CLIL e insegnamento delle lingue: uno sguardo all’Europa
24 novembre 2014
Introduzione (pag.2) Molti Paesi dell’Unione Europea puntano, da qualche tempo ormai, sulle forme di insegnamento integrate di comunicazione della parola e dei contenuti e a tale scopo introducono queste forme nei loro sistemi scolastici. A seconda delle diverse tradizioni pedagogiche e dei contesti linguistici, si sono sviluppati in Europa diversi modelli di insegnamento bi-lingue e plurilingue, già il documento del Consiglio di Europa sostiene che è molto importante confrontare le diverse esperienze (…)
Osservazione: si parla di Consiglio di Europa. Rileviamo che esiste anche la Corte di Giustizia europea e una sua sentenza non ancora applicata e che la nostra amministrazione sta disattendendo e che questa non-riforma mette illegalmente in discussione. Si tratta di una sentenza che punisce l’abuso dei contratti a tempo determinato e che richiede in sostanza l’immissione in ruolo di 250 precari della scuola. Pensiamo che il nostro Ministro dell’Istruzione avrebbe dovuto chiedere alla nostra amministrazione la garanzia di assunzione dei precari prima di firmare il protocollo che di fatto ne preveder lo scavalco indipendentemente dagli anni di servizio e dal punteggio giacché il protocollo prevede modalità di reclutamento diverse. Aggiungiamo di seguito l’interpretazione della sentenza eseguita da Anief. Confedir. (1): “(…) La Corte sottolinea che, sebbene il settore dell’insegnamento testimoni un’esigenza particolare di flessibilità, lo Stato italiano non può esimersi dall’osservanza dell’obbligo di prevedere una misura adeguata per sanzionare debitamente il ricorso abusivo a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato. ________________________________________________________________________________ 1. Associazione Professionale e Sindacale, pluralista e indipendente, con sede in Palermo. L'Associazione, costituita da docenti e ricercatori in formazione, precari, in servizio, e di ruolo, nasce dall'esigenza e dalla volontà di tutelare, valorizzare, promuovere i professionisti dell'Istruzione e della Ricerca per salvaguardare e migliorare la Scuola e l'Università pubblica.
Per tali motivi, la Corte giunge alla conclusione che l’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato non ammette una normativa che, in attesa dell’espletamento delle procedure concorsuali dirette all’assunzione di personale di ruolo delle scuole statali, autorizzi il rinnovo di contratti a tempo determinato per la copertura di posti vacanti e disponibili di docenti e di personale amministrativo, tecnico e ausiliario, senza indicare tempi certi per l’espletamento di dette procedure concorsuali ed escludendo il risarcimento del danno subito a causa di un siffatto rinnovo. Tale normativa, infatti, non prevede criteri obiettivi e trasparenti al fine di verificare se il rinnovo risponda ad un’esigenza reale, sia idoneo a conseguire l’obiettivo perseguito e sia necessario a tal fine. Essa non contempla neanche altre misure dirette a prevenire e a sanzionare il ricorso abusivo a siffatti contratti.” Teniamo infine presente che, prima ancora di porre elementi e rilievi tecnici sul bando, è necessario procedere celermente alla stabilizzazione di tutti i docenti abilitati, già inseriti nelle Graduatorie provinciali e di Istituto, in possesso delle competenze linguistiche, prima di bandire concorsi. Presto, o tardi, chi ci amministra dovrà adeguarsi alle indicazioni politiche europee, espresse anche dalla Corte di Giustizia. Ci chiediamo quale datore di lavoro bandirebbe concorsi per selezionare nuovo personale, quando ne ha già a disposizione, contrattualizzato da anni e competente. Insegnamento delle lingue (pag.3) Premessa Sulla base degli studi disponibili tra il 2006/07 e il 2011/12 si assiste ad un incremento dei Paesi che si impegnano ad introdurre curricoli in lingua e a governare mediante norme e direttive il numero di ore di esposizione alla lingua. (…) secondo le necessità di contesto, i metodi e i materiali che meglio permettono a ciascuno studente di acquisire un livello di competenza appropriato alle proprie risorse, caratteristiche e necessità presenti e proiettate nel futuro.
