Comunità Parrocchiale di Rovellasca
il bollettino - giugno 2008
sommario Parla il parroco... Fugge, il tempo?
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Vita parrocchiale L’ammissione al Diaconato e Presbiterato di Luca 4 Luca e la sua domanda 4 GREST e Vacanze 6/7 Il Consiglio Pastorale Parrocchiale 8 Resoconto del gruppo “Famiglie giovanissime” 9 Famiglie in festa “Oltre le mura” 10 Non nascono più bambini down 12 Marco Beck e la sua poetica familiare 13 Le campane del Mambruck 14 Una nota doverosa 15 Grazie! 16
Responsabilità Come trasmettere la fede e i valori ai nostri figli? A proposito di... responsabilità dell’insegnante Le crisi umanitarie dimenticate... dai media L’interesse più alto?... quello di tutti!!! L’importanza e la responsabilità dei nonni Chiara Lubich Economia di comunione?.. un modello vincente Muhammad Yunus
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Appunti Quante e quali sono le lettere di Paolo?
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Correva l’anno 1953
Dall’archivio Hanno offerto Cultura Natalia Ginzburg
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Geografia Nennolina
Olimpiadi Itinerari di fede Il Santuario della Madonna del Divino Amore
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Testimonia fidei Origine antica del nostro Crocifisso
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parla il parroco...
Fugge, il tempo?
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uando un anno pastorale volge al termine è impossibile far Þnta di niente. C’è poco da fare: un altro anno è passato! Siamo invecchiati, siamo stati testimoni delle meraviglie di Dio, abbiamo avuto successi e fallimenti. Ma il tempo insegue se stesso, non concede mai una tregua: alla primavera succede l’estate, con il suo carico di Grest, campi, esercizi spirituali... in attesa di riprendere in settembre il nuovo ciclo. Verrebbe da dire, con il Qoelet, che non c’è nulla di nuovo sotto il sole. E invece per noi ogni istante è nuovo e diverso. Il Signore riempie i nostri giorni e le nostre ore di occasioni irripetibili per fare il bene. Pensiamo a quanti incontri, a quante situazioni ogni giorno ci pongono di fronte alla presenza di Dio, che si manifesta a noi nei fratelli, nelle creature... Un Dio che ha una grande fantasia e che ci provoca in molti modi, chiedendoci di riconoscerlo anche nella sofferenza. Siamo chiamati, dunque, a vivere totalmente immersi nell’Amore e ad accogliere il tempo che abbiamo di fronte come un dono unico e grandioso, che non possiamo sprecare, avvolti nella nostra pigrizia, che troppo spesso diventa una padrona tirannica. Abbiamo a disposizione un’altra estate per rendere gloria a Dio. E possiamo farlo ovunque, durante una legittima vacanza o immersi nel caldo che fa pesare ancora di più il lavoro: è sufÞciente vedere ogni istante come un’occasione di annunciare il Vangelo. Da questo punto di vista il discepolo di Gesù non va mai in vacanza né in pensione, non c’è stagione sfavorevole che tenga: sempre e dovunque siamo impegnati a parlare di Dio e a dargli testimonianza con la nostra vita. È desolante incontrare tante persone che durante le vacanze si dimenticano persino di andare a Messa, la Domenica. Il 29 giugno inizia l’anno dedicato a san Paolo: sarebbe bello fare nostro il suo amore per Gesù e il suo caparbio entusiasmo nell’annunciare il Vangelo. La nostra Parrocchia proporrà certamente qualche iniziativa per l’anno “paolino”, ma sarebbe bello soprattutto se riuscissimo anche noi ad affermare, come l’Apostolo delle genti, con forza e coerenza: ”non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me”. don Roberto
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vita parrocchiale
L’ammissione al Diaconato e Presbiterato di Luca
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iovedì 1° maggio, nella bella Basilica di Sant’Abbondio in Como, si è svolta la Celebrazione Eucaristica e rito di ammissione al diaconato e presbiterato di Luca e dei suoi sei cari compagni. Il Vescovo durante la celebrazione li ha scherzosamente chiamati i magniÞci sette e vi devo dire che la prima volta che li ho incontrati mi sono detto: “ma questi non hanno niente altro da fare”? Bella presenza, istruzione e simpatia le doti che subito ho notato in loro; ora che sono passati quasi tre anni le cose non sono cambiate; ho capito che cosa hanno intenzione di fare: continuare il loro cammino. Devo dire che all’inizio io per Luca (e ne sono quasi certo) non sono stato di grande aiuto; una sensazione strana nei suoi confronti, dentro, difÞcile da descrivere, come una fame, un buco allo stomaco, poi, come ieri, l’emozione che da qualche tempo arriva al solo pensiero della sua decisione che vedo sempre più ferma e serena. È scontato dirlo, ma grande è stata la commozione provata ieri in diversi passaggi della celebrazione, aumentata immensamente quando ho visto le persone del paese, persone che ci conoscono e non, e che hanno visto crescere Luca, persone che stringendomi la mano o abbracciandomi
mi facevano le congratulazioni, ma sono io che devo dire GRAZIE DI CUORE a tutti voi che, sia Þsicamente che con la preghiera, ci siete stati vicino. E poi visto che senza dubbio leggerà queste righe, dico: “Luca ti raccomando che tu possa essere un buon operaio”. Ciao ti voglio bene, il papà. E di nuovo da parte mia e da Patrizia un grazie a Don Roberto e a tutti voi di cuore per il bel momento trascorso. Armando e Patrizia
Luca e la sua domanda
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avventura affascinante di seguire il Signore da vicino, il voler lasciare tutto per farsi prete, passa attraverso momenti di intimità tra Gesù e il suo discepolo. Ci sono episodi di vita o incontri che appaiono stupendi, nella loro semplicità, agli occhi di chi crede di essere chiamato a seguire il Signore per una via meno ordinaria delle altre. Si tratta non di semplici coincidenze, ma di segni che la fede di un giovane può scorgere. Segni che non solo indicano una via da percorrere, ma che nello stesso momento appassionano e dilatano il cuore. Forse qualcosa di simile è accaduto nella vita di Luca se ha deciso di aderire alla proposta del seminario. Tuttavia - e per grazia - non esistono rotocalchi
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in materia vocazionale. Il percorso di un giovane che forse si farà prete è diverso da quello di un altro così come la storia di una coppia di Þdanzati differisce da quella di un’altra. Eppure tratti comuni ci sono. Il più importante è costituito da quelle prese di posizione pubbliche e ufÞciali che la Chiesa richiede. La prima decisione pubblica di solito coincide con la scelta di staccarsi dalla famiglia per entrare in propedeutica. La prima decisione ufÞciale, rispetto a questo momento, è rimandata di tre anni e consiste nel passo che Luca ha vissuto lo scorso 1° maggio insieme a sei suoi compagni: la domanda al vescovo diocesano di essere ammesso tra i candidati agli ordini sacri (cioè chiedere di diventare
vita parrocchiale diacono e successivamente prete). Il momento della celebrazione in Sant’Abbondio a Como è stato preceduto da una lettera scritta e personale che i sette candidati hanno rivolto al vescovo Diego. In essa avranno descritto la vicenda della loro vocazione per arrivare ad esprimere il loro desiderio di continuare l’iter formativo del seminario. Lettere che, ascoltando l’omelia di mons. Coletti, pare siano state da lui apprezzate perché ricche di fatti e di persone, cioè ricche di esperienza di Chiesa, l’unica capace di mediare in modo autentico il sorprendente incontro con Gesù. Sarà proprio la nostra comunità diocesana a dover aiutare d’ora in poi Luca e i suoi compagni a comprendere in modo deÞnitivo se davvero il Signore lì chiama a spendere tutta la loro vita nella via del sacerdozio. Concretamente a fare questo saranno innanzitutto i superiori del seminario, senza dimenticare che per Luca una parte spetta anche a noi, sua comunità parrocchiale. Credo sia stato bello per i presenti alla celebrazione accorgersi delle parole che Gesù ha voluto rivolgere ai sette giovani candidati. Commentando il brano evangelico di quella liturgia (Gv 16,16-20) il nostro vescovo li educava al senso della loro domanda: chiedere, davanti al Signore, non signiÞca avere tutto chiaro, tuttavia signiÞca sceglie di avere Þducia. Senza dimenticare che la domanda va sempre puriÞcata. Il rischio palese della do-
manda di Giacomo e Giovanni (Mc 10,35-45) è il rischio che corre in particolar modo il discepolo che progetta di dare tutto per Gesù, cioè pensare con questo di meritarsi o accaparrarsi un posto privilegiato (“sedere nella gloria alla destra e alla sinistra del Signore”). La risposta di Gesù invece colloca nella giusta direzione: «potete bere il calice che io bevo?» Chiedere di diventare prete è chiedere di servire donando la propria vita allo stesso modo di Gesù. La chiamata di Dio è sempre esigente ed entusiasmante per chi l’ascolta. Ma non si è soli. La liturgia del giorno presentava le Þgure di Aquila e Priscilla (At 18,1-8), una coppia missionaria di sposi che afÞanca San Paolo con amicizia nel lavoro apostolico. Il vescovo concludeva augurando ai sette candidati la grazia di vere e tante amicizie di questo tipo. Così, negli sviluppi della loro domanda, ed in particolare per quanto riguarda Luca, ci siamo anche noi (bello sarebbe poter accogliere un suo compagno che durante la settimana venisse a farci visita come seminarista). Si tratta dei famigliari, degli amici e di tutte le persone che vorranno pregare per il nostro Luca Trainini (o “Luca ciuf ciuf” come amichevolmente viene a volte chiamato sul colle di Muggiò) perché possa correre Þno in fondo sulla strada che il Signore gli mette davanti. don Alberto
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vita parrocchiale
Grest 2008 ... con la collaborazione del COMUNE di ROVELLASCA. dal 10 GIUGNO al 4 LUGLIO per quattro settimane si offre a BAMBINI E RAGAZZI DALLA 1^ ELEMENTARE ALLA 3^ MEDIA l’occasione di stare insieme, di giocare, di divertirsi, di crescere, di trascorrere le vacanze con i propri amici, di imparare qualcosa di nuovo... attraverso l’esperienza dell’oratorio estivo, il famoso.,. GREST! Ci auguriamo che le famiglie condividano gli obiettivi educativi proposti, partecipino ai momenti di festa e, per quanto possibile, diano la disponibilità a collaborare per le necessità tecniche... Se l‘esperienza NON È NUOVA, INVITA I TUOI AMICI E VIVILA INSIEME A LORO... p Se l’esperienza È NUOVA, PROVA A SCOPRIRLA...!
La giornata del Grest: Ore 13,40; si aprono i cancelli. Ore 14,00: si inizia (inno, preghiera)... e si gioca. Ore 16,00: merenda. Ore 16,30: riprendono le attività. Ore 17,45 (il venerdì alle 17,15): tutti sotto il portico! Ore 18,00 (il venerdì ore 17,30): conclusione, ciao e a domani... PULIZIE A GRUPPI ogni giorno 1 squadra diversa
La s ett i ma na d el G II M (tran E res R n si v t: a in e la p COLED ri Ì
m GI mod TA e v a settim er u lo di v rà con ana) Il V olta se ENE sa r à in v g n a t o R olta di p alle 1 DÌ la c . 7, 3 a r te h cipa 0 per iusura re a pe r m lla ett ore 1 8, 0 0 Messa ere dell . e un
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Va gg 1. In orma e il f ). a far ” (CO Verde a in Sp rco “ O). 2 . Pa gna (S i Spa d n 3. Pia
Venerdì 4 luglio: FESTA conclusiva del GREST Domenica 6 luglio alle 21,00: Musical “PETER PAN” 6
vita parrocchiale
20 - 26 luglio campo medie (i - ii - iii) a esino lario (lc) 27 luglio - 3 Agosto campo superiori (dalla i alla iv) san giuseppe (so) infor informazioni dettagliate verranno comunicate in apposite riunioni verr prima della partenza. prim
16 - 2 24 agosto in ca cammino verso santiago de compostela aperto a ragazzi e ragazze aper dalla quarta superiore in poi dall d per p er l le iscrizioni rivolgersi a don alberto
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vita parrocchiale
Il Consiglio Pastorale Parrocchiale
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a nostra Parrocchia vivrà, nel mese di settembre, il rinnovo del Consiglio Pastorale. È un momento importante, soprattutto se lo si inquadra nelle parole del Papa e del nostro Vescovo Diego, che insistono molto sul concetto di ”comunione”. Il Consiglio Pastorale, infatti, è il principale strumento di questa comunione a livello della Chiesa locale, che si manifesta nella Parrocchia. In particolare nel nostro Consiglio Pastorale la voce dei laici si unisce a quella delle altre componenti del Popolo di Dio, per trovare tutti insieme le vie più opportune per comunicare il Vangelo ad un mondo in continuo cambiamento. Parlare, ascoltare, confrontarsi: da sempre la Chiesa ha usato questo metodo, che Þn dalla primissima Comunità cristiana, aiuta a vivere
nella fede, cercando di attualizzare la volontà di Gesù. È quanto abbiamo cercato di realizzare Þno ad ora. E, con l’aiuto di Dio, è quello che ancora cercheremo di costruire. Riporto qui di seguito la parte dello Statuto relativa alla natura ed alle Þnalità del Consiglio Pastorale Parrocchiale, aggiungendo che lo stesso Statuto prevede l’ineleggibilità dopo aver svolto due mandati consecutivi, per evitare presenze a vita e per dare la possibilità al maggior numero di persone possibile di conoscere più a fondo la Parrocchia e dare il proprio contributo alla sua crescita, oltre che a formarsi un più radicato senso ecclesiale. don Roberto
Statuto del Consiglio Pastorale di Rovellasca Natura Nella Chiesa, Corpo di Cristo e popolo di Dio, tutti hanno pari dignità, in quanto tutti i cristiani hanno ricevuto il Battesimo, sacramento costitutivo della Chiesa. È a partire da questo Sacramento che si sviluppano le varie vocazioni, i vari carismi, le varie funzioni o missioni. Infatti, dice la A.A. al n. 2: la Chiesa è nata con il Þne di rendere partecipi, mediante la diffusione del regno di Cristo su tutta la terra a gloria di Dio Padre, tutti gli uomini della redenzione salviÞca e ordinare effettivamente per mezzo di essi il mondo intero a Cristo. Tutta l’attività del corpo mistico ordinata a questo Þne si chiama apostolato, che la chiesa esercita mediante tutti i suoi membri, naturalmente in modi diversi; la vocazione cristiana infatti è per sua natura anche vocazione all’apostolato. Come nella compagine di un corpo vivente nessun membro si comporta in maniera puramente passiva, ma insieme con la vita del corpo ne partecipa anche l’attività, così nel corpo di Cristo, che è la chiesa, tutto il corpo “secondo l’attività propria ad ogni singolo membro... contribuisce alla cresita del corpo”. (Ef 4,16). Anzi in questo corpo è tanta l’armonia e la compattezza delle membra (cf. Ef 4,16), che un membro, il quale non operasse per la crescita del corpo secondo la propria attività, dovrebbe dirsi inutile per la chiesa e per se stesso. Nella chiesa c’è diversità di ministero ma unità di missione. Gli apostoli ed il loro successori hanno avuto da Cristo la funzione di insegnare, santiÞcare e governare in suo nome e con la sua autorità. Ma i laici, resi partecipi della funzione sacerdotale, profetica e regale di Cristo, nella missione di tutto il popolo di Dio assolvono compiti propri nella chiesa e nel mondo.
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vita parrocchiale
2. La parrocchia, individua nel C.P.P. il luogo privilegiato dove tutta la Comunità si sente espressa e riunita attorno al parroco, come rappresentante del Vesovo. 3. Il C.P.P. che ha voto consultivo, è chiamato ad essere luogo di dialogo, di collaborazione e di fraternità, nello spirito della corresponsabilità.
