Joyce Show
Come educare il vostro bambino con amore e competenza Guida per genitori ed educatori di bambini autistici
Armando editore
Sommario
Ringraziamenti
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Introduzione
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Note per il lettore
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Capitolo 1: Cos’ha mio figlio che non va?
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Capitolo 2: Prima di tutto, l’atteggiamento
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Capitolo 3: L’osservazione. Un ineludibile punto di partenza
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Capitolo 4: Integrazione sensoriale
55
Capitolo 5: La pianificazione motoria
69
Capitolo 6: Coinvolgete vostro figlio (come invogliare il bambino a giocare con voi)
75
Capitolo 7: Come costruire la motivazione
93
Capitolo 8: Pianificare una strategia per lo sviluppo cognitivo
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Capitolo 9: Come sviluppare strumenti di comunicazione
145
Capitolo 10: L’insegnamento della comunicazione non verbale
175
Capitolo 11: I passaggi fondamentali dello sviluppo sociale ed emotivo
193
Capitolo 12: Lo sviluppo cognitivo avanzato. Il passaggio al pensiero astratto
255
Capitolo 13: Lo sviluppo sociale ed emotivo avanzato. L’esplorazione di mondi interiori
307
Capitolo 14: Imparando a Imparare, un bellissimo viaggio
355
Capitolo 15: I comportamenti difficili
367
Capitolo 16: Aggressività e autolesionismo
409
Capitolo 17: Lavorare sul self-help e sull’uso della routine
431
Capitolo 18: Come riuscire a farcela?
441
Conclusioni: Una fionda e una scorta di sassi
451
Glossario
461
Bibliografia
473
Ringraziamenti
Peter, grazie per aver scritto questo libro con me, ogni volta che abbiamo provato i giochi e messo in pratica i principi teorici insieme, passo dopo passo. Vorrei inoltre ringraziare le innumerevoli persone che hanno benedetto Peter con il loro amore e talento, in particolare: Dott. Gwennyth Palafox e Belinda Wulke, la mia squadra del cuore. Gwen, sei uno psicologo brillante, dotato di senso del divertimento, gioia e umorismo che fanno sembrare possibile qualunque impresa. La tua intuitività e la tua saggezza vanno ben oltre la tua giovane età. Belinda, sei ineguagliabile per intraprendenza, coraggio e pazienza. Sei un’insegnante spontaneamente brillante, la seconda madre di Peter, la mia migliore amica e il mio sostegno. Ai nostri bravi insegnanti Jeannette Pound e Gabriela Ziolkowski, siete rimaste al fianco della nostra famiglia da quando Peter era piccolissimo e il vostro amore è parte integrante della persona che è diventato. Al Dott. Diane Danis, al Dott. Diane Cullanae, al Dott. Susan Spitzer, al Dott. Mona Delahooke ed il Dott. Shakeh Mazmanian, siete tutto ciò che si potrebbe desiderare in un medico, compassionevoli, molto competenti e sempre pronti a fare più del richiesto. Susan Hollar, sei la migliore dei professori, perché stai sempre a imparare e in questa tua continua ricerca di conoscenza hai scoperto l’Intervento di Sviluppo Relazione (RDI), salvando mio figlio. Dott. Bodil Sivertsen, grazie per averci guidato con il suo splendore attraverso quei primi giorni bui. Cynthia Cottier, con i tuoi eccezionali insegnamenti nel campo delle tecnologie assistive (AT) hai aperto un intero nuovo mondo a Peter. 7
Grazie ai Dottori Robert e Lynn Koegel che quando, disperata, ho bussato alla loro porta, hanno gentilmente indicato corsi di formazione per me e Peter a Santa Barbara. Grazie ai miei amici e compagni di lotta, Caren e Charles Gale, che quando ho scoperto la diagnosi di Peter mi hanno lanciato un salvagente, alla Dott.ssa Anita Ghazarian che mi ha dato una spinta quando ne avevo bisogno e al consiglio di amministrazione della Foothill Autism Alliance, per la loro eccezionale offerta formativa dedicata ai genitori. Ai medici Tamara Jackson, a Kristen Angelica, Diana Yuen, Leslie Maine, Raissa Choi, David Wulff, Emily Felong, Wendy Watts e a tutto il personale affettuoso, scrupoloso e di talento nel nostro distretto scolastico, non c’è altro quartiere del paese che avrebbe fatto quello che avete fatto voi per Peter. Che Dio vi benedica! Al mio piccolo esercito di angeli, tutti i giovani, adorabili, che hanno dedicato il loro talento e le loro energie ad amare Peter – Frances, Laura, Charlie, Teresa e Joseph Wulke, Alison Joe e Jessica Lam, per me siete come dei figli e delle figlie. Al Dott. Cullanae e a tutti gli adorabili specialisti del Psadena Child Development Associates, soprattutto Felicie Standley e Wynai Tsing, grazie per le tante meravigliose ore di floortime. Siete stati al centro dello sviluppo sociale ed emotivo di Peter. Grazie a Tao Zhen Yu, Lydia Lam, Sargis Akopyan e al personale del Mountain High Disabled Ski, per tutti i vostri contributi alla crescita di Peter. Grazie a Claudia Lara e Marjorie Gell, per il sostegno del Lanterman Regional Center. Grazie al Dott. Palafox, Dr. Cullanae, Dr. Danis, Dott. Spitzer, Susan Hollar e Beverlee Paine per aver messo a disposizione le vostre competenze nel rivedere vari capitoli del mio manoscritto. Ai miei amici insegnanti, fonti d’ispirazione, Stephanie Joe e Bonnie Hine, e ai meravigliosi amici della San Gabriel Valley Inklings, tra cui Jane Rumph, Marilyn Woody, Yvonne Ellfeldt, Sandee Foster, Sharon Pearson, Marianne Croonquist, Muriel Gladney, Susan Skommeta, Debby Allen e soprattutto al mio mentore, Pat Stockett Johnson un caloroso ringraziamento per le modifiche, l’incoraggiamento e soprattutto per le vostre preghiere, so che il nostro incontro è stato provvidenziale. A tutta la mia amata famiglia allargata, in particolare a Jane e Matthew 8
Wada, per aver fedelmente percorso questo viaggio con noi, venendoci a trovare ogni singola settimana, il vostro affettuoso sostegno ci dà coraggio. Jane, tempo fa, quando abbiamo avuto la diagnosi di Peter, mi hai detto che l’avremmo affrontata insieme e hai mantenuto la tua promessa. Grazie Yeye per il sostegno che dai a Peter e Yiyi Judy per le molte telefonate di conforto, le preghiere e le lunghe traversate in macchina per accompagnare la mia talentuosa nipote, Rosie, a prendersi cura di Peter. Ai miei cari figli, Judy, Jeffrey, Stephen, Joseph, Teddy e Luke, tutti avete donato un po’ delle vostre capacità al vostro fratello speciale, con amore, ognuno a suo modo. E soprattutto al mio amato Vinh, il migliore marito e padre che chiunque potrebbe mai avere, che mi sorprende sempre con le cose che riesce a vedere e mi fa sentire umile per tutto quello che mi manca, ringrazio Dio per te! E ringrazio Dio per la Sua provvidenza piena di grazia e per averci donato Peter, il nostro bellissimo tesoro.
