Dott. Francesca Pecoraro Scanio
Cibo, Emozioni e Corpo Appunti di viaggio
“Perché mangiamo e non partiamo”
Mi piace poter partire per il nostro viaggio ricordando che il cibo, come le emozioni, è parte integrante della vita di tutti i giorni e se cerchiamo un equilibrio che possa farci sentire in armonia con il nostro mondo emotivo e corporeo, bisogna decidere di investire tempo per se stessi. Fermarsi e riflettere per imparare a conoscersi ed esplorare il proprio esclusivo e unico rapporto con il cibo, un cammino utile per scoprire quale stato d’animo ci spinge a cercarlo. A cercare un cibo che placa e gratifica più di ogni altra cosa. Vi propongo un viaggio esplorativo che parte dalla considerazione che di fronte ad alcuni stati d’animo quali l’ansia, la confusione, la tristezza, la rabbia, la noia, l’agitazione, il senso di inadeguatezza, di solitudine, di stanchezza… (etc. etc.) si possono innescare dei meccanismi automatici che portano ad utilizzare una strategia di regolazione: sento tristezza, non riesco a capire per quale motivo, non la collego ad una esperienza di oggi, ma ciò mi fa sentire confusa, inizio a sentire fame, mangio del cibo… e il senso di tristezza si dissolve. Attenzione, in questi casi il cibo che abbiamo ingerito innesca un meccanismo automatico, può accadere così che ogni volta che sento quel senso di tristezza corro a procurami del cibo, ho appena scoperto che se mangio la tristezza sfuma, si alleggerisce. Altre volte, però, potrei usare lo stesso stratagemma anche per non parlare e non dire ciò che penso, per non piangere, per non urlare dalla gioia… ognuno trova o può trovare il proprio modo di usare il cibo per non sentire o non sperimentare le proprie emozioni. Emozioni che seguono un percorso certo: mi sento depressa, non ho forza… mangio qualcosa che mi tiri su – cioccolata, pasta, pane, pizza (?) – così non mi sento più tanto depressa. Quel tipo di cibo produce un innalzamento dell’umore, ma Dott. Francesca Pecoraro Scanio – studio: via Emilia, 97 – 40026 Imola – cell. 339.3016121
invece di affrontare i motivi per i quali mi sento un po’ giù, mangio e provo a non pensarci. Facendo un passo indietro dobbiamo ricordare che la fame corrisponde a un bisogno fondamentale dell’organismo ed è propria di ogni essere vivente, ma per riconoscerla come bisogno di nutrimento e non come un mezzo per sedare le emozioni, è importante imparare ad ascoltarsi per rispettare i propri bisogni autentici e poterli affermare e soddisfare senza dover ricorrere al cibo per non parlare.
Parliamo di emozioni Le emozioni sono un flusso in costante movimento, hanno una forte corrispondenza fisiologica, le sentiamo nel corpo, sono dispositivi automatici, un insieme di risposte neuronali e chimiche che salvaguardano e proteggono la vita. Alcune sono la paura, la rabbia, la tristezza, la gioia, la sorpresa, l’attesa, il disgusto, l’accettazione… Se ho pura, il mio corpo organizza la fuga, automaticamente, senza pensare. L’esperienza emotiva e composta da varie componenti: una fisiologica, cosa accade nel corpo, un flusso in continuo movimento; una cognitiva, quale esperienza ho vissuto e come l’ho codificata, come la ricordo e cosa penso se accade ancora e una comportamentale, cosa ho fatto, come ho reagito in quella occasione e come reagirei ancora, che si basa sul vissuto esclusivamente personale. Tre componenti che concorrono a fare me e solo me dinanzi a quella esperienza alla quale reagirò in un modo unicamente mio. Ma se non scopro perché mi comporto così, farò sempre lo stesso errore! Le componenti A livello fisiologico si mobilitano gli ormoni, alcuni cibi, come il latte, sollecitano la produzioni di alcuni ormoni che hanno effetti specifici. Il latte, come le coccole e il contatto corporeo con l’altro, aumentano la produzione di progesterone, un ormone che a livello endocrino ha effetto anoressizzante e ansiolitico: seda l’ansia. Dinanzi ad una qualsiasi esperienza anche il sistema nervoso si attiva, sono implicati i centri valutatori –non siamo macchine, ma
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nel nostro corpo tutto è coinvolto per affrontare e fronteggiare l’esperienza Vita. A livello cognitivo entrano in gioco tra l’altro anche i centri valutatori del sistema nervoso centrale che sono determinanti per decidere quale tipo di esperienza stiamo vivendo e quali strategie dobbiamo attivare per farvi fronte. In questo caso abbiamo una strada che parla di “valutazioni semplici” e attiva un’area del cervello nel sistema Limbico, l’Amigdala. In questo centro si sviluppano le valutazioni semplici del nostro cervello, quelle immediate e determinate fin dalle prime esperienze, poco contestuali all’oggi, che prevedono reazioni grossolane, non in grado di attendere che ciò che sta accadendo sia processato e affrontato più razionalmente, attivando così l’intero sistema emozionale. Produce invece risposte comportamentali immediate, legate alle emozioni immediate, come la paura, la rabbia. Siamo sempre esposti all’attivazione dell’Amigdala e a reagire in modo grossolano verso un’esperienza che sentiamo minacciosa, a volte anche se essa non lo è, perché