Celiachia All’interno: Osteoporosi e Malattia Celiaca Celiachia e stomaco La riesposizione con glutine nel celiaco identifica un solo peptide, modificato dalla transglutaminasi, quale epitopo dominante della A-gliadina
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A cura del dr. Carlo Catassi Consulente Scientifico di Celiachia Notizie
Michele Di Stefano, Alessandro Gasbarrini, Gino Roberto Corazza Unità Operativa di Gastroenterologia, IRCCS Policlinico “S. Matteo”, Università di Pavia, Pavia.
Osteoporosi e Malattia Celiaca
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algrado la prima descrizione di alterazioni dell'omeostasi ossea in pazienti affetti da malattia celiaca (MC) risalga a circa 70 anni fa (1), tale argomento è stato affrontato in maniera sistematica solo di recente. Negli ultimi 5 anni, infatti, nella letteratura internazionale è possibile reperire un numero di studi pubblicati in extenso superiore a 50 e, attualmente, l'integrità morfo-funzionale dell'osso è considerato un problema clinico rilevante in pazienti affetti da questa condizione. Un particolare impulso allo studio dei disordini metabolici a carico dell'osso è stato offerto dalla possibilità di quantificare la perdita di massa ossea in modo preciso e non invasivo mediante la recente introduzione nella pratica clinica della densitometria ossea. Come vedremo, infatti, tutti gli studi condotti con le moderne tecniche di indagine dimostrano che la maggioranza dei pazienti celiaci adulti soffrono di osteopatia metabolica. D'altro canto uno studio di screening mediante la ricerca degli anticorpi antigliadina in pazienti con osteoporosi “idiopatica”, cioè da causa sconosciuta, ha mostrato un'incidenza di MC maggiore che nella popolazione adulta sana (2). Infatti, occasionali pazienti con MC ed unica sintomatologia rappresentata da alterazioni a carico del sistema scheletrico sono stati ripetutamente segnalati nel corso degli anni (3-6). Celiachia news 2/2000
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Prevalenza dell'osteopatia metabolica nella malattia celiaca La prevalenza della osteopenia nei celiaci adulti non trattati può essere dedotta solo da un numero relativamente esiguo di studi, che abbiano utilizzato le moderne tecniche diagnostiche. Sebbene tali studi (7-12) non siano omogenei per quanto concerne la selezione dei pazienti e dei controlli e sebbene vi siano lievi differenze nei metodi di indagine utilizzati, tutti tranne uno concordano sul fatto che una perdita di massa ossea è presente in più del 75% dei pazienti adulti. Questo rende la MC una delle condizioni che più frequentemente predispongono ad osteopatia metabolica. In due studi (7,12) la perdita di massa ossea correlava con il pattern di presentazione clinica. Sebbene in pazienti asintomatici, diagnosticati in quanto parenti di primo grado di celiaci noti (7), e in pazienti con MC subclinica, diagnosticati sulla base della presenza di sintomi lievi, transitori ed apparentemente non correlati a tale condizione (12), la prevalenza della osteopatia metabolica e la severità del danno osseo fossero inferiori rispetto a pazienti con chiari sintomi di malassorbimento, queste erano comunque maggiori rispetto ai corrispondenti controlli sani. Questi risultati sono stati confermati da un recente studio del nostro gruppo eseguito su una serie di pazienti affetti da dermatite erpetiforme non trattata i quali mostravano alterazioni della massa ossea simili a quelle di celiaci con malattia silente o subclinica (13), confermando, quindi, che il grado di malassorbimento è un determinante maggiore della perdita ossea nella MC. 4