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Introduzione
Quando all’età di due anni e mezzo gli è stato diagnosticato l’autismo, mio figlio Peter non pronunciava una sola parola – nemmeno “mamma”. Pensavamo fosse sordo poiché non reagiva alle cose che dicevamo né rispondeva se lo chiamavamo per nome. Lanciava qualche gridolino afferrando i suoi giocattoli che poi agitava su e giù, sbattendoli da una parte all’altra senza nessuno scopo. Abbiamo iscritto Peter al centro educativo di un ente molto rinomato, che segue un metodo conosciuto come “Analisi Applicata del Comportamento” o “ABA”, per 30 ore a settimana. Di tutti i metodi esistenti per il trattamento dell’autismo, l’ABA può vantare i dati più obiettivi a sostegno della propria efficacia. Peter però faceva progressi minimi. Passava gran parte del tempo a piangere per la frustrazione. Abbiamo assunto una consulente molto preparata che lavora applicando il “Modello DIR” o floortime. Lei ci ha aiutati a ottenere l’attenzione di Peter e a coinvolgerlo in semplici momenti d’interazione durante le sedute di un’ora che teneva con noi ogni settimana. Peter però aveva così pochi interessi ed era così abile nell’ignorare le nostre proposte che difficilmente riuscivamo a gestirlo da soli per il resto dei giorni. Ci era stato detto che dopo sei mesi di terapia intensiva è possibile farsi un’idea sulla prognosi e le potenzialità di un bambino. Allo scadere dei sei mesi, io e mio marito rimanemmo atterriti e profondamente scoraggiati nel realizzare che la forma autistica di nostro figlio era particolarmente severa e il danno cerebrale molto esteso. Pregai moltissimo, chiusi il mio studio medico e intrapresi questo lungo viaggio. L’autismo è un grave disturbo neurologico che coinvolge diverse parti del cervello, andando a volte a toccare aree molto estese. Se avete un figlio che soffre di autismo, che sia una forma grave o lieve, saprete cosa significa vivere con il cuore spezzato dal vedere il vostro bambino incapace di 11
fronte a gesti anche semplicissimi che i suoi coetanei neuro-tipici compiono in maniera del tutto naturale. Si può provare a educare il proprio figlio con amore e pazienza, ma sembra sempre non bastare. È come se le motivazioni del bambino fossero inceppate e lo rendessero apparentemente disinteressato all’apprendimento. Per dieci anni mi sono sforzata di imparare tutto quello che potevo sui vari metodi educativi che si fossero dimostrati utili almeno in alcuni casi. Poi provavo ad adattarli a mio figlio. Ho scoperto che i metodi efficaci sono più di uno e che noi avevamo bisogno di combinarne diversi per poter affrontare tutte le difficoltà di Peter, il cui cervello era stato danneggiato in più aree da una forma di autismo particolarmente grave. Riorganizzare il cervello di una persona è un po’ come costruire una casa. Ogni stanza ha la propria funzione e proprio per questo deve poter disporre dell’arredamento appropriato. Si usa un certo mobilio o una combinazione di pezzi differenti a seconda della stanza in cui ci si muove, di ciò che essa contiene e delle funzioni alle quali deve servire. È necessaria una planimetria dell’intera casa poiché tutte le stanze sono interconnesse e devono necessariamente svolgere insieme il proprio compito. Se anche un solo elemento d’arredo viene a mancare, la stanza che ne rimane priva smette di funzionare al massimo del suo potenziale e tutta la casa perde, così, di valore. Per questo non si va lontano senza delle buone fondamenta, una planimetria e i pezzi d’arredo appropriati. Scrivo questo libro per fornirvi il materiale necessario a lavorare con i vostri figli e ristrutturare i loro cervelli. Dovete essere in grado di comprendere quali parti sono state collegate male, costruire una sorta di mappa evolutiva del bambino per provare a risalire alle varie carenze e a compensarle e dovrete dotarvi di tutti gli strumenti necessari a questo delicato lavoro. Potreste passare centinaia di ore cercando di insegnare a vostro figlio a fare qualcosa oppure a spiegargli un determinato concetto, ma i vostri sforzi andranno persi a meno che non siano inseriti in una strategia generale che miri ad assicurare al bambino la capacità di pensare e agire autonomamente. Questo è particolarmente vero per i bambini affetti da forme di autismo molto gravi. Per dirlo con le parole di Sun Tzu, un generale cinese del quinto secolo a.C.: Una strategia priva di tattica è il percorso più lento verso la vittoria. La tattica priva di strategia è il rumore della sconfitta che si avvicina. 12
Questo libro vi insegnerà a relazionarvi con vostro figlio tenendo sempre presente una strategia dello sviluppo a lungo termine, basata su una combinazione dei migliori strumenti formativi. Sono già stati scritti diversi libri sulle possibili cause dell’autismo e i vari tipi di approccio bio-medico, di cui io non mi occuperò. Che stiate o meno considerando terapie farmaceutiche o d’altro tipo per i vostri figli, avrete comunque bisogno di educarli. E di questo tratta il mio libro – come istruire efficacemente il bambino seguendo un approccio olistico, integrato. L’obiettivo è quello di prendersi cura di lui a 360 gradi, anima e corpo, mettendo a disposizione le nostre capacità migliori, ma soprattutto il nostro amore. Questo libro insiste e puntualizza sull’importanza del fornire ai bambini i pezzi necessari per comporre i puzzle del pensiero, dei sentimenti, del relazionarsi con gli altri con amore e fiducia e sviluppare così la propria personalità. In principio il mio potrà sembrarvi un approccio quasi eccessivamente serio, ma vi accorgerete praticandolo che qualunque apprendimento avviene in realtà attraverso scambi reciproci, pervasi da un senso di gioia e divertimento. Nutro un affetto speciale per voi, genitori di bambini gravemente colpiti dall’autismo. È il caso di mio figlio – pochissime aree del suo cervello sono rimaste immuni. Ho letto libro dopo libro, ma con lui nessun metodo d’insegnamento sembrava funzionare. Il suo cervello era troppo pesantemente danneggiato in troppe aree differenti. Qualunque tipo di approccio, se preso singolarmente, finiva per fallire poiché seppure efficace per alcuni tipi di deficit, per poter funzionare richiedeva il coinvolgimento di altre aree del cervello che nel caso di mio figlio sono a loro volta danneggiate. Mi sentivo scoraggiata, pensavo ci fosse qualcosa di sbagliato in quello che facevo. Non mi ero resa conto che il problema riguardava alcuni passaggi che mi erano sfuggiti, pezzi mancanti. Scoprii in seguito che è necessario identificare, conoscere e sostenere ogni diversa area di deficit, altrimenti il rischio è che alcuni problemi vengano sottovalutati e si trasformino poi in limiti insormontabili per i nostri figli. Per questo è importante che vi formiate una conoscenza complessiva di tutte le aree coinvolte e che mettiate a punto una strategia che vi consenta di intervenire su più aree contemporaneamente. Dovrete acquisire una vasta gamma di conoscenze dei vari metodi educativi con cui affrontare i diversi problemi che vi si presenteranno. Avrete infatti bisogno di impiegare risorse e strumenti diversi allo stesso tempo per intervenire simultanea13
