Catering ristorazione e consumi fuori casa
N° 11 Settembre-Ottobre 2012 - Catering News - Poste Italiane Spa - Sped. AP. DL 353/03 Conv. in L. 27/02/2004 N° 46 Art. 1 comma 1 - CN/BO - Edizioni Catering srl – Via Margotti, 8 – 40033 Casalecchio di Reno (BO) - contiene I.P. - costo copia euro 3,50
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• FORUM
La parola ai giovani chef Ne discutono: Fabrizio Ferrari Lorenzo Cogo Stefano Pinciaroli Andrea Sarri Marianna Vitale
• L’INCHIESTA
Per un consumo responsabile
• FOCUS
Far capire il gusto italiano
• L’INTERVISTA
Corrado Casoli Per affrontare il mercato è necessario avere consapevolezza del ruolo
www.cateringnews.it
Quando arriva Orogel, arriva Paura
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Paura
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Pagamenti, l’ora della verità!
l’editoriale di Roberto Martinelli direttore responsabile
Quando il governo nel gennaio scorso presentò il decreto sulle “liberalizzazioni” non ci sembrò vero che in quel pacchetto ci fosse materia tanto delicata per il nostro settore. Quando esce un decreto legge si spera sempre nelle rettifiche in sede parlamentare, ma non è stato vero in questo caso. Si era invece capito che in materia di condizioni di pagamento e transazioni commerciali tra operatori della filiera di prodotti alimentari deteriorabili e non, il tempo stesse ormai per scadere. Le vecchie usanze, regine di annosi e conflittuali rapporti tra fornitori e clienti, avevano le settimane contate. La legge 27 del 24 marzo 2012 introduce in modo tranchant un cambiamento procedurale per cui questo governo verrà inevitabilmente ricordato. L’argomento è stato da noi trattato nel n° 9 di Catering, ma vista l’importanza della materia nella rubrica delle “Consulenze” di questo numero che andrete a leggere, i nostri consulenti ci danno una precisa esposizione della legge con le ultime novità introdotte dai decreti attuativi. Non entriamo nei contenuti della legge, ma ricordiamo che dal prossimo 24 ottobre sarà in vigore e non sono previste proroghe. Riteniamo tuttavia doveroso fare alcune considerazioni di merito prima di sottolineare la nostra forte preoccupazione sui risvolti strutturali ed economici che inevitabilmente la legge provocherà sulle aziende di distribuzione e sui clienti della ristorazione. Premessa: il conflitto nel mercato lo dobbiamo riconoscere noi per primi, era ormai ingestibile. I pagamenti erano spesso diventati – e lo saranno ancora e chissà per quanti - il problema principale delle aziende, fortunatamente non di tutte, ma di molte. Evitiamo di scrivere percentuali perché come si suol dire “ognuno sa di casa sua”. Gli esercenti sono in perenne difficoltà a rispettare i termini di pagamento, i grossisti distributori di food e beverage sono da anni stressati nella morsa. Da tempi memorabili fungono da banca nei confronti dei clienti e di conseguenza sono esposti coi fornitori fino a compromettere la loro credibilità. Non parliamo poi dei cash and carry e della grande distribuzione che, al contrario, nonostante incassino subito, sui pagamenti hanno speculato per anni e ottenuto margini finanziari sufficienti da salvare i bilanci. La bomba ad orologeria è stata invece innescata e ora nessuno la può fermare, il 24 ottobre salterà. Scappiamo tutti? No, ci siamo e vogliamo esserci possibilmente più forti di prima. Occorre però cercare di ridurre i danni ed evitare là dove sarà possibile i disastri. Imporre per legge i termini di pagamento a 30 e 60 giorni è formalmente giusto ma a condizione che questa liberalizzazione venga applicata anche agli altri settori. Perché escludere per esempio la pubblica amministrazione? Il nostro canale si confronterà nelle prossime settimane non senza problemi, ed è possibile che molte aziende siano compromesse se non troveranno un polmone finanziario adeguato. Questa volta ci dovrà essere davvero una totale collaborazione tra clienti e fornitori, altrimenti il rischio sarà che il sistema s’inceppi. E i guai potrebbero essere seri per l’intera economia del canale. Non vorremmo essere presi per populisti, ma se in questo Paese le riforme devono essere fatte, devono valere per i commercianti come per le banche. Sistema privato e sistema pubblico. Se si tratta di salvare il Paese, nessuno deve essere escluso.
cateringnews.it • settembre/ottobre 2012 _ 3
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sommario
*22
forum La parola ai giovani chef
Ne discutono: Fabrizio Ferrari, Lorenzo Cogo, Stefano Pinciaroli, Andrea Sarri, Marianna Vitale
l’editoriale
storie di cucina
scelti da catering
case history
3 7
Pagamenti, l’ora della verità di Roberto Martinelli Molino Spadoni Eurofood Luigi Zaini spa Agritech spa Cresco spa Jungheinrich Italiana
l’analisi 13
case history 52
Il consumatore merita qualità di Giorgio Zanelli
Ma la proattività dove è finita? di Mauro Lamparelli
la matita rossa
Corrado Casoli di Luigi Franchi
56
55
La scuola come raccordo di Giuseppe Schipano
fuori casa
tecniche di cucina
La ristorazione è in crisi: dove, come e perchè di Luigi Franchi
focus 28
Far capire il gusto italiano di Guido Parri
il cibo giusto 32
La selvaggina è sana di Luigi Franchi
in copertina 36
Belli, sodi e profumati di Giorgio Zanelli
le ricette degli chef 40
di Luigi Franchi
Gian Paolo Belloni Gianfranco Pagliaricci Gabriella Costa Elisabetta e Giuseppe Spitella
meglio prenotare 43
6 _ cateringnews.it • settembre/ottobre 2012
Dal 1880 sulla rotta dei sapori di Eugenio Negri
food cost
18
l’inchiesta Per un consumo responsabile
50
Osare e sognare di Luigi Franchi
l’intervista 14
*76
47
Ristorante La Greppia, Verona Ristorante da Christian e Manuel, Vercelli Dario Cecchini, Panzano in Chianti (FI) La Torre del Saracino, Vico Equense (NA)
59
Conoscere il food cost di Roberto Carcangiu La catena del freddo di Silver Giorgini
distribuzione 64
Crescere in competenza di Eugenio Negri
private label 67
Delizie di latte di Carolina Bellini
l’intervista 72
Sergio Esposito di Valentino Serra
perbacco! 75
Il mercato cinese e il vino italiano di Giuseppe Vaccarini
terre di vino 80
Riva di Franciacorta tra arte e vino di Alessandra Locatelli
la consulenza 84
Novità per la disciplina delle relazioni commerciali Avv. Alberto Fugagnoli
cosa succede 88
Nel food e nel beverage Agugiaro & Figna per la pizza verace napoletana
scelti da catering
Palline per pizza Molino Spadoni Al giorno d’oggi sono davvero tante le tipologie di impasto per pizza ma per un pizzaiolo realizzarle tutte è praticamente impossibile, sia per una questione di tempo che di conservazione del prodotto. Per questo Molino Spadoni, lo specialista delle farine dal 1923, da sempre vicino al mondo dei professionisti della pizza con prodotti creati su misura per loro, ha creato una linea di palline per pizza surgelate che consentono di soddisfare le molteplici esigenze del consumatore moderno e di rispondere all’aumento di casi di intolleranze alimentari. Grazie a Molino Spadoni da oggi il pizzaiolo avrà sempre a propria disposizione una gamma completa di pizze speciali da proporre alla propria clientela. Senza glutine, biologiche o con cereali alternativi come Kamut®, Farro e Soia, gli impasti pronti Molino Spadoni sono altamente digeribili grazie alla lievitazione con pasta madre. Un prodotto davvero innovativo che oltre a rivoluzionare l’offerta delle pizzerie è comodo e pratico da utilizzare. L’imballo consente una facile gestione del prodotto anche nei freezer della pizzeria e lo scongelamento è esplicitato nel dettaglio in tre modalità indicate in etichetta, a temperatura ambiente, in frigorifero o veloce. Molino Spadoni • Coccolia (RA) - Tel. 0544 569056 • www.molinospadoni.it
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cateringnews.it • settembre/ottobre 2012 _ 7
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scelti da catering
Zaini e le Gocce di Cioccolato Emilia La gamma di cioccolato EMILIA della Luigi Zaini S.p.A., nota azienda dolciaria milanese, si arricchisce del nuovo formato di 500 g per le sue Gocce di Cioccolato, interamente dedicata al canale ho.re.ca. Le pratiche Gocce di Cioccolato Emilia, nate per accorciare i tempi di lavorazione del cioccolato in cucina, sono da sempre un impareggiabile ingrediente da utilizzare con creatività: se aggiunte in fase di preparazione ad un semifreddo alla panna, galvanizzano il gusto del dessert, oppure, in delicati dolci al cucchiaio monoporzione, aggiungono con discrezione il gusto di cioccolato. La nuova ricetta di casa Zaini è per un drink molto speciale: uno shot di rhum, col bordo intinto nel Cioccolato Emilia, precedentemente fuso, e tre Gocce di Cioccolato che rilasceranno il loro gusto inimitabile nel drink. L’intera GAMMA di cioccolato fondente extra Emilia supporta le imprese della ristorazione in ogni fase della preparazione dei dessert al cioccolato, con i BLOCCHI di cioccolato (200g, 400g, 1 kg), il cacao, dolce o amaro (250g, 1 kg) e la crema di cioccolato fondente extra per decorare. luigi Zaini S.p.a • Milano - Tel 02 6949141 • www.zainispa.it
Il valore aggiunto del pane fragrante Agritech, azienda specializzata in pani surgelati, offre una gamma di referenze che soddisfano tutti i momenti di consumo: dalla colazione agli aperitivi, dal pranzo al rito della cena, fino al semplice momento dello snack. I prodotti sono particolarmente adatti al canale ho.re.ca. per l’elevato contenuto di servizio, offrono tempi di scongelamento e di cottura ridotti o addirittura azzerati, mantenendo un elevato standard qualitativo. L’obiettivo è sfruttare l’elevato potenziale della ristorazione, dove la forza vendita di Agritech, insieme ai grossisti di riferimento, è impegnata a comunicare al ristoratore che un ottimo cestino di pane fragrante e appena cotto qualifica il locale al pari di una buona carta dei vini e di un buon servizio ai tavoli. Oltre, naturalmente, ad una ottimale gestione dell’approvvigionamento con conseguente riduzione di costi. Agritech è leader di mercato, con un assortimento di circa 130 referenze e con prodotti giudicati “unici” e difficilmente sostituibili da parte di utilizzatori e consumatori, come ad esempio i tranci pizza o focacce, il bughy, il minifrustino e le ciabattine. agritEch Spa • San Michele (RA) - Tel 0544 416611 • www.agritechspa.it
cateringnews.it • settembre/ottobre 2012 _ 9
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scelti da catering
Cresco, il partner ideale Cresco è un’azienda italiana leader mondiale, da oltre 40 anni, nella produzione di ingredienti base per pasticceria e gelateria. Partner ideale per gli artigiani del dolce, con prodotti innovativi, di qualità ed affidabili, che aiutano e semplificano la realizzazione del dolce in grado di soddisfare le esigenze di tutto il mondo dolciario. Con la Linea Food Service, Cresco si propone di servire tempestivamente il professionista della ristorazione, consentendo elevata economia di scala nella produzione, senza rinunciare alla qualità. Per la Linea Food Service sono state studiate apposite confezioni per ottimizzare sia la praticità d’uso, sia la convenienza d’acquisto, con il sistema distributivo, che permette di usufruire di un prodotto-servizio ad elevata competitività in linea con le necessità del settore. Uno dei prodotti più innovativi è lo Spray staccante per teglie e stampi, si tratta di una miscela di oli vegetali, è inodore e insapore, mantiene pulita la superficie della teglia o stampo anche dopo la cottura. Rappresenta un sistema di preparazione igienico e veloce senza problemi di irrancidimento per ungere qualsiasi stampo prima della cottura in forno. Non altera il sapore del prodotto dopo cotto. Il prodotto è confezionato in pratiche bombolette da 400ml con ugello spray. crESco Spa • Brescia - Tel 030 2685611 • www.cresco.it
Le soluzioni Jungheinrich per gestire l’intralogistica Nell’attuale contesto economico, la logistica svolge un ruolo fondamentale nell’ottimizzare risorse e processi aziendali. Ciò significa implementare soluzioni integrate per una gestione ottimizzata del flusso dei materiali e delle relative informazioni, coinvolgendo tutti gli attori della filiera: fornitori, produttori, operatori logistici, distributori, clienti. Il gruppo Jungheinrich, leader mondiale nell’intralogistica, offre ai propri clienti la soluzione su misura per tutte le operazioni di movimentazione, stoccaggio, prelievo e spedizione. L’impiego di Jungheinrich Manager, software per la gestione di magazzino (WMS - Warehouse Management System), integrato con apparati in Radio Frequenza (terminali palmari, barcode scanner, imager per l’acquisizione di immagini, video e codici 2D, tag e lettori RFID, tecnologia vocale), ottimizza la gestione di magazzino e agevola notevolmente le attività che gli operatori devono svolgere. Forte di un know-how logistico consolidato di oltre 60anni, con 7 filiali dirette e 2 centri regionali in Italia, Jungheinrich è in grado di “accompagnare” il cliente nell’analizzare le proprie criticità esplicite/latenti, nel progettare e nel realizzare soluzioni che producano risultati concreti. Dai mezzi di movimentazione alle scaffalature, da sistemi di automazione a soluzioni informatiche per la gestione di magazzino, integrate con le più innovative applicazioni tecnologiche. JunghEinrich italiana S.r.l. • Rosate (MI) - Tel 02 90871-2414 • www.jungheinrich.it
cateringnews.it • settembre/ottobre 2012 _ 11
Ma la proattività dove è finita?
l’analisi
di Mauro Lamparelli direttore di TradeLab www.tradelab.it
Negli ultimi mesi durante gli incontri che ho avuto con manager dell’industria e della distribuzione operanti nel mercato fuori casa prima o poi emergeva sempre lo stesso tema: è il peggior anno da quando operiamo in questo business, mai era successo di avere la concomitanza di tanti fattori sfavorevoli, speriamo che il bel tempo ci faccia recuperare qualcosa… Ho avuto poi lo stesso riscontro parlando con qualche gestore di ristorante o bar: “sono diminuiti i clienti, la gente non spende o spende meno, sono stato costretto a ridurre il personale..”. La situazione è indubbiamente molto critica. La disponibilità di spesa degli italiani si è ridotta sia in relazione alla contrazione reale del reddito disponibile e sia perché si ha paura di spendere in mancanza di chiarezza su cosa succederà nell’immediato futuro. Tutto vero quindi. La provocazione che però voglio lanciare è che in questo settore ben poco si fa, in particolare da parte degli esercenti, per cercare di stimolare consumi così asfittici. In altre parole, si usa pochissimo la leva promozionale. Questa mancanza diventa clamorosa nel percepito del consumatore (che è sempre lo stesso…) quando si trova a confrontare cosa gli viene proposto in altri punti vendita: supermercati e ipermercati sono tappezzati di offerte, i negozi di abbigliamento hanno iniziato a proporre prezzi incentivanti già dallo scorso maggio, gli operatori di telefonia studiano nuovi pacchetti di offerta quasi ogni giorno, lo stesso fanno tour operator e agenzie di viaggio. Persino le farmacie, consce che ormai la pacchia sta finendo anche per loro, si stanno lanciando in clamorosi 3 per 2… Bar e ristoranti no! A parte le iniziative presenti nelle catene di ristorazione è raro che un punto di consumo vada oltre i classici abbonamenti 11 caffè al prezzo di 10 e menù pranzo a prezzo fisso. Possibile che questa categoria di imprenditori non accetti e/o non capisca il fatto che le attività promozionali possano, se usate correttamente, avere un effetto importante per fidelizzare i propri clienti, attrarne di nuovi e differenziarsi dalla concorrenza? Stiamo parlando di banali operazioni tattiche che partono dall’evidenza che la politica di prezzi al consumo portata avanti in questo settore negli ultimi anni non può più reggere in assoluto e ancora di più in momenti di portafogli blindati. Esistono poi altre iniziative che stanno faticosamente prendendo piede in alcuni comuni dove tutti gli attori coinvolti nel processo di offerta locale al consumatore (pubblica amministrazione, associazioni di categoria, camere di commercio, singoli esercenti, catene) hanno fatto sistema progettando, coordinando e realizzando iniziative atte a sostenere e sviluppare i consumi di prodotti e servizi nel micro territorio di riferimento: serate a tema, notti bianche, tessere fedeltà di distretto commerciale ecc. Le iniziative di marketing territoriale descritte hanno attratto migliaia di consumatori riempiendo bar, ristoranti negozi, teatri, cinema e musei. La filiera del fuori casa deve riflettere su questi temi e agire di conseguenza: lamentarsi non stimola i consumi.
cateringnews.it • settembre/ottobre 2012 _ 13
Corrado Casoli Per affrontare il mercato è necessario avere consapevolezza del ruolo di Luigi Franchi
l’intervista
Se si vuole parlare di vino non si può prescindere dal raccogliere le riflessioni di Corrado Casoli, presidente del Gruppo Italiano Vini e di Cantine Riunite CIV, il primo gruppo italiano e tra i primi dieci nel mondo. I numeri di questo sistema parlano da soli: circa 500 milioni di fatturato consolidato nel 2011, 220 milioni di bottiglie prodotte (105 milioni il GIV e 115 milioni le Riunite CIV). Una galassia, quella del Gruppo Italiano Vini, che raggruppa 14 storiche aziende vitivinicole e un accordo commerciale con Carpenè Malvolti, 1340 ettari vitati in proprietà, circa 12.000 clienti (tra operatori, distributori e importatori), una rete di 293 agenti. Mentre Cantine Riunite CIV è una cooperativa con 2000 soci, leader mondiale nella produzione di Lambrusco e maggiore esportatore di vino italiano nel mondo, che detiene il 92% delle azioni del Gruppo Italiano Vini. Come ci si sente a capo di un gruppo di queste dimensioni? “Orgogliosi! E consapevoli della grande responsabilità verso chi lavora in questo gruppo e verso l’immagine del vino italiano che non può prescindere dalla qualità” Il consumo in Italia è in calo costante; è ipotizzabile una controtendenza? Soprattutto la ristorazione sta vivendo una forte crisi di consumo del vino: colpa dei ricarichi, delle norme previste dal codice della strada o che altro? “Dovremo abituarci a fare i conti con questa diminuzione dei consumi che c’è stata e che non si fermerà. I motivi sono diversi, a cominciare da un profondo cambiamento sociodemografico del Paese: non si mangia più in casa due volte al giorno, tutti riuniti attorno ad un tavolo dove il vino non mancava mai; sono ormai in minoranza lavori pesanti che richiedevano anche un elevato apporto energetico. Per quanto riguarda la ristorazione, fanno bene gli operatori ad adeguare la carta dei vini introducendo prodotti alla portata di ogni tasca. Questa è una risposta alla crisi e un segnale di attenzione verso la clientela. Certo, le regole imposte dal codice della strada hanno penalizzato non poco i consumi. Per questo ci vuole uno sforzo di fantasia. Penso al servizio al bicchiere, che nella ristorazione italiana comincia lentamente ad affermarsi, oppure un vino alla spina fatto con vini di qualità. Questo aiuterebbe chi si deve mettere alla guida”. Il mondo del vino italiano troppo spesso si autoconvince del fatto che “piccolo è bello”: sicuramente questo incide sull’identità di un vino ma non è esclusivo di qualità. Lei cosa ne pensa? “La mia scuola di pensiero e formazione è orientata alla pluralità del mercato, dove c’è spazio per tutti, a condizione che ognuno trovi la sua collocazione e la sua identità. Il mercato del vino italiano è più o meno diviso a metà tra export e consumo interno. Si tratta di capire chi ha la capacità di far fronte ad un mercato, quello dell’export, che
14 _ cateringnews.it • maggio/giugno settembre/ottobre 2012 2012
richiede una precisa organizzazione e un adeguato dimensionamento e chi, invece, può andare a coprire quote di mercato interno dove, ad esempio, è in crescita l’acquisto diretto da parte del consumatore ma anche dei ristoratori. In sintesi, per affrontare il mercato, è necessario avere consapevolezza del ruolo. Sulla qualità sono convinto che oggi si beve molto meglio di qualche anno fa, anche grazie alla tecnologia in vigneto e in cantina. Poi, chi la vuol fare ha a disposizione regole ben precise per perseguire il concetto di qualità”. Oggi tutti guardano all’export come unica fonte di salvezza per il vino italiano. Ma il dato medio parla di 1,80 euro al litro. Ha un senso? Come si può aumentare questo valore economico? “Intanto specifichiamo che quello che viene solitamente indicato è appunto un dato medio, tra sfuso e confezionato. Per quest’ultimo il valore sale a 2,7 euro ed è già un discreto risultato. Teniamo poi conto che uno degli aspetti che stanno garantendo l’interesse dei mercati internazionali è dato proprio dal prezzo, altrimenti non saremmo in grado di avere questi risultati. Certo, ora occorre dare maggior valore alla bottiglia di vino italiano che è, su ogni mercato, mediamente meglio dei concorrenti. Ad esempio, in quella fascia di mercato tra i 10 e i 15 dollari a bottiglia, l’Italia sta ottenendo un ottimo posizionamento grazie a qualità e produttori importanti e riconosciuti”. Le denominazioni italiane sono un numero esagerato; hanno un peso sui mercati, soprattutto quelli internazionali? Ne viene riconosciuta la valenza oppure questo genera confusione? “Si, ci sono troppe denominazioni e i grandi mercati sono più legati al vitigno che alla denominazione. Però la denominazione, se riconosciuta e collegata al vitigno può preservare il vino italiano dai tanti episodi di contraffazione. In questo i consorzi possono giocare un grande ruolo di tutela a cui il singolo non potrebbe mai assolvere. Ad esempio, il fatto che adesso i compiti legislativi e di difesa sono in carico all’Unione Europea consente, nel mercato comunitario, di rispettare le regole. Mentre l’esasperazione delle denominazioni, in termini numerici, è che in troppi casi non funzionano o si sono adottate per logiche politiche locali. Ben venga una denominazione, anche piccola, ma a condizione che rappresenti davvero l’identità di un territorio”. Quali sono, dal suo osservatorio, le tendenze di consumo del vino in Italia? “Anche qui serve chiarezza di analisi. Le tendenze rappresentano dei piccoli spostamenti nel modo di consumare. Se oggi si dice che vanno i vini frizzanti non è che non si beve più Brunello o Amarone. Possiamo dire che oggi sono di tendenza vini meno pretenziosi, semplici e immediati. Basti pensare al +26% di vendite del Pignoletto che, grazie a noi, è riuscito ad uscire dai confini territoriali per diventare un vino apprezzatissimo sul mercato nazionale. Si sta riaffermando il principio che sta comunque alla base del vino, dai tempi della sua nascita: il vino è un momento gioioso! Infine credo sia importante anche superare certi tabù. Faccio un esempio: oggi il consumatore, soprattutto quello più giovane (quello del futuro) è
cateringnews.it • settembre/ottobre 2012 _ 15
orientato alla mixability delle bevande. Allora mi chiedo, partendo proprio dal fatto che il vino è forse quello più adatto a questa modalità: è meglio un cocktail a base di vino o uno di quei beveroni che vengono sempre più spesso ingurgitati? Anche questo contribuirebbe, con una giusta comunicazione, a fare cultura del vino”. La comunicazione nel vino a volte pecca di autoreferenzialità e, in altri casi, di un linguaggio troppo tecnico e complesso; questo va a scapito del consumo e della conoscenza? Ci sono modi diversi di comunicare il vino? “Nel mondo del vino qualcuno pensa che la comunicazione non serva, basta qualche premio, il passaparola, le guide. Ma io non credo che sia una valutazione corretta. Il mondo non è solo degli intenditori ma è rappresentato da moltissimi consumatori che cercano consigli e suggerimenti. Infatti, se da un lato la competenza dei sommelier e delle guide o degli opinion leader ha sicuramente fatto crescere il mondo del vino italiano, dall’altro ha messo in soggezione una fetta di consumatori non così esperti. Sono convinto che a questi consumatori bisogna prestare molta attenzione e dar loro le informazioni di cui hanno bisogno per comprare una buona bottiglia di vino”. La cooperazione ha avuto un grande ruolo nella valorizzazione dell’uomo e delle sue competenze: nel comparto del vino questo come si esplicita? “Se il vino, negli ultimi vent’anni, è cresciuto in qualità e ha generato un nuovo interesse da parte del pubblico, una parte importante del merito va dato al sistema cooperativo. Senza di esso moltissime piccole e medie realtà agricole avrebbero chiuso, senza possibilità di dare continuità al lavoro e una speranza alle nuove generazioni. Il sistema cooperativo ha saputo creare una filiera fatta di sostegno economico, di assistenza tecnica, di prospettive per il futuro. Questo è un sistema complesso, basato su regole relazionali che implicano il dovere di far partecipare il socio alla vita dell’azienda (si sta parlando di migliaia di persone ndr), ma è proprio questa complessità che dobbiamo, ogni giorno, trasformare in una grande opportunità per tutti gli attori del mercato”. Infine, una domanda che rivolgiamo a tutti gli ospiti di questa rubrica: qual è il suo piatto della memoria? “È semplice, sono reggiano, arrivo da una famiglia contadina dove questa ricetta era riservata ai giorni di festa, ma quelli importanti, nei quali il piatto di cappelletti scandivano la ricorrenza”.