Finalità 4. Il C.P.P., per rispondere alle Þnalità per le quali è costituito: • si impegna con il parroco a studiare la situazione della Parrocchia nei suoi vari aspetti • si impegna ad individuare i problemi ed i settori di pastorale e a suggerire come affrontarli e risolverli • si impegna a proporre metodi e strumenti per la concreta realizzazione nella Parrocchia del Piano pastorale Diocesano. • si impegna ad indire almeno una volta all’anno un’assemblea pastorale parrocchiale per raccogliere le esigenze della Comunità ed informarla sulle scelte pastorali fatte
Resoconto del gruppo “Famiglie giovanissime” – anno 07/08
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nche quest’anno si sono svolti, con cadenza mensile, gli incontri del gruppo “famiglie giovanissime” (a proposito, non ci eravamo ripromessi di trovarci un nome?). Durante il primo incontro, insieme a Don Roberto abbiamo scelto i temi che più ci potevano interessare: la presenza di Dio nella famiglia; la tolleranza tra culture e/o religioni diverse; l’apertura della famiglia agli altri etc.. Ne sono usciti, quindi, spunti di rißessione che ognuno di noi, prima nella sfera personale, poi in coppia ha approfondito ed inÞne esternato durante l’incontro. Temi “seri” che hanno acceso vivaci discussioni (come quella della tolleranza tra religioni diverse, vi ricordate?), belle testimonianze di vita vera, ma anche alcuni dubbi che Don Roberto ha saputo chiarire e circoscrivere in una sfera spirituale. Alcuni temi, infatti, non erano proprio facili da affrontare, nè la lettura e l’interpretazione
di certi testi lo era, ma Don Roberto è riuscito a sempliÞcarceli e ad inserirli nella nostra vita quotidiana, rendendoceli anch’essi interessanti e “familiari”. La vivacità degli interventi ha dimostrato un bell’afÞatamento del gruppo e una medesima condivisione di valori, quali il senso della famiglia, l’apertura agli altri, l’accoglienza e il rispetto delle idee altrui. Tale afÞatamento si è protratto nella cena post-incontro, in cui, oltre a ricommentare insieme - in un’atmosfera più rilassata ed informale - le conclusioni trovate, si è potuto godere anche di un buona cucina (complimenti al Sig.Zauli!), di una bella compagnia (grazie anche alla presenza di Don Alberto ) e di una sana allegria (che vivacità tutti quei bimbi!!). Grazie allora a tutti e arrivederci a settembre! Stefania e Paolo con Mattia
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vita parrocchiale
Famiglie in festa “oltre le mura…”
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a festa della Famiglia non è una celebrazione facile da capire. Mi sono subito chiesto: che insegnamento può dare a noi oggi celebrare questa festa? Che insegnamento può dare a noi oggi la famiglia di Nazareth, ma anche la famiglia di Abramo e di Sara? Una caratteristica che è un po’ il Þlo conduttore di tutte le loro azioni è che si esprime come la comune Þducia in Dio e l’abbandonarsi alla sua volontà per diventare collaboratori del suo disegno di salvezza. La famiglia è il crocevia di tutte le esperienze dell’uomo, è il luogo d’incontro tra le generazioni, è la dimora in cui avvengono le cose più espressive ed importanti, per la formazione della personalità; perciò attraverso la famiglia passa il destino dell’uomo. Uno dei momenti famigliari più belli è quello di “far festa insieme”, in altre parole del ritrovarsi per un’occasione di svago che valorizzi lietamente il gusto della compagnia e del vivere insieme. Quest’anno, in occasione della “IIIª Festa della Famiglia” si è voluto creare all’interno del nostro oratorio maschile, uno spazio aperitivo d’accoglienza per tutte le famiglie, percorsi culturali, laboratori creativi, animazione teatrale e musicale e tanti giochi, per godere la gioia dello “stare insieme” tra famiglie in uno stile semplice e genuino, abitando l’oratorio come la propria casa ed assaporandone bellezza e qualità, immagini di famiglie che dialogano e crescono insieme, in un’esperienza libera e creativa piacevole per tutti. Gli organizzatori hanno volutamente assegnato un nome e un obiettivo a questa festa e a tutta la manifestazione, un Þlo conduttore che unirà tutte le famiglie di Rovellasca e, il tema “oltre le mura…” ci accompagnerà, prima, durante e dopo la festa. 10
Aprirsi oltre le mura…domestiche, è un segno di dialogo e d’accoglienza verso il nostro prossimo, verso la ricerca di nuove relazioni interne ed esterne, verso difÞcoltà economiche e occupazionali, verso i problemi legati all’integrazione dei tantissimi stranieri che vivono e lavorano a Rovellasca, verso DIO. La famiglia negli ultimi tempi ha dato un’immagine disastrosa di se stessa: violenze sui minori, rancori tra stesse famiglie o tra parentele, equilibri fragili, e... le coppie non fanno in tempo a promettersi amore eterno che gia scoppiano. La festa della famiglia ha tra i tanti, lo scopo di riaccendere l’attenzione sui nuclei famigliari, soffermandoci a rißettere sulle problematiche che oggi la investono e la travolgono, come il caro prezzi, lo stipendio troppo basso, il lavoro precario dei nostri giovani, l’incertezza politica e un futuro molto incerto. Questo deve essere il messaggio di questa festa della famiglia, altrimenti diventa una manifestazione paesana, e di quelle, come comunità Rovellaschese, ne abbiamo anche troppe: non ci servono!
Fortunato Franzolin Rappresentante Gruppo Famiglie
vita parrocchiale
Le Beatitudini della Famiglia Beata la famiglia, il cui Dio è il Signore e che cammina alla sua presenza. Beata la famiglia fondata sull'amore, che si mantiene fedele e genera comunione tra i suoi membri. Beata la famiglia aperta alla vita, che accoglie i figli come dono, valorizza la presenza degli anziani, è sensibile ai poveri e ai sofferenti. Beata la famiglia, che prega insieme per lodare il Signore, e insieme partecipa alla Messa domenicale. Beata la famiglia, che trova il tempo per dialogare, svagarsi e fare festa insieme. Beata la famiglia, che non è schiava della televisione e sa scegliere insieme programmi soprattutto educativi. Beata la famiglia, in cui i contrasti non sono un dramma, ma un'occasione per crescere insieme nel rispetto, nella benevolenza e nel perdono vicendevole. Beata la famiglia, dove regna la concordia e la pace: in lei mette le radici la pace del mondo.
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vita parrocchiale
“Non nascono più bambini down !”
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alle ultime statistiche rese note sull’applicazione della legge 194 in Italia si apprende che gli aborti sono diminuiti di circa il 3% nel 2007, rispetto all’anno precedente. Le donne italiane abortiscono di meno, mentre si è registrato un incremento di aborti per le donne straniere, causati principalmente da problemi economici e di alloggio. Ma il dato che più sconcerta è che nascono pochissimi bambini affetti da sindrome di down: l’aborto è utilizzato come scelta eugenetica, di selezione che permette di riÞutare all’origine la vita di un bimbo diverso.
è quella che passa per l’educazione sessuale: i nostri giovani devono fare un uso più consapevole della loro sessualità, considerando che le statistiche dicono che in Italia c’è stato un incremento notevole dell’uso della “pillola del giorno dopo” che impedisce la fecondazione ma crea nella donna una tempesta ormonale che può danneggiare gravemente le funzioni del fegato.
Allargando l’orizzonte verso il mondo, si apprende che solo in India vengono praticati 13 milioni di aborti mentre gli aborti selettivi hanno portato alla riduzione delle nascite di feti femmine, considerate un peso nelle società povere. Nel solo Vietnam negli ultimi anni gli aborti sono stati più numerosi delle nascite. A fronte di queste cifre, numerose persone autorevoli si stanno muovendo per promuovere una moratoria degli aborti nei paesi del sud del mondo, per promuovere una nuova cultura di tutela alla vita indifesa. In Cina è in corso un acceso dibattito all’interno del partito unico per veriÞcare la validità della legge che prescrive alle coppie di avere un unico Þglio e quindi di causare la soppressione delle femmine, considerate un peso in quanto destinate a lasciare la famiglia di origine con il costo della dote, mentre il Þglio maschio diventerà una fonte di guadagno e si occuperà dei genitori anziani. La sÞda in Italia è quella di promuovere la pre- La continua soppressione delle femmine sta venzione attuando meglio la legge 194 ed inol- causando uno squilibrio della popolazione. tre di permettere al personale medico di poter Tuttavia queste importanti decisioni per esercitare liberamente l’obiezione di coscienza. Sta aumentando la convinzione che il no alla una moratoria si devono coordinare con una vita, mediante l’aborto, faccia davvero male alla seria politica di pianiÞcazione famigliare percoppia ma anche a tutto il nostro Paese: quindi ché la quantità di risorse disponibili nel mondo molti più medici chiedono di esercitare l’obie- sono Þnite e non è possibile procedere con un aumento della popolazione in modo continuo. zione come diritto per la difesa della vita. Tuttavia la moratoria dell’aborto in Italia deve Occorre intraprendere da parte dei governi una essere accompagnata anche da un impegno per seria educazione delle popolazioni per il rispetl’accoglienza della vita. Le famiglie che decido- to della vita e per i metodi che permettono di no di non abortire devono essere aiutate a cre- contenere le nascite, mentre le Nazioni più ricscere i Þgli e noi cristiani siamo chiamati in pri- che si devono impegnare ad una ri-distribuzioma persona ad un sostegno concreto a queste ne delle risorse (che richiede anche una riduzione delle armi!) per dare una vita dignitosa alle famiglie. famiglie del mondo povero. Giovanni Un’altra strada per la riduzione dell’aborto 12
vita parrocchiale
Marco Beck e la sua poetica familiare
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Aprile ore 10.30, mentre in un’assolata domenica, Rovellasca pian piano si risveglia, ecco che nel cuore del centro cittadino l’associazione Tabor è riuscita ha portare a Rovellasca uno dei massimi esponenti della poesia contemporanea nostrana: Marco Beck, con lo scopo di unire la poesia con il vissuto famigliare dell’artista. “Incurabilmente allergico all’oscurità e all’enigmistica, il mio linguaggio poetico ha sempre perseguito l’obiettivo di una chiarezza comunicativa al limite dell’eresia”, questa è la carta d’identità di Marco Beck, raccolta nel “postscriptum” alla seconda edizione del “Pane sulle acque”, raccolta di liriche apparsa nel 2003. Il racconto di Beck appare subito come un diario di appunti, ripercorriamo insieme a lui viaggi, emozioni, stati d’animo e tappe di vita quotidiano - familiare. Ecco la chiave di volta! l’autore è riuscito a farci entrare all’interno della “sua casa”: “fu allora che intensiÞcai/ la stretta con la quale/ già serravo la sua mano/nella mia:/quasi una misura/di reciproca difesa.” inserisce rißessioni “altre” e “alte”, su tutte capeggia il suo grido di dolore per l’11 settembre in “Croci gemelle” (New York è il nuovo Golgota e gli aerei-kamikaze sono la lancia che traÞgge il cuore di Cristo); oppure nel capitolo “Sulla terra, sull’acqua e nei cieli” dove Beck si diverte a riscrivere un suo vangelo apocrifo e inventa la splendida Þgura di Jonas, “pescatorepeccatore”: alter-ego dell’autore, padre di due Þgli, proprio come Beck (i cui Þgli compaiono di continuo nelle sue liriche), che non riesce a seguire Cristo, che passa sul mare di Galilea a chiamare i suoi “pescatori di uomini”. “A partire da quel giorno, il lago è andato impoverendosi di prede, e per noi rimasti a casa l’impegno è diventato aspro, ingrato, sempre più infruttuoso” l’amara constatazione di aver perso la chiamata diventa recriminazione per essere rimasto a casa, per essersi “attardato”, ma non conduce alla disperazione, perché come spiegherà il Cavalleri nella postfazione al libro - è proprio la quotidianità che “diventa luogo in cui fanno irruzione l’eternità e la trascendenza”. Il rimpianto di Jonas-Beck si trasforma, nell’ultimo verso, nella gioia e nel riso dell’improvvisa illuminazione. C’è una “breccia” dove l’eternità passa,
c’è una feritoia (che è anche ferita) in cui quella dura fortezza che è l’uomo si lascia attraversare dalla luce, quella luce che altro non è che la grazia di Dio. In “Se tutto fosse grazia”, il poeta citando Bernanos e il suo “tutto è grazia”, ci mette in guardia dagli abbagli dalla letteratura deÞnita “metamorfosi del sordido in sublime” e opta per la vita, quella vita qui colta in un momento di quiete coniugale, che ricorda la Þnale “Dedica a mia moglie” di Eliot. “Eppure, tale in questi ultimi risvegli” “un albore di pace mi pervade, che sarei tentato di dire in una balbettante preghiera silenziosa il mio stupore. Ma Þnisco col sentirmi attratto nel respiro sensualmente puro della donna che mi dorme accanto”. Questa scena così intima non può non rinviare agli ultimi versi del grande poeta inglese quando descrive “il respiro comune di due che si amano, e i corpi profumano uno dell’altro, che pensano uguali pensieri e non hanno bisogno di parole e si sussurrano uguali parole che non hanno bisogno di signiÞcato”; dove quel “sussurrare” tradotto non rende l’idea dell’originale inglese “bubble”, meglio reso dal “balbettare” di cui parla il poeta milanese. Poeta a un tempo innamorato e balbettante, timido e coraggioso, familiare e solare, Beck si dimostra artista versatile capace di cantare con uguale forza il destino dell’uomo, lo splendore dell’universo e la Þne della storia e insieme la minuziosa e descrizione delle piccole gioie quotidiane... della vita familiare.! Associazione Tabor
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Chiesa della Madonna Immacolata, cantun Mambruck
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inalmente le campane sono tornate a suonare!! Dopo molti mesi di silenzio venerdì 2 maggio, alle ore 21, al termine di una partecipata celebrazione del S. Rosario le campane hanno Þnalmente liberato nell’aria il loro suono gioioso. In questa occasione, come regalo speciale, molti adulti e bambini hanno avuto il piacere di tirare le corde che ancora muovono le campane contribuendo ad un concerto non particolarmente accordato ma sicuramente simpatico. A completamento della piccola festa è stato posto, all’esterno della Chiesa, un piccolo reportage dei lavori abilmente eseguiti dall’impresa Quarti di Rovellasca e Consagra di Saronno . Il campanile è stato completamente ristrutturato ed è stato recuperato sia dal punto di vista strutturale che dal punto di vista estetico. I lavori di sistemazione della Chiesa dell’Im macolata non sono però ancora terminati e proseguiranno nei prossimi mesi con la deÞnitiva sistemazione del corpo di fabbrica principale che è ancora gravato da proble14
mi di umidità presenti nelle murature perimetrali. A questo punto dei lavori è doveroso ringraziare chi ha generosamente offerto il proprio contributo economico e di impegno per la nostra amata Chiesina . Ringraziamo l’Amministrazione Comunale di Rovellasca che ha contribuito con un sostanzioso contributo economico e per la collaborazione alla soluzione dei problemi. Un particolare ringraziamento alla Soprintendenza per i Beni Architettonici che ha Þnanziato la manutenzione straordinaria delle campane con la revisione della struttura del castello che è ora ammortizzata... Un grazie speciale deve essere indirizzato al responsabile regionale di questa struttura Dott. arch. Alberto Artioli anche per la professionalità ,disponibilità e gentilezza dimostrata in ogni occasione e della quale, noi tecnici, abbiamo qualche volta “approÞttato”. Grazie alla ditta Pedersini PTG srl di Rovellasca che ha donato, la croce completamente e magistralmente realizzata a copia dell’originale che ora svetta in cima al nostro campanile . Grazie anche all’associazione “Cantun Mambruck” per il contributo economico importante ma anche per il continuo supporto e sostegno di tutti gli iscritti e del loro presidente Luigi Giobbio alla Chiesa dell’Immacolata. La loro presenza è stata essenziale per la realizzazione dell’opera. Grazie a tutti coloro che hanno contribuito anonimamente con una piccola offerta, tante gocce fanno un mare! grazie ! ing Danilo Borella
vita parrocchiale
Una nota doverosa
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a cittadinanza concordemente ringrazia Sono parole degnissime che non tramontano: la Spett.le stimata Amministrazione Co- per lume di verità e di preghiera! munale per l’eccellente restauro effettuaG.V. to sul grande CROCIFISSO del Castiglioni che domina ed onora il Cimitero di ROVELLASCA: ai vivi memoria terrena di Speranza eterna per i Defunti della loro gente. Alla Sacra Immagine ben si addicono le seguenti voci poetiche: “E la Bontà di Dio ha sì gran braccia che prende ciò che si rivolge a Lei”. (Dante) “Le braccia di Pietà che al mondo apristi, caro Signor, dall’Albero ferale piegale a noi che peccatori e tristi Teco aspiriamo al secolo immortale”. (Carducci)
Grazie delle Vostre preghiere
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ari fratelli in Cristo, vorrei raccontarvi la bella esperienza che ho vissuto recentemente in occasione della mia malattia. Inizialmente mi sono rivolta al Padre chiedendogli se non avessi già sofferto abbastanza nella mia ormai lunga vita. Poi rißettendo mi sono resa conto che quel che capitava non poteva essere senza senso e che tutto poteva preludere a una nuova esperienza. Per cui con tutta la sincerità, di cui sono stata capace, ho vissuto la situazione che si andava delineando e mi sono rimessa alla volontà di Dio Padre chiedendo solo la serenità necessaria per affrontare la prova. Ho passato il tempo della preparazione all’operazione tra esami ed analisi con serena pazienza. A mano a mano che si avvicinava il tempo dell’operazione ero sempre calma e serena tanto che ho potuto vivere la parola del salmista (130) “Io sono tranquillo e sereno come un bimbo svezzato in braccio a sua madre, come un bimbo svezzato è l’anima mia”. Sono certa che ciò avvenisse per tutte le preghiere fatte per me dai miei cari, amici che mi erano
vicini spiritualmente e non ultime le preghiere della Comunità che ogni mattina, pregando le lodi, afÞda a Dio i fratelli e le sorelle che sono in qualsiasi genere di difÞcoltà, oltre alle intenzioni della Chiesa. So che c’è stato un ricordo particolare per me. Questo mi ha fatto sentire parte viva della Comunità, io che pur abitando da tanti anni a Rovellasca e frequentando assiduamente la Chiesa, mi sono sentita sempre un po’ “forestiera”. Ora tutto questo ha portato tanta pace nel mio cuore perché Þnalmente capivo e vivevo la bella realtà della fratellanza in Cristo. Di tutto ho ringraziato e ringrazio il Signore e chiedendogli che benedica ognuno che si è ricordato di me in questa mia prova e mi aiuti ad essere sempre più unita a questa mia Comunità. Ecco come attraverso questa prova ha scoperto la bellezza di stare insieme per amare di più Dio e i fratelli che ci pone accanto. Spero di non avervi annoiato ma mi sembrava giusto condividere con Voi questa bella esperienza. 15
vita parrocchiale
Grazie!