mente sulle varie stanze che compongono la casa di vostro figlio. Senza lo scenario completo non si va lontano. Questo è il libro che avrei voluto avere quando ho intrapreso il mio percorso più di dieci anni fa. Potrebbe intitolarsi Il libro dei pezzi mancanti. Ho provato a metterci dentro tutti i passaggi mancanti che avrei voluto qualcuno mi suggerisse e che invece ho dovuto scoprire da sola, attraverso le mie ricerche e dopo lunghe sofferenze e molti errori. È un libro che vi guiderà nell’assistenza a vostro figlio, a partire dalle prime forme d’interazione fino allo sviluppo del pensiero astratto e riflessivo. Le regole generali per i bambini con qualunque forma di autismo, sono regole buone anche per i bambini neuro-tipici. Semplicemente se vostro figlio è affetto da una forma leggera, supererete le varie fasi con maggiore facilità. Ciononostante, ogni singolo passaggio viene comunque elencato a beneficio di coloro che ne avessero bisogno. La cosa più importante è che siate davvero consapevoli di quali problemi riguardano il cervello del vostro bambino, così da poterli affrontare. In questo modo, se un certo tentativo fallisce, saprete da subito quale alternativa tentare e su quali aree intervenire con maggiore urgenza. Conoscere è potere e aiuta a sperare, poiché permette di sapere quali cose sono necessarie, anche nel caso in cui il percorso previsto si presenti lungo e richieda grande dedizione. Nel libro, i vari procedimenti da seguire con il bambino sono presentati in ordine d’importanza: dai fondamentali a seguire. Il primo passo a è capire quali sono i bisogni del bimbo, imparare a osservarlo e a facilitare, identificare e attenuare le diverse percezioni sensoriali, ad aiutare lo sviluppo motorio. Il passo successivo dovrebbe riguardare le interazioni basilari, è il momento in cui si lavora sulla motivazione, sul creare una strategia per lo sviluppo cognitivo, sulla costruzione di un sistema di comunicazione (anche non verbale) e sullo sviluppo sociale ed emotivo. I capitoli conclusivi aiutano ad accompagnare il bambino attraverso stadi più avanzati dello sviluppo sociale ed emotivo e a sostenerlo in ogni fase del processo d’apprendimento. Ho inserito inoltre alcuni capitoli di istruzioni per il self-help, utili ad affrontare la routine quotidiana e le difficoltà comportamentali, compresi aggressività e autolesionismo. Leggendo i capitoli in ordine sequenziale scoprirete mano a mano le varie fasi di sviluppo del bambino e capirete come affrontarle a partire dai primi momenti di vita. Ogni capitolo è anche completo in sé e può essere 14
consultato separatamente come fonte di consigli specifici su determinate questioni. Sono madre di sette figli il sesto dei quali è stato colpito da una grave forma d’autismo. Mi sono laureata con il massimo dei voti in biochimica all’università di Harvard e ho un master interuniversitario in scienze e tecnologie della medicina presso le università di Harvard e il Massachusetts Institute of Technology. Sono doppiamente specializzata in medicina interna e in geriatria. Ho abbandonato la mia decennale attività di medico per stare a casa con mio figlio e aiutarlo perché nonostante tutte le risorse esterne che abbiamo trovato per lui, non faceva progressi. Amavo la mia professione e il contatto con i pazienti mi appagava e mi faceva sentire amata. Mi sono sempre ritenuta una donna fortunata. Ciononostante, sapevo che una brillante carriera come medico non mi avrebbe resa felice se questo significava abbandonare mio figlio. Volevo fare tutto il possibile per aiutarlo a sviluppare al massimo le sue potenzialità e vivere così una vita degna e ricca di significato. Mio figlio, Peter, oggi ha 12 anni e soffre ancora di un autismo grave, ma quello che porto è un messaggio di speranza. Non abbiamo trovato soluzioni rapide o indolori, però non disperatevi. Attraverso un lavoro duro e tenace e con tanta comprensione, anche i bambini che soffrono di forme di autismo molto gravi riescono a fare progressi significativi. Quando ha a disposizione il suo dispositivo di tecnologia assistiva (AT) per la comunicazione, Peter raggiunge un livello di competenza linguistica pari a quello di un bambino di sei anni. Sa vestirsi da solo, mangia con le posate, va in bicicletta, scia e aiuta nelle faccende domestiche. Quando andiamo in chiesa o in altri contesti collettivi spesso si comporta meglio di suo fratello minore. Ma soprattutto Peter è attivo e allegro e ha un delizioso senso dell’umorismo. Un po’ di tempo fa, per tenerlo occupato durante la messa, con della cera verde e rosa ho composto un fiore, con stelo e petali, e l’ho appoggiato sulla panca tra noi due. Ci siamo alzati per le preghiere e, quando ci siamo seduti di nuovo, mi sono accorta che accuratamente disposte affianco al mio fiore c’erano una strisciolina di cera messa a mò di stelo e sopra un’altra a forma di cerchio, per il fiore. Peter se ne stava lì a guardarmi con un sorriso enorme e birichino stampato in faccia e negli occhi una scintilla d’orgoglio. Dunque mettetevi l’anima in pace, rimboccatevi le maniche e preparatevi a lavorare sodo. Per far fronte a tutti i bisogni di vostro figlio servirà 15
un’intera squadra, ma di tutte le persone che ne faranno parte, siete voi la più importante. Come genitori siete quelli che possono fare di più e anche se il vostro bambino al momento non riesce a dimostrarvelo, fidatevi del fatto che vi ama sopra ogni altra cosa. È così. Durante il vostro percorso di crescita insieme si “sgancerà” dai limiti che la malattia gli impone e ve lo dimostrerà in modi che sarete in grado di capire. Se riuscirete a trovare un buon consulente in grado di aiutarvi, prepararvi e darvi sostegno, meglio ancora. Anche se è inevitabile, cercate di non disperare e di non andare nel panico. Potete iniziare per conto vostro, immediatamente, seguendo le tecniche descritte in questo libro. Potete insegnare alle persone come aiutarvi. Ricordate che anche quando sembra impossibile, non lo è. Forse lentamente, forse facendo due passi avanti e uno indietro, ma il vostro bambino migliorerà. All’età di tre anni, i progressi di Peter erano così lenti che potevo solo pregare di riuscire, un giorno, a godermi mio figlio. Pur avendo ancora un lungo lavoro da fare, oggi posso dire che le mie preghiere sono state esaudite. Prima o poi vi scoprirete davvero felici con i vostri figli e il dolore si attenuerà. Lungo il cammino potreste incontrare amici fantastici e imparare a dare un nuovo valore alle cose. Rispetto a questo, oggi più di quando tutto ha avuto inizio, sento di essere stata benedetta in molti modi. E penso ancora di essere una delle donne più fortunate del mondo.
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Note per il lettore
Per ragioni di uniformità, riferendomi ai bambini uso il maschile, alla luce della maggiore incidenza dell’autismo nei maschi. Ovviamente, bambini e bambine hanno pari peso nel mio cuore e tutti i suggerimenti inseriti nel libro possono essere applicati con entrambi i sessi indistintamente. Mi appellerò alla vostra tolleranza per i riferimenti alla mia religione. Nutro un profondo rispetto per la verità e la bellezza rappresentate da tutte le grandi religioni della Terra e in nessun modo intendo contraddire questo pensiero riferendomi al mio credo. Interpretate tali riferimenti come una mia personale visione delle cose. Sto soltanto, onestamente, condividendo con voi la storia di Peter e mi sembrerebbe una forzatura omettere ciò che ne ha rappresentato il cuore e l’aspetto fondamentale. E beato colui che non si scandalizza di me (Matteo 11, 6).
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Capitolo 1
Cos’ha mio figlio che non va?
Osservavo Peter dalla finestra della mia camera da letto mentre correva in tondo nel giardino dietro casa. Eravamo appena rientrati da una visita con il pediatra, il Dott. Maz. Peter aveva diciotto mesi. Una mia cara amica, la Sig.ra Yu, stava badando a lui. Avevo bisogno di un momento per stare da sola. Il Dott. Maz aveva sbattuto forte due coperchi di pentola proprio dietro a Peter, lui non aveva neanche girato la testa. Continuava a sorridere tra sé, non un sussulto. Il Dott. Maz, comprensivo, aveva prescritto un controllo dell’udito. Mio figlio era forse sordo? Eppure c’erano volte in cui sembrava in grado di sentire, come quando arrivava di corsa se riconosceva in tv la sigla del suo cartone animato preferito. E tutte le volte che lo avevo coccolato dicendogli quanto lo amo – poteva sentirmi? Le lacrime continuavano a scorrermi sul viso, ma il peggio doveva ancora venire…
Cos’ha mio figlio che non va? È questo il grido straziante di ogni genitore quando i sintomi dell’autismo alla fine s’impongono sulle nostre coscienze. Il fatto che il bambino non stabilisca contatto visivo, non indichi con il dito, non cerchi approvazione quando fa qualcosa – cerchiamo di ignorare ognuno di questi segnali il più a lungo possibile. Chi tra noi ha figli che sono regrediti potrebbe aver assistito a qualche scintilla di competenze residuali come improvvise esplosioni di balbettio e versetti o il correre alla porta per salutarci fino a quando anche questi minimi segnali di speranza non sono spariti. Arriva un momento in cui realizziamo di aver perso il nostro bambino senza neanche aver capito che bisognava dirsi ciao. 19