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Brodi in pasta
Un pieno di sapore
I granulari
I cubi
Le specialità
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fuori casa
La ristorazione è in crisi: dove, come e perchè di Luigi Franchi “In questo momento entriamo in una fase critica che non sappiamo cosa porterà, ma sul breve ho grossi dubbi di una ristorazione che possa uscirne bene specie nella fascia medioalta dove manca una clientela di riferimento, perché l’italiano si muove tra le diverse categorie di offerta senza problemi, quindi capita che ci siano oscillazioni altissime tra giornate vuote o semivuote e piene”. Fausto Arrighi direttore della guida Michelin Italia
I prezzi nella ristorazione, nell’ultimo anno, sono aumentati dell’1,8% a fronte di un’inflazione attestata intorno al 3,2%. La ristorazione si caratterizza come uno dei settori che contribuisce al contenimento della spinta inflattiva eppure, nonostante questo atteggiamento virtuoso, nel 2011 hanno chiuso 8.857 ristoranti, su un totale di 13.199 imprese che hanno cessato l’attività nel comparto che raggruppa le aziende del turismo, del tempo libero e delle comunicazioni. Indagare sul perché significa entrare in uno scenario di luci e ombre che evidenziano come la ristorazione sia un’attività in cui successo o fallimento sono facce di una medaglia dalle infinite sfaccettature. C’è chi accusa l’eccessiva liberalizzazione, chi incolpa variabili impazzite di frequentazione, chi ritiene che essendo imprenditori piccoli non è tenuto in considerazione dallo Stato, chi lamenta un carico fiscale e burocratico elevatissimo. Le altre facce della medaglia invece parlano di ristoranti che segnalano crescite costanti, in alcuni casi a due cifre, locali premiati da una clientela che si sente accolta e ascoltata. “La ristorazione è in crisi perché non parla alla gente” è l’opinione dello chef siciliano Carmelo Chiaramonte, il cuciniere errante come ama definirsi, e la sua ricetta è: “Si deve sentire il profumo
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davanti alla porta e si deve possedere un orto. Senza questi due elementi parliamo di altro ma non di ristorazione”. Una ricetta che, sempre dalla Sicilia, Pino Cuttaia cerca di mettere in pratica da diversi anni nel suo ristorante di Licata, La Madia: “Purtroppo sentiamo la crisi, come tutti. Questo momento, però, può rappresentare un’occasione per riflettere sul ruolo della ristorazione e sul rapporto con i clienti, sul ruolo che deve avere la sala, troppo a lungo messo in secondo piano. Abbiamo cercato di rispondere alla crisi con la nostra ricetta tradizionale, che è quella di suscitare emozioni nei nostri ospiti. Cercando di farli sentire a casa propria in modo che ritornino con piacere. Proviamo a migliorarci sempre, con i clienti cerchiamo di essere generosi nei piatti e premurosi nel servizio. Forse abbiamo risentito della crisi meno di altri, perché La Madia non è un locale alla moda o di tendenza: abbiamo tanti clienti affezionati, che ritornano per riprovare dei piatti che ormai sono dei
Fausto Arrighi, direttore della guida Michelin Italia. La mancanza di fidelizzazione è dunque uno dei problemi veri. Infatti, laddove si è riusciti a diventare punto di riferimento non si avverte crisi. Gli esempi sono innumerevoli e basta un po’ di esercizio e spirito di osservazione per individuare questi locali, come ad esempio l’Osteria delle Commari a Roma, aperto poco più di un anno fa e collettore di una clientela che, a fianco della quota fisiologica dei turisti che visitano Roma, ha scelto il locale per la particolarità dell’offerta: “Noi non sentiamo la crisi, anzi abbiamo eliminato i giorni di chiusura proprio per far fronte alle prenotazioni. - racconta Cristina Bellantoni, una delle socie del locale - Il motivo? Forse non spetta a me dirlo ma abbiamo semplicemente trasformato in realtà quello che era un nostro sogno: gestire un locale con gli occhi, i desideri e le aspettative del cliente. Non passa giorno senza che pratichiamo l’esercizio di metterci dall’altra parte,
nostri classici, ma che non disdegnano di assaggiare qualche novità”.
osservare con spirito critico il nostro lavoro e prestare totale attenzione ai suggerimenti”. Ma anche chi fa così, in altre parti d’Italia, fatica a fronteggiare la crisi. È il caso di Cristina Pescio, chef e proprietaria dell’Osteria del Diavolo di Asti, pur lodata da un recente mea culpa di Marco Bolasco, sul suo blog, per non averla inserita nell’ultima edizione della guida Osterie d’Italia e con l’impegno a riparare quest’anno, con queste parole: “Un piccolo locale in centro città, l’Osteria del Diavolo, che fa della semplicità la propria bandiera. Ma che semplicità! Servizio garbato e disponibile, qualche tavolo fuori e tre salette dentro e piatti molto convincenti. Le fugasette (frittelle di pasta di pane) con i salumi artigianali, i ravioli (quelli quadrati, astigiani),
Luci e ombre di una crisi “In questo momento entriamo in una fase critica che non sappiamo cosa porterà, ma sul breve ho grossi dubbi di una ristorazione che possa uscirne bene specie nella fascia medio-alta dove manca una clientela di riferimento, perché l’italiano si muove tra le diverse categorie di offerta senza problemi, quindi capita che ci siano oscillazioni altissime tra giornate vuote o semivuote e piene. Questa è una situazione che si ripercuote anche sugli stati d’animo; chi vuole uscire è anche per un bisogno di convivialità che non si ritrova in un ristorante semideserto” sostiene
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il galletto e le pesche ripiene, quello che abbiamo mangiato. Cose buone che piano piano sapevano riconciliare con la settimana stressante. Potere dell’ospitalità, della grande ospitalità, con l’unico rammarico di aver tenuto fuori il locale l’anno scorso. Ma quest’anno rimediamo!” Nell’Astigiano, raccontano i giornali locali, nell’ultimo anno hanno chiuso i battenti 89 ristoranti: “Sono tempi durissimi, stiamo pensando anche di abbassare ulteriormente prezzi già contenuti che non modifichiamo da almeno due anni - si sfoga Cristina Pescio- ma non vogliamo cedere all’acquisto di materie prime scadenti, pur di starci dentro. Altrimenti sarebbe la fine! Le cause della crisi? Il numero enorme di sagre che sottraggono clienti, la stretta creditizia delle banche che impedisce di affrontare eventuali investimenti, le nuove disposizioni come quelle dei contratti a chiamata che obbligano alla comunicazio-
cali esistenti. Purtroppo quest’incremento, per lo più dovuto all’ingresso di capitali quanto meno sospetti, non ha determinato un corrispondente incremento della qualità, ampliando in maniera sproporzionata l’offerta. I ristoranti che invece fanno qualità soffrono maledettamente perché necessariamente i loro prezzi sono più elevati e non sempre i clienti percepiscono le differenze. Anche rispetto alle recenti campagne del governo contro l’evasione fiscale, io da tempo dico che bisognerebbe cercare gli scontrini senza clienti e non i clienti senza scontrini!” “Discorso a parte merita la pizza napoletana: è di gran moda, il trend dei consumi è in crescita sia perché in un periodo di scarsa liquidità consente ancora alle famiglie di poter andare a cena fuori senza spendere un capitale, sia perché è uno dei pochi prodotti dell’enogastronomia che continua a mantenere un fortissimo legame cibo-territorio-cultura. La dimo-
ne preventiva: ma come posso gestire il personale preventivamente se il mercato è diventato schizofrenico con serate che si riempiono all’improvviso, magari al lunedì, e semivuote nei weekend? Il problema infine è anche la mancanza di cultura verso il nostro mondo, nonostante decine di programmi televisivi!” O forse a causa di questi, vien da pensare a volte. A Napoli invece un antidoto alla crisi lo può vantare l’interesse crescente intorno alla pizza. A sostenerlo è Massimo Di Porzio, presidente dei ristoratori di Napoli e patron dello storico ristorante pizzeria Da Umberto: “Sicuramente Napoli non è diversa dalle altre città del mondo e quindi la crisi c’è e si vede. Le cause sono sicuramente dovute alla contrazione internazionale dei consumi, ma anche all’incremento dell’offerta gastronomica in termini di numero di lo-
strazione viene dai sempre più numerosi chef stellati che stanno introducendo in carta la pizza.- prosegue Di Porzio - Quello che io consiglio è di investire però sulla formazione del personale, e soprattutto di cercare di implementare un processo produttivo il più possibile uguale a quello tradizionale napoletano. Non ha alcun senso scrivere che si fa la ‘verace pizza napoletana’ se poi non è vero, e i clienti oramai lo vedono e lo sanno. Quindi correttezza e etica danno un valore aggiunto. Per cui io consiglio alle aziende in grande difficoltà di aggiungere o riconvertire a questo prodotto, come già tanti chef stellati stanno facendo, iniziando dal forno tipico napoletano”.
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Cosa abbiamo imparato da questa situazione “Di questa crisi non abbiamo probabilmente ancora
visto tutto. La deregulation, quella che oggi comincia a veder altre categorie preoccuparsi, nel nostro settore ha fatto, in pochi anni, disastri inenarrabili. Nuove aperture senza alcuna formazione e professionalità hanno trasformato il settore della ristorazione, e ancor più del pubblico esercizio, in una sorta di bene-rifugio dove appare facile svolgere il mestiere. Ma noi lo stiamo dicendo da anni: il nostro settore non è il paese di Bengodi! - afferma Esmeralda Giampaoli, presidente di Fiepet-Confesercenti - Non è sufficiente fare un corso sull’Haccp per ritenersi operatori formati, sono necessarie le esperienze, vivere la vita e i problemi di un ristorante, capirne i meccanismi. Io non ho una ricetta per uscire da una crisi che presenta troppe variabili ma di certo è arrivato il momento di darsi una calmata, anche mediatica, e fermarsi a ragionare sul futuro”. Una riflessione che arriva anche dagli altri protagonisti della filiera della ristorazione: le aziende di produzione e di distribuzione. “La crisi nella ristorazione c’è, noi la avvertiamo soprattutto per il fatto che disegna una prospettiva incerta, scoraggiante - commenta Elena Bacchini, responsabile marketing di Surgital, leader nel settore dei primi piatti pronti surgelati - ma, come in tutte le situazioni di grande impatto, darà inizio ad un processo di selezione. Già lo stanno facendo le aziende, ma soprattutto i grossisti che si sono stancati di fare da banca e stanno mettendo in atto una cernita delle aziende. Questo genera una naturale conseguenza: che resteranno sul mercato coloro che sanno fare il proprio mestiere, che sono consapevoli di avere in mano delle imprese, che devono investire sull’ospitalità e su nuove soluzioni, che sono leali con i fornitori”. Una ricetta che trova riscontro nelle parole di Giacomo Bernardi, a capo dell’azienda di distribuzione GB Giovanni Bernardi di Torino: “Il problema, non solo della ristorazione ma anche di altri segmenti della filiera, è una critica mancanza di controllo su molti aspetti della propria impresa. Lo scarso controllo induce, ahimè, a sprecare le risorse e senza neppure accorgersene: da qui molti dei problemi di pagamento del ristoratore e un livello dei prezzi spesso ingiustificabile. Il settore può fare poco per affrettare la soluzione della crisi, anche se un ripensamento della politica di prezzo sarebbe almeno doveroso. Può fare molto per attrezzarsi e formarsi su argomenti come il controllo di gestione e la corretta conduzione di un’impresa”. Nel 1990 la sua azienda aveva per clienti solo dettaglianti: salumieri, gastronomi, ambulanti alimentari: “Dopo due anni, la nostra clientela era composta quasi esclusivamente di ristoratori. - prosegue Bernardi - In quegli anni era evidente a tutti che l’era del piccolo dettaglio volgeva al termine e che la grande distribuzione avrebbe soppiantato quella rete di micro imprenditori. E mentre questo succedeva, i dettaglianti rifiutavano ogni cambiamento e ogni forma di unione tra loro, perché pensavano che il mondo non sarebbe cambiato”. Questa analisi ci porta a pensare che, molto spesso, anche i ristoratori pensano che il mondo non cambierà, che la crisi passerà e loro torneranno ai fasti di qualche anno fa. Stanno commettendo lo stesso errore.
Pino Cuttaia Ristorante La Madia Licata (AG)
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forum
La parola ai giovani chef Prosegue il dibattito sulla ristorazione che verrà
Ne discutono: Fabrizio Ferrari,
Ristorante Al Porticciolo 84 di Lecco
Lorenzo Cogo,
Ristorante El Coq di Marano Vicentino
Stefano Pinciaroli,
PS Ristorante di Cerreto Guidi (FI)
Andrea Sarri,
Ristorante Agrodolce di Imperia
Marianna Vitale,
Ristorante Sud di Quarto (NA)
Nel numero scorso abbiamo ospitato un forum sulla ristorazione che verrà, a cui hanno partecipato chef e ristoratori che rappresentano anche realtà associative. Il forum ha stimolato una riflessione sul futuro della ristorazione che ci ha spinto ad appronfodire il tema con giovani chef: Fabrizio Ferrari, del Ristorante Al Porticciolo 84 di Lecco, Lorenzo Cogo del Ristorante El Coq di Marano Vicentino, Stefano Pinciaroli di PS Ristorante di Cerreto Guidi (FI), Andrea Sarri del Ristorante Agrodolce di Imperia e presidente della delegazione italiana dei Jeunes Restaurateurs d’Europe, Marianna Vitale del Ristorante Sud di Quarto (NA). Quali sono gli elementi che concorrono a definire una cucina che potremmo chiamare virtuosa? Che definizione amate per la vostra idea di cucina? Fabrizio Ferrari: “A mio parere, l’elemento chiave di una cucina che si voglia definire davvero virtuosa è la costanza, sia nella qualità dei prodotti (e quindi costanza nell’approvvigionamento), sia nella qualità dell’ output offerto (costanza nella realizzazione dei piatti). Un’altra caratteristica che ritengo importante è la capacità di rinnovamento per offrire sempre qualcosa di nuovo ed attraente. E ultimo, ma forse più importante, bisognerebbe lavorare prima con il cuore che per il profitto economico, anche se di questi tempi potrei
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apparire un poco naive. La mia è una cucina slegata dal territorio, in quanto propongo pesce di mare in una zona di lago, nata non per soddisfare bisogni, ma desideri. mi piace figurarla come l’incontro tra un peschereccio di ritorno dal mare e un veliero carico di spezie e prodotti che arrivano da lontano”. Lorenzo Cogo: “Gli elementi che concorrono a definire una cucina virtuosa sono tutti racchiusi nella mente e nell’intendimento di cucina di ogni singolo chef, che crede in quello che porta in tavola ai propri avventori. Sono poi gli stessi clienti che danno una definizione alla cucina che ognuno di noi offre ai loro palati. La mia cucina si affida completamente al mio istinto e al mio palato; i ricordi dei miei viaggi in giro per il mondo ispirano ogni giorno la mia mente al pensiero circa nuovi abbinamenti e la modalità con la quale i miei clienti devono approcciarsi ad ogni singola portata. Una cucina moderna che porta rispetto alla tradizione ma non cerca una reinterpretazione della stessa... Si impara dal passato ma il fu-
di trasferire ai clienti il mio gusto, ciò che mi piace mangiare”. Marianna Vitale: “Una cucina virtuosa è una cucina di tecnica, di prodotto, di grandi idee. Lo chef ‘virtuoso’ è colui che riesce a fondere questi elementi presentando un unico prodotto che, molto probabilmente, sarà un ‘gran-bel-piatto’. La mia cucina è forte, semplice, come me”. Perché avete scelto di intraprendere questo mestiere? Chi riconoscete come maestri o modelli di riferimento? Fabrizio Ferrari: “Ho deciso di intraprendere questo fantastico mestiere un po’ per caso e un po’ per necessità. I miei genitori hanno iniziato questa attività quando avevo quattro anni e ho respirato aria di ristorazione praticamente da sempre, senza amarla troppo a dire il vero. Poi, ovviamente, quando c’è da dare una mano, la si dà. E quando nel 2004 si è creata una situazione di emergenza in cucina, ho deciso di infilarmi la giacca bianca e la naturalezza con cui mi sono saputo inaspettatamente destreggiare e
turo è una storia da scrivere ancora da nuovo”. Stefano Pinciaroli: “La virtuosità dipende molto da ciò che si offre al cliente, prestando attenzione e ascolto. Si comincia con lo studio della materia prima per arrivare poi ad instaurare un rapporto di fiducia con il cliente. Per studio di materia prima intendo anche e soprattutto l’avere un rapporto con il territorio e i suoi produttori, senza anteporre il prezzo alla scelta; questo, alla lunga, premia il rapporto con il cliente. La mia cucina è povera e ricca allo stesso tempo, ma ai massimi livelli, ricca di sapori”. Andrea Sarri: “Fare ogni giorno azioni e gesti orientati a tutto ciò che riguarda un comportamento etico, nel prezzo, nella scelta delle materie prime, nella qualità del servizio e delle portate. La mia è una cucina sicuramente istintiva, nel senso che cerco
gli importanti riconoscimenti che sono arrivati di lì a poco, hanno definitivamente cambiato il corso della mia vita. Non ritengo di avere un vero e proprio maestro, essendo totalmente autodidatta. Però, giocando, potrei creare colui che potrebbe essere il mio modello di riferimento, mescolando, in un ipotetico Frankenstein, le caratteristiche che mi hanno fortemente colpito di personaggi con cui ho avuto l’onore di lavorare come la scanzonata determinazione e la venerazione per i prodotti di Redzepi, la vulcanica umanità e l’amore per i sapori intensi di Uliassi e la ricerca di nuovi orizzonti culinari e la visione lungimirante di Scabin”. Lorenzo Cogo: “Sembrerebbe banale dire che io sono la terza generazione in famiglia che intraprende questo percorso, sembrerebbe banale dire che quando nasci e
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cresci in questo ambiente la passione che questo mestiere pretende è già nel tuo DNA... sembrano quindi motivazioni banali, ma sono proprio queste che mi hanno fatto decidere che la mia strada era segnata su un percorso che prima mi ha fatto partire, andare molto lontano per poi ritrovare il mio tesoro proprio da dove ero partito.. Come successe al giovane pastorello de L’Alchimista di Paolo Coelho”. Stefano Pinciaroli: “L’ho sempre voluto fare, fin da piccolo. Nessuno in casa faceva questo lavoro ma i miei genitori non mi hanno mai contrastato, anzi mi dicevano vai e fai fino in fondo e bene. Alla fine ho realizzato un sogno e la realtà me lo conferma, anche nelle difficoltà di tutti i giorni: entrare in cucina assorbe tutto il tempo ma questo ti dà modo di soddisfare il bisogno costante di ricerca e creatività. I modelli di riferimento sono i grandi maestri come Marchesi e Ducasse, ma anche Adrià e Alajmo. Ma i maestri più belli sono le persone comuni del luogo in cui vivo e lavoro”. Andrea Sarri: “Faccio questo lavoro da quando avevo 14 anni, ed ora ne ho 42. Studiavo tutt’altro ma mi piaceva pensare a questo lavoro e, dopo diverse esperienze all’estero, ho deciso di tornare a casa e aprire un mio ristorante, pur avendo una tradizione di famiglia alle spalle. No, non ho maestri di riferimento. Ci sono persone, che stimo nel mondo della ristorazione, ma i maestri sono tutti quelli che, in qualche modo, mi hanno insegnato qualcosa e io ho insegnato qualcosa a loro, dal piccolo bar alla mia clientela”. Marianna Vitale: “Ho deciso di intraprendere questo mestiere perché ho scoperto che nella mia vita non avrei potuto fare altro che cucinare. I miei modelli di riferimento? Carme Ruscalleda, autodidatta”. A volte si sentono affermazioni che definiscono i giovani chef come incapaci di ricercare una propria precisa identità. Ma questo è vero, o più semplicemente un giovane, in quanto tale, predilige la sperimentazione in attesa di definire una sua propria idea di cucina? Fabrizio Ferrari: “Per quanto mi riguarda, è vero che nasco autodidatta, ma il Porticciolo 84 aveva già una sua propria impostazione quando ho preso in mano le redini della cucina, la mia identità quindi ho dovuto trovarla in fretta e ne sono felice, perché ho potuto sin da subito specializzarmi e concentrarmi su una ricerca e sviluppo che correva su binari solidi”. Lorenzo Cogo: “C’è stato un tempo nel quale i veri maestri di cucina erano in pochi e destinati a rimanere nell’olimpo per sempre. Il mondo della cucina oggi è tempestato di continue e nuove tendenze culinarie, che danno la possibilità a noi giovani chef di poter vedere e scoprire molto di tutto ciò che il mondo può offrire. Credo sia giusto che un giovane chef abbia il suo periodo iniziale nel quale si lascia guidare dal suo istinto, senza farsi troppe domande, sfornare continuamente nuovi piatti ispirati dalla fantasia che solo una giovane mente ha a disposizione. Perché non accettare la capacità di creare emozioni palatali di un giovane chef e aspettare che la sua strada si definisca meglio? Perché tutta questa fretta di dover per forza definire ciò che si mangia all’interno di schemi che ne limitano il campo d’azione? La libertà d’espressione deve essere la chiave per leggere la cucina dei giovani talenti”. Stefano Pinciaroli: “Nel corso degli anni c’è sempre un’esperienza,
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Stefano Pinciaroli
Andrea Sarri
Marianna Vitale
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quindi magari all’inizio si cerca di fare nel migliore dei modi ciò che ci hanno insegnato. Poi, poco a poco, nel mio caso ho stravolto completamente tutto, anche il modo di preparazione e di servizio, cercando di personalizzare, stare al passo con la tecnologia, rivoluzionando i metodi di cottura. A maggior ragione, in questi tempi difficili, bisogna darsi una propria ben definita identità”. Andrea Sarri: “Da giovani si sperimenta un po’ di più e questo è il senso stesso della giovinezza. Crescendo invece si rischia di perdere questa voglia di ricerca che porta a capirsi di più, a capire gli errori che magari sono stati commessi, a trovare la propria identità. Ciò che conta è capire bene e ricordare tutti i passaggi di crescita”. Marianna Vitale: “Credo che a 30 anni sei alla ricerca della tua identità anche se non sei uno chef. Anzi, ben venga la ricerca e la sperimentazione anche a 60 anni. Se in questo mestiere ti fermi non ha più senso continuare, diventi solo il ragioniere di un frigo”. La ristorazione è in crisi, la gente non va in vacanza, le sagre portano via clienti: frasi ricorrenti in questi tempi quando si parla di ristorazione. Eppure la cucina italiana è uno dei punti di forza del made in Italy. Cosa chiede un giovane chef al sistema Italia? Fabrizio Ferrari: “Il sistema Italia dovrebbe fare tantissimo per tutti i suoi cittadini, prima di tutto. Per il nostro settore in particolare sarebbe necessaria maggiore attenzione per i giovani che vogliano intraprendere un’attività, con una strizzata d’occhio
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dal fisco magari; flessibilità delle intricate norme che regolano il lavoro dipendente; incentivi che facilitino i fondamentali investimenti necessari per creare ristorazione di medio/alto livello”. Lorenzo Cogo: “Semplicemente più sostegno.. sostegno a chi parte con un nuovo progetto e vive nella speranza di realizzare un sogno”. Stefano Pinciaroli: “Sicuramente chiediamo un aiuto, ma non in termini di sostegno economico. Ciò che conta è sentirsi valorizzati, parte di un sistema, quello del made in Italy gastronomico, che all’estero è molto apprezzato. Chiediamo di fare azioni che anziché vederci magari andare noi all’estero, facciano venire gli stranieri qui in Italia, facendo conoscere il bello che abbiamo. Vorrei che si capisse che non diamo solo da mangiare, ma raccontiamo, attraverso il nostro lavoro, un’emozione italiana”. Andrea Sarri: “È indubbio che la ristorazione in questo momento sia in crisi, le situazioni di successo sono una minoranza. Le cause vanno ricercate in un sistema turistico che non si è saputo innovare, in uno stato carente sotto tutti gli aspetti nel tutelare il valore di un’economia fatta di artigianato e piccole aziende. L’altro problema vero è che la liberalizzazione ha fatto lievitare la bassa qualità dell’offerta. Infine la colpa è anche nostra che, anziché piangerci addosso, come spesso capita, dovremmo fare la nostra parte e invece siamo troppo lenti nel capire i cambiamenti e le tendenze in atto”. Marianna Vitale: “Io chiederei l’esilio”.