A
I
nome di tutti gli uomini, le donne e i ral gruppo parrocchiale si occupa da due anni gazzi dell’Asia, Africa e America Latina di diffondere stampa missionaria sottoscria cui offrite la possibilità di lavorare in vendo l’abbonamento a tre riviste mensili, cambio di una giusta retribuzione, in condizio- che si occupano di intercultura, solidarietà, ni dignitose e sicure, nei propri Paesi d’origine, mondialità che trovano posto sul distributore in nel rispetto dell’ambiente. fondo alla Chiesa e a cui è possibile abbonarsi.
Va ricordato che il commercio equo e solidale è un modello alternativo al commercio tradizionale, basato su rapporti diretti con i produttori dei paesi del Sud del mondo fondati sull’equità, sulla solidarietà, sulla lealtà e sulla democrazia. Il suo scopo è promuovere giustizia sociale ed economica e favorire lo sviluppo in equilibrio con l’ambiente attraverso gli scambi, la formazione, la cultura, l’azione sociale. Le “Botteghe del Mondo” che vendono prodotti del commercio equo e solidale sono gestite dai Responsabili Bottega e da volontari che, con inÞnito entusiasmo, offrono il loro tempo gratuitamente. A Rovellasca continueremo ad offrire questo servizio il secondo sabato e la seconda domenica di ogni mese; ci scusiamo se la nostra presenza, a causa degli impegni personali delle volontarie, talvolta non è regolare. Siamo in attesa di “rinforzi”, magari giovani, sicuramente interessati alle tematiche attinenti i rapporti fra Nord e Sud del mondo e piú in generale all’economia solidale nelle sue diverse espressioni. Visitando il sito www.garabombo.it potrete saperne di più sia sull’argomento in generale sia sulle campagne e le iniziative particolari della nostra provincia. 16
Il Piccolo Missionario - per gli amici e per i più giovani solamente PM - è una rivista per bambini, bambine, ragazzi e ragazze dagli 8 ai 15 anni. Tuttavia può vantare lettori e lettrici di ogni età, addirittura genitori e nonni che hanno saputo apprezzarla durante gli 80 anni di vita che si ritrova addosso. Il PM è una colorata e accattivante, che non si trova in edicola ma si riceve a casa solo su abbonamento. Usa un linguaggio semplice e diretto per comunicare temi importanti quali la mondialità, la solidarietà, il rispetto delle persone (soprattutto dei bambini) e della natura. È una rivista che racconta la vita dei popoli del Sud del mondo e di coloro che, nel nome di Gesù, si mettono al servizio dei poveri con l’annuncio del Vangelo e l’impegno per costruire un mondo più bello e più giusto per tutti. È divertente, simpatica e istruttiva, piena di rubriche, giochi, schede, fumetti, barzellette, racconti, testimonianze e tutto ciò che può aiutare lettori e lettrici a crescere con la testa e con il cuore. Per saperne di più visitate il sito www.bandapm.it e potrete divertirvi ad esplorare il mondo attraverso favole, proverbi, ricette, poesie, notizie…
Il termine Nigrizia deriva dal latino nigritia: paese dei neri (corrisponde al nome “Sudan”). Nata nel gennaio 1883 per dare notizia della
vita parrocchiale vita delle missioni in Sudan e delle popolazioni che lo abitavano, Nigrizia col passare degli anni ha cominciato ad occuparsi del continente africano anche nella sua realtà sociopolitica, economica, culturale. Nel 1958 interpreta la propria testata come sinonimo di “negritudine” e si pone come voce dell’Africa e del mondo nero per il pubblico di lingua italiana. Negli ultimi decenni la rivista mensile dà sempre più importanza alle relazioni Nord/Sud, con particolare attenzione agli effetti del sistema economico sul continente e ad una pluralità di “Afriche”. Sul versante missionario, il dialogo interreligioso si rivela come una delle sÞde più signiÞcative. Mentre sul fronte italiano si moltiplicano le occasioni di intervento: oltre alla cooperazione, il nuovo fenomeno dell’immigrazione e il lancio o la partecipazione a campagne di opinione e azione. Nigrizia è edita dalla Provincia Italiana della congregazione dei Missionari Comboniani del Cuore di Gesù (ente ecclesiastico Collegio Missioni Africane).
Giovanni Battista Tragella (1885-1968), titolare della prima cattedra di missiologia in Italia; padre Piero Gheddo, uno dei volti più noti del giornalismo italiano (non solo missionario), che ha diretto la rivista per ben 35 anni, dal 1959 al 1994. Mondo e Missione ora è diretta da padre Davide Sciocco, per 12 anni missionario in Guinea Bissau, e da Gerolamo Fazzini (condirettore). Negli scorsi decenni Mondo e Missione si è distinta nel panorama della stampa italiana per le coraggiose campagne, per reportage e servizi speciali su questioni e temi controversi: la guerra del Vietnam, il comunismo e la repressione religiosa in Cina, il Sudafrica dell’apartheid, la guerra civile in Libano, la teologia della liberazione, le politiche di sviluppo nel terzo mondo, la natura della missione della Chiesa, il dialogo interreligioso… Dal 2003 la rivista ha adottato una rinnovata veste graÞca ed editoriale, con nuovi servizi e rubriche.
Visitare il sito www.mondoemissione.it o Sul sito www.nigrizia.it potrete avere tutte le www.pimemilano.com permette di conoscere informazioni utili per conoscere meglio il men- tutte le iniziative e i contenuti della rivista, nonsile. ché di averne una copia gratuita.
Mondo e Missione, Þno al 1969 Le Missioni Cattoliche, è tra la più antiche riviste missionarie d’ Europa. Nata nel 1872 e diffusa in abbonamento, è divenuta nel tempo una delle più autorevoli testate missionarie italiane. Dalla fondazione ad oggi si sono alternati alla guida della rivista 20 direttori, tra i quali alcune Þgure di spicco del movimento missionario in Italia: padre Paolo Manna (1872-1952), recentemente beatiÞcato da Giovanni Paolo II, fondatore delle PontiÞcie opere missionarie; padre
Il gruppo missionario è composto da circa una decina di persone che si ritrovano una volta alla settimana e con maggiore frequenza nei casi di particolari necessità. Il ritrovo del gruppo è il giovedì alle ore 15,00 nei locali Parrocchiali in via Carducci.
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responsabilità
Come trasmettere la fede e i valori ai nostri figli?
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giovani oggi non hanno più valori? O sono le famiglie che non sanno più trasmetterli? La famiglia è una comunità plurinarrativa, in cui il racconto serve a comunicare affetti, a discutere di quel che si fa, a rassicurare, a trasmettere norme e saperi, non solo ad informare. Davanti ai Þgli, il genitore ha la visione di una continuità oltre il raggio individuale della propria esistenza. Di colpo, non è più il single postmoderno che vive nell’assoluto presente; intuisce che sta per consegnare ai suoi discendenti qualcosa, che a sua volta gli è stato consegnato dai padri e dagli avi. Questo qualcosa - le conquiste della civiltà, dell’esperienza personale e familiare, i costumi, la visione del mondo - è la Tradizione. Un concetto dal signiÞcato positivo (le radici della nostra identità, la saggezza degli anziani) ma anche negativo (una certa rigidità e chiusura alle innovazioni, la nostalgia come critica e riÞuto del tempo presente). Quale discernimento e responsabilità? “Vi ho trasmesso quello che anch’io ho ricevuto.” (1 Cor 15,3) Gesù disse loro: «Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo». (Marco 16,15) I genitori educano i loro Þgli alla fede cristiana principalmente con l’esempio, la preghiera, la catechesi familiare e la partecipazione alla vita ecclesiale. (Compendio Catechismo della Chiesa Cattolica, 461) La famiglia, come la Chiesa, deve essere uno spazio in cui il Vangelo è trasmesso e da cui il Vangelo si irradia. Dunque nell’intimo di una famiglia cosciente di questa missione tutti i componenti evangelizzano e sono evangelizzati. I genitori non soltanto comunicano ai Þgli il Vangelo ma possono ricevere da loro lo stesso Vangelo profondamente vissuto. E una simile 18
famiglia diventa evangelizzatrice di molte altre famiglie e dell’ambiente in cui è inserita. (Evangelii Nuntiandi, 71). LA RIFLESSIONE I genitori cristiani solitamente si preoccupano che i loro Þgli siano dei bravi ragazzi, buoni, generosi, che vadano bene a scuola, che sappiano stare con gli altri, che siano capaci di costruire delle buone amicizie… Si tratta senza dubbio di aspetti umani di fondamentale importanza e da coltivare con impegno. Tuttavia un cristiano non può dimenticarsi di educare i propri Þgli alla fede o pensare che essa sia soltanto un optional. È triste vedere che anche dei buoni genitori cristiani, mentre si fanno in quattro perché ai loro Þgli non manchi niente delle cose materiali, non si curano di dar loro l’unica realtà vera ed eterna, quella che non invecchierà mai, che sarà la forza della loro vita, che vale più di qualsiasi istruzione, di qualsiasi eredità o conto in banca: la fede. COME AGIRE? • Educhiamo i piccoli al trascendente, al rispetto della dignità della persona, allo sforzo, alla gratuità, alla critica e alla responsabilità. Educhiamoli ai valori umani: i nostri ragazzi devono vedere che, al di sopra dei soldi, del lavoro, del successo, del divertimento, stanno i grandi valori umani, quali l’amore, l’amicizia, la pace, la giustizia, la fratellanza, la solidarietà, il dialogo… • Cosa vuol dire “trasmettere la fede”? Non si tratta semplicisticamente di insegnare preghiere, di recitare formule, di imparare i comandamenti; non è trasmissione di un sapere religioso. È testimoniare un rapporto convinto, autentico, vivo, vitale e trasformante. C’è bisogno di sintesi morali, come questa: Dio al primo posto, l’uomo al secondo posto, le cose al terzo posto. • Come parlare di Dio ai bambini in modo a loro comprensibile? Parlando di volto, di occhi pieni di bontà, di mani che ti accarezzano, di braccia forti che ti portano in braccio… I bambini sono logici e concreti: non comprendono i concetti astratti,
responsabilità i ragionamenti teorici: il loro mondo è fatto di volta ad una mostra, un visitatore fece notare immagini e fantasie che hanno sempre un ri- al pittore un particolare curioso. scontro tangibile con la realtà. «Nel suo quadro c’è un errore. La porta è senza maniglia». «Non è un errore» gli rispose il Una storia da raccontare… pittore. «Quella è la porta del cuore umano. C ‘è un quadro famoso che rappresenta Gesù Si apre solo dall’interno». in un giardino buio. Con la mano sinistra alza Gruppo Zero una lampada che illumina la scena, con la destra bussa ad una porta pesante e robusta. Quando il quadro fu presentato per la prima
A proposito di … responsabilità dell’insegnante
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a scuola è il luogo dove un individuo trascorre un periodo importante della propria vita, dove acquisisce le conoscenze, le capacità, le competenze di base e scopre molte delle regole, degli atteggiamenti e dei valori che dovrà poi continuare a sviluppare nel corso degli anni. Per questo alla scuola viene afÞdato il compito di far crescere in ogni studente la capacità di “continuare ad imparare durante tutto l’arco della vita”: ad essa, cioè, si chiede di avviare un percorso di apprendimento permanente. La necessità di soddisfare le esigenze educative di ogni singolo alunno solleva inevitabilmente numerosi interrogativi sugli obiettivi educativi e didattici, sull’organizzazione scolastica, sul ruolo stesso dell’insegnante e sulla responsabilità che egli ricopre all’interno di questo processo. Oggi al docente si chiede di essere un insegnante attento, a cui interessano i propri allievi e non solo ciò che insegna, che non si arrende davanti alle innumerevoli difÞcoltà, interne ed esterne, che l’insegnamento pone. Dal canto suo egli è sollecitato a fare scelte e a prendere decisioni che, a volte lo lasciano insoddisfatto, in quanto fa fatica a percepi-
re risultati proporzionati agli sforzi compiuti o comunque non ha l’impressione di avvicinarsi all’obiettivo preÞssato. Credo comunque che un insegnante sia veramente tale quando riesce a pensare su tempi lunghi, quando si convince che ha del tempo a disposizione e che, in questo tempo, vale la pena di investire spazi e risorse. L’interesse che egli deve avere per l’allievo non deve concretizzarsi perciò in un generico rapporto che deve dare soddisfazioni nell’immediato, ma nella realizzazione di un progetto educativo e didattico a lungo termine, per la cui realizzazione occorrono Þducia, coinvolgimento e attenzione. Spetta dunque all’insegnante non solo la responsabilità di aiutare gli alunni a fornire “risposte giuste”, ma anche quella di aiutarli a guardare la realtà che è fatta di segni, a capire questi segni e, ancor più profondamente, a uniÞcare gli stessi segni attraverso un senso che dia chiarezza, consapevolezza, che faccia crescere in loro curiosità e il desiderio permanente di conoscere. Ritengo che in tutto questo consista la responsabilità dell’insegnante di oggi! Un’insegnante
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responsabilità
Le crisi umanitarie dimenticate... dai media
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edici Senza Frontiere ha pubblicato lo scorso marzo il nuovo rapporto sulle crisi umanitarie dimenticate dai media nel 2007. Il rapporto contiene la “top ten” delle crisi umanitarie più ignorate nel mondo e un’analisi realizzata in collaborazione con l’Osservatorio di Pavia sullo spazio dedicato alle crisi umanitarie dai principali telegiornali della televisione generalista in Italia. Le dieci crisi umanitarie identiÞcate da Medici Senza Frontiere come le più ignorate sono: Somalia, Zimbabwe, tubercolosi, malnutrizione infantile, Sri Lanka, Repubblica Democratica del Congo, Colombia, Myanmar, Repubblica Centrafricana e Cecenia. L’analisi delle principali edizioni (diurna e serale) dei telegiornali RAI e Mediaset mostra, innanzitutto, un calo delle notizie sulle crisi umanitarie nel corso del 2007, che passano dal 10% del totale delle notizie (dato 2006) all’8% (6426 notizie su un totale di 83200). Di queste, solo 5 sono quelle dedicate alla Repubblica Democratica del Congo, dove il conßitto continua a infuriare nell’est del paese, e nessuna alla Repubblica Centrafricana, dove la popolazione è intrappolata nella morsa degli scontri tra gruppi armati, e dove lo scorso giugno un’operatrice umanitaria di MSF è stata uccisa in un attacco. Una tendenza già riscontrata nei precedenti rapporti è quella, da parte dei nostri media, di parlare di contesti di crisi solo laddove riconducibili a eventi e / o personaggi italiani o comunque occidentali. Emblematici in questo senso sono la crisi in Somalia, cui si fa riferimento soprattutto in occasione di vertici politici cui partecipa il governo italiano o dell’omicidio di Ilaria Alpi; la guerra in Sri Lanka di cui si parla esclusivamente in occasione del ferimento dell’ambascia-
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tore italiano; la Colombia che entra nell’agenda dei notiziari soprattutto per il sequestro di Ingrid Betancourt, in questo paese il conßitto tra governo, gruppi guerriglieri come FARC e ELN e gruppi paramilitari ha provocato la fuga di oltre 3 milioni di persone, portando la Colombia al terzo posto tra i paesi con il più alto numero di sfollati dopo Repubblica Democratica del Congo e Sudan. Alla tubercolosi, che ogni anno provoca due milioni di vittime, e a cui nel 2006 erano state dedicate solo tre notizie, nel 2007 i TG hanno dedicato 26 notizie, di cui tuttavia ben 15 sulla vicenda di un americano affetto da una forma di tubercolosi resistente ai farmaci che viaggiava in aereo tra Stati Uniti ed Europa. Il Darfur, dove il conßitto tra il governo del Sudan e i diversi gruppi di opposizione armata ha provocato lo sfollamento di oltre due milioni di persone dal 2004, ha visto una copertura mediatica maggiore rispetto al 2006. Le notizie, tuttavia, erano soprattutto relative a iniziative di raccolta fondi e di brevi visite di personaggi celebri del mondo dello spettacolo. Alla malnutrizione, che ogni anno uccide 5 milioni di bambini sotto i 5 anni, sono state dedicate solo 18 notizie, la maggior parte delle quali in relazione a generici appelli del Papa conto la fame nel mondo e alla campagna “Il Cibo non Basta” di Medici Senza Frontiere per promuovere l’utilizzo degli alimenti terapeutici pronti all’uso per combattere la malnutrizione infantile. All’AIDS, che uccide due milioni di persone ogni anno, 54 notizie. Alla malaria, che ne causa una ogni 3 secondi, solamente 3.
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L’interesse più alto?... quello di tutti!!!