(…)
Osservazione: si parla di necessità di contesto. Gli insegnanti e la complessa comunità scolastica non sono stati interpellati come lettori ed interpreti competenti della necessità dei contesti in cui vivono, studiano e lavorano. Manca una lettura autonoma del contesto trentino che il Protocollo vorrebbe storicamente e sociologicamente assimilabile a quello altoatesino. Manca una lettura giuridica realistica (vedi sentenza Corte Europea) dell’applicabilità sindacale del Protocollo. Manca una lettura ecologica del contesto pedagogico-didattico e socio-economico delle diverse scuole e delle diverse esigenze formative. Manca la lettura critica dei risultati dei test Invalsi dell’anno scorso. (…) Promuovere la partecipazione degli istituti, degli insegnanti e delle classi a programmi finanziati come Socrates, Comenius, e e-twinning
Osservazione: si parla di programmi volti a potenziare l’esposizione alla lingua straniera. Se fosse stata fatta una lettura delle attività svolte all’interno degli Istituti Comprensivi trentini, si scoprirebbe che il Clil già attivo da anni in moti di essi è una forma di Clil condivisa e considerata efficace da tutti gli insegnati. Ai Clil già esistenti non è necessario forzare il monte ore e non è necessario consigliare attività sovranazionali poiché sono già attive e realizzate ogni anno, da anni. Le cifre chiave dell’insegnamento delle lingue a scuola in Europa (2012) (pa.4) (…) Le cifre chiave dell’insegnamento delle lingue (Eurydice, 2012) Principali risultati Come emerge dal report sulle cifre chiave dell’insegnamento delle lingue in Europa il dibattito sull’insegnamento delle lingue è ancora aperto e
animato sul versante pedagogico, su quello organizzativo e anche sul versante della formazione, preparazione e reclutamento degli insegnanti. (…) -
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il grado di diversità linguistica delle scuole europee e la necessità di fornire misure di sostegno adeguate agli alunni che imparano la lingua di insegnamento come seconda lingua. l’insegnamento precoce delle lingue straniere nell’istruzione primaria e le sfide che comportano per gli insegnanti e per la distribuzione delle ore di insegnamento disponibili tra le varie discipline del curricolo. l’istruzione secondaria, dove spicca la percentuale relativamente bassa di alunni che studia lingue negli indirizzi di studio professionale o preprofessionale in confronto a coloro che frequentano l’istruzione generale e il ventaglio relativamente limitato di lingue straniere studiate a scuola: si tratta, in entrambi i casi, di questioni importanti in un’Europa plurilingue con un’economia sempre più globalizzata. L’efficacia: l’insegnamento delle lingue straniere ha bisogno di docenti altamente qualificati. E tuttavia trovarne di tali per coprire posti vacanti o sostituire insegnanti assenti sembra essere molto difficile per i capi d’istituto di alcuni Paesi. Oltre alle qualifiche pertinenti, gli insegnanti di lingua straniera devono essere in possesso di risorse didattiche sufficienti e adeguate.
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La ricerca mostra, infine, che il fattore chiave di un apprendimento riuscito è la motivazione e che un’elevata esposizione alle lingue straniere facilita l’acquisizione delle competenze linguistiche.
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Creare opportunità di miglioramento della motivazione degli studenti e favorire una maggiore esposizione alle lingue target può essere arduo per le scuole di alcuni Paesi, ma i progetti di collaborazione transfrontaliera e gli scambi di alunni e insegnanti sono sicuramente pratiche utili da sviluppare ulteriormente in tutta Europa.
Osservazioni: abbiamo risposto a queste voci ripetitive negli allegati 1 e 2 Collocamento delle lingue straniere nei curricoli (pag.4) In Europa in genere gli alunni cominciano a studiare una lingua straniera tra i 6 e i 9 anni d’età.