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focus
Far capire il gusto italiano Lo stato dell’arte della cucina italiana nel mondo
di Guido Parri
Academia Barilla ha ospitato, nelle scorse settimane, il Forum della Cucina Italiana nel Mondo, organizzato dal gruppo GVCI (Gruppo Virtuale Cuochi Italiani) che ha chiamato a raccolta chef provenienti da più di 30 nazioni. Il GVCI è nato nel 2001, con l’obiettivo di tenersi in contatto attraverso la rete, senza gerarchie precostituite e la possibilità di confrontarsi rapidamente sui problemi e sulle opportunità della cucina italiana nel mondo. Gli ideatori sono stati due: lo chef Mario Caramella, titolare di In Italy a Singapore, e Rosario Scarpato, direttore di Itchefs-GVCI, che in un decennio sono riusciti ad aggregare attorno al gruppo quasi 2000 tra chef, opinion leader e gourmet internazionali amanti della cucina italiana. Una fotografia, quella tracciata dal Forum, che mette in luce due temi fondamentali per la corretta affermazione della cucina italiana a livello internazionale: la reperibilità delle merci e la codificazione del made in Italy culinario. La reperibilità delle merci “Per le cosiddette colonne della cucina italiana (pasta, olio, grana, pelati, insaccati & prosciutti) in genere non ci sono grandi problemi nel mondo occidentale extraeuropeo (USA, Canada, Australia). Ma
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spesso anche per questi ingredienti i governi trovano cavilli burocratici o pseudo sanitari per rallentare o bloccare le importazioni. Già se si va ai Paesi del Brics (Brasile, Russia, Cina, India e Sudafrica) dove le potenzialità sono veramente enormi le cose si complicano e gli importatori devono essere veramente coraggiosi e intraprendenti” spiega Rosario Scarpato, dal suo osservatorio privilegiato di ItchefsGvci, il sito che ospita il forum tra i cuochi italiani nel mondo. “Il problema sono gli uffici e le rappresentanze diplomatiche italiane non sempre all’altezza. Ma anche la volontà del governo italiano che, eccetto pochi casi, non ha mai imposto reciprocità. - prosegue Scarpato - Ci sono situazioni dove magari il potere contrattuale dell’Italia non è enorme (vedi Singapore), ma in altre, dove si potrebbe far pesare meglio la forza contrattuale italiana, si fa poco o nulla. Il caso più emblematico è l’Argentina, forse la nazione con il più alto retaggio di italianità, dalla
un manager della cucina: a chi lavora con lui impone un turno di tre settimane per ogni partita, al fine di garantirsi l’intercambiabilità; il suo locale deve avere rumore e informalità che sono l’ingrediente principale del convivio ricercato da chi va al ristorante.
quale l’Italia importa di tutto (con un crescente deficit commerciale) dove adesso non si può importare nessun ingrediente. Il Paradiso in assoluto rimane Hong Kong dove spesso si trovano, nei ristoranti italiani e non, i migliori ingredienti italiani, anche di nicchia”. Un problema che, invece, Paul Bartolotta, del Ristorante di Mare a Las Vegas, ha risolto a modo suo, importando direttamente dall’Italia, ogni settimana, una tonnellata di pescato del Mediterraneo: “Il Mediterraneo ha il pesce più buono del mondo” risponde a chi gli contesta l’impatto ambientale di un trasporto sulle lunghe distanze. “Su questo ho costruito l’identità del mio ristorante, dove la clientela è rappresentata da gente che gira il mondo. E chi è sempre in giro esige qualità”. Il modello Bartolotta è quello di
peculiarità è quella di una cucina nella maggior parte dei casi popolare, in cui le ricette venivano tramandate oralmente e, di conseguenza, soggette a molte trasformazioni in funzione della disponibilità delle materie prime”. Le stime parlano di 70.000 tra ristoranti e negozi alimentari in cui si usa, e spesso si abusa, del made in Italy gastronomico. In queste imprese lavorano oltre 800.000 dipendenti, ma quanti sono italiani o conoscono il prodotto e la cultura italiani? Parte da qui la necessità di capire se si può codificare la cucina italiana. “Sulla codificazione della cucina italiana, soprattutto all’estero, si discute da tempo. Il problema è senza dubbio culturale, ma è anche economico. Poche cucine al mondo sono così taroccate come
La cucina italiana si può codificare? “Il problema non è tanto e solo quello della cucina italiana, è quello della ristorazione italiana. Cosa è che la rende autentica? Cosa è che garantisce il consumatore sulla qualità e la genuinità? E forse, pensandoci bene, non è solo un problema dei ristoranti italiani fuori dall’Italia, ma anche di quelli in Italia” rimarca Scarpato. Mentre Luigi Cremona, noto giornalista e coordinatore della guida ai ristoranti del Touring Club Italiano, sostiene che “la ristorazione, a differenza dei francesi, in Italia la si sta facendo adesso, da pochissimi anni. La cucina no, quella esisteva ma la sua
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quella italiana, perché poche cucine al mondo sono così popolari come quella italiana. Una codificazione sarebbe veramente utile perché permetterebbe di proteggere un know how culturale, ma anche una indubbia leadership economica di cui beneficia tutto il made in Italy. Il problema è che una delle caratteristiche principali della cucina italiana è la diversità, che comporta tante varianti sul tema di uno stesso piatto, che in diversi territori, a volte vicinissimi, viene preparato in maniera diversa. In questi anni di esperienza con il network Itchefs-Gvci siamo arrivati a una considerazione di fondo. È indubbiamente difficile codificare cos’è la cucina italiana, è più facile codificare quello che non è o non dovrebbe essere. Gli chef italiani nel mondo si trovano spesso a spiegare che cosa non deve essere: niente panna nella Carbonara, il riso del risotto non deve essere scotto, nel pesto genovese niente pistacchio ecc…”
la cultura gastronomica in Brasile è ancora agli albori e le persone si affidano di più ai media tradizionali. In Brasile la cucina italiana ha diversi aspetti, che partono dalla forte emigrazione italiana verso questo stato: all’inizio era cibo popolare fatto da persone semplici, mentre ora esiste maggiore professionalità”, risponde Sauro Scarabotta, del Ristorante Friccò a San Paolo, Brasile. “Ci sono 3 tipi di cucina italiana all’estero. - commenta lo chef Aira Piva, con molteplici esperienze in diverse aree del mondo, da ultimo in Asia - Quella vera, fatta da professionisti preparati. Chef, ristoratori e manager che rappresentano la nostra cucina rispettandola e promovendo i nostri prodotti. Ci sono poi una moltitudine di ristoranti che non hanno nulla di italiano ma che si spacciano come tali. E Infine ci sono degli italiani, spesso avventurieri, che improvvisandosi ristoratori fanno un sacco di danni
Le differenze tra la ristorazione in Italia e nel resto del mondo Le esperienze degli chef illustrate in occasione del forum sono illuminanti per capire le differenze tra il nostro paese e l’immagine dell’Italia gastronomica nel mondo. “La cucina italiana viene identificata come cucina di conforto psicologico. La nostra è una cucina che puoi mangiare tutti i giorni, dà un piacere immediato e te lo ricordi a lungo” è la convinzione di Mario Caramella da Singapore che illustra anche gli ingredienti che non devono mai mancare nella cucina italiana nel mondo: pane, olio extravergine d’oliva, aceto di vino rosso, pasta e riso al dente. “Le guide non sono ancora importanti, forse perché
all’immagine della nostra cucina. Per staccarci definitivamente dagli stereotipi e differenziarci bisogna puntare sulla qualità di ingredienti autentici e fornire al cliente un punto di vista sulla nostra cucina nuovo e diverso, proponendo piatti della tradizione ancora sconosciuti all’estero”. “La collaborazione con i cuochi italiani nel mondo rientra nella mission di Academia Barilla, nata per promuovere la cultura gastronomica italiana nel mondo, - spiega Gianluigi Zenti, amministratore delegato di Academia Barilla - per questo abbiamo accolto i cinquanta chef italiani dal mondo per definire insieme l’identità e i valori della cucina italiana, trovando una base comune tra gli chef che operano attorno a questo tema. Cominciando con il far capire qual è il gusto italiano”.
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il cibo giusto
La selvaggina è sana Caratteristiche nutrizionali, tecniche di cottura e arte nel preparare
di Luigi Franchi
Marco Valletta Chef Federazione Italiana Cuochi
Sono più di 250 i ristoranti lombardi che ogni anno aderiscono alla manifestazione Caccia in cucina, evento di gastronomia venatoria che quest’anno ha tagliato il traguardo dei dieci anni. “Un’idea mutuata dai francesi che la propongono nei vari dipartimenti - racconta l’avvocato Giovanni Bana, ideatore della manifestazione e vicepresidente dei cacciatori europei - e che noi abbiamo cominciato a realizzare in Lombardia coinvolgendo chef, scuole alberghiere e istituzioni come la prestigiosa Società del Giardino di Milano che ospita la serata di apertura, e l’Associazione Nazionale Città del Vino che seleziona e mette a disposizione i vini per gli abbinamenti nei ristoranti”. L’attenzione verso la cucina di selvaggina è in sostanziale crescita e recenti stime indicano un consumo che si aggira intorno ai 4 chili pro-capite, senza tener conto delle carni derivanti dalla caccia e destinate direttamente al consumo familiare; basti pensare che, secondo i dati dell’Associazione Scientifica di Produzione Animale, ammontano a circa 7.000 tonnellate le carni di ungulati abbattuti. Ma questa abbondanza di materia prima innesca la necessità di un qualificato percorso di valorizzazione gastronomica: “La selvaggina è sana” sostiene senza timore di smentita Giovanni Bana, che rimarca “la volontà di non abbandonare né dimen-
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ticare (come si rischia che accada nei grandi centri urbani) la tipicità dei sapori delle nostre origini contadine, ancor oggi dietro l’angolo in ogni famiglia italiana, nonché la consapevolezza dell’importanza della fauna selvatica come risorsa per le economie rurali, la cui buona e durevole gestione comporta, tra le conseguenze positive, anche una sorta di rinascimento culinario. Che si esplicita non solo nella qualità delle materie prime ma nel gusto della preparazione di un pranzo di caccia, a cominciare dalla preparazione della tavola”. La selvaggina in cucina Marinatura, bardatura, lardellatura per cotture in umido, arrosto e, in tempi più attuali, sottovuoto. Sono diversi i metodi che si prestano ad una cucina che è forse tra le più antiche. Risalgono infatti a 2,5 milioni di anni fa i primi strumenti rudimentali per la caccia e il sezionamento delle prede.
“In passato, in epoche ormai lontane, marinare la carne (in epoca pompeiana anche in acqua salata) serviva prevalentemente per correggerne la qualità organolettica, cioè veniva così trattata per migliorarne il sapore, per renderla commestibile, diremo da cattiva diveniva buona. - racconta Marco Valletta, chef della FIC - Ma, tralasciando gli aspetti storici, oggi la carne di selvaggina va manipolata diversamente se si tratta di selvaggina da piuma o da pelo; deve essere considerato il suo peso e la sua pezzatura, (cioè se la carne è da marinare con carcassa o meno, oppure solo la polpa intera o a pezzi); sapere che il liquido da impiegare, in base alla sua acidità, debba essere in unica o più soluzioni; verificare che la ricettazione per la miscela tenga conto della persistenza dei
profumi e degli aromi degli alimenti caratterizzanti; saper il tempo utile affinché la marinata sia efficace o meno; saper da subito come sarà trasformata. In generale potremmo dire che in inverno ad esempio, per le grosse pezzature, il trattamento può durare anche 5-6 giorni, in estate invece il tempo è di 1-3 giorni. Ma per alcune pezzature piccole sono sufficienti 1-6 ore. (sempre mantenute in luoghi freschi, cella frigo +10°C, mai oltre)”. “È doveroso ricordare che nelle marinate tutto andrebbe pesato, per poter codificare una propria ricetta, sempre ben eseguita. - prosegue Valletta - E infine un suggerimento riguardante il vino: è buona regola che il vino impiegato per le marinate importanti, lo si possa degustare in tavola come accostamento ideale al piatto”. Un consumo regionale Ma quali sono le carni di selvaggina più apprezza-
te dai consumatori? Qui si scopre la forte connotazione regionale dei consumi, come ci spiega Mauro Bernardini, direttore commerciale della Gastone Bernardini di Pontedera (PI), azienda leader in Italia nella produzione di salumi da selvaggina: “Le nostre 250 referenze vengono distribuite, con consegne in due giorni, in tutta Italia ma la quota di mercato più consistente è il centro-nord. Sull’arco alpino vengono richiesti cervo e stambecco, mentre nelle regioni centrali è il cinghiale che la fa da padrone. Le nostre carni vengono importate dall’Est Europa, dalla Nuova Zelanda e dall’Australia anche perché la produzione in Italia è esigua e rappresenta una sorta di mercato parallelo fatto dai cacciatori che vendono direttamente ai ristoranti, previo il rispetto delle nor-
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me igienico-sanitarie. E poi noi acquistiamo selvaggina, ma per trasformarla prevalentemente in salumi; per questo abbiamo bisogno di animali di grandi taglie”. La struttura di distribuzione porta ad avere un rapporto privilegiato con i grossisti “a cui forniamo assistenza in termini di informazione sui nostri prodotti, sulle caratteristiche nutrizionali e sulle ricettazioni che i nostri prodotti possono contribuire a realizzare. Abbiamo alle spalle una storia di 150 anni che ci ha consentito di capire le evoluzioni del mercato e ci fa dire che il rapporto con i grossisti, per la ristorazione, è il miglior canale di vendita. Chi non l’ha fatto o non l’ha capito si è fatto male” conclude Bernardini. Che il consumo sia fortemente regionalizzato lo conferma anche Thommy Cantoni, titolare di Alpi Carni di Livigno, che individua nel salmì di cervo il piatto più richiesto tra le montagne di Livigno dove loro producono direttamente la Slinzega di
poi messo in sottovuoto. Inoltre questo ci permette di gestire bene anche le porzionature, eliminando gli sprechi e i rischi”. Dalle Alpi alle campagne toscane dove invece a farla da padrone è il cinghiale. Prima di allora non è che mancasse la cucina di selvaggina che qui, anche nei secoli passati, era sia popolare sia aristocratica, a differenza di altri territori, in Francia in particolare, dove spesso la selvaggina era riservata a principi e re. “Il popolo consumava uccellagione come tordi, fringuelli, passerotti, che, una volta cotti, venivano conservati tutto l’anno nel coccio ricoperto di olio d’oliva. Mentre all’aristocrazia erano riservati lepri e fagiani cucinati in salmì o dolce forte. ricorda Pierluigi Stiaccini, oste e storico della cucina chiantigiana, patron dell’Antica Trattoria la Torre a Castellina in Chianti (FI) - Ora di uccellini non ce ne sono più tranne qualche beccaccia, ma noi ne lavoreremo quattro o cinque all’anno perché è molto
cervo, una sorta di bresaola, e i violini di camoscio e capriolo: “Selezioniamo le cosce e, dopo un passaggio in salamoia, procediamo all’essiccatura secondo il metodo tradizionale. La selvaggina da noi rappresenta la tradizione ma è molto apprezzata anche dai turisti che ne apprezzano le caratteristiche nutrizionali”. Le carni di selvaggina infatti hanno meno grassi, meno acqua e più proteine. Elementi che gli chef, da qualche tempo, tendono ad esaltare anche con le cotture sottovuoto, come testimonia Walter Galli, del Ristorante Toi Losor di Livigno: “ll sottovuoto permette di trattenere tutti i succhi e gli aromi delle carni: penso, ad esempio, ad una ricetta tradizionale, e molto apprezzata per il suo basso sapore di selvatico, come il cervo in salmì che viene cotto a bassa temperatura tra i 60 e i 70 gradi per 11 ore e
difficile da reperire”. Infatti la beccaccia è l’unico uccello selvatico che non si riesce ad allevare; la sua sublimazione è nei ravioli di beccaccia che propone Massimo Spigaroli all’Antica Corte Pallavicina, in riva al Po a Polesine Parmense. Ma torniamo al cinghiale di Stiaccini che conferma come si sia affermato a partire dalla metà degli anni Settanta: “Prima non se ne faceva grande uso. E devo ammettere che non pensavo che i turisti stranieri ne apprezzassero così tanto le pietanze. Li ritenevo piatti solo per le genti nostre” afferma l’oste. Per ora accontentiamoci delle prossime date, dal 25 febbraio al 3 marzo nei 250 ristoranti lombardi, ma non sarebbe il caso di copiare fino in fondo la Francia ed estendere la bella iniziativa di Caccia in cucina nelle altre regioni d’Italia?
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in copertina
Belli, sodi e profumati I funghi simbolo di cultura gastronomica
di Giorgio Zanelli
In fatto di funghi la differenza tra Italia e resto del mondo sta nella cultura gastronomica: da noi il fungo, in particolare il porcino, vanta preparazioni culinarie che lo vedono protagonista assoluto, anche da solo, mentre all’estero il fungo è considerato alla stregua di ingrediente che accompagna le pietanze di carne, uova o pesce. Questo ha generato un mercato, quello italiano, che assorbe la maggior quantità dei funghi raccolti nei paesi del mondo. Può inficiare la qualità? Si può parlare di italianità del fungo? Lo chiediamo ad uno dei principali operatori del mercato, Maurizio Pradella, titolare di Cidia, azienda di distribuzione aderente al gruppo Cateringross: “No, non si può parlare di italianità del fungo. La richiesta è talmente alta che noi ci troviamo ad importare da diverse parti d’Europa, facciamo selezione sulla qualità da anni e, spesso, i clienti comprano da noi il fungo surgelato, anche in piena stagione di raccolta, perché si sentono più garantiti e sicuri, sia sulla qualità che sulla quantità utilizzabile. Basti pensare che il fungo fresco ha un calo peso di circa il 10% al giorno. Altrettanto vale per i funghi trifolati già ricettati: ci vengono chiesti perché garantiscono costanza nella ricettazione e nelle porzionature, evitando sprechi, specie in stagione turistica dove le variabili di presenze sono all’ordine del giorno”. “La cultura del fungo è ormai diffusa, con maggiori accentuazioni al
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nord dove esiste una raccolta. In queste zone si guarda molto alla qualità e meno il prezzo” spiega Pradella. Una precisazione che trova conforto nelle parole di Casimiro Rota del Ristorante Da Ornella, storico ristorante a Bergamo Alta: “Le persone hanno acquisito maggior competenza nella cucina a base di funghi. Un tempo, in stagione, era la classica mangiata golosa da fare una volta all’anno. Oggi invece i piatti a base di funghi vengono apprezzati tutto l’anno anche per la cultura del territorio che esprimono”. Le proposte per la ristorazione Ricettazioni e attenzione ai prodotti di servizio sono al centro delle politiche di diverse aziende della trasformazione che, negli anni, hanno consolidato un prestigioso know how per fornire alla ristorazione prodotti di grande qualità organolettica come la gamma di Demetra, azienda di Talamona (SO), che dispone di un osservatorio privilegiato dei consumi. “I prodotti più richiesti in assoluto restano i funghi porcini e i funghi champignons, con magari caratteristiche differenti rispetto alla diverse aree geografiche, per lo più legate alle diverse ricettazioni (trifolati, in olio oppure al naturale). - racconta Teresa Pecora, responsabile marketing di Demetra - Buoni consumi si hanno anche per le ricettazioni di funghi misti, questo in tutto il territorio nazionale. Il mercato dei funghi nella ristorazione è sostanzialmente costante, il prodotto funghi è sempre molto apprezzato dai clienti
finali. Purtroppo però i ristoratori/pizzaioli spesso cercano un prodotto che costi poco, convinti che il cliente finale non si renda conto dell’effettiva qualità dei funghi. Il prodotto di qualità, invece, ha una resa molto superiore rispetto a prodotti di qualità inferiore, quindi alla fine si ha un rapporto resa/costi estremamente vantaggioso”. Mentre sull’innovazione di packaging ha puntato l’olandese Lutece, distribuita in Italia da Scanital, immettendo sul mercato lo Smartpack per i suoi funghi champignon. Si tratta di un imballaggio che si distingue per la sua praticità (dotato di apertura facilitata), e per la sicurezza (le possibilità di ferirsi durante le fasi di apertura sono minime). La tecnologia produttiva necessaria per realizzare le Smartpack assicura che il calore si distribuisca all’interno della busta in modo ottimale. Di conseguenza il gusto, il colore e la consistenza dei funghi vengono perfettamente preservati. I funghi così confezionati si conservano per due anni dalla data di produzione a temperatura ambiente. Il mercato della surgelazione è invece presieduto da Asiago Food che, nei suoi stabilimenti di Veggiano (PD), dà inizio al processo di conservazione partendo da funghi porcini che vengono raccolti al giusto punto di maturazione, selezionati con cura, puliti e calibrati. Il porcino viene surgelato intero, oppure dopo essere stato tagliato a cubetti o tagliato a lamelle. La stessa procedura viene utilizzata per il Gran Misto Funghi, arricchito dalla presenza di porcini.
