Catering ristorazione e consumi fuori casa
N° 8 Marzo - Aprile 2012 - Catering News - Poste Italiane Spa - Sped. AP. DL 353/03 Conv. in L. 27/02/2004 N° 46 Art. 1 comma 1 - CN/BO - Edizioni Catering srl – Via Margotti, 8 – 40033 Casalecchio di Reno (BO) - contiene I.P. - costo copia euro 3,50
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E
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• IN SALA E IN CUCINA
Non siamo angeli (del focolare)
• FUORI CASA
Ristorazione a un bivio
• IL PRODOTTO
Tornare a dare valore alla pasta
• L’INTERVISTA
Riccardo Illy: L’ingegno e l’estetica sono i vantaggi delle imprese italiane
www.cateringnews.it
Insalata molle?
Se il cibo non fosse “rock”?
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l’editoriale di Roberto Martinelli direttore responsabile
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In questo numero del nostro giornale affrontiamo con profondità e dovizia di particolari l’argomento crisi nei consumi fuori casa. Non è la prima volta, ma visto il momento particolare che sta attraversando il Paese non possiamo soprassedere. Le circostanze sono la crisi economica, il calo dei consumi, le novità legislative incombenti nel settore, la plasticità della domanda nel fuori casa, l’offerta nel pubblico esercizio attanagliato da pressione fiscale da un lato ed evasione dall’altro. E fermiamoci qui, anche se l’elenco non sarebbe terminato. Vediamo, per quanto ci è consentito, di esplicitare i temi più caldi. La crisi è sconcertante, si sta manifestando con una seconda ondata dopo la prima del 2008/09. La leggera ripresa nel 2010 è stata aria fresca, ora la crisi è veramente minacciosa. Il guaio sono anche i tempi: non meno di due forse tre anni ancora e chi era prima sofferente ora farà fatica a resistere. Complici tanti fattori, endogeni ed esogeni al sistema. Come il calo dei consumi conseguenti alla crisi, ma con dei distinguo. Nonostante il reddito spendibile degli italiani sia diminuito, quello destinato ai consumi alimentari è inferiore rispetto ad altri settori apparentemente meno importanti (vedi telefonia, elettronica, abbigliamento). E il cibo non è “rock”, almeno per la maggioranza degli italiani. Nel senso che nei sondaggi tutti dichiarano di essere raffinati gourmet, ma poi quando si tratta di aprire il portafogli, si fa attenzione alla spesa e la tanto decantata qualità va a farsi benedire. Inoltre le novità legislative e fiscali non lasciano per nulla tranquilli. Si parla di liberalizzazioni non ancora terminate, dopo le passate lenzuolate non sembra che questo governo veda esaurito il lavaggio di testa. Poi è certo l’aumento dell’Iva di altri due punti, con una botta al settore che non farà certo bene. Ma non possiamo continuare a piangerci addosso. Nel senso che non tutto è in crisi, sparito e morto. Ci sono locali e format che lavorano più di altri, ci sono gestori che continuano a guadagnare anche più di prima. Segnali precisi confermano l’esistenza di consumi vitali. Occorre capire cosa sta succedendo e dove. Esistono locali ibridi in cui è presente un “overlap” di formule bar/ristoranti con vendita di food inglobato in altri formati del retail (libreria+cibo, abbigliamento+bar, mobile+ristorante) che funzionano e catturano i moderni consumatori del food fuori casa. Allora serve in questo momento una ristorazione attenta, preparata e professionale con in testa idee chiare su ciò che vuole fare. Se la crisi economica e la pressione fiscale fanno soffrire il settore, è inutile sperare che migliaia di esercizi obsoleti, mal gestiti e insignificanti, continuino a sopravvivere facendo concorrenza a chi ha meriti e capacità tirando a campare dietro il nefasto italico escamotage dell’evasione fiscale. Le statistiche ci restituiscono la fotografia di come sta il Paese, ma per fortuna a qualcuno il rock piace ancora.
cateringnews.it • marzo/aprile 2012 _
sommario
*20
in sala e in cucina Non siamo angeli (del focolare) di Alessandra Locatelli
scelti da catering l’editoriale
Se il cibo non fosse “rock”? di Roberto Martinelli
scelti da catering 5
Pata Demetra Eurovo D’Aucy CHEF
l’analisi 11
Quali scelte per i grossisti nel mercato del fuori casa? di Mauro Lamparelli
l’intervista 12
Riccardo Illy di Alessandra Locatelli
fuori casa 1
Ristorazione a un bivio di Luigi Franchi
in sala e in cucina 26
Quello di sala è un servizio ambito di Guido Parri
il cibo giusto 0
*
il prodotto Tornare a dare valore alla pasta di Luigi Franchi
Tra olio e ristorazione di Valentino Serra
le ricette degli chef 0
Frank Rizzuti Giuseppe Costa Michele Rotondo Viviana Varese
meglio prenotare
Pizzeria Piccola Ischia, Milano Ristorante Dal Maestro del Brodo, Palermo Ristorante Maso Pretzhof, Prati di Vizze, (BZ) Ristorante Le Due Torri, Presenzano (CE Ristorante Laite, Sappada (BL)
le matita rossa 7
Non solo cucina di Giuseppe Schipano
case history 8
Reagire ai mercati di Guido Parri
private label 5
Menoventuno piace al mercato di Giorgio Zanelli
distribuzione 58
Il suono delle cose buone di Guido Parri
eventi 61
Ristoranti sempre pieni: finzione o realtà? di Alessandra Locatelli
storie di cucina 6
Linea Italia in cucina di Luigi Franchi
equipment 70
Il calice: come riconoscerlo di Maurizia Martelli
perbacco! 75
Il consumo e il valore del vino italiano di Giuseppe Vaccarini
terre di vino 76
Una soave comunicazione di Eugenio Negri
terre di vino 80
Il vino si innova di Luigi Franchi
la consulenza 86
La nuova disciplina in materia di cessione dei prodotti agricoli e commerciali Avv. Alberto Figagnoli
cosa succede 88
Nel food e nel beverage
PATA ascolta i bisogni del consumatore Ad una patatina solitamente non si chiede di essere light, gli snack sono per loro natura prodotti trasgressivi che soddisfano la gola, non la linea. Pata invece ha chiesto proprio questo alle sue patatine: di essere ludiche, gustose e con il 30% in meno di grassi. Il risultato è stato ottenuto grazie ad un impegno serio in ricerca e investimenti in tecnologia. Ma il lavoro non si è fermato lì! Con i PENTAGRANI, snack a base di 5 CEREALI (anche qui in linea con i trend di consumo) ma per oltre il 70% integrali, con un assorbimento di grassi inferiore ai prodotti equivalenti sul mercato. Altri prodotti sono allo studio, nella categoria Gluten Free, ma quella è un’altra puntata di una bella storia aziendale. PATA S.P.A. • Castiglione delle Stiviere (MN) • Tel. 076 6787 • www.pata.it
Chili con carne è la nuova ricetta di Demetra Aumentano in numero e qualità le referenze dell’azienda valtellinese la cui gamma, sintesi tra la tradizione gastronomica italiana e la cucina moderna ed innovativa, si è sviluppata nel corso degli anni partendo dai tradizionali antipasti sott’olio per arrivare ad oltre 400 innovative specialità ricettate a base di funghi, vegetali, carne, pesce senza tralasciare i dessert. In questo caso entra in gioco la contaminazione dei gusti e delle tradizioni: arriva infatti dalla cultura western americana e si adatta, in maniera praticamente unica, all’interpretazione e al gusto italiano il nuovo piatto della gamma Demetra: Chili con carne, fagioli e spezie. Una proposta che si distanzia in modo netto e chiaro dai prodotti realizzati per il canale GDO. Il nome originale di questa ricetta è “Chili beef”, noto in Italia come “Chili con carne”. Demetra ha deciso di industrializzare questa secolare combinazione e lo ha fatto con la ricetta esclusiva del Cowboy’s Guest Ranch di Voghera, più vicina al gusto europeo (senza peperoni). Disponibile in busta flessibile da 400g, vanta una shelf life di 36 mesi.
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cateringnews.it • marzo/aprile 2012 _ 5
scelti da catering
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Le novità D’Aucy sorprendono il mercato
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TRADIZIONE DI ECCELLENZA
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cateringnews.it • marzo/aprile 2012 _
Quali scelte per i grossisti nel mercato del fuori casa?
l’analisi
di Mauro Lamparelli direttore di TradeLab
In Italia operano circa 5000 grossisti (fonte TradeLab Linea Gross 2010) che servono prevalentemente punti di consumo fuori casa e, in particolare al sud, negozi al dettaglio. Le macrocategorie trattate fanno riferimento al beverage, al food secco, fresco e surgelato e al dolciario. Nel corso di questi ultimi anni il numero di operatori si è ridotto ma non in maniera tale da generare fenomeni di concentrazione che permettano importanti ottimizzazioni logistiche, commerciali e di acquisto. Contemporaneamente è aumentata la concorrenza costituita dai cash & carry e dai grandi operatori della GDA che guardano con maggior attenzione al mercato del fuori casa come possibile area di recupero dei margini sempre più risicati che è in grado di garantire il mercato at home. Come è possibile in questa situazione generare valore e uscire da una pura competizione di prezzo? Il fenomeno consortile sembra essere in una fase di stallo e le cause vanno ricercate da una parte nella scarsa capacità di fornire servizi adeguati ai propri associati (e quindi fidelizzarli) e dall’altra nelle difficoltà a porsi come reale partner nei confronti delle aziende produttrici. Alla luce di questa situazione appare chiaro che gli imprenditori che operano in questo settore dovranno effettuare delle scelte importanti per garantirsi un futuro economicamente e finanziariamente stabile. Vediamo quali possono essere. Iperspecializzazione Specializzare la propria offerta in un settore merceologico o verso un segmento di clientela: nel primo caso la possibilità sembra potersi ricondurre solo alle merceologie del freschissimo perchè trasversali a un elevato numero di punti di consumo, nel secondo un’opportunità può essere costituita dal mondo della sera e della notte. Per chi volesse prendere in considerazione una scelta del genere si impongono valutazioni circa la numerosità dei punti di consumo potenziali presenti nel proprio mercato di riferimento, la capacità di costruire un assortimento adeguato e garantire i servizi necessari a questo target e infine monitorare il turnover tipico di questi locali e il conseguente rischio di insolvenza. Aumento della quota sui punti di consumo nel territorio di riferimento Una scelta del genere significa passare da una strategia finalizzata a servire il più alto numero di punti di consumo possibili a una, più sensata a mio avviso, che si pone l’obiettivo di diventare gradualmente il fornitore di riferimento per i propri clienti. Tale strategia assume più rilevanza in un momento in cui la tendenza dei locali è di ridurre il numero di fornitori per ottimizzare tempi e costi di gestione. I fattori di successo di questa scelta sono costituiti dalla segmentazione e selezione dei punti di consumo obiettivo, dalla costruzione del miglior assortimento per rispondere ai loro bisogni e dalla creazione di un rapporto più stretto con un numero limitato di fornitori. Ampliare la propria area di operatività Operare tale scelta significa entrare in nuovi territori sostituendosi ad altri fornitori attraverso un’offerta che garantisca un chiaro vantaggio competitivo e/o di servizio. Il target da prendere in considerazione per rendere vincente una scelta del genere potrebbe essere costituito anche da grossisti di piccole dimensioni considerati poco attrattivi dalle aziende produttrici. Alla base di un simile posizionamento deve esserci una grande efficienza in tutti i processi aziendali con particolare riferimento a quelli inerenti gli acquisti e la logistica.
cateringnews.it • marzo/aprile 2012 _ 11
Riccardo Illy L’ingegno e l’estetica sono i vantaggi delle imprese italiane di Alessandra Locatelli
l’intervista 12 _ cateringnews.it • marzo/aprile 2012
Illycaffè: storica azienda di famiglia nata nel 1933 per volere di un uomo, Francesco Illy, diventata con il tempo sinonimo di eccellenza e gusto italiano nel mondo. Riccardo Illy: la terza generazione, è presidente del Gruppo Illy, che controlla oltre a Illycaffè, Domori, Dammann Frères, Mastrojanni ed ha una partecipazione in Agrimontana. Imprenditore, politico, giornalista, ha una precisa visione di ciò che dovrebbero essere un uomo, una famiglia, un’impresa. E non ha paura di dirlo. La sua famiglia in ottant’anni ha contribuito a modificare profondamente la fotografia dell’imprenditoria italiana. Oggi Illycaffè è la prima azienda al mondo ad aver ricevuto la certificazione “Responsible Supply Chain Process” di DNV, per essere sostenibile in tutta la filiera, dal chicco di caffè alla tazzina. Lei afferma spesso che una visione, umana ed imprenditoriale, etica e guidata da valori stabili nel tempo, fa la differenza. È questo che rende unici? E quando conta oggi, nel 2012, il ruolo del passato in una azienda? Il valore dei prodotti, il business model, l’impegno e l’investimento in ricerca, sviluppo e qualità animati da una sincera passione sono fondamentali per un’impresa. Ma è il rispetto e l’attenzione per i clienti, collaboratori, fornitori e per la società - quelli che oggi chiamiamo “stakeholders” - a costituire oggi un fattore di forte differenziazione, se non di unicità. E non si tratta, come potrebbe apparire, di mecenatismo ma di una consapevole scelta imprenditoriale perché questo approccio crea, nel tempo, valore per tutti i soggetti coinvolti. Questa filosofia permea non solo l’attività nel caffè, ma quella di tutte le aziende del Gruppo Illy. Ad esempio, con Domori siamo impegnati a salvaguardare dall’estinzione il Criollo, una varietà di cacao con proprietà di gusto e organolettiche eccezionali, che oggi esiste ed è coltivato in pochissime piantagioni nel mondo, e tra queste una delle più grandi è la nostra in Venezuela. Il Gruppo Illy ha ampliato il proprio know how confermandosi sul mercato internazionale come polo del gusto con cinque prodotti, simbolo per eccellenza di raccoglimento, di meditazione e di piacere. Si tratta di alimenti destinati alla “pausa relax” e al fine pasto: si tratta di una scelta vocata o ci sono altre motivazioni? La scelta è stata dettata dalla volontà di ritornare a valorizzare la qualità di prodotti nei quali la nostra famiglia di imprenditori, fin dal nonno Francesco Illy e dal papà Ernesto, si era già impegnata. Agrimontana, con i suoi prodotti a base di frutta, la cantina Mastrojanni, il pregiatissimo cioccolato Domori, gli infusi e i tè Dammann Freres rappresentano un patrimonio ineguagliabile di gusto, tradizione, qualità. Abbiamo voluto guardare al futuro ispirandoci alle esperienze del passato. La ricerca della qualità è una scelta difficile in un mercato come quello odierno, ma il nostro gruppo, giorno dopo giorno, dimostra che è una scelta vincente.
La nostra sfida è stata mettere al centro l’amore per le cose buone, offrendo un ventaglio di prodotti pregiati e addirittura unici per andare incontro alle esigenze di un consumatore sempre più attento, informato e che chiede qualità. Quale immagine dell’Italia si può dare nel mondo con una tazzina di caffè espresso? Nei vostri Espressamente Illy a quali concetti vi siete ispirati? Le imprese italiane vincono all’estero grazie a due vantaggi competitivi: l’ingegno (tipico della meccanica) e l’estetica, che ritroviamo nell’arte, nella moda, nel design, nei mobili, nelle automobili e nell’agroalimentare. Noi abbiamo voluto rappresentare in un tipico caffè all’italiana un concentrato di “bellezza” attraverso il progetto, l’arredo, il design, le divise del personale e naturalmente attraverso la qualità dei prodotti che vengono offerti, caffè in primis. Il tutto per dare al consumatore un’ esperienza estetica complessa, avvolgente e memorabile. Lei è stato un innovatore nel marketing strategico aziendale. Oggi si assiste ad un ripensamento nel modo di valutare gli stili di consumo e il marketing cosiddetto olistico, rivolto alla testa al cuore e allo spirito del consumatore, ha scavalcato quello più strettamente focalizzato al profitto. Quanto durerà? Il profitto è la conseguenza della capacità di soddisfare, attraverso un’ esperienza di consumo dalla qualità totale, le esigenze esplicite ma sopratutto latenti del consumatore. Chi si focalizza sul cliente e sul consumatore per “sorprenderlo” con un’esperienza e una qualità che non sapeva di desiderare ma che apprezza, realizza anche buoni risultati aziendali, crescenti nel medio-lungo termine. Sono evoluzioni legate al consumatore moderno che è più informato, più esigente, più curioso e volubile. Ancora una volta è la qualità a fare la differenza e a segnare il punto di demarcazione. E anche in periodi di recessione questa strategia risulta vincente: il consumatore può comprare un nostro prodotto di alta qualità per regalarsi un momento speciale e “consolarsi” del fatto che non può fare una spesa o un investimento più importante. “Il cuoco è un chimico dell’intuizione”: di questa affermazione di suo padre si sono appropriati in molti… Come sta la gastronomia italiana? Quali sono gli ingredienti che non dovrebbero mancare al/alla giovane che intende affacciarsi su questo mondo? La gastronomia italiana esprime da sempre grande creatività e un certo gusto per l’innovazione seppure nel solco di una tradizione ben radicata. Oggi in tutto il mondo, senza che spesso ce ne rendiamo conto, i ristoranti di riferimento propongono la cucina italiana. Credo che ai giovani soprattutto vada insegnato il valore dalla sfida, della scommessa con se stessi per la ricerca dell’eccellenza, a partire dalle materie prime che il nostro Paese sa esprimere. Qual è il suo piatto della memoria? Un risotto al midollo che mia moglie (Rossana Bettini, ndr) ha preparato tanti anni fa; ogni volta che le dico che non lo ha più rifatto uguale si arrabbia... Ma pochi giorni orsono ne ha fatto uno, pur con ingredienti diversi, di pari intensità e equilibrio.