Per quanto riguarda la MC dell'infanzia, nonostante un importante studio abbia dimostrato una significativa riduzione del contenuto minerale osseo in pazienti non trattati rispetto a controlli trattati (14), al momento non sono disponibili dati di prevalenza. Meccanismi di sviluppo del danno osseo Diversi lavori indicano che il malassorbimento intestinale gioca un ruolo fondamentale nella patogenesi dell'osteopatia metabolica. L'assorbimento attivo di calcio si verifica nel duodeno e nel digiuno prossimale (15), che rappresentano i segmenti intestinali più danneggiati nella MC. La presenza di livelli di calcio sierico inferiori alla norma nei pazienti non trattati (8-16) e l'escrezione urinaria di calcio bassa dopo pasto, ma normale a digiuno (16), suggeriscono la presenza di alterazioni a carico di tale funzione. La valutazione diretta dell'assorbimento di calcio mediante studio della cinetica del 47C (17) o mediante il test di assorbimento dello stronzio stabile (1618), il quale correla fedelmente con il trasporto intestinale del calcio (19), ha confermato che la MC si accompagna a malassorbimento di calcio. Altri fattori responsabili della presenza di un bilancio negativo del calcio in questa malattia sono rappresentati da un ridotto introito alimentare (20), probabilmente mediato dal concomitante deficit secondario di lattasi (21-22), una maggiore escrezione fecale di calcio endogeno, dovuta verosimilmente ad un aumento della secrezione intestinale e/o ad un diminuito riassorbimento (17-23) e conseguente precipitazione
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nel lume intestinale con formazione di saponi. La conseguente ipersecrezione di paratormone (PTH) costituisce una risposta compensatoria. Alti livelli di PTH nel siero sono stati confermati, nei celiaci non trattati, da molti studi (7,8,10-12,25): tale rilievo riveste particolare importanza fisiopatologica in quanto il PTH promuove il riassorbimento osseo e contribuisce ad incrementare l'attività dell'enzima 1idrossilasi renale, con conseguente aumento della sintesi di 1,25 vitamina D (8,10,12,26). La stimolazione del trasporto attivo di calcio intestinale mediato dalla 1,25 vitamina D rappresenta, tuttavia, un meccanismo di compenso inefficace nella MC poiché, sebbene gli enterociti esprimano un numero normale di recettori per la vitamina D (27), essi, a causa della loro immaturità, contengono bassissimi livelli di calbindina, una proteina legante il calcio vitamina Ddipendente (28). Al contrario, il contenuto enterocitario di calmodulina, una proteina legante il calcio vitamina D indipendente, che media molti degli effetti intracellulari del calcio, non è diminuito e, quindi, alterazioni di questa sostanza non rappresentano un meccanismo responsabile del malassorbimento di calcio (29). La riduzione dei livelli di vitamina D sierica (7,8,10-12,23,25) possono essere dovuti non solo al ridotto assorbimento, al ridotto introito con la dieta ed alla ridotta esposizione solare, ma anche alla minore emivita plasmatica del suo metabolita (30), secondario alla sua iperstimolata trasformazione in 1,25 vitamina D, mediata dall'aumento del PTH. Va sottolineato che paradossalmente gli alti livelli di 1,25 vitamina D
hanno un effetto deleterio sul metabolismo osseo, essendo essi stessi causa di riassorbimento osseo (31). Recenti studi hanno valutato l'entità del turnover osseo nella MC mediante misurazione della fosfatasi alcalina sierica (32) o dell'escrezione urinaria di idrossiprolina (33). Più recentemente, invece, si sono rese disponibili le metodiche biochimiche per la misurazione di marker bioumorali più sensibili e specifici. Mediante l'utilizzo di tali nuovi marker, la MC è risultata essere caratterizzata da un pattern di rimodellamento con aumentata sintesi ossea che, tuttavia, si dimostra incapace di compensare l'aumentato riassorbimento (8,10,12,26). La significativa correlazione tra PTH ed osteocalcina, un marker di neoformazione ossea, e tra il PTH e il telopeptide COOH-terminale del collagene di tipo I (ICTP) sierico, un marker del riassorbimento osseo (8) suggeriscono che il responsabile dell'accellerato riassorbimento osseo sia l'aumento del PTH sierico. Molto recentemente, l'attenzione si è focalizzata sul potenziale ruolo patogenetico, nella osteopatia metabolica della MC, degli aumentati livelli sierici di citochine proinfiammatorie. È stato dimostrato, infatti, che queste citochine agiscono come fattori favorenti il riassorbimento osseo a livello locale (34). In particolare, l'Interleuchina-6 gioca un ruolo chiave nel riassorbimento osseo essendo capace di reclutare nel sangue i precursori degli osteoclasti, le cellule dell'osso responsabili del riassorbimento, e di indurre la loro differenziazione e la loro attivazione, risultando in un'aumentata attività osteocla-