Cos’è l’autismo? La comprensione come primo passo per stare meglio L’autismo è un disturbo di sviluppo del cervello che si manifesta attraverso profonde difficoltà sociali e di comunicazione. Spesso inoltre si verificano problemi che riguardano la coordinazione motoria (“pianificazione motoria”), la selezione e l’elaborazione degli input sensoriali (“disordine sensoriale”) e la gestione delle emozioni (“regolazione affettiva”). Sono tratti tipici la ristrettezza degli interessi e la ripetizione continua di gesti o parole apparentemente insignificanti (“stereotipie”, dette “auto stimolazione”), come sventolare le mani o emettere gemiti. Lo spettro autistico comprende una serie di disturbi che possono riguardare aree del cervello diverse e, pertanto, influiscono su diverse competenze con diversi gradi di gravità a seconda dell’individuo. Le cause dell’autismo sono sconosciute. In alcuni casi si ipotizza una predisposizione genetica o che si tratti del risultato dell’accumulo, ogni anno, di decine di migliaia di nuovi agenti chimici nell’aria – i quali hanno possibili effetti collaterali sulla salute dell’uomo e restano ampiamente sconosciuti fino al momento delle loro manifestazioni. Poiché non ne conosciamo la causa o le cause biologiche, l’autismo non può essere curato con terapie biomediche standardizzate e che siano valide per ogni bambino. Alcuni genitori incappano quasi incidentalmente in una serie di trattamenti biomedici che sembrano apportare enormi migliorie nelle cure dei loro figli. Resta però da dimostrare, attraverso studi di vasta scala, l’efficacia di tali trattamenti se messi a confronto con le terapie basate sull’effetto placebo. L’autismo è così devastante che molti genitori sono disposti a sperimentare questi farmaci, compresi quelli a rischio di effetti collaterali. Eppure dopo aver speso enormi quantità di tempo, denaro ed energie per queste terapie, molte famiglie scoprono che il loro bambino non ha fatto progressi. E allora che fare? Fortunatamente il cervello è un organo piuttosto elastico, ovvero ha una buona capacità di adattamento e trasformazione. A partire dagli anni ’70 si sono compiuti enormi progressi nello sviluppo di modelli educativi che puntano a correggere i disturbi del cervello (“ristrutturazione” o rewiring cerebrale). Quando i tentativi più avanzati in questa direzione falliscono, si può ricorrere a vari metodi di compensazione (sostegno o utilizzo di altre parti del cervello) relativa alle aree del cervello più danneggiate. Che stiate o meno utilizzando terapie biomediche per i vostri figli, dovreste comun20
que avviare da subito anche un percorso educativo. Il cervello è tanto più elastico quanto più è giovane, per cui gli interventi sui più piccoli sono anche quelli che portano ai risultati migliori (ciononostante anche se il vostro bambino è già grandicello non datevi per vinti, il cervello infatti continua a svilupparsi, anche se a velocità minore, fino ai 50 anni e probabilmente anche oltre!). Prima di capire come rimediare e compensare, è indispensabile avere chiaro esattamente quali cose vadano corrette. La neurobiologia è appena all’inizio nello studio del funzionamento del cervello e l’autismo è un disturbo molto complesso ed esteso. Alcuni dei vocaboli e dei concetti utilizzati in questo libro potrebbero suonare come dei tecnicismi, ma impararli vi sarà utile per comunicare con i vostri consulenti in modo più efficace. Impiegherò anche terminologia medica, di cui, chi fosse interessato, potrà trovare le definizioni nel Glossario alla fine del libro, con alcune mie spiegazioni. Sebbene non sia fondamentale comprendere la fisiopatologia medica dell’autismo, che per di più è in buona parte speculativa, è invece davvero importante farsi un’idea complessiva di cosa funziona e cosa no nel cervello di vostro figlio, così che possiate aiutarlo nel modo più efficace. In un bambino sordo o paralitico l’elemento d’invalidità è facilmente identificabile. Non ci aspettiamo che faccia cose che non può fare e gli forniamo automaticamente il sostegno di cui ha bisogno per aiutarlo a muoversi in modo più indipendente e con maggiore efficacia. Non commetteremmo mai l’errore di pensare che un metodo basato sulla punizione e le gratificazioni possa aiutare un bambino cieco a vedere o un bimbo claudicante a camminare senza stampelle. Neanche la più profonda motivazione potrebbe far riuscire un bambino in qualcosa che per lui fosse semplicemente impossibile. Offrire premi per traguardi inarrivabili, o forzare il bambino quando sta già dando il massimo di quello che può è enormemente frustrante e oltremodo ingiusto. Aggiunge dolore al dolore e si risolve in una bassissima autostima e in atteggiamenti ostili. I bambini con autismo soffrono di deficit fisiologici concreti e reali tanto quanto la cecità o la paralisi. Ma sono carenze interne al cervello, nascoste da un’apparente normalità esteriore. Inoltre, le manifestazioni di tali deficit sono piuttosto complesse poiché ciò che vediamo è il risultato di una serie di combinazioni tra diverse aree del cervello che lavorano insieme. Le aree più forti reagiscono alle carenze delle più deboli cercando di compensarle. Un sovraccarico sensoriale può sfociare in incomprensibili scatti 21
d’ira. Misteriosi comportamenti auto-stimolanti potrebbero rappresentare un modo per il bambino di orientarsi nello spazio. L’ecolalia (la ripetizione delle ultime parole udite) può corrispondere a un limitato sviluppo, nel cervello, del centro di produzione del linguaggio. Anche il distacco impenetrabile, se male interpretato, potrebbe sembrare volontario mentre è più probabile che sia dovuto a una carenza nell’elaborazione delle espressioni del viso e a una disfunzione dei neuroni specchio. Capire quali zone del cervello vengono più frequentemente colpite dall’autismo aiuta a non colpevolizzare il bambino per mancanze che non è in grado di colmare e a non fargli pesare i suoi tentativi di compensazione. Se per esempio la musica in una chiesa è troppo alta e il bambino si butta sul pavimento, capirete che non riesce a filtrare il rumore isolandolo, ma anzi ne soffre e rotolarsi per terra è il suo modo di distrarsi per difendersi dal dolore. Potrebbe essere il solo modo che conosce per chiedervi di essere portato fuori poiché in situazioni così dolorose riuscire a parlare gli risulta di fatto impossibile. Una reale comprensione dell’autismo finirà per risparmiarvi una buona dose di pena – la conoscenza non è solo potere, ma anche guarigione. Non commettete l’errore di prendere le cose sul personale e pensare che il bambino stia intenzionalmente cercando di farvi un dispetto. L’obiettivo di questo capitolo è insegnarvi a riconoscere i punti deboli di vostro figlio in modo sistematico. Nell’osservarlo e nel relazionarvi a lui dovrete essere capaci di farvi un’idea circa quali zone del suo cervello sono le più colpite e su quale livello iniziare ad affrontarle. Imparerete a usare i punti di forza di vostro figlio per lavorare sulle sue debolezze. Invece di sentirvi frustrati, inizierete a rivedere le vostre aspettative, a essere di maggiore conforto quando necessario e a stabilire obiettivi più raggiungibili, passo dopo passo1.
1 In un caso come quello dell’esempio descritto, di una musica troppo alta in chiesa, iniziate con un programma riabilitativo per desensibilizzare vostro figlio rispetto al graduale aumento del volume di un suono o di una musica. Nel frattempo, compensate. Portatevi delle cuffie isolanti e prima di tutto spiegate al bambino come utilizzarle. In chiesa sedetevi in fondo, in modo da poter uscire velocemente se necessario e date a vostro figlio un bigliettino con scritto “andiamocene” che possa porgere invece di buttarsi a terra. Oppure modificate le vostre aspettative da cima a fondo e iscrivetelo a un gruppo di sostegno domenicale invece di portarlo a messa con voi. Se ha capacità cognitive, parlate con lui o raccontategli una storia su cosa fare in chiesa quando la musica diventa troppo forte.