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L’estetica del fungo Belli, sodi, profumati. Così devono essere i funghi e poi bisogna averne cura, raccomanda la food styling Maria Greco Naccarato: “I funghi vanno puliti subito, poi si possono congelare crudi ma affettati o cotti ‘al dente’. Infatti vanno a male velocemente e possono fare i vermi. Per pulirli si stacca la testa dal gambo. Con un coltellino si toglie la parte del gambo più dura che era a contatto con il terreno, un po’ come fare una punta morbida alla matita. Poi bisogna togliere tutta la terra sia dalla testa che dal gambo. C’è un attrezzo fatto apposta, ma io uso un misto di spugnetta verde e scottex, ben asciutti e si spazzola energicamente. In ultimo si affettano: se sono freschi la polpa deve essere bianca, non ci devono essere buchi, perché sono l’indizio della presenza di abitanti sgraditi”. Suggerimenti utilissimi che si sommano a quelli che ci offre lo chef Carmelo Chiaramonte, autore insieme a Tony Saccucci di uno splendido libro su L’estetica del fungo, rispondendo alla nostra domanda: cosa scatena in uno chef la passione per il fungo? “Il profumo basta. Completa la magia del cuoco che offre ai suoi avventori la girandola dei sapori dell’anno. Ed è proprio l’autunno a determinare, per il mio naso, il momento più magico dell’anno. I profumi delle cotture, dei crudi, le insalate, tutti i giochi d’inven-
zione culinaria, prendono un tono più sottile e magico. I funghi che arrivano in cucina portano profumo di terra, licheni, muschio, vago sapore agliaceo, rimandi aromatici di timo, fieno umido, persino note di mandorle crude, castagne lesse o santoreggia ed erba cipollina. Anche se la dominante aromatica è sempre il nettare di foglia secca. Insomma sul fornello compaiono aromi insoliti. Io mi sono così appassionato al mondo delle muffe mangerecce di aver provato ogni sorta di abbinamento, financo al dolce. E mi sono divertito molto a raccogliere, da dietro i vetri della porta di cucina, i sorrisi che sbocciavano dai tavoli dei commensali”. È un piacere sottile, mangiare i funghi anche se taluni suscitano emozioni e ricordi passati. “Qualcuno è talmente evocativo che potrebbe dirsi pure afrodisiaco - conclude Chiaramonte - ma quello che è certo è che questi amici bianchi, grigi, marroni, gialli, arancioni, violacei, danno felicità a molti: dal cercatore al cuoco, dal cameriere che li porta in tavola trionfante a chi li ha ordinati con curiosa e morbosa passione gastronomica”.
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fior di tartar di dentice con tartufo bianco
Carpaccio ai tartufi e Chianina
Ingredienti: per quattro persone
600 g di entrecote di Chianina, 80 g di Parmigiano Reggiano 24 mesi, 80 g di tartufi, 20 cl di olio extravergine di oliva, un cucchiaino di senape comune, due cucchiaini di succo di limone, due cucchianini di sugo di tartufo, prezzemolo tritato, sale grosso, pepe macinato sul momento
600 g di dentice sfilettato e tritato a coltello, 12 g di cuore di sedano, 12 g di cipollina novella tritata, quattro g di aglio tritato, 20 g di tartufo bianco tritato, un succo di un limone, 12 fettine di mela verde, quattro cucchiai di olio extravergine di oliva, sale q.b.
Mettere in una ciotola di giusta capienza il dentice, il sedano, la cipollina, l’aglio, il tartufo, il limone e salare quanto basta, assemblare il tutto e per ultimo incorporare l’olio. Mettere la tartar ottenuta in uno stampino e dargli la forma desiderata adagiandola sulle fettine di mela verde. Guarnire con lamelle di tartufo.
Ingredienti: per quattro persone
Scegliere un’entrecote di Chianina. Eliminare accuratamente il grasso e i nervetti e mettere nel congelatore per circa tre ore finché non sia congelata. Mescolare in una ciotola due cucchiai di olio di oliva e un cucchiaino di sugo di tartufi. Sbattere con forza. Tagliare la carne a fettine sottilissime. Adagiarla su un vassoio, precedentemente coperto con una pellicola trasparente. Spennellare con l’aiuto di un pennello imbevuto del contenuto della ciotola. Disporre le fettine una per una. Spennellare di nuovo, mettere un altro strato di pellicola e conservare in frigo per quattro ore, il tempo necessario affinché le fettine assorbano il sapore dell’olio con il sugo di tartufo. Per la citronette al sugo di tartufi: mettere della senape comune in una ciotola o in un piatto fondo. Aggiungere il limone e il sugo di tartufi. Montare fino ad ottenere una salsa densa tipo maionese, versando lentamente l’olio extravergine di oliva. Legare la salsa aggiungendo qualche goccia d’acqua.
chef gian paolo Belloni ristorante la cucina di gian paolo Pieve Ligure (GE) - www.lacucinadigianpaolo.it
le ricette degli chef 40 _ cateringnews.it • settembre/ottobre 2012
Disporre le fettine su un piatto e ricoprire con due cucchiaiate di salsa. Distribuire su tutta la superficie della carne e, con un tagliatartufi, ricoprire di scaglie di Parmigiano Reggiano e lamelle di tartufi neri o bianchi. Aggiungere un pizzico di sale grosso e spolverare con del pepe macinato al momento. Finire con un cucchiaino di prezzemolo tritato.
chef gianfranco pagliaricci castello della castelluccia Roma - www.lacastelluccia.com
petto di pollo farcito al profumo di tartufo in manto di porcini, bottoncini di polenta ai funghi e mousseline di patate Ingredienti: per quattro persone
quattro petti di pollo, 100 g di funghi porcini a lamelle, 160 g di farina gialla, 60 g di funghi misti, 300 g di patate, olio d’oliva q.b., sale e pepe q.b.
Ingredienti: per la farcia
80 g di ritagli di petto di pollo, 40 g di tartufo nero, 80 g di brunoise di verdure, 40 g di pane bianco da tramezzino, latte q.b., prezzemolo tritato q.b.
Parare i petti di pollo e con i ritagli preparare una farcia. Sbollentare la brunoise di verdure e raffreddare con acqua e ghiaccio, aggiungendola ai ritagli passati al cutter insieme al tartufo e il pane bianco ammollato nel latte, aggiustare di sale. Praticare un’incisione nella parte più alta del petto e creare una tasca, inserire la farcia con un sac à poche e rosolare da ambo le parti in un tegame con olio d’oliva, salare, pepare, sfumare con il vino bianco e far evaporare. Togliere dal tegame e stendere un velo di farcia senza le verdure nella parte superiore del petto e disporre le lamelle di porcini a formare un manto e infornare fino a cottura ultimata. Per i bottoncini di polenta: trifolare il misto di funghi con olio d’oliva, aglio e spolverizzare con prezzemolo tritato. Preparare una polentina e aggiungere il misto funghi trifolato e riempire dei piccoli stampi di silicone. A parte preparare un purè con aggiunta di panna montata non zuccherata e disporre nel piatto con bocchetta rigata.
chef gabriella costa ristorante al ciocco Farneta di Montefiorino (MO) - www.alciocco.com
Strangozzi, porcini zafferano e tartufo Ingredienti: per la pasta
300 g di farina 00, 100 g di farina grano duro, acqua fredda q.b., mezzo bicchiere di vino bianco
Ingredienti: per il condimento
una cipolla bianca di Cannara, due tartufi neri interi, 300 g di funghi porcini freschi, tre stimmi di Zafferano di Cascia, olio extra vergine d’oliva D.O.P. Colli Assisi-Spoleto, una tazza di brodo leggero di pollo
Per il condimento: mettere gli stimmi di zafferano in infusione nel brodo di pollo tiepido. Tagliare i porcini a fettine non troppo sottili, tagliare la cipolla a julienne e metterla in una padella ad appassire leggermente con olio extra vergine d’oliva, aggiungere i porcini, farli rosolare e aggiungere un mestolo del brodo nel quale era stato messo lo zafferano. Sale e pepe quanto basta. Per la pasta: impastare la farina con acqua fredda e vino bianco, lavorarla fino a raggiungere un impasto liscio omogeneo e sodo. Avvolgerlo nella pellicola e lasciarlo riposare un’ora in frigorifero. Trascorsa l’ora di riposo, stendere la pasta con il mattarello fino allo spessore di 3 mm (circa il doppio dello spessore delle tagliatelle), lasciare asciugare qualche minuto la sfoglia, arrotolarla su se stessa e tagliarla a strisce di circa mezzo centimetro ottenendo quindi degli ”spaghettoni piatti” ovvero gli strangozzi. Immergere la pasta nell’acqua bollente precedentemente salata e lasciarli cuocere per 2-3 minuti, devono comunque rimanere molto al dente. Scolarli e saltarli nella casseruola con i porcini, togliere dal fuoco e grattugiare abbondantemente il tartufo con una grattugia non troppo fine. Impiattare e finire con un filo d’olio extra vergine e ancora tartufo se necessario. chef Elisabetta e giuseppe Spitella albergo ristorante fontanelle Campello sul Clitunno (PG) - www.albergofontanelle.it
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Salumi Mottolini:
Passione per la genuinità.
Se sei alla ricerca dei sapori della tradizione, anche per il tuo catering, scegli i Salumi Mottolini: La Bresaola Gran Gusto, dal sapore deciso e intenso, il Prosciutto crudo Fiocco Valtellina, dal gusto particolarmente dolce e lo Speck della Valtellina, dall’aroma delicato.
Salumi Mottolini: li provi, li ami.
Via Lozzoni 5 23020 Poggiridenti (SO) Italy Tel. +39 0342 564070
ristorante la greppia Verona Vicolo Samaritana, 3 - Tel. 045 8004577 www.ristorantegreppia.it
da un giapponese che riprende Dialma alle prese con il taglio dei bolliti per partire da ogni luogo e venire qui. Con Giovanna in cucina c’è il genero Mirko e il cuoco Andrea. Mentre, ad affiancare Dialma in sala, ci sono i due figli Luca e Sara.
ristorante da christian e Manuel Vercelli Corso Magenta, 71 - Tel. 0161 253585 www.hotel-cinzia.com
In Italia ci sono troppi cartelli pubblicitari e turistici che, oltre a coprire il paesaggio, spesso fanno sbagliare strada. Ma sia benedetto il cartello che porta in uno dei vicoli più romantici di Verona (altro che Giulietta e Romeo), a pochi passi da Piazza delle Erbe, e ad uno dei ristoranti più classici della città. Aperto negli anni ’60, quando in questo paese i giovani volevano e soprattutto potevano cimentarsi con la voglia di fare qualcosa in proprio. Esattamente ciò che fecero Dialma Guizzardi e la sua giovane sposa Giovanna Malini. “C’eravamo appena sposati e, nel 1975, mio marito elettricista voleva aprire un negozio di articoli elettrici ma non si trovava nessuna licenza disponibile. Il mediatore ci fece allora vedere alcuni ristoranti, tra cui la Greppia, il cui proprietario voleva cedere la licenza perché gli era morto un figlio. Decise di darla a noi perché Dialma assomigliava a quel figlio” racconta Giovanna, insieme al timore di non sapere nulla di cucina. “Ma c’era il personale che ci insegnava il mestiere. E, per me, c’era la vecchia cuoca che, nei ritagli di tempo, mi insegnava un piatto al giorno”. Benedetta la cuoca Ada se oggi in questo locale si fa la fila per assaggiare i bolliti, le cervella impanate, gli sfilacci di cavallo, la pasta e fagioli, i tortelli di zucca … Praticamente tutte le ricette che Giovanna imparò più di trent’anni fa e che risulta impossibile togliere dal menu: “Riesco ogni tanto ad aggiungere qualcosa ma non a togliere perché i clienti chiedono in continuazione”. Gli unici cambiamenti sono stati fatti sulla struttura, migliorando gli spazi, con una nuova sala, la cucina e la zona bar. Ma rimane intatto, soprattutto nel tranquillo cortile interno, di quando da qui partivano cavalli e carrozze per andare alla stazione ferroviaria a prendere i clienti. Oggi gli ospiti arrivano a piedi, essendo nel cuore del centro storico, ma comunque da tutto il mondo; basta guardare il video postato su youtube
La dove c’era l’erba ora c’è una città. Potrebbe cominciare con le parole di Adriano Celentano questa storia se non fosse che l’ambiente, la natura, la qualità della vita qui sono ancora salve. L’unica assonanza che si può fare è legata al fatto che dove ora c’è l’hotel Cinzia e il ristorante di Christian e Manuela, negli anni ’60 c’era una cascina e Nino e Sandra Costardi, i nonni dei due bravi chef, ne hanno ricavato l’hotel. Era il 1967, a prenderne in mano le redini toccò poi a Cinzia, la mamma dei due,
che sviluppò la struttura adeguandola alla domanda di quegli anni: hotel d’affari e banchettistica. Nel mentre sosteneva ogni aspirazione di Christian e Manuel, la quinta generazione di ristoratori e albergatori della famiglia. Mai investimento fu meglio ripagato. In pochi anni il ristorante Cinzia- da Christian e Manuel ha avuto la stella Michelin e, proprio quest’anno, il loro è stato proclamato ‘Piatto dell’anno’ dalla guida dell’Espresso. Le scelte che hanno fatto, dalla prima vera carta del 2006, sono cresciute attorno ad una domanda centrale: come farsi ricordare, da una terra che non è propriamente collocata lungo le rotte della ristorazione? Fin dall’inizio hanno puntato sul prodotto principe del
meglio prenotare testi di: Luigi Franchi, Alessandra Locatelli, Antonio Longo, Roberto Martinelli
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vercellese: il riso. Nel loro ristorante lo preparano in 25 diverse tipologie, al momento e per persona. Scelta sicuramente non facile da gestire ma, come afferma Christian, “deve essere la ristorazione, in prima persona, a creare cultura e interesse attorno a questo che, per me, è l’unica vera ricetta italiana. Come fare? Smettendola di scrivere nei menu che il risotto è minimo per due persone”. Il riso ha condizionato positivamente la vita dei due ragazzi che ricordano la nonna mentre lo preparava ogni domenica: “a differenza di altri ingredienti, il riso è un alimento vivo, cambia sempre, ogni giorno non sai mai come reagirà e conoscerlo a fondo è una sfida straordinaria”. Anche se dieci fornelli sono dedicati esclusivamente al risotto non c’è solo questo, ovviamente, nel loro ristorante dove praticano quella che loro stessi definiscono “una cucina contemporanea d’autore che sfida il concetto di equilibro, per dare creatività ed emozione”. Messa così sembra una trama cinematografica o una recensione artistica: entrambe passioni di entrambi. I menu degustazione sono declinati con quattro nomi: evoluzione, emozione, territorio e passione.
dario cecchini Panzano in Chianti (Fi) Via XX Luglio 11 - Tel. 055 852020 www.dariocecchini.com
tato dalla giovane brigata di 18 preziosissimi elementi, di mettere le persone attorno a un tavolo, andando alla ricerca dell’anima delle cose: “quando un cibo è buono vien voglia di condividerlo, e quando stai bene con quello che mangi, con le persone e con la tua terra, allora stai bene anche tu.” Un macellaio anche psicologo dunque che, in un ambiente moderno e curatissimo, ospita, di fatto a casa propria, conterranei e turisti in pranzi e cene organizzati come un percorso culturale. C’è l’Officina della carne, con l’eccellente bistecca alla Fiorentina, la costata, la panzanese, il Chianti crudo e altre meraviglie accompagnate da pinzimonio, fagioli, patate e burro del Chianti, torta all’olio, grappa Cecchini, cordiale dell’Esercito Militare di Firenze e caffè (solo moka). E il vino? C’è, eccome, ma chi vuole può portarsi il proprio! Solociccia propone una versione più soft, mentre Dario + nobilita con due menù il fast food: “il concetto in sé non è sbagliato, quasi sempre non c’è il tempo per stare troppo a tavola; usare quel poco tempo per trangugiare schifezze, questo è l’errore! Un bel medaglione di 250 gr di carne scelta non è meglio?” scherza, ma mica poi tanto, Dario che, insieme ad un macellaio di vecchia tradizione della Catalogna e a Giovanni Manetti di Panzano, alleva tutti gli animali che giungeranno in bottega. Il cerchio si chiude a pochi km da qui, nell’ azienda di proprietà che produce tutto il resto, vino compreso.
la torre del Saracino Vico Equense (NA) Via Torretta, 9 – Loc. Marina di Seiano - Tel. 081 8028555 www.torredelsaracino.it
“L’animale ha diritto a una buona vita, ad una morte pietosa e a un buon macellaio”, parola di Dario Cecchini, indiscusso ambasciatore della carne, figlio d’arte di otto generazioni di macellai, che al desiderio di diventare veterinario ha preferito “dare un taglio a questo mestiere”, in senso letterale si potrebbe dire, perché “la carne è una cosa seria e va trattata con buon senso. Noi che siamo la generazione dalla vita facile, che non ha patito né la fame né la guerra, dobbiamo promuovere una coscienza contro lo spreco, che tutte le parti dell’animale son buone, non solo il filetto.” Ed è con questo compito ben chiaro in testa che Dario ha sentito l’esigenza, aiu-
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Qui c’è la festa di Vico, un appuntamento che è entrato di prepotenza nelle agende di chiunque voglia vivere giornate al top del piacere gastronomico. La festa di Vico è un’occasione di incontro, di fronte al mare, per tutti gli amici chef di Gennaro Esposito, che per tre giorni abbandonano le loro realtà e diventano una sorta di cittadini onorari di Vico Equense. Non è che una delle tante idee di Gennarino Esposito, chef che, al pari di Alfonso Iaccarino, ha suonato la carica all’orgoglio meridionale culinario e non solo. Attraverso la sua cucina si impara la voglia di vivere bene e meglio, senza gli orpelli del consumismo invasivo. Il suo ristorante, aperto nel 1992, è a Vico Equense, un paese con due anime: quella marinara del Golfo di Napoli e l’altra quasi montanara dei Lattari e del Faito. Dall’alto viadotto di Seiano due chilometri di discesa e si arriva al porticciolo di Marina d’Aequa, proprio sotto la
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torre millenaria di Caporivo. Siete arrivati, qui c’è la Torre del Saracino. Qui c’è un giovane tenace, al limite dell’ostinazione, orgoglioso, al limite della permalosità, umorale, senza limiti. Così si descrive lo chef, ma per tutti in realtà è gioioso, capace, indispensabile per la felicità che ci regala con la sua cucina. Pranzare o cenare da Gennarino è un’esperienza che vivrete deliziandovi con piatti differenti, di diverse tecniche di cottura e, soprattutto, di sensibilità e di conoscenza della materia prima. “Il mio stile di cucina è uno: pescare dal territorio e costruire piatti che soddisfino i sensi e la mente dei miei CATERING_1-2 PAG LUG AGO 2012.pdf
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clienti. – racconta Gennaro - In Francia, da Alain Ducasse, ho imparato che nel mio mestiere gestire il binomio ‘genio e sregolatezza’ non funziona. Che i risultati sono figli di un ordine mentale, che preveda la creatività, ma che si traduca in rigore e disciplina, tutto ben dosato come gli ingredienti di un grande piatto.” Ma secondo noi lo pensava già a 15 anni, quando durante la scuola alberghiera, passava i finesettimana a fare il garzone di cucina nelle trattorie del paese, ripetendo gesti sempre uguali eppure con la determinazione di diventare cuoco. C’è riuscito, insieme alla sua amatissima moglie Vittoria: è un grande cuoco.
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FAI RINVENIRE
VERZA
I risultati migliori per conservare tutta la qualità di Foglia a Foglia si ottengono con la cottura a vapore (6 minuti). Quando prepari piccole quantità puoi utilizzare il microonde (bastano solo 2 minuti a 750W) oppure la padella, utilizzando 1 cm di acqua da eliminare a fine cottura (4 minuti per lato).
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CONDISCI
Perfora leggeremente la porzione in modo che il condimento penetri all’interno;; spennella con un’emulsione di olio, limone e sale o con un condimento a piacere. e.
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GUARNISCI
risci. Crea un contorno fantasioso guarnendo la porzione con gli ingredienti che preferisci.
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SERVI
Ecco un suggerimento di come puoi servire un contorno di sicuro successo: Spinaci Foglia a Foglia e pomodori glassati al forno (15 minuti a 120°C) con crema di formaggio aromatizzata al timo e salsa al formaggio sul piatto.
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storie di cucina
Osare e sognare La storia del Consorzio Friuli Venezia Giulia Via dei Sapori
“La tradizione rende l’orecchio curioso”. Lo sostiene Teresa Covaceuszach, cuoca e proprietaria insieme al marito Franco Simoncig, della trattoria Sale e Pepe di Stregna, un minuscolo borgo a pochi minuti dal confine con la Slovenia e, proprio questa linea di confine fa dire a Teresa un’altra importante verità: “Avere una lingua in più, una cultura in più, arricchisce”. Teresa Covaceuszach ha abbandonato, venticinque anni fa, un lavoro di ufficio ed è ritornata nella sua terra: ha bussato alle porte delle abitazioni e si è fatta raccontare dalle donne del paese, ormai anziane, leggende e ricette. Poi le ha trasferite nel suo locale, già esistente e adibito ad osteria del paese, unico ritrovo sociale che ha mantenuto la sua funzione. Ha piantato l’orto da cui ricava l’essenza della sua cucina. Ha adottato una mucca dal suo amico Rino di Montefosca per non perdere quel latte e quella ricotta. Bisogna andarci apposta a Stregna, così come bisogna andare apposta in ognuno dei luoghi, dei ristoranti, delle cantine e degli artigiani del gusto che costellano il Friuli Venezia Giulia, fuori dai grandi itinerari del turismo di massa e ricchi di tutto quello che contribuisce al piacere della vita. Piccole e grandi realtà gastronomiche che, per farsi conoscere ancora di più, hanno
di Luigi Franchi
Walter Filiputti Presidente Consorzio Friuli Venezia Giulia Via dei Sapori
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deciso di riunirsi in un consorzio: Friuli Venezia Giulia Via dei Sapori. Venti ristoratori attorno a cui si sono coagulate ventidue cantine, e un corposo manipolo di artigiani del gusto. Questa è la composizione che si è formata attorno al progetto guidato da Walter Filipputi, giornalista, sommelier, docente universitario e scrittore di storie del Friuli Venezia Giulia: “Bisogna osare e bisogna sognare. Lo dico sempre anche ai miei studenti. Qui lo abbiamo fatto, grazie a persone intelligenti e imprenditori veri che si sono scelti loro, chi ci sta ci sta, coagulandosi attorno ad un’idea: il territorio come base per la fornitura delle nostre materie prime. Un patrimonio che non deve essere disperso. Sommando quanto appena detto ci dà la misura del progetto Friuli Venezia Giulia Via dei Sapori che, in sintesi, significa dare il proprio contributo alla crescita del
Uomini e donne a cui appuntare sul petto la medaglia al valor patrio per la dedizione con la quale si applicano per custodire e trasmettere il meglio dei prodotti che fanno di un territorio una sapida civiltà” scrive il sociologo Ulderico Bernardi nell’introduzione al libro I solisti del gusto. Una sintesi perfetta di come ognuno di loro contribuisca a valorizzare una terra sospesa tra l’Adriatico e i Carpazi che, ovunque ti giri, sembra assorbire gli umori antichi del Mediterraneo, come riescono a trasmettere, con la loro cucina, i fratelli Max e Gianluca Sabinot, titolari di uno dei ristoranti storici di Udine: il Vitello d’Oro. Lasciatevi andare alla Verticale di tonno rosso, servita in otto cucchiai che il cameriere in sala vi consiglierà di mangiare assaggiandone anche “uno ogni mezz’ora ma in un solo boccone”: olio e limone, avocado, olive taggiasche, capperi, aceto
territorio d’appartenenza affinché possano essere valorizzate tutte le sue componenti che possono concorrere al successo del proprio lavoro. Per farlo serviva una mentalità non individualista, ma capace di fare sistema al fine di raggiungere la massa critica, anche finanziaria, per varare e sviluppare progetti di un certo peso ed efficacia”.
balsamico prodotto in famiglia, leggermente scottato, cren e wasabi sono le otto sublimi variazioni. “Questo è uno dei piatti che non riesco a togliere mai dal menu insieme alla piovra e al risotto scampi & scampi” spiega lo chef Max che, oltre alla carta, propone due menu degustazione con il meglio delle proposte di cucina. Agli abbinamenti pensa Gianluca che, pur in un periodo di contrazione generale del consumo di vino, ha pensato ad una carta che racchiude 100 etichette del territorio, 64 tra nazionali e francesi, una selezione di alto livello di champagne e bollicine italiane. “Negli ultimi due anni – racconta Gianluca – abbiamo riportato la carta alla realtà del mercato. Non hanno più senso le carte monumentali da 400
Gli umori antichi del Mediterraneo Il risultato è un gruppo fortemente coeso che organizza eventi di presentazione di quello che offre questa regione sotto il profilo gastronomico ed enologico. Lo si scopre sfogliando i 2,7 chilogrammi di un libro che racconta e guida alla scoperta: “Artefici di tanto ben di Dio sono centinaia di eroi silenziosi, come li chiama Walter Filipputi.