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stica (35,36). È quindi interessante che nei celiaci non trattati i livelli serici di IL-6 si correlino inversamente con i valori di BMD lombare (37) e direttamente con PTH e con ICPT (38). A conferma di tale ipotesi patogenetica, in pazienti subclinici tutti gli indici biochimici del metabolismo e del rimodellamento osteo-minerale presentano alterazioni degli indici sierici di gravità intermedia rispetto ai celiaci con malassorbimento franco ed a volontari sani (12). Infine, l'osteopatia metabolica nella MC dell'infanzia è caratterizzata da anomalie sieriche del tutto simili a quelle riscontrate nell'adulto (39) e quindi, verosimilmente, presenta gli stessi meccanismi fisiopatogenetici alla base. Conseguenze cliniche L a c o n s eguenza più comune ed importante dell'osteopatia metabolica nella MC è rappresentata dall'aumento del rischio di fratture ossee (Figura 1 e Figura 2) e dalla conseguente deformità indotta. Poiché nella MC la gravità dell'osteopatia metabolica non correla con la presenza di dolore di tipo osseo, non esistono indicatori 6
clinici che siano predittivi dei livelli di densità minerale ossea (40) e, quindi, la misurazione diretta dei livelli di massa ossea mediante la densitometria è obbligatoria nel predire il rischio di frattura. Tal rischio aumenta di un fattore pari a 2 per ogni diminuzione di densità minerale ossea pari ad una unità di deviazioni standard, che è l'unità di misura adottata per esprimere tali valori (41,42). Tuttavia, sebbene il verificarsi di fratture nella MC rappresenti un aspetto clinico di particolare attenzione, al momento, oltre a due studi preliminari e, fra l'altro, discordanti fra di loro (43, 44), un solo lavoro in extenso è disponibile su questo argomento (45). Da tali studi risulta evidente come in pazienti con malattia celiaca le fratture di Colles siano le forme più comuni (4345). Inoltre, rispetto alla popolazione generale paragonabile per sesso ed età, nei celiaci è evidente un aumentato rischio di frattura solo a livello dello scheletro periferico (43,45). Di particolare interesse, anche da un punto di vista fisiopatogenetico, risultano i dati relativi alla maggiore età alla diagnosi ed al maggiore ritardo diagnosti-
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co in pazienti con fratture rispetto a quelli che non presentano fratture ed il fatto che la maggior parte di tali eventi avvenga prima della diagnosi o in pazienti con scarsa aderenza alla dieta priva di glutine (45). Nella MC refrattaria, che richiede non solo una dieta priva di glutine ma anche massicce dosi di steroidi, una ulteriore c o m p l i c azione dell'osteopatia metabolica può essere rappresentata dall'osteonecrosi ischemica della testa del femore (46). Infine, l'iperparatiroidismo secondario a MC è stato riportato in associazione con la presenza di tumori bruni dell'osso, rappresentato da lesioni litiche e sclerotiche multifocali considerate patognomoniche di iperparatiroidismo primario o di osteodistrofia renale (47). Prevenzione e trattamento L'effetto della dieta priva di glutine sulla densità minerale ossea fu inizialmente desunto da una serie di studi eseguiti su celiaci in trattamento (7,10, 4851). Tali studi presentano differenze fra