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a Commissione Europea deÞnisce la Responsabilità Sociale d’Impresa come “l’integrazione su base volontaria, da parte delle imprese, delle preoccupazioni sociali ed ecologiche nelle loro operazioni commerciali e nei rapporti con le parti interessate”. Con questo termine non si intende che le imprese debbano forzatamente seguire determinati accorgimenti, ma volontariamente esse coniugano le proprie strategie commerciali con azioni mirate ad evidenziare la propria gestione responsabile nei confronti dell’ambiente e del territorio in cui operano, cercando di trasmettere questi valori anche ai cosiddetti “stakeholder” (termine anglosassone con cui si indicano i portatori di interessi: clienti, fornitori, personale, Þnanziatori e anche la comunità locale). In un’ottica di competizione globalizzata come quella attuale, le imprese si stanno sempre più rapportando con il pubblico focalizzandosi in un’ottica che non cerchi banalmente la creazione di valore per se stesse, ma attraverso percorsi, cercano di favorire lo sviluppo di una forte attenzione verso le questioni sociali. La “mission” dell’impresa non si limita a servire gli interessi degli azionisti, ma cerca di interagire, attraverso il perseguimento dei propri obiettivi, con tutti gli attori coinvolti direttamente o indirettamente
nell’attività produttiva. Al centro dell’agire c’è l’uomo, il benessere della persona e dell’ambiente in cui vive, l’impresa sociale è solamente uno strumento per la realizzazione di questi obiettivi. Gandhi affermava che il seme sta all’albero come i mezzi al Þne, perciò l’impresa sociale è valida solo nel momento in cui riesce a produrre ricchezza per tutto il genere umano. Attorno al concetto di responsabilità sociale d’impresa ruota il termine di “triple - bottom - line” un modo per poter misurare le prestazioni aziendali sotto il proÞlo economico, sociale e ambientale, l’approccio “triple-bottom-line” signiÞca che le imprese dovrebbero sviluppare investimenti sostenibili e decisioni societarie partendo dalla base (bottom), perseguendo simultaneamente tre obiettivi (triple-line): -) equità sociale; -) qualità ambientale; -) prosperità economica. L’incoraggiamento allo sviluppo di questo interesse dovrebbe portare addirittura ad una crescita aziendale, in base agli aspetti positivi che compensano abbondantemente l’apparente incremento dei costi. Questi aspetti positivi sono la trasparenza, la miglior immagine sociale che si ripercuote anche sulle possibilità più elevate di ottenere Þnanziamenti, il miglioramento delle condizioni di lavoro e lo sfruttamento ottimale delle ri-
sorse umane, che consentono prestazioni migliori o minor assenteismo. Il bilancio sociale che è lo strumento in grado di misurare il risultato delle azioni e delle scelte che un’azienda pone in essere focalizzandosi sugli effetti che produce nei confronti dell’ambiente e dei soggetti con cui si relaziona. Le origini del bilancio sociale risalgono ai primi anni ’70 in concomitanza con lo scandalo “Watergate” dove alcune aziende chimiche e petrolifere statunitensi furono attaccate dall’opinione pubblica con l’accusa di esercitare il lavoro in condizioni pessime e di produrre un forte inquinamento ambientale. Fu allora che il mondo degli affari cominciò a rißettere sul rapporto tra aziende e società e su come poter comunicare al meglio con tutti gli interlocutori economici. Il risultato fu la nascita di un documento deÞnito “bilancio sociale”. La diffusione e il radicamento nel quotidiano di una logica aziendale che comporti responsabilità ci riporta ad un vecchio detto precolombiano: “Questo mondo non ci è stato dato in eredità dai nostri padri, ma in prestito dai nostri Þgli. È nostro dovere restituirlo migliore di prima”. Rupert
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responsabilità
L’importanza e la responsabilità dei nonni.
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utto è cominciato con una telefonata che mi è giunta in ufÞcio: “Sono un nonno. Ho un grave problema: mio Þglio e mia nuora impediscono a me e a mia moglie di vedere il nostro nipotino. Io e mia moglie soffriamo molto. Cosa possiamo fare?”. Sulle prime la telefonata mi ha lasciata perplessa. Certo, era un nuovo cliente, ma la sua richiesta era decisamente molto particolare. E così ho approfondito la questione scoprendo come, in diritto, la Þgura dei nonni ha, da sempre ma, soprattutto attualmente, avuto tutela e riconoscimento. Una recente sentenza della Corte d’Appello di Milano - Sezione della Persona, dei Minori e della Famiglia, ha riportato l’attenzione sull’importanza del rapporto nonni-nipoti evidenziando la signiÞcatività della relazione affettiva che intercorre tra queste due generazioni. Se è vero, infatti, che i mass media tendono a dare rilievo, nei casi di crisi della coppia, alla difÞcoltà del genitore non afÞdatario o non collocatario (vale a dire del genitore che non vive quotidianamente e stabilmente con i minori) - spesso il padre - a mantenere un costante rapporto con i Þgli a causa del comportamento - sicuramente non corretto e poco educativo - dell’altro genitore, è altrettanto vero che, in caso di separazione e di divorzio, anche i nonni risentono della crisi della coppia e si vedono spesso esclusi dal nucleo familiare che si viene a creare a seguito della rottura del rapporto coniugale con conseguente, inevitabile impossibilità di continuare a frequentare i nipoti. Esclusione che, a volte, viene attuata anche da coppie “non in crisi” e per motivi del tutto futili. La realtà della vita quotidiana ha, invero, evidenziato l’importanza del ruolo rivestito dai nonni nella crescita dei nipoti: in famiglie dove padre e madre lavorano entrambi e si assentano, sovente, da mattina a sera, la presenza dei nonni diventa fondamentale, non solo - e non tanto - in quanto strumento utile per la gestione dei Þgli, ma anche, e soprattutto, in quanto portatori di un immenso ed insostituibile bagaglio di memoria e di affetto e dotati di capacità educative che, seppur distinte da quelle dei genitori (e tali devono rimanere, essendo i due ruoli - quello di nonno e di genitori - estremamente differenti), costituiscono valido ausilio nella crescita dei nipoti. Il caso sottoposto al vaglio della Corte milanese riguardava due nonni che, dopo aver cresciuto i nipoti per molti anni, erano stati “esclusi” dal nucleo
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familiare in quanto ritenuti inidonei a crescere ed educare i nipoti da parte dei genitori. Il Giudice, nell’evidenziare il “grande dolore dei nonni” (parole, queste, contenute nel provvedimento) e nel ribadire il diverso ruolo che i nonni devono svolgere rispetto ai genitori all’interno del nucleo familiare, ha sottolineato l’importanza della frequentazione costante tra nonni e nipoti. La decisione si pone nel solco di una giurisprudenza ormai consolidata che ha trovato - anche se parzialmente - riconoscimento nella vigente normativa: la Legge 8 febbraio 2006 n. 54 - ben nota per aver introdotto l’afÞdo c.d. condiviso - ha attribuito alla Þgura dei nonni un signiÞcativo riconoscimento, che va ad aggiungersi a quello più genericamente inteso della persona anziana, evidenziando il ruolo educativo ed affettivo dagli stessi svolto nel nucleo familiare, integro o disgregato, in maniera diversa da quello dei genitori. L’art. 155, primo comma c.c. come modiÞcato dalla Legge 8 febbraio 2006 n. 54 prevede, infatti, che anche in caso di separazione personale dei genitori il Þglio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti signiÞcativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale. Detta norma, dunque, nel riconoscere e tutelare il diritto soggettivo del Þglio minore, anche in caso di separazione dei genitori, di conservare rapporti signiÞcativi con i nonni, ha sancito il venir meno di una dimenticanza legislativa riguardante una Þgura importante nella vita e nella crescita dei minori quali sono i nonni: il diritto del minore alla bigenitorialità - vale a dire a mantenere rapporti con entrambi i genitori in caso di loro separazione - si è arricchito del diritto alla conservazione di rapporti signiÞcativi anche con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale. Le sentenze emesse dai giudici di merito in questo biennio di applicazione della Legge 8 febbraio 2006 n. 54 altro non hanno potuto fare che dare ulteriore conferma applicativa al rilievo giuridico che è stato riconosciuto alla Þgura dei nonni. Già prima dell’entrata in vigore della citata legge, tuttavia, i tribunali avevano affrontato questioni concernenti il nucleo familiare allargato, evitando di lasciare priva di protezione e tutela la Þgura dei nonni e cercando di individuare soluzioni tali da contemperare i diritti relativi alla potestà esclusiva dei genitori con le aspirazione degli altri parenti e dei nonni in particolari. E ciò in quanto i nonni
responsabilità sono stati reputati portatori di un interesse proprio, quello al mantenimento delle relazioni affettive e familiari, di rilievo costituzionale e, come tale, meritevole di protezione giuridica. SigniÞcativa, in tal senso, una sentenza risalente alla metà degli Anni Sessanta in cui i giudici - chiamati a decide del caso di un padre che impediva ai nonni materni di vedere ed avere rapporti con la nipotina nata nel momento in cui la madre (loro Þglia) perdeva la vita - non solo riconoscevano il diritto della minore ad avere visite periodiche con i nonni materni ma, altresì, sancivano l’opportunità per la nipote di trascorrere 15 giorni consecutivi presso l’abitazione dei nonni materni; e ciò sul presupposto che i principi etici dei genitori nell’esercizio della potestà dovevano consistere anche nell’instillare, nell’animo dei Þgli, sentimenti di affetto nei confronti dei nonni e, in genere, di tutti gli altri componenti del nucleo familiare. In epoca più recente tanto i tribunali ordinari quanto i tribunale per i minorenni avevano riconosciuto che, pur non spettando ai nonni un vero e proprio diritto soggettivo di visita nei riguardi del nipote minore in assenza di una norma che tale diritto esplicitamente prevedeva, l’interesse legittimo dei nonni a visitare il nipote trovava incondizionato riconoscimento e piena tutela ogni qualvolta esso fosse venuto a coincidere con l’interesse del minore ad instaurare e mantenere congrui rapporti con i propri congiunti diversi dai genitori, vale a dire allorché la visita dei nonni non avesse arrecato al minore stesso un danno rilevante ed un eventuale divieto dei genitori si fosse posto contro l’interesse della prole ad una ottimale integrazione nell’ambito della parentela. Il quesito che, tuttavia, si poneva più frequentemente all’attenzione del legislatore prima dell’entrata in vigore della legge sull’afÞdo c.d. condiviso, riguardava il diritto di visita dei nonni nei confronti dei nipoti minori nella crisi familiare. Nel nostro ordinamento, infatti, nulla si diceva in merito al rapporto dei Þgli minori con i nonni e, conseguentemente, si veriÞcava spesso che, specie nei momenti iniziali della crisi coniugale, i genitori limitassero, se non addirittura vietassero, i rapporti fra nonni e nipoti, con evidente grave pregiudizio in danno di questi ultimi. Da sempre la giurisprudenza ha riconosciuto che un corret-
to esercizio della potestà genitoriale non potesse tradursi in un divieto ingiustiÞcato che impedisca una regolare e continua frequentazione da parte dei nonni nei confronti dei nipoti minori in quanto è dovere del genitore che esercita la potestà di mantenere vivo nei Þgli l’affetto verso i nonni. Sono state così accolte numerose richiesta di nonni i quali, allontanati senza motivo, hanno chiesto di poter frequentare i Þgli dei Þgli per mantenere un rapporto signiÞcativo, al Þne di tutelare l’obiettivo interesse del minore. E la Corte di Cassazione ha sempre ribadito la necessità di consentire incontri quotidiani tra nonni e nipoti, incontri che non possono avere natura residuale, specie se si tratta di Þgli di genitori separati, essendone stata accertata l’utilità per il minore medesimo. Ancor di più, nei momenti di crisi coniugale e di separazione, il temporaneo afÞdamento dei minori ai nonni è stato costantemente ritenuto dalla giurisprudenza perfettamente compatibile con la titolarità ed i contenuti della potestà genitoriale. Di fronte, quindi, ad un atteggiamento coattivo o preclusivo dei genitori, non giustiÞcato, i nonni hanno la possibilità di proporre ricorso per chiedere il riconoscimento del diritto di visita e le modalità del relativo esercizio (ad esempio: un calendario di incontri) ed il tribunale adotterà i provvedimenti ritenuti opportuni, dopo aver accertato che ciò non sia pregiudizievole nell’interesse del minore. La rilevanza assunta dalla posizione dei nonni confermata nella legge sull’afÞdo condiviso - trova, dunque, la sua radice nella tradizione familiare, che è bagaglio di memoria affettiva e si esprime nella capacità dei nonni di prendersi cura dei nipoti e di garantire una presenza costante e quotidiana impedendo che l’assenza dei genitori, spesso professionalmente impegnati nell’arco della giornata e quindi impossibilitati a partecipare attivamente nella vita quotidiana dei Þgli, diventi motivo scatenante per creare, ad esempio, fasi di isolamento nell’adolescente con l’insorgere di dipendenze dall’uso di sostanze e, consentendo, per contro, al minore una maggiore apertura nella famiglia nella quale i nonni rappresentano il senso della tradizione e della dinamicità. Avv. Alessandra Lorenzi
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responsabilità
Chiara Lubich
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hiara Lubich è nata a Trento il 22 gennaio 1920. Presente ad importanti eventi ecclesiali (Sinodi di vescovi, giornate della Gioventù, Incontri di nuovi Movimenti), è stata una delle personalità più note anche oltre i conÞni della Chiesa cattolica. Fortemente impegnata sul piano ecumenico, ha stabilito importanti e proÞcui contatti con il mondo islamico, indù e buddista. Per la sua infaticabile azione a favore dell’unità e della pace, le sono stati attribuiti vari riconoscimenti e ha ottenuto molte cittadinanze onorarie. La sua biograÞa si è fusa ben presto con la Storia del movimento dei focolari, del quale è fondatrice. “Non mirando noi a quel che si vede, ma a quello che non si vede: Imperocché le cose che si veggono sono temporali: quelle poi che non si veggono sono eterne” (2 Cor 4, 18). Fu il punto di partenza del nostro Ideale. Quando vedemmo che tutto cadeva, giacché il Signore con le circostanze (bombardamenti della guerra) ci mostrava a fatti la vanità di tutte le cose, ci attaccammo a Dio, l’unico che non poteva essere toccato. E facemmo di Lui l’Ideale della vita. Volevamo rendere la nostra vita coerente all’Ideale scelto, assolutamente coerente, senza compromessi o riserve. Ci domandammo perciò come dovevamo fare. Il primo comandamento (“Amami con tutto il cuore, con tutta l’anima…”), ci apparve nuovo nel suo signiÞcato e logico. Dio si doveva amare con tutto il cuore… giacché porre il cuore e la mente e le forze ad altre cose sarebbe stato assurdo. Tutto passava. Dapprima Dio per noi era un semplice nome perché non Lo vedevamo. Credevamo soltanto alla Sua esistenza e la fede in Lui Eterno era rafforzata dalla dimostrazione lampante della vanità re transitorietà di tutto il resto. Dio si manifestò all’anima quando Lo amammo. Comprendemmo subito che amarLo non signiÞcava solo un sentimento, ma un atto. E il Vangelo confermava: “Chi mi ama osserva la mia parola” Fare la volontà di Dio fu l’espressione pratica del nostro amore a Lui. 24
Facemmo immediatamente unità fra la nostra volontà e la Volontà di Dio. Volevamo la Volontà di Dio. Unica nostra volontà era la volontà di Dio. Comprendevamo però che questa volontà di Dio poteva per certe anime risultare un po’ oscura. C’è la volontà di Dio di beneplacito, signiÞcata, manifestata dalle circostanze ecc. Per noi fu sempre chiara giacché capimmo ben presto che tutto lo sforzo nostro doveva essere rivolto all’attimo presente, unico momento in mano nostra, e che la Volontà di Dio nell’attimo presente era sempre manifesta in fondo all’anima. Bastava con semplicità sentire quello che la coscienza dettava. Questo contatto con la coscienza faceva sì che distinguessimo in lui l’uomo vecchio che parla per interesse o accidia o per passione ecc., e l’uomo nuovo che ci dice la volontà di Dio di quell’attimo. Ma non ci si governava da noi in queste cose. Si sottometteva tutto quanto vi poteva essere d’un po’ straordinario (cioè d’un certo valore) al Padre Spirituale, che per noi era voce di Dio. Sotto la sua guida imparammo a distinguere meglio la voce in noi dell’uomo nuovo e quella dell’uomo vecchio. Fare dunque la volontà di Dio nell’attimo presente fu la nostra vita all’inizio dell’Ideale. Ma “A chi mi ama mi manifesterò” e vedendo Iddio che Lo volevamo amare e Lo amavamo per davvero nel momento presente, Egli ci illuminò. Cominciammo a capire molte cose. “Il mio cibo è fare la volontà del Padre mio” aveva detto Gesù e noi potevamo ripetere altrettanto, ché altro ormai non volevamo fare se non la volontà di Dio per amarLo. Ci accorgemmo di essere in certo modo un altro Gesù.
responsabilità Anche noi come Lui non facevamo che la Volontà di Dio. Avevamo dunque imitato ed imitavamo Gesù in modo intimo, non in modo ma nel fatto che come Lui si faceva la Volontà di Dio. Questa norma ci parve buona per tutti, atta a santiÞcare tutti e a dare con ciò a tutti Dio per Ideale. Non occorreva esser poveri per esser come Lui, né avere una vocazione speciale, né essere uomini invece che donne… Tutte queste cose erano cose accidentali e indifferenti. Bastava che ognuno facesse là dove Dio lo voleva, nelle condizioni in cui era, la Volontà di Dio. Far la Volontà di Dio era la norma che ci legava tutti (laici e religiosi, uomini e donne, ricchi e poveri, vecchi e giovani, ecc.) in fraternità con Gesù ed in Þgliolanza con il padre. Avevamo sempre dinanzi a noi la Þgura del
sole coi raggi per rappresentarci il nostro Ideale. Ognuno di noi camminava nella vita su un raggio, distinto dal raggio del fratello, ma pur sempre su un raggio di sole. Tutti dunque facevamo una sola Volontà (quella di Dio) e ognuno diversa dall’altro. E come i raggi sono di sole, sono uno col sole, così ognuno di noi si sentiva uno col fratello, con Gesù e col Padre. Così nella nostra vita tutto mutava. Prima tante differenze ci dividevano dai fratelli, ora l’unica volontà, fatta da tutti, ci affratellava con tutti. Eravamo tutti uno fra noi e con Gesù. E per Gesù uno col Padre. Da Chiara Lubich, Igino Giordani, “Erano i tempi di guerra…”, Città Nuova
Economia di comunione?...un modello vincente!