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e più etichette. La nostra è una selezione che punta a valorizzare molto gli abbinamenti con le straordinarie materie prime che il territorio ci offre, compresi i vini stessi di questa regione”. E via da lì basta salire a San Daniele per scoprire come Carlo Dall’Ava ha saputo creare un centro di assoluta eccellenza per il Prosciutto di San Daniele Dop, a cui ha affiancato una selezione rigorosa di prosciutti ottenuti da razze spagnole, ungheresi e siciliane dell’altopiano dei Nebrodi. Accanto all’azienda una prosciutteria, con annesso negozio di specialità alimentari, primo di una serie di prosciutterie a marchio Dok Dall’Ava che sono state aperte negli ultimi due anni con grande soddisfazione di consumatori golosi. “Tutto nasce dal desiderio di riportare in tavola il mangiare di casa” afferma Carlo Dall’Ava, con una certa premonizione su dove si sta orientando oggi la ristorazione. Poco distante c’è Friultrota, un allevamento non intensivo, dove il titolare Mauro Pighin riassume in poche parole la filosofia che sta alla base di una gamma di prodotti che sempre più spesso fanno la felicità della ristorazione, per le caratteristiche di alta qualità e servizio che offrono: “Una trota per essere buona deve essere una buona trota” afferma il titolare, confermando la semplicità come valore di questa terra di confine. Pensieri e gesti semplici e puliti È un refrain, quello della semplicità di pensiero che in realtà nasconde un profondo attaccamento all’idea del naturalmente buono, che ritroviamo nelle parole di Giovanni Collavini, produttore friulano tra i più famosi soprattutto all’estero: “Ogni nostro processo produttivo parte dal fatto
che se l’uva è buona il vino è buono”. Con questo principio i Collavini, produttori dal 1896, hanno sviluppato un’azienda che oggi esporta in 35 paesi del mondo. Una delle belle scoperte che si fanno in Friuli, grazie alla rete che il Consorzio di Walter Filiputti ha creato, sono le carte dei vini dei ristoranti che riservano il posto d’onore ai vini del territorio. Anche quando, come nel caso del ristorante Da Nando a Mortegliano, la cantina custodisce un patrimonio di 130.000 bottiglie di ogni parte del mondo. Ma Ivan Uanetto al suo Friuli dedica un legame totale, a partire dai piatti che parlano solo di stagionalità e territorio, raccontati da lui e dal suo staff con un dettaglio che fa venir voglia di proseguire all’infinito il viaggio alla scoperta dei prodotti e delle persone. “Se copiamo o rincorriamo le mode non riusciremo mai a distinguerci. Mentre se valorizziamo ciò che abbiamo intorno, se diamo un valore anche alla povertà in cui siamo cresciuti, fatta di cucina delle erbe o di storie come quelle della Latteria turnaria di questo paese che resiste dal 1915, ecco che conquistiamo quella unicità che ci consente di avere un posto privilegiato in questo mondo globale” sostiene Ivan Uanetto. Per convincersene basta passeggiare attorno alla Locanda del Castello di Buttrio, dove nel parco, nelle camere, nei vigneti si respira un’inconsueta armonia fatta di colori leggeri, eleganza non ostentata, eccellenti vini. Tutto merito di Alessandra Felluga che, come dice Paola Antonaci, responsabile commerciale dell’azienda, “ha voluto creare un luogo dove il piacere della conversazione all’ombra dei gelsi fa perdere la dimensione del tempo”. Vero.
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case history
Dal 1880 sulla rotta dei sapori Drogheria & Alimentari seleziona le spezie e le erbe più rare e pregiate per portarle sulla tua tavola di Eugenio Negri
Nel 2006 Drogheria & Alimentari ha trasferito a San Piero a Sieve, nel verde delle colline del Mugello, il suo quartier generale. Su un’area di 36 mila metri quadrati le famiglie Carapelli e Barbagli hanno costruito uno stabilimento di 9500 metri quadrati e possono vantarsi di aver raggiunto in pochissimi anni la leadership in Italia nella distribuzione di spezie. Oggi Drogheria & Alimentari dà lavoro ad oltre 100 dipendenti e ha raggiunto un fatturato di 42 milioni di euro, esporta in oltre 50 paesi e acquista circa 500 materie prime tra spezie, erbe e sali da ogni angolo del mondo. L’incontro in azienda lo abbiamo con uno dei fratelli Barbagli, Paolo, che ricopre il ruolo di direttore commerciale; mentre Andrea è amministratore delegato. Il presidente è lo zio Francesco Carapelli fondatore di Drogheria & Alimentari assieme a Costantino Barbagli “babbo”, come si dice da queste parti, dei due fratelli. Abbiamo il piacere di conoscerlo Francesco Carapelli, è appena tornato da uno dei suoi viaggi. Tra un impegno e l’altro trova il tempo di partecipare al consiglio internazionale dell’Esa, l’organo europeo dei produttori di spezie di cui è stato presidente. Francesco Carapelli mantiene inalterata la passione verso il mondo delle spezie con capacità e competenza nello scoprire in giro per il mondo nuovi fornitori da portare a San Piero a Sieve. Il presidente dialoga con noi in una conversazione affascinante.
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I suoi ricordi sono un pezzo di storia economica dell’Italia vissuti in prima persona. Indubbiamente è un personaggio di quelli che lasciano il segno, già il cognome basterebbe per scriverci un libro. La storia di Drogheria & Alimentari ebbe inizio nel 1987 quando le famiglie Carapelli e Barbagli ebbero una grande visione di marketing: il mercato delle spezie allora doveva ancora svilupparsi e le opportunità di crescita in questo settore erano quindi davvero importanti. Era necessario però avere uno specifico know-how. Rilevarono così al 50% l’attività Florenpepe della famiglia Fagnoni, nome conosciuto da generazioni nel territorio fiorentino. L’attività di Drogheria & Alimentari della famiglia Fagnoni ebbe inizio con l’apertura di un negozio di “drogheria e coloniali” in via degli Speziali nel centro storico di Firenze nel 1880, una data ancora oggi evidenziata in tutte le etichette dei prodotti dell’azienda. Nei primi anni Drogheria & Alimentari fattura circa un miliardo delle vecchie lire. In pochi anni però la crescita non conoscerà più soste. Lo sviluppo commerciale è favorito dalla grande esperienza che le famiglie avevano acquisito nelle precedenti attività. Serietà, chiara visione del business, forte orientamento allo sviluppo, ma anche attenzione al servizio, portano la nuova azienda ad entrare con successo nelle più importanti catene alimentari. Da qui il salto verso il canale della ristorazione è breve e seguito con altrettanta serietà e competenza. L’azienda oggi è conosciuta in Italia e all’estero ed ha una sorprendente visibilità anche in mercati come Olanda, Stati Uniti, Australia e Austria, solo per citare i principali. Drogheria & Alimentari acquista da ogni parte del mondo spezie, sali speciali ed erbe al naturale che poi tratta nel suo stabilimento. I prodotti passano prima per la vagliatura poi alla miscelazione, se necessaria. Successivamente, per garantire una qualità costante, molte delle spezie sono selezionate per granulometria per garantire un calibro uniforme, mentre in altri casi vengono frantumate o macinate. Il controllo delle materie prime è la parte più delicata di tutto il processo produttivo e la selezione all’entrata è attenta e rigorosa. Come tante catene della grande distribuzione anche Cateringross si avvale della partnership con Drogheria & Alimentari. Il prodotto a marchio “Big Chef” ha le più alte credenziali garantite dall’azienda. Non è un caso infatti se il rapporto di collaborazione è cresciuto negli anni con reciproca soddisfazione. La parte senz’altro più scenica ed emozionante è la visita ai magazzini delle materie prime. Tutte le spezie e le erbe dal mondo sono raccolte e catalogate con precisione e rigore tecnico in centinaia di sacchi di varie misure che sprigionano un insieme di profumi inebrianti. Le varie tipologie di pepe suscitano emozioni e suggestioni che ricordano Paesi stranieri e lontani. Percorrendo le corsie attraversiamo cataste di cumino, zenzero, curcuma, macis, zafferano e gli appunti potrebbero continuare ancora con molte altre tipologie di erbe e spezie. Drogheria & Alimentari non è solo il punto di arrivo di un’avventura affascinante nel mondo esotico e un po’ magico delle spezie, ma vuole essere un punto di partenza verso il mercato appassionante e impegnativo del terzo millennio incontrando la curiosità dei consumatori e la cultura gastronomica della ristorazione con sapori nuovi, innovativi e di tendenza.
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Il consumatore merita qualità di Giorgio Zanelli
Giustino Busiello Presidente Assopaf
case history assopaf
Cellole (CE) www.assopaf.it
Trasformare il pomodoro può essere, a volte, un mestiere demotivante per il contesto di commodity a cui questo prodotto è stato progressivamente delegato negli ultimi anni. Ma, per fortuna, non è così per molte aziende italiane che credono ancora fortemente nella qualità e nelle regole. A maggior ragione quando si parla di un ingrediente che è presente nella totalità e nella quotidianità delle tavole degli italiani e che si è affermato in molte cucine internazionali. “È il primo pensiero di ogni giorno, ogni volta che varchiamo i cancelli dello stabilimento di produzione e, adesso, di quando andiamo nei campi per controllare la raccolta: stiamo realizzando un prodotto che verrà consumato da tutti, grandi e piccini, e su questo non si scherza” è la prima riflessione di Giustino Busiello, agricoltore e presidente di Assopaf, una delle realtà più importanti nel settore della trasformazione di pomodoro esistenti in Italia. Assopaf, il cui acronimo sta per Associazione Produttori Ortofrutticoli, nasce a Cellole, in provincia di Caserta, nel 1987, da un manipolo di agricoltori che avevano un sogno: ridurre i passaggi di filiera, avvicinando produzione e consumo. “All’inizio eravamo in pochi e le produzioni erano piccoli frutti e ortaggi. - continua il presidente - Oggi associamo a noi quattro cooperative agricole, due organizzazioni di produttori in Puglia e Lazio, diverse aziende agricole in tutte le regioni del centro-sud. La capacità produttiva di pomodoro trasformato oscilla tra i 250 e i 300mila quintali all’anno”. Una crescita esponenziale che ha saputo far leva su scelte molto chiare e rispettose delle regole: nel 2000 l’adesione alla riforma OCM che ha visto Assopaf ottenere il riconoscimento di status di trasformatore da parte del Ministero delle Politiche Agricole. A seguire l’avvio di un percorso di certificazione alle norme UNI EN ISO 9001:2000 e, per il sistema di gestione ambientale, in conformità alle norme UNI EN ISO 14001:1996. Nel corso dell’anno 2005 veniva certificata dalla HKAS – PRODUCT CERTIFICATION, azienda di grado “A” per il mercato inglese secondo il sistema BRC - Global Standard Food. Infine la definizione di strategie commerciali che hanno dato vita a due marchi: AGRISOLE destinato ad identificare la linea dei prodotti biologici e PRONTOCHEF per identificare la linea dei prodotti convenzionali e/o a lotta integrata. “Dietro ai marchi ci stanno disciplinari di produzione molto rigorosi - afferma Giustino Busiello - a cui si attengono tutti i nostri soci. In questo periodo i nostri agronomi visitano costantemente le aziende, compilando i quaderni di campagna dove vengono descritte tutte le fasi di produzione, certificando il lavoro degli agricoltori”. La quota di mercato del biologico di Assopaf si attesta intorno
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al 10%, un posizionamento stabile che viene assorbito quasi completamente dalla ristorazione collettiva: “Sta crescendo una coscienza verde tra i consumatori ma la crisi rallenta la scelta verso il biologico. Di contro noi siamo tranquilli su tutte le nostre referenze perché anche quelle convenzionali sono sottoposte ai criteri di lotta integrata e quindi la naturalità del prodotto è sempre garantita”. La terra quest’anno soffre, la siccità ha rallentato le produzioni agricole a tutti i livelli e la conferma viene dal presidente di Assopaf che, ai primi di settembre, riscontra un calo del 25/30% di raccolta e questo inevitabilmente inciderà sul prezzo di vendita. Su alcuni prodotti come concentrato, passata e polpa si potrà generare una concorrenza da parte di altri paesi, mentre per il pelato, che viene prodotto solo in Italia, non si prevedono difficoltà. Ma il ristoratore guarda il prezzo o la qualità? “Ci sono mercati, come quello europeo, che probabilmente, a causa della crisi, guardano molto al prezzo, altri mercati come quello asiatico e americano guardano invece a riferimenti qualitativi da cui non possono e non vogliono prescindere. Per noi diventano mercati importanti perché gli accordi si fanno direttamente con la produzione, mentre in Italia il mercato è facilmente aggredibile da tutti, sia dai produttori che dalle società di trading e, in questa situazione, la leva del prezzo diventa elemento spesso determinante” spiega Giustino Busiello. La produzione avviene all’interno di uno stabilimento di circa diecimila metri quadrati, dove un centinaio di dipendenti lavora su due distinte linee di produzione da cui escono le tre tipologie di trasformato che vengono commercializzate, per il canale ho.re.ca., in latte smaltate di 3 e 5 chili. Ma come fa il ristoratore a riconoscere le differenze qualitative di un prodotto che troppo spesso è ridotto al ruolo di commodity? “Anche se c’è ancora molto da fare in termini di informazione, noi abbiamo cominciato a specificare sulle confezioni le caratteristiche sia del contenuto sia del contenitore. - chiosa Busiello - Per il prodotto, oltre alle certificazioni già citate, vantiamo, dal gennaio 2010, una collaborazione con la facoltà di Farmacia dell’Università di Napoli Federico II, che certifica i valori nutrizionali dei prodotti a marchio Prontochef. Invece con l’Università di Portici la collaborazione verte attorno ad uno studio sul licopene che promette ottimi risultati; in pratica si sta cercando di estrarre la sostanza per poi riutilizzarne le proprietà. Per quanto riguarda i nostri contenitori, totalmente riciclabili, abbiamo fatto la scelta, sicuramente più onerosa, della latta smaltata perché mantiene inalterata la fragranza e il profumo del pomodoro, anche a distanza di mesi. Mentre, essendo il pomodoro un prodotto ricco di acidità, le latte normali tendono a corrodersi rilasciando sostanze che inficiano le caratteristiche organolettiche di questo vegetale”. “Il consumatore merita qualità” ribadisce il presidente di Assopaf, azienda virtuosa con una bella storia da raccontare.
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Tutti i sapori della carne.
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La scuola come raccordo
la matita rossa di Giuseppe Schipano direttore scuola alberghiera e di ristorazione di Serramazzoni
È fondamentale offrire al mondo del lavoro figure sempre più qualificate e specializzate. Per questo ritengo sia indispensabile creare dei corsi di formazione superiore su tutto il territorio nazionale. Tecnicamente parlando, la definizione ufficiale di formazione superiore “è una formazione postobbligo formativo finalizzata al conseguimento o perfezionamento di competenze professionali atte a favorire l’inserimento lavorativo di giovani diplomati e laureati in cerca d’occupazione qualificata oppure l’avanzamento professionale di giovani e adulti qualificati, diplomati e laureati occupati”. Le finalità di tali interventi formativi, sono quelle di facilitare l’accesso al mondo del lavoro di giovani neo diplomati o neo laureati e di fronteggiare le esigenze di nuove professionalità manifestate dalle imprese del settore. Semplificando, significa che la scuola o l’ente di formazione ha un ruolo di riferimento istituzionale, in quanto svolge una funzione di raccordo tra il mondo dell’istruzione e il mondo del lavoro, provvedendo alla reale qualificazione dei giovani in funzione dei nuovi fabbisogni professionali delle aziende. La scuola crea così dei corsi che sono basati sulle effettive richieste del mondo del lavoro e sulle aspettative degli studenti. Si tratta di corsi articolati in attività teorica, pratica e di laboratorio. Il corpo docenti comprende esperti provenienti dal mondo del lavoro, appartenenti alla ricerca e all’Università. Al termine del corso gli allievi sostengono l’esame per la verifica delle competenze acquisite, al superamento del quale viene rilasciata la Certificazione di Specializzazione Tecnica Superiore corrispondente al 4° livello della classificazione dell’Unione Europea. I corsi sono pensati per i giovani e gli adulti, occupati, disoccupati e inoccupati, questa è una “rete” stabile ed articolata di formazione alta, specialistica e superiore per acquisire le professionalità e le competenze tecniche e scientifiche richieste dal mercato del lavoro regionale e indispensabili per lo sviluppo e la competitività del sistema economico. La nostra scuola è da anni impegnata nell’organizzazione di questi corsi e, nello specifico, nel percorso di “Tecnico Esperto nella valorizzazione di vini e prodotti tipici per una ristorazione di qualità”. L’intento è quello di creare figure che possano lavorare nei diversi livelli del settore ristorativo, esperti che possano dare un valore aggiunto alle aziende, vere e proprie figure specializzate per il mondo della ristorazione, che è sempre in continua evoluzione. I corsi, per essere efficaci, richiedono la collaborazione e la presenza di docenti illustri, che possano trasmettere ai corsisti le tecniche e la passione per il settore ristorativo. Negli anni il nostro istituto, per pianificare corsi efficienti ed idonei, ha creato una rete di collaborazioni con personaggi fondamentali del settore, e con importanti istituzioni come ALMA, CheftoChef, Università Cattolica di Piacenza… Questo è il fulcro fondamentale per fornire una formazione vincente, creare reti di relazioni solide e produttive, creare legami con le eccellenze dei territori, essere sempre informati su tecniche nuove, in modo tale da offrire un corso “speciale”. Non bisogna rimanere relegati al proprio interno, è fondamentale aprirsi agli altri, creare collaborazioni, studiare contenuti che possano fornire ai corsisti competenze e conoscenze specialistiche. In questo modo il risultato è doppio, da un lato si ottiene la soddisfazione dello studente e lo si forma per essere competitivo nel mondo del lavoro, dall’altro si offre un servizio alle imprese del settore, che hanno la possibilità di impiegare persone altamente qualificate.
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Conoscere il food cost Alcune efficaci modalità di costruzione del costo di un piatto
di Roberto Carcangiu
Come spesso succede nel nostro paese facciamo il salto dell’asino da niente a troppo. In questo momento tutti parlano di food cost e di gestione finanziaria dell’azienda ristorativa, quello che mi stupisce è che negli anni d’oro del nostro mercato tutti facessero i conti a consuntivo senza assolutamente preoccuparsi della redditività delle loro aziende perché comunque stavano a galla. In questo momento invece tutti ci parlano di food cost; si vede che abbiamo la predisposizione ad ammirare i nomi stranieri che ci “risolvono” i problemi. Cominciamo con il dare al nome il suo significato preciso: per food cost si intende il costo delle sole materie prime usate per preparare le pietanze del menù. È consuetudine che il food cost si riferisca alla percentuale e non al montante. In sintesi il food cost è l’incidenza del costo del cibo sui ricavi netti della sola cucina. Già da soli potete capire che sicuramente se parliamo di aziende piccole e medie non è che parliamo di cifre e quantità tali da poter fare chissà quale rivoluzione, considerando che il prezzo delle materie prime non è mai stato cosi basso. Resta comunque sottinteso che è un fattore da tenere sotto controllo, proprio perché dobbiamo acquisire la capacità di poter lavorare preventivando le spese a cui andremo incontro e dobbiamo poter monitorare e verificare di continuo gli andamenti in modo da poter correggere “il tiro” più velocemente possibile ove ce ne fosse la necessità.
Calcolo del food cost = FOOD COST : TOTALE NETTO RICAVI X 100 Calcolo del food cost = € 7,500 : 26,200 = 0,286 x 100 = 28,62 = food cost della nostra cucina
Una volta acquisito il food cost in funzione della sua percentuale prevista nel budget possiamo calcolare l’indice di moltiplicazione del ricarico per poi ottenere quello che è il prezzo di vendita teorico; infatti ricordiamoci sempre che siamo nel mercato in una zona ben definita in un tempo certo, di conseguenza sono molteplici i fattori da analizzare per capire il “giusto” prezzo di vendita. Ipotizziamo l’acquisto del carrè di agnello a € 6,30 per porzione Moltiplicatore = 100 : food cost programmato = 3,44 Moltiplicatore = 100 : 29 = 3,44 Carre agnello = € 6,30 x 3,44 = € 21,67 prezzo di vendita teorico a porzione
food cost
Sicuramente da tenere in considerazione per “decidere il prezzo di un piatto è il moltiplicatore delle lavorazioni in cucina, questo perché uno dei dati più significativi non è tanto o solo il food cost ma soprattutto l’indice di produttività di una cucina, ovvero il numero di pasti esplosi per monte ore lavoro. Moltiplicatore delle lavorazioni cucina
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Basso = salumi,patate e verdure gelo, carni alla griglia, paste secche con sughi semplici, torta lievitata = 1,7 Medio = carpacci e piccoli antipasti, sughi freschi pesto ecc, carne farcita , patate lavorate, budini vari = 2,5 Alto = preparazione espresse ed alla carte, primi gratinati, insalate di mare e varie, contorni farciti, bavaresi e dolci al cucchiaio semplici = 3 Altissimo = Preparazioni alla grand carte espressa, secondi elaborati con più tecniche di cottura e guarnizioni, primi in crosta e ripieni, dessert elaborati al cucchiaio e decorazioni = 3,5 ESEMPIO: costo relativo alla produzione del piatto (A) 7, personale di sala più spese di produzione (B) 2, spese generali da imputare al reparto f&b (C) 0,43. COSTO COMPLESSIVO: A+B+C = D 9,43 utile di reparto 30% 2,8 = E PREZZO DI VENDITA D+E = 12,23
Come possiamo vedere i fattori da tenere in considerazione sono molti, questo però non deve essere assolutamente un deterrente bensì lo strumento con cui ci muoviamo in sicurezza nella gestione della nostra azienda. O meglio ancora valutiamo se è il caso di dare forma al nostro sogno di avere un ristorante in cui deliziare i nostri ospiti. Piccolo pensiero: le aziende si “pensano con il cuore” e si fanno con la “testa”.