(…)
Osservazione: sottoponiamo all’attenzione le cifre chiave dell’insegnamento delle lingue a scuola, alla luce di contributi di esperti linguisti e psicopedagogisti italiani e non. Vogliamo con questo contribuire al mantenimento di un dibattito aperto ed attento a tutte le voci che desiderano esprimersi, al fine di giungere ad una soluzione condivisa. 1.Contributo psicopedagogico e didattico di Marco Dallari (2) espresso in una lettera di solidarietà nei confronti degli\delle insegnati che si oppongono A QUESTO PROTOCOLLO E NON AL Clil “(…) da un lato si predica l’importanza dei processi metacognitivi, poi si frantuma sempre più il sapere in materie e sottomaterie, senza tenere conto del fatto che la competenza simbolica riferita alla lingua madre è quella che serve a pensare, e che solo una competenza linguistica ricca e complessa permette di rappresentare il mondo, formulare giudizi, elaborare identità e progettualità esistenziale in maniera non rudimentale e banale. Questo presuppone però non solo un forte investimento orario sulla lingua italiana, ma un capovolgimento delle abitudini didattiche: occorrerebbe valorizzare e praticare la conversazione e meno la pratica della lezione, impegnarsi di più nella promozione della lettura scegliendo testi capaci di interessare gli allievi, e non fare riferimento ai libri di testo, e riscoprire il fatto che l’arte visiva e il repertorio culturale dell’immagine come patrimonio artistico e risorsa simbolica non può essere una ‘materia’ ma accompagna da sempre ogni sapere e ogni fase della storia umana, collaborando con le parole, ed è in questa
(1) 2. Marco Dallari, psicopedagogista della didattica è professore ordinario di Pedagogia generale all’Università di Trento e alla Scuola di Specializzazione per l’Istruzione Secondaria (SSIS) di Rovereto. Presso la Facoltà di Scienze Cognitive dell’Università di Trento dirige il Laboratorio di comunicazione e narratività.
forma che a scuola andrebbe utilizzata dagli insegnanti di qualunque ambito disciplinare che accanto alle parole dovrebbero mostrare, condividere e porre in discussione le immagini che lo rappresentano e lo accompagnano. Il problema, insomma, riguarda la concezione stessa di scuola e di formazione che certamente, sono d’accordo con lei, non può seguire gli imperativi e gli stereotipi della produzione nell’era della globalizzazione (che peraltro è in crisi, forse proprio per assenza di pensiero e di creatività intellettuale). Credo che lo spezzettamento modulare della formazione scolastica (e universitaria) sia una grande iattura epistemologica ancora prima che pedagogica, e il progetto Rossi che lei e le sue colleghe giustamente mettono in discussione sia la punta di un iceberg ben più temibile e pericoloso. (…) Sarebbe importante che la pratica dell’educare non si accontentasse di essere ridotta alla trasmissione di informazioni e di competenze, condite dall’ossessione valutativa, ma sapesse mantenere vivo il “rapporto erotico” del soggetto con il sapere. Ed è ovvio che per fare questo occorra concedere uno spazio molto ampio alla lingua dello scambio simbolico “caldo” e del pensiero, ma occorrerebbe anche che gli insegnanti fossero formati e selezionati per questa primaria e fondamentale funzione. Il che non avviene, e su questo non mi sembra ci sia nessuna protesta ma anzi la categoria degli insegnanti pretenda e ottenga vergognose soluzioni di assunzione a tempo indeterminato (le tanto sbandierate sistemazioni dei precari) senza nessuna garanzia di verifica della competenza professionale. Sono quindi d’accordo con voi (anche se molti colleghi pedagogisti appoggiano la modularità ed è più il modo della psicologia ed essere critico), ma penso davvero che il problema sarebbe quello di una ridiscussione più ampia dell’identità e del profilo formativo dell’istituzione scolastica. La saluto cordialmente, Marco Dallari.”