Proprio in un momento di crisi come questo il legame e l’attaccamento ai valori etici nei quali si crede e la valorizzazione del capitale umano possono rappresentare un’ ancora.
cateringnews.it • marzo/aprile 2012 _ 1
Tagliati i consumi alimentari La famiglia italiana spende 1.855 euro per acquistare prodotti alimentari, quando nei primi anni ’90 ne spendevamo 1.994. La crisi ha alleggerito, tra il 2007 e il 2011, di 7 miliardi la borsa della spesa degli italiani e di altri 2 miliardi sono i tagli nel mercato dei consumi fuori casa. Però non sta
zione perché ovunque la spesa per il cibo appare inadeguata”. Stanno venendo avanti alcuni fenomeni come il vending che, con i suoi 2.300.000 apparecchi collocati, riduce il rapporto con il cibo a fenomeno esclusivamente di rapidità di consumo, senza la possibilità di interagire. Addirittura, per rendere più accattivante questa formula negli Stati Uniti stanno “umanizzando” le macchine distributrici che colloquiano con il cliente. “Trent’anni fa capii subito che il cellulare sarebbe diventato il mio peggior concorrente – afferma Richard D’Angelo, storico gestore del Rose & Crown di Rimini, primo pub aperto in Italia nel 1964 – e cercai di attrezzarmi per compensare l’eventuale calo dei consumi generato da una nuova voce di spesa costituita appunto dal cellulare. Ma il problema vero oggi è la capacità professionale di stare sul mercato, unita alla forza economica. E quest’ultimo sta diventando un problema
nella crisi l’unico motivo. Non è un caso che, mentre il peso della spesa alimentare ha perso, in poco meno di quarant’anni, il 20% del budget familiare, quello per la comunicazione è aumentato di dieci volte, dai 56 euro degli anni 70 agli attuali 560 euro, a cui si aggiunge quello della sanità (da 65 a 500 euro) complice, in quest’ultimo caso, il progressivo invecchiamento della popolazione. “Soltanto nel Regno Unito si verifica un trend simile a quello italiano, a testimonianza del fatto che andiamo sempre di più verso un modello anglosassone di relazione con il consumo alimentare. In Francia, ad esempio, la quota è scesa di cinque punti in vent’anni. Ma l’esperienza di altri Paesi, tuttavia, non può essere motivo di consola-
molto serio. Se fino a qualche anno fa la disponibilità di mezzi finanziari propri per aprire un locale era pari al 30%, oggi è ridotta a zero. Si aprono locali partendo già indebitati!” Sarà forse questo, o anche questo, una delle cause della chiusura degli 8.857 pubblici esercizi? “Il problema del credito sta diventando enorme e si assomma all’altro aspetto che non va dimenticato, se parliamo di calo dei consumi: nel ristorante non si spende a rate, come invece avviene tra le decine di offerte quotidiane in tutti i canali del consumo, a cominciare dall’elettronica. - avverte Alfredo Zini, vicepresidente FIPE – La crisi nel piatto paga anche questi aspetti. Come far ripartire i consumi? Questo è il tema vero; tra le ricette va messa in luce anche quella di permettere alla
il triste primato del più alto tasso di bambini in sovrappeso e nella popolazione adulta sono circa 5 milioni le persone obese e il 35,5% degli italiani è in sovrappeso. La cultura del salutismo a tavola ha purtroppo generato, in vent’anni, un incremento di spesa di soli 3 euro per il consumo di frutta e 5 per quello di verdure. Questo dato è, del resto, in sintonia con la scelta più generale di spendere meno per mangiare, che non si traduce con mangiare meno, perché “più del 50% pensa che in casa si spenda molto per il cibo”.
fuori casa
Ristorazione a un bivio Cambiano consumi, spesa, stili di vita. E la ristorazione come affronta il cambiamento?
di Luigi Franchi
1 _ cateringnews.it • marzo/aprile 2012
Esattamente un anno fa il dato più rilevante dei consumi fuori casa, secondo le diverse ricerche che solitamente escono in questo periodo, derivava dal fatto che l’Italia era in controtendenza rispetto al resto dell’Europa e che la ristorazione (che valeva 16,3 miliardi di euro di fatturato rispetto ai 70,7 complessivi del fuori casa) era una sorta di ancora di salvezza di tutta la filiera. Quest’anno, secondo i dati presentati a Sapore Tasting Experience dalla ricerca FIPE dal realistico titolo “La crisi nel piatto”, si assiste ad un saldo negativo pari a 8.857 tra aperture e chiusure di pubblici esercizi. Lo ha spiegato Carlo Maria Breschi di FIPE, introducendo la ricerca fatta dall’Ufficio Studi dell’associazione: “C’è una grande crescita mediatica attorno al mondo del cibo che però non si traduce in crescita al consumo e, inoltre, il cibo devia pericolosamente verso il ruolo di commodities”. Questo è forse il problema più drammatico del settore: quando si entra nel grande mare magnum delle commodities la leva resta solo il prezzo, mentre il valore culturale e, ancor più preoccupante, il valore salutistico del cibo vengono spazzati via. Il fenomeno allarmante, sempre evidenziato nella ricerca, è infatti la crescita dell’obesità infantile che vede l’Italia detenere
cateringnews.it • marzo/aprile 2012 _ 15
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ristorazione, e all’ho.re.ca. in generale, di avere prodotti differenti e riconoscibili”. Un compito che tutto il mondo del food service deve assolvere, insieme agli altri attori della filiera, distributori e pubblici esercizi. Ma nonostante tutto… “La crescita del mercato del fuori casa in questo momento è inferiore ai trend previsti. È vero che i consumi, anche nel fuori casa, risentono negativamente dell’attuale situazione di mercato, anche se non tutti i segmenti ne risentono in egual misura. Per esempio, lo street market ha un leggero aumento dei consumi dovuto alla migliore selezione dei prodotti che ha dovuto attuare in risposta alle mutate richieste del consumatore finale. Mi viene da pensare che le nuove esigenze di consumo corrispondano ad una vera e propria richiesta di ritorno alla tipicità, alla tradizione, alla semplicità” spiega Pasquale Pizzuti, direttore commerciale del gruppo distributivo Quartiglia, associato a Cateringross. Una riflessione che si sposa bene con quanto ha affermato con sana provocazione, l’assessore al turismo della Regione Emilia-Romagna, Maurizio Melucci, durante la presentazione dell’indagine FIPE: “Occorre mettere sempre in condizione
il consumatore di sapere quanto spende, ma non appiccicando fuori dalla porta il cartello menu turistico: quello è l’immagine di un servizio complessivamente standardizzato e di pessima qualità. Mettiamo fuori il cartello del menu regionale, tradizionale, tipico e noi saremo disposti a sostenere questi ristoratori con un marchio di qualità”. La stessa ricerca mette in evidenza come il consumatore sia fortemente orientato verso le produzioni regionali, come scrive Luciano Sbraga, responsabile dell’Ufficio Studi FIPE: “La globalizzazione non sempre vince a tavola. Nel giro di quattro anni la quota di italiani che preferisce le specialità gastronomiche regionali aumenta di circa otto punti percentuali, passando dal 56 al 63,5% della popolazione. C’è da dire, tuttavia, che almeno un italiano su due l’ha sempre pensata così”. Si è disposti a spendere di più per i prodotti di qualità, lo afferma il 72,5% delle persone e il 57,9% ribadisce il piacere di provare cibi tipici, provenienti da piccole produzioni. Ma, come afferma Giuseppe Cuzziol, presidente del consorzio di distributori del beverage Italgrob, “sono cambiate non solo le abitudini, ma anche il vissuto dei pubblici esercizi, è cambiato il ruolo di socializzazione che il consumatore individua nel pubblico esercizio e questo, molto più del prez-
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Il 2012, un anno durissimo
zo competitivo, rappresenta il valore aggiunto”. Ecco allora affacciarsi ed avere successo, secondo Costaguta di Bain & company, azienda partner al forum del fuori casa a Cernobbio, “alcuni formati, fortemente focalizzati sui trend di fondo: ad esempio chi accoglie un cliente più anziano e più femminile, chi polarizza verso l’alto o il basso spendente, chi offre più attrazione, chi crea un senso di affiliazione, soprattutto per i giovani e via di questo passo”. In questi scenari in continuo movimento, connotati anche da atteggiamenti schizofrenici, si deve collocare la distribuzione che, per rispondere alla domanda di tipico che viene avanti, deve allargare le relazioni con le produzioni del territorio circostante, spesso con piccoli produttori e con i conseguenti problemi logistici e organizzativi in termini di volumi e di consegne ma con la voglia di rispondere alle nuove esigenze di mercato. “A tal fine il gruppo che rappresento sta attuando politiche assortimentali rivolte alla selezione e alla distribuzione delle tipicità del nostro paese” puntualizza Pasquale Pizzuti di Quartiglia. Ma, per quest’anno, chi saranno i principali clienti del fuori casa disposti a spendere di più e cercare le tipicità e i locali distintivi? Nessun dubbio per Luca Pellegrini, presidente di TradeLab: “sono i giovani: single, coppie senza figli e bamboccioni con una domanda poco elastica, sociale prima che “alimentare”; cercheranno alternative low cost, ma non rinunceranno al fuori casa”. E, sempre da lui, arriva una nota rinfrancante per il grossista: “È e resterà l’anello centrale per collegare produzione e punto di consumo: la frammentazione del settore non diminuirà e il grossista è l’unico è operatore che può svolgere questo ruolo (responsabilità)”. Ma attenzione: il cliente chiede e chiederà sempre di più: ricerca di efficienza non solo sui volumi, maggiore informazione, prodotti innovativi, diversificati e unici.
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Molte imprese saranno messe a dura prova e solo se riusciranno ad uscirne indenni potranno guardare al futuro. Sembra una posizione eccessivamente pessimistica la mia, ma non posso, né voglio esprimermi diversamente. Da tempo ripeto che il settore dei consumi fuori casa vive di una situazione di debolezza strutturale: troppi punti al consumo e tanti, troppi, non adeguati; frazionamento delle fonti di approvvigionamento e quindi settore intermedio della filiera poco razionalizzato; settore dove cercano di sfogarsi gli appetiti di una grossa fetta della produzione, anche questa frazionatissima, per ricercare quella redditività che non gli è più consentita per effetto della forza contrattuale della GD. Su questa situazione strutturale si innesta anche una situazione contingente, figlia della crisi che ancora imperversa. Difficile a questo punto contestare la mia posizione. In questo contesto si sono accentuate le situazioni di difficoltà a pagare le forniture e moltiplicate le insolvenze. Il sistema bancario ha ridotto in molti casi gli affidamenti alle imprese; non ne concede di nuovi; ha aumentato vertiginosamente gli interessi passivi. Di questa situazione soffriranno in primis le imprese già malate a tutti i livelli della filiera. In attesa che cambi la situazione, lo ripeto da tempo, deve ridursi il numero degli attori in campo, soffriranno anche quelle più sane. Riguardo al nostro settore, le imprese è il momento che provino ad intervenire cambiando i propri approcci sia nell’organizzazione che nelle modalità con cui si rivolgono al mercato. Bisogna investire ora e non attendere che la situazione migliori. Come Cateringross siamo impegnati a sensibilizzare le imprese socie perché migliorino il proprio ruolo e la propria capacità di erogare servizi al settore della ristorazione. Cerchiamo di orientarle verso una selezione della clientela che privilegi quanti emergono qualitativamente e nella gestione del punto di consumo. Occorre produrre proprio ora un forte sforzo per investimenti nei cambiamenti per essere primi davanti a tutti a aggredire il mercato non appena si riaprirà. Sul piano politico necessita che le migliori e più responsabili forze che operano sul mercato dei consumi fuori casa, anche se concorrenti, si riuniscano per definire assieme quali nuovi indirizzi comuni siano necessari per produrre una rinascita virtuosa del settore. Servono momenti concreti di serio confronto e profonda discussione e non vetrine, in concorrenza fra loro, dove non si affrontano i problemi reali del settore.
Mauro Entradi Direttore generale Cateringross
Loretta Fanella
Antonella Iandolo
Sandra Ciciriello e Viviana Varese
in sala e in cucina
Aurora Mazzucchelli Jumpa Tarquini
passa inosservato, quindi dobbiamo esporci di più, esserci, renderci più disponibili pur continuando ad essere molto responsabili” si racconta la Mazzucchelli, trentottenne chef patron del Ristorante Marconi a Sasso Marconi. La sensazione che mi arriva, e che talvolta provo anch’io sulla mia pelle, è quella dell’esemplare sotto esame, continuamente messa nelle condizioni di dover dare di più di un collega maschio, senza sgarrare di una virgola e con qualcuno nei paraggi che troverà sempre da ridire: è un circolo vizioso. E mi chiedo quanto la comunicazione e i giudizi degli opinion leader influenzino il mercato della ristorazione anche nella maniera di considerare le tante, tantissime cuoche che ne fanno parte. Mi chiedo perché si continui a leggere la definizione «cucina in rosa», quando a nessun giornalista verrebbe mai in mente di scrivere della «cucina in azzurro»; e perché si insista a parlare della cucina delle cuoche rimarcando la ricerca del tocco
tro la cucina; questa «misura d’uomo» la si ritrova anche nella logistica di numerosi eventi legati alla ristorazione, spesso ad orari impossibili e collocati nel week end: ma ci si partecipa comunque. Dare per scontato, come metro di misura per essere credibili, che la donna debba lavorare più dell’uomo non soltanto è sbagliato, è pregiudizievole e razzista. Ma a giudicare diversamente abili le donne sono talvolta altre donne. “È grave: una donna è una persona impegnata e responsabile come lo può essere un uomo. Poi se è moglie e mamma l’impegno è maggiore: in una mossa riesce a farne tre” afferma Loretta Fanella, strepitosa pasticcera oggi con il marito al Caffé Mamà di Livorno e mamma di un bambino di quattro mesi. Accontentarsi è un verbo finalmente sempre meno declinabile al femminile? “La donna nel tempo ha acquisito più determinazione e sicurezza e si è voluta esporre, giusta-
femminile, qualunque cosa sia, ma non perviene da nessuna parte il tocco virile (e per fortuna): i compartimenti stagni, il luoghi comuni, le generalizzazioni fanno solo perdere valore al lavoro, che non ha sesso, deve solo essere svolto al meglio. “Sono le condizioni ad essere a misura d’uomo, non il lavoro” afferma Jumpa Tarquini, ventotto anni, cuoca con le due sorelle e la madre, Anna Pocchiari, al ristorante romano Il desiderio preso per la coda. “In Italia la maternità è un handicap per una donna che lavora, i diritti sono pochi e confusivi e c’è un sommerso di non detto che spinge la donna a non interrompere comunque il lavoro, o a farlo per il minor tempo possibile, anche meno di quello stabilito dalla legge, altrimenti il titolare si cerca qualcun altro.” Grande verità, fuori e den-
mente, sempre più nel lavoro, qualsiasi esso sia, e intraprendere una carriera. Non conta essere uomo o donna, conta il tempo: per ottenere dei risultati nel lavoro occorrono sacrifici e tante ore, come per essere una buona moglie o un’ottima mamma” continua la Fanella. “Tutto si può fare, l’importante è come lo si fa. Io ho scelto la carriera prima e di non godermi l’adolescenza, per poi poter scegliere, a trent’anni, di fare una pausa e diventare mamma.” Già, mamma: una parola che spesso viene distorta per categorizzare al ribasso. Se uno chef afferma di aver imparato a cucinare il risotto dalla mamma la cosa è simpatica e finisce lì, se lo fa una cuoca ecco spuntare in automatico la cucina casalinga. Mamma non è una parolaccia o un termine fol-
Non siamo angeli (del focolare) di Alessandra Locatelli
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Riconoscere la vera intelligenza, quando la si incontra, sorprende. E un po’ destabilizza nel ricordarci che l’emozione e la sensibilità ne sono i muri portanti e non satelliti facoltativi, per non dire penalizzanti. Questo doveva essere un articolo sulle chef donne, ma non lo sarà. Perché ascoltandole raccontarsi, Aurora Mazzucchelli, Viviana Varese, Sandra Ciciriello, Loretta Fanella, Antonella Iandolo e Jumpa Tarquini, ha preso sempre più forza un pensiero su cui rifletto ogni volta che leggo qualcosa sul binomio uomodonna in cucina: siamo ancora fermi qui? A quanto pare sì, se si consumano fiumi di inchiostro e si riempiono i blog con il gioco delle differenze tra i due sessi. Partiamo da un dato: solo un ristorante stellato su sette, in Italia, ha in cucina una cuoca. Se decidiamo di non raccontarci la favoletta che vede gli uomini più bravi, più forti, più competitivi, più impegnati e le donne meno concrete, meno preparate, meno dedite alla carriera, allora qual è la verità? “A volte è necessario porsi in modo particolare per avere maggiore credibilità, come se il fatto di lavorare tanto e bene non bastasse perché non stiamo lì a ribadirlo sempre. A chi è poco attento
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cloristico da citare per mettere etichette, la cuoca mamma VS lo chef rockstar. Andiamo oltre. “Mia madre fa la cuoca da quarant’anni e mi ha insegnato il rispetto del lavoro, la costanza dei gesti rassicuranti, come reggere lo stress; mio padre era l’uomo della spesa, da lui ho imparato ad emozionarmi davanti a qualcosa di bello e di buono”, parola di Viviana Varese, trentasette anni, di Alice Ristorante a Milano. “È così che mi sono costruita una memoria del gusto, una biblioteca dei sapori che poi, con il tempo, ho fatto mia, stravolgendone la forma ma attingendone i vissuti” e sentire sua madre, mentre affetta le patate, dire “io le taglio da mamma” fa capire perfettamente cosa intende Viviana Varese quando spiega che “ci vuole qualcuno che ti ricordi chi sei. La mia filosofia di cucina si è formata conoscendomi, creando qualcosa di nuovo insieme alla mia socia Sandra, per noi stesse, giudici e critici a parte.”