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tecniche di cucina
La catena del freddo Come nasce e come si sviluppa la filiera
Uno dei grandi vantaggi dei prodotti surgelati è quello di aver permesso di superare la stagionalità delle produzioni primarie e questa è stata una delle conquiste che la tecnologia del freddo ha ottenuto a tutto vantaggio del consumatore che può godere dei frutti della terra in tutti i momenti dell’anno. I prodotti surgelati rappresentano quindi un’ottima garanzia di freschezza in quanto passano solo poche ore dalla raccolta in campo, o del pescato, a quello della surgelazione. Per questo i surgelati sono da considerarsi prodotti di alta qualità ricchi in principi nutritivi come i freschi e privi di conservanti in quanto mantenuti solo con l’ausilio della bassa temperatura. I prodotti ortofrutticoli surgelati sono da ritenersi igienicamente molto sicuri poiché i microrganismi alterativi, responsabili del deterioramento degli alimenti, e quelli patogeni, in grado di provocare intossicazioni e tossinfezioni nell’uomo, non sono in grado di riprodursi a temperature inferiori a -18°C come richiesto dalla legge. La sicurezza igienica di un alimento surgelato è quindi legata all’immediato e rapido abbassamento della temperatura fino a - 18°C ed al rigoroso mantenimento della catena del freddo. Il percorso che un alimento surgelato compie per arrivare integro
di Silver Giorgini
direttore Qualità e Innovazione prodotti Orogel
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alla tavola del cliente si chiama “catena del freddo”. La legge regola tutti i passaggi dei prodotti surgelati dalla produzione fino al banco di vendita, che rappresenta l’ultimo anello della catena. Ogni fase è programmata per mantenere regolare la temperatura dell’alimento surgelato e, di conseguenza, alta la sua qualità. Il produttore, da parte sua, deve porre ogni attenzione affinché ciascun anello della catena sia efficiente, avendo come obiettivo quello di offrire all’utilizzatore prodotti di assoluta qualità. Anche il cliente, però, deve adottare alcune semplici precauzioni: • Comprare i surgelati per ultimi durante la spesa e, specialmente nella stagione calda o se il tragitto è lungo; • Riporre i surgelati in un apposito contenitore (es. busta, cassa in polistirolo, congelatore portatile), che ne rallenta l’innalzamento della temperatura durante il trasporto fino al congelatore dell’esercizio; • Utilizzare i prodotti secondo la data di durabilità (da consumarsi preferibilmente entro il) indicata su ogni confezione, consumando prima quelli con la data più vicina (sistema FIFO: First In First Out) e seguire le istruzioni indicate in etichetta per il corretto utilizzo, evitando di ricongelare i prodotti già scongelati.
le regole per il surgelato I processi produttivi sono regolati in Italia dal Decreto Legislativo n° 110 del 27 gennaio 1992, il quale recepisce una direttiva Europea che ha validità in tutti i paesi dell’Unione. Tale Decreto Legislativo regola minuziosamente la produzione, la distribuzione e la vendita degli alimenti surgelati. In particolare il D.L. prescrive che, il prodotto surgelato sia confezionato, e la confezione in particolare deve garantire: • l’integrità dell’alimento • deve essere aperto solo dal consumatore • tutte le indicazioni previste per legge riguardo modi e tempi di conservazione • le istruzioni per lo scongelamento e il consumo Il Decreto legislativo 11 definisce nell’art. 2 cosa è il surgelato. Per alimenti surgelati si intendono i prodotti alimentari: a) Sottoposti ad un processo di congelamento, detto “ surgelamento” , che permette di superare con la rapidità necessaria, in funzione della natura del prodotto, la zona di cristallizzazione massima e di mantenere la temperatura del prodotto in tutti i suoi punti, dopo la stabilizzazione termica, ininterrottamente a valori pari o inferiori a - 18 °C b) Commercializzati come tali.
Valori nutritivi
Gli alimenti surgelati vanno incontro a trasformazioni delle qualità nutritive e organolettiche. Le proteine subiscono denaturazione, divenendo più digeribili (nessuna perdita di qualità). I glucidi subiscono un lento processo di idrolisi (nessuna perdita di qualità). I minerali e le vitamine vengono in parte perduti durante il processo di scottatura o blanching, tuttavia la perdita è inferiore rispetto ai prodotti in scatola. Il contenuto di vitamine dei surgelati è addirittura superiore rispetto ai prodotti freschi conservati per più di 24 ore.
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Crescere in competenza di Eugenio Negri
distribuzione Sapori di toscana
Strada Colligiana, 20 Monteriggioni (SI) Tel. 0577 304246 www.saporiditoscana.com
Arrivando si avvertono i profumi della classica cucina toscana che, sommati al piacere della vista che la cinta muraria di Monteriggioni offre a chi arriva da queste parti, rendono la sede di Sapori di Toscana un luogo prediletto. Non è un ristorante, non è una bottega di prodotti tipici, non è una gastronomia ma è anche tutte queste cose insieme: Sapori di Toscana è un’idea di successo. Fondata nel 2003 da Adriano Formichi e Giorgio Bandini, l’azienda si posiziona sul mercato fin dall’inizio con un preciso obiettivo: diventare il punto di riferimento per la fornitura alla ristorazione senese. Il risultato oggi è testimoniato dalle cifre: più di 3.500 clienti attivi tra ristoranti, alberghi, agriturismi, pizzerie e mense collettive. “Cateringross resta per noi una partecipazione importante, grazie alla quale possiamo avere occasioni di confronto con altre aziende, fare massa critica sul mercato, capire in maniera puntuale le dinamiche del settore. Fin dal nostro inizio abbiamo voluto aderire a questo consorzio. – racconta Adriano Formichi – Infatti la mia provenienza nasce da esperienze di lavoro nel settore e quando ho iniziato avevo ben chiaro in testa quali erano le cose da fare e quelle da non fare mai. Tra le cose da fare, creare una struttura in grado di gestire anche tutto il processo di lavorazione delle materie prime ed ora possiamo affermare che siamo l’unica azienda del centro-Italia in possesso di tutti i bolli CEE che ci consentono la lavorazione di tutti i prodotti alimentari”. Basta un giro nello stabilimento per rendersi conto di quanto Adriano Formichi ci tenga a fare ogni giorno bella figura. Gli spazi sono stati studiati per ottimizzare la logistica e mettere i loro 27 dipendenti in condizioni di lavorare con passione. “Vengo da una famiglia contadina e certi sapori non si dimenticano. Tanto meno il modo per ottenerli – continua Adriano Formichi – ed è per questo che abbiamo creato anche un nostro marchio, Gustar Sapori, sotto cui raggruppare le selezioni di carni, di salumi e di formaggi, ma anche le ricette di gastronomia, riservate alla ristorazione, che attingono alla memoria di mia madre che, per anni, ha fatto i pranzi della trebbiatura per tutta la famiglia e per i lavoranti”. Il reparto gastronomia è quello che esala i profumi con cui si è accolti all’arrivo; ultimo nato dell’azienda, dopo il cash&carry a cui possono accedere solo gli operatori professionali. “Abbiamo inaugurato nel maggio scorso e produciamo salse per crostini e sughi della tradizione toscana, ma anche porchette e coscio. Prodotti che interessano alla nostra ristorazione che non è per acchiappa citrulli. Qui da noi, per fortuna, è cresciuto un turismo consapevole e competente che obbliga la ristorazione ad un approccio serio, dove la qualità viene prima del prezzo. E questo fa sì che anche la crisi abbia meno contraccolpi” afferma Formichi.
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Non è un caso che Sapori di Toscana sia in positiva controtendenza: 27 dipendenti, con alcune nuove assunzioni, 7 agenti, una flotta di 14 camion che consegna quotidianamente, 11 milioni circa di fatturato realizzati quasi interamente in provincia i Siena. Ma anche punto di riferimento formativo per le scuole alberghiere e per le associazioni di categoria del territorio. “Abbiamo attrezzato una sala per incontri formativi, con una cucina professionale. Noi stessi, con i nostri agenti e i responsabili dei vari reparti, prima di inserire un nuovo prodotto facciamo degustazioni professionali e comparative. Altrettanto faccio quando devo selezionare carni, salumi e formaggi. Vado direttamente dagli allevatori e dai produttori che devono rispettare i nostri parametri di qualità”. Nei reparti lavorano persone che con Adriano Formichi hanno condiviso anni di esperienza, come Simone Sozzi, responsabile del reparto carni: tra i massimi esperti di frollatura, ha a disposizione una selezione di carni esclusivamente italiane (chianina in testa) e un’apposita cella di oltre 300 quintali di capienza. Ma anche, appena fuori dallo stabilimento, un’aiuola di rosmarino lunga 50 metri, e una infinita collezione di spezie di cui non rivela del tutto la composizione. “I segreti del macellaio vanno di pari passo con quelli dello chef”, precisa Adriano mentre spiega l’unità di misura di una perfetta fiorentina che non è il peso ma l’altezza del taglio: “Due dita”! “Vanno citati tutti i nostri dipendenti, perché condividono con noi ogni scelta”, ma lo spazio di una rivista è quello che è e quindi preferiamo confermare che è vero: non c’è reparto in cui non regni la sensazione di far parte di una grande famiglia ospitale che ti mette immediatamente a tuo agio, magari svelandoti segreti e sapori che difficilmente si potrebbero scoprire. “Ogni anno, in estate, allestiamo uno spazio in grado di accogliere duemila persone. In quei giorni diamo vita a Gustar Sapori, il nostro modo per ringraziare amici, clienti, ospiti e anche un’occasione per dar valore al nostro paniere di prodotti, dove trovano spazio le tradizioni culinarie e la cultura enogastronomica rurale” ribadisce Formichi che ci tiene ad evidenziare il rapporto con i circuiti di produzione locali, come nel caso dell’ortofrutta: “Il 10/12% di tutto il volume di frutta e verdura che commercializziamo ci viene fornito dai contadini locali che portano ogni mattina i loro raccolti, Gli chef impazziscono per queste primizie di stagione”. Per mantenere alto il livello di servizio, da un paio di mesi, Sapori di Toscana ha ottenuto la certificazione biologica: “Serviamo circa quaranta mense scolastiche e questo è un requisito essenziale, ma anche la ristorazione commerciale si sta orientando verso questa tendenza”. Non c’è niente da fare, “se ai clienti dai delle cose buone se lo ricordano” chiosa Adriano Formichi. Proprio vero. A tal punto che Sapori di Toscana è stata, per questa sua vocazione alla qualità, così a lungo corteggiata che alla fine ha accolto la partnership con Etruria soc. coop. di Badesse di Siena. Una nuova avventura che porta il marchio di Formichi a crescere in volumi e competenza.
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agnello inglese
A perfect Place
A perfect Plate L’Inghilterra, con le sue dolci colline e i suoi pascoli rigogliosi favoriti da un clima mite e da piogge leggere, è l’habitat perfetto per le sue numerose razze ovine. La qualità di questa carne è data da tre fattori principali: un lavoro meticoloso di incroci fra razze, un ambiente incontaminato ideale per il nutrimento degli animali, una tecnica di macellazione con stimolazione elettrica che garantisce la tenerezza della carne.
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Delizie di Latte
Parmigiano-Reggiano e Grana Padano nell’assortimento di Cateringross
Del Parmigiano-Reggiano e del Grana Padano probabilmente si conosce tutto: si sa che sono i due formaggi italiani più imitati (e contraffatti) al mondo; si sa che rappresentano, da soli, il 65% della produzione dei formaggi stagionati a Denominazione d’Origine Protetta, e il 40% del fatturato complessivo di tutte le Dop italiane. Si sa, soprattutto, che i due formaggi sono stati oggetto di una gara di solidarietà, autentica nota positiva nella tragedia che ha colpito l’area tra Modena, Reggio Emilia, Ferrara e Mantova, per aiutare i caseifici danneggiati dal terremoto. Una solidarietà che ha fatto scoprire a molti italiani ciò che forse sapevano in teoria ma che non avevano forse mai messo in pratica: le caratteristiche qualitative dei due formaggi simbolo del made in Italy. Caratteristiche che hanno diverse differenze ma che mirano ad un unico obiettivo: alzare l’asticella del gusto. In un momento di crisi economica e sociale come quella che stiamo vivendo, assistere ad una tenuta sul mercato italiano e ad una crescita sui mercati esteri di due prodotti così prestigiosi, vien da pensare che varrebbe la pena dare maggior sostegno al comparto agroalimentare italiano, da parte di tutti. Cateringross, con le sue scelte strategiche verso i prodotti a
di Carolina Bellini
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marchio, lo ha fatto e lo sta facendo puntando ad un’estensione dell’assortimento della linea Delizie di Latte che, spiega Davide Reciputi, buyer del gruppo, “ad oggi è costituita da una trentina di referenze. Nelle prossime settimane sono previsti nuovi inserimenti delle confezioni da un chilo sia nel grattugiato sia nell’intero, e dell’ottavo, per entrambi i formaggi”. Come nascono i formaggi Delizie di Latte Tra i fornitori del prodotto a marchio di Cateringross ci sono Montanari & Gruzza di Sant’Ilario d’Enza (RE), per il Parmigiano-Reggiano, e Soster di Monteviale (VI) , per il Grana Padano. “Il rapporto con Cateringross è molto soddisfacente - racconta Gabriele Montanari - perché con loro condividiamo la stessa filosofia improntata alla qualità. Noi, fin dall’inizio dell’attività negli anni ’50, abbiamo scelto di costruire un rapporto consolidato e di fiducia con i caseifici del ParmigianoReggiano, puntando anziché alla concentrazione, alla delocalizzazione. Siamo infatti convinti, e la qualità del prodotto a marchio Delizie di Latte ne è una prova, che il coinvolgimento di più persone, nell’ambito di una cooperazione, garantisca migliori risultati in termini produttivi. L’altro fattore per noi fondamentale è la parte umana del lavoro, fare questo mestiere richiede molta umanità, nei rapporti con tutti i soggetti della filiera. E a noi
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piace metterci la faccia come garanzia”. Non si discosta di molto la storia di Soster, azienda casearia a condizione familiare nata negli anni ’40, dove ogni fase del processo produttivo del Grana Padano viene certificata attraverso la rintracciabilità dei propri prodotti, perciò ogni lotto di merce consegnato al cliente è identificato da un codice che permette di risalire a ritroso sino al fornitore della ditta Soster ed all’interno dell’azienda permette di verificare tutti i controlli di prodotto e di processo applicati a tale lotto. “Tutti questi sono elementi di garanzia che ci vengono richiesti dai soci nella selezione dei fornitori per il prodotto a marchio - ribatte Davide Reciputi - unitamente ad una richiesta che arriva dalla loro clientela, il canale ho.re.ca, che chiede prodotti non troppo stagionati e un grattugiato con un buon rapporto qualità-prezzo”. L’uso da parte della ristorazione Per il Grana Padano la ristorazione chiede una stagionatura di 10/12 mesi, mentre per il Parmigiano-Reggiano la richiesta è di un 22 mesi, perché l’utilizzo prevalente è in cucina, nelle ricette e nel grattugiato. Quest’ultimo sta segnando delle performance di crescita a due cifre: “I consumi del grattugiato sono molto in crescita e questo risultato è dato dal prodotto di servizio che viene proposto. - racconta
Preparare, farcire, decorare. Dall’esperienza di General Fruit tre linee complete al servizio della ristorazione. Queen’s cream sono creme pasticcere della migliore qualità. Arancia / Caffè Cioccolato / Gianduia / Limone / Pasticcera tradizionale. Bottiglie da 1 Kg Esclusivo tappo iniettore.
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Mario Oppi, dell’azienda di distribuzione Oppi di Piadena (CR) - L’altro aspetto positivo per i due formaggi riguarda i consumi che, nonostante la crisi, rimangono stabili”. Ma le differenze in cucina quali sono? Più che di differenze val la pena di parlare dell’uso che se ne fa. Giovanna Guidetti, cuoca dell’Osteria della Fefa di Finale Emilia (MO) ci declina un menu chilometrico a base di ParmigianoReggiano: “Ho avuto la fortuna di affinare il mio palato grazie ad un corso per assaggiatori organizzato dal Consorzio e questo mi ha permesso di elevare la qualità dei piatti: il Parmigiano-Reggiano lo uso ovunque, a cominciare dall’antipasto della casa che è costituito da uno sformato di Parmigiano-Reggiano, Prosciutto di Modena Dop e crema di verdure. Poi è inserito in una ricetta storica di Finale Emilia, la torta degli ebrei. Lo metto grattugiato nei ripieni delle paste, a cominciare dai tortellini, o nei secondi, a scaglie, come per l’arrotolato di coniglio. Infine lo proponiamo come piatto di degustazione di diverse stagionature e tipologie: di pianura, collina e montagna”. Mentre, al di sopra del Po, lo chef Andrea Gabin del Ristorante La Mondina di Marudo, nelle campagne lodigiane, utilizza il Grana Padano per la sua grande versatilità: “lo prediligo giovane perché contiene meno grassi e si riesce a lavorarlo meglio. Dal Grana Padano tiro fuori moltissime delle ricette della mia idea di cucina: ad esempio una sbrisolona, senza uova, solo formaggio, burro e farina che accompagno agli antipasti; è il formaggio ideale per le diverse fondute che metto nel menu d’inverno. Piuttosto che per tortini, soufflé e anche in semplice degustazione delle varie stagionature. Mentre per il grattugiato preferisco orientarmi su un Grana Padano più stagionato”. Varianti di dolcezze di sapore che confermano il valore di questi due grandi prodotti del made in Italy agroalimentare.
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Sergio Esposito Conversazione con il neopresidente di Edizioni Catering di Valentino Serra
l’intervista
Ventun’anni sono passati dalla nascita della rivista Catering, all’inizio ideata come house-organ del gruppo Cateringross che, attraverso la rivista, voleva rafforzare il contatto tra i diversi attori della filiera: grossisti, produttori e operatori dell’ho.re.ca. Un percorso che ha portato, in una fase successiva, Cateringross a costituire una società dedicata all’attività editoriale: Edizioni Catering srl, interamente partecipata dal gruppo distributivo. Da poche settimane, a presiedere il consiglio d’amministrazione di Edizioni Catering è stato chiamato Sergio Esposito, socio di Cateringross e titolare di Italcatering, azienda di distribuzione di Capaccio (SA). Il neopresidente condivide l’impegno con altri due consiglieri: Umberto De Marinis, presidente di Cateringross e socio di Erredi Distribuzione di Monopoli (BA), e Ivan Isepetto, titolare di Walter Foodservice di Milano, mentre il direttore è Roberto Martinelli. Sergio Esposito ha un diploma di perito agrario e una laurea honoris causa in Scienze aziendali. Titolare di Italcatering, azienda di distribuzione operante in Campania, è stato presidente Ascom di Battipaglia, presidente Lyon’s Club del distretto Eboli-Battipaglia, presidente di Vitello d’oro, importante società attiva nel settore delle carni. Per tre mandati consigliere di Cateringross, è stato nominato presidente della casa editrice del gruppo nel luglio scorso. In questa intervista Sergio Esposito espone la sua visione del settore dell’editoria specializzata food&beverage e delinea le linee guida della casa editrice. La rivista Catering nasce vent’anni fa come house-organ di Cateringross, iniziando un percorso che l’ha portata ad essere una rivista di riferimento per il mondo dell’ho.re.ca: come valuta questa evoluzione? “Vent’anni sono un arco di tempo molto ampio per una rivista di settore. Un settore che, tra l’altro, ha subito profonde trasformazioni. Una recente intervista a Gualtiero Marchesi, ospitata proprio su Catering, riportava un’affermazione del maestro che mi trova profondamente d’accordo: il ristorante soffre del rapporto con il cliente perché manca l’oste, quello che sta attento ai bisogni del cliente (Gualtiero Marchesi ndr). Ecco, io credo sia necessario ritornare a quel tempo, recuperare un rapporto di fiducia che deve crescere di pari passo con la qualità. Catering, in questi vent’anni, ha cercato di assolvere a questo compito, mantenere vivo il legame con il cliente, all’inizio il socio grossista, poi gli operatori del settore”. Quali benefici ricava il gruppo Cateringross dall’avere una rivista che affronta le tematiche che interessano la clientela? “La decisione di far nascere la rivista era legata alla necessità di far conoscere al grossista e ai suoi clienti i prodotti che Cateringross
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LE STELLE SONO SERVITE.
www.apvd.it
commercializzava. Questo è stato un elemento qualificante che tuttora è attestato dal significativo carico pubblicitario della rivista, dove investono i grandi marchi di qualità dell’alimentare italiano. Negli ultimi anni, inoltre, la rivista ha saputo conquistarsi uno spazio significativo tra gli operatori del canale ho.re.ca. che cominciano ad apprezzarne i contenuti per la serietà con cui vengono affrontati, ma soprattutto perché la rivista dà voce ad una molteplicità di soggetti che stimola la lettura e il confronto. I soci di Cateringross si riconoscono nella rivista ma dobbiamo fare di più per aumentare il valore della conoscenza, magari premiando quelli che più si distinguono nell’utilizzo e nella divulgazione della stessa presso i propri clienti”. Quali sono le prospettive e i progetti futuri di Edizioni Catering? “Dobbiamo andare oltre ad avere una sola rivista. Dobbiamo svolgere una grande azione di informazione e comunicazione. Il sito internet va in questa direzione, con gli oltre 10.000 contatti unici mensili, in crescita. Abbiamo intrapreso anche l’attività editoriale che prevede l’uscita della nuova edizione della guida Meglio Prenotare, stiamo realizzando un volume per conto di UNAS, l’associazione delle aziende del surgelato. Ritengo importante anche la missione di Edizioni Catering che deve essere al servizio di Cateringross e dei suoi soci, sviluppando iniziative di comunicazione e promozione, come nel caso del progetto Cucinarte”. Quale contributo può portare alla crescita della casa editrice dal suo osservatorio professionale, di chi ha a che fare ogni giorno con le problematiche del settore? “Non sono né giornalista né editore, ma conosco bene il settore della distribuzione verso l’ho.re.ca. Uno dei compiti che può essere assolto da Edizioni Catering è fare cultura alimentare, aiutare e informare i soci sulle caratteristiche di prodotto. Il gruppo Cateringross ha un patrimonio di contatti e relazioni che non ha eguali in Italia (più di 60.000 clienti nell’ho.re.ca.). Ad essi possiamo offrire un assortimento di prodotti che consentirebbe di formulare la più grande carta di ristorante esistente in Italia, a partire da tutte le tipicità regionali che ognuno di noi commercializza. Per fare questo è indispensabile arrivare ad un assortimento completo nell’offerta. Edizioni Catering può aiutare questo percorso con una grande azione di conoscenza”.
Massimo Bottura, Chef testimonial GIBLOR’S, si conferma il numero uno della Cucina italiana. Anche la terza stella Michelin che mancava al suo palmares è arrivata puntualmente quest’anno.
Primo posto ed il massimo del punteggio anche per la Guida dell’Espresso, il Gambero Rosso ed il Touring Club. Un grande riconoscimento è stata inoltre l’assegnazione al suo ristorante, Osteria Francescana di Modena, del quarto posto (primo in Italia) nella classifica 2011 dei “50 World’s Best Restaurants”.
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cateringnews.it • settembre/ottobre 2012 _ 73 www.giblors.com
Il mercato cinese e il vino italiano
perbacco!
di Giuseppe Vaccarini presidente Associazione della Sommellerie Professionale Italiana
Il mercato cinese del vino, con la sua crescita che dal 2006 pare si sia tenuta sempre intorno al 20%, è un bel miraggio per i produttori europei. Specie se si conosce il livello qualitativo dei vini che vengono prodotti in Cina che pare non siano del tutto come quelli prodotti nei paesi di lunga tradizione, neppure quando si tratta di uno dei massimi produttori locali come l’azienda Great Wall, fondata nel 1983, con una produzione annuale di 50 mila tonnellate e situata nella regione nord occidentale della Cina. Esattamente a Shacheng, appena sotto Pechino, una zona che - si dice - sia particolarmente vocata alla produzione della vite; sigh! A conoscere il clima di Pechino, umido, caldo, molto freddo in inverno, sembra difficile da immaginare, ma oggi con le tecnologie a disposizione, si può fare di tutto e di più, specie in un paese che non ha vincoli con la tradizione vitivinicola e con una gastronomia come quella italiana ed europea che con il vino ha una particolare simbiosi. Però Great Wall ha recentemente acquisito aziende francesi e cilene, diventando in questo modo il primo gruppo internazionale cinese. D’altro canto, a parte i discutibili vini di origine cinese pare che circolino anche eccellenti imitazioni, si fa per dire: vini marchiati francesi e in realtà prodotti in Cina con uve surgelate provenienti dall’America o da altri continenti. Certo nell’impero delle imitazioni tutto è possibile. Così si può dire che la qualità in Cina la fanno ancora i vini di importazione. Anche se poi nel momento di consumare non su tutte le tavole dei ristoranti cinesi è possibile sorseggiare una bottiglia di vino che trova accoglienza ancora e soprattutto nell’alta ristorazione, quindi ai tanti italiani, turisti o residenti, si chiede ancora di pasteggiare a tè. In questo contesto occorre tener ben presente che la cultura cinese, come quella della maggior parte dei paesi asiatici, è molto differente dalla nostra e che il vino, per ora, rappresenta solo un prodotto di lusso che proviene dall’Europa e, come tale, acquistato e consumato per sfoggiare il proprio stato sociale e non certo per sublimare una esperienza gastronomica, così come lo si fa con una Ferrari o con un abito di Armani. Ovviamente la potenza di fuoco di alcuni produttori come quelli americani o australiani o anche cileni può essere un ostacolo allo sviluppo e all’espansione dei produttori europei. E tra gli europei i francesi rispetto agli italiani possono vantare le cifre mirabolanti con cui vengono battute le loro migliori etichette nazionali nelle aste di Hong Kong - una bella ricaduta pubblicitaria per tutto il settore dei vini francesi! - e una capacità e un’organizzazione commerciale che compie più anni e di cui noi siamo sempre stati carenti. Non possiamo allora che compiacerci del fatto che il padiglione italiano all’Expo di Shanghai del 2010 è diventato una struttura permanente che oggi ospita l’Enoteca Italiana di Siena che gestisce, in esclusiva per l’appunto, la sezione dei vini oltre che l’offerta di vino dei bar e ristoranti disseminati su questa enorme superficie. Quindi il prossimo traguardo non può che essere la conquista del palato cinese e certamente una presenza più puntuale nella ristorazione. Operazione che andrà assolutamente sostenuta da una importante e capillare campagna di informazione sulla qualità dei nostri prodotti e di come apprezzarli. Allora, al lavoro!