2.Contributo dei linguisti dell’Accademia della Crusca, già citati in allegato 1, pubblicati il 15 settembre 2014, sul sito dell’Accademia col titolo “Il rischio della svalutazione della lingua nazionale nella didattica (e nella considerazione scolastica)” e quello di Michele Gazzola (3) nell’articolo “Il falso dibattito sull'internazionalizzazione dell'Università” “(…) con la legge del 1999 in cui all’art. 1 è stato stabilito per la prima volta che l’italiano è la lingua “ufficiale” (non “nazionale”, si badi) dell’Italia. (…) questo per via della necessità di ribadire che un italiano impoverito e poco regolato penalizzava (e oggi penalizza) le nuove generazioni uscite dalla scuola di massa, mettendo in dubbio la salda conquista della lingua come bene primario di tutti. Ora, pensate che le nuove generazioni saranno salvate grazie a quel po’ di inglese distribuito dal Clil? (…) Si tratta probabilmente del capitolo più importante della questione della lingua nel secondo millennio. (…) dopo che la prima sentenza della III sezione del Tar della Lombardia depositata il 23 maggio 2013 (n. 1348/2013) ha dichiarato illegittimo l’uso esclusivo dell’inglese nei corsi universitari (…) Credo sia la prima volta che un tribunale della Repubblica entra nel dibattito sulla “questione della lingua” e ne determina gli esiti, e per questo citerò i nomi dei giudici di primo grado: il presidente Adriano Leo, i due referendari Alberto Di Mario e Fabrizio Fornataro, estensore della sentenza, nella quale si afferma esplicitamente che «il carattere ufficiale della lingua italiana ne determina il primato in ogni settore della vita dello Stato». _____________________________________________________ 3.Michele Gazzola, dottore di ricerca in Gestione della comunicazione multilingue (Facoltà di traduzione e interpretariato, Università di Ginevra, Svizzera), e titolare di un Master in Economia (Università di York, Regno Unito) e di una laurea in Economia delle amministrazioni pubbliche e delle istituzioni internazionali (Università "L. Bocconi", Milano, Italia). È attualmente ricercatore borsista Marie Curie (IEF - Intra-European Fellowship) all'Istituto di scienza delle finanze della Facoltà di Economia dell'Università Humboldt di Berlino, Germania, sotto la guida del Prof. Dr. Bengt-Arne Wickström. Sta attualmente lavorando a un progetto di ricerca sulla politica linguistica e la giustizia linguistica nella UE.
(…) Siamo giunti quindi al vero problema. Secondo noi con l’introduzione massiccia del Clil, si profila un rischio: la svalutazione della lingua nazionale nella didattica e nella considerazione scolastica. Le ore di italiano, coerentemente con questa visione educativa, sono diminuite. (…) l’introduzione del dell’inglese (o del tedesco) come lingua di fatto obbligatoria per insegnare una materia curriculare "non linguistica" è ambiguo. Quale debba essere questa materia, se scientifica o umanistica, è rimasta un'opzione libera, quasi si trattasse di un dettaglio di secondaria importanza. Scelta assai discutibile, questa, perché forse l’esperimento sarebbe stato meno rischioso se condotto nelle materie tecnico-scientifiche che hanno un saldo metalinguaggio, o che fanno uso di disegni, grafici, numeri e formule, e non puntano prima di tutto sulla lingua, sulla logica e sulla dialettica. (…) L’accelerazione eventuale del provvedimento potrebbe dunque tradursi in una sorta di farsa, in cui un docente poco esperto fa finta di far lezione in inglese ad allievi italiani che capiscono peggio di quanto capirebbero con l’italiano. Ciò comporterebbe una perdita di qualità dell’insegnamento nella scuola già in crisi, senza alcun reale vantaggio per la conoscenza dell’inglese. (…) Per di più, duole dirlo, nel mondo della scuola, spesso reattivo