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Le difficoltà dell’integrazione sensoriale Iniziate a guardare il mondo dalla prospettiva di vostro figlio. Tutti assorbiamo informazioni sull’ambiente che ci circonda attraverso canali chiamati “sensi” e ognuno di noi conosce i “cinque sensi” vista, udito, tatto, gusto e olfatto. Un altro di questi canali, o sensi, solitamente meno conosciuto, è la “percezione propria” (propriocezione). Consiste nella capacità del cervello di percepire movimento e posizione. I ricettori della percezione propria si trovano nei muscoli, nei tendini e nei legamenti. La percezione propria è una delle aree più frequentemente colpite nei soggetti con autismo. Capita spesso infatti che i bambini con autismo mostrino difficoltà nella cosiddetta “integrazione sensoriale” ovvero nell’assorbire, filtrare, elaborare e integrare attraverso i sensi le “informazioni ambientali”. Molti sembrano prestare maggiore attenzione agli input sensoriali che si percepiscono da una posizione di vicinanza ovvero olfatto, gusto e tatto (“stimolo prossimale”) mentre appaiono meno interessati a vista e udito, che forniscono informazioni su persone e cose collocate a maggiore distanza dal corpo (“stimolo distale”). Per questo, se concentrato su stimoli prossimali, il bambino potrebbe ignorare importanti stimoli distali provenienti dal contesto in cui si trova (“stimolo saliente”). Per esempio, un bambino intento ad agitare le mani nel tentativo di soddisfare un’urgenza sensoriale potrebbe restare del tutto indifferente in presenza di un rumore improvviso, mentre altri presenti nella stanza si girerebbero all’unisono per capire l’origine del rumore. Alcuni dei “canali” sembrano essere impostati a volume troppo alto o troppo basso cosicché, di fronte a determinati input sensoriali, il bambino appare eccessivamente sensibile (ipersensibile) o impassibile (iposensibile). Alcuni soggetti con autismo hanno definito addirittura dolorosa la propria esperienza in contesti iperstimolanti, per esempio troppo luminosi o rumorosi. Quando usciamo di casa in giornate particolarmente luminose, Peter nasconde la testa sotto il mio braccio e si copre le orecchie con le mani quando, alla fine di uno spettacolo, il pubblico applaude o se in casa qualcuno accende l’aspirapolvere o il frullatore. Alcuni bambini appaiono ipersensibili al tatto al punto da essere estremamente esigenti riguardo i materiali dei vestiti che indossano. Altri sembrano avere una percezione del dolore alterata e restano apparentemente 23
indifferenti dopo una caduta. Una volta ho sentito un adulto con autismo affermare che agitare le mani era il suo modo di orientarsi nello spazio, come se avesse una percezione propria limitata. Senza dubbio il mio Peter agita le mani e tamburella su qualunque cosa, brama abbracci e contatto fisico e si infila in spazi strettissimi come se fosse costantemente alla ricerca di modi nuovi per soddisfare un carente senso della percezione propria carente. Alcuni bambini sembrano ipersensibili al gusto e mangiano pochissime cose. Conosco un bambino con autismo che mangia esclusivamente yogurt di un solo gusto e nient’altro. Altri sembrano andare matti per i sapori e gli odori forti o inconsueti come il bimbo che darebbe di tutto per una zaffata di gorgonzola o quello che ama odorare i capelli della madre. Ogni bambino è potenzialmente soggetto a qualunque tipo di alterazione percettiva e in combinazioni differenti. È necessaria una scrupolosa osservazione del singolo individuo per capire come calibrare i possibili rimedi (nel Glossario troverete maggiori informazioni su questo) e come aiutarlo a “regolarsi” così da non sentirsi sopraffatto, ma in grado di raccogliere i diversi stimoli e sentirsi a suo agio nel contesto in cui si trova. Un ambiente tranquillo, ordinato, privo di fonti di luce diretta e lontano da eventuali finestre sembra essere lo scenario migliore per molti bambini nei momenti in cui viene loro richiesto di concentrarsi e prestare attenzione. Un altro problema diffuso è quello della limitata velocità d’elaborazione delle informazioni sensoriali. Una volta durante una conferenza sull’autismo ho assistito all’intervista di un giovane uomo con autismo di nome Tito Mukhopadhyay. Tito, che comunica attraverso la tastiera di un computer, descriveva le sue percezioni nell’osservare un rubinetto d’acqua che riempiva una bacinella e raccontava di quanto tempo gli ci fosse voluto per assimilare quello che stava osservando e ascoltando e farsi poi un’idea complessiva di cosa stesse accadendo. Per prima cosa aveva sentito il rumore dell’acqua che scorreva. Pochi secondi dopo si era reso conto che la bacinella era blu. Gli ci era voluto ancora più tempo per mettere insieme i suoni e ciò che vedeva e per capire che qualcuno stava riempiendo d’acqua una bacinella. Il problema è che nella vita reale molti stimoli cambiano o scompaiono prima che il bambino abbia avuto abbastanza tempo per elaborarli e comprenderli, e questo spesso causa una visione del contesto disomogenea e distorta. Per esempio, passa un aereo e chiedo: “Cosa senti, Peter?”. Mentre Peter introduce il nuovo rumore nel suo ambiente, io indico freneticamente il 24
cielo, dicendo: “Guarda, guarda, un aeroplano!”. Ci sono buone possibilità che, prima che Peter capisca il mio gesto e guardi in alto, l’aereo sia già passato, scomparendo dalla nostra vista. L’opportunità di associare la vista di un aereo al suono che emette è svanita. A volte mi chiedo come ci si debba sentire a essere continuamente sottoposti a stimoli senza poter disporre del tempo necessario per comprenderli ed elaborarli. Penso che ci si senta costantemente sotto assedio. Non c’è da stupirsi se molti di questi bambini reagiscono cercando di controllare il tutto attraverso rigide routine e isolamento. Alla scuola di Peter, tra una lezione e l’altra, ci sono un sacco di rumori e spintonamenti. Quando Peter finisce tra la folla, alza le braccia e si rifugia dietro al suo insegnante di sostegno. Proprio come se si stesse difendendo da un attacco2. La sfida dell’attenzione: come sostenerla, indirizzarla e spostarla I disturbi dell’attenzione sono molto comuni tra i bambini con autismo. Alcuni sono distratti e vengono catturati dalle caratteristiche più stimolanti di qualunque oggetto a loro portata. Saltano da una cosa all’altra senza riuscire a fare la minima selezione né a concentrarsi su nient’altro intenzionalmente3. Altri bambini autistici sembrano avere il problema opposto. Per dirlo con le parole di un papà che mi è capitato di incontrare: “Mio figlio ha un problema di ‘iperattenzione’, il contrario del disturbo da deficit di 2 Le ragioni psicologiche alla base di queste carenze nell’integrazione sensoriale non sono ancora del tutto accertate. Ciononostante, esistono studi comparativi che mettono a confronto cervelli affetti da autismo con altri normo-tipici dai quali risulta che nei casi d’autismo una parte del cervello chiamata verme cerebellare risulta più piccola. Sembra ci sia uno sviluppo limitato di un tipo di cellule nel cervelletto, chiamate Neuroni Piramidali e in particolare di quelle che proiettano alla corteccia frontale. Questo crea uno squilibrio nel numero complessivo dei neuroni presenti nella parte anteriore e in quella posteriore del cervello. Può succedere che i neuroni che elaborano i segnali sensoriali nella parte posteriore del cervello cerchino di comunicare con un numero eccessivo di neuroni frontali causando connessioni troppo diffuse e danneggiando la capacità della corteccia frontale di integrare le informazioni che riceve. Il cervelletto regola la velocità, il ritmo e la forza di movimento e potrebbe funzionare allo stesso modo nel controllo del comportamento cognitivo e socioemotivo. Per questo le disfunzioni del cervelletto potrebbero essere causa di diversi problemi sia per eccesso, come nel caso della circonlocuzione e dei giri di parole, che per difetto, per esempio nell’esiguità del lessico (Koziol e Budding 2009). 3 Miller (2007) parla, nel caso di questi bambini, di “disturbo della costruzione degli schemi” (systems forming disorder).
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attenzione”4. Questi bambini sembrano catturati da una determinata attività come allineare macchinine, spegnere e accendere la luce o scaricare il water. Compiono in modo ripetitivo azioni sulle quali bambini non autistici (“neuro-tipici”) non spendono più di pochi attimi. Capita che alcuni bambini vengano catturati da stimoli contestuali come una finestra luminosa o la pala di un ventilatore, così profondamente da non riuscire a concentrarsi su nient’altro finché l’oggetto della loro attenzione non viene rimosso5. Definire la Gestalt (cornice, quadro generale) e la sostanza (le cose che contano) Molti bambini con autismo sembrano interessarsi ai “dettagli anziché all’insieme” e così finiscono per far girare ripetutamente le ruote delle loro macchinine invece di farle correre per la stanza. In relazione al problema di combinare ed elaborare le informazioni, molti bambini trovano cognitivamente difficile comprendere la Gestalt, il contesto, vedere “un bosco invece di tanti alberi”. Donna Williams (1999) descrive le sue peculiarità percettive e sensoriali come adulta con autismo – quando si guarda allo specchio, vede piccole parti di sé e non l’intera figura. 4 Miller (2007) sostiene che questi bambini formino “sistemi chiusi” intorno all’oggetto della loro concentrazione. 5 Studi recenti sostengono che alcuni di questi disturbi dell’attenzione potrebbero essere causati da un mal funzionamento dei gangli della base. I gangli della base hanno un ruolo fondamentale nella gestione dell’attenzione poiché determinano quando permettere reazioni automatiche e quando inibirle a favore di un maggiore auto-controllo. In alcuni bambini, le reazioni più routinarie e automatiche vengono impiegate in situazioni che richiedono input soprattutto dalla corteccia frontale (i lobi frontali deliberano, pianificano e analizzano). Pensiamo al bambino che risolve velocissimo un’intera pagina di equazioni senza neanche rendersi conto che alcune richiedono un’addizione e altre una sottrazione. In altri casi invece potrebbe verificarsi una carenza di automaticità, come per i bambini che odiano scrivere perché l’atto fisico di scrivere richiede uno sforzo cognitivo troppo grande, o quelli che devono razionalmente imporsi di guardare in faccia le persone e sorridere quando le incontrano o se vengono presentati a qualcuno. Dai gangli della base possono dipendere anche avvii e interruzioni. Dunque una disfunzione dei gangli della base a volte causa mancanze in questo senso. Un buon esempio è rappresentato dal bambino che, nonostante innumerevoli spiegazioni, la mattina non riesce a iniziare a prepararsi a meno di essere continuamente incalzato. In altri bambini si può manifestare come una reiterazione, pensiamo a quelli che incontrato un problema a scuola, magari in un esame, non riescono a superarlo e andare avanti oppure a coloro che hanno bisogno di moltissimo incoraggiamento per riuscire a passare da un’attività a un’altra.
