. Anche la limpidezza dipende dalla tipologia. Le weizen, ad esempio, si presentano torbide, a causa dei lieviti ancora presenti. Importante è anche l’esame della spuma. Può risultare scarsa, evanescente, cremosa, compatta. E anche il suo colore varia profondamente: dal bianco all’ambrato, fino al marrone, a causa del malto molto torrefatto.
L’esame olfattivo L’esame olfattivo va a caccia dell’aroma, dei profumi complessi e affascinanti che le birre sanno regalare. In generale, si parla di aroma luppolato, fruttato, maltato, erbaceo, floreale; dal punto di vista dell’intensità esso può essere forte, leggero o tenue. Potrà essere piacevole e tenue nelle lager; oppure fine, penetrante, persistente e luppolato nelle pilsner; ampio e maltato nelle bock e doppelbock; fruttato e fresco nelle weizen; complesso ed equilibrato tra luppolo e malto nelle ale. Nella birra è possibile distinguere due diversi tipologie di odori. I primi sono determinati dalle materie prime utilizzate, i secondi si sviluppano con la fermentazione e l’invecchiamento. Scopriamoli insieme.
Gli odori «primari» Di solito l’ingrediente che caratterizza maggiormente l’aroma della birra è il malto. A seconda delle miscele impiegate - orzo, frumento, riso e avena - e del suo grado di tostatura, la birra potrà esprimere note dolci e fragranti, come quelle del pane, dei biscotti e del caramello, o amare, come quelle del caffè e della liquirizia. Il luppolo conferisce aromi della famiglia vegetale, dall’erba fresca, appena tagliata, al fieno e alle foglie secche. Il lievito, infine, ha la capacità di caratterizzare la birra con un odore fresco e leggermente balsamico.
Gli odori «secondari» La fermentazione e la maturazione conferiscono alla birra odori così complessi da mettere a dura prova persino i degustatori professionisti. E se lager e pils, accanto ai classici sentori di orzo e luppolo, regalano spesso note floreali e fruttate, con prevalenza di agrumi e mela verde, una ale inglese, emana richiami alla prugna, alla mela cotogna, alla foglia di tè, alla resina e alla carruba. Una doppelbock, invece, profumerà spesso di cioccolato, liquirizia e frutta secca. In alcune trappiste o abbazia, grazie a doppie e triple fermentazioni e alle speziature, è possibile percepire l’odore di scorza d’arancia, bergamotto, chiodi di garofano, cannella, vaniglia e noce moscata. E in birre particolarmente alcoliche potrà capitare di percepire insospettabili odori di vernice, cuoio e note medicinali.
L’assaggio Il gusto di una birra dipende dagli stili di fabbricazione. Quello che le viene generalmente attribuito è l’amaro, più o meno intenso, conferito dal fiore del luppolo. In generale, il gusto di una birra può essere amarognolo, abboccato, amabile o dolce. L’amaro è, di solito, più intenso nelle pilsner e nelle bitter ale; le lager, invece, risultano più dolci poiché contengono una minor percentuale di luppolo.
i avvicina la stagione estiva e parallelamente all’aumento della temperatura c’è da attendersi un aumento del consumo di birra, la più popolare delle bevande nelle giornate in cui il sole picchia alto in cielo, con temperature da sciogliere l’asfalto. Quando la gola si fa secca, un bicchiere di birra fresca di qualità è come la manna dal cielo. Nel sorseggiarla si ha come una sensazione di sollievo, di soddisfazione, di gioia ed è proprio per questo che è così popolare al punto tale da arrivare in Europa ad un consumo medio pari a 82-83 litri l’anno. Preferita al vino perché meno alcolica, la birra, di cui ogni anno nel mondo si producono oltre un miliardo e duecentomila ettolitri, è però una bevanda antichissima, apprezzata da diversi popoli. Le sue origini sono legate all’orzo, il primo cereale coltivato dall’uomo, che ha segnato il passaggio di molte popolazioni dal nomadismo alla stanzialità. La sua storia è documentabile intorno al 4500 a.C. Si vuole sia stata inventata da una donna, in seguito ai tentativi di conservazione dei cereali che, tenuti nell’acqua, danno luogo a fermentazione. Alcune tavolette d’argilla ritrovate nella bassa Mesopotamia e risalenti al IV millennio a.C. narrano la storia di un re sumero, il quale, essendosi fatto costruire un’arca per timore di un diluvio, offrì agli artigiani “il succo delle vigne, il vino rosso e il vino bianco e anche della birra perché essi bevessero”.