effettivamente non siamo più dei bambini. Ma a volte le nostre risposte invece derivano proprio da quel centro di valutazione, detto semplice, in questi casi l’esperienza è processata, pensata, elaborata, senza alcun apporto della parte adulta, senza attivare la corteccia prefrontale. E’ importante sapere che l’area cerebrale più importante nel controllo del comportamento alimentare, relativamente al reale bisogno di cibo, è l’Ipotalamo, collegato al Talamo, che regola la produzione di ormoni tra cui il cortisolo che segnala all’Ipofisi di produrre endorfine, utili per sedare il dolore e ossitocina e vasopressina, essenziali per promuovere e stimolare l’attaccamento. Questi ormoni viaggiano sulla linea del contatto e sostengono nella persona la predisposizione alla fiducia, alle coccole, alla vicinanza, all’altro. L’Ipotalamo quindi sostiene la produzione di alcuni ormoni, quel flusso costante interno dell’organismo, che determinano anche il senso di sazietà. La qualità del cibo, come la “qualità” di emozioni ingerite e sperimentate, sollecita la produzione di differenti ormoni che sono alla base dello stare bene, dell’avere fiducia, della capacità e
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bisogno del contatto e della vicinanza con l’altro, nel bene e nel male. Per esempio, il progesterone, stimolato dal latte e dagli abbracci, ha effetto ansiolitico, abbassa il livello dell’ansia, il triptofano, stimolato dai carboidrati, invece produce l’innalzamento del tono dell’umore. E’ bene ricordare che a livello fisiologico i centri della fame sono sempre aperti, mentre quelli della sazietà funzionano come inibitori, sono ciò dispositivi che si attivano per disattivare i centri della fame e determinare un giusto appetito di cibo!
Emozioni e cibo Tutte le emozioni più forti sono legate al corpo e, strettamente collegate ad esso ci sono anche le emozioni prodotte dal cibo. L’Amigdala sembra molto importante nell’associazione ciboemozioni. Del resto nell’Amigdala sono presenti i centri della fame e della sazietà strettamente collegati alle emozioni. L’Amigdala è ritenuta la struttura che analizza gli stimoli che giungono al sistema Libico, l’area del cervello dove si conservano le memorie più antiche, i primi ricordi. In base alla piacevolezza e alla gratificazione dello stimolo si mette in movimento. A volte consumare un cibo, vederlo o annusarne il profumo attiva tutta una serie di sensazioni positive perché quel cibo apre la strada a un ricordo felice che trasmette benessere. Al contrario, il pensiero di un cibo legato ad un ricordo drammatico o spiacevole provoca repulsione, angoscia e sensazioni di disgusto. Le motivazioni a mangiare sono diverse e come abbiamo visto a volte partono da molto lontano. È innegabile che a volte si è presi da “un’irrefrenabile voglia di…cioccolata, crema, pane, pizza” , ma non sempre è un bene cedere a questi bisogni, spesso il cibo è una scappatoia per non scegliere la strada migliore per sé. E’ necessario impegnarsi per scoprire quando sentiamo il bisogno di mangiare e invece dovremmo parlare o agire.
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Le sensazioni corporee che sono indotte dalle emozioni sono di solito le tensioni muscolari, la tachicardia, le vampate di calore, sensazioni che nascondono emozioni, bisogni legati al mondo emotivo e sono considerate un po’ come segni premonitori, segnali ai quali dare ascolto! E’ forse il caso di iniziare a indagare quali sono le emozioni e i pensieri che ci lasciano da soli davanti al cibo. Un po’ come un piccolo viaggio da iniziare in compagnie di noi stesse per fare amicizia con ciò che, racchiuso in fondo al nostro essere, ci dirige negandoci la libertà di scelta. Per fare ciò bisogna però riempire la valigia di tanta buona volontà. Possiamo difenderci dagli stati emotivi negativi se impariamo a conoscere come funzioniamo e aumentiamo la tolleranza verso le tensioni. Allargare la finestra emotiva, che racchiude tutte le diverse emozioni che possiamo provare nelle diverse situazioni che ci troviamo a vivere, è una strada per cercare di capire perché la paura ci assale e quando, o perché il coraggio, quando più ne abbiamo bisogno, viene a mancare, e ancora possiamo scoprire cosa veramente ci piace, e cosa vogliamo fare per noi. Se la finestra emotiva, l’ampiezza della gamma di emozioni che pensiamo provare è limitata, il livello di tolleranza, il livello di disagio che riusciamo a sopportare è basso, in questi casi basta poco per sentirci impotenti ed è facile che in presenza di tanta fragilità possa nascere la convinzione di non avere abbastanza forza, idee, vie di uscita per sopportare … In questi casi per alcune il cibo rischia di diventare l’unica soluzione per affrontare il disagio, anestetizzandosi per non agire, per non modificare le cose. Con la scappatoia dell’anestesia emotiva grazie al cibo, impariamo a tollerare sempre meno le emozioni e ad avere bisogno sempre più di cibo per non sentirle, appena emergono nel corpo, attraverso i segnali premonitori, accendiamo il bisogno di cibo. Mangio, non sento, ma se non sento rischio di non affrontare la situazione che mi provoca disagio.