loro in termini di criteri di inclusione, metodiche utilizzate, durata ed aderenza alla dieta priva di glutine. Tuttavia, essi mostrano una minore prevalenza dell'osteopatia metab o l i c a r ispetto ai pazienti non trattati e suggeriscono che la dieta priva di glutine sia in grado di normalizzare la massa ossea in un certo numero di casi. Dati più accurati sono stati ottenuti mediante studi prospettici longitudinali; i risultati di un nostro studio durato due anni (52) confermano ed ampliano il trend positivo osservato in corso di dieta priva di glutine nel breve periodo (9, 11, 12, 26, 53). Tutti gli studi concordano sul fatto che la dieta priva di glutine migliora il difetto di massa ossea nella maggior parte dei pazienti adulti, ma solo in una minoranza i livelli di densità minerale ossea vengono normalizzati. L'adesione alla dieta (50) e la conseguente regressione delle lesioni intestinali sono ovviamente fattori cruciali nel determinare la risposta metabolica a livello osseo. Uno studio preliminare ha riportato che l'assorbimento frazionato di 45C è ridotto in celiaci trattati,
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sebbene nessuna correlazione fosse stata riscontrata tra adesione alla dieta e persistenza delle lesioni intestinali (54). L'entità del recupero di massa ossea non appare correlato al sesso, all'età del paziente alla diagnosi, alla gravità dell'osteopatia metabolica di base ed alla severità della malnutrizione (26,52), ma non tutti gli studi effettuati concordano su questi aspetti (53). È molto interessante il risultato di un nostro recente lavoro il quale ha mostrato come alti livelli di attività osteosintetica alla diagnosi, suggeriti da elevate concentrazioni sieriche di propeptide del procollagene di tipo I, sono predittivi di un soddisfacente recupero di massa ossea dopo dieta priva di glutine (52). L'identificazione di un marker predittivo del miglioramento osseo indotto dalla dieta può essere utile nel selezionare alla diagnosi quei pazienti che necessitano, oltre alla dieta priva di glutine, della somministrazione dei farmaci attivi sul metabolismo osteo-minerale. Un modo empirico per selezionare la terapia farmacologica appropriata potrebbe essere quello di basarsi sulle caratteristiche cliniche del paziente: terapia ormonale sostitutiva in donne con amenorrea o menopausa precoce, vitamina D in pazienti anziani o durante i mesi invernali, supplementi di calcio in quei pazienti con ridotto introito alimentare di calcio. In letteratura esistono scarse informazioni fra l'altro non sufficientemente controllate, relativamente al trattamento farmacologico dell'osteopatia metabolica nella MC e sono riportati risultati conflittuali sull'efficacia delle supplementazioni in calcio o vitamina D (11,26). Ovviamente la densitometria ossea rappresenta un utilissimo ausilio nel selezionare quei
pazienti in cui una terapia più aggressiva con difosfonati deve essere somministrata. Per quanto riguarda la prevenzione dell'osteopatia metabolica, la dimostrazione che nei pazienti non trattati la densità minerale ossea non correla con l'età alla diagnosi (7,8) potrebbe condurre alla conclusione errata che la diagnosi precoce ed il trattamento tempestivo della MC non siano utili. Al contrario, la diagnosi e il trattamento dovrebbero essere ancora più precoci di quanto non avvenga attualmente. Infatti, è stato mostrato che nei bambini con MC l'incremento annuale di massa ossea in corso di dieta priva di glutine è significativamente maggiore di quello di bambini sani (14) e che pazienti nei quali la MC è stata diagnosticata nell'infanzia e che da allora seguono una rigorosa dieta priva di glutine, mostrano livelli di densità minerale ossea simili a quella di controlli sani (55). In conclusione, quindi, le alterazioni del metabolismo osteo-minerale rappresentano un importante problema in pazienti con malattia celiaca. La definizione sul piano scientifico degli aspetti ancora oscuri di tale problema clinico potrà senza dubbio condurre ad una riduzione del rischio di frattura e, conseguentemente, ad un miglioramento della qualità di vita del paziente. Corrispondenza: Prof. GR Corazza Cattedra di Gastroenterologia dell'Università di Pavia IRCCS Policlinico “S.Matteo” Piazzale C. Golgi 19 - 27100 Pavia
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Maria Teresa Bardella