si ostacolano a vicenda, anziché sostenersi. Come se fosse obbligatorio dimostrare anche a loro che siamo «più qualcosa»” Come si va oltre? “Giocando d’intelligenza e di sensibilità: sono le due cose che permettono di amalgamare tutto, dentro e fuori la cucina.” Cucina che da che mondo è mondo è in mano alle donne, è la cultura di una storia che ha attraversato la storia: ma si tratta della cucina di casa, non di un mestiere retribuito. Gli uomini hanno saputo e potuto trasformare in lavoro fuori casa ciò che le loro donne hanno da sempre fatto tra mura domestiche, e questo ha facilitato e favorito la sperimentazione, l’innovazione, l’affermazione della gastronomia di livello. “Questa eredità è ancora visibile, nella fantasia e nell’azzardo di molti cuochi” afferma Antonella Iandolo, quarantun anni, che da qualche mese ha chiuso il suo ristorante La Scuderia a San Miche-
“Viviana ed io per dieci anni non abbiamo avuto vita privata, tutto era da costruire” racconta Sandra Ciciriello, quarantacinque anni di cui ventotto passati al mercato del pesce. “Per molto tempo abbiamo abitato di fronte al locale, eravamo solo casa e ristorante! Oggi, abbiamo una brigata in gran misura femminile e abbiamo imparato a delegare.” La loro storia sarà presto raccontata in un libro che non vedo l’ora di leggere: “Quando iniziai a lavorare al mercato non c’erano altre donne; a venticinque anni avevo dieci uomini alle mie dipendenze” ricorda la Ciciriello “è stato un inferno, spesso ho pensato di mollare tutto. Dovevo continuamente dimostrare di essere superiore, prima di testa che di forza fisica, facendo le stesse cose loro. Solo che molti uomini riescono meglio di noi a fare squadra mentre ancora troppe donne
le di Serino, in provincia di Avellino, e per ora fa consulenze, ha un programma radiofonico di ricette e tiene corsi di cucina ai ragazzi delle scuole medie. “L’eredità trasmessa in casa dalle madri, nonne e zie forse le donne la traducono in composizioni e accostamenti immediati, rassicuranti, istintivi. Non è un limite tra uomo e donna, credo sia proprio antropologico e genetico. La questione è un’altra: sono troppo poche le persone che fanno questo lavoro con umiltà ed onestà, e molte quelle che hanno scarsa coscienza della responsabilità verso la materia prima e verso i clienti. Bisogna informarsi, sapere cosa dire, ed essere obbligati a sapere cosa si sta facendo.” Continua la Mazzucchelli: “È verissimo: la professionalità non è maschio o femmina e va coltivata per esempio andando direttamente dal produttore a farsi raccontare
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un prodotto, la sua storia; quando c’è passione e voglia di comunicarla si crea una catena, e anche io posso portare questa passione ai clienti, a parole e nel piatto. È femminilità questo desiderio di cura? Non sono così categorica…” “Probabilmente rende il lavoro che faccio più elegante, leggero e pulito, con un lato romantico e fiabesco” aggiunge la Fanella “ma uomo o donna che sia, ognuno con il proprio stile, se sei preparato e dimostri di avere i numeri, sei rispettato e stimato dai tuoi collaboratori e colleghi. Io ne sono l’esempio.” Non c’è sfida in queste parole, ma forte senso del dovere, competizione e necessità di confronto come valore arricchente per il lavoro. Ma tra colleghi c’è sostegno o rivalità? “Per la verità un po’ di invidia c’è” risponde la Iandolo “se non hai carattere, e qualcuno vicino che crede in te e si fida, può far male. Le donne ai vertici dell’alta ristorazione sono poche, soprattutto se giovani e alle dipendenze, perché sono penalizzate da quegli uomini che lavorano ma a casa vogliono la moglie che torna prima di loro e da quelle donne che continuano a sentirsi inferiori. Avere accanto un compagno o una compagna che capisce il tuo lavoro fa la differenza. C’è bisogno che si parli di più di questo, invece che fare gossip su ipotetiche differenze di valore.”
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La domanda più sensata da farsi allora non è “ma le cuoche dove sono?”: sono in cucina, a fare il lavoro che hanno scelto. La domanda è: perché non si parla di loro con gli stessi contenuti che si usano per i colleghi? Perché se una chef è riservata allora è debole? Se mostra più carattere è sulla difensiva? Se dedica gran parte del tempo al lavoro rinuncia alla sua femminilità? Gli chef per caso rinunciano alla loro mascolinità lavorando in cucina? Non mi pare, anzi giocano molto su questo, anche grazie ai media che li corteggiano. “Leggo molto su alcuni blog cose un po’ offensive verso la cucina delle donne: tendono a ribadire i soliti concetti, il focolare… trovo sia un po’ stupido, sono notizie non notizie” afferma Aurora Mazzucchelli. E continua Sandra Ciciriello: “Si scrive molto sulle differenze tra i piatti di chef uomini e di chef donne, io ci rido su ma mi chiedo come sia possibile che tutto ruoti attorno a questo.” Se le pagine vanno riempite, approfittiamone per intingere la penna se non nell’arcobaleno almeno nel rispetto, lasciando più spazio a loro, ai cuochi e alle cuoche equamente, e al valore di ciò che fanno. “Cucinare per me è servire, in senso onorevole. Creare qualcosa per qualcuno, e dare il massimo” afferma Jumpa Tarquini. “È fare acrobazie in cima a un trapezio senza rete, non sento la fatica, la mia ricompensa è rendere felice qualcuno” secondo Antonella Iandolo. “La mia vita è la cucina, è il mio equilibrio squilibrato, è un fuoco dentro che cerco di tenere sempre accesso” aggiunge Aurora Mazzucchelli. “Quando quello che fai ti rende felice e le persone che hai intorno ti completano, non c’è bisogno di essere milionario e di vivere nel paese che non c’è. Se subentra la noia sei finito, non hai più sentimenti” riflette Loretta Fanella. “La cucina è un gesto d’amore, un atto sacro da condividere. Gli incontri, con un sapore o con una persona, sono la benzina della vita” per Viviana Varese. E sorride Sandra Ciciriello: “La felicità è nelle piccole cose che la vita quotidiana ci dà, ci gira intorno. È andare a fare la spesa al mercato all’alba, anche quando non è facile. È un sogno che deve essere continuamente alimentato”. Fine del limbo, della paura di farcela e della cucina di serie D.
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Allora siamo andati ad indagare e la risposta collettiva che arriva dalla ristorazione media è stata: “Magari, ma non è così. Il cliente è ancora molto restio ad accettare un lavoratore extracomunitario in sala”. I motivi? “Non sa bene la lingua e quindi non sa spiegare i piatti” è la risposta che appare più scontata, sorvolando sulle altre dal sapore amaro. La visione del mondo Ma allora perché non è così nelle grandi strutture alberghiere, dove il cameriere straniero in sala è pienamente accettato, anzi è apprezzato per la cura che mette nello svolgere il servizio e per la positività che porta il confronto tra culture diverse, come ci spiega il management dell’Armani Hotel Milano: “All’Armani Hotel di Dubai, tra il personale di servizio erano rappresentate 43 nazioni del mondo e anche qui, a Milano, siamo a 23. Avere a che fare con realtà e culture così eterogenee non
in sala e in cucina
ulteriore freno a far nascere o rinascere la passione tra chi vuole intraprendere il percorso di sala. Per quanto riguarda il personale extracomunitario non posso che confermare le resistenze che ci sono da parte di una clientela che non riesce a porsi in maniera più aperta e l’altro dato molto negativo è che diventa solo una questione di costi e non di professionalità. Ma anche in questo caso parliamo di un settore che viene interamente penalizzato: si preferisce pagare profumatamente un cuoco e tagliare il ruolo del maitre. Una visione piccola e poco strategica per il futuro dell’hotellerie italiana di fascia media”. Formare formare formare Sono la Cina, la Serbia e la Svizzera le tre nazioni da cui provengono gli imprenditori stranieri attivi nella ristorazione nelle cinque città dove, in valore assoluto, ci sono le percentuali più alte sul totale: Milano (Cina), Prato (Cina), Trieste (Serbia),
Quello di sala è un servizio ambito Per ragazzi e ragazze stranieri è un mestiere che crea valore
di Guido Parri
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“Ciao ragazzi sono davanti ad una grande indecisione perché non riesco a capire cosa fare.... spero che voi mi possiate illuminare. Sono in seconda superiore e al termine di quest’anno dovrò decidere se fare sala bar o cucina. Il secondo anno nella mia scuola di stage non se ne fanno e non potrei nemmeno lavorare perché dovrei spostarmi di molto per trovare qualcosa. Tra cucina e sala sinceramente mi piace più sala solo che mi blocca una cosa.... per fare il cameriere o il barman non ci vuole una gran capacità quindi chissà quanta gente lo fa questo lavoro mentre in cucina è diciamo più difficile e meglio pagato. Poi con tutti questi extracomunitari, ce ne sono un sacco che fanno i camerieri, mentre in cucina diciamo che c è bisogno di più abilità quindi sono più richiesti gli italiani soprattutto all’estero. Ricapitolando a me piace di più fare sala ma per un fatto lavorativo sarei più puntato a fare cucina. Voi cosa mi consigliate?????” Letta su Yahoo Answer, la riflessione di questo giovane sedicenne italiano la dice lunga su come sia vissuta la dimensione del servizio di sala, che pur gli piacerebbe di più. Ma soprattutto c’è un passaggio che incuriosisce: ci sono un sacco di extracomunitari che vestono i panni del cameriere.
può che arricchire tutti”. Come si risponde a chi pone questi dilemmi sull’uso corretto della lingua o nella capacità di descrivere un piatto? “Il nostro reparto delle risorse umane organizza training di ogni tipo per sopperire al bisogno di professionalità. – affermano all’Armani Hotel – L’aspetto formativo è fondamentale per ognuno di noi, solo nel confronto si impara e si cresce. Anche chi arriva con professionalità già acquisite o chi ancora non le ha riesce ad affinare il proprio modello di lavoro grazie ad un buon percorso formativo”. Sta qui lo snodo, lo ribadisce anche Leonardo Calbucci, maitre barman e delegato A.M.I.R.A. della Romagna: “La riforma Gelmini ha praticamente azzerato le ore destinate alla pratica e questo è un
Pordenone (Svizzera), Bologna (Cina). Sono dati diffusi dalla Fondazione Moressa di Venezia che, di recente ha evidenziato l’effetto sostituzione tra manodopera italiana e straniera in molte professioni manuali snobbate dagli italiani: per il solo settore della ristorazione e dei servizi alberghieri risultano occupati 144mila persone come cuochi, camerieri e baristi, pari al 15,8% di tutti gli occupati in questo settore, quando in media a livello nazionale si contano 9,1 stranieri su cento lavoratori. “Si tratta di un fenomeno che noi monitoriamo da tempo perché anche da lì passa il futuro di questo settore – commenta Alfredo Zini, vicepresidente FIPE – e il primo dato che balza all’occhio, anche se empirico, è che nella ristorazione l’80% degli
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L’Italia vista da occhi stranieri Ma come vedono e vivono l’Italia i ragazzi che scelgono di lavorarci? Anche in questo caso è il luogo che fa la differenza e al Piccolo Lago dei fratelli Carlo e Marco Sacco, pur essendo fuori dalle grandi mete turistiche internazionali, esiste un ambiente che racchiude il microcosmo di estetica tutta italiana ed è frequentato da clientela aperta e curiosa. Qui lavora, come sommelier di sala, Sayaka Anzai. La ragazza arriva dal Giappone e trova “il rapporto con la clientela italiana molto positivo, anche per il fatto che sono diversi anni che lavoro al Piccolo Lago. L’esperienza che sto facendo mi permette di scoprire, ogni giorno, un pezzo d’Italia diverso, grazie a clienti che arrivano da ogni regione. Trovo gli italiani molto simpatici, gentili, chiacchieroni e curiosi. Vogliono sempre sapere tutto sui piatti e sui vini che gli vengono serviti ma anche di me. Sono curiosi di sapere la mia storia, dov’è sono nata e perché faccio questo lavoro”. Un piacere scoprire che non tutto è perduto.
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Alfredo Zini vicepresidente FIPE
occupati stranieri è dietro le quinte, mentre solo il 20% è in sala o al bar. In questo a giocare un ruolo fondamentale è proprio la lingua in un’attività dove la stragrande maggioranza delle persone che consumano fuori casa arrivano lo fanno per motivi di lavoro e quindi con poco tempo a disposizione e, a volte, anche una buona dose di stress in corpo”. “Ed è un peccato perché per ragazzi e ragazze stranieri il lavoro di sala è ancora un mestiere ambito e vissuto come tale” prosegue Zini. E si badi bene, chi pensa che gli stranieri, soprattutto di razza nera, pensano che questo equivalga ad un lavoro di sottomissione sbagliano di grosso, anche nel trattamento: “Mi sono trovato a volte a gestire ragazzi neri arrivati da noi che tenevano gli occhi bassi, nelle prove di pratica in sala. Ma ho adottato la semplice tecnica del non rispondere alle loro domande fino a che non alzavano gli occhi e, da quel momento hanno superato retaggi arcaici mettendo in luce la loro bravura” racconta Giuseppe Schipano, direttore della Scuola regionale alberghiera di Serramazzoni (MO). “Sono le grandi famiglie della ristorazione italiana, insieme ai gruppi alberghieri di clientela internazionale che possono contribuire, con le loro storie e i loro esempi, a superare questo gap culturale. Per parte nostra, in un rapporto sinergico con gli istitui alberghieri possiamo e dobbiamo sviluppare di più quell’integrazione e contaminazione che già sta contagiando gli stili alimentari di consumo e portarla anche negli stili del servizio di sala” conclude Alfredo Zini ritornando sul tema della formazione che, a volte, viene vista come spreco di risorse da parte delle imprese che ritengono di non investire sugli extracomunitari e, in generale, sul personale. “Ma se si crea competenza professionale non esisterà più il timore di aver sprecato l’investimento perché ci sarà professionalità diffusa che verrà messa in circolo”
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accento toscano) e nessuno era in grado di spiegarne il motivo. Da allora la decisione di capire che lo ha portato, negli anni, ad essere celebrato da Luigi Veronelli con una frase che dice tutto: “Giancarlo, a te debbo l’innamoramento per gli oli, così che mai potrò diventare tuo creditore”. “Il cliente del ristorante va accompagnato nella scelta degli oli, offrendogli la possibilità di poterne assaggiare sei, al massimo sette, in un percorso che va dal più dolce, di olive taggiasche, fino ai più saporiti delle regioni del sud Italia. Ma, attenzione, non si deve andare oltre perché poi le papille gustative non reggono più. E soprattutto l’olio extravergine va trattato con cura, richiudendo subito la bottiglia, pulendola accuratamente. Va consumato, anche se non c’è una scadenza, entro l’anno di produzione per non perderne le caratteristiche organolettiche”. Consigli utili che trovano riscontro anche nelle scelte di un altro ristoratore, grande cultore di olio extravergine d’oliva: Danie-
in un pranzo. Noi abbiamo provato, per un certo periodo, a proporre la possibilità che, dopo il consumo a tavola, il cliente si portasse via la bottiglia ma non ha avuto successo, anzi è stata un’operazione molto onerosa per noi. Adesso il principio che abbiamo adottato è quello che, dopo una settimana, le bottiglie che sono in carta finiscono il loro ciclo di vita in cucina”. Ci prova invece Giancarlo Fraternali Grilli a produrre in bottiglietta da 100 ml per la ristorazione: “Il nostro olio è un monovarietale di Correggiolo che coltiviamo da più di cent’anni sulle colline riminesi a Montegridolfo; pur avendo dei costi produttivi molto alti vediamo che la bottiglia piccola è apprezzata dalla ristorazione, soprattutto quella specializzata nell’olio extravergine d’oliva come il Frantoi Celletti blu sui navigli a Milano”.