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ttraversando la città di San Paolo, Chiara Lubich, nel maggio del 1991, era stata colpita nel vedere di persona, accanto ad una delle maggiori concentrazioni di grattacieli del mondo, grandi estensioni di “favelas”. Cosa fare? Giunta alla cittadella del Movimento, la Mariapoli Araceli, vicino San Paolo, constatava che la comunione dei beni praticata nel Movimento Þno ad allora non era stata sufÞciente nemmeno per quei brasiliani, a lei così prossimi, che vivevano momenti d’emergenza. Spinta dall’urgenza di provvedere al cibo, ad un tetto, alle cure mediche e se possibile ad un lavoro, e con in animo l’enciclica di Giovanni Paolo II “Centesimus Annus” appena pubblicata, aveva lanciato l’Economia di Comunione:
sia alcun indigente. Poi gli utili serviranno anche a sviluppare l’azienda e le strutture della cittadella, perché possa formare uomini nuovi: senza uomini nuovi non si fa una società nuova! Una cittadella così, qui in Brasile, con questa piaga del divario tra ricchi e poveri, potrebbe costituire un faro e una speranza”. L’adesione dei presenti era stata immediata: tutti si erano sentiti coinvolti, scossi nel profondo, e si erano lanciati a dare il proprio contributo personale nelle maniere più diverse, attuando con nuovo slancio e radicalità la comunione dei beni vissuta nel Movimento sin dagli inizi. Tutto in comune: soldi e gioielli, terreni e case, disponibilità di tempo, di lavoro, di trasferimento, offerte di dolore, di malattie… come chi ha dato tutti i suoi risparmi, 4.000 dollari, “perché facciano parte di questo oceano d’amore, come una goccia d’acqua…e Dio trasformi questo sogno in una grande realtà che illuminerà l’inizio del Terzo Millennio”.
“Qui dovrebbero sorgere delle industrie, delle aziende i cui utili andrebbero messi liberamente in comune con lo stesso scopo della comunità cristiana: prima di tutto per aiutare quelli che sono nel bisogno, Come nasce l’Economia di comunione? La fondatrice dei Focolari provò a immagioffrire loro lavoro, fare in modo insomma che non ci
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responsabilità nare un’iniziativa di carattere economico nuovo, dove la distribuzione della ricchezza avvenisse secondo i parametri del Vangelo. I poveri sono stati visti da subito come lo scopo ultimo dell’Economia di Comunione: tutte le volte che una persona, una famiglia, una comunità, riesce ad uscire dalla indigenza e dalla miseria reinserendosi pienamente nella vita civile, si sta ediÞcando, davvero, la comunione e quindi una società più umana. Viceversa, Þno a quando ci sarà ancora un indigente sulla faccia della terra la comunione sarà sempre di fronte a noi come un traguardo non ancora raggiunto.
del Sud del mondo solo come bisognose di assistenza, non si riuscirà mai a renderle protagoniste del loro sviluppo. Infatti. Non a caso assistiamo alla fuga di cervelli da Sud a Nord: un fenomeno che rischia di ipotecare il futuro di molti Paesi poveri. Qual è la sua ricetta? I cervelli fuggono perché il Sud è visto principalmente come problema. A nessuno piace sentirsi considerato svantaggiato e diventa inevitabile che chi ha le possibilità cerchi un destino migliore. Occorre spezzare questo trend. Da questo punto di vista, l’Economia di Comunione insiste sulla necessità di investire sui Paesi poveri soprattutto nell’ambito della formazione. Le faccio l’esempio del Brasile: vi sta nascendo un’università, legata all’Economia di Comunione, che ha come obiettivo precisamente l’incremento del livello di formazione. Il ‘sogno’ di allora sta diventando realtà: molte aziende sono nate e non solo in Brasile, ma in molti Paesi del mondo, imprese già esistenti hanno fatto proprio il progetto, modiÞcando lo stile di gestione aziendale e la destinazione degli utili.
Cosa distingue l’Economia di Comunione da altri modelli di “economia solidale”? Un tratto fondamentale, che accomuna questo tipo di economia ad altre iniziative di economia solidale, sta nell’approccio al problema della povertà, visto non in una logica assistenziale, ossia dando soldi, ma imprenditoriale, in altre parole creando lavoro. L’Economia di Comunione prevede per statuto che un terzo degli utili sia reinvestito nell’impresa, un terzo destinato alla cultura (ad esempio borse di studio per i poveri) e l’ultimo terzo sia Þnalizzato a sostenere progetti di sviluppo per i più disagiati. Nel concreto, queste tre dimensioni sono abbastan- I NUMERI za intrecciate e ogni realtà imprenditoriale loca- - 8 poli di Economia di comunione attivi nel le le interpreta in modo speciÞco. mondo - 765 imprese aderenti al progetto: Non sembrano parole di un economista, le 241 negli Stati Uniti e in America Latina, sue… 457 in Europa (di cui circa 200 in Italia), Ma ormai è sotto gli occhi di tutti che i 31 in Asia, 2 Medio Oriente, modelli economici classici falliscono nel crea2 in Africa e 2 in Australia re sviluppo duraturo. Non c’è sviluppo senza - Oltre 200 imprese afÞliate all’EdC in Brasile, reciprocità! È ora di passare da una cultura asdal ’91 a oggi, che garantiscono decine sistenziale a una cultura del dare-ricevere: andi migliaia di posti di lavoro che i ricchi hanno da imparare dai poveri! Per - 30 per cento degli utili: viene devoluto a un questo motivo la scuola di microÞnanza che fondo speciale di solidarietà per le necessità abbiamo in mente di lanciare avrà sede nelle degli indigenti Filippine e non Italia. C’è un valore insito anche nella cultura della povertà e dobbiamo, come cristiani, stare molto in guardia da talu- Intervista di Luigino Bruni professore associani progetti - ad esempio dell’ONU - laddove si to di Economia all’Università Bicocca di Milano parla di “estirpare la povertà” come si trattasse e coordinatore dell’Economia di Comunione nel di un’erbaccia… Certo, la miseria che degrada Mondo. l’uomo va combattuta, ma guai se questo signiÞca chiudere gli occhi sui valori di cui i poveri sono portatori! Se si guarda alle popolazioni 26
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Muhammad Yunus: poveri pieni di risorse
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ra il 1979 e nel villaggio vicino all’università dove insegnavo economia, mi imbattei in una donna che stava confezionando seggiolini di bambù: un evento fortuito destinato a cambiarmi l’esistenza. E a cambiare anche il modo in cui mi avevano insegnato a guardare ai fatti della vita. SuÞa, così si chiamava, era una donna poverissima. Mi spiegò che le davano solo due penny al giorno (in moneta Usa) per confezionare quei graziosi sgabellini di bambù. Non era nelle condizioni di pretendere una cifra superiore, perché per contratto doveva rivenderli a chi le aveva prestato il denaro, a un prezzo naturalmente Þssato da lui: un prezzo che copriva quasi soltanto i costi della materia prima. Il lavoro di quella donna veniva retribuito due penny al giorno. E quanto chiedeva in prestito SuÞa? Solo 25 centesimi: la somma necessaria per acquistare il bambù. Attraverso SuÞa compresi il potere del denaro. Toccai con mano come fosse possibile ridurre in schiavitù un essere umano impugnando l’arma del denaro. Era profondamente ingiusto, bisognava fare qualcosa. Le banche avrebbero dovuto prestarle soldi, non improvvisarsi usurai. Ma le banche, mi resi conto ben presto, non concedevano nulla ai poveri perché non li consideravano “degni di credito”. Le banche chiedevano garanzia prima di poter concedere prestiti. E i poveri non possono offrirne nessuna. Un vicolo cieco che ritenni inaccettabile. Decisi di provare a prestare denaro senza pretendere nessuna garanzia, ed elaborai un metodo che facilitasse al massimo il prestito e la restituzione da parte dei diseredati. Funzionò. Mi concentrai in particolare sulle donne, perché con loro, più che con gli uomini, si estendevano i beneÞci a tutta la famiglia. Le beneÞciarie del credito non solo restituirono la somma con gli interessi, ma cambiarono radicalmente vita: incrementando i loro guadagni, aumento anche la loro autostima; i Þgli iniziarono ad andare a scuola, la dignità venne loro restituita, le condizioni alimentari e igieniche migliorarono di molto. Fondai allora una banca dei poveri, la Graamen Bank, i cui propietari sono tre milioni di poveri che possono accedere al credito, il 95 per cento dei quali donne. La banca presta denaro per attività in grado di produrre un reddito, per l’acquiso di case, per l’istruzione dei Þgli. Ai
più indigenti fa credito senza interessi. Fornisce un’assicurazione sulla vita, copertura assicurativa sull’attività lavorativa e fondi pensionistici. La Graamen Bank mi ha convinto con assoluta certezza che i poveri sono assolutamente capaci di prendersi cura di sé. Non sono loro i responsabili della povertà in cui versano, al contrario lo sono le istituzioni create loro intorno, la politica di cui sono vittime, la struttura che tutti abbiamo contribuito a creare. Se offriamo loro le stesse opportunità dei ricchi, non resterà nessun povero al mondo. Ecco l’importanza dei servizi Þnanziari pensati speciÞcamente per i più deboli: un passaggio così nodale che mi sto battendo afÞnché il credito venga considerato uno dei diritti fondamentali dell’uomo. Ma la Graamen Bank è anche un’azienda in attivo. Crea proÞtto. Dimostra che prestare denaro ai poveri può essere un buon business. Eppure il mondo continua a gestire le istituzioni Þnanziarie nel modo di sempre, escludendo le fasce di popolazione più deboli. Perché? La sola risposta che so darmi e la mancanza di volontà politica e di iniziativa. Il mio sogno è dunque di porre Þne, da subito, a questa apatia politica, dimostrando che la Þne della povertà è un proposito con un doppio intento: ci si può arrivare attraverso le dinamiche di mercato, se solo legislatori e politici lo volessero. Il mio sogno è di concentrarsi su questo, per raggiungere l’obiettivo stabilito dall’Onu nella Campagna del Millennio: riduzione della povertà entro il 2015, sua cancellazione entro il 2030. Da questa data in poi, la povertà sarà un pezzo da museo. Ecco il mio sogno: costruire musei della povertà in tutto il mondo, in modo che le generazioni future possano visitarli e condannare i loro predecessori per la crudeltà dimostrata nei confronti di tanti esseri umani, loro fratelli. La povertà non è degna di una società civile. È inutile, è dannosa per tutti. Ogni essere umano è dotato di potenzialità vaste, illimitate, ed è una responsabilità sociale aiutare ciascuno a farle emergere. Il mio sogno è di creare una società in cui a tutti sia data la possibilità concreta di liberare le proprie energie creative. E due fattori in particolare servono per raggiungere lo scopo: l’accesso ai servizi Þnanziari e all’lnformation & Communication Technology.
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responsabilità Il mio sogno è di ripensare l’economia in modo tale da indurre la leadership politica mondiale a creare istituzioni capaci di porre Þne alla povertà, per sempre, senza che mai più si torni indietro. Nel nuovo, auspicato, sistema economico, ogni persona avrà due opzioni: l’impiego salariale o l’impiego in proprio. Ciascuno potrà muoversi fra queste due possibilità a seconda delle circostanze. Il nuovo assetto economico dovrà fortemente tenere conto che nel mercato esistono due tipi di impresa: una orientata al proÞtto personale, l’altra con obiettivi sociali. Entrambe dovranno convivere e rendersi competitive sul mercato. Il mio sogno è che l’impresa a scopo sociale diventi gradualmente dominante, occupando nicchie sempre più consistenti dell’economia e togliendo sempre più spazio alle imprese che generano proÞtto solo personale. Ci sarà una Borsa a parte per facilitare gli “investitori sociali” a trovare il tipo più adatto di impresa economicoÞnanziaria-sociale. Chi intenderà investire parte o l’interezza del proprio capitale in imprese socialmente utili avrà come riferimento la “Borsa sociale” e qui prenderà le proprie decisioni. Ci sarà una Commissione di garanzia sociale a regolare gli scambi, e un’Agenzia creditizia sociale. Ci saranno fondi comuni d’investimento sociale per ridurre i rischi degli investitori, e Venture capita I sociali capaci di elargire Þnanziamenti e di promuovere partnership. Le imprese socialmente utili gestiranno attività (anche in franchising) per diffondere il credito della Grameen Bank nei più remoti villaggi e nelle baraccopoli, per avviare centri sanitari capaci di fornire servizi medici a prezzi accessibili a chi non ne ha alcuno, nelle terre di nessuno; per fondare compagnie farmaceutiche capaci di abbattere i costi dei medicinali, o aziende che promuovano l’utilizzo di energie pulite, rispettose dell’ambiente; o ancora aziende specializzate nel riciclaggio dei riÞuti; imprese per elevare ovunque il grado di istruzione e per garantire ai poveri l’accesso all’Ict più all’avanguardia, in modo che possano trame i massimi vantaggi, il massimo delle informazioni per creare una rete di comunicazione che li avvicini ai mercati e ai consumatori. L’obiettivo della riduzione della povertà sarà semplice come non mai nella storia dell’umanità con l’aiuto della tecnologia. Il mio sogno è che i professionisti dell’Ict tengano in alta conside-
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razione le donne poverissime e analfabete del mondo, nel conÞgurare hardware e software, e rendere così possibile l’accesso agli strumenti che possono risolvere i loro problemi, a breve o a lungo termine. Il mio sogno è che tutti, scienziati, militanti, politici, giornalisti, economisti, imprenditori, leader dell’Ict, esponenti religiosi, esperti di alta Þnanza, professionisti e giovani, tutti insieme possano dare vita a un network che promuova e appoggi iniziative innovative nel campo del business sociale. Il mio sogno è che una nuova imprenditoria sociale gestisca le multinazionali in modo da proteggere i produttori più deboli, nei paesi più deboli, garantendo loro guadagni equi nelle dinamiche del mercato globale. E aiutandoli a partecipare a pari peso e livello nell’imprenditoria internazionale. Il mio sogno è di vedere che attraverso l’intermediazione dell’imprenditoria sociale i poveri diventeranno azionisti di aziende di successo, in modo da beneÞciarne in prima persona, da inßuenzarne direttamente l’andamento con il potere decisionale. Il mio sogno è di vedere i frutti della globalizzazione penetrare Þn nella parte più bassa della popolazione mondiale. Il mio sogno è di vedere i giovani del pianeta diventare imprenditori sociali e risolvere così i problemi economici e sociali attraverso le dinamiche di mercato, creare alleanze politiche per cambiare la natura stessa della politica, liberandola dalla corruzione, dai pregiudizi razziali, religiosi, nazionali. Il mio sogno, inÞne, è di assistere alla nascita di una struttura governativa globale in cui si dimostreranno inutili, del tutto superßue, le spese nazionali militari. Testo raccolto e tradotto da Cristiana Ceci
Muhammad Yunus alla cosegna del premio Nobel
appunti
Quante e quali sono le lettere di Paolo?