Celiachia e stomaco ormai noto che l'intolleranza al glutine può clinicamente manifestarsi con sintomi assai diversi, tra i quali anche dolore cronico o ricorrente nella parte alta dell'addome, nausea, gonfiore e senso di ripienezza postprandiale, digestione lenta; tali sintomi nel loro insieme vengono indicati con il termine “dispepsia” e possono essere dovuti a disturbi della motilità intestinale. In un nostro primo studio pubblicato su Scandinavian Journal of Gastroenterology (1) abbiamo valutato un gruppo di soggetti celiaci prima dell'inizio della dieta priva di glutine e abbiamo rilevato come sia il tempo di riempimento che quello di svuotamento dello stomaco risultassero più lunghi rispetto a quelli dei soggetti non celiaci e come tale rallentamento fosse legato all'aumento di alcuni ormoni gastroenterici, che ritornano poi normali con la dieta priva di glutine. La dispepsia peraltro è un sintomo molto frequente e presente anche in diverse altre patologie del tratto gastroenterico, dalla gastrite alla calcolosi della colecisti all'ulcera peptica, e per tale motivo nei soggetti dispeptici è spesso consigliata una gastroscopia per arrivare ad una diagnosi precisa. In un secondo lavoro, condotto in collaborazione con un altro centro ospedaliero lombardo, abbiamo dimostrato come la prevalenza della celiachia in 517 soggetti dispeptici che si sottoponevano a gastroscopia fosse doppia rispetto a quella della popolazione generale (6 celiaci su 517) e ancora più elevata nelle giovani donne. Abbiamo perciò ritenuto importante
suggerire ai medici curanti di tenere attentamente in considerazione, e quindi di eventualmente utilizzare i test sierologici (anticorpi antiendomisio o anticorpi antitransglutaminasi), la celiachia in tutti i soggetti dispeptici, soprattutto se giovani e di sesso femminile. Nell'ambito di tale linea di ricerca inoltre abbiamo avuto modo di valutare criticamente la presenza di alcuni segni endoscopici (perdita o riduzione delle pliche duodenali, micronodularità della mucosa duodenale) la cui presenza è stata segnalata come fortemente suggestiva di celiachia. In uno studio prospettico (3) al quale hanno partecipato 705 dispeptici sottoposti a gastroscopia e biopsiati solo se presenti i suddetti segni endoscopici e altri 517 dispeptici biopsiati indipendendemente dalla presenza o meno di questi, è emerso che la sensibilità dei segni endoscopici è del 50% e la specificità del 99.6% e che pertanto il significato di questi dipende dal tipo di popolazione in studio e dalla motivazione che ha condotto all'esame endoscopico.
Bardella MT et al. Scand J Gastroenterol 2000; 35: 269-73 Bardella MT et al. Arch Intern Med 2000; 160: 1489-91 Bardella MT et al. Gastrointest Endosc 2000; 51: 714-16
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R.P. Anderson (°), P. Detgano, A.J. Godkin, D.P. Jewell, A.V.S. Hill. Nature Medicine 2000; 6: 337-42. (°) Institute of Molecular Medicine, Nuffield Department of Medicine, John Radcliffe Hospital, University of Oxford, Oxford OX3 9DU, UK. e-mail
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In vivo antigen challenge in celiac disease identifies a single transglutaminase-modified peptide as the dominant A-gliadin T-cell epitope la riesposizione con glutine nel celiaco identifica un solo peptide, modificato dalla transglutaminasi, quale epitopo dominante della A-gliadina
li autori di questo lavoro hanno inG dagato la produzione di IFNgamma (mediatore chimico coinvolto nel danno intestinale della celiachia) e di IL-10, citochina anti-infiammatoria, da parte dei linfociti di celiaci in corso di riesposizione al glutine. Il test di provocazione veniva eseguita in pazienti precedentemente a dieta aglutinata, somministrando loro 200 g di pane al giorno per un periodo massimo di 10 giorni, ed in un gruppo di controllo. Ciò al fine di indagare la risposta iniziale, diretta verso pochi antigeni, e non quella tardiva, meno specifica e soggetta al fenomeno dell'”esaurimento”. I linfociti periferici di questi soggetti venivano messi in coltura e stimolati con una gamma di peptici sintetici della lunghezza di 15 aminoacidi, corrispondenti