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l’inchiesta
Per un consumo responsabile Sono diminuiti gli incidenti causati da ebbrezza, ma anche i consumi di Luigi Franchi
Sono trascorsi due anni dagli aggiornamenti del nuovo codice della strada che stabiliva le regole sul tasso alcoolemico dei guidatori: l’ormai famoso 0,5 grammi per litro di sangue. Le nuove regole hanno indubbiamente portato risultati positivi come dimostra la recente indagine realizzata dall’ASAPS (Associazione Sostenitori ed Amici della Polizia Stradale) attraverso il loro Osservatorio il Centauro. La ricerca, che si basa sui dati forniti dalle agenzie di stampa e dai 600 referenti territoriali dell’associazione, rileva le cosiddette ‘stragi del sabato sera’ nel primo semestre di quest’anno da cui risultano 184 incidenti significativi, dove hanno perso la vita 124 persone (di cui 92 sotto i trent’anni) e 302 sono rimaste ferite. Numeri che fanno davvero pensare ad una strage ma che recano in sé un risultato positivo: sono in calo gli incidenti imputabili al nomadismo della notte verso i locali del divertimento e solo il 10,3% è imputabile alla guida in stato di ebbrezza. “Le norme più severe e il contrasto all’alcol negli ultimi 5 anni hanno dato i loro pregevoli frutti, ma ora si deve insistere nei controlli alcolemici e degli stupefacenti insieme a campagne di comunicazione mirate al pubblico giovanile di riferimento e non solo. Infatti nel conteggio degli incidenti della notte dei fine settimana vanno poi aggiunti tutti i sinistri che hanno come prota-
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gonisti conducenti over 30 anni. E sono tanti. Più dei giovanissimi!” ha spiegato il presidente di ASAPS, Giordano Biserni nel commentare la ricerca. Ma se questo è un risultato positivo, dall’altro lato assistiamo ad un autentico crollo dei consumi di vino nei ristoranti che sta penalizzando un mercato che costituisce elemento integrante della cultura stessa degli italiani, essendo il vino una bevanda che accompagna da millenni la nostra alimentazione. Da un’indagine Fipe emerge che il consumo del vino è in calo del 44,4% e, per il 60,3% dei casi, è imputabile alle regole imposte dal codice della strada. Ovviamente non si tratta di invocare modifiche ad una legge che ci accomuna a standard europei ma di creare le condizioni affinché il bere diventi un fattore consapevole sia in fatto di consumi fuori casa sia in fatto di maggiore conoscenza dei limiti. Sempre Fipe evidenzia che l’82,8% indica nel consumo al bicchiere e il 55,2% nella crescita di consapevolezza dei li-
sata che gli consente di godere appieno della serata”. Ma quanto vino si può bere in modo corretto, senza bisogno di rinunciare? “Abbiamo verificato che un aperitivo e una bottiglia in due, durante il pasto, consente di restare dentro ai parametri. Questo servizio, unitamente ad alcuni accorgimenti come il vino al bicchiere o la mezza bottiglia ci ha permesso di sopperire al calo del consumo di vino. Mentre sono crollati i distillati, per quelli non c’è nessuna speranza” commenta Santini. Da queste parole ricaviamo una conferma sul ruolo del ristoratore nel consigliare ed educare l’ospite in ogni momento della sua visita. Anche questo è un modo per contrastare il calo dei consumi di vino, come ci spiega Guido Cerioni, titolare, insieme alla moglie, della Locanda Mariella a Fragno di Calestano (PR): “Da noi non utilizziamo la mezza bottiglia perché la nostra carta è interamente improntata sui vignaiuoli, piccoli produttori che non hanno la di-
miti, la soluzione per contrastare il calo dei consumi.
mensione produttiva di realizzare le mezze bottiglie. Mentre pratichiamo la mescita al bicchiere, ma decidendo al momento in base ai bisogni dell’ospite che si affida a noi nella scelta”. Guido Cerioni ha anche un’enoteca molto singolare nel centro storico di Parma, dove ha unito la passione del vino a quella della musica, essendo in origine un rivenditore di impianti hi fi. “All’Enoteca Hi Fi news la Musica in tavola non facciamo mescita ma anche qui la scelta delle bottiglie nasce da una mia propensione verso un consumo etico e consapevole che credo sia la grande ed unica sfida possibile e tale da poter unire, in scelte di rispetto condivise, produttori e consumatori. A partire da questo snodo virtuoso, a mio parere, si possono individuare pratiche e accorgimenti commerciali che,
Il ruolo del ristoratore A questo proposito è illuminante la scelta fatta dalla famiglia Santini del Ristorante Dal Pescatore, il tre stelle Michelin di Canneto sull’Oglio: “L’idea è venuta a mio figlio Alberto, su consiglio di un prefetto che era a cena da noi. Abbiamo acquistato un precursore professionale, con un costo di circa 500 euro, che mettiamo a disposizione dei nostri ospiti ogni qualvolta vogliono fare una prova del loro tasso alcoolemico. Nel 95% dei casi abbiamo riscontrato, insieme a loro, che rientravano nel range consentito. - racconta il patron Antonio Santini - Questa opportunità mette il nostro ospite in una condizione più rilas-
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nel determinare consapevolezza e fidelizzazione, diano prospettiva positiva al nostro lavoro.” Nei luoghi del turismo Siamo andati ad indagare in due luoghi dove il turismo la fa da padrone anche nei consumi di vino e di bevande alcoliche in generale. In Toscana abbiamo chiesto a Patrizia Parretti, delegata regionale dell’ASPI (Associazione della Sommellerie Professionale Italiana) e titolare di Divino (tour operator specializzato nel turismo enogastronomico), quanto incide la normativa sul consumo del vino: “Qui esiste un turismo straniero che probabilmente non conosce la legge italiana sul codice della strada, ma è storicamente preparato e adeguato a gestire le modalità di consumo in maniera responsabile. Infatti prediligono il pernottamento direttamente in luoghi dove è possibile cenare e degustare, come le belle fattorie toscane”. Dall’altro versante, la riviera romagnola, arriva la voce di Gaetano Callà, presidente Fipe della provincia di Rimini, che mette il dito in una ferita aperta: “Ogni volta che si legge una notizia di incidente causato dall’abuso di alcool la colpa ricade sempre sul titolare del pubblico esercizio. Ma se c’è qualcuno che, fin dall’entrata in vigore della legge e anche prima per un proprio atteggiamento morale, ha applicato quelle regole siamo proprio noi. Non conosco colleghi disposti a dare da bere a chi è in stato di ebbrezza. Il problema semmai è la totale mancanza di controlli in locali che, grazie alla liberalizzazione, possono vendere a qualsiasi ora e in modo indiscriminato bottiglie a basso costo, che i giovani poi vanno a consumare in spiaggia. Nasce lì il problema, non nei nostri esercizi che invece sono sottoposti ad un costante controllo, a volte eccessivo”. Soluzioni? Un paio ci vengono in mente. La prima è diffondere il concetto che l’etilometro non è da viversi come condizione punitiva bensì come educazione al consumo responsabile. La seconda è invece una piccola provocazione: perché le cantine non regalano precursori professionali al posto di offrire ai ristoratori il posizionamento su Tripadvisor come scontistica sugli acquisti di vino?
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terre di vino
Riva di Franciacorta tra arte e vino Acidità e pulizia ai massimi livelli di Alessandra Locatelli
Alberto Riva e Mario Zuffada
Come si riconosce un Franciacorta, a parte l’etichetta? La domanda ce la siamo posta mentre stavamo osservando due sinuose sculture di Bruno Munari nel giardino antistante la cantina Riva, a Fantècolo di Provaglio d’Iseo, un piccolo borgo incastonato tra le colline moreniche della Franciacorta. Una domanda stimolata dalla forte azione di comunicazione che il Consorzio sta portando avanti per affermare il termine Franciacorta come definizione unica della produzione DOCG di questo territorio che è stato trasformato in raffinato paesaggio, oltreché centro di produzione di eccellenza, dalla visione di un gruppo di imprenditori. Fascino per il vino e passione per l’arte sono, ad esempio, le due attività a cui si è dedicato Alberto Riva che, insieme al fratello Alfredo, oltre a gestire un’altra (tuttora la principale) attività imprenditoriale, hanno iniziato, nel 1990, a selezionare e acquistare terreni vocati alla realizzazione di vini capaci di vantare una forte identità. “Dall’acquisto dei primi terreni abbiamo lasciato passare diversi anni prima di cominciare a produrre i nostri Franciacorta. All’inizio conferivamo le uve, perché volevamo avere le idee ben chiare rispetto al nostro progetto vitivinicolo” racconta Alberto Riva. E qui si vede la stoffa dell’imprenditore che sa dove vuole arrivare,
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con tutto il tempo necessario per riuscirci. Solo nel 2005 ha avuto inizio la prima produzione, dopo che la conoscenza delle diverse attitudini del suolo ha permesso di personalizzare la coltivazione delle differenti varietà di vite. Alla definizione delle scelte hanno concorso l’agronomo Marco Tonni, associato allo Studio Sata, mentre per la parte enologica i fratelli Riva decisero di avvalersi dell’enologo Marco Zizioli. Gli ettari in proprietà sono 34, alcuni accorpati all’azienda, altri distribuiti nelle zone migliori della Franciacorta, come la collina di Monterotondo dove è collocato il Pinot Nero. Una cantina ecocompatibile L’investimento successivo all’acquisto dei vigneti è stato fatto in cantina dove si sta realizzando, in diversi step, una struttura che avrà una capacità produttiva di 800.000 bottiglie, rispetto alle attuali 250.000 in
produzione. Ma a valere sono i criteri con cui i due fratelli Riva hanno pensato la loro cantina: un moderno contesto architettonico basato sul risparmio energetico. Concepito per limitare l’impatto sull’ambiente, il progetto per la nuova ala della cantina prevede impianti all’avanguardia per il trattamento dell’aria e dell’acqua: un impianto di aspirazione della CO2 monitorato tramite canali di estrazione con allarme, una struttura ipogea che favorisce il riciclo dell’aria e cattura la luce naturale all’interno dell’edificio tramite la presenza di quattro grandi aperture esterne e regolate automaticamente. È stato ultimato anche un impianto speciale che regola il recupero delle acque: l’acqua impiegata durante le fasi di lavorazione della materia prima viene
purificata e rimessa in circolo. Il tutto completato da un sistema di termoregolazione naturale dell’aria. Infine è prevista la copertura totale della struttura con la realizzazione di giardini e vigneti che andranno a creare un nuovo piano per una totale conciliazione tra naturale e tecnologico. Nascono qui i Franciacorta Riva. Quattro tipologie dall’identità strutturata, vini freschi, fragranti e seducenti, ricchi di carattere, sapidità e complessità: Franciacorta Brut, Satèn, Rosé, Brut Millesimato Rivalto. A distribuirli in Italia è la D&C, compagnia d’importazione di prodotti alimentari, vini, liquori e champagne di alta gamma. “Abbiamo raggiunto in pochi anni un soddisfacente posizionamento nel canale ho.re.ca ma intendiamo crescere ulteriormente, soprattutto guardando all’estero come mercato di sbocco, su cui stiamo facendo riflessioni sulle modalità di presenza. - afferma Alberto Riva - L’ideale sarebbe una forte azione di
comarketing tra aziende e consorzio che ci consenta di raggiungere la massa critica capace di penetrare nuovi mercati”. Nel frattempo Riva Franciacorta Brut si riconferma protagonista della selezione di eccellenze enogastronomiche proposte dalla nuova Magnifica Business Class di Alitalia. La collaborazione con la compagnia aerea ha portato le bollicine Riva di Franciacorta a Tokyo, dove Alitalia ha presentato, presso l’ambasciata italiana, il nuovo servizio di bordo per i voli dal Giappone. Come si riconosce un Franciacorta Riva Questa strategia di espansione è uno tra i tanti motivi che ha spinto la Cantina Riva di Franciacorta a sce-
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gliere come direttore commerciale Mario Zuffada: alle spalle diverse consulenze con affermate cantine in Franciacorta, un Master sensoriale a Bordeaux che ha contribuito alla sua formazione sotto il profilo gustativo e olfattivo, rendendolo uno dei pochi professionisti a livello italiano. A lui chiediamo come si fa a riconoscere un Riva di Franciacorta: “I nostri Franciacorta si presentano con ottime caratteristiche di acidità ed estrema pulizia, dall’approccio olfattivo freschissimo: giusta gradazione alcolica, zuccheri bassi 4/5g.l, vivace bouquet dalle note floreali e le tonalità chiare sono i tratti distintivi che fanno riconoscere i nostri vini fin dal primo impatto”. Il Brut - 90% Chardonnay e 10% Pinot Nero - si presenta giustamente sapido e dai delicati sentori di fiori e lievito: si caratterizza per la grande bevibilità e la buona persistenza.
quista con il suo perlage fine e persistente e quel tipico color cerasuolo di buona intensità e variabile in relazione alle annate. La rifermentazione naturale avviene in bottiglia e quindi l’élevage sui lieviti per un periodo non inferiore ai ventiquattro mesi. Il Franciacorta Satèn - presenta un perlage molto fine e persistente che si combina con un bouquet con caratteristiche tipiche della fermentazione in bottiglia. In bocca Satèn Riva di Franciacorta si presenta bilanciato, setoso, con buona struttura, tenuta in tensione da sapidità e freschezza agrumata. A seconda delle annate, una percentuale variabile viene affinata in barriques di rovere francese, in seguito avviene la rifermentazione naturale in bottiglia e quindi l’élevage sui lieviti per un periodo non inferiore ai ventiquattro mesi. “Le condizioni ideali per conservare le bollicine Riva di Franciacorta sono: ambiente buio, umidi-
L’affinamento avviene per rifermentazione naturale in bottiglia e quindi élevage sui lieviti per un periodo non inferiore ai venti mesi. Il Rivalto Franciacorta Docg Millesimato Brut - 70% Chardonnay, 25% Pinot Nero, 5% Pinot Bianco - è caratterizzato da fragranza, complessità aromatica e delicati sentori di agrumi, mandorla e crosta di pane. Rivalto è un vino importante, dalla ricca trama, ben definito da freschezza e da una sapida mineralità, con ottima persistenza gusto-olfattiva. Una percentuale variabile, a seconda delle annate, viene affinata in barriques di rovere francese, in seguito avviene la rifermentazione naturale in bottiglia e quindi l’élevage sui lieviti per un periodo non inferiore ai trentasei mesi. Il Franciacorta Docg Rosé - 100% Pinot Nero - con-
tà al 75% e temperatura attorno ai 16 gradi. - prosegue Zuffada - I nostri Franciacorta sono perfetti come aperitivo, ma raggiungono la loro massima espressione nell’abbinamento a piatti complessi e strutturati. In ogni caso le nostre quattro tipologie si accompagnano ad ogni tipo di pietanza. Sono quindi particolarmente consigliati a tutto pasto, anche se purtroppo questo modo di bere sta solo prendendo piede in questi ultimi anni, è basilare alzarsi da tavola dopo un buon pasto o un’ottima cena senza avere mal di testa, per questo motivo sempre più spesso vengono consigliati dei buon Franciacorta” conclude Mario Zuffada. E l’arte? La passione per l’arte conferisce una diversa sensibilità a chi produce vino. E, nel caso, dei Franciacorta Riva si sente e si vede.
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Un dolce goloso è l’insieme di cura, passione, fantasia e ottimi ingredienti. Zaini dal 1913 vi offre un cioccolato fondente purissimo di alta qualità, che insieme al vostro talento, darà vita a una tentazione a cui sarà difficile resistere. Cacao, gocce, crema per decorare e naturalmente cioccolato da fondere, grattugiare, amalgamare, farcire, ricoprire per migliorare il lato più dolce della vostra fantasia.
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Le novità per la disciplina delle relazioni commerciali in materia di cessione di prodotti agricoli e agroalimentari. Tra le molteplici questioni trattate dal Governo con il decreto legge 24 Gennaio 2012, n. 1, recante “Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività”, convertito con modificazioni dalla legge 24 marzo 2012 n. 27, torniamo ad occuparci dell’ 62, rubricato “Disciplina delle relazioni commerciali in materia di cessione di prodotti agricoli e agroalimentari”, anche alla luce della recente predisposizione del decreto interministeriale che ne definisce le modalità applicative. In sintesi, rammentiamo che la norma in esame stabilisce, per i contratti aventi ad oggetto la cessione dei prodotti agricoli e alimentari, ad eccezione di quelli conclusi con il consumatore finale: 1) l’obbligo della forma scritta e dell’indicazione, a pena di nullità, della durata, della quantità e delle caratteristiche del prodotto venduto, del
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prezzo, delle modalità di consegna e pagamento (comma 1); 2) il divieto di imposizione, diretta o indiretta, di condizioni di acquisto e di vendita “vessatorie” e ingiustificatamente gravose o inique e di adozione di condotte commerciali sleali (comma 2); 3) il termine legale, inderogabile per il pagamento del corrispettivo (30 e 60 giorni dall’ultimo giorno del mese di ricevimento della fattura, rispettivamente, per le merci deteriorabili e non deteriorabili) e la disciplina degli interessi applicabili al suo ritardo (comma 3). Nel testo vengono inoltre previste sanzioni amministrative pecuniarie per la contravvenzione alle suddette statuizioni, che nell’intenzione del legislatore dovrebbero svolgere una funzione dissuasiva e deterrente di comportamenti abusivi nei confronti del contraente “debole”. AMBITO DI APPLICAZIONE Per quanto di interesse per gli operatori dello specifico settore, và detto che - sebbene pensata per contenere il problema dello squilibrio dei rapporti fornitori-clienti, ove lo stesso raggiunge livelli limite e cioè nelle relazioni commerciali con la Gdo - la disciplina di cui all’art. 62 è applicabile anche alle forniture effettuate dal grossista/distributore ad utilizzatori professionali quali, ad esempio, gli esercenti di attività alberghiere e di ristorazione, bar e pubblici esercizi in genere, non ascrivibili alla categoria dei consumatori finali (soggetto acquirente con contratto escluso dall’ambito di applicazione dell’art. 62). Il decreto applicativo ha infatti chiarito la definizione di “consumatore finale” sulla scorta di quella contenuta nel codice del consumo: “persona fisica che acquista i prodotti agricoli e/o alimentari per scopi estranei alla propria attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta.”. DEFINIZIONI Lo stesso decreto ha fornito la definizione di altri termini e locuzioni utile a chiarire diversi aspetti applicativi della norma in esame. Da rilevare, in particolare, quelle di “prodotto alimentare” (con richiamo all’art. 2 del regolamento (CE) n. 178/2002, che comprende le bevande) , di “Prodotti deteriorabili” (con la precisazione che la durabilità va riferita alla durata complessiva stabilita dal produttore) e di “contratto quadro” o “contratto di base” (come accordo avente ad oggetto la disciplina dei singoli contratti di cessione, con indicazione del listino prezzi e delle modalità di determinazione del prezzo applicabile al momento dell’emissione del singolo ordine, in variazione rispetto a quello di listino). Si precisa che per quanto riguarda la cessione dei prodotti alcolici (inclusi vino e birra) a soggetti autorizzati ad immetterli in consumo, l’art. 5, comma 5 del decreto applicativo dell’art. 62 ha fatto salvo quanto previsto dall’art. 22 della Legge n. 28/1999, il quale dispone che i corrispettivi devono essere versati entro 60 giorni dal momento della consegna o ritiro dei beni medesimi. CARATTERISTICHE DEI CONTRATTI DI CESSIONE Per evitare di incorrere nelle sanzioni previste a carico dei contraenti dall’art. 62, l’impresa, nei rapporti con i propri clienti e fornitori, dovrà porre attenzione allo scambio di documentazione (possibile anche a mezzo email, fax ed anche
priva di sottoscrizione) che presenti i requisiti essenziali prescritti (durata, quantità, caratteristiche del prodotto, prezzo, modalità di consegna e pagamento), alla predisposizione di eque condizioni contrattuali ed all’adozione di comportamenti commerciali ispirati a lealtà e buona fede. Il decreto applicativo ha stabilito che anche i documenti di trasporto o di consegna, nonché le fatture, purchè integrati con tutti i suddetti elementi essenziali e con apposita dicitura che ne dia espressa attestazione (“Assolve agli obblighi di cui all’art. 62, comma 1, del decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27”), possono costituire idoneo documento scritto per la regolare cessione dei prodotti agricoli e alimentari ex art. 62. TERMINI DI PAGAMENTO E FATTURAZIONE Venendo alla problematica, particolarmente sentita, degli interessi dovuti al creditore in caso di ritardo nel pagamento, c’è da dire anzitutto che, ai fini del loro conteggio, la data di ricevimento della fattura è validamente certificata solo nel caso di consegna a mano, di invio a mezzo di racc. a.r., di posta elettronica certificata (PEC) o di impiego del sistema EDI o altro mezzo equivalente, come previsto dalla vigente normativa fiscale. In mancanza di certezza sulla data di ricevimento della fattura, il decreto applicativo prevede che la fattura si consideri ricevuta nella data di consegna dei prodotti. Particolare attenzione dovrà quindi essere riposta nelle modalità di inoltro delle fatture ai fini della certificazione del loro ricevimento e dunque del diritto al pagamento entro termini quanto più ristretti ed ai legittimi interessi maturati in caso di ritardo da parte della clientela (i termini di pagamento potranno infatti anche raddoppiare, a seconda della efficienza con cui le fatture saranno emesse e spedite dal fornitore e della capacità dello stesso di dar prova del loro regolare ricevimento da parte del cliente). In merito alla consuetudine di varie imprese di effettuare una fattura riepilogativa a fine mese, per le diverse consegne effettuate nello corso dello stesso, Il comma 3 dell’art. 4 del decreto applicativo prevede che in questo caso la fattura possa essere emessa solo successivamente all’ultima consegna del mese. Il successivo art. 5 stabilisce che il cedente deve emettere fattura separata per cessioni di prodotti assoggettate a termini differenti e ciò sarà fonte di disagio specie per distributori la cui tipologia di commercio sovente prevede la preparazione di ordinativi misti (comprensivi di prodotti deteriorabili e non deteriorabili). IL CALCOLO DEGLI INTERESSI Per quanto concerne la loro misura, il decreto applicativo ha chiarito che gli interessi possono anche essere concordati tra le parti, purchè ad un tasso non iniquo per il creditore e ferme restando le maggiorazioni previste dalla norma in commento per i prodotti agricoli e alimentari (due punti percentuali). In mancanza di accordo sul tasso di interessi, si applicherà il tasso di riferimento come definito dal d.lgs. 231/2002 in materia di lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali (sempre maggiorato di due punti percentuali). LA TUTELA DEL CREDITO A partire dal giorno successivo alla scadenza del termine legale previsto per il pagamento del corrispettivo dall’art. 62, iniziano a decorrere automaticamente gli interessi moratori o concordati. Ciò significa che anche per gli interessi non sarà necessaria la costituzione in mora, come stabilito per l’importo capitale dall’art.