Lettere Ecclesiologiche
1 2 3
Colossesi Col Efesini Ef 2a Tessalonicesi 2Ts
1 2 3
1 Timoteo 3 2 Timoteo 3 Tito 3
Ebrei 5
1Ts 1Cor 2Cor Rm Gal Fil Fm Tema Ecclesiale
1a Tessalonicesi 1 1a Corinzi 2a Corinzi Romani 2 Galati Filippesi Filemone
Lettere autentiche o Grandi Lettere 4
1 2 3 4 5 6 7
Lettere Pastorali
Finora ci siamo un po’ “cimentati”, abbiamo iniziato a gustare qualche cosa di questo Apostolo. Noi come facciamo ad entrare in contatto con l’Apostolo Paolo? La via ordinaria, per noi comuni mortali, è quella di entrare a conoscere Paolo attraverso le famose “lettere”. Ma quante e quali sono le lettere di Paolo? Le lettere di Paolo sono 13 così suddivise:
1Tm 2Tm Tt Eb
1a Tessalonicesi è la pi più antica in assoluto, siamo attorno al 50¬52 d.C., è il testo più antico an del N.T 2 Quando pensate a Romani, quando inizierete a leggere Paolo, vi accorgerete che esiste una lettera che è strettamente imparentata, che può essere deÞnita un po’ come il bigino della lettera ai Romani: la lettera ai Galati, queste due lettere sono parenti strettissimi come temi (Galati sono 6 capitoli, Romani 16 capitoli) 3 Personaggi capi di comunità;Vescovi 4 Quelle che proprio ci stanno bene nella biograÞa di Paolo, sono le lettere più famose, che più corrispondono al suo pensiero 5 Questa lettera Þno a prima del Concilio EV II si diceva: Lectio beati apostoli Paoli ad Ebreos, si riteneva cioè che la Lettera agli Ebrei fosse di paternità Paolina. Oggi invece, dal punto di vista della struttura, del testo, del vocabolario, delle immagini, ci si accorge che questa lettera, la cosiddetta lettera agli Ebrei, non è di Paolo, non è una lettera e non è agli Ebrei! Oggi si ritiene che questa lettera non è di Paolo ma, forse - qualcuno dice - del famoso Apollo, uomo versato nelle scritture, di cui si Parla in Atti 18; non è una lettera, è un’omelia, una serie di citazione dell’A.T., una specie di omelia sullo stile rabbinico; non è agli Ebrei, nel senso che è scritta non al popolo ebraico ma a cristiani che provengono dall’ebraismo, i cosiddetti Giudeo-Cristiani. 1
Ora noi ci poniamo una seconda domanda di carattere generale, perché noi a Paolo arriviamo attraverso le lettere: perché Paolo scrive delle lettere? Possiamo rispondere ricordando la frase di un Tedesco, dell’inizio del ‘900, Walter Wrede, il quale diceva che le lettere di Paolo sono un “frammento di missione”, nel senso che Paolo è, anzitutto, un Pastore, più che uno scrittore di professione. Ma se Paolo è un Pastore, più che uno scrittore, allora le sue lettere vanno comprese all’interno di quella dinamica di “paternità spirituale” che, appunto, lega l’Apostolo con le comunità, cioè: se Paolo scrive una lettera, lo fa perché è padre di quella comunità, perché è Pastore di quella comunità. Un grande conoscitore di Paolo (Giuseppe BARBAGLIO) dice: “Impegnato altrove e impossibilitato a recarsi di persona dove la sua presenza era richiesta, si faceva vivo alle sue chiese per iscritto, continuando un dialogo iniziato tempo addietro”. Paolo non riesce a stare in quella comunità, magari vi aveva già annunciato il Vangelo, ma allora come fa a rendersi presente? Tramite la lettera, in questo senso dobbiamo intendere “frammento di missione”!: Paolo si serve dello scritto per chiarire, oppure per rafforzare, difendere, la fede della comunità.
Come conseguenza di questo ragionamento (cioè, Paolo non voleva scrivere delle lettere, ci è stato costretto dalla situazione delle comunità, per la loro fede), potremmo dire che tutte le lettere di Paolo sono “scritti occasionali”: c’è una comunità che ha un problema (Es la 1a Corinzi - per fare un esempio:la comunità di Corinto, tra le sue splendide virtù, ha quella di essere una comunità particolarmente divisa. Ecco che allora Paolo interviene in questa comunità divisa dicendo: «[11]Mi è stato segnalato infatti a vostro riguardo, fratelli, dalla gente di Cloe, che vi sono discordie tra voi. [12]Mi riferisco al fatto che ciascuno di voi dice: «Io sono di Paolo», «Io invece sono di Apollo», «E io di Cefa», «E io di Cristo!». [13]Cristo è stato forse diviso? Forse Paolo è stato crociÞsso per voi, o è nel nome di Paolo che siete stati battezzati?» C’è un problema: divisione della comunità: Pao29
appunti lo manda una lettera; ci sono alcuni che si ritengono dei super-cristiani? I famosi carismi, Paolo scrive. Allora la lettera è occasionata dalla vita della comunità. Ora possiamo ben capire che qui si apre un problema enorme dal punto di vista della comprensione delle lettere, un problema difÞcilissimo, perché? Se io scrivo una lettera per rispondere ad un problema, io che scrivo, so quale problema c’è, ma - passati degli anni - nella maggioranza dei casi noi non abbiamo più la possibilità di ricostruire, nel dettaglio, il problema a cui Paolo cerca di rispondere, è un grandissimo problema di difÞcile soluzione.
tario, in questo caso, è la Chiesa di Dio che è in Corinto, qui Paolo “approÞtta” di questo saluto, già per farci capire come intende lui la Chiesa: ad esempio parla di santiÞcati in Cristo Gesù. Se il mittente, Paolo, serve per parlare della sua biograÞa, il destinatario aiuta ad entrare nella visione di Chiesa, che tante volte Paolo ha. Però dobbiamo osservare un’altra cosa del saluto vero e proprio: il saluto Greco è il famoso (che conosciamo, forse, dall’annunciazione) “kaire”: “kaire ke karitomene!” quello che noi traduciamo:“Ti saluto o piena di grazia, il Signore è con te!”, questo “kaire”, salve, che è anche e soprattutto “rallegrati!” Qui abbiamo questo saluto. La parola “Grazia”: COME È COMPOSTA UNA LETTERA DI la parola “grazia” in Greco è “charis” (salve, PAOLO? grazia) ma qui non c’è soltanto grazia, c’è pace! Le lettere di Paolo sono così composte: «[] …grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo…», e pace cos’è? È un saluto I. Il cosiddetto “saluto iniziale” (o esordio) ebraico: shalom, quindi, Paolo utilizza due coII. Rendimento di grazie (Ringrazio Dio…) dici linguistici (o due ambienti, due retroterra): III. Il Corpus della lettera l’ambiente Greco: per cui è capace di dirci “la (la lettera vera e propria) grazia”, e - contemporaneamente - l’ambiente IV. La classica conclusione ebraico, la pace, tutte due le cose.
I. Il saluto: è quello che ci dà il mittente, il destinatario, ed i veri e propri saluti. Prendiamo ad esempio la 1a lettera ai Corinzi per capire come è un saluto, che cosa vuol dire che una lettera Paolina parte con questo stile: «[1]Paolo, chiamato ad essere apostolo di Gesù Cristo per volontà di Dio, e il fratello Sòstene, [2]alla Chiesa di Dio che è in Corinto, a coloro che sono stati santiÞcati in Cristo Gesù, chiamati ad essere santi insieme a tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore nostro Gesù Cristo, Signore nostro e loro: [3]grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo.» questo è un bell’esempio di saluto. Che cosa troviamo qui? I mittenti di questa lettera, Paolo e Sòstene. Il destinatario, la Chiesa che è in Corinto. I saluti veri e propri, grazia e pace. Il saluto è interessante, ad esempio, perché? Perché ci aiuta a capire qualcosa di più di Paolo!, come in questo caso. Qui abbiamo «…chiamato ad essere apostolo di Gesù Cristo per volontà di Dio…», quindi, normalmente, il saluto serve ad approfondire la biograÞa di Paolo, oppure, c’è un mittente e ci sono dei destinatari, il destina30
I. Il rendimento di grazie: Sempre prendendo spunto dalla 1a Corinzi, possiamo dire qualche cosa sul “rendimento di grazie” che è il secondo aspetto. Paolo dice: «[4] Ringrazio continuamente il mio Dio per voi, a motivo della grazia di Dio che vi è stata data in Cristo Gesù,»: è molto suggestivo questo ringraziamento. Non solo nelle lettere di Paolo, ma nella vita in generale, il ringraziamento è l’atteggiamento di chi riconosce che quello che succede non è opera tua, ma viene da qualcun altro: solo chi vede l’azione di Dio può ringraziare. Quasi tutte le lettere di Paolo si aprono con un ringraziamento, per qualche motivo legato alla comunità, oppure per il mistero di Cristo. Sarà interessante vedere se, per caso, c’è qualche lettera dove Paolo non ringrazia, perché se lì non ringrazia vuol dire che c’è qualcosa che non va. Dove manca questo elemento signiÞca che la situazione con la comunità è un po’ “perturbata”… c’è qualche acerbità! La lettera ai Galati presenta qualche “acerbità” perché Paolo tralascia il ringraziamento. Ancora una cosa possiamo dire su questo tema del ringraziamento. Il ringraziamento è già si-
appunti gniÞcativo di per sé, tuttavia, possiamo evincere un terzo spunto interessante: Paolo è capace - all’interno del ringraziamento - di inserire alcuni testi, che con il linguaggio tecnico chiamiamo “Inni”, di grandissima densità. Normalmente, Paolo approÞtta del ringraziamento per metterci questi Inni, che erano i canti della prima comunità cristiana, che descrivono il Mistero di Gesù. Dopo Filippesi, troviamo la lettera ai Colossesi: se leggiamo il primo capitolo della lettera ai Colossesi posiiamo capire quanto detto Þn qui: Col 1,12 «[12]...ringraziando con gioia il Padre che ci ha messi in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce. [13] È lui infatti che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto,
per opera del quale abbiamo la redenzione, la remissione dei peccati. [15] Egli è immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura; [16] poiché per mezzo di lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili:…» [14]
Se qualcuno usa pregare la “liturgia delle ore”, questo è il cantico di tutti i salmi di tutti i Vespri del mercoledì. Questo cantico della lettera ai Colossesi dove lo troviamo? All’inizio, all’interno di un ringraziamento. Fine prima parte Tiziano Brenna
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Correva l’anno…
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“A
i perenni gaudenti ricordiamo che vi è un tempo sacro e chiediamo anche a loro in nome di Dio e per il bene della loro anima un po’ di sosta.” Con queste cristalline parole don Arturo Galli si rivolgeva quell’anno ai suoi parrocchiani per marcare il passaggio dal carnevale alla quaresima. Trascorso il periodo penitenziale, fatto anche di digiuno (che solo l’acqua naturale non rompe, mentre il vino e l’alcool sì), esplode la gioia della Pasqua cristiana. Il parroco, tuttavia, lamenta che sono ancora troppi coloro che riÞutano Cristo, il solo che non Þgura “nei funebri archivi della storia”. Far Pasqua è “il grande dovere”, almeno una volta l’anno. Don Galli, che non ama i giri di parole, ammonisce che “ogni Pasqua sarà l’ultima per molti” e che “la morte è in agguato anche per noi, è alle spalle e la fossa per molti è già spalancata”. Espressioni un po’ crude, forse, per le nostre sensibili orecchie di moderni, ma, a saperle intendere, anche cariche di speranza, dato che la Pasqua apre “un domani ricco di conforti”. “Non far Pasqua vuol dire calpestare l’amor di Dio e l’amore della nostra mamma” che non ci ha incamminato per la via dell’indifferenza.
Dopo quell’Ora, unica nella storia, che ci parla di resurrezione e di vita eterna, ce n’è un’altra (con la “o” minuscola, s’intende) che - a sentire il parroco - “sta per battere sul quadrante della nostra vita religiosa e civile”. Ancora anno di elezioni politiche, il 1953. Il clima non sembra molto diverso da quello di cinque anni prima e già da gennaio si prepara il terreno: oltre al tradizionale “buon anno”, si augura anche “buona battaglia”. Sì, perchè c’è ancora bisogno di una “nuova vittoria dei cattolici” e di combattere quella “santa battaglia che segnerà la sicurezza del domani”. Don Galli si dice certo che “i nemici di Cristo segneranno un’altra volta il passo”. I numeri del bollettino di maggio e di giugno sono in buona parte dedicati all’argomento. Il pericolo maggiore appare l’astensionismo, comportamento che viene bollato con un vero e proprio anatema: “Ogni assenza volontaria, ogni voto non dato è un
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peccato mortale”, conÞgurandosi come un peccato di omissione. A rincalzo vengono riportate alcune frasi al riguardo pronunciate in varie occasioni negli anni precedenti dal papa, Pio XII. “Per noi il voto è una professione di fede.” E ancora: “Non votando o votando male non si fa un dispetto ad un partito ma a Dio! Terribile responsabilità”. Occorre votare - chiarisce il papa - solo per quei candidati o quelle liste di candidati “di cui si ha la certezza che rispetteranno e difenderanno l’osservanza della legge divina e i diritti della religione e della Chiesa nella vita privata e pubblica”. Parole un po’ eccessive? Per il comune sentire di oggi, probabilmente sì. C’è da chiedersi, tuttavia, se, in generale, a prescindere da un determinato contesto storico, sia poi così sbagliato che i cattolici, in occasione di una consultazione elettorale, vengano richiamati, quando danno il proprio voto, a tener conto degli orientamenti ideali dei candidati, soprattutto quando sono in gioco valori irrinunciabili per la coscienza di un credente. A scrutinio effettuato si annuncia, con toni un po’ trionfalistici, “la più grande vittoria religiosa del nostro tempo”; don Galli, però, non nasconde la preoccupazione per l’aumento dei socialcomunisti ed il “conseguente regresso della coscienza religiosa e civile”. E, tanto per essere chiari, si compila la lista dei peccatori. Hanno commesso peccato mortale: a) quelli che non hanno votato per scelta; b) quelli che hanno votato scheda bianca o nulla; c) quelli che hanno votato per i partiti comunista e socialista; la preferenza accordata a partiti atei o irreligiosi, condannati dalla Chiesa, fa incorrere nel gravissimo peccato di apostasia dalla fede. Non possono ritenersi tranquilli in coscienza neppure coloro che “han disperso i voti in altri partiti”, in quanto hanno fatto mancare il proprio appoggio all’”unica valida difesa della religione e della patria”. Dopo le elezioni del 7 giugno, si entra nei mesi estivi, dei quali non conserviamo informazioni; il bollettino presenta un vuoto inspiegabile di ben quattro mesi, ripresentandosi ai lettori solo a novembre, per parlare, stavolta, di un fatto squisitamente religioso. La copertina riporta
correva l’anno... la foto del parroco ed è dedicata al rinnovo della sua consacrazione nel 30° di sacerdozio (Como, 29 giugno 1923 - Rovellasca, 25 ottobre 1953). A questo punto, probabilmente, c’è chi si sta chiedendo come mai non sia stato festeggiato il 25°, cioè le cosiddette nozze d’argento sacerdotali. Eccolo accontentato, e per bocca dello stesso don Galli, il quale rivela che cinque anni prima era riuscito, con un abile stratagemma (che ovviamente non riferisce), ad evitare di solennizzare la classica ricorrenza. L’essere di indole schiva gli aveva fatto preferire il silenzio, facendolo restare al suo “posto di lavoro”. Stavolta, però, un comitato di parrocchiani sotto la direzione del vicario ha organizzato in gran segreto i festeggiamenti per i trent’anni di vita sacerdotale. Essendo il parroco venuto a conoscenza dei preparativi solo all’ultimo momento, gli è rimasta “preclusa ogni ritirata”; così da’ il consenso, a condizione che il tutto rimanga “nelle semplici linee di festa parrocchiale”, senza alcun’altra esteriorità. Che don Galli fosse una persona restia ad apparire può dimostrarlo il fatto che in quell’occasione si limitò a recitare la parte del festeggiato, rinunciando addirittura ad informare parenti ed amici. Fra Pasqua, elezioni politiche e trentesimo di sacerdozio del parroco, anche questo anno 1953, il settimo ormai della nostra rubrica, è pronto per ritornare in archivio. Non prima, però, di aver riportato alcune fra le altre cose degne di nota di quei mesi. Prende via via consistenza l’idea di costruire un nuovo oratorio (frequenti sono gli accenni sull’argomento nel corso dell’annata), mentre l’impianto di illuminazione e l’altoparlante della chiesa si rinnovano pur non senza difÞcoltà. Durante la festa di S. Vittore, un efÞcace discorso viene tenuto dal nuovo parroco di Manera, don Lorenzo Pozzi. Nel frattempo è diventato diacono don Ambrogio (Gino) Discacciati, che l’anno seguente sarà sacerdote. In campo sportivo, raccoglie allori la squadra di calcio dell’oratorio, di cui volentieri pubblichiamo la fotograÞa, nella speranza di far felici coloro che possono riconoscersi o almeno individuare volti noti. L’augurio del parroco agli atleti è che siano tali anche nelle buone battaglie per la fede. Fuori dai conÞni parrocchiali, è già meta di pellegrinaggio un certo Padre Pio; di ritorno da lui, don Galli lo presenta come il “CrociÞsso vivente”.
L’annata si chiude col desiderio di rendere l’”umile foglio” del bollettino un po’ più completo, dando un certo spazio all’oratorio ed inserendo una pagina di informazioni di carattere comunale, senza trascurare qualche annuncio pubblicitario a beneÞcio di industriali, esercenti, commercianti, artigiani e specialisti di ogni categoria: anche il parroco sa che “la pubblicità è la vita del commercio”, soprattutto se viene offerta “a buon prezzo e con sicuro vantaggio”.