Presumibilmente era fatta con orzo e altri cereali. Con i Babilonesi la birra acquista un nuovo status, e una più larga diffusione, tant’è che il “Codice di Hammurabi” (17281686 a.C.) prevedeva che chi annacquava la birra prima di venderla venisse annegato dentro. Anche gli Egizi apprezzavano molto la birra e la ritenevano la bevanda preferita dal dio Osiride. I Greci la ribattezzano “zythos”, mentre gli Etruschi
dirittura sotto il segno della birra: secondo le leggende, il Paese conobbe la libertà solo quando l’eroe Mag Meld riuscì a strappare ai perfidi mostri Fornoriani il segreto della fabbricazione della birra che li rendeva immortali. Nel Medioevo la diffusione di questa bevanda diventa “popolare” e la sua produzione industriale, soprattutto nel Nord Europa. In Germania nasce la figura del “mastro
La sua storia è documentabile intorno al 4500 a.C. Si vuole sia stata inventata da una donna, in seguito ai tentativi di conservazione dei cereali tenuti nell’acqua nei loro convivi consumavano una birra fatta con segale e farro, e poi con frumento e miele. I Romani, invece, pur preferendo il vino, non disdegnavano questa bevanda ritenuta “barbara”, che piaceva tanto alle popolazioni non latine. La beveva Giulio Cesare, che racconta come i Celti dessero l’avvio ad ogni trattativa gustando un corno della bionda bevanda, mentre Augusto ne esaltava addirittura le virtù terapeutiche in quanto riteneva di essere guarito dal mal di fegato grazie proprio alla “cervisia”. Proprio i Celti contribuirono notevolmente alla diffusione della birra. E l’Irlanda sembra nata ad-
chie produzioni dei monaci. Ma gli intenditori la preferiscono fresca e vivace, e perciò non pastorizzata, che non può essere conservata a lungo, e con la schiuma, che sprigiona l’aroma della birra e la cui persistenza nel bicchiere è simbolo della sua alta qualità insieme al suo retrogusto amarognolo. Ma la birra, a torto ritenuta bevanda giovane, non è una bevanda solo da intenditori, anche se non mancano illustri estimatori. Tra i quali Goethe, che le rese un singolare omaggio: “Una birra forte, un tabacco profumato e una donna, questo è il piacere”.
La birra è un’eccellente compagna della cucina e anche una cena raffinata può contemplare abbinamenti di una o più birre. L’importante è seguire i giusti criteri: con i piatti delicati è meglio scegliere birre chiare e leggere, mentre è preferibile riservare le scure per quelli più corposi. L’abbinamento più scontato è quello con la pizza, a patto che si scelgano birre non molto frizzanti, più adatte a sostenere l’acidità del pomodoro. Ma le combinazioni possibili sono tantissime. Scopriamole insieme. Aperitivi e antipasti Per un buon aperitivo saranno perfette le lambic belghe o le pils. Prosciutto crudo, uova, maionese e gamberi possono venire felicemente accostati alle lager classiche. Un abbinamento fantastico: stout e frutti di mare crudi, specialmente ostriche. Primi piatti Con i primi delicati sono preferibili le export, mentre con quelli dal sapore più deciso una strong ale o una birra d’abbazia saranno ideali.
Ingredienti: Quattro uova 80 grammi di grana grattuggiato 80 grammi di burro Un bicchiere di birra chiara Quattro fette di pane casereccio Due scalogni Sale e pepe q.b.
La produzione La birra nasce da un infuso fermentato di malto d’orzo o di altri cereali, con l’aggiunta del luppolo, che è aromatizzante e conservante. I semi dei cereali, puliti e frantumati, vengono miscelati con acqua secondo proporzioni variabili in fun-
A cura di Fabio Sfiligoi
zione del tipo di birra da produrre. La miscela viene riscaldata e portata ad una temperatura capace di riattivare gli enzimi contenuti nel malto e di far compiere loro il processo di saccarificazione. Gli amidi contenuti nei cereali si trasformano, così, in zuccheri di vario tipo. A questo punto, si procede alla filtratura e all’unione del luppolo, in proporzioni rapportate al tipo di birra che si vuole ottenere. Il mosto ottenuto viene trasferito in un altro recipiente, dal quale si prelevano di volta in volta le quantità destinate alla fermentazione. Questa è determinata dall’aggiunta del lievito che porta, così, alla produzione della birra che, una volta imbottigliata, sarà pronta per essere gustata. La produzione di questa bevanda, oggi soprattutto industriale, in passato rientrava tra le comuni attività domestiche e veniva delegata ad artigiani particolarmente esperti solo per la fase più delicata e laboriosa, vale a dire la preparazione del mosto per la fermentazione.
Carne Le carni bianche vanno d’accordo con lager e pilsner. Per carni rosse, agnello e cacciagione, invece, sarà preferibile il gusto più deciso di una belga o di una scotch ale. Con le carni di maiale possiamo, infine, scegliere birre scure dal sapore maltato. Pesce La pils bavarese, non troppo amara, si accosta bene a piatti di mare leggeri. Una lager sarà perfetta con pesce arrosto o a i ferri. I pesci in umido si sposano, invece, con le ambrate ben maltate. Contorni Con i contorni, soprattutto se si tratta di insalate, è bene scegliere lager leggerissime. Formaggi Alcune birre, se accostate ai formaggi, addirittura si esaltano; con quelli piccanti o stagionati è meglio preferire le trappiste. Dessert Ai dolci possiamo accostare le birre di grano o quelle fruttate. In particolare, kriek e framboise si sposano con torte alla frutta, mentre sui dolci al cioccolato una cream stout britannica.
La temperatura La temperatura ottimale per il corretto mantenimento della birra è di 8 gradi centigradi. Più la temperatura è alta, più si accelera il processo di invecchiamento, che la rende meno aromatica, fresca e saporita. La temperatura di servizio, invece, sale proporzionalmente alla densità, corposità e alcolicità. Quella consigliata varia: – da 3°C a 6°C per le birre leggere, dissetanti e leggermente alcoliche, come pils, lager, ice, blanche e light; – da 7°C a 15°C per le birre da degustazione, come kriek, framboise, ale, strong ale. La schiuma è un’importante spia: infatti, se nel bicchiere c’è n’è poca, la colpa potrebbe essere della temperatura di servizio troppo rigida e viceversa.