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Quando chiedo a mio figlio Peter di asciugare il tavolo, lui prende uno straccio e, obbediente, lo asciuga, concentrandosi però soltanto su una piccola parte e lasciando il resto bagnato. Questa difficoltà nel concepire la Gestalt potrebbe essere uno dei motivi per cui i bambini con autismo tendono a una forte concretezza ed è raro che generalizzino automaticamente le cose che apprendono. Quando Peter ha imparato i nomi delle parti del corpo, pensavo di aiutarlo a generalizzare quell’apprendimento attraverso un gioco. Quando gli facevo il bagno, davo a Peter una spugna e poi iniziavo a cantare: “Ecco come ci si lavano i (piedi)”, poi mi fermavo e guardavo se lui strofinava la parte del corpo che avevo nominato (per esempio i piedi). Abbiamo raggiunto risultati affascinanti, ma allo stesso tempo frustranti. Peter metteva subito la spugna nel punto esatto che era abituato a indicare facendo i suoi esercizi, ma poi si lavava solo quella minuscola porzione di corpo invece che, per esempio, tutto il piede. Questa particolare esperienza confermò inequivocabilmente l’importanza del lavoro sulla generalizzazione. Ricordo che la prima volta che io e Peter cucinammo insieme preparammo una torta. Peter adora rompere le uova e quella volta, ancora alle prime armi, aggiunse l’uovo all’impasto e dopo, con grande attenzione, ci mise anche il guscio. Nonostante mi avesse visto preparare l’impasto diverse volte, non aveva registrato il concetto che i gusci si buttano sempre, memorizzazione che nella maggior parte dei bambini sarebbe avvenuta spontaneamente. Peter non aveva colto la Gestalt o senso logico del processo. Considerata la difficoltà che hanno nel coniugare in un unico concetto integrato (Gestalt) ciò che percepiscono con le azioni che compiono, non stupisce che molti bambini con autismo non risultino in grado d’identificare le informazioni fondamentali cui prestare attenzione (la sostanza)6. Se restiamo imbottigliati nel traffico a causa di un incidente avvenuto a pochi metri da noi, Peter non si gira neanche a guardare, anzi si dimostra del tutto disinteressato perfino quando noi stessi ci mettiamo a indicargli l’accaduto. Ci sono voluti mesi prima che Peter imparasse a riconoscere le briciole 6 I gangli della base potrebbero controllare anche cosa viene assorbito e cosa escluso dalla memoria di lavoro, cosicché le informazioni corrette vengano messe a disposizione nei contesti pertinenti. In mancanza di questo lavoro da “buttafuori” del cervello, può succedere che la corteccia cerebrale riceva un eccessivo numero di informazioni da elaborare (Awh e Vogel 2008; McNab e Klingberg 2008).
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sul pavimento cosicché poi potesse passare l’aspirapolvere sotto il tavolo dopo aver mangiato7. I medici che lavorano con bambini con autismo imparano presto a semplificare i materiali didattici per far fronte ai casi in cui il paziente si dimostri più concentrato sul contesto che sui dettagli salienti. Per esempio, di fronte a una foto della Dottoressa Anne su fondo marrone e a una della Dottoressa Janet su fondo bianco, il bambino potrebbe semplicemente imparare ad associare “Anne” al marrone e “Janet” al bianco invece di prestare attenzione alle loro espressioni e caratteristiche fisiche. Difficoltà della pianificazione motoria e della coordinazione I bambini con autismo sono comunemente soggetti a problemi di assorbimento ed elaborazione delle informazioni sensoriali (integrazione sensoriale) e a difficoltà relative al tipo di informazioni cui prestano attenzione (disturbi dell’attenzione), ma non solo. Spesso trovano difficoltà nella coordinazione, nella consapevolezza del corpo e nella pianificazione motoria. In altre parole, hanno problemi tanto con l’assorbimento quanto con l’emissione di informazioni e segnali. Per pianificazione motoria s’intende la combinazione di tutti i movimenti del corpo necessari al compimento di un’azione, comprensivi dei movimenti grossolani, ad esempio lo spostamento del corpo durante una discesa sullo scivolo, e i movimenti fini, come l’impugnare una matita e disegnare un cerchio. Un disturbo della pianificazione motoria è piuttosto comprensibile se consideriamo che l’autismo viene associato con una serie di anomalie del cervelletto, sede della coordinazione motoria. Chantal Sicile-Kira scrive di Tito Mukhopadhyay nel suo libro, Autism Life Skills (2008, p. 7): Le difficoltà di pianificazione motoria vengono inoltre evidenziate attraverso esperienze come il tentativo di andare sul triciclo. Tito racconta di aver provato a ordinare alle sue gambe di muoversi (pedalare), ma 7 Per alcuni soggetti con autismo, il problema risiede in un disturbo dell’elaborazione visiva. Donna Williams (1999) descrive come da bambina vedesse soltanto colori e schemi. Fu indossando occhiali colorati (Irlen Lenses) che finalmente si rese conto che i colori e le linee che vedeva potevano essere identificati come oggetti: una finestra, delle tende, i mobili di una stanza.
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senza successo. Sua madre ha dovuto fare un lungo lavoro, passo dopo passo, per insegnargli a compiere azioni complesse che coinvolgono interi gruppi muscolari, come nel caso del triciclo. Ricordo che lei stessa mi diceva di come, messo il figlio a sedere su uno sgabello, lo facesse esercitare per gran parte della giornata nel movimento delle gambe, accompagnandolo con le mani fino a quando lui non era in grado di compiere il gesto autonomamente.
Quando Peter era piccolo, gli ci volle moltissimo tempo prima di capire in che modo applicare la giusta pressione sullo scarico del water per riuscire ad attivarlo. Attualmente, la sua sfida principale è riuscire a spalmare il burro sul pane. Quando gioca con i suoi trenini, capita che provi a prenderne uno poco distante dai binari. A quel punto è necessario che io lo incoraggi e gli indichi come spostarsi perché riesca a raggiungere il vagone che desidera, a volte devo perfino fargli vedere esattamente in che punto sedersi segnalandolo con un cuscino o un disegno del tappeto. I bambini con autismo hanno bisogno di molto esercizio per essere coscienti di come funziona il loro corpo e delle cose che possono riuscire a fare, acquisendo così sicurezza e trasformandosi in persone attive e piccoli esploratori. Dunque l’autismo colpisce tanto il livello di input, ovvero l’integrazione sensoriale, quanto l’output: la pianificazione motoria. Normalmente sono questi i primi aspetti che vengono affrontati durante le prime fasi d’intervento. Per l’integrazione sensoriale si possono provare tecniche di compensazione e desensibilizzazione. Per la pianificazione motoria sono importanti i movimenti grossolani, giocare ad azzuffarsi e a fare i rotoloni sono attività preziose per una maggiore consapevolezza del proprio corpo. Entrambe queste strategie saranno ulteriormente illustrate nei capitoli successivi. La gestione delle problematiche sensoriali è almeno in parte sotto il vostro controllo dato che avete il potere di determinare l’ambiente in cui vostro figlio vive e il lavoro sui movimenti grossolani è in genere tanto divertente quanto utile per il bambino. L’aspetto più duro del lavoro sull’autismo ha a che fare con ben più complesse e determinanti caratteristiche di questa malattia, vale a dire la ridotta socializzazione e i problemi di comunicazione.