le Visconti, maitre di sala della Trattoria Visconti di Ambivere (BG) che ha una carta degli olii selezionati secondo due criteri: aiutare i piccoli produttori locali e la qualità sia di prodotti sia di azienda per quelli nazionali. “La carta è uno strumento di consultazione a disposizione del cliente ma, da parte nostra, c’è sempre l’attenzione a suggerire un abbinamento ideale, come quando è la stagione dei funghi che proponiamo crudi” spiega Daniele Visconti a cui chiediamo conferma della teoria secondo cui dovrebbe sempre arrivare in tavola la bottiglia di olio sigillata: “È quasi impossibile poter offrire quel tipo di servizio. I produttori piccoli e medi non potrebbero sostenere i costi produttivi di bottiglie da 10 0 20 cl, dose ideale per il consumo personale
za, verso l’olio extravergine e, per sapere qual è il grado raggiunto da parte della ristorazione lo abbiamo chiesto a due produttori, di diverse dimensioni produttive. “Mi piace rimarcare, più che i ritardi, il fatto che tanta strada è stata percorsa in questo ambito, sempre più competenza e conoscenza sono valori ai quali si fa giustamente riferimento. Sottolineo però il fatto che è sicuramente diverso l’approccio all’extra vergine di oliva, che non è più considerato solo un condimento come altri, ma sta diventando sempre più un prodotto cardine, centrale, nel modo di fare cucina” afferma Paolo Bertozzi, direttore vendite di Olitalia, azienda presente sull’intero territorio nazionale che ha messo a punto linee di prodotti vocati dedicati esclusivamente al
Olio extravergine vs ristorazione Serve molto amore, prima ancora della competen-
Tra olio e ristorazione L’ospite del ristorante va accompagnato nella scelta degli oli
di Valentino Serra
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Sono i semplici esempi che danno il senso della saggezza: “Non si è mai visto ottenere un succo dalla spremitura di semi, il seme serve a riprodurre mentre è il frutto che, spremuto, può dare un succo straordinario che diventa extravergine d’oliva”. La citazione è di quel gran conoscitore di olio extravergine d’oliva che risponde al nome di Giancarlo Bini, discendente di quinta generazione di osti in quella magnifica parte di Toscana che si chiama Val di Cornia, nell’alta Maremma livornese. Oggi il ristorante enoteca Ombrone è a Venturina e a gestirlo è la sesta generazione dei Bini, con la figlia Francesca e suo marito Alessandro, ma sull’olio a dire l’ultima parola resta sempre Giancarlo che arrivò ad avere una carta degli oli composta da 178 referenze, scovate girando l’Italia in lungo e in largo. “L’Italia è il paese degli ulivi – afferma il ristoratore, autore anche del libro edito da SugarCo e ormai esaurito L’ulivo, albero degli dei – in ogni regione si produce olio, da quest’anno anche in Val d’Aosta un piccolo produttore otterrà il suo olio da una quindicina di piante”. La sua ricerca iniziò quando, ragazzo, nel ristorante di famiglia si trovò tra le mani una bottiglia d’olio dallo strano colore e odore (c’erano i birbi anche allora, dice nel suo
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L’abbinata olio e ristorazione dovrebbe essere un binomio vincente, ma non è ancora così. Nonostante l’olio ricavato dalle olive eserciti un forte appeal sul consumatore, chi opera in maniera professionale in cucina ne trascura incomprensibilmente l’importanza, ma, ciò che più delude ogni sana aspettativa, è che si continui di fatto a evitare il confronto con le molteplici e ogni volta diverse anime espressive dell’olio. Non tutti infatti hanno pacificamente acquisito che l’olio extra vergine di oliva non sia un grasso sempre uguale a se stesso e che la scelta di un olio piuttosto che un altro incida in maniera significativa sul risultato finale. Accade dunque che per una sorta di non confessata pigrizia intellettuale, in cucina si preferisca optare per oli generici e senza sapore, in modo da non porsi affatto il problema di doverli gestire in funzione delle varie materie prime impiegate. Così, accade molto spesso che per ragioni di gretto e illusorio risparmio, visto che un banalissimo olio può svolgere comunque la propria funzione aggregante e di veicolo dei sapori, nonché quella di esercitare la propria funzione plastificante e di attenuatore del gusto salato, come pure quella antiaderente e insieme lubrificante, si opti, senza pensarci, per il prodotto più economico, di solito spagnolo, di solito acquistato a prezzi stracciati ma dalla dubbia qualità sensoriale. Un errore di prospettiva, perché un olio cattivo metterà inevitabilmente in serio pregiudizio ogni formulazione alimentare. Non sarebbe invece il caso di sollecitare una svolta in tal senso? Io estenderei l’appello a tutti i ristoratori per invitarli a un acquisto più meditato, ma anche a una attività di formazione magari sotto l’egida di “Catering News”. CATERING_1-2 PAG MAR APR 2012.pdf
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mondo dei consumi fuori casa: Cultivar di Olitalia e La fattoria di Olitalia, che rispondono alle esigenze più complesse della ristorazione. “C’è una tendenza in atto – conferma Manfredi Barbera, quarta generazione alla guida dell’oleificio siciliano che ha fornito il proprio olio per gli oltre cento show cooking che si sono svolti all’ultima edizione milanese di Identità Golose – che consegna all’olio extra vergine d’oliva un ruolo vitale nel valorizzare il sapore autentico delle materie prime elaborate dai grandi chef internazionali. Non è un caso se la ristorazione alta, ma anche media, è più attenta a selezionare prodotti di qualità. C’è voglia di sorprendere i palati con i sapori autentici e veri senza ricorrere a nessuna sofisticazione e, in questo cammino, l’olio extra vergine d’oliva, quello autentico, da sempre sinonimo di una dieta salutistica, non può che recitare uno dei
sensazioni possono essere percepite e apprezzate in modo diverso dai consumatori. Sarà poi il ristoratore che proporrà abbinamenti armonici, contrastanti o legati alla tradizione gastronomica, basandosi sulla sua esperienza e professionalità, per guidare il cliente alla scoperta di sensazioni olfatto-gustative interessanti”. Tra i criteri di scelta di un olio extravergine d’oliva viene messo al primo posto il prezzo, seguito da gusto e provenienza: lo attesta la ricerca su “Oli italiani: eccellenze nazionali e vuoti culturali” condotta da Daniele Tirelli, presidente di Popai Italia che mette in evidenza anche i diversi approcci tra nord e sud del Paese: “Il prezzo è ritenuto l’elemento più importante soprattutto dai residenti del Nord (in media per il 28,2%) e del Centro (23%), mentre al Sud e nelle Isole si ritiene più importante la provenienza territoriale (22,4%, mentre solo
ruoli più importanti ”.
il 18% indica il prezzo)”. Un dato confermato anche da Luca Pregnolato, amministratore delegato dell’azienda di distribuzione Co.pr.al. di Imperia che opera tra Liguria e Costa Azzurra: “Mentre in Francia chiedono garanzie che sia olio italiano, ancor meglio taggiasco, da noi il prezzo è ancora un elemento che condiziona la scelta. Noi abbiamo adottato la soluzione di proporre un olio a marchio privato, Big Chef di Cateringross, che racchiude un ottimo rapporto qualità-prezzo e non si deve misurare con la concorrenza. Inoltre abbiamo un olio taggiasco di ottima qualità e facciamo in modo che il ristoratore rifletta sul costo porzione che risulta minimo ma che fa la differenza tra un piatto eccellente e uno scarso. In questo modo cambia idea e allora sceglie la qualità”.
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Come si riconosce un olio extravergine di qualità e quanto si è disposti a spendere “Per quanto riguarda la valutazione organolettica l’olio di oliva, per essere classificato come “extravergine”, deve essere privo di difetti (valutazione effettuata da un gruppo di assaggiatori qualificati – panel test). – afferma Giovanni Bonalli, responsabile qualità dello storico Oleificio Zucchi - Le caratteristiche organolettiche positive variano in funzione di diversi fattori: zona di coltivazione, clima, tipo di oliva (cultivar), periodo di raccolta, modalità di lavorazione. Tra le principali caratteristiche organolettiche generalmente percepite possiamo citare: il fruttato, l’amaro, il piccante, note verdi di frutta, mela, mandorla, etc. Queste
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il prodotto
Tornare a dare valore alla pasta Non è utile a nessuno risparmiare sulla materia prima
di Luigi Franchi
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“Tutta la filiera deve avere coraggio e tornare a dare valore alla pasta”. Le parole di Riccardo Felicetti, produttore e presidente di Unione Pastai Italiani e dell’Unione delle Associazioni degli industriali pastai europei (UN.A.F.P.A.), le raccolgo in una breve ma importante conversazione ai margini dell’intervento di Davide Scabin a Identità Golose, dove lo chef ha spiegato la sua conversione alla pasta dopo averla definita un prodotto banale. L’autocritica è sempre foriera di risultati positivi e i piatti a base di pasta che Scabin ha creato, dopo aver “pulito l’hard disk che aveva in testa” sul prodotto ne sono la conferma. “C’è stato un appiattimento culturale sulla pasta, ed è stato rapido e incisivo. Al punto che avvertiamo timori, anche pratici, che la pasta italiana possa essere espropriata” e mentre fa queste considerazioni ci racconta di un episodio vissuto da lui e Guido Barilla che, in giro per gli stand di Anuga, si sono imbattuti in un’immagine perfettissima di spaghetti pomodoro e basilico con lo slogan Asian Food! Questo è il risultato dell’appiattimento culturale italiano che, mentre la pasta è tra i bisogni e i desideri di un mondo intero, troppo spesso porta, consumatori e ristoratori italiani, a scegliere
in base al prezzo. A maggior ragione un’assurdità perché stiamo parlando di differenze di pochi centesimi da una confezione ad un’altra in un mercato in cui, ribadisce Riccardo Felicetti, “è sempre corretto cercare economie e riduzione di costi, ma ritengo che risparmiare sulla materia prima sia una strategia di breve periodo e che, nel lungo, non fa sicuramente aumentare il fatturato, anzi…” I consumi di pasta in Italia I numeri della pasta in Italia cominciano da molto lontano. Il primo numero, di recente scoperta, rimanda a 30.000: sono gli anni, in epoca avanti Cristo, a cui viene fatta risalire una recente scoperta: è la primitiva macina che hanno scoperto nel Mugello le ricercatrici Anna Revedin e Biancamaria Aranguren, con cui l’homo sapiens sapiens frantumava le radici della Tifa, una pianta di palude, per ricavarne una farina, più facile da conservare e trasportare, ricca di carboidrati complessi. Prima di questo ritrovamento si pensava che i carboidrati risalissero al Nelotico (10.000 a.C.) in concomitanza con l’avvento dell’agricoltura. Un ardito salto temporale, che tralascia la paternità dell’invenzione della pasta, ci porta ai nostri giorni dove la pasta è stata recentemente declinata in circa 300 formati, come attesta il bel libro La
geometria della pasta, scritto dalla graphic designer Caz Hildebrand e dallo chef londinese Jacob Kenedy, dove di ogni formato vengono descritti storia, sinonimi, aneddoti e ricette per prepararlo nel modo migliore, illustrato da disegni in bianco e nero che ne esaltano la perfezione della forma. Sono 139 i pastifici italiani che concorrono a realizzare questi formati per un mercato che vede l’Italia mantenere ancora la leadership mondiale per produzione e consumi. Gli italiani consumano poco meno della metà della pasta che viene prodotta ogni anno dai pastifici nazionali: parliamo di 1,5 milioni di tonnellate rispetto ad una produzione totale di 3,2 milioni di tonnellate che generano un valore complessivo di 4,3 miliardi di euro. “Le abitudini stanno subendo una leggera diversificazione che vede un aumento del consumo di pasta fresca del 2,8% a volume e dell’1,8% a valore. Mentre la pasta secca rimane stabile. Buona, invece, la performance sui mercati esteri che vede 1,38 milioni di tonnellate esportate (+4% nel 2011 rispetto all’anno precedente) e 1,43 miliardi di euro sulla bilancia commerciale (+7,2%)” rivela Nicola Lasorsa, analista economico dell’Ismea. Ma non sono rose e fiori per il settore, sottoposto alle speculazioni sulle commodities che ha fatto fluttuare il prezzo del grano che, per il fabbisogno
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come si sceglie una pasta: risponde De cecco Risponde Luciano Berardi direttore commerciale De Cecco Gli “elementi di valore” sono molto differenti in funzione del canale, sostanzialmente: nella Ristorazione Commerciale il driver è la qualità che, comunque, ha molte sfaccettature e penso, ad esempio, alla tenuta in cottura soprattutto alla doppia cottura, oppure alla capacita della pasta di trattenere il condimento, etc; nella Ristorazione Collettiva il driver di valore è soprattutto il prezzo (anche se ci sono comunque eccezioni importanti). Poi il produttore ha un ruolo chiave sia per il livello di prestazione/servizio logistico che è in grado di garantire, sia per l’ampiezza e la profondità di assortimento che è in grado di fornire per coprire i bisogni della ristorazione, sia per le ulteriori garanzie che fornisce anche grazie alle certificazioni. È importante capire anche l’evoluzione del mercato Foodservice in Italia che diventa sempre più competitivo con un’offerta sempre più polverizzata e segmentata (che generano una maggiore concorrenza) ed un consumatore sempre più informato, alla ricerca di nuove esperienze, più competente, con meno tempo, molto più attento al rapporto qualità /prezzo dell’offerta, e, soprattutto, si fa attrarre da nuove soluzioni di offerta con una forte sensibilità all’estetica dei piatti ed alle soluzioni disponibili. In questo prossimo scenario, sul mercato cresceranno gli operatori che lavoreranno con aziende Premium come De Cecco, sempre attenta ai bisogni della ristorazione più esigente.
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L’olio di palma è una materia prima molto importante per l’industria alimentare mondiale.
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OLIO DI PALMA SOSTENIBILE ENTE
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Un marchio che garantisce un approccio integrato ad un sistema di produzione sostenibile dell’olio di palma sotto ogni punto di vista: economico, sociale ed ambiententale.
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per 100 ml di prodotto
Valore energetico Proteine Carboidrati di cui: zuccheri Grassi di cui: saturi monoinsaturi polinsaturi Colesterolo Fibre Alimentari Sodio
per cucchiaio (15 ml)
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kJ Kcal g g g g
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Un cucchiaio (15 ml) contiene:
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g0
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% delle quantità giornaliere indicative di un adulto,calcolate sulla base di un fabbisogno giornaliero di 2000 Kcal; il fabbisogno può essere diverso a seconda del sesso, dell’età e dell’attività fisica svolta.