Dal primo al dessert: a tutta... birra Uova su letto di birra e formaggio
lo, più vantaggioso perché più facilmente conservabile e perché offre la possibilità di dosare in modo più omogeneo le sostanze attive in esso contenute. Nella produzione di una buona birra l’acqua riveste un’importanza fondamentale. Non a caso le birre più famose del mondo devono la loro nascita e la loro fama alla speciale natura delle acque con cui vengono prodotte. E in passato le fabbriche di birra nascevano vicino alle sorgenti, perché la particolarità dell’acqua, data dalla percentuale di sali minerali contenuti che possono renderla leggera, media e dura, non era industrialmente riproducibile.
Qualche piccola accortezza nel servirla, e un’attenzione particolare alla temperatura, permetterà di godere appieno la birra a tavola. Nel servire la birra non va sottoposta a scossoni troppo violenti e va tenuta al riparo dalla luce e da sbalzi di temperatura troppo marcati. Deve essere versata lentamente, tenendo il bicchiere inclinato sino a che non raggiunga i 3/4 della capienza. A questo punto il bicchiere va raddrizzato e colmato, sino a che la schiuma tocca il bordo e si spinge lievemente oltre. Una corretta spillatura prevede almeno tre centimetri di spuma. Chi avrà l’accortezza di non vuotare subito la bottiglia, potrà vedere come la spuma rimasta acquisterà più vita e volume. Il tempo d’attesa non deve essere però troppo lungo, perché l’eccessivo contatto della bevanda con l’aria può provocarne l’ossidazione e il decadimento del gusto.
Birra e cibo
birraio” e si cominciano a emanare leggi sulla produzione e la commercializzazione della birra, fino al famoso “Editto sulla purezza”, il “Reinheitsgebot”, approvato in Baviera nel 1516 con il quale si stabilì che essa poteva essere fatta solo con malto d’orzo, luppolo e acqua. Ma questa diffusione della birra e dei birrai (nel 1376 ad Amburgo se ne contavano ben 457, e nella città nacquero delle vere e proprie scuole) non pose fine all’epopea delle birre prodotte in quasi tutti i conventi, le più pregiate e apprezzate, dove già veniva impiegato il luppolo come aromatizzante al posto delle varie spezie, bacche e piante officinali.
L’importanza fondamentale dell’acqua Malto, lievito, luppolo e acqua. Il tutto, all’interno di un processo rigorosamente spontaneo: la fermentazione. Vediamo in dettaglio gli ingredienti ed i passaggi che portano nel nostro bicchiere una buona birra. Il malto è il prodotto della trasformazione di alcuni cereali. In genere è ottenuto dall’orzo, ma esistono anche malti di frumento, segale e avena. Per ottenere le caratteristiche desiderate, il produttore può miscelare anche otto o più diversi tipi di malto. Il lievito, oltre a caratterizzare la birra in ogni suo aspetto, dalla spuma, agli aromi, alla ricchezza del corpo, è in grado di determinarne il tipo di fermentazione. A seconda del tipo di lievito usato, infatti, è possibile produrre birra secondo due metodi diversi. Il primo, il più antico dopo la fermentazione spontanea, è conosciuto come “alta fermentazione”, poiché durante il procedimento il lievito sale in alto, a galla nella vasca. Il secondo, perfezionato all’inizio del secolo scorso, è detto della “bassa fermentazione”, perché durante il processo il lievito si deposita sul fondo delle vasche. Il luppolo è una pianta rampicante, ricca di fiori, i quali sono i veri responsabili del gusto amarognolo della birra. Esso ha diverse proprietà: chiarifica la birra, frena la riproduzione dei batteri conservandola meglio e migliora la stabilità della spuma. Al giorno d’oggi, però, viene usato ancora in fiore solo nelle lavorazioni artigianali; le industrie impiegano il concentrato di luppo-
Un tentativo reintrodotto oggi con le varie birre aromatizzate alla frutta, che si aggiungono alle due tipologie più note e alle diverse varietà: la “Lager”, prodotta nel 1842 in Boemia, bionda e dal colore brillante e limpido, amarognola, e la “Pilsner”, il cui nome deriva dalla fabbrica di Pils dove fu prodotta per la prima volta, a bassa fermentazione e stagionata per due o tre mesi, di sapore secco e di colore dorato, oltre alle tipiche birre nere, rosse o ambrate, il cui colore dipende dall’essiccazione più o meno rapida del malto, oppure “affumicate” che riprendono vec-
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Imburrate le fette di pane utilizzando circa metà del burro e disponetele in una teglia, poi ricopritele con il grana grattuggiato e con gli scalogni tritati finissimi; salate e pepate. Versatevi sopra la birra e infornate a 220° C per 10 minuti o fino a far sciogliere completamente il formaggio. Togliete il recipiente dal forno e rompetevi sopra le uova, salatele e cospargetele con il restante burro fuso. Rimettete in forno ancora 5 minuti e servite ben calde.
Zuppa di patate e birra Ingredienti: 100 grammi di champignons Due cucchiai di succo di limone 100 grammi di speck Una cipolla Un cucchiaio d’olio Uno spicchio d’aglio 150 grammi di porri 500 grammi di patate Un litro di birra Un ciuffo di prezzemolo Un tuorlo d’uovo 150 grammi di panna da cucina Sale e pepe q.b. Pulire, lavare, tagliare i funghi a fettine sottili e bagnarli con il succo del limone. Tagliare a dadini lo speck e rosolarlo nell’olio con la cipolla quindi aggiungere l’aglio e gran parte dei funghi. Tagliare ad anelli sottili i porri e a dadini le patate. Aggiungerli al soffritto con la birra e far cuocere a fuoco basso per circa 35 minuti. Salare e pepare. Aggiungere la panna e il tuorlo dell’uovo. Guarnire con il prezzemolo e i funghi rimasti.