e talora turbolento, non si è manifestata alcuna seria resistenza al provvedimento, anzi si è vista la riforma con ingenuo favore, senza comprenderne le conseguenze. Probabilmente pesa il fatto che molti non hanno chiaro il concetto fondamentale di “lingua madre” e sottovalutano la necessità di possedere perfettamente almeno una lingua di partenza. Molti credono che si possa saltare direttamente sulla comoda scialuppa della lingua universale applicandola al contenuto delle discipline scolastiche dell'istruzione secondaria. Come si fa però a credere che lo si possa fare senza intoppi, quasi che le condizioni dell’atto comunicativo si riducessero sempre e solo all’interazione superficiale paragonabile a quella che si verifica nel turismo di massa o nell’amichevole scambio di convenevoli? Purtroppo la
lingua serve anche in condizioni più difficili, per confrontare opinioni divergenti, per mettere alla prova interessi opposti, per scrivere leggi e norme, e via dicendo. Sono tutte situazioni in cui il possesso naturale della lingua avvantaggia grandemente chi lo ha per diritto di nascita. (…) La lingua straniera usata per accostare per la prima volta argomenti difficili prima ignoti non complicherà inutilmente la didattica? (…) 3.Contributo dell’Efnil (4) a seguito della pubblicazioni degli atti del Convegno annuale di questa federazione delle istituzioni che, nei diversi Paesi, si occupano dello sviluppo e della salvaguardia delle lingue nazionali (ufficiali) e il cui obiettivo è quello di promuovere il multilinguismo nell'Unione Europea, dando sostegno a tutte le lingue, per evitare lo strapotere dell'inglese. Secondo gli esperti i fattori che sconsigliano l'abbraccio indiscriminato della lingua straniera a certi livelli della formazione sono di due livelli (Dal Corriere della Sera, La Lettura, 5-10-2014) “quello cognitivo, secondo il quale uno studente o ricercatore che pensa e parla sempre in una lingua che gli è estranea non può esprimere al massimo le proprie potenzialità; quello sociale che riguarda lo scambio tra sapere e società. Bisogna salvaguardare la funzione sociale della lingua, che è quella di assicurare la circolazione della conoscenza: per esempio, un medico, un veterinario, un architetto o un ingegnere devono saper comunicare con pazienti, clienti, cittadini in genere; ma se acquisiscono una competenza solo in inglese non potranno farlo al meglio (…) crediamo che una figura pubblica debba usare la propria lingua nazionale nei discorsi ufficiali (userà l'inglese, se lo conosce bene, a tavola, nei pranzi, nei corridoi, nei rapporti e scambi dietro le quinte). 4. Efnil (European Federation on National Institutions for Language), una federazione delle istituzioni che nei diversi Paesi si occupano dello sviluppo e della salvaguardia delle lingue nazionali (ufficiali)
E possibile che noi italiani dobbiamo guardare sempre al Papa? Non solo usa l'italiano (che non è la sua lingua madre), ma lo fa ufficialmente anche quando va in Corea. È proprio vero che alla fine gli italiani si ritrovano sempre con il Papa, più che con le loro autorità civili, come al tempo dei bombardamenti di San Lorenzo a Roma. La spinta più potente all'italiano nel mondo viene proprio dal fatto che il Papa parla italiano, il che costringe i vaticanisti stranieri a masticare la nostra lingua. Viceversa, i nostri politici, anche quando fanno le riforme scolastiche, non se ne preoccupano mai». Un focus sul CLIL (pag.7 Una prima considerazione importante: in un gran numero di Paesi esiste un’offerta del CLIL sia al livello di scuola primaria che a quello di scuola secondaria. In alcuni Paesi, per esempio in Belgio, Spagna, Finlandia, Gran Bretagna e Romania esistono già nella scuola elementare delle attività in un’altra lingua.