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Difficoltà dell’interazione sociale I bambini con autismo soffrono di un’evidente mancanza d’interesse spontaneo per qualunque tipo d’interazione sociale, sia pure nel contesto di ambienti protetti e non eccessivamente carichi di stimoli. Quali caratteristiche di un cervello autistico potrebbero spiegare questo aspetto della malattia? È stato provato che i neuroni specchio, dominio di competenze situato nel giro frontale inferiore, risultano deficitari nei bambini con autismo. L’area dei neuroni specchio è visibile attraverso la risonanza magnetica funzionale (fMRI) sia durante l’esecuzione di azioni volontarie, sia durante l’osservazione delle medesime azioni compiute da terzi8. Un’altra area conosciuta come insula (o corteccia insulare) agisce da interfaccia tra le componenti frontali del sistema dei neuroni specchio e la corteccia limbica, centro emozionale del cervello. In altre parole, sarebbero i neuroni specchio a consentire all’individuo l’introiezione di ciò che osserva e l’immediata trasposizione sul piano emotivo. Prendiamo ad esempio le Olimpiadi. A chiunque potrebbe capitare di restare con il fiato sospeso guardando una pattinatrice mentre esegue un triplo axel. Se l’atleta riesce a chiudere bene il salto ci sentiamo sollevati e trionfanti, quasi come se in qualche misura condividessimo quel successo. Se invece l’atleta cade, restiamo sgomenti. In quel momento, i nostri neuroni specchio fanno scintille e il sistema limbico risponde in pompa magna facendoci sentire come se stessimo davvero eseguendo l’esercizio con l’atleta. Tuttavia, per gli stessi motivi, i bambini con un sistema dei neuroni specchio carente potrebbero vivere un’esperienza profondamente diversa. Potrebbero essere affascinati dalla grazia dei movimenti della pattinatrice, senza per questo entrare in connessione diretta con lei, immedesimandosi. Dunque Peter, guardando la stessa esibizione che guardo io, potrebbe apparire del tutto indifferente. Emetterebbe forse un giudizio più oggettivo e imparziale, ma del tutto privo di trasporto emotivo o coinvolgimento. Questa carenza dei neuroni specchio potrebbe quindi spiegare per quale motivo le persone con autismo non nutrano un’interesse spontaneo per ciò 8
Nella risonanza magnetica funzionale osserviamo l’immagine del flusso sanguigno. Un flusso maggiore indica le aree a maggiore attività metabolica del cervello.
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che gli altri fanno, né siano naturalmente empatiche9. Allo stesso modo si potrebbe spiegare per quale motivo i bambini con autismo sembrino poco inclini a imitare le azioni o i gesti altrui. Potrebbero non percepire il potenziale di un’esperienza appagante perché incapaci di viverla indirettamente attraverso l’esempio di chi hanno intorno. Su tutto questo andrebbe a incidere anche quella “teoria della mente” che secondo gli studiosi sarebbe carente nei bambini con autismo. Per “teoria della mente” s’intende la consapevolezza innata che ogni essere umano ha una mente diversa dalla nostra ed è per tanto ignaro di ciò che pensiamo o delle emozioni che proviamo. Credere che gli altri sappiano già cosa pensiamo e sappiamo vanifica immediatamente ogni necessità di condivisione. La teoria della mente applicata ai bambini neuro-tipici porta alla scoperta della gioia e del divertimento suscitati dall’intuire e condividere pensieri ed emozioni e costituisce una delle maggiori motivazioni alla base del funzionamento sociale. Inoltre, i ricercatori hanno appurato che le persone con autismo presentano alcune peculiarità relative alla parte posteriore del cervello dedicata al riconoscimento dei volti e all’interpretazione delle emozioni. Per riconoscere una faccia, le persone non autistiche usano una parte del cervello chiamata giro fusiforme, mentre per gli oggetti adoperano una parte del cervello meno sofisticata detta giro temporale inferiore. Robert Schultz e colleghi (2000), a Yale, hanno scoperto che le persone con autismo utilizzano l’area meno sofisticata, dedicata al riconoscimento degli oggetti, anche per le persone. Come sostenuto da Malcom Gladwell (2005) nel suo libro In un batter di ciglia, la differenza tra le due zone spiega perché siamo in grado di riconoscere un amico di vecchia data, tra la folla, ma abbiamo difficoltà nell’identificare il nostro bagaglio sul nastro scorrevole dell’aeroporto. Riconosciamo un volto e interpretiamo le espressioni facciali in modo automatico e istantaneo. Nel caso delle persone con autismo, lo sviluppo di tali competenze richiede uno sforzo cosciente e molto esercizio. Immaginate di parlare con un amico. Pensate al numero di espressioni che questo amico assume nel corso di una conversazione. Cosa accadrebbe se doveste fermarvi a riflettere su ognuna di quelle espressioni? Con ogni probabilità l’interazione diventerebbe così faticosa e frustrante che finireste col chiedere se ne valga 9
Ciò che il Dott. Bryna Siegel (2003) descrive come “orientamento affiliativo.”
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davvero la pena. Moltiplicate l’effetto immaginandovi a una festa piena di persone. Al di là del rumore e dell’eccessivo carico di stimoli sensoriali, pensate a quante persone si offenderebbero per non essere state riconosciute, convinte che le stiate ignorando. Il problema compare in età assai precoce. Molti bambini con autismo, per ottenere informazioni, tendono a osservare la bocca e la parte inferiore del viso invece che gli occhi. La scarsa interazione sociale reciproca si manifesta molto presto attraverso l’assenza di contatto visivo e, più avanti, con la mancata consapevolezza delle emozioni altrui (chiamata “cecità mentale”). Non avendo una capacità empatica innata, il bambino potrebbe non ricorrere agli altri per ricevere conforto e affetto né tantomeno offrirne a chi apparisse triste o sconsolato. Al di là della teoria della mente, un altro sintomo precoce dell’autismo è l’assenza del gesto indicativo per richiamare l’attenzione dei genitori e, più avanti, del tipico “mamma, guardami!”. Sembra che il bambino non riesca a condividere le proprie gioie e conquiste. Sfortunatamente, la mancanza d’interesse verso gli altri, verso l’imitazione e il desiderio di compiacere, non soltanto complica l’interazione sociale, ma va a intaccare la sfera cognitiva privandola di alcuni degli elementi fondamentali che motivano l’apprendimento. Se all’integrazione sensoriale aggiungiamo le questioni che spingono il bambino a isolarsi dal contesto in cui vive e le difficoltà di coordinazione motoria, non è difficile capire perché i bambini con autismo siano restii a esplorare cose nuove, chiudendosi piuttosto in interessi ripetitivi e stereotipati, in comportamenti che conoscono e che sono in grado di comprendere, controllare e eseguire. Come affermato da Koziol e Budding (2009): Un comportamento prodotto da un’area danneggiata del cervello non svela la funzione di quella stessa area. Al contrario, tale comportamento dimostra come le aree intatte agiscano in assenza degli input o dei contributi provenienti dall’area compromessa.