Fabio Ronchetti Foto: 1. Un momento della festa per il 30° di sacerdozio del parroco don Arturo Galli 2. Squadra di calcio dell’oratorio anni ‘50
Anno
1953
Matrimoni 21 Battesimi 46 Morti 49 Età media 60 anni Il più longevo 89 anni
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dall’archivio
In attesa della risurrezione
Dell’Acqua Gianni
Pozzato Valter
Discacciati Pierina
Basilico Amelia
Brioschi Milvia
Ferrario Amalia
Morcelli Giuseppina
Cattaneo Silvio
Romano Giuseppe
Ostinelli Pietro
✞ Borghi Speranza
Battesimi Antonelli Manuel Baldanchini Letizia Carugo Giada Cecchin Matilde De Benedictis Anya De Plano Cristian Parenti Luca Cappelletti Martina Fedele Martina Morandi Lucia Di Benedetto Matteo Colombo Francesco Ambrogio Tranquillo Federico Marazzi Giorgia Trapani Simone 34
di Andrea e Franco Elisabetta di Stefano e Premoli Eleonora di Davide e Cerfeda Nataskia di Alessandro e Vesco Giovanna di Raffaele e Fedele Daniela di Cornelio e Espa Sabrina di Alessandro e Mancuso Francesca di Alberto e Rinaldi Laura di Stefano e Miazzolo Alessia di Fabio e Pizzi Laura di Cristian e Catania Viviana di Mirko e Ottolini Morena di Antonio e Brenna Deborah di Daniele e Selli Milena di Fabio e Zappato Antonella
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Per un battesimo In memoria di Carugo Angelina Un’ammalata Un’ammalata Un ammalato Un benefattore Un’ammalata In memoria di Angela Bianchi In memoria di Adele Buzzi Un’ammalata Un benefattore Un benefattore Un’ammalata Un benefattore In memoria di Gianni Dell’Acqua Adele Baldan Chinarelli Alberta Un’ammalata Un benefattore Un benefattore I nipoti in memoria di zia Pierina Per un battesimo Per un battesimo Per un battesimo Un benefattore
100 700 10 20 20 110 10 180 500 20 1000 10 50 50 100 10 20 10 100 150 700 100 50 50 50
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20 10 20 150 50 250 5 20 200 100 300 100 50 200 300 10 200 533,30 1000 50 150 150
Sposi in Cristo Pompa Ciro con Carsani Manuela Vicino Giuseppe con De Tullio Francesca Fanzini Uberto con Angè Rita
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cultura
Natalia Ginzburg – Lessico Famigliare
L
essico famigliare è la storia di una famiglia ebrea, quella della stessa scrittrice, che si svolge a Torino fra gli anni Trenta e Cinquanta. Natalia, l’ultima dei cinque Þgli Levi, è la voce narrante. Con assoluto rispetto della verità, e, per certi versi, mantenendo l’incanto della fanciullezza, l’autrice non solo ripercorre con la memoria le vicende dei suoi cari, ma ne Þssa per sempre anche il linguaggio (che, come sappiamo, è unico per ogni nucleo famigliare), i motti, le abitudini radicate. Ne è protagonista il padre Giuseppe: la casa riecheggia sia delle sue urla che delle sue risate. Egli è tenero e dispotico al tempo stesso: non tollera, a tavola, che s’intinga il pane nel sugo (gesti chiamati potacci o sbrodeghezzi); e mal sopporta i modi gofÞ e impacciati, da lui inesorabilmente deÞniti negrigure. «Il divertimento che il diavolo dà ai suoi Þgli», secondo la madre Lidia, sono le gite in montagna che il marito “inßigge” a tutta la famiglia. Queste sono precedute dai preparativi estenuanti, e innumerevoli sono i divieti, talvolta davvero risibili, imposti ai Þgli. Tentare anche solo un breve riassunto del Lessico non è semplice: è una storia che ruota su se stessa, proponendo, a brevi intervalli, lo stesso frasario, che a mano a mano conquista il lettore, col risultato di diventargli, alla Þne, per l’appunto, famigliare. Natalia annota, apparentemente con un certo distacco, le liti 36
tra fratelli, i primi amori della sorella Paola, le leziosaggini della madre Lidia. Una casa molto frequentata, quella dei Levi. Ci vive Natalina, la fedele cameriera; spesso le fa compagnia la sarta, chiamata dalla padrona di casa per rivoltare un cappotto o confezionare abiti a domicilio. Numerosi gli amici di famiglia, quelli dei Þgli, i colleghi del professor Levi (docente di anatomia comparata): l’elenco delle amicizie è davvero ampio e sorprendente. Nel salotto di casa si raduna il Þor Þore del mondo intellettuale torinese. Alberto Asor Rosa, scrivendo una recensione dell’opera, puntò il dito su un supposto “snobismo” della Ginzburg, accusata di sciorinare, con assoluta naturalezza, e chiamandoli semplicemente col nome di battesimo, un ragguardevole elenco di intellettuali e politici della scena torinese di quegli anni. Il “Lessico Famigliare” è soprattutto un insieme di ricordi, che il trascorrere del tempo può avere reso imprecisi, labili. Con la sua opera l’autrice ha inteso lanciare un chiaro messaggio, di fronte al disperdersi della propria famiglia d’origine a causa della guerra, delle morti, della lontananza. «Noi siamo cinque fratelli. Abitiamo in città diverse, alcuni di noi stanno all’estero: e non ci scriviamo spesso. Quando ci incontriamo, possiamo essere, l’uno con l’altro, indifferenti o distratti, ma basta, fra noi, una parola. Basta una parola, una frase: una di quelle frasi antiche, sentite e ripetute
inÞnite volte nella nostra infanzia. Ci basta dire: “Non siamo venuti a Bergamo per fare campagna” o “De cosa spussa l’acido solÞdrico”, per ritrovare ad un tratto i nostri antichi rapporti, e la nostra infanzia e giovinezza, legata indissolubilmente a quelle frasi, a quelle parole. Una di quelle frasi o parole ci farebbe riconoscere l’uno con l’altro, noi fratelli, nel buio di una grotta, fra milioni di persone. Quelle frasi sono il nostro latino, […] testimonianza di un nucleo vitale che ha cessato di esistere, ma che sopravvive nei suoi testi, salvati dalla furia delle acque, dalla corrosione del tempo. Quelle frasi sono il fondamento della nostra unità familiare, che sussisterà Þnché saremo al mondo, ricreandosi e resuscitando nei punti piú diversi della terra, quando uno di noi dirà - egregio signor Lippman - e subito risuonerà al nostro orecchio la voce impaziente di mio padre: “Finitela con questa storia! L’ho sentita già tante di quelle volte!”» Ecco il messaggio, inequivocabile, contenuto nel Lessico famigliare: i nostri genitori, i nostri fratelli, gli amici di allora sono i soli testimoni di quello che siamo stati, e che ora non siamo più. E forse è proprio questo il segreto del libro, vincitore del Premio Strega del 1963, che ottenne da subito un grande successo editoriale grazie, oltre alle numerose recensioni positive, anche e soprattutto al passaparola degli stessi lettori.
geografia
Nennolina
N
el Dicembre 2007 è stata dichiarata venerabile Antonietta Meo “Nennolina” da Papa Benedetto XVI. È stata una bambina esemplare considerando il valore della sofferenza vissuta con amore. La malattia è stata accettata da lei come condivisione del dolore e delle sofferenze di Gesù. Nennolina ha scritto circa 150 lettere di alta spiritualità teologica, dalle quali si può capire la chiamata alla Fede e quindi una religiosità molto intensa e di profondo trasporto spirituale. I suoi scritti furono presi in considerazione da molti teologi, in particolare da Monsignor Mon-
tini, futuro Papa Paolo VI, allora funzionario della Segreteria di Stato. Esempio di vita di unione con Dio, cioè dell’Amore di Cristo rivelato anche ai più piccoli. Dio avvolge le persone nel suo mistero di Sapienza, che si nasconde ai superbi e si rivela ai semplici. È evidente l’opera della Grazia di Dio sulla bambina. Nella sua sofferenza offre tutto per la salvezza dei peccatori. Dal 1999 è sepolta nella Basilica Santa Croce in Gerusalemme in Roma. Gabriele Forbice
Le preghiere Le "preghiere" che qui riportiamo non sono state composte alla lettera da Nennolina, ma nascono come libera interpretazione dalla lettura di tutta la sua esperienza terrena come preghiera. Vengono proposte a chi vuole pregare con cuore semplice. Nennolina è una preghiera vivente, sia nei sette anni della sua vita, sia dopo la sua morte: non possiamo non pensare a lei come "la lampada" sempre accesa sull'altare di Dio e "il giglio" che lo adorna e lo profuma. Nennolina è come una di quelle candele che si lascia ardere davanti al tabernacolo, davanti alla grotta Lourdes, perché continuino al posto nostro la nostra preghiera. È "il lumino" di Gesù, sempre in ascolto dei nostri bisogni, anche per quelli non espressi, perché "Dio c'è anche per quelli che non lo vogliono". È in questa ottica che sono nate le "preghiere" di Nennolina: il Padre nostro, il Santo Rosario meditato, la Salve Regina. Accanto alla preghiera tradizionale della Chiesa, in parallelo, c'è l'anima di Nennolina che prega, con le parole sue, con l'esperienza tutta personale di Dio Padre, dei Misteri di fede, della cara Madonnina", semplicemente, senza intuire di essere riuscita a dare voce a chi prega con la sofferenza, con l'ingenuità dei puri d cuore e fa diventare preghiera ogni momenti della propria vita. Buona preghiera!
“Caro Gesù, Io ti amo tanto, caro Gesù, Io mi voglio abbandonare nelle tue mani (...) Tu aiutami con la tua grazia, aiutami Tu, che senza la tua grazia nulla posso fare”. (dalle Lettere) Preghiera per ottenere grazie per intercessione della Serva di Dio "Antonietta Meo" O Dio, Padre degli umili, noi ti ringraziamo perché in Antonietta Meo ci hai donato un'immagine viva del tuo Amore e della tua Sapienza, rivelata ai piccoli. Tu, che ci hai dato la grazia di essere unita lla croce del Signore Gesù e di soffrire con fortezza e con gioia, rendila gloriosa anche ora sulla terra, perché sia per tutti un esempio luminoso di fedeltà al Vangelo, concedi a noi il suo amore semplice e ardente all'Eucarestia e alla Chiesa; viene incontro alla nostra povertà e, per la sua intercessione, secondo la tua Santa Volontà, donaci la grazia che, con Þducia, Ti chiediamo. Amen (Padre nostro, Ave Maria, Gloria )
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olimpiadi
I cinque cerchi di Pechino
S
embrano essersi diradate, se non del tutto svanite, le nubi che stavano addensandosi sopra Pechino mettendo a rischio i XXIX Giochi Olimpici dell’era moderna. Il timore di un boicottaggio pare scongiurato dopo che erano stati messi in grave pericolo a seguito della contestazione dei monaci tibetani e la conseguente mano pesante del governo cinese per tacitare voci d’indipendenza, di maggiore democrazia, libertà, di un più ampio riconoscimento dei diritti umani. La protesta del Tibet ha fatto il giro del mondo suscitando disparate reazioni e reso perigliosa la corsa dei tedofori costretti, con la torcia olimpica accesa, a farsi largo fra i manifestanti come, ad esempio, è avvenuto a Parigi, Londra, San Francisco, dove il percorso è stato ridotto di qualche chilometro per evitare le dimostrazioni in atto. In seguito la protesta ha avuto contorni più soft e anche il Dalai Lama - in esilio da anni - si è dichiarato favorevole allo svolgimento delle Olimpiadi (si terranno in agosto) assicurando di non avere alcun spirito anticinese pur sostenendo che i tibetani hanno il diritto di protestare paciÞcamente. Per la verità gli incidenti non sono mancati e nemmeno le drammatiche conseguenze che hanno causato non poche vittime. Da par suo la Cina ha affermato che il Tibet è un affare interno, volendo così chiudere il problema che aveva assunto vasta risonanza internazionale. Dopo quanto è avvenuto, e con focolai di protesta ancora accesi, è giusto che si disputino le Olimpiadi? Noi diciamo di sì. Nonostante quello che serpeggia nel mondo resta pur sempre una grande festa dello sport. Senza disincanto sarebbe bello poter aggiungere anche dell’amicizia tra i popoli e nel segno di quei valori olimpici rafÞgurati dai cinque cerchi colorati che rappresentano tutti i continenti. Per l’organizzazione delle Olimpiadi la Cina sta impiegando notevoli risorse economiche e di fronte agli occhi di innumerevoli osservatori mette in gioco anche il suo prestigio di grande potenza non nascondendo l’obiettivo di passare al primo posto davanti agli Stati Uniti e alla Russia, dopo lo sfaldamento dell’impero sovietico. Sono noti gli enormi passi compiuti dalla Cina negli ultimi anni attraverso 38
anche il passaggio da un rigoroso comunismo a una sorta di capital - comunismo. Dal punto di vista religioso, ci auguriamo nell’immediato un’apertura nei riguardi del cattolicesimo e il dialogo con il Vaticano. La Cina è un gigantesco Paese che ha avviato un forte processo di industrializzazione ma i risultati non sono tutti positivi perchè l’accelerazione impressa è anche causa di un elevato tasso di inquinamento. Grava soprattutto sulle grandi città. Una situazione ambientale non certo ideale per gli atleti (36 le discipline ammesse) specialmente in agosto con caldo e umidità. Bisognerà tenerne conto. Sintomatica la testimonianza di Stefano Baldini, olimpionico di maratona ad Atene 2004: “L’inquinamento oltre a sentirlo, lo si vede perchè è come una cappa stagnante che impregna l’atmosfera”. Nell’atletica leggera a rappresentare Rovellasca potrebbe esserci Micol Cattaneo. La pluricampionessa italiana di corsa a ostacoli ha buone chances per staccare il minimo di partecipazione e volare a Pechino. Ricordiamo che nel 1980 un nostro concittadino partecipò alle Olimpiadi di Mosca, ovvero Marco Cattaneo classiÞcatosi 14° nella gara di ciclismo su strada (vinta dal russo Serghiey Sukoruchenkov) e il migliore degli italiani. LE ORIGINI La storia dei Giochi Olimpici affonda nella mitologia e le loro origini risalgono all’antica Grecia in onore di Zeus (suprema divinità del pantheon greco) e di Olimpia (centro religioso alle pendici del monte Cronio). Secondo la tradizione furono istituiti o da Pelope (eroe del Peloponneso), dopo la sua vittoria su Enomao (re di Pisa, località dell’Elide nel Peloponneso), oppure da Eracle (eroe greco che nella mitologia latina
olimpiadi prende il nome di Ercole, personiÞcazione della forza e del valore) in onore del padre Zeus. La prima olimpiade ebbe svolgimento nel 776 a.C. articolandosi in una giornata e comprendendo solo gare di corsa a piedi e di lotta. In seguito si aggiunsero gare di cocchi, a cavallo, pentathlon (corsa, salto, lancio del disco e del giavellotto, lotta) e pancrazio (combattimento misto di lotta e pugilato a pugni nudi). Inizialmente frequentati soltanto dagli atleti dell’Elide, nei periodi successivi i Giochi divennero panellenici e accolsero anche quelli provenienti da ogni parte della Grecia e dalle colonie. Inoltre dal 472 a.C. la loro durata venne estesa a cinque o sette giorni e l’uso sistematico di numerare quadriennalmente gli anni fu introdotti nel IV secolo a.C. molto probabilmente da Timoteo di Tauromenio (uomo di Stato e generale ateniese) nonchè diffuso da Erastotene (uno dei cosiddetti “trenta tiranni” di Atene). I giochi venivano annunciati da messaggeri che invitavano tutti i Greci a parteciparVi e nel contempo proclamavano la tregua sacra. Gli atleti, che dovevano essere di stirpe greca e di condizione libera, oltre a non avere subito alcuna condanna, giungevano a Olimpia dieci mesi prima dell’inizio dei Giochi per allenarsi sotto la guida degli ellanodici (magistrati incaricati dagli organizzatori in numero variabile Þno a dodici) e ogni città inviava una delegazione ufÞciale. Nell’ultimo giorno aveva luogo la proclamazione dei vincitori e la gloria dell’olimpionico era immensa. Inoltre essa si rißetteva sulla famiglia e sulla città accogliendo in trionfo il campione al suo ritorno. Le Olimpiadi ebbero una decadenza nel II e nel I secolo a.C. per riÞorire di nuovo in era imperiale. Ma nel 393 - 394 d.C. l’imperatore romano Teodosio I il Grande abolì i Giochi che rimasero seppelliti dalla polvere del tempo per tanti secoli. IL COMITATO OLIMPICO Il Comitato internazionale olimpionico (CIO) è stato istituito nel 1894 su iniziativa del barone Pierre de Coubertin e la sede si trova a Losanna. Questi gli sport riconosciuti e facenti parte delle Olimpiadi: atletica leggera, badminton, base-