A questa salsa aggiungete le polpette e proseguite la cottura per 30 minuti a fuoco lento. Girate le polpette spesso e con delicatezza per non romperle. Servite le polpette con la loro salsa e con una bella porzione di patate al forno.
Branzino alla birra bionda Ingredienti Un branzino da circa 1.200 grammi Due bicchieri di birra chiara 100 grammi di pancetta affumicata Due foglie di salvia 1/2 bicchiere di olio di oliva 100 grammi di farina Uno spicchio di aglio Pepe bianco e sale q.b. Squamare il branzino, pulirlo, lavarlo e asciugarlo. Salarlo e peparlo, anche internamente, e passarlo nella farina. Far scaldare in una teglia l’olio, la salvia, l’aglio e la pancetta tagliata a listarelle. Aggiungere il pesce, coprire e far cuocere qualche minuto, poi bagnare con un po’ di birra e ricoprire. Continuare così fino ad esaurimento della birra. La cottura non deve superare i 25 minuti.
Polpette del birraio Ingredient:i Due fette di pane Una cipolla Due scalogni 350 grammi di carne di maiale tritata 350 grammi di carne di agnello tritata (se preferite va bene anche il pollo) 350 grammi di carne di vitello tritata 50 grammi di speck tritato fine Un cucchiaio di prezzemolo tritato fine Un pizzico di noce moscata Sale e pepe q.b. Due uova Un cucchiaio di farina 60 grammi di burro 7,5 deciltri di birra chiara Ammorbidite il pane (possibilmente raffermo) nell’acqua e strizzatelo bene. Mescolate insieme le cipolle tritate, la carne, le uova, gli aromi e il pane. Formate delle polpette e friggetele in 40 grammi di burro, fino a quando sono dorate. In una padella a parte soffriggete lo scalogno tagliato a pezzetti e dopo una decina di minuti spolverizzate con la farina, amalgamate bene ed aggiungete la birra lentamente.
Frittelle di mele Ingredienti Quattro mele Due bicchieri di birra chiara Due uova 150 grammi di farina 20 grammi di zucchero 30 grammi di zucchero a velo Olio per friggere Sbucciare le mele, privarle del torsolo e tagliarle a fette sottili in modo che sembrino delle “ciambelle”. Preparare una pastella montando le uova con lo zucchero, aggiungere la farina e la birra e lavorare fino a quando il composto è vellutato. Far riposare la pastella per un’ora. Mettere sul fuoco una padella con l’olio e, quando è ben caldo, immergere le mele nella pastella e poi cuocerle poche alla volta. Farle scolare su un foglio di carta assorbente, poi cospargerle con lo zucchero a velo.
Sorbetto alla birra Ingredienti 200 grammi di zucchero Due bicchieri di birra rossa Due albumi 20 acini di uva bianca Zucchero a velo Preparare uno sciroppo, portando a ebollizione lo zucchero in due bicchieri d’acqua; poi togliere dal fuoco e far raffreddare. Aggiungere la birra e incorporare dolcemente la meringa (ottenuta montando gli albumi a neve ferma con 10-12 grammi di zucchero a velo). Mettere il composto in una gelatiera, unire gli acini d’uva e far girare per 10 minuti. In alternativa, metterlo in un recipiente, lasciarlo nel freezer per circa un’ora; poi rimescolare e rimettere nel freezer fino a quando sarà indurito.
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Sabato, 27 maggio 2006
ESTATE
Dalla tavola alcuni prezio
Gli alimenti A
rancione, rosso, giallo e un po’ di verde. Ecco i colori per l’estate. Curare l’alimentazione è sempre di grande aiuto per ottenere un’abbronzatura intensa e uniforme, senza rischiare scottature ed eritemi. Infatti chi d’estate ama concedersi lunghi bagni di sole e sfoggiare una pelle ambrata, può trovare preziosi alleati a tavola. Ci sono molti alimenti che non
Si consiglia di bere molta acqua naturale, almeno un litro e mezzo al giorno, spremute di frutta e centrifugati di verdure devono mancare sulle tavole estive e che favoriscono e prolungano l’abbronzatura, innanzitutto i cibi ricchi di betacarotene, propulsori
Purea di carote Ingredienti: 800 grammi di carote Cinque cucchiai di burro Due rametti di prezzemolo Sale, pepe Lessare le carote Spuntate le carote e raschiate la superficie con la lama di un coltello, lavatele e tagliatele in 2-3 pezzi. Portate a bollore in una pentola 2 litri di acqua salata. Versatevi le carote, unite un cucchiaio di burro e fate riprende-
re bollore. Cuocete 20 minuti e scolate le carote. Lavate, asciugate e tritate il prezzemolo. Fare la purea Passate le carote in un passaverdura raccogliendo la purea in un tegame. Portate il tegame su fuoco basso, salate e pepate, unite il burro rimasto e cuocete 2 minuti mescolando con un cucchiaio di legno. Aggiungete il prezzemolo e servite.