Fridòr è stato selezionato dall’Associazione Professionale Cuochi Italiani come ingrediente professionale per fritture a 5 stelle
produttivo arriva per un terzo dai mercati internazionali (Europa, Stati Uniti, Canada e Messico). E nel canale ho.re.ca. si sta pagando l’aspetto promozionale del taglio prezzo o delle offerte che applica la GDO, come testimonia Giovanni Albini, grossista di Catering Market di Milano: “Il ristoratore ora chiede di acquistare la pasta di qualità allo stesso prezzo con cui la trova al centro commerciale, dove la pasta viene gestita come premium price, due al prezzo di uno. Ma noi non siamo in grado di applicare prezzi di quel genere e, soprattutto, non lo riteniamo giusto: non vogliamo svilire un prodotto di qualità che costa già poco di per sé”. Ma il ristoratore, quando sceglie, guarda il prezzo o altri fattori sono più importanti? Lo chiediamo a Marco Gandolifi e Vincenzo Servedeo, rispettivamente responsabile marketing e responsabile vendite di Barilla.“Il food cost per porzione servita è certamente un punto importante dell’economia della ristorazione. Tuttavia, su questo tema, bisogna sempre valutare due ulteriori aspetti. Innanzitutto attenzione al total food cost che si compone non solo del mero costo al chilo dell’ingrediente pasta, ma anche della sua resa in cottura specifica per formato e della percentuale di eventuali scarti durante i processi di preparazione. Inoltre, ancor di più incide sul total food cost del piatto servito la scelta fra il processo di doppia cottura rispetto alla cottura espressa, che richiede personale dedicato alla pasta durante il momento di picco del servizio in cucina. Solo le paste di elevata qualità possono garantire ottime performance anche in doppia cottura, ottenendo al contempo un risparmio significativo in termini di tempo e lavoro
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richiesto per servire il singolo ordine” spiega Gandolfi. Mentre Servedeo suggerisce di “non dimenticare mai la soddisfazione del cliente che è il primo fattore vincente di ogni business ristorativo. Gli italiani, si sa, sono molto esigenti, oltre che buoni intenditori, in fatto di qualità della pasta. In sintesi, l’investimento sui migliori ingredienti è il primo fattore di successo della buona cucina e quindi del servizio ristorativo, in cui la pasta si colloca fra gli elementi a cui si presta maggiore attenzione. Ampia varietà disponibile per il proprio menù, coerenza con i processi adottati in cucina e massima attenzione alla qualità da parte del produttore sono perciò i tre fattori fondamentali cui un ristoratore dovrebbe selezionare la pasta per il proprio locale” Formati e mercati “I volumi e i consumi sono in calo – rimarca il distributore Albini – anche se la pasta, soprattutto nel consumo del mezzogiorno tiene proprio perché è il piatto meno caro. I formati regionali si stanno lentamente affermando nei consumi serali, dove il ristorante cerca di offrire un piatto più ricercato”. Una tendenza confermata da Luciano Berardi, direttore commerciale del pastificio De Cecco: “Oltre alla crescita di canali come la Ristorazione Collettiva Biologica, in uno scenario complesso come quello descritto sopra, le tendenze dei ristoratori più proat-
tivi sono quelle di ricercare una maggior attrattività e differenziazione della propria offerta, andando oltre le aspettative classiche del consumatore e realizzando delle vere e proprie esperienze gastronomiche dove i formati tipici regionali possono essere una buona base di partenza. Un esempio per tutti sono i Paccheri che negli ultimi anni hanno ha visto una crescita importante nell’utilizzazione e nei piatti, non solo dei grandi chef. Per questo, De Cecco, ha un’importante offerta di varietà nel segmento “Le Specialità Regionali e Gastronomiche” con molte versioni dei Paccheri come in quella liscia e rigata, così come in quella classica o nella versione Mezzi paccheri lisci e rigati. Ed è stimabile che nei prossimi anni cresceranno le partnership tra le aziende di ristorazione innovative ed i produttori come De Cecco che credono nelle tipicità regionali italiane offrendo una gamma tra le più complete del mercato proprio per coprire
anche un dovere degli chef onorare i pastifici che ci sostengono nel nostro lavoro”.
tutti i bisogni dei consumatori e della ristorazione più esigente”. Di questa tendenza è protagonista Antonella Ricci, chef e patron del Fornello da Ricci a Ceglie Messapica (BA) che, pur avendo in carta moltissime proposte di pasta preparata fresca ogni giorno nella sua cucina, non rinuncia ad inserire nel menu almeno una trafila di pasta secca: “In questo momento abbiamo una lasagnetta riccia che proponiamo con un ragù di stracotto di carne. Io adoro la pasta, mi piace sperimentare ogni pastificio che scopro, sia quando viaggio sia quelli che vengono a trovarci. Poi la scelta cade sulle paste che sanno davvero di semola, che tengono la cottura in maniera equilibrata e per capire faccio un sacco di prove sui diversi formati. Infine ritengo che sia
recente Marina Mastromauro, amministratore delegato del Pastificio Granoro, nell’ambito della decima edizione dei “Dialoghi di Trani”, il festival culturale più importante del Sud Italia: “Il tempo di cottura è l’obiettivo finale di tutto il lavoro che si fa in un’azienda pastaria. Nella nostra è il momento dell’armonia che si raggiunge dopo il lungo e lento processo produttivo. Poi, nella fase di cottura, si fanno molte altre cose in contemporanea e il tempo di cottura diventa preludio ad altri tempi e nuove idee”. Non ci sono nell’Asian Food tutte le sfaccettature che stanno dietro ad un semplice piatto di pasta, non c’è l’amore che solo l’Italia, con i suoi produttori e i suoi cuochi è in grado di mettere in campo. Facciamone un ingrediente prezioso. Tutti.
Il tempo di cottura è un tempo di idee “Non facciamo bollire troppo l’acqua, la pasta si ubriaca. Mentre cuoce non offendiamola con il metallo, ma tocchiamola spesso con il cucchiaio di legno nei primi tre minuti, poi lasciamola stare. Bastano 6 g. di sale per aggiungerle sapore e quando parliamo di lei ricordiamo che solo raccontando cose vere, solo mettendosi a nudo, si fa la differenza”, a suggerire questi accorgimenti è Gennaro Esposito, lo chef del ristorante Torre del Saracino a Vico Equense, che si è dedicato anima e corpo alla ricerca della pasta di qualità, uno dei tanti impegni con cui Gennaro ha suonato la carica all’orgoglio culinario italiano. Ma il tempo di cottura è anche occasione per ragionare sul valore del tempo, come ha fatto di
Dal vostro osservatorio di azienda leader nazionale, quali sono i formati più diffusi nella ristorazione? e come si ripartiscono le abitudini di consumo per le tre macroaree nord, centro, sud?
Marco Gandolfi responsabile marketing Barilla
Vincenzo Servedeo responsabile vendite Barilla
Marco Gandolfi: “La risposta a questa domanda a prima vista è semplice: la Pasta Corta nella sua varietà fa i volumi della ristorazione professionale, anche se il formato Spaghetti rimane il più amato dagli italiani, come singola scelta, anche nel fuori casa. Tuttavia, ad un’analisi più attenta, si nota come i formati Classici della tradizione pastaia italiana siano tutti nella top ten anche dei consumi al ristorante e nel catering: Pennette e Penne, Fusilli e Tortiglioni, Mezze Penne, Sedanini e Farfalle, insieme a Bavette e Spaghettini si impongono nei menù proposti dai vari segmenti della Ristorazione Commerciale e Collettiva, ma con specificità peculiari nelle varie regioni d’Italia. Non mancano poi i diversi formati regionali più conosciuti” Vincenzo Servedeo: “È qui, infatti, che si creano le differenze e le peculiarità al di là delle medie nazionali: la pasta, in particolare nei suoi formati corti, è un prodotto con radici e differenze profonde nella tradizione di tutte le regioni italiane. È quindi naturale che le Pennette Rigate dominino in Toscana, mentre le Mezze Penne siano preferite a Milano, le Mezze Maniche a Roma e ancora le Penne Lisce a Napoli. Le scelte di consumo degli italiani, al ristorante come nei pasti veloci del mezzogiorno lavorativo, mantengono comunque un forte imprinting culturale e un vissuto emotivo profondo che incidono sulle macro-differenze di volumi per formato fra Nord, Centro e Sud Italia. Potremmo dire che l’amore verso la pasta unisce tutti gli italiani, ma allo stesso tempo restituisce la varietà della tradizione gastronomica regionale.”
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linguine con pesto di alghe, vongole veraci e salsa di aglio giovane
Spaghetti con ricci di mare polvere di zenzero e fior di sale di mozia
Ingredienti: per quattro persone 100 g alga wakame, 100 g alga kombu, 0 g prezzemolo, 100 g aglio giovane, 250 g latte, 12 zest limone candito, 800 g vongole veraci
Ingredienti: per quattro persone 50 g spaghetti trafila ruvida di bronzo, 50 ricci di mare, 100 g olio extravergine d’oliva qualità Biancolilla, q.b. sale di Mozia, 500 g ghiaccio, 500 g radice di zenzero
Tenere a bagno le alghe per un’ora. Sciacquare sotto l’acqua corrente e asciugare. Successivamente, mettere le alghe nel bicchiere del mixer con olio e un pizzico di sale grosso e frullare fino ad ottenere la consistenza del pesto classico. In un pentolino, mettere due dita di latte e sbollentare l’aglio e poi frullarlo fino a ottenere una salsa. Riscaldare una padella di ferro fino a che sia caldissima, buttare di colpo le vongole e coprire con un coperchio muovendo di continuo appena si tostano i gusci che daranno un sentore di brace. Mentre iniziano ad aprirsi, aggiungere il bicchiere di vino bianco, spegnere e trasferire il tutto in una ciotola. Mettere qualche cubetto di ghiaccio, far raffreddare velocemente e sgusciare. Lessare le linguine, scolare bene, passare 10 secondi sotto l’acqua corrente e mantecare con il pesto. Impiattare con un filo di salsa d’aglio e completare con il limone candito e le vongole.
Per i ricci: con le forbici incidere e tagliare in senso orizzontale il riccio dividendolo a metà. Prendere il cucchiaio e estrarre la parte più rossa che si trova all’interno del riccio ponendola all’interno di una bacinella precedentemente riempita con dell’acqua e del ghiaccio nelle stesse quantità. Con l’aiuto di una schiumarola estrarli dall’acqua ghiacciata e metterli dentro una placca d’acciaio. Pulire tutti i ricci nello stesso modo. Per la salsa dei ricci: mettere la metà dei ricci precedentemente puliti nel bicchiere del frullatore e aggiungere 50 g di olio extravergine d’oliva e un pizzico di sale, frullare il composto e aggiungere l’altra metà dei ricci. Con l’aiuto di un cucchiaio amalgamare il tutto. Per la polvere di zenzero: con l’aiuto di un pela patate pulire la radice, frullarla e mettere il composto in una placca dentro un forno ventilato a 60 c° per circa 3 ore, appena secco rimettere il composto nel frullatore per qualche minuto e frullare fino a che non si ottenga una vera polvere. Cuocere per circa 8 minuti gli spaghetti, finire la cottura nella padella con la salsa precedentemente preparata e qualche goccio d’acqua di cottura della pasta. Amalgamare il composto e disporlo in un piatto finendolo con dei ricci rimasti nel fondo della padella stessa, sale di Mozia, olio extravergine d’oliva e polvere di zenzero.
chef Francesco Frank rizzuti ristorante Dattilo Strongoli (KR) - www.dattilo.it
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chef Giuseppe costa ristorante Il Bavaglino Terrasini (PA) - www.giuseppecosta.it
orecchiette con crema di burrata e gamberi rossi
Pasta con patate, basilico, pecorino e totanetti
Ingredienti: per quattro persone Orecchiette secche g 200, gamberi rossi da 70 g l’uno, 1 burrata da g 200, 2 filettini di acciuga salata, 2 pomodori ramati, 20 g di buccia di limone candito, 1 g di fiori di lavanda, 2 g di germogli di borragine, 1 g di semi di cardamomo, olio extravergine di oliva
Ingredienti: per quattro persone Crema di patate al brodo vegetale: patate di media grandezza, q.b . di brodo vegetale, q.b. sale e pepe
Pelare i gamberi tenendo da parte le teste, prepararli a carpaccio, marinare con olio, buccia di limone e semi di cardamomo. Privare la burrata dal suo involucro di mozzarella e frullare l’interno con poco olio e sistemare di sale. Marinare le teste dei gamberi con i pomodori maturi e olio, dopo un paio di ore pestare il tutto in un colino cinese,ottenendo così un succo di gamberi e pomodoro,con l’aiuto di un mixer emulsionare il succo ricavato fino a farlo diventare omogeneo e lucido. A parte frullare i filetti di acciughe con olio fino a quando diventa molto liscio. Cucinare in acqua moderata di sale le orecchiette,una volta scolate fuori dal fuoco condirle con poco olio all’acciuga e pochissima crema di burrata. In un piatto piano disporre in modo creativo e colorato le tre infusioni ottenute (burrata,succo di gamberi e pomodoro,olio d’acciuga), subito dopo disporre le orecchiette una per una e i filettini di gambero a scacchiera, guarnire con fiori di lavanda, germogli di borragine e olio crudo, servire tiepido.
chef michele rotondo masseria Petrino Palagianello (TA) - www.dimmy.it/masseriapetrino
Tagliare le patate a pezzi piccoli, coprire con abbondante brodo e portare a cottura, frullare con mixer e aggiustare di sale e pepe, eventualmente aggiungere brodo vegetale per ottenere la consistenza desiderata (non deve essere troppo sapida) Salsa di basilico: 80 g foglie di basilico fresco, 100 g brodo vegetale, un pugno di pinoli, 60 g patate bollite, 60 g circa di olio extra vergine di oliva Olio Flaminio Dop Umbria, q.b.sale Sbollentare le foglie di basilico, raffreddare acqua e ghiaccio e frullare tutto in mixer Patate a cubetti: una patata tagliata a cubetti di un cmq, sbollentata minuti e poi messa nella crema di patate Pasta: 00g pasta “Ri-Quadro” del Pastificio Verrigni, trafilata in oro Cuocere la pasta in acqua non troppo salata per 2\3 di cottura. Nel frattempo preparare un soffritto con abbondante olio di oliva extravergine DOP Umbria e tre spicchi d’aglio e far rosolare molto finché l’aglio diventa dorato. Aggiungere 6 foglie intere di basilico e spegnere il fuoco. Eliminare il basilico e l’aglio, aggiungere un cucchiaio di pinoli precedentemente tostati al forno e due mestoli di brodo vegetale. Una volta cotta per 2\3 la pasta, metterla in padella e continuare la cottura con il brodo vegetale. Scaldare una padella antiaderente e scottare i totanetti. Mantecare con un po’ di pecorino. Distribuire la crema di patate calda sul fondo del piatto, adagiare la pasta con un po’ di sughetto, aggiungere altro pecorino, la salsa di basilico, abbondanti cimette di basilico e i totanetti. Servire calda. chef viviana varese ristorante Alice Milano - www.aliceristorante.it
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Pizzeria Piccola Ischia Milano Via Giovanni Battista Morgagni 7 - Tel. 02 2047613 www.piccolaischia.it
artigianali di Sorrento e, per finire degnamente, amari fatti in casa come il rucolino, tipico di Ischia, o alla mela annurca, prodotto campano D.O.P. Il tutto gustato in un ambiente informale dal servizio veloce e organizzato.
ristorante dal maestro del Brodo Palermo Via Pannieri, 7 - Tel. 091/329523
Saranno i balconcini fioriti con vista sul Golfo di Napoli, o le procaci signorine in D che stendono i panni da una finestra all’altra, saranno i profumi di cucina verace o l’allegro vociferare o, ancora, i tanti tavolini ravvicinati come in una piazzetta partenopea, ma quando si entra qui si ha l’impressione di varcare il set di “Pane amore e…”, quasi da dietro l’angolo dovesse spuntare Vittorio De Sica. Invece siamo nel cuore di Milano, dove nel 17 il signor Enzo ha deciso di aprire insieme alla sorella, alla moglie e agli suoceri, la prima delle sue quattro pizzerie. Ha dato a tutte lo stesso nome e le ha arredate con gli stessi colori, il giallo e il blu, i colori di Ischia, perché il signor Enzo delle proprie origini campane va fiero e orgoglioso: “C’è tutto, da Totò a Maradona passando per Pulcinella a grandezza naturale, c’è l’apecar azzurra, il trompe l’oeil del Vesuvio, non manca niente: volevo ricostruire le tipiche viuzze della mia terra.” Se la scenografia è ricca e abbondante, per la pizza qui si procede andando a sottrazione, come vuole la tradizione, seguendo regole rigorosamente ferree: l’impasto, composto solo da farina, acqua, sale e lievito senza alcun tipo di grasso aggiunto, deve riposare in panelli su marmo per almeno otto ore al termine delle quali viene steso, sempre su marmo, e condito con pomodoro, mozzarella, basilico e olio extra vergine d’oliva. Seconda variante: pomodoro fresco, origano, aglio e basilico, la marinara classica. “Più semplice è meglio è. Questa è la vera pizza napoletana, senza orpelli, con il bordo alto e la pasta morbida. E ovviamente cotta solo in forno a legna!” spiega il signor Enzo. In menù si trovano una cinquantina di pizze (anche da asporto), nessuna sfigurata da troppi ingredienti e tutte condite con prodotti genuini arrivati in prevalenza da Napoli; inoltre, panini campani, gelati
Lo storico mercato palermitano della Vucciria, immortalato e reso celebre dal famoso quadro dell’indimenticato Renato Guttuso nel 17, si trova a pochi passi, ad un tiro di schioppo. I pittoreschi suoni e gli invitanti profumi permeano l’atmosfera, rendendola suggestiva ed emotivamente coinvolgente anche per il passante o il turista più distratto. Il ristorante, gestito da quasi trent’anni da Bartolo Arusa, rappresenta un punto di riferimento per tutti gli amanti della buona cucina legata alle tradizioni siciliane, quelle autentiche e immutabili nello scorrere del tempo. “Abbiamo iniziato la nostra attività proponendo i brodi e i bolliti, soprattutto a base di carne – ricorda con orgoglio Bartolo – successivamente, nel corso degli anni, abbiamo ampliato la nostra offerta proponendo ai clienti anche piatti a base di pesce, quello appena pescato, quindi freschissimo e di qualità. Andiamo quotidianamente al mercato ittico, in mancanza di prodotto di giornata preferiamo puntare su altre pietanze”. Ai fornelli, ormai da diversi anni, è il figlio Alessandro che, seguendo il solco tracciato dal padre, propone alcune delle prelibatezze divenute autentiche icone nel panorama culinario palermitano: la pasta con finocchietto selvatico e sarde e le fettuccine con triglie e ricci o con la neonata, insieme a tanti altri tipi di pa-
meglio prenotare testi di: Luigi Franchi, Alessandra Locatelli, Antonio Longo, Roberto Martinelli
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sta e di secondi rigorosamente “made in Sicily”. Anche la carta dei vini e quella dei dolci sono prettamente legate alle produzioni isolane. In un ambiente sobrio, dal sapore tipicamente familiare, arredato in stile liberty con tratti che richiamano forme e colori tipici dell’Ottocento siciliano, con i caratteristici lampadari e le colonne in ghisa che sostengono il solaio, la clientela può davvero riscoprire i sapori del “tempo che fu” con la garanzia di poter contare sulla qualità delle materie prime. “Per noi è un imperativo categorico non ricorrere ad ingredienti surgelati – conclude Bartolo – elevati standard qualitativi e la soddisfazione del cliente sono gli obiettivi che guidano la nostra attività”. Parole sante. Da decalogo del ristoratore di eccellenza. Gli amanti del pesce fanno spesso una telefonata prima di recarsi al ristorante per sincerarsi ed avere la conferma che vi sia disponibile il prodotto fresco, quello di giornata, appena pescato.