ball, basket, beach volley, boxe, calcio, canoa, canottaggio, ciclismo su pista e strada, ginnastica artistica e ritmica, trampolino elastico, hockey su prato, judo, lotta greco - romana, lotta libera, nuoto, nuoto sincronizzato, pallanuoto, pallamano, pallavolo, pentathlon moderno, scherma, softball, sollevamento pesi, sport equestri, taekwondo, tennis, tennis tavolo, tiro a segno, tiro a volo, tiro con l’arco, triathlon, tufÞ, vela. LO SPIRITO DELLE OLIMPIADI Per conferire uno spirito anche aulico ai Giochi Olimpici, al di là dei contenuti competitivi avvalorati dai risultati che ne costituiscono il succo sostanziale, Pierre de Coubertin coniò una frase divenuta celebre: “L’Importante non è vincere, ma partecipare”. Con queste parole intese rimarcare chiaramente e inequivocabilmente i valori essenziali dello sport che non di rado vengono messi in discussione. Maggiormente oggi rispetto a periodi ormai lontani che erano scanditi da un più schietto dilettantismo. Ma i tempi cambiano. Un grosso problema è il doping come evidenziato da casi eclatanti. Sta diventando una piaga sempre più profonda che deve essere rimarginata e debellata con forza e rigore per fugare ogni sorta d’equivoco su determinate prestazioni e lasciare trasparire le componenti più signiÞcative che sono l’espressione stessa dello sport e dei suoi ideali. Se il motto olimpico incita ad essere “più veloce, più in alto, più forte” è altresì evidente che va interpretato anche come sinonimo di lealtà e correttezza verso se stessi e nei confronti degli avversari, così come correre, lanciare, saltare fa dell’atletica la disciplina più naturale e dal 1896 è lo sport di base delle moderne Olimpiadi. Ora la chiave è nelle mani della Cina che fra pochi mesi aprirà il suo scrigno a forma di “Nido d’uccello”, ovvero lo Stadio Nazionale di Pechino (progettato da uno studio svizzero). Una realizzazione avvenieristica che sarà il fulcro della manifestazione ospitando le cerimonie di apertura e di chiusura, le gare di atletica leggera e le Þnali di calcio. Pietro Aliverti
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itinerari di fede
Il Santuario della Madonna del Divino Amore
C
astel di Leva è il nome della ventitreesima zona del comune di Roma nell’Agro Romano, nell’area sud della capitale, e qui possiamo recarci pellegrini al Santuario della Madonna del Divino Amore. La storia del Santuario non è legata ad una apparizione di Maria, ma ad una antica immagine della Vergine in trono con in braccio Gesù Bambino, sovrastati entrambi dalla colomba simbolo dello Spirito Santo: di qui il titolo di Madonna del Divino Amore, ad indicare l’intima unione di Maria con il suo arteÞce e sposo, lo Spirito Santo, e a signiÞcare che, come per la Beata Vergine, così anche per ciascuno di noi, senza lo Spirito Santo non si può agire rettamente e non si può divenire costruttori di una società nuova. Il dipinto era posto su una delle torri di cinta di un antico castello, il castello dei Leoni, da cui Castel di Leva. È un giorno di primavera del 1740. Un viandante, probabilmente un pellegrino diretto a Roma, si smarrisce per i sentieri di campagna nei pressi di Castel di Leva, una dozzina di chilometri a sud dell’Urbe. Avendo però scorto alcuni casali e un castello diroccato in cima ad una collina, il viandante vi si dirige di buon passo nella speranza di ottenere qualche informazione utile per rimettersi sulla giusta strada. Proprio mentre sta per fare ingresso nel castello, viene assalito da una muta di cani rabbiosi: le belve inferocite lo circondano e sembrano non offrirgli via di scampo. Impaurito, il poveretto alza lo sguardo e si accorge che sulla torre c’è un’immagine sacra: è la Vergine con il Bambino, sovrastata dalla colomba dello Spirito Santo, che è il Divino Amore. Come un naufrago che si aggrappa alla sua scialuppa, con tutta la forza di cui è capace, urla: «Madonna mia, grazia!». È un attimo: le bestie, che ormai gli sono addosso, di colpo si fermano e sembra quasi che obbediscano mansuete ad un ordine misterioso. Al richiamo di quell’urlo disperato i pastori che sono nei pressi accorrono e, dopo avere ascoltato quell’incredibile racconto, rimettono il pellegrino sulla strada per Roma. Di quell’uomo non si saprà mai il nome. Sappiamo con certezza, invece, che non stette zitto, ma raccontò tutto quello che gli era accaduto, tanto che quel luogo, Castel di Leva, come riportano le cronache del tempo, divenne assai famoso: «Non si distingueva più il giorno dalla notte e continuamente era un accorrere di pellegrini sempre più devoti e numerosi, che ricevevano numerose grazie». L’eco di quanto era accaduto spinse ben presto la gerarchia ecclesiastica a volerci vedere chiaro. Il
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Cardinale Vicario, il carmelitano scalzo Giovanni Antonio Guadagni, si recò in visita a Castel di Leva. Si decise così di trovare subito un tetto alla Madonna: l’immagine fu staccata dall’antica torre e trasportata nella chiesetta di Santa Maria ad Magos, a due chilometri da Castel di Leva, in località Falcognana. La decisione non fu indolore. E non solo perché la scarsa perizia con cui, nel 1742, fu eseguito il distacco dell’affresco dal muro ha portato a danni non più riparabili, e anzi aggravati da incauti e numerosi restauri successivi. Il trasferimento della miracolosa immagine scatenò, infatti, il Þnimondo tra il Capitolo di San Giovanni in Laterano, alla cui giurisdizione apparteneva la chiesetta di Falcognana, e il Conservatorio di Santa Caterina della Rota ai Funari, proprietario di Castel di Leva e quindi del dipinto. A dirimere il contenzioso dovette intervenire la Sacra Rota: con sentenza deÞnitiva dell’8 marzo 1743 si decise per l’appartenenza dell’immagine al Conservatorio di Santa Caterina, precisando che le offerte dei pellegrini dovevano servire per la costruzione di una chiesa. In breve si pose mano ai lavori, per i quali si incaricò l’architetto campano Filippo Raguzzini. In poco meno di un anno la nuova chiesa, ediÞcata sul luogo del miracolo, era pronta per ospitare l’immagine della Madonna. Il 19 aprile, lunedì di Pasqua 1745, si procedette al trasferimento e durante l’Anno Santo del 1750, il 31 maggio, si procedette alla solenne dedicazione della chiesa e dell’altare maggiore al Divino Amore, che è poi il titolo che meglio di ogni altro spiega chi è Maria: una ragazza che accettò di diventare Madre del Salvatore perché ripiena dello Spirito Santo, cioè del Divino Amore. Il nuovo Santuario venne afÞdato prima ad un custode eremita, poi, nel 1805, a sacerdoti che vi dimorarono solo nel periodo della Pentecoste, quando i pellegrinaggi erano più numerosi. Nel 1840, anno del centenario dal primo miracolo, la chiesa e l’altare furono restaurati, gli stucchi nuovamente indorati, venenro posti altri due altari e numerosi confessionali, ma dopo i festeggiamenti si aprì una stagione di declino: intorno al Santuario, soprattutto nei giorni vicini alla Pentecoste, venivano allestite bancarelle di porchetta, di pecorino, di fave e di vino accompagnate dal fenomeno delle “madonnare” ossia popolane romane, per lo più erbivendole e lavandaie, che festeggiavano la loro particolare festa annuale proprio nel lunedì di Pentecoste. Questa commistione tra sacro e profano (il pellegrinaggio al Divino Amore era diventato ormai sinonimo di “gita fuori porta”) portò ad una progressiva de-
itinerari di fede cadenza del Santuario che cadde quasi nell’oblio. Gli eventi della seconda guerra mondiale coinvolsero anche la Madonna del Divino Amore. Dopo che, all’indomani dell’8 settembre 1943, la zona del Santuario venne stata bombardata, l’icona della Madonna fu portata a Roma il 24 gennaio 1944. Accolta trionfalmente in città dal popolo, l’immagine venne dapprima portata nella chiesetta della Madonna del Divino Amore, che si trovava nei pressi di piazza Fontanella Borghese, ma, dato l’enorme afßusso di fedeli, venne trasferita a San Lorenzo in Lucina. Papa Pio XII, vista l’imminenza della battaglia per la conquista di Roma tra i nazisti e gli Alleati, invitò solennemente i romani a pregare per la salvezza della città durante l’ottavario della Pentecoste e la novena della Madonna del Divino Amore, iniziate quell’anno il 28 maggio 1944. L’afßuenza a San Lorenzo in Lucina in quei giorni aumentò così tanto (il giornale La Civiltà Cattolica riferì di 15.000 comunioni distribuite quotidianamente) che ci si trovò costretti a trasferire l’immagine della Madonna nella più ampia Sant’Ignazio di Loyola a Campo Marzio. Il 4 giugno, lo stesso giorno in cui terminava l’ottavario, si decise la sorte di Roma. Alle 18 nella chiesa gremitissima di Sant’Ignazio venne letto il testo del voto dei romani alla Madonna del Divino Amore afÞnché la città venga risparmiata dalla distruzione della guerra. I fedeli promisero di correggere la propria condotta morale, di erigere un nuovo Santuario e di realizzare un’opera di carità a Castel di Leva. Il voto venne espresso in gran fretta per via del coprifuoco che sarebbe scattato alle 19. A leggere il voto, in luogo del Papa (impossibilitato a lasciare il Vaticano per il pericolo della deportazione), fu il camerlengo dei parroci, padre Gremigni. Quella stessa sera i tedeschi lasciarono la città e le truppe alleate fecero il loro ingresso trionfale in città. L’11 giugno, come per oltre quattro mesi avevano fatto migliaia di romani, papa Pio XII potè recarsi nella chiesa di Sant’Ignazio e celebrare una messa di ringraziamento alla Madonna del Divino Amore cui venne dato il titolo di Salvatrice dell’Urbe. Finita la guerra, sotto l’impulso del rettore don Umberto Terenzi, il Santuario a Castel di Leva tor-
na a nuova vita: nascono il Seminario degli Oblati del Divino Amore, che da allora custodiscono e animano il Santuario, e la Congregazione delle Figlie della Madonna del Divino Amore, ancora oggi impegnate nel servizio alle opere di carità nate intorno al Santuario come la scuola per l’infanzia, accoglienza e assistenza delle minori in difÞcoltà. Don Terenzi tentò di provvedere alla costruzione di un nuovo Santuario per assolvere al voto fatto alla Þne della guerra, ma le difÞcoltà burocratiche e le difÞcoltà logistiche gli impedirono sempre di realizzare quest’opera. Si dovrà aspettare l’8 gennaio 1996 perché il cardinale vicario Camillo Ruini ponga la prima pietra di quello che, per il Giubileo del 2000, è diventato il nuovo Santuario. La struttura, in grado di accogliere oltre 1500 pellegrini, è stata realizzata ai piedi della collina, fuori dalle antiche mura, senza violare il paesaggio della campagna romana e il complesso monumentale settecentesco. Ancor oggi, il Santuario del Divino Amore è una meta di pellegrinaggio molto cara ai romani: ogni sabato, dal primo dopo Pasqua all’ultimo di ottobre, si tiene un pellegrinaggio notturno a piedi con partenza a mezzanotte da Piazza di Porta Capena, nei pressi del Circo Massimo. All’alba, dopo aver percorso 14 km si giunge al Santuario dove si celebra la messa del pellegrino. Il luogo più bello e commovente che si può ammirare nel visitare il Santuario della Madonna del Divino Amore è la sala degli ex voto, che sono migliaia, tanto che il Santuario stenta a contenerli tutti. Molti sono un segno di riconoscenza alla Madonna per una «grazia ricevuta», altri una semplice invocazione d’aiuto e di protezione, tutti si fanno preghiera nelle parole: «Fa’, o Madre nostra, che nessuno passi mai da questo Santuario senza ricevere nel cuore la consolante certezza del Divino Amore. Amen», che papa Giovanni Paolo II, Vescovo di Roma, pronunciò la domenica 4 luglio 1999 prima della recita dell’Angelus, al termine della Dedicazione del Nuovo Santuario della Madonna del Divino Amore. info tratte dal web
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testimonia fidei
Ancora sull’origine antica del nostro Crocifisso: non affatto per amore di polemica!
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l sottoscritto ha letto con attenzione ed interesse l’articolo “Il CrociÞsso a Rovellasca: una tradizione infondata?” (Boll. Parr. Marzo 2008) a Þrma FABIO RONCHETTI. Sinceramente nello stesso è stato profuso un impegno lodevole e serio, ma mi lasciano non poco perplesso alcune affermazioni che commenterò nei contenuti seguenti. Anzitutto l’autore dell’articolo sembra che stenti a riconoscere la fondatezza di un accadimento in base alla Tradizione che, mancando il suffragio di documenti sicuri e di testimonianze pertinenti e competenti, diventa sacrosanto criterio storico di valenza universale. “VOX POPULI VOX DEI” è citato dal sottoscritto nel Bollettino precedente, per solennizzare il Cinquecentesimo del nostro CrociÞsso. Non per nulla i cultori del nuovo verbo dell’Illuminismo - condannato da Pio IX - avevano esiliato Rivelazione e Tradizione. Poi... Adesso... un discorso fondamentale! Cesare Angelini di Albuzzano Pavese, da poco scomparso (Sacerdote, professore universitario, scrittore e critico letterario di raro livello, manzoniano per la pelle), nelle sue ricerche per fare la storia delle pestilenze che afßissero in particolare Cinquecento e Seicento in Alta Italia - con la grande peste del 1580 ai tempi di San Carlo Borromeo e con la più grande peste del 1630, quella manzoniana, preceduta dalla carestia, con il Cardinale Federico Borromeo - risale alla lontana genesi del tremendo morbo. Ed afferma di aver scoperto una importante attestazione storica da lui trascritta (e riportata in questa scrittura) in una cronaca latina di un certo Monaco Emiliano (“cuiusdam Aemiliani Monaci”) nell’archivio di un Monastero della sua Pavia. Nell’attestazione si dichiara l’insorgenza 42
qua e là in Alta Italia di focolai della peste con queste testuali espressioni “Incipiente ac progrediente ANNO MD, in Longobardica Terra, Mediolanensi et Comensi et Comitatu Morbiensi locis praesertim, initia extiterunt pestilentiae cum contagio, brevi fortunate aetate. Postea, ad saeculi Þnem, Sancti Caroli tempore, calamitas illa eruptionem habuit horriÞcam in humanis et in rebus” (1580). Il passo latino sott’occhio (di traduzione e comprensione piuttosto facili) induce almeno a non escludere in modo alquanto categorico, sbrigativo e semplicistico, l’ipotesi che nel 1508 pure Rovellasca fosse colpita dalla peste, cessata poi in modo soprannaturale. E’ un testo abbastanza illuminante, quasi per sostenere ed avvalorare - in una prospettiva generica, ma non senza qualche logicità - L’ANNO 1508 quale origine della secolare devozione al nostro CrociÞsso. Qualche dubbio e qualche interrogativo restano... ma non di troppo! DIVERSAMENTE sarebbe come un tradire la coscienza religiosa civile morale, la cultura paesana, la memoria atavica della gente rovellaschese: un’eredità ininterrotta dei padri e dei Þgli! Con l’augurio, comunque, di avere in futuro sull’argomento cose nuove: come qualche reperto rivoluzionario o quasi, qualche messaggio Þnora recondito...di cui noi tutti saremmo custodi interpretativi gelosissimi. Ma, seriamente, esistono dubbi... e forse si preferisce poggiare i piedi per terra: cioè sulla Tradizione! Nel frattempo, nel rispetto delle posizioni personali ed in conÞdente cordialità, a FABIO RONCHETTI una serena stretta di mano! dr. prof. Gaetano Viganò
il bollettino - giugno 2008 Periodico d’informazione della Comunità Parrocchiale di Rovellasca Responsabile: Don Roberto Pandolfi Responsabile di redazione: Rupert Magnacavallo Comitato di Redazione Pietro Aliverti, Manuela Carugati, Lucia Carughi, Chiara Perego, Gabriele Forbice, Dr. Prof. Gaetano Viganò. Si ringrazia per la gentile collaborazione Armando e Patrizia, Fortunato Franzolin, Giovanni, Stefania e Paolo, Maria Grazia, Raffaella, Gruppo Zero, Tiziano Brenna, Avv. Alessandra Lorenzi, Fabio Ronchetti, Giuseppe Vago, Associazione Tabor, Ing. Danilo Borella, Foto Robbiani, Foto Bianchi
C volesse scriverci o raccontarci esperienze di vita cristiana, Chi può farlo inviandoci una mail all’indirizzo di posta elettronica
[email protected] Il materiale deve pervenire entro e non oltre il 3 Agosto 2008
DOMENICA: GIORNO DEL SIGNORE SS. MESSE Sabato ore 18.00 Domenica ore 8.00 - 9.30 11.00 - 18.00 Giorni feriali ore 9.00 - 18.00 Giovedì ore 20.30 CONFESSIONI Sabato dalle ore 15.00 alle ore 17.30. Il Parroco è disponibile ad incontrare gli ammalati e le persone che non possono uscire di casa; mettersi in contatto con lui.
BATTESIMI I genitori avvertano il Parroco quando nasce un bambino, o meglio quando ancora sono in attesa. Il Parroco avrà con loro un incontro in casa. Il Battesimo viene amministrato ogni ultima domenica del mese. MATRIMONI Prendere contatto con il Parroco vari mesi prima delle nozze perché la preparazione sia un itinerario di crescita cristiana. Si richiede la partecipazione al cor-
so per fidanzati. Iscrizioni presso il parroco. Non si celebrano matrimoni di domenica al di fuori delle S. Messe di orario. PARROCO e VICARIO: Don Roberto Pandolfi Via G.B. Grassi Tel. 02 963 42 501 Don Alberto Erba Via S. Giovanni Bosco Tel. 02 963 42 221
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I ragazzi della S. Cresima
PRO MANOSCRITTO
I bambini della Prima Comunione