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1219, 2° comma, n. 3 del codice civile in caso di prestazione che deve essere eseguita al domicilio del creditore (come appunto il pagamento di una somma di denaro). Il ritardo legittima (non obbliga) il creditore ad esigere dal debitore il pagamento della fornitura e degli interessi maturati, rivolgendosi, in caso di inadempimento, alla competente autorità giudiziaria civile. A questo punto c’è da dire che la tutela del credito da parte dei fornitori trova spesso ostacoli nel rischio di ritorsioni commerciali, nei tempi e nei costi delle procedure di recupero crediti e - nel caso di piccole imprese -nelle difficoltà organizzative e nelle mancanze di risorse da Lei evidenziate. Proprio la consapevolezza di tale situazione, ha indotto il legislatore a prevedere le sanzioni amministrative contemplate dai commi 5, 6 e 7 dell’art. 62, al fine di trovare una soluzione ragionevole al problema dei tempi di pagamento e delle pratiche commerciali scorrette originate dallo squilibrio nei rapporti fornitori-clienti. L’accertamento di un mancato pagamento nei termini potrà comportare l’applicazione a carico del debitore di sanzioni effettivamente dissuasive, specie in ragione di ritardi reiterati e protratti nel tempo. EFFICACIA DELLE NUOVE DISPOSIZIONI
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Solo In sede di prima applicazione si potrà verificare se, da un parte le iniziative dei fornitori in caso di ritardo nei pagamenti e dall’altro l’azione di vigilanza e sanzione attuata dall’AGCM con il supporto della Guardia di Finanza (d’ufficio o su segnalazione di qualunque soggetto interessato), potranno essere idonee al graduale raggiungimento dell’obiettivo della norma, con conseguente eliminazione delle inadempienze notoriamente registrate lungo tutta la filiera. ENTRATA IN VIGORE Le disposizioni in esame si applicheranno a tutti i contratti di cessione stipulati a decorrere dal 24 ottobre 2012. I contratti in essere alla data del 24 ottobre 2012 dovranno essere adeguati, in relazione ai soli requisiti di forma e contenuto (forma scritta; indicazione, a pena di nullità, di durata, quantità, caratteristiche del prodotto, prezzo e modalità di consegna e pagamento), non oltre il 31 dicembre 2012. Le disposizioni che riguardano le pratiche commerciali sleali ed i termini legali di pagamento e le relative sanzioni amministrative previste in caso di loro violazione, si applicheranno a partire dal 24 ottobre 2012, anche in assenza di dei suddetti adeguamenti contrattuali.
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agugiaro & figna Molini per la pizza verace napoletana Il successo della prima Convention Internazionale dell’Associazione Verace Pizza Napoletana, con i suoi 400 soci in ogni parte del mondo, è testimoniato dai numeri che hanno visto la partecipazione di dieci nazioni e cento pizzaioli alle Olimpiadi della Verace Pizza Napoletana ospitata in occasione dell’incontro. A trionfare, con il maggior numero di medaglie, proprio la nostra Italia, che si è posizionata al primo posto nel Medagliere Internazionale, seguita dal Giappone al secondo posto e dagli Stati Uniti al terzo. Vincitore nella disciplina “Pizza Classica” è Ohoka Shuhei, pizzaiolo giapponese; trionfano invece due italiani: Giuseppe Cravero nella disciplina “Pizza Fantasia”, e Salvatore Gatto per la “Mastunicola”. La migliore “Pizza Fritta è dello statunitense Dino Santonicola; è infine del giapponese Komatsu Masakazu, la “Pizza più creativa”. Non poteva mancare Agugiaro & Figna a questa manifestazione, in sintonia con la filosofia dell’azienda riassunta dal presidente Giorgio Agugiaro: “Per noi è ormai una missione sostenere le iniziative di qualità che valorizzano la pizza e l’immagine italiana che l’accompagna. Questa convention è una cosa seria e lo testimoniano i protagonisti, sia partecipanti sia giurati. Noi abbiamo scelto di essere partner di molti concorsi dedicati alla pizza che si stanno moltiplicando, un segno di come la pizza stia diventando sempre di più un momento di professionalità e convivialità diffuso”. Il workshop di Agugiaro & Figna Molini, tenutosi nella seconda giornata, ha avuto come argomento centrale il lievito madre Naturkraft – Naturalmente Verace, che il centro di ricerche di Agugiaro e Figna Molini ha sviluppato con il sostegno dell’Università degli studi di Parma ed in collaborazione con lo staff tecnico dell’AVPN. Agugiaro & Figna è l’unico molino a produrre questa tipologia di lievito totalmente naturale, esso è realizzato sulla base di una tecnologia innovativa, che consiste nella riduzione del lievito di birra, mantenendone solo la quantità necessaria per l’innesco alla fermentazione e permettendo così di ottenere una pizza dall’eccellente digeribilità, croccantezza e fragranza. Per saperne di più: www.agugiarofigna.com
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cosa succede nel food & beverage
i salami clai produzioni di bontà Dai grandi classici alle specialità regionali, oltre 500 referenze per garantire la completezza di gamma. Il gruppo Clai, per la sua ampia proposta di salumeria, utilizza le migliori tecnologie produttive, a cui si uniscono la sapienza dei tempi passati per offrire il massimo livello di qualità e sicurezza. Tutti i salami della Linea Verde garantiscono infatti: certificazione di filiera, assenza di glutine, carni di puro suino. Il Salame Padano Clai è prodotto con le migliori carni suine, rigorosamente scelte e controllate, preparate con sale, spezie, vino bianco e aromi. Gusto delicato, macinatura medio/grossa. Prodotto con lunghezza di circa 60 cm, il salame presenta un diametro di circa 10,5 cm. Il Salame Ungherese Clai è prodotto con le migliori carni suine, rigorosamente scelte e controllate, preparate con sale, spezie e aromi per la stagionatura. Gusto leggermente affumicato, macinatura finissima. Prodotto con lunghezza di circa 60 cm, il salame presenta un diametro di circa 10,5 cm. Il Salame Milano Clai presenta un colore un rosso acceso, quasi rubino nella sua tonalità. Prodotto con lunghezza di circa 60 cm, il salame presenta un diametro di circa 10,5 cm; la pasta con aspetto tipico a grana di riso è compatta, ma non elastica. Per saperne di più: www.clai.it
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Salse MAGRINI LE DELIZIE s.r.l. - IMPORT EXPORT 90Sede _ cateringnews.it • settembre/ottobre 2012 Sociale ed Amministrativa e Laboratorio: Via Catagnina, 4 - 54100 MASSA Tel. 0585 791.151 - Fax 0585 791.409 - www.magriniledelizie.com -
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cosa succede
nel food & beverage
Grandi chef al Salone del Gusto Il Salone del Gusto e Terra Madre rappresentano un palcoscenico privilegiato sul quale ogni due anni migliaia di persone assistono allo spettacolo di grandi chef provenienti da tutto il mondo che presentano i propri piatti simbolo, ripercorrono la storia della propria cucina, raccontano innovative tecniche testimoniando con il loro lavoro il grande fermento che percorre il mondo della gastronomia a livello internazionale. Tra i Laboratori, antiche tecniche rinnovate e nuovi metodi di manipolazione, sono alla base dell’appuntamento con Lars Williams, direttore del Nordic Food Lab, l’istituto fondato da René Redzepi, chef del Noma di Copenaghen, e dall’imprenditore gastronomico Claus Meyer. Tra i frutti di queste ricerche in assaggio, il profumato e delicato gelato di alghe. Nordic Food Lab: ritorno al futuro La storia della cucina italiana è raccontata in quattro Teatri del Gusto che prendono spunto dal libro Cronache golose, di Marco Bolasco e Marco Trabucco, edito da Slow Food Editore, con Fulvio Pierangelini, Davide Scabin, Valentino Marcattilii e la famiglia Iaccarino che preparano i piatti simbolo dei loro ristoranti. Infine, per gli Appuntamenti a Tavola – in prestigiosi ristoranti di Torino e dintorni e nelle migliori cantine di Langa – attesa anteprima, mercoledì 24, con Davide Scabin, che mette in scena la Piola Combal: tovaglie a quadretti e posateria pesante per una cucina fedele alla tradizione, ma con un tocco d’autore. Insieme alla proposta di Enrico Crippa – l’ultima in calendario – quella di Scabin è un evento “neo pop” per una visione innovativa della cultura gastronomica regionale. Chi invece del Piemonte preferisce la tradizione in purezza non rinuncerà al menù stellato di Renzo e Giampiero Vivalda, dell’Antica Corona Reale di Cervere (Cn), che celebra 200 anni di storia. Evento top, l’Appuntamento a Tavola al ristorante Guido Pollenzo con Ugo Alciati e Mary Barale, già chef del Rododendro di Boves (Cn), che si riuniscono per omaggiare la grande cucina di territorio. Da non perdere anche i tre Appuntamenti a Tavola per esplorare la tendenza dei neo-bistrot francesi: da Parigi, Noriaky Tamizane e Giovanni Passerini per il ristorante Rino, e Raquel Carena del Baratin; da Dijon David Zuddas del DZ’envies. Per saperne di più: www.salonedelgustoterramadre.slowfood.it
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cosa succede nel food & beverage
Qualità e sicurezza, le regole di Asiago Food Da più di vent’anni presente nel mercato dei funghi spontanei, ASIAGO FOOD è un’azienda specializzata nella raccolta, produzione e commercializzazione di funghi di bosco e prodotti naturali surgelati per il retail e il catering. Attenta al consumatore moderno ed esigente, è la prima azienda italiana nel settore dei funghi ad ottenere il certificato ISO 9002, sinonimo di prodotti genuini al 100% la cui qualità è tutelata dalla presenza aziendale nelle zone di raccolta, garantendo inoltre trasparenza negli standard qualitativi in tutte le fasi produttive e commerciali, e la salubrità e sicurezza dei propri prodotti ad ogni cliente. Oltre alla produzione storica di una ampio assortimento di funghi di bosco, ASIAGO FOOD offre verdure e vegetali al naturale o pastellati e panati, e una gamma di frutti di bosco naturali, come mirtilli, ribes, lamponi , more e fragole, raccolti a mano e subito surgelati e confezionati nel rispetto di tutte le proprietà del frutto fresco. Per saperne di più: www.asiagofood.it
Il Premio Casato Prime Donne 2012
Ingros Rendena entra in Cateringross
Il Premio Casato Prime Donne 2012 è stato assegnato a Maria Carmela Lanzetta come esempio di nuova femminilità e di impegno civile capace di creare coinvolgimento. Il Sindaco di Monasterace Lanzetta ha subito l’incendio della farmacia di famiglia, spari sulla sua auto e altre minacce ma ha accettato di rimanere al suo posto in difesa della legalità e dei suoi concittadini. “I nostri occhi stupefatti dai colori del mare del paese natio / e dai cipressi che veleggiano sulle armoniose onde delle colline/ toscane. Viaggiare / nella loro prospettiva infinita / e pensare alla Bellezza del Paesaggio da tutelare / e alle Donne da proteggere dalla violenza quotidiana”. Il messaggio rimarrà nei vigneti di Brunello del Casato Prime Donne, la cantina che organizza il premio e che, prima in Italia, si avvale di un team interamente femminile coordinato da Donatella Cinelli Colombini.
La Famiglia Cooperativa Pinzolo è entrata a far parte di Cateringross, compiendo una scelta che conferma l’impegno costante di questa impresa cooperativa verso l’innovazione e il mercato. Infatti questa che è considerata la più grande Famiglia cooperativa del Trentino, in più di 110 anni di vita, grazie ad un impegno costante, alla saggezza dei suoi amministratori ed alla professionalità delle sue maestranze, ha ampliato progressivamente il suo campo d’azione sul territorio, negli assortimenti, nei servizi e nell’offerta in generale. In particolare saranno i due magazzini dell’Ingros Rendena, facenti parte della Famiglia Cooperativa Pinzolo, votati al catering per fornire alberghi, ristoratori ed enti, ad essere parte attiva del sistema Cateringross. Oltre all’insegna Ingros Rendena la cooperativa trentina aggrega 1800 soci e si avvale di dodici punti vendita al consumo.
Per saperne di più: www.cinellicolombini.it
Per saperne di più: www.fcoop-pinzolo.it
92 _ cateringnews.it • settembre/ottobre 2012
cosa succede nel food & beverage
i nuovi salumi Segata Nella tempesta di notizie che giungono ogni giorno relative ai prodotti alimentari, si distinguono le novità del Salumificio Segata che, nel corso del primo semestre 2012 ha implementato l’ assortimento per adeguarsi alle esigenze dei consumatori e degli operatori professionali del settore. In particolare merita attenzione la nuova Linea degli affettati take away e le buste “one price” sgrammati, ma anche i nuovi formati della Linea Salami crudi stagionati. Tra le novità spicca la nuova Fesa di Tacchino cotta al forno, lavorata secondo il metodo artigianale, cotta in rete, selezionando attentamente la materia prima, ideale per piatti freddi, l’alternativa per coloro che non vogliono consumare carni bovine e/o suine, ideale per una dieta equilibrata, leggera, si presta ad essere servita in tutte le varianti e fantasie che uno bravo chef sa fare. Questo prodotto, come tutti gli altri della produzione Segata, soddisfa coloro che sono intolleranti ai derivati del latte e/o glutine. Tra le caratteristiche principali: i due formati intero da 5 Kg e mezzo da 2,5 Kg; le confezioni sono sottovuoto e in sacco termoretraibile. La shelf life è di 90 giorni e la conservazione ideale è in frigorifero tra i 2 e i 4 gradi. Per saperne di più: www.segata.it
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94 _ cateringnews.it • settembre/ottobre 2012
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nel food & beverage
La qualità di Rodolfi Mansueto Rodolfi Mansueto si presenta, da settembre, con un netto cambio di immagine: nuovo logo corporate e restyling dei pack sia dell’ambito food service che retail. Anche Alpino e Ardita si presenteranno ai ristoratori con un’aria più fresca e rinnovata. L’azienda di Ozzano ha poi a disposizione un nuovo impianto per la produzione di bag in box da 5 chili che si aggiunge a quello già in funzione da 10 chili, utile e ancora più pratica per i ristoratori. L’innovativo sistema asettico del Bag in box, permette di conservare tutta la fragranza del pomodoro fresco e racchiude in sé la comodità di un imballaggio moderno. I prodotti mantengono così tutta la genuina freschezza, il profumo ed il giusto equilibrio dei componenti naturali del pomodoro. Dai migliori pomodori italiani raccolti al giusto grado di maturazione, selezionati e lavorati in giornata, nasce la linea Alpino. Polpe a pezzetti ideali per la cucina dei primi piatti, polpe fini adatte alla pizza, passata densa e cremosa e i concentrati ricchi e gustosi per preparare sughi. Dal 1911 Ardita è sinonimo di buon pomodoro. È una linea di prodotti di pomodoro studiata appositamente per pizzerie, ristoranti e ristorazione collettiva. La quantità di pomodori utilizzata è maggiore rispetto ai prodotti similari per ottenere così una maggiore resa nelle ricette. Per saperne di più: www.rodolfimansueto.com
il “Mix aperitivo Valledoro” L’ora dell’aperitivo con “Mix Aperitivo Valledoro” è sempre più ricca e gustosa. La referenza in commercio nell’innovativo box assortito è composta dai Cirri al rosmarino, crostini dal tipico gusto mediterraneo insaporiti dall’olio extra vergine d’oliva, dalle Zufe alla pizza e Zufe al pesto, i grissinetti al sapore di pizza e pesto, e dai Goldsnack al sesamo. Il “Mix Aperitivo Valledoro” è l’ideale per l’aperitivo e l’happy hour estivo: gli snack da forno sono appetitosi, leggeri, stuzzicano i palati e possono essere adatti per ogni occasione, serviti da soli o abbinati con salumi, formaggi, pinzimonio e salse. Non fritti e prodotti con materie prime selezionate, rispecchiano la tradizione del forno Valledoro che dal 1954 produce grissini e snack da forno di prima qualità, senza coloranti e conservanti. Il “Mix Aperitivo Valledoro” è disponibile in box assortiti o con singolo prodotto da 8 confezioni l’uno. Ciascuna referenza è presentata in packaging trasparente da 300 gr. Per saperne di più: www.valledorospa.it
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Catering ristorazione e consumi fuori casa
abbiamo scritto di: Agritech spa, San Michele (RA) Giorgio Agugiaro, Agugiaro&Figna, Curtarolo (PD) Paola Antonaci, Castello di Buttrio, Buttrio (UD) Fausto Arrighi, Michelin Italia Asiago Food, Veggiano (PD) Associazione Nazionale Città del Vino, Siena Associazione Verace Pizza Napoletana, Napoli Elena Bacchini, Surgital, Lavezzola (RA) Giovanni Bana, avvocato, Milano Paolo Barbagli, Drogheria & Alimentari, San Piero in Sieve (FI) Paul Bartolotta, Ristorante di Mare, Las Vegas Cristina Bellantoni, Osteria delle Commari, Roma Gian Paolo Belloni, Ristorante La Cucina di Gian Paolo, Pieve L. (GE) Giacomo Bernardi, GB Bernardi, Torino Ulderico Bernardi, sociologo Mauro Bernardini, Gastone Bernardini, Pontedera (PI) Giordano Biserni, Asaps Marco Bolasco, Slow Food Giustino Busiello, Assopaf, Cellole (CE) Thommy Cantoni, Alpi Carni, Livigno (SO) Gaetano Callà, Fipe, Rimini Clai, Imola (BO) Mario Caramella, Ristorante In Italy, Singapore Francesco Carapelli, Drogheria & Alimentari, San Piero in Sieve (FI) Corrado Casoli, GIV e Cantine Riunite CIV, Campegine (RE) Dario Cecchini, Officina della Carne, Panzano (FI) Guido Cerioni, Enoteca Hi Fi news la Musica in tavola, Parma Carmelo Chiaramonte, Modica (RG) Donatella Cinelli Colombini, Casato Prime Donne, Trequanda (SI) Giampiero e Carla Cinti, Trattoria la Palomba, Orvieto (TR) Lorenzo Cogo, Ristorante El Coq, Marano V.no (VI) Gabriella Costa, Ristorante al Ciocco, Farneta di Montefiorino (MO) Christian e Manuel Costardi, Da Cinzia, Vercelli Eugenio Collavini, Collavini, Corno di Rosazzo (UD) Teresa Covaceuszach , Ristorante Sale e Pepe, Stregna (UD) Luigi Cremona, giornalista Cresco spa, Brescia Pino Cuttaia, Ristorante la Madia, Licata (AG) Carlo Dall’Ava, Dok Dall’Ava, San Daniele (UD) Massimo Di Porzio, Ristorante Da Umbeto, Napoli Gennaro Esposito, Torre del Saracino, Vico Equense (NA) Eurofood, Corsico (MI) Andrea Gabin, Ristorante La Mondina, Marudo (LO) Walter Galli, Ristorante Toi Losor, Livigno (SO) Esmeralda Giampaoli, Fiepet-Confesercenti
Gruppo Alimentare Spadoni, Coccolia (RA) Giovanna Guidetti, Osteria la Fefa, Finale Emilia (MO) Alessandra Felluga, Castello di Buttrio, Buttrio (UD) Fabrizio Ferrari, Ristorante Al Porticciolo 84, Lecco Walter Filiputti, Consorzio FVG Via dei Sapori Adriano Formichi, Sapori di Toscana, Monteriggioni (SI) Jungheinrich, Rosate (MI) Carmela Lanzetta, sindaco di Monasterace (RC) Lutece, Olanda Giovanna Malini, Ristorante la Greppia, Verona Gabriele Montanari, Montanari & Gruzza, S.Ilario d’Enza (RE) Maria Greco Naccarato, food styling Gianfranco Pagliaricci, Castello della Castelluccia, Roma Patrizia Parretti, delegata ASPI, Firenze Teresa Pecora, Demetra, Talamona (SO) Cristina Pescio, Osteria del Diavolo, Asti Mauro Pighin, Friultrota, San Daniele (UD) Stefano Pinciaroli, PS Ristorante, Cerreto Guidi (FI) Aira Piva, chef, Singapore Maurizio Pradella, Cidia, Bergamo Davide Reciputi, Cateringross, Casalecchio di Reno (BO) Alberto e Alfredo Riva, Riva di Franciacorta, Provaglio d’Iseo (BS) Rodolfi Mansueto, Ozzano Taro (PR) Casimiro Rota, Ristorante da Ornella, Bergamo Max e Gianluca Sabinot, Ristorante Vitello d’Oro (UD) Tony Saccucci, scrittore Antonio Santini, Ristorante Dal Pescatore, Canneto sull’Oglio (MN) Andrea Sarri, Ristorante Agrodolce, Imperia Scanital, Milano Salone del gusto, Torino Salumificio Segata, Trento Sauro Scarabotta, Ristorante Friccò, San Paolo (Brasile) Rosario Scarpato, Itchefs Soster srl, Monteviale (VI) Massimo Spigaroli, Antica Corte Pallavicina, Polesine Parmense Elisabetta e Giuseppe Spitella, Albergo Ristorante Fontanelle, Loc. Fontanelle, campello sul Clitunno (PG) Pierluigi Stiaccini, Antica Trattoria la Torre, Castellina in Chianti (FI) Marco Tonni, agronomo Ivan Uanetto, Ristorante Da Nando, Mortegliano (UD) Valledoro spa, Brescia Marco Valletta, chef FIC Marianna Vitale, Ristorante Sud, Quarto (NA) Gianluigi Zenti, Academia Barilla, Parma Luigi Zaini spa, Milano Marco Zilioli, enologo Mario Zuffada, Riva di Franciacorta, Provaglio d’Iseo (BS)
N° 11 Settembre-Ottobre 2012 - Catering News - Poste Italiane Spa - Sped. AP. DL 353/03 Conv. in L. 27/02/2004 N° 46 Art. 1 comma 1 - CN/BO - Edizioni Catering srl – Via Margotti, 8 – 40033 Casalecchio di Reno (BO) - contiene I.P. - costo copia euro 3,50
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La parola ai giovani chef Ne discutono: Fabrizio Ferrari Lorenzo Cogo Stefano Pinciaroli Andrea Sarri Marianna Vitale
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Corrado Casoli Per affrontare il mercato è necessario avere consapevolezza del ruolo
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N° 11 Settembre - Ottobre 2012 Catering News - Poste Italiane Spa - Sped. AP. DL 353/03 Conv. in L. 27/02/2004 N° 46 Art. 1 comma 1 - CN/BO autorizz. del Tribunale di Bologna n. 6126 del 25/07/1992 EDITORE Edizioni Catering srl Presidente: Sergio Esposito Via Margotti, 8 – 40033 Casalecchio di Reno (BO) Tel. 051/751087 – Fax 051/751011
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cateringnews.it • settembre/ottobre 2012 _ 97
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sempre la ricetta giusta. Rosticciana di Cinta Senese con Verza padellata al profumo di Peperoncino Piccante. Condire la Rosticciana (costine di maiale) con aglio, rosmarino, sale e pepe e un filo di olio, poi mettere in forno a 140 gradi per 1 ora. Portare la temperature del forno a 190 gradi e fare rosolare bene le costine di maiale fino a che non abbiano una doratura uniforme. A parte rosolare l’aglio orsino in una padella antiaderente con un filo di olio, aggiungere il Cavolo Verza e cuocere per 7 minuti, regolare di sale e pepe. Comporre il piatto, mettere la verza al centro e adagiarvi sopra le costine. Guarnire con rosmarino fresco.
Ingredienti per 4 persone 1.200 g Coste di Cinta Senese 1.000 g di Cavolo Verza Orogel 1 cucchiaino di Misto Rosmarino e Aglio Orogel 1 cucchiaino di Peperoncino Piccante Orogel Olio extravergine di oliva Toscano Sale Pepe nero
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