1. Osservazione: vedi “insegnamento delle lingue” (pag.3) e il contributo sociopolitico e sociologico di Tullio De Mauro, già citato nell’allegato 1, prendendo spunto e stralci da un articolo di Michele Gazzola sul Corriere della Sera del 3.11.2014 dal titolo “Il falso mito dell'inglese: né democratico né redditizio”. In questo articolo il Professore argomenta sulla questione della lingua nella costruzione di una democrazia transnazionale europea “(…) Le democrazie per funzionare hanno bisogno di una comunicazione efficace e inclusiva, il che non richiede necessariamente una sola lingua in comune. La Svizzera mostra che è possibile avere una democrazia multilingue solida ed economicamente rigogliosa. Il caso spagnolo, belga e altoatesino mostrano invece che volere imporre una lingua nazionale sulle altre rischia di generare tensioni sociali e politiche. (…) L`inglese non è e non può essere una lingua «neutra» come il latino medievale o l`esperanto (…). In una Europa anglofona i madrelingua inglese godrebbero di
vantaggi indiscutibili, e per molti versi inaccettabili. Un esempio? La posizione egemone dell`inglese in Europa frutta al Regno Unito circa un punto di PIL all'anno come esito del risparmio sulle spese di insegnamento delle lingue straniere e sulle traduzioni, (…) e nessuno ha mai chiarito in che modo la promozione dell'inglese come unica lingua comune gioverebbe alla causa della democrazia continentale e alla solidarietà fra popoli. Se bastasse una lingua unica come l'inglese per renderci «più europei», i britannici dovrebbero già essere i maggiori sostenitori dell'Europa unita. Cosa che non è. (…) L'inglese è di fatto una lingua conosciuta molto bene solo da una esigua minoranza dei cittadini europei. (…) cioè una competenza linguistica adeguata a partecipare alle attività politiche in una democrazia anglofona. (…) alle fasce della popolazione più istruite e con reddito da lavoro più elevato. Insomma una politica monolingue creerebbe diseguaglianze fra Stati membri e fra ceti sociali, alimentando sentimenti di lontananza verso le istituzioni europee. La politica multilingue dell'Ue, il rispetto delle diversità e un diffuso insegnamento di diverse lingue europee nelle scuole e nelle università, invece, rendono possibile una gestione più efficace e inclusiva della comunicazione transnazionale europea. Non ci si lasci ingannare dalla prospettiva di una immensa e improbabile agorà transnazionale. Gli europei continuano e continueranno a lungo a vivere e lavorare all'interno dei confini geografici e mentali degli stati nazionali. La situazione tipica che si osserva in pratica non è quella di un calabrese che dibatte di austerità fiscale con uno slovacco, ma quella di un calabrese che discute con un campano degli effetti sull'economia italiana del rigore fiscale tedesco. Avere informazioni in italiano su quello che accade nelle istituzioni a Bruxelles o Francoforte e sapere un po' di tedesco, in questo caso, è quello che serve. (…) A chi obietta che garantire la comunicazione nelle 24 lingue ufficiali dell`Unione è troppo caro va fatto notare che il
multilinguismo costa ai contribuenti solo lo 0,0085% del PIL dell'insieme dei 28 Stati membri, meno dell'1% del bilancio delle istituzioni europee e poco più di due euro all'anno a cittadino. E difficile ritenere che si tratti di costi insostenibili, specialmente se confrontati con i costi delle diseguaglianze di un'Europa monolingue” (…) Valutazione degli alunni e certificazione (pag.12) (…) In tutti gli altri Paesi che organizzano un insegnamento di tipo CLIL, non esiste una valutazione specifica e le capacità dell’alunno rispetto ai contenuti del programma sono valutati solo nella lingua del programma di studi ordinario. Nel caso dei Paesi Bassi, comunque, molte scuole offrono ai propri studenti la possibilità di sostenere un esame supplementare in inglese per dimostrare le proprie capacità linguistiche. Il riconoscimento formale delle competenze degli studenti coinvolti nell’insegnamento di tipo CLIL avviene (o può avvenire), in tutti i Paesi in questione, attraverso il rilascio di un certificato specifico. Il plusvalore linguistico, acquisito dagli alunni durante gli anni di studi nell’insegnamento di tipo CLIL, è certificato alla fine dell’istruzione secondaria inferiore e superiore. Nel certificato rilasciato all’alunno vengono introdotte menzioni supplementari sulle lingue veicolari, sulle materie studiate e sugli anni di studio.
Osservazioni: si afferma che le capacità dell’alunno rispetto ai contenuti del programma sono valutati solo nella lingua del programma di studi ordinario. L’esempio dei Paesi Bassi ci offre l’occasione per aggiungere alle indicazioni del Protocollo alcune strategie alternative di diversificazione tra insegnamento della disciplina ed insegnamento linguistico, conservando in parte l’impianto Clil già esistente nella maggior parte delle scuole trentine coinvolte.