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Il diario emozionale e il valore del ricordare Il diario emozionale che propongo in allegato è utile per iniziare a scoprire quali esperienze e situazioni sono inequivocabilmente riconducibili al sistema di valutazione semplice, e attivano la risposta automatica e grossolana dell’Amigdala. Un lavoro importante e faticoso che, a poco a poco, ci aiuta ad imparare a conoscerci e ci stimola a pensare all’esperienza in considerazione del nostro vissuto personale, della nostra storia, di quella parte di me che mi fa essere semplicemente me! Il diario emozionale è uno strumento utile per capire come ci comportiamo di fronte a determinate esperienze, per scoprire quali sono le situazioni che ci creano disagio emotivo e sono difficili da affrontare. Potremmo scoprire la gamma delle situazioni ed esperienze per noi sono stressanti e \ o emotivamente faticose, e svelare la stereotipia, gli automatismi delle risposte che agiamo anche a dispetto della diversità delle situazioni, comprendere quali esperienze, anche non simili tra di esse, in noi attivano le stesse emozioni, gli stessi disagi che portano, a loro volta, alla stessa reazione, per alcune forse mangiare per sentirsi meglio. Vuoi vedere che scopriamo che mangi anche quando non hai fame? E bene imparare dal diario emozionale quanto e quando mangiate e qual è stata l’emozione o la situazione che vi ha spinto a farlo. Essere consapevoli dei motivi per i quali facciamo o meno qualcosa può aiutare a conoscerci. Cosa mi succede quando sono arrabbiata? E quando mi sento triste? E perché mi sento triste? Provate a sedervi e scrivere il motivo della vostra tristezza, cercate un modo di tornare ad essere più sereni, senza ricorrere al cibo. Provate un desiderio irrefrenabile per un alimento in particolare? In questi casi, fermatevi e cerca di capire quando accade, cosa è successo o sta succedendo. Prendendo spunto dal testo di Luisa Parmeggiani Analisi Bioenergetica – in compagnia della Gradiva – forse è importante riflettere su quanto la memoria è la nostra ragione, come la nostra incoerenza, il nostro sentimento, ciò che ci fa agire in un determinato modo e che ci fa scoprire come eravamo. Prendiamo così atto di chi siamo state, se ci siamo piaciute o meno,
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in fin dei conti è relativo, comunque siamo noi. Ricordare è entrare nella scena della nostra vita fermandoci un momento per nutrirci di quei momenti, di quegli episodi, che al presente rivestono una loro funzione, forse non più necessaria. Durante il viaggio verso la vostra meta, fermatevi e scrivete una lista di cose da fare per uscire dal bisogno di mangiare. Potrebbe iniziare così:
Quando ho bisogno assoluto di mangiare posso: telefonare ad un amica, uscire per una passeggiata, prepararmi un bagno caldo, prepararmi una tisana, leggere un libro, scrivere… ricordarmi di me…
Francesca
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L’obiettivo è stimolare il ricordo del proprio comportamento e collegarlo a esperienze emotivamente rilevanti che si vivono quotidianamente
SITUAZIONE “cosa è successo”
PENSIERI EMOZIONI COMPORTAMENTO “cosa ho “ cosa ho “cosa ho fatto” pensato” provato” La mia collega Mi guarda “super figa” mi ha dall’alto in basso criticata per il perché sono Rabbia lavoro… “grassa” – Vergogna ………. “brutta” “lenta” – Tristezza “vestita male” OPPURE etc.etc La mia collega, Lo dice perché CHE STIMO “ha bisogno di un Imbarazzo MOLTO, mi ha favore” – “mi vede Contentezza fatto tanti triste e vuole Sospetto complimenti per tirarmi su” – “mi ………. il lavoro… prende in giro” – “ finalmente si accorge di me”… Senso d i c olpa OPPURE Esasperazione “Non mi chiamerà ………. Spavento Oggi ho detto NO più” – “forse ho alla mia amica…lo esagerato” – “in fin dei conti desideravo da potevo anche dire tanto… di sì”… E’ bene scrivere l’episodio sia negativo che positivo com’è avvenuto, senza aggiungere nulla di più, e come ci si è sentiti, cercando dentro di sé l’emozione, il sentire… onestamente.
A cura di dott. Francesca Pecoraro Scanio
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