Prendiamo a esempio un bambino con autismo a una festa di carnevale. Diciamo che sua madre stia provando a coinvolgerlo nell’allegria generale. Il rumore della musica e quello del parlare della gente gli si affollano nelle orecchie, mentre colori accesi si muovono tutti intorno e la gente lo spintona. Il suo cervelletto non riesce a coordinare tutti gli input sensoriali 32
e a fornirgli una sintesi integrata delle diverse fonti da cui proviene tale bombardamento di stimoli. I suoi gangli della base non riescono a oscurare le informazioni di fondo per permettergli di concentrarsi sulla madre. La mancanza di neuroni specchio gli impedisce di auto-regolarsi e di raccogliere l’entusiasmo e l’allegria della mamma. Non sa come esprimere il desiderio di andare via. Che opzioni ha a disposizione? Potrebbe avere una crisi, gridare e piangere. Oppure potrebbe provare a controllare la situazione chiudendosi in se stesso, coprendosi le orecchie e iniziando a mormorare e a dondolarsi nel tentativo di soffocare l’eccessiva stimolazione esterna attraverso un comportamento autostimolatorio. Da piccolo, se veniva lasciato da solo, Peter passava la maggior parte del tempo impegnandosi in attività autostimolatorie per esempio agitando le mani, saltando, emettendo gridolini e passandosi la mano davanti alla faccia, dentro e fuori dal campo visivo. Era come se si intrattenesse da solo, sperimentando diversi stimoli sensoriali, ritirandosi in quel suo mondo personale che riusciva a comprendere e controllare, al contrario dell’imprevedibile e incomprensibile mondo esterno. Come siamo riusciti a condurre Peter fuori da quel suo stato d’isolamento? Affronterò questo tema più avanti, per il momento basti dire che all’inizio abbiamo provato a semplificare l’ambiente, cercando di evitare l’ultra-stimolazione. Poi abbiamo iniziato a proporre una serie di interazioni semplici e ripetitive, incentrate sulla gratificazione delle sue necessità sensoriali, come per esempio dondolando ??? sulle gambe o facendolo sprofondare in un cuscino. Alla fine Peter ha imparato ad associare un’idea di piacere alla sua relazione con noi. I bambini neuro-tipici si rapportano ai genitori in modo automatico, sfruttando le loro emozioni per auto-regolarsi e imitandone le reazioni per imparare a relazionarsi con l’ambiente che li circonda. Peter è riuscito a imparare queste stesse cose, ma solo dopo che abbiamo lavorato duramente affinché capisse come godersi la nostra compagnia. Il punto, secondo me, è che uno svantaggio biologico non implica che alcune capacità come la connessione emotiva con gli altri o l’empatia non possano essere apprese e sviluppate fino a livelli significativi. Ma è necessario che questo diventi un obiettivo cosciente, perseguito con costanza nel vostro rapportarvi al bambino. Nel caso di Peter, questa capacità di rapportarsi a noi ha rappresentato un ponte verso il mondo esterno e la chiave per trasmettergli tanto il desiderio d’imparare, quanto gli strumenti per farlo autonomamente. 33
Difficoltà di comunicazione Un altro grande limite causato dall’autismo riguarda la comunicazione, che viene compromessa tanto a livello verbale quanto non verbale. Parte del problema è legato alla difficile socializzazione descritta nei paragrafi precedenti. A causa delle difficoltà che incontrano nell’elaborare le espressioni di un volto e nell’interpretare le emozioni, i bambini con autismo non riescono a raccogliere, nel viso del loro interlocutore, tutte le informazioni che ci si aspetterebbe. Inoltre, date le insufficienze della loro corteccia frontale e prefrontale, questi bambini non sono in grado di empatizzare automaticamente o di indovinare la condizione emotiva dell’altro così da fornire risposte pertinenti e interessanti alla persona con cui sta avvenendo l’interazione. Questo rende molto difficile sostenere una conversazione e i suoi scambi (ciò che i patologi del linguaggio chiamano “pragmatica”). In uno studio del Dott. Baron-Cohen, pioniere nella ricerca sulla teoria della mente, venivano osservati diversi individui intelligenti con autismo. Tutti i partecipanti avevano frequentato un corso approfondito sulla teoria della mente e per essere promossi dovevano superare un esame finale dimostrando di avere acquisito un buon livello di comprensione del pensiero e delle percezioni altrui. Tuttavia, con grande sgomento da parte dei ricercatori, nessuno dei partecipanti applicava poi alla propria vita le nuove competenze acquisite (Gutstein 2000). In mancanza di un’associazione automatica tra condivisione del pensiero e gratificazione emotiva, lo sforzo richiesto per la socializzazione sembrava ingiustificato e fine a se stesso. Per questo uno degli obiettivi principali della terapia è quello di lavorare affinché la vostra relazione e interazione con il bambino siano direttamente connesse a un’idea di piacere, affetto e gratificazione emotiva. In mancanza di tale presupposto qualunque sforzo educativo da parte vostra resterà, per vostro figlio, privo di significato. I problemi legati alla comunicazione possono essere ancora più basilari. La parte del cervello che elabora gli input sonori e decifra il linguaggio (chiamato area di Wernicke – si veda il Glossario in fondo al libro) potrebbe essere profondamente compromessa. Anche nel caso in cui il bambino fosse in grado di rilevare i rumori a un livello sufficiente a superare un test dell’udito, se lasciato solo potrebbe comportarsi come fosse sordo. I suoni vengono percepiti come “rumore bianco” e non risulta alcuna comprensione del parlato. 34
Inoltre, la parte del cervello che controlla l’espressività verbale (chiamata area di Broca – si veda il Glossario in fondo al libro) potrebbe a sua volta essere compromessa; studi condotti su risonanze magnetiche funzionali mostrano che l’area di Broca risulta spostata da destra a sinistra in alcuni soggetti con autismo. Alcuni bambini soffrono inoltre di una grave disprassia con forti difficoltà a coordinare tutti i complessi movimenti muscolari necessari all’articolazione del linguaggio. Che siano incapaci di elaborare chiaramente i suoni che sentono, o che non sappiano portare a termine la pianificazione motoria necessaria ad articolare, per questi bambini anche la riproduzione di semplici monosillabi diventa una sfida enorme. Alcuni bambini possono presentare difficoltà di memoria uditiva per cui anche quando imparano a capire e a ripetere una parola, hanno bisogno di suggerimenti e sollecitazioni per recuperarla e usarla spontaneamente. I bambini che sanno articolare, ma che hanno problemi nel reperimento delle parole, provano spesso a compensare con la balbuzie. Anche quando ripetono l’ultima parte di quanto appena detto, come a dimostrare di essere consapevoli dell’argomento in discussione, questi bambini fanno fatica a trovare le parole per rispondere. Altri ricorrono a discorsi ripetitivi e stereotipati, tirando fuori frasi o battute sentite dalla televisione e che applicano poi alla situazione in cui si trovano. Un bambino, con autismo, molto intelligente, accolse la zia in visita con la battuta di uno dei suoi cartoni animati preferiti: “Che il divertimento abbia inizio!”. Difficoltà della regolazione emozionale Altre aree del cervello che sembrano funzionare diversamente nei soggetti con autismo comprendono le regioni che controllano le emozioni e la memoria (l’amigdala, l’ippocampo e il lobo temporale). Molti soggetti con autismo soffrono di paura e d’ansia. Sembrano quasi avere una memoria maggiormente sviluppata per le situazioni che stimolano tali stati emotivi. A casa li chiamiamo “apprendimenti istantanei”. Quando Peter vive un’esperienza negativa, soprattutto se in una condizione di forte coinvolgimento emotivo, riesce a sviluppare una reattività e un’opposizione fortissime a quel certo tipo di situazione. Per esempio gli piaceva moltissimo andare sullo skateboard e, con l’aiuto dei suoi fratelli, raggiungeva anche velocità piuttosto elevate, ma dopo essere caduto una volta a causa di una buca, non 35
ha mai più voluto provare. Adesso quando riusciamo a convincerlo a salire su uno skate, si ferma sempre all’altezza della buca, scende e con molta attenzione ci cammina intorno, portandosi lo skateboard sottobraccio. Da piccolo gli piaceva moltissimo arrampicarsi nel grande giardino di sua zia, ma una volta è scivolato e dopo non voleva più nemmeno avvicinarcisi. Ci sono volute moltissime esplorazioni durante le quali, lentamente e con cautela, abbiamo ispezionato il giardino in lungo e in largo scattando fotografie che poi periodicamente guardavamo insieme, ricordando i nostri successi e ricostruendo associazioni positive. Alla fine Peter è riuscito a tornare di nuovo in quel giardino e a gironzolarci per conto suo. Il Disturbo Ossessivo Compulsivo (DOC) è una nevrosi caratterizzata dalla ripetizione compulsiva di determinate azioni o rituali. È estremamente diffuso tra le persone con forme di autismo. Può accadere che un bambino insista perché la madre compia sempre lo stesso percorso portandolo a scuola la mattina, o che faccia avanti e indietro dalla porta di casa venti volte prima di salire sulla macchina. O può succedere che un alunno pianti una grana se l’insegnante modifica la routine della classe. Qualunque sovvertimento delle abitudini o interruzione di comportamenti compulsivi può causare profonde crisi con calci, grida, schiaffi e, a volte, anche autolesionismo. Epilogo Questo lungo elenco delle diversità del cervello e delle difficoltà che ne conseguono è scoraggiante. Non tutti i bambini sullo spettro autistico presentano tutte queste caratteristiche che, tra l’altro, variano molto per gravità e diffusione. I bambini con forme d’autismo lievi hanno intere aree del cervello intatte. Un intervento precoce e intenso può ridurre considerevolmente le loro carenze. Anche i bambini colpiti da forme di autismo più severe possono ottenere miglioramenti significativi, ma potrebbero continuare ad avere bisogno di un sostegno esterno su diversi fronti. Qualunque tipo di rimedio necessita di un duro lavoro e di un’attenta e dettagliata analisi. Definite quali sono i punti di forza del bambino e costruite su quelli. Per quanto riguarda le aree più deboli cercate d’individuare quali abilità vostro figlio può mettere in campo e poi partite da lì. Suddividete i vari obiettivi in piccoli passaggi d’apprendimento. Isolate il problema su cui 36
avete deciso di lavorare così da insistere su un solo elemento di debolezza alla volta. Fornite al bambino la motivazione e la ripetitività necessarie a far nascere in lui il desiderio di imparare e lavorate sulle diverse aree del cervello in modo interconnesso, così da fornirgli i mattoni con cui costruirà i suoi progressi futuri. Difficile? Senza dubbio. Impegnativo? Certamente. Impossibile? Affatto!
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