Sorbetto di carote Ingredienti: Un chilo di carote Un limone (solo succo) Un’arancia 250 grammi di zucchero Un cucchiaio di maraschino Lavate e raschiate le carote sotto l’acqua corrente, tagliatele a dadini. Pulite l’arancia. Versate tutti gli ingredienti in un tritatutto e fatelo lavorare per 10 minuti circa. Versate il composto così ottenuto nella gelatiera e lasciatelo fino a quando il sorbetto non si staccherà dalle pareti.
dell’abbronzatura. Il betacarotene, oltre a essere rinomato per la sua capacità di stimolare l’abbronzatura, si rivela utilissimo prima, durante, ma anche dopo i periodi di esposizione al sole. Se prima predispone l’epidermide ai raggi, in seguito, stratificato sotto la pelle, rallenta la perdita di colore. È preferibile mangiare cibi crudi, perché sono più ricchi di vitamine. Anche i minerali non devono mancare nella dieta estiva, poiché vengono eliminati attraverso l’abbondante sudorazione. Il selenio (che si trova in carne, pesce, frutti di mare, cereali) combatte l’ossidazione, mentre lo zinco (vegetali e cereali integrali, lievito di birra e crusca) ripara i danni causati dalle scottature; il rame (molluschi, frutta secca e cacao) mantiene l’elasticità dei tessuti. La regina incontrastata tra gli alimenti pro-abbronzatura è la carota, che presenta un vero “potere abbronzante”, doppio rispetto a radicchio e albicocche ai quali compete, a pari merito, il posto di onore mentre sul podio salgono anche cicoria, lattuga, melone giallo e sedano, in grado di contri-
Peperoni gratinati Ingredienti: Due peperoni gialli Due peperoni rossi Due pomodori Due zucchine Una melanzana 50 grammi di formaggio emmental Due cucchiai di grana grattugiato Un rametto di basilico Olio d’oliva Sale,pepe Preparare le verdure Togliete la calotta ai peperoni, eliminate i semi. Lavateli e asciugateli all’interno e all’esterno con carta assorbente da cucina. Lavate i pomodori, privateli del picciolo, tuffateli 30 secondi in acqua bollente. Spellateli con un coltellino affilato, tagliateli a dadini di un centimetro.
Spuntate le zucchine, lavatele, asciugatele e tagliatele a rondelle. Togliete le estremità alla melanzana, lavatela e tagliatela a dadini. Scottate zucchine e melanzane 5 minuti in acqua bollente, scolatele e lasciatele riposare 10 minuti su un telo da cucina. Riempire i peperoni Scaldate il forno a 150°. Staccate le foglie di basilico, pulitele e tagliatele a striscioline con le forbici. Mettete tutte le verdure in una ciotola, conditele con sale, pepe, grana, un cucchiaio di olio e il basilico. Ungete i peperoni con l’olio rimasto, riempiteli con le verdure e adagiateli sul fondo di una pirofila foderata con carta da forno. Tagliate l’emmental a strisce e disponetele sopra i peperoni, infornate 20 minuti. Togliete dal forno i peperoni gratinati, adagiateli su un piatto da portata e serviteli, caldi o tiepidi.
Pollo al melone Ingredienti: 200 grammi di petto di pollo 400 grammi di melone Un bicchierino di vino bianco secco Un cucchiaio di brandy Uno scalogno 70 ml di panna liquida Un dado di pollo Un rametto di prezzemolo 40 grammi di farina 50 grammi di burro Olio d’oliva Pane casereccio Sale Pepe Cuocere il pollo Togliete dalle fettine di pollo parti grasse e nervetti. Infarinate le fette di carne, scrollatele. Cuocete le fettine di carne tre minuti per parte a fuoco alto. Salate, versate il vino, cuocete 10 minuti, voltando le fettine di carne a metà cottura. Togliete le fettine di pollo dal condimento, tenetele in caldo.
La salsa Portate a bollore due bicchieri di acqua, scioglietevi il dado. Spellate lo scalogno, lavatelo, asciugatelo e tritatelo. Pulite la buccia del melone con un telo umido, eliminate i semi e i filamenti, spezzettate la polpa grossolanamente. Versate il liquore nel tegame di cottura del pollo, lasciatelo evaporare un paio di minuti. Unite il burro e cuocetelo a fuoco basso. Rosolatevi lo scalogno e unite la farina mescolando. Togliete il tegame dal fuoco. Versate il brodo caldo, poco alla volta. Salate, pepate e unite la polpa di melone. Trasferite gli ingredienti nel frullatore e frullate due minuti. Rimettete il composto nel tegame e cuocete 10 minuti, mescolando. Spegnete il fuoco, aggiungete la panna, poca alla volta. Unite il prezzemolo tritato.
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Sabato, 27 maggio 2006
osi alleati in vista dell’arrivo dell’estate
per abbronzare meglio buire efficacemente a rendere ambrato il colore della pelle. A seguire si posizionano peperoni, pomodori, pesche gialle e cocomeri che presentano comunque contenuti elevati di vitamine A o caroteni e non sono certamente del meno nel promuovere la tintarella estiva. Questi vegetali sono dunque alimenti che soddisfano molteplici esigenze del corpo: nutrono, dissetano, reintegrano i sali minerali persi con il sudore, riforniscono di vitamine, mantengono in efficienza l’apparato intestinale con il loro apporto di fibre e si oppongono all’azione dei radicali liberi prodotti nell’organismo dall’esposizione al sole, nel modo più naturale. Kiwi, limone, ribes rosso, fragole e pompelmo sono miniere di vitamina C anti-radicali liberi, che migliorano la circolazione e aiutano a ricostruire il collagene, la proteina che mantiene l’elasticità dei tessuti. L’olio extravergine di oliva rappresenta un vero e proprio elisir di bellezza perché aiuta a fissare l’abbronzatura, anche grazie alla vitamina ed ai grassi vegetali contenuti, che evitano che la pelle si secchi e si desquami. È bene privilegiare il
consumo di questi cibi anche molto tempo prima di esporsi al sole. Il corpo può così immagazzinare le sostanze che favoriscono l’idratazione della pelle e aumentano la quantità di melanina, il composto chimico responsabile del colore della pelle.