ristorante maso Pretzhof Prati di Vizze (BZ) Tulve 259 - Tel. 0472 764455 www.pretzhof.com
in un punto di ristoro ospitale. Nei primi anni mamma Maria Mair profuse tutta la sua conoscenza della tradizione gastronomica altoatesina per soddisfare il palato dei primi clienti che si spingevano ai 2000 metri della Val di Vizze, per acquistare i formaggi di malga o lo speck. Poi, nel 18, venne il turno di Ilma Mair che ha saputo creare un team fortemente affiatato con cui ha ridisegnato i piatti della tradizione. “L’arte di cucinare delle nostre nonne è la premessa di qualsiasi cultura culinaria. – afferma Ilma - Noi trasformiamo i prodotti che ci derivano dal lavoro nel maso e dalle stagioni in piatti tradizionali e raffinati. Per noi è pertanto importante distinguere tra fino e sopraffino e offrire un menù diversificato e che corrisponda alle esigenze odierne di una buona e sana alimentazione.” Se poi questo avviene in un ambiente di purissima aria, in antiche stube dove il legno di larice tradisce la sua presenza secolare, in un giardino da cui si domina la valle assaporando lo speck preparato da Karl secondo le usanze contadine, non c’è più niente da fare: bisogna arrendersi al piacere. Non contenti di tanto livello di servizio, nel 2002, la famiglia Mair ha deciso di ampliare gli spazi con la bottega e la cantina, dove si può scegliere le specialità fatte in casa e i vini selezionati dal signor Karl secondo la logica che “per me era dapprincipio un dovere professionale, poi è diventata col passare del tempo una vera passione”.
ristorante le due torri Presenzano (Ce) Via Venafrana km 4 + 700 - Tel . 0823/989518
Di fronte a 00 anni di storia di un’unica conduzione di un maso, che significa difesa di un territorio e vocazione all’ospitalità, si prova un certo timore reverenziale. Ma Karl Mayr, con la sua bonarietà e cortesia, aiuta a fugare ogni sentimento di questo tipo coinvolgendo l’ospite in un racconto e nella scoperta di prodotti dove si ritrova compiutamente il significato della naturalità. La menzione più antica del maso Pretzhof risale al 12, mentre l’atto di acquiso della famiglia Mayr è del 165. Da allora la conduzione si è tramandata, come suol dirsi, di padre in figlio fino al signor Karl che, nel 180, decide che “si deve infondere vita alla tradizione. Per questo dal Pretzhof è dunque nata l’osteria Pretzhof zur Bauernkost”. Già il nome lascia trasparire il significato di: sosta
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di suo e di vedere realizzato un sogno. Con l’aiuto della madre, Passariello ha iniziato avendo già le idee molto chiare: voleva una cucina classica del territorio che rispecchiasse le tradizioni contadine. Questo progetto l’ha portato avanti con lungimirante sinergia assieme alla moglie, proprietaria con la famiglia delle fattoria Carpineto. Un’attività agricola importante e prestigiosa: 70 ettari di terreno di cui 55 a granaglie e foraggio per alimentare in un sistema integrato qualcosa come 00 bovini di pura razza marchigiana. Le carni, inutile dettagliarlo, hanno un livello qualitativo che è diventato il fiore all’occhiello della cucina. Alimentazione a foraggio, macellazione premurosa e frollatura delle carni di non meno 0/0 giorni, certificano la filiera del ristorante. Conversando con Salvio Passariello, nella sua cordialità tutta meridionale, passione e trasporto trasudano dalle parole quando spiega la sua attività. Praticamente buona parte dei prodotti cucinati al ristorante non fanno passaggi, carni bovine, ovine e suini oltre alle verdure sono prodotte nell’azienda di famiglia. Tutti gli altri prodotti vengono acquistati con una selezione maniacale. Per fortuna il territorio campano, nonostante la brutta pubblicità riportata dai giornali, è ricco di eccellenze: dalla pasta di Gragnano, ai latticini dei produttori dop, alle fantastiche aziende vinicole. In cantina “le due torri” sprigiona una vera apoteosi con ben 1500 etichette curate dal sommelier Pasquale Di Muccio. Salvio Passariello avendo individuato con molta precisione e altrettanta determinazione un modello ristorativo che gli ha dato dall’inizio fortuna, ha pensato bene di affidare la cucina a due chef dal prestigioso passato professionale, Antonio Guadagno e Andrea D’Amato. Al signor Salvio il compito di fare l’imprenditore, attento come un direttore d’orchestra a far quadrare conti e immagine , con ben chiara la vecchia saggia filosofia imparata dalla madre: qualità altissima a prezzi onesti, così tornano conti e clienti.
provando a dare forma ai suoi ricordi d’infanzia, con eleganza discreta proietta nei piatti i saperi ed i sapori delle montagne bellunesi. “In menù adesso abbiamo il cervo cucinato a bassa temperatura in olio aromatizzato con punte di abete. Alcuni anziani del posto mi hanno raccontato che un tempo in primavera si raccoglievano le punte di abete e si mettevano sui davanzali in vasetti di vetro con dello zucchero: grazie al calore del sole si otteneva uno sciroppo per l’inverno. Ho preso spunto da questa usanza, volevo che il sapore del cervo si sentisse bene e che tenesse testa all’abete, di cui ho utilizzato le punte più giovani e tenere” racconta Fabrizia. Con il marito Roberto Brodevani acquista nel 2001 questa tipica blockhaus del ‘700 con le persiane rosse, la chiama “Prati al sole”, Laite in lingua parlata, e vi ricrea due piccole salette rivestite di legno antico nelle quali rivivono i ritmi di un tempo. Roberto accoglie gli ospiti con rara cortesia, come se li conoscesse da una vita e li accompagna nella scoperta della storia delle pietanze, di quel tal produttore o quel tal vignaiolo al punto che non di rado i commensali si ritrovano a socializzare tra loro da un tavolo all’altro. Ogni cosa è pensata per loro: mise en place con oggetti d’epoca, vini superlativi, anche o anzi meglio al bicchiere per conoscere più realtà, e poi amuse-bouche, pre-dessert e piccola pasticceria che vanno ad aggiungere attenzioni a piatti innovativi per accostamenti e presentazioni, come la terrina di foie gras e pernice o il prato, un dessert composto da fiori di campo su polvere di cioccolato, crema di yogurt e zabaione al tabacco. “Cucinare è dare importanza, i clienti sono stati la mia spinta. Quando ho cominciato non avevo aspirazioni, anzi... ho cominciato a cucinare e basta.” Questa è Fabrizia Meroi.
ristorante laite Sappada (BL) Borgata Hoffe 10 - Tel. 0435 469070 www.ristorantelaite.com A due minuti d’auto dal casello autostradale di Caianello c’è una piccola grande miniera enogastronomica. Il ristorante “Le due torri” è esattamente ai piedi del monte Cesima, in una recentissima costruzione con due torri in pietra a forma circolare. Salvio Passariello, l’ha aperto nel 2006 dopo una esperienza trascorsa in diversi ristoranti del napoletano. Sentiva il bisogno di realizzare qualcosa
La grande cucina deve saper fondere tecnica, fantasia, conoscenza delle materie prime, ricerca, gusto. E deve nascere dal cuore, afferma Gianfranco Vissani. Ebbene, quella di Fabrizia Meroi è una grande cucina: senza capricci autoreferenziali questa giovane cuoca, che ha iniziato vent’anni fa da autodidatta semplicemente
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Non solo cucina
la matita rossa di Giuseppe Schipano direttore scuola alberghiera e di ristorazione di Serramazzoni
“È straordinario quello che fanno i ragazzi del mio staff. Ogni giorno fanno sacrifici per cercare di fare capire l’importanza del lavoro che fanno. E questo li ripaga di tutto. Io e il mio staff siamo una cosa unica, perché, come dico sempre, senza un team affiatato non si va da nessuna parte, è il team che vince. Non dimenticate mai chi si è e da dove si viene. Solo così si diventa grandi professionisti.” Queste sono le parole che un caro amico, Massimo Bottura, ha utilizzato durante la consegna dei diplomi del corso IFTS “Tecnico esperto nella valorizzazione di vini e prodotti tipici per una ristorazione di qualità” organizzato e gestito dalla nostra scuola. Alla fine della consegna Massimo e io ci siamo fermati a fare due chiacchiere e parlando della ristorazione, lui mi ha detto che è fondamentale quello che sta facendo la nostra scuola, ovvero trasferire agli allievi e ai ristoratori anche l’importanza del servizio di sala, che spesso viene sottovalutato e non preso in considerazione. Massimo mi ha spronato a continuare su questa strada, che abbiamo iniziato a percorrere da ormai molti anni. Il servizio di sala ricopre un ruolo fondamentale nella ristorazione, innanzitutto è il primo contatto che fa capire quali servizi offre il ristorante/albergo; inoltre può lasciare un buon ricordo al cliente, che sarà quello che lo farà ritornare. Il cameriere è una figura professionale che per molto tempo è stata sottovalutata, però adesso, molte aziende, ne hanno finalmente capito l’importanza, tanto da definirlo”guest manager”. Il cameriere è un professionista, che deve avere nozioni di alimentazione e igiene, conoscenze linguistiche, deve conoscere le principali esigenze e abitudini delle diverse tipologie di clientela, italiana e straniera, le nozioni di gastronomia, la cucina nazionale e regionale, le conoscenze enologiche, il servizio di vini e bevande in genere. Inoltre deve essere educato e deve conoscere il galateo e savoir-faire. Spesso chi pensa ad un ristorante pensa allo chef e alla cucina, senza riflettere sul fatto che il cameriere deve avere abilità manuali e resistenza fisica, deve gestire e risolvere eventuali situazioni critiche e di stress, deve essere in grado di lavorare in team, deve (o meglio dovrebbe) conoscere più lingue straniere oltre ad essere un abile venditore. Parola chiave per il servizio di sala è “empatia”, ovvero la capacità di comprendere lo stato d’animo altrui e di agire di conseguenza, perché, lasciatemelo dire, un cameriere è un po’ anche psicologo! Se un locale vuole fornire un servizio eccellente deve disporre di personale altamente specializzato, sia di cucina sia di sala, perché uno chef può preparare un piatto buonissimo, ma se chi lo presenta al cliente non è in grado, l’insuccesso è assicurato. Può essere banale, ma studiare e mantenersi aggiornati per questa professione è fondamentale ed indispensabile, non se ne può proprio fare a meno. Ragazzi la buona notizia è che non si studia solo sui libri! Per un professionista, studiare e aggiornarsi è anche guardare come lavora un cameriere mentre si è seduti in un buon ristorante, osservare le tecniche di lavorazione del barista mentre prepara un aperitivo, fare ricerche in Internet, visitare aziende legate al settore, come una cantina vitivinicola, e non stancarsi mai di leggere delle riviste. Tutte queste sono occasioni di formazione, l’apprendimento continuo è basilare, basta solo voler imparare, sempre e in ogni occasione.
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di farine speciali e preparati per utilizzi specifici, che copre e, in alcuni casi, anticipa i bisogni del mercato. L’azienda produce, all’anno, 75 milioni di chilogrammi per un fatturato di 50 milioni di euro, quasi equamente suddivisi tra prodotti retail e professional. Di farina ce ne vuole per raggiungere questi risultati e, infatti, il mulino non cessa mai la produzione, restando operativo 24 ore su 24 per produrre 3.000 quintali di farina ogni giorno. “Aver investito in ricerca ci ha permesso di crescere, ma soprattutto ci ha dato una rinnovata forte identità – prosegue l’amministratore delegato – e questo, in un comparto dove esiste un elevato tasso di fidelizzazione, è strategico”. Che ci sia fedeltà lo dimostra anche la fan page di Facebook che in pochi mesi ha superato i 2.500 amici che fanno a gara per commentare e postare ricette ottenute con le farine Spadoni.
case history
Reagire ai mercati La filosofia imprenditoriale del Gruppo Alimentare Spadoni
di Guido Parri
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Prima la passione, poi l’analisi. Si identifica in questo l’imprenditoria illuminata dell’Italia; basta scorrere le biografie di molti uomini che si sono fatti da soli per capire che parole come intuizione, ostinazione, originalità, rischio sono la base di storie di successo prima ancora dei business plan. Tra questi uomini capaci di mettersi in gioco con straordinaria lucidità possiamo annoverare Leonardo Spadoni che, negli anni Ottanta, rivoluzionò un mercato e un prodotto che stava degradando a pura e semplice commodities: quello delle farine. Leonardo Spadoni è infatti amministratore delegato di Molino Spadoni, azienda ravennate fondata dal nonno Livio nel 1923, a cui è succeduto il padre Libero che, portando benissimo i suoi 101 anni, non manca mai una visita quotidiana all’azienda. “Vent’anni fa il mercato delle farine per utilizzo domestico era composto quasi esclusivamente da farina ‘0’ e ‘00’, grani duri e teneri e finiva lì. – racconta Leonardo Spadoni – La logica competitiva era orientata quasi esclusivamente sul prezzo. Fu la reazione ad un mercato stagnante che mi spinse a fare ricerca e sviluppo fino ad arrivare a produrre farine speciali, specifiche per usi diversi”. Oggi, nel mercato retail, Molino Spadoni è presente con un’ampia gamma
Una farina per ogni esigenza Soprattutto fedeli sono però i professionisti, i pizzaioli, gli chef o le massaie che si misurano ogni giorno con un prodotto come la farina che è umbratile, soggetto agli umori del clima, sensibile alle modalità di conservazione. Ma la gamma di Molino Spadoni è in grado di superare le difficoltà quotidiane: a cominciare dal packaging che, per le confezioni ad uso domestico, prevede l’utilizzo di sacchetti in carta alimentare traspirante di pura cellulosa che consente alla farina di traspirare evitando il formarsi di muffe. “Per ogni target di clientela cerchiamo di fornire la risposta al bisogno – spiega Leonardo Spadoni – che va dall’evi-
tare i grumi e per questo abbiamo ideato la farina antigrumi per la pasta che è il nostro prodotto leader, con un milione di confezioni vendute al mese. Fino alle farine speciali e specifiche per dolci, per pizza, per piadina, per polenta. Ognuna con l’indicazione di utilizzo ben impressa sulla confezione”. Per spiegare ai clienti professionali le caratteristiche delle diverse farine e le migliori modalità di utilizzo, l’azienda dispone di 3 ‘forni scuola’ e si avvale di un tecnico dimostratore operativo su tutto il territorio nazionale e all’estero per dimostrazioni presso le principali Fiere e le sedi nostri clienti.Per i professionisti, l’azienda dispone di circa 100 prodotti specifici, veri e propri blend di farine di diverso tipo e provenienza studiate appositamente per le esigenze di questo canale. Le categorie interessate riguardano le farine per pizza che arrivano a soddisfare il sogno di ogni pizzaiolo di ridurre sprechi, bruciature, appiccicosità; poi le farine per dolci e pasta. Fino ad arrivare a quelle per pani che, nel caso delle bianche, variano da 90 a 420 W e la gamma viene completata dalle farine scure, integrali e biologiche. Dietro alla ricerca rimane inalterato il principio della naturalità del prodotto. “Non rinunceremo mai a qualità applicata a naturalità – precisa Spadoni – perché è il nostro punto di forza, perché siamo consapevoli dei milioni di persone che usano i nostri prodotti per nutrirsi e ci sentiamo responsabili della loro e della nostra salute. Anche per questo stiamo approcciando il mondo del biologico con un impianto produttivo dedicato. Molino Spadoni è socio del Consorzio Almaverde Bio e dispone il licensing
Leonardo Spadoni
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del marchio nel comparto farine, prodotti da forno, pane e suoi derivati e riso”. Molino Del Savio, dedicato esclusivamente alla produzione di farine bio: lavora 700 quintali di grano al giorno e si è ritagliato il primato di unico Molino industriale italiano 100% bio. Per il biologico è stato creato anche un marchio apposito – 360bio – destinato ai negozi specializzati nel biologico che comprenderà un ampio numero di farine e prodotti trasformati, come pizze, torte, cereali da colazione. Non solo farine “A Cibus presenteremo il Gruppo Alimentare Spadoni” annuncia l’AD. L’azienda, negli ultimi anni, ha avviato una serie di acquisizioni per diversificare i mercati e oggi le aziende e i marchi che, oltre a quelli già citati, vanno a comporre il Gruppo Alimentare Spadoni sono: Cisa, una storica azienda del cioccolato di Rovereto (TN) che per molto tempo ha avuto un ruolo di leadership nella produzione di uova di Pasqua; Keir, azienda ad alto tasso di innovazione che offre una serie di prodotti adatti a chi vuole seguire un regime alimentare dietetico; Isa, un consorzio che permette agli agricoltori di stoccare cereali con tecnologie d’avanguardia che preservano al meglio le caratteristiche dei cereali senza uso di prodotti chimici senza inquinare l’ambiente. Inoltre Leonardo Spadoni, per soddisfare la sua vasta passione per le cose buone, ha dato vita ad una linea di liquori tradizionali che porta la sua firma, tratti da antichi ricettari e riproducendo esattamente, per il nocino, il rosolio e la china, la ricetta originale di Pellegrino Artusi. Questi prodotti sono distribuiti esclusivamente nelle enoteche e nei migliori ristoranti da Armida, la società del gruppo vocata a questo specifico canale. Infine il progetto delle Officine Gastronomiche Spadoni, dedicato a formaggi dialettali e carni e salumi dei suini di razza Mora Romagnola. Ma questa è una storia che merita un racconto a parte, tanto è bella. Ad un’altra puntata dunque, che a Cibus verrà illustrata direttamente da Leonardo Spadoni ai clienti e agli amici.