ai diversi “segmenti” della A-gliadina (della quale è nota la sequenza aminoacidica completa). I peptidi venivano utilizzati allo stato “nativo” o dopo trattamento con la transglutaminasi (tTG), (da sola o in associazione con lisina). Gli esperimenti dimostravano che solo uno fra i tanti peptidi testati, dopo trattamento con tTG, era in grado di stimolare, dopo 6-8 giorni dall'inizio del challenge, il rilascio linfocitario di IFN-gamma in 11 su 12 dei celiaci studiati (ma in nessuno dei controlli). Nei soggetti esposti al glutine per 10 giorni, si osservava durante la seconda settimana un “allargamento” della ri-
sposta linfocitaria anche verso altri peptidi gliadinici. Il peptide in grado di indurre la risposta selettiva iniziale corrispondeva alle posizioni 57-73 della sequenza aminoacidica della A-gliadina. L'effetto critico del trattamento con tTG appariva essere la deamidazione della glutamina in posizione 65. Per contro, nessuno dei peptidi testati era in grado di stimolare il rilascio di IL-10. Gli autori ritengono di avere individuato il peptide “dominante” verso il quale è diretta la risposta immune in corso di riesposizione al glutine nel celiaco. Tale scoperta potrebbe, sempre secondo Anderson e coll., aprire la strada alla terapia immunomodulatrice, basata ad esempio sull'impiego di una varietà di grano nel quale sia stata geneticamente rimossa la sequenza gliadinica tossica, o di un peptide modificato che possa legarsi ai recettori HLA bloccando, anziché stimolando, la risposta immunitaria patologica. Commento. L'articolo di Anderson e coll. ha avuto un largo eco a livello dei mass-media e delle società celiache. Corre voce che i ricercatori di Oxford vadano affermando, pare sia accaduto nel corso di un programma televisivo inglese, che le loro ricerche aprono le porte alla tanto “sospirata” vaccinazione contro la celiachia. 13
Celiachia news 2/2000
Non vi è dubbio che questo lavoro rappresenti una tappa importante nella conoscenza della fisiopatologia di questa condizione. È infatti chiaro che l'individuazione della/e sequenza/e gliadiniche tossiche rappresenta necessariamente il primo passo nella strada che porta alla eventuale immunoterapia di questa intolleranza alimentare. I risultati di questa ricerca, tra l'altro, vanno a confermare i dati di un gruppo di ricercatori norvegesi guidati da Ludwig Söllid, scienziati non meno acuti ma certamente più prudenti, che avevano già individuato nell'area “calda” dei residui 57-75 della A-gliadina il peptide in grado di attivare i linfociti T intestinali del celiaco. Tuttavia, al di là delle difficoltà ipotizzabili nell'affrontare le tappe successive del percorso che porta al “vaccino”, è opportuno precisare che esistono ancora notevoli perplessità nella interpretazione dei risultati sopra esposti. In primo luogo essi dovranno essere confermati da indagini cliniche che dimostrino che anche l'ingestione alimentare dei peptidi incriminati può causare l'enteropatia celiaca, non solo la loro attività “in vitro” sui linfociti isolati dal sangue. Occorre poi rilevare che questi nuovi dati sono in disaccordo con studi precedenti, per l'appunto eseguiti “in vivo”, che indicavano altri frammenti gliadinici (il 31-49 soprattutto) quali principali attivatori della risposta immune celiaca. Infine, lavori recenti di un gruppo olandese indicherebbero sostanziali differenze nella reazione immunitaria intestinale ai peptidi gliadinici tra i celiaci in età adulta, quali erano quelli testati 14
da Anderson e Coll, e quelli in età infantile. Il significato di queste diverse risposte immunitarie legate all'età è ancora tutto da esplorare. In conclusione, riteniamo che i dati di Anderson e coll. siano estremamente interessanti sul piano scientifico e promettenti per le possibili implicazioni pratiche. La prudenza è tuttavia d'obbligo, considerando che le incertezze dei ricercatori, sul tema in questione, non sono minori delle aspettative del popolo celiaco.
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I.R.
Associazione Italiana Celiachia