L’olio extravergine di oliva aiuta a fissare meglio il vostro colore ambrato
Prolungare l’abbronzatura Passata l’estate la dieta deve avere prima di tutto un effetto rinfrescante: sono quindi consigliati yogurt, frutta e verdura cruda. Evitate invece i condimenti pesanti e l’alcool. Una corretta alimentazione può anche essere utile al fine di mantenere a lungo l’abbronzatura, che comunque può durare al massimo un mese: bisogna ricorrere all’aminoacido tiroxina, che si trova nelle banane, nelle nocciole, nei semi di zucca e soprattutto nel latte di capra. È inoltre da considerare il fatto che la pelle abbronzata tende maggiormente a diventare secca: per questo motivo sarà utile favorirne il rinnovamento. A questo scopo non fatevi mancare carne e uva. Per aumentare inoltre la morbidezza e l’elasticità della pelle vanno bene semi oleosi, come noci, mandorle e sesamo, che sono ricchi di acidi grassi. Se desiderate invece recuperare una pelle chiara e luminosa, potete ricorrere a tuorli, aglio, cipolle e zolfo, il minerale della bellezza.
I vegetali a foglia verde Tutti i vegetali a foglia verde scuro come la cicoria contengono acido folico essenziale nella formazione dei globuli rossi del sangue per la sua azione sul midollo osseo e poi sono utili per proteggere il colore dei capelli dai raggi del sole. L’insalata conferisce volume e potere saziante con un apporto calorico estremamente limitato e assicura anche un certo contributo di vitamine, calcio, fosforo e potassio. Inoltre è ricca di vitamina E che protegge il sangue dalle intossicazioni da smog. I pomodori, oltre ad essere ortaggi dietetici per eccellenza perché hanno solo 17 calorie per 100 grammi, regalano all’organismo un buon apporto di fibre, vitamine e sali in particolare fosforo, calcio e magnesio.
Le scottature L’importanza dell’acqua L’acqua è sempre importante per l’organismo, ma in modo particolare sotto il sole, che provoca sudorazione abbondante e perdita di liquidi e di sali minerali. La disidratazione è causa anche di invecchiamento precoce per la pelle, che diventa secca ed è più predisposta alle rughe Per evitare questi inconvenienti è quindi indispensabile bere molto, preferibilmente lontano dai pasti, per garantire l’equilibrio dei liquidi e integrare le perdite. Si consiglia di bere molta acqua naturale, almeno un litro e mezzo al giorno, spremute di frutta e centrifugati di verdura. Sono da evitare invece le bevande gasate e quelle alcoliche.
Gli oli e alcuni frutti Gli olii vegetali (di germe di grano, di girasole, di mais, di soia), arachidi, mandorle e avocado sono ricchi di acido linoleico, conosciuto anche come vitamina F. È un acido grasso che favorisce l’idratazione della pelle, mantenendo il giusto equilibrio idrolipidico, cioè l’equilibrio tra acqua e grassi.
Insalata di melone e ravanelli Ingredienti: Un cespo di insalata riccia Un melone piccolo Un mazzetto di ravanelli 100 grammi di mais in scatola 50 grammi di rucola 150 grammi di fiocchi di latte Quattro cucchiai di olio d’oliva Pepe, sale Staccate le foglie d’insalata dal cespo ed eliminate le parti sciupate. Pulite anche le foglie di rucola. Lavate e asciugate le foglie. Lavate i ravanelli sotto l’acqua corrente, dopo avere eliminato radichetta e foglie. Riduceteli in quattro spicchi e dividete ogni spicchio a metà. Eliminate i semi e i filamenti del melone. Tagliatele in cinque
fette. Sbucciatele, passando un coltello affillato tra la buccia e la polpa. Sgocciolate il mais dal liquido di conservazione, sciacquatelo in acqua fredda, e asciugatelo. Riunite in una ciotola l’insalata, ravanelli e mais. Condite con sale, pepe e olio, mescolate. Distribuite sull’insalata le foglie di rucola e le fette di melone. Disponete in superficie i fiocchi di latte a cuchiaiate e servite.
In caso di scottature, infine, oltre alle cure esterne, è bene mangiare molta frutta per ripristinare l’idratazione. Se l’esposizione eccessiva ha causato un eritema solare, ovvero un arrossamento della pelle, si può lenire l’infiammazione utilizzando la lattuga, la malva, la camomilla, la cipolla e il pomodoro. In particolare: - lasciate ammorbidire per qualche minuto alcune foglie di lattuga in acqua bollente, tritatele, disponetele tra due garze e applicatele sulle parti scottate per 10-15 minuti, l’applicazione può essere ripetuta più volte al giorno; - cipolle o pomodori maturi tagliati a fette e messi sulle scottature hanno straordinari effetti disinfiammanti;
Rotolini di albicocche Comporre il piatto Scaldate il forno a 200, foderate una placca con carta da forno, distribuitevi le fette di pane irrorate con l’olio d’oliva e tostatele in forno per cinque minuti. Disponete le fette di petto di pollo su un piatto con salsa e crostini. Potete completare con fettine di melone. Servite.
Ingredienti: 320 grammi di albicocche 50 grammi di gherigli di noce 100 grammi di pancetta affumicata a fette Due rametti di salvia Tre cucchiai di burro Sale, pepe Lavate le albicocche, asciugatele, pelatele, apritele in due parti, eliminate il nocciolo. Lava-
te la salvia, tritatene finemente quattro foglie con un coltello. Mescolate il trito in una ciotola con due cucchiai di burro. Unite i gherigli di noce, il sale e il pepe, lavorate un minuto con una forchetta per amalgamare bene gli ingredienti. Riempite con il composto le cavità libere dai noccioli. La cottura in forno Scaldate il forno a 200.