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cosa chiede la ristorazione commerciale al prodotto surgelato? Risponde Daniele Lambertini, direttore commerciale Food Service Orogel La ristorazione chiede qualità, servizio, innovazione e praticità. Oggi siamo in grado di offrire prodotti al mondo della ristorazione che, grazie ai modernissimi sistemi di produzione impiegati, consentono all’operatore finale di poter realizzare e completare le sue preparazioni in pochissimo tempo; di non avere scarti produttivi, di poter cucinare risparmiando acqua, energia elettrica e manodopera. Da qui il concetto di “FOOD COST OROGEL“, ossia la dimostrazione pratica al nostro cliente di tutti i vantaggi che Orogel offre rispetto alle preparazioni tradizionali con in più anche la possibilità di offrire prodotti di assoluta e certificata qualità, coltivati e prodotti in Italia e disponibili tutto l’anno. Il “Food cost Orogel” significa quindi risparmiare tempo, denaro e offrire ancor più qualità, gusto e sicurezza alla propria clientela. Questi concetti vengono presentati con notevole successo alla clientela dalla nostra squadra di “chef promoter “ e stiamo raccogliendo il consenso e l’approvazione da tutto il mondo della ristorazione. Ma se questa sfida è vinta ne stiamo già lanciando un’altra ancor più impegnativa che riguarda il superamento del concetto penalizzante dell’asterisco nel menù di ristoranti ( che indica l’eventuale presenza di ingredienti surgelati). Vogliamo infatti convincere tutto il settore che l’impiego di prodotti surgelati nelle cucine della ristorazione non solo è premiante per l’operatore ma anche per il cliente che deve sentirsi rassicurato dall’impiego di prodotti che sono “più freschi del fresco “ e grazie alla qualità offerta esaltano e premiano il palato.
private label
Menoventuno piace al mercato La linea di prodotti surgelati a marchio di Cateringross fa leva su qualità a prezzo conveniente di Giorgio Zanelli
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Cosa distingue il mercato dei surgelati, rispetto ad altri segmenti? Ponendo la domanda le risposte sono molteplici e abbracciano un arco che si estende dalla qualità al servizio, ma la risposta più efficace viene da Umberto De Marinis, vicepresidente di Cateringross con delega allo sviluppo dei prodotti a marchio: “Il mercato dei surgelati cresce in proporzione alla consapevolezza del consumatore, professionista o gourmet che sia, del miglioramento costante della qualità e della capacità nel dare valore alla tradizione alimentare italiana”. Partendo da questa considerazione, condivisa da un’indagine che Cateringross ha compiuto tra i propri soci, il mondo del surgelato ha assunto una significativa voce in capitolo tra i distributori aderenti al consorzio, al punto che si è deciso di dar vita ad una linea a marchio dedicata: Menoventuno. Le prime referenze di Menoventuno riguardano naturalmente i vegetali, la categoria merceologica in testa ad ogni statistica di consumo dei prodotti surgelati; nel 2010, secondo l’ultima rilevazione fatta dall’Istituto Italiano Alimenti Surgelati, il consumo dei vegetali surgelati nel canale Catering è stato pari a 2,73 kg pro-capite, a cui vanno aggiunti i 3,7 kg nel canale retail. Un dato che porta ad un consumo complessivo di 391.507 ton-
nellate di vegetali, una quota pari a poco meno della metà dei consumi complessivi di prodotti surgelati che, nel 2010, ammontava a 836.936 tonnellate (nel 1982 erano 203.815, questo dà il senso di come siano cambiate le nostre abitudini alimentari). I vegetali surgelati sono il primo passo “Si è cominciato con i vegetali – commenta De Marinis – ma l’obiettivo è aprire verso l’ittico, l’altra categoria merceologica più significativa del settore. In Cateringross ci sono più di venti soci che trattano il prodotto surgelato e, nei piani di sviluppo, c’è l’obiettivo di accompagnare le nostre aziende ad implementare il commercio di surgelati, con una particolare attenzione verso il nostro marchio”. Ci sono validi motivi per spingere in questa direzione, come conferma Carlo Caranza, consulente marketing del gruppo: “Il prodotto a marchio assolve alla funzione primaria di venire incontro a quelle che sono le esigenze della propria clientela, mantenendo inalterate le garanzie di qualità e valore di analoghi prodotti di “marca”, offrendo nel contempo prezzi decisamente più convenienti dei leader di settore”. Solo sfruttando le competenze maturate all’interno della propria struttura, un gruppo può ottimizzare quelli che sono i costi realizzativi (packaging, comunicazione, controllo qualità) di un prodotto, posizionando lo stesso in fasce di prezzo decisamente inferiori, senza tuttavia comprometterne la qualità. “Ci sono, quindi, chiari vantaggi derivanti da economie di costo” commenta Caranza. Il percorso che ha accompagnato il lancio di Menoventuno ha vissuto momenti di serio approfondimento ed analisi
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le referenze in distribuzione • Piselli finissimi surgelati Menoventuno busta g. 2500 • Minestrone surgelato Menoventuno busta g. 2500 • Spinaci cubettati surgelati Menoventuno busta g. 2500 • Fagiolini fini surgelati Menoventuno busta g. 2500 • Broccoli iqf surgelati Menoventuno busta g. 2500 • Cavolfiore rosette surgelate Menoventuno busta g. 2500 • Carote disco surgelate Menoventuno busta g. 2500 • Carciofi spicchi surgelate Menoventuno busta g. 2500 • Melanzane grigliate surgelate Menoventuno busta g. 1000 • Peperoni grigliati surgelati Menoventuno busta g. 1000 • Zucchine grigliate surgelate Menoventuno busta g. 1000
del posizionamento che ha spinto Cateringross a scegliere come co-packer un’azienda che, nel settore dei vegetali, vanta posizioni di leader. “La scelta di lavorare con Orogel è arrivata dopo un confronto su qualità, peso nel mercato, servizio. Prima di partire abbiamo individuato con precisione il segmento – quello della ristorazione commerciale – e poi abbiamo selezionato le referenze che garantivano la stessa qualità del leader ma ad un prezzo più conveniente per i nostri clienti” spiega De Marinis. Il packaging studiato Nella gamma delle referenze di Menoventuno viene davvero esaltato il prodotto, ma non solo con un’immagine raffinata. Le persone che vendono ogni giorno alle decine di migliaia di ristoratori serviti da Cateringross tengono molto alla propria professionalità e a maggior ragione quando si tratta di proporre l’esclusività di un prodotto a marchio. Per questo, in basso a sinistra di ogni confezione, è stata ricavata una finestra trasparente che consente di accertare le caratteristiche delle verdure surgelate. “Per Orogel è necessario sempre più di fidelizzare ulteriormente il cliente verso prodotti di altissima qualità e ricchi di contenuto di servizio. Per questo motivo dedichiamo sempre maggiori risorse nel campo della ricerca e della produzione, per rinnovare continuamente un mercato dalle ampie prospettive. - precisa Daniele Lambertini, direttore commerciale Food Service Orogel - Tutte le nostre ricette nascono nella ‘Cucina Italiana di Orogel’, l’esclusivo centro gastronomico dove il nostro team-chef in collaborazione con il team r&s studia e testa tutti i prodotti che, dopo severissimi panel test e analisi, arrivano sul mercato. A questo si abbina la scelta del pack più indicato, come nel caso di Menoventuno, su cui ci siamo a lungo confrontati con i soci di Cateringross”. “Piace!” lo afferma Carmelo Nigro, amministratore delegato di Nigro Catering di Modica, che opera in una regione, la Sicilia, dove i vegetali sono alla base della cultura alimentare che si riconosce nella dieta mediterranea: “Le prime reazioni della nostra clientela sono positive e il fatto di offrire un prodotto a marchio ci toglie dalla mischia del mercato. È stato centrato il rapporto qualità-prezzo e la domanda che viene dai nostri clienti è quella di ampliare la gamma delle referenze”. Un ottimo inizio per affrontare un grande mercato.
Siamo cresciuti in famiglia. Con 21 prodotti, e le specialità dei freschi già cotti, la qualità e la tenerezza Fioccorosa incontrano sempre più spesso il gusto del pub-
blico e la convenienza del trade. Siamo fieri di potervi promettere che anche quest’anno ci sarà da divertirsi in cucina.
Castel Carni S.p.A. con socio unico - Via Della Pace, 6/c - 41051 Castelnuovo Rangone (MO) www.castelcarni.it
Unipeg S.c.a. - Via Due Canali, 13 - 42124 Reggio Emilia www.unipeg.it
Il suono delle cose buone di Guido Parri
distribuzione marongiu catering Zona P.I.P. Badde Cossos 07036 Sennori (SS) Tel. 079 361750 www.maronigucatering.it
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Sennori è una cittadina che dista pochi minuti da Sassari, famosa per tre cose: la coltivazione dell’ulivo e della vite, la fama di terra di venditori ambulanti, la magnifica posizione da cui si domina il golfo dell’Asinara. Mentre l’ultima è rimasta immutata le prime due hanno subito, nel corso degli anni, notevoli variazioni. La coltivazione dell’ulivo per la produzione di olio extravergine, così come quella della vite per il vino, hanno vissuto un lento decadimento che è culminato tra la fine degli ’70 e il decennio successivo. “In quegli anni – ricorda Franco Marongiu, discendente di una famiglia che per un secolo ha prodotto olio e farina – i campi venivano svenduti, altrettanto le produzioni, l’agricoltura era una pratica abbandonata da molti. Oggi si sta vivendo un recupero, ma non si tornerà mai più all’affermazione degli stessi valori intrinsechi a quel mondo. Per quanto questa terra abbia tradizioni molto forti e consolidate”. L’altro mestiere ormai scomparso è quello che vedeva gli abitanti di Sennori, non impegnati nel lavoro dei campi, rivestire i panni del commercio ambulante. Il territorio era un centro di lavorazione artigianale del ricamo e della palma nana, da cui si ricavavano corde, scope, cestini; questi oggetti erano la base dell’offerta commerciale con cui gli ambulanti affrontavano ogni angolo della Sardegna. Nasce dal mix tra olio e commercio ambulante la scelta che Franco Marongiu, allora giovane poco più che ventenne, fece per dar vita all’attività di commercio all’ingrosso. Proveniente da una lunga tradizione familiare di produzione di olii d’oliva, giovane con il desiderio di mettersi alla prova, genetica passione per il commercio, Marongiu aprì il primo magazzino alla fine degli anni ’80 con l’idea molto precisa di servire la ristorazione che, in quegli anni, in Sardegna stava sviluppandosi di pari passo con il turismo. “Non furono anni facili, non c’era abitudine all’utilizzo di prodotti nel settore del food & beverage che andassero al di fuori delle tradizioni locali, dove tutto veniva ancora fatto in casa” ricorda Franco Marongiu. Ma costanza e determinazione hanno avuto il sopravvento sulle abitudini ed ora la Marongiu Catering è un’azienda che si sviluppa su un’area complessiva di 5.000 metri quadrati, conta oltre 3.000 referenze suddivise tra food, vini, liquori e bevande, con un’ampia selezione di prodotti non food a corredo del servizio che offre verso il canale ho.re.ca. “Serviamo tutta la Sardegna, in particolare il centro-nord, con cinque agenti monomandatari, una flotta di sei mezzi che consegnano puntualmente entro ventiquattr’ore dall’ordine, abbiamo circa 500 clienti attivi - puntualizza Franco Marongiu – un modello di servizio indispensabile in un’area dove la stagione turistica si sta allungando anche fuori dai periodi canonici e resta elevata la richiesta di prodotti freschi e di qualità”. Sennori domina, in posizione strategica, sul Golfo dell’Asinara da un’altitudine di 227 metri sul livello del mare e gode dello splendido
panorama che da Porto Torres e Stintino arriva fino alle coste dell’Asinara e della Corsica; tutte le località e le coste più ambite sono raggiungibili in poche decine di minuti, ma altrettanto è raggiungibile questa cittadina ricca di storia. La sede di Marongiu Catering, nel centro di Sennori, adesso è suddivisa in tre parti: il magazzino e la logistica su un’area di circa 3.000 mq; il cash and carry, aperto recentemente, che si estende su 1.800 mq; un piccolo spaccio aperto al pubblico. “Sono due le strategie su cui stiamo puntando: lo sviluppo del cash and carry e il prodotto a marchio, entrambe sinergiche. Sui prodotti a marchio abbiamo sposato totalmente la scelta di Cateringross ed abbiamo tutte le referenze in catalogo. Inoltre abbiamo creato due marchi su cui puntiamo per valorizzare le produzioni locali: Tiu marò e Ajò chi è bonu”. Il marchio Tiu marò (tradotto è l’abbreviazione amichevolmente rispettosa del cognome) raccoglie prodotti di alta gamma nel paniere agroalimentare sardo, che vanno alla ristorazione ma per essere messi in tavola a contatto diretto con il consumatore che ne può leggere, in etichetta, le caratteristiche organolettiche e la storia: dal mirto alla bottarga e all’olio extravergine d’liva. Ajò chi è bonu, invece, racchiude i prodotti di utilizzo nelle cucine professionali. Sono molto singolari le etichette che contraddistinguono la gamma Tiu marò, in quanto riprendono arcaici simbolismi della cultura e della tradizione sarda: un disegno di pavoncelle stilizzate che sormonta la scritta in sardo “sono’s è bonu”: “Ci sono ancora forti legami tra la mia terra e la musica, da qui ho pensato di coniugare il suono delle cose buone” racconta il titolare di Marongiu Catering. Personaggio dai mille interessi e dalle innumerevoli risorse fino a scoprire che non solo olio ma anche farina erano tra le produzioni secolari della sua famiglia, proprietaria di un frantoio a pietra per la produzione: “Adesso ovviamente non produciamo più da anni, ma l’amore verso quel prodotto alla base della dieta mediterranea ha fatto della Marongiu Catering l’esclusivista di Molino Agugiaro con la sua linea di farine 5 Stagioni”. Uno dei molti prodotti che incontrano l’interesse del mondo della ristorazione che, commenta Franco, “è cambiato profondamente rispetto a quando decisi di avviare l’attività di distribuzione alla fine degli anni Ottanta. Allora, ad esempio,non si parlava neppure lontanamente di surgelato che adesso rappresenta circa un quarto del nostro fatturato. In una parola è aumentata la richiesta di servizio e noi ce la mettiamo tutta per soddisfarla”. Sennori è tornata ad avere un ruolo centrale nell’agroalimentare della regione; l’ulivo regala un olio extravergine di qualità superiore; anche il vino sta vivendo un nuovo fertile periodo produttivo. Non poteva essere in altro luogo la Marongiu Catering che in un paese la cui storia è segnata dalla capacità di reagire, come testimonia un episodio: quello della rivolta del 1795, causata dall’esasperazione dei vassalli di Sorso e di Sennori che, stanchi di imposizioni e soprusi si rifiutarono di versare i diritti feudali e, dopo aver messo a ferro e fuoco il palazzo feudale, cacciarono il barone Vincenzo Amat “avviato sulla strada per Sassari a caval di un somaro”.