Ungete una teglia con il burro rimasto. Avvolgete ogni albicocca con una fettina di pancetta, fermatela con uno stuzzicadenti. Sistemate le albicocche nella teglia imburrata, in un solo strato. Infornate per 10 minu-
ti circa. La pancetta deve cominciare a sciogliersi ma non deve arrostire troppo né diventare scura. Trasferite la preparazione su un piatto da portata, guarnite con le foglie di salvia rimasta e servite.
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RICERCA
Il ristorante del mese
Mangiare piano si vive meglio
Al «Bukaleta» di Loznati il signore degli... agnelli di Sostene Schena
C
herso (con Lussino), si sa, è una delle mete preferite dai turisti; non solo per le sue bellezze naturali, ma anche per la gastronomia. Quello che non tutti sanno è che sulla superficie aspra e forte di Cherso crescono circa 300 qualità di erbe medicinali e non, sulle quali i venti dell’est portano l’umidità del mare. La salvia, il rosmarino, l’aglio selvatico e tante al-
tre erbe, che solitamente usiamo in cucina, sono il cibo quotidiano di pecore e agnelli che vivono liberi sull’isola. È questo il segreto della squisitezza della carne degli agnelli di Cherso ormai famosi tra i gourmet più raffinati. Al centro dell’isola di Cherso, nella parte orientale, a Loznati, non vi sarà difficile trovare la trattoria “Bukaleta”, una bella casa linda im-
L’angolo del barman
Come il tramonto dipinto da Bellini di Mauro Scomerza Ingredienti 35 ml di purea alla pesca bianca 10 ml di Archers Peach Schnapps o Crème de Peche de Vigne Prosecco Il Bellini è un cocktail che negli anni è diventato un classico per eccellenza e sembra avere un’aura di eleganza e rispetto nell’industria. I Bellini sembrano avere un effetto sulla gente che va oltre il piacere di un semplice cocktail. Forse perche si tratta di un drink molto semplice ma allo stesso momento molto elaborato, elegante e raffinato con un gusto assolutamente srtraordinario e piacevole per il palato. A differenza di molti altri cocktail classici e non il Bellini è amato in tutti gli ambienti e da tutte le generazioni. Anche la presentazione del cocktail è molto attraente ed elegante. Il Bellini è stato creato per la prima volta nel 1948 dal barista italiano Giuseppe Cipriani al Harry’s Bar di Venezia. Gia prima della creazione del Bellini il nord Italia aveva una lunga tradizione nel marinare le pesche nel vino. Giuseppe Cipriani rivoluzionò il concetto mescolando la purea alla pesca con il Prosecco (la versione italiana dello champagne, attenzione, non usare assolutamente lo spumante perché otterrete una bevanda troppo dolce, al limite dell’imbevibile). Il drink fu subito un successo per la sua semplicità ma sopprattuto per il suo gusto elegante e raffinato. Divenne un classico nel bar veneziano (uno dei favoriti di Ernest Hemingway) e molto presto fu un successo anche al Harry’s Bar di New York. Il colore del cocktail ricorda il colore del tramonto in un quadro del quindicesimo secolo dell’artista veneziano Giovanni Bellini. Grazie a questa somiglianza il cocktail fu nominato Bellini da Giuseppe Cipriani. Il drink è diventato non solo un classico ma una vera e propria istituzione nel mondo dei cocktail, creando varie sub-ricette e imitazioni simili all’originale. Una di queste è
L’Harry’s Bar di Venezia dove è nato il Bellini diventata famosissima e si è trasformata in un classico. Si tratta del Rossini. Il Rossini non è nient’altro che un Bellini che al posto della pesca usa la fragola. Ogni bar ha nel proprio menù diversi tipi di Bellini. L’Axis Bar di Londra dove lavoro nella cocktail-list presenta ben otto tipi diversi di Bellini. Oltre alla pesca sul menù si trovano anche fragola, lampone, maracuja, mango, lychee, mora e pera. Non esiste una ricetta “giusta” o “sbagliata” del Bellini, dipende da barista a barista o/e da cliente a cliente. La mia ricetta usa una metodologia che tende a rendere il cocktail meno gassato. Riempire la base dello shaker con trequarti di ghiaccio. Versare la purea alla pesca, il liquore e il prosecco e girare gentilmente con un cucchiaio. Versare il liquido omogeneo ottenuto in un bicchiere da champagne e decorare con una fetta di pesca. Con questo metodo il Prosecco mescolato con la pesca e il ghiaccio perde una parte delle bollicine e rende la bevanda meno gassata. Attenzione a non mescolare troppo altrimenti le bollicine scompariranno e la bevanda sarà imbevibile. Assolutamente non shakerare perché shakerando le bevande gassate non otterrete nient’altro che un esplosione della bevanda sotto pressione. A chi piacciono invece le bevande più gassate, c’è un modo ancora più semplice. In un bicchiere da champagne freddo versare la purea e il liquore alla pesca, aggiungere il Prosecco e girare il tutto. Decorare con una fetta di pesca. In alternativa puo venir servito anche in tre strati diversi. Versare prima la purea, poi con un cucchiaio posare il liquore (la diversa densità creerà due strati differenti) e finire, sempre con l’aiuto del cucchiaio, con il Prosecco. Comunque mescolare il tutto dopo il brindisi.
mersa nel verde e nella tranquillità. Il locale ha due sale interne arredate in modo rustico ma sobrio e una grande terrazza. È qui è il regno degli agnelli e Antica Kučica (ma sarebbe meglio dire il marito, Bruno) ve li propone si direbbe… in tutte le salse. Cucinati all’antica: proprio come facevano le nonne chersoline… quando ancora ogni famiglia si faceva il pane in casa, perché non mancava mai fuori della casa di campagna il forno a legna nel quale, oltre al pane e alle focacce, si cucinava la carne e in particolar modo quella d’agnello. Al “Bukaleta” che ci ricorda il boccale del vino (qui quello della tradizione non è proprio il massimo, ma potete scegliere comunque una buona bottiglia di rosso e la carta vi propone un’ampia scelta) l’agnello è, naturalmente, il piatto principale e quello che tiene alto il buon nome del locale e… dell’isola intera. Per chi va di fretta la trattoria (o “konoba” visto che dispone anche di un bel caminetto!) offre com’è naturale altre specialità della campagna chersolina; oltre ad un ottimo prosciutto crudo istriano (chissà se
avremmo la possibilità di trovarlo sempre così ben stagionato!) primi e secondi e un pane particolarmente buono, cotto – logicamente - nel forno a legna di famiglia! La signora Antica è un’ottima comunicatrice e vi ragguaglierà sulle specialità del giorno con tutti i dettagli che vi interessano. E, se siete fortunati come noi, avrete la possibilità di assaggiare un vino particolare che si può trovare soltanto a Loznati ed è prodotto quindi da un vitigno autoctono, il raganella.
La nostra pagella Ambiente Atmosfera Servizio Qualità Vino Prezzo Rapporto qualità/prezzo Giudizio finale
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La scheda Nome: “Bukaleta”. Località: Loznati. Gestione: Antica Kučica. Indirizzo: Loznati bb – 51557 Cherso. Tipo di locale: trattoria. Coperti: 60 all’interno; 100 in terrazza. Aperto da aprile a ottobre dalle 12 alle 23. Numeri di telefono: 051/571606 anche fax. Lingue parlate: italiano, inglese e tedesco. Pagamento: anche credit cards Amex. Prenotazione: consigliabile. Distanze: 5 km da Cherso; 29 km dall’attracco di Faresina; 27 da Ossero (ponte per l’isola di Lussino); 49 da Lussinpiccolo; 60 da Fiume; 110 dal confine italiano di Pese. Per arrivarci: da Mattuglie prendete la strada per Laurana-Pola fino a Brestova (31 km) dove ci si imbarca per Cherso (costo del traghetto per persona 11 kune; per auto 75). Dopo 24 km e siete a Cherso. Ancora 5 km e trovate sulla sinistra la stradina per Loznati. Soltanto un chilometro e siete arrivati. Naturalmente a Brestova si può arrivare anche dall’interno dell’Istria. Comodo e grande il parcheggio sul prato.
Qualcuno si ferma per mangiare soltanto cinque minuti, altri (quelli che a stare seduti a pranzo o a cena non rinuncerebbero mai) hanno bisogno di almeno un’ora, qualcuno anche di più. Ma se uno mangia prendendosi tutto il tempo che serve o lo fa in cinque minuti, per la salute è lo stesso? E quanto si dovrebbe mangiare? Fino a poco tempo fa gli studi che avevano cercato di rispondere in modo rigoroso a questa domanda erano pochissimi e i risultati contraddittori. Adesso c’è un passo avanti, importante. Un lavoro di ricercatori giapponesi ha fatto vedere che per mantenere negli anni il proprio peso è necessario mangiare lentamente. I ricercatori hanno studiato più di quattromila adulti, sani. Qualcuno mangiava per abitudine molto lentamente, altri lentamente, altri normalmente, altri invece erano veloci nel mangiare, o velocissimi (quelli dei cinque minuti). Per le varie categorie i ricercatori hanno poi paragonato il peso da adulti con quello che avevano a vent’anni e hanno visto che c’è un rapporto diretto tra quanto più si mangia in fretta e l’indice di massa corporea. Vuol dire che chi d’abitudine mangia in fretta, a 40-50 anni pesa decisamente di più che a vent’anni. Se uno invece ha sempre mangiato lentamente riesce a mantenere il peso dei vent’anni anche a 40-50. E se qualcuno proprio dovesse aumentare, lo fa di poco. Ma non può essere che su questi risultati abbiano influito altre abitudini di vita: come l’attività fisica, quanto uno mangia, il fumo, l’abitudine a bere alcol? Certamente. I ricercatori giapponesi però hanno tenuto conto di tutte queste variabili e alla fine il dato non sembra cambiare: quanto più si mangia velocemente, tanto più si aumenta di peso. Ci sono anche altri modi per mantenere il peso: non saltare la piccola colazione del mattino, mangiare a intervalli regolari e camminare mezz’ora al giorno. Anche ridurre la quantità di calorie fa bene. Soprattutto al cuore, lo “mantiene giovane”: i ricercatori della Washington University a St. Louis hanno visto che il cuore di chi riduce la quantità di calorie è come se avesse quindici anni di meno. Si sapeva già da studi su topi e ratti: se si riduce l’accesso al cibo il cuore va meglio, gli animali vivono il 30 per cento di più (e si ammalano meno di tumori). Lo studio dei ricercatori di St. Louis, pubblicato sul giornale dei cardiologi americani, fa vedere che è così anche per l’uomo (almeno per quanto riguarda il cuore). Nella società del “benessere”, le malattie del cuore sono la causa principale di morte. Dipende dal fatto che il cuore invecchia: perché c’è il colesterolo alto, o c’è la pressione alta, o c’è il diabete. Tutte patologie che si possono evitare, basta mangiare di meno e lentamente.
Anno II / n. 5 27 maggio 2006
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