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Ristoranti sempre pieni: finzione o realtà?
eventi
Il dibattito si è aperto con la presentazione della guida Meglio Prenotare 2012
di Alessandra Locatelli Nel calendario di convegni che si sono alternati al Sapore Tasting Experience di Rimini ha trovato spazio anche il dibattito «Ristoranti sempre pieni. Finzione o realtà?». L’incontro ha raccolto le riflessioni di Roberto Martinelli, direttore responsabile della rivista Catering Ristorazione e consumi fuori casa, nonché coordinatore della guida ragionata «Meglio Prenotare. Storie italiane di ristoranti affermati» edita da Edizioni Catering, e le esperienze di tre dei centosessanta protagonisti ospitati nella guida stessa: Peppino Tinari del Ristorante Villa Maiella a Guardiagrele (Ch), Massimo Spigaroli dell’Antica Corte Pallavicina e del Cavallino Bianco a Polesine Parmense (Pr) e Lucio Pompili del Ristorante Symposium 4 Stagioni a Cartoceto (PU). A moderare la conversazione, con il piglio provocatorio che lo contraddistingue, il giornalista Maurizio Di Dio: “Lo spunto è questo libro-guida: non si danno stelle e voti, si mettono invece in evidenza le storie di questi ristoranti, imprese che al mattino quando alzano la saracinesca devono sapere dove stanno andando”. Quando si parla di un ristorante di qualità lo si fa associando spesso il nome al numero di stelle: è questo l’unico parametro riconoscibile per raccontare un’identità? Lo scenario è più complesso: per la prima volta dal 2007 si registra un taglio nei consumi di due cifre e la ristorazione in quattro anni ha perso il
12%. “Ogni famiglia ha ben 1.300 euro spendibili in meno - ricorda Martinelli - e questo è un dato con cui il mercato si deve confrontare: nella guida abbiamo deciso di staccarci dai giudizi attribuiti dagli opinion-leader, per farci guidare dal successo reale, decretato dalla clientela”. Si segue il mercato dunque, per osservare e cercare di capire come si spostano i consumi. “Il ristorante prima di essere impresa è uno stile di vita. Una volta c’era Cantarelli che ti serviva in tempi non sospetti salumi e champagne; c’era Franco Colombani al Sole di Maleo, c’era Marchesi che aveva tolto la pasta dal menu e ci aveva messo il piccione. Proponevano storie italiane: non volevo si perdesse questa missione e decisi di aprire il Symposium, diventando anche io parte inconsapevole di una storia” racconta Pompili. Il linguaggio della cucina era allora una forma di dialogo che serviva al produttore, al contadino come al cuoco, per mettere insieme le esperienze e tracciare dei percorsi nuovi. “Si cresceva insieme, produttori, vignaioli, allevatori, erano loro i primi ambasciatori di un ristorante. E oggi, forse sono tutti troppo cresciuti?” azzarda Di Dio. Risponde Spigaroli: “Solo con la tradizione non si va avanti e le mode d’oltralpe sono transitorie. Per guardare al futuro credo si possa ragionare con le vie di mezzo: il Cavallino Bianco esiste da cinquantun anni e nel 2011 abbiamo aumentato i fatturati, facendo una
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Maurizio Di Dio
Lucio Pompili
Massimo Spigaroli
Peppino Tinari
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cucina che piace, di gusto. L’Antica Corte Pallavicina è invece aperta dal settembre 2010 e propone ricerca e innovazione senza cancellare il passato”. Anche grazie a questo modello, ad un anno dall’apertura, ha ricevuto la sua prima stella Michelin. Fare discorsi diversi con gli stessi ingredienti è operazione possibile e proficua, soprattutto quando si è, come in questo caso, contadino, salumaio e ristoratore. Ma oltre al gusto e alla qualità della materia prima, cosa c’è? “Ci sono le grandi tecniche - afferma Tinari. - Guardare all’estero per cogliere nuovi stimoli non significa copiare, ma formarsi, evolversi. Questo desidero per i miei figli, la conoscenza di altre filosofie nel segno della continuità. Oggi c’è confusione nel tipo di servizio offerto, a partire dalle insegne: quando andavo a scuola la scala era l’osteria, la trattoria, il ristorante di seconda categoria e quello di terza. Oggi, per fare un esempio, un cliente un pochino sprovveduto che va all’ Osteria Francescana pensando all’osteria in senso stretto resta di sale. Io sarei per rimettere un po’ i paletti”. La ristorazione italiana è da salvare allora? “Il fil rouge che nella guida accomuna in maniera trasversale la pizzeria alla trattoria e al ristorante stellato è declinato in elementi di successo e di insegnamento ben definiti. - spiega Martinelli - La cultura gastronomica del luogo, sia come spunto che come vocazione, il valore delle origini interpretate con intelligenza, lo spirito di ricerca e la volontà di fare cucina di livello, ognuno nel suo genere”. E il cliente, il valore aggiunto che sta dietro ad un piatto, lo percepisce? “O è colpa nostra che non lo abbiamo comunicato bene?” provoca Di Dio. “Noi siamo per far vedere di più ai clienti il dietro le quinte, la cucina - risponde Tinari - e capiscono l’impegno, il lavoro che c’è alle spalle”. “Il cliente è un ospite pagante e la domanda è molto focalizzata sul prezzo. - interviene Pompili- Il ristorante di fascia di ricerca deve stare sul mercato con prezzi più democratici e nel braccio di ferro tra domanda e offerta ci si deve chiedere a quale domanda rispondere”. Oggi il cliente ha a disposizione mezzi diversi per farsi un’idea di dove andrà a pranzo o a cena, tra blog, siti, social network, consigli, oltre al buon vecchio istinto, ma non siamo sicuri che ci sia equilibrio tra economia e comunicazione: l’educazione del consumatore a chi è delegata? Crediamo che un commento negativo postato su FB da un food blogger possa fare danni gravissimi ad un ristorante, generando concorrenza sleale: screditare per essere letti è una politica che non ci appartiene, lo stesso vale per la sovraesposizione. “Più che far uscire i cuochi dalla cucina, io sarei per rimetterli dentro” stuzzica Di Dio, ma Spigaroli lo asseconda: “Tutti pensano che il ristorante sia il cuoco, ma il ristorante è un’impresa che funziona se tutto il personale sposa la stessa filosofia. E il cliente fin dal parcheggio deve essere portato a capire dove sta andando, poi c’è il modo in cui gli si prende il cappotto, la toilette, l’aperitivo offerto, le luci non invadenti,
l’arredo, il pane e il coperto gratuito, il menu. Il ristoratore è come un sarto, ogni cliente ha il suo vestito e noi gli prendiamo le misure: dobbiamo capire che tono possiamo tenere con lui, fin dove raccontare senza annoiarlo ed è nelle chiacchiere di chiusura che si capisce se si è lavorato bene. L’ospitalità è un concetto globale e se il cliente ricorda almeno due cose che gli sono piaciute, allora vorrà tornare”. Continua Pompili: “Nel 1985 avevo cinque tavoli e ventiquattro sedie. Di recente ho fatto un evento al Louvre con cinquemila persone, usando un processo industrializzato, non industriale, guidato dal «quello che faccio per due lo faccio per venti». La nuova sfida della ristorazione è questa: affrontare il numero alto di coperti, come fanno all’estero, per ripensare la cucina di qualità nel quotidiano e non solo per l’occasione, a prezzi rivisti, che anche il pieno di benzina per andare a cena fuori va considerato”. Ristoratore dunque esperto di cucina, di economia, di sociologia e di marketing: “L’estero ci insegna che il business è replicabile, si lavora con l’open table e si gestisce il sistema azienda. - evidenzia Pompili - In Italia alta ristorazione e low cost formano un connubio difficile: c’è necessità di innovarsi, di creatività ancora maggiore, di menu con un piatto di punta e tre piatti satelliti per invogliare i clienti e gestire il food cost”. E la liberalizzazione? “Se posso lavorare sette giorni su sette è come se si aprissero il 20% di ristoranti in più. Reagan la chiamava de-regulation…” Infine, emerge da ogni parte il necessario ma spesso trascurato rispetto per il cliente, che è un concittadino: un ristorante è, in particolar modo in Italia, oltre che categoria commerciale formalizzata, un’informale e ufficiosa categoria di promozione turistica, in quanto luogo in cui si fa cultura di territori, di tradizioni, di uomini e di donne che hanno una storia italiana da raccontare. Come le centosessanta raccolte in Meglio Prenotare.
“Assistiamo a comportamenti di consumo schizofrenici - spiega Martinelli - e il ristoratore deve essere sempre di più manager di se stesso, imprenditore del proprio territorio”.
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storie di cucina
In quegli incontri si percepiva un clima che forse non si è mai più ritrovato in nessun altro consesso gastronomico; amicizia, serietà e rispetto erano gli ingredienti di Linea Italia in cucina. Ce lo conferma Antonio Santini, del Ristorante Dal Pescatore di Canneto sull’Oglio (MN) che quest’anno festeggia i trent’anni dalla prima stella Michelin (diventate due nel 1988 e tre dal 1996), con cui abbiamo ripercorso gli anni e la filosofia di Linea Italia in cucina. “Nel 1980 Franco Colombani venne da me un giorno a pranzo, con sua moglie Silvana. Parlammo a lungo del nostro mondo, di come la cucina italiana non riuscisse ad esprimere potenzialità più forti, del rischio di soggiacere alle tendenze e alle mode di quegli anni. Dobbiamo fare qualcosa, dobbiamo fare di più, mi disse. E ci lasciammo con quel pensiero. Pochi giorni dopo ci incontrammo di nuovo, con noi c’era anche Valentino Migliorini, il cuoco e patron del Ristorante Valentino di Caorso”.
La direttrice chiamò un suo grafico e gli diede il compito di disegnare il logo, perfetto nella sua semplicità: un cappello da cuoco appoggiato su un cartiglio con i colori della bandiera italiana. Tornammo a casa con i compiti: io e Franco Colombani scrivemmo lo statuto”. Si ritrovarono alcune settimane dopo, sempre presso la sede de La Cucina Italiana. Questa volta erano in otto, e diventarono i soci fondatori di Linea Italia in cucina: Franco Colombani, del Sole di Maleo, Antonio Santini del Pescatore di Canneto sull’Oglio, Valentino Migliorini del Valentino di Caorso, Tano Martini del Cigno di Mantova, Roberto Ferrari del Bersagliere di Goito, Pierantonio Ambrosi del vecchia Lugana di Sirmione, Dino Boscarato dell’Amelia di Mestre e Romano Franceschini del Da Romano di Viareggio. “Io ero l’unico ristoratore sotto la linea del Po - ricorda Romano Franceschini - mi aveva chiamato Valentino Migliorini per propormi di entrare a far
Non era un caso che tre grandi ristoratori fossero collocati lungo l’asta del grande fiume Po, lo stesso percorso in cui, proprio in quei primi anni ’80, si stava concludendo la straordinaria avventura di Peppino Cantarelli: “Ma attorno a noi e in altre parti d’Italia c’erano altri grandi nomi che hanno contribuito a scrivere la storia recente della cucina italiana: Paracucchi, Marchesi, Boscarato solo per citarne alcuni. Si trattava di creare un modello che potesse affermare alcuni principi fondamentali”. I tre andarono nella sede de La Cucina Italiana, a Milano, accolti da Anna Gosetti della Falda, proprietaria e direttrice della più autorevole tra le riviste del tempo. “ Fu lì, in quell’incontro – ricorda Antonio Santini – che nacque l’idea di Linea Italia in cucina.
parte dell’associazione. E anche Anna Gosetti, che mi aveva dedicato il mio primo articolo, mi invitò a partecipare. Non ci pensai due volte, sentivo la necessità di condividere con altri colleghi le mie esperienze ma anche i tanti dubbi che ci tengono sempre attenti in questo mestiere”.
Linea Italia in cucina “Mai seguire le mode” recitava un comandamento di Linea Italia
di Luigi Franchi
Antonio e Nadia Santini Ristorante Del Pescatore Canneto sull’Oglio (MN)
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“Chissà in quanti dei miei colleghi avranno ancora questo gagliardetto” commenta Renato Besenzoni, patron del ristorante Da Giovanni a Cortina di Alseno (PC) mentre ci fa vedere la recente ristrutturazione del ristorante, conclusasi da pochi giorni. Il gagliardetto è quello di Linea Italia in Cucina e, da un cassettino, Renato tira fuori un piccolo depliant dei primi anni ’90 dove sono elencati i trenta soci che, resistendo al passaggio modaiolo della nouvelle cuisine, tennero alto il valore della cucina italiana. Un cassettino da cui escono in un sol colpo molti ricordi: il primo dei quali fu la presentazione di un libro dedicato al mondo della ristorazione che fu presentato al Sole di Maleo, regno indiscusso del grande Franco Colombani, presidente di quest’associazione che, forse più di ogni altra, ha lasciato il segno nella memoria e nella storia recente della ristorazione italiana. Fu in quell’occasione che conobbi Franco Colombani, di cui porto appresso la sua stima e i primi preziosi insegnamenti, avuti seduto al suo tavolo di fratino, di quello che poi divenne mestiere: scrivere di cibo. Fu lui ad invitarmi ad una delle riunioni di Linea Italia in Cucina: incontri che si svolgevano un lunedì al mese, a turno ospiti di uno tra i soci ristoratori.
Pochi efficaci e chiari principi La riunione si concluse con l’approvazione dello statuto, l’impegno a promuovere l’associazione verso altri colleghi, l’elezione a presidente di Franco Colombani e la definizione di un codice comportamentale in cui si riconoscevano i soci. Poche regole, a rileggerle adesso possono apparire scontate ma solo perché Linea Italia in cucina riuscì ad imporle e farle diventare stile e tratto distintivo:
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Bontà e fragranza per tutti i gusti.
la ricerca e l’esecuzione delle ricette legate alla terra in cui si opera; nel rispetto delle ricette tradizionali, adeguare solo quando è indispensabile l’esecuzione dei piatti ai nuovi sistemi alimentari, senza per questo snaturare la grande ricchezza di gusti, di tradizioni e di memorie storiche; i piatti, preparati in cucina, vengono guarniti con adeguati contorni in armonia cromatica e gustativa con le vivande; limitare il numero dei piatti nel menù: Un pranzo italiano ideale dovrebbe comprendere: un antipasto, un primo, un secondo, un formaggio e un dolce, con pochi e adeguati vini; seguire unicamente le stagioni; non inventare e proporre menu ermetici, non servire i tris, non seguire le mode, non farsi strumentalizzare.
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L’album dei ricordi si apre L’associazione attraversò gli anni Ottanta con una serie di occasioni dove non si mancò di mettere in risalto le peculiarità della cucina italiana. “Ricordo due episodi significativi – rammenta Antonio Santini – il primo fu il numero de La Cucina Italiana dove, per ognuno dei soci (eravamo arrivati ad una trentina), Anna Gosetti pubblicò un profilo e una ricetta. Il secondo, un incontro dibattito alle Stelline di Milano, tra il sottoscritto e Gualtiero Marchesi, allora protagonista di un nuovo corso innovativo. Pubblico delle grandi occasioni che sperava in uno scontro che non ci fu, tutto si svolse in un clima di grande rispetto delle reciproche opinioni e non poteva essere altrimenti. Ma l’aspetto più importante, per noi, era tenere ferma la regola degli incontri mensili presso i ri-
storanti dei soci. Furono quelle le vere occasioni di crescita: c’era scambio di idee, si percepiva un forte senso di appartenenza ed era un modo generoso di proporre agli altri ciò che si faceva”. Dello stesso parere è Lucio Pompili, del Ristorante Symposium Quattro Stagioni di Cartoceto: “Era ogni volta uno scambio di idee, ogni incontro ci faceva tornare a casa con la conoscenza di un pezzo in più della tradizione gastronomica italiana. Non si trattava di determinare, come troppo spesso accade oggi, una tendenza in cucina. Inoltre gli chef, noi chef, eravamo un pezzo di un sistema più ampio di visione della cucina italiana che implicava quasi obbligatoriamente uno stile in tutto, servizio in primis. Oggi non c’è una linea nuova o vecchia, oggi c’è cucina contemporanea, ma la cucina italiana è come la lingua, perfettamente codificata”. Dalla storia di Linea Italia in cucina si imparronomolte cose: ad esempio che si può benissimo vivere senza il giudizio delle guide, come fece allora Tano Martini del Cigno di Mantova che chiese di essere derubricato, rinunciando alle stelle e ai punteggi, trasformando in trattoria il suo locale, senza cambiare nulla nel menu e in un servizio, ancora oggi, inappuntabile. Oppure il coraggio di fare una grande cucina nel sud dell’Italia, allora troppo spesso ignorata dai media. Nella vita di ognuno c’è un’immagine indelebile. Per chi, come il sottoscritto, ha avuto la fortuna di varcare la soglia del Monastero del Deserto, convento di clausura a Sant’Agata sui Due Golfi, con Alfonso Iaccarino che, vent’anni fa, ci teneva l’orto per il suo ristorante,in un giorno di
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inizio giugno all’ora del tramonto sul mar Tirreno e su Capri, quella è l’immagine indimenticabile. La discesa nelle cantine della famiglia Iaccarino è come un viaggio al centro della terra, dove riposano grandi bottiglie che erano, già allora, le predilette di un pubblico straniero che aveva eletto a luogo di culto della cucina italiana proprio Sant’Agata. Gli Iaccarino non sono mai venuti meno ai principi della cucina italiana: “La nostra cucina si basa su tre principi: mediterraneità, qualità assoluta delle materie prime e modernità. – spiega Alfonso Iaccarino – Siamo aperti a qualsiasi innovazione e tecnica di cucina, ma il valore lo fanno i prodotti e gli artigiani di queste materie prime. Il nostro compito è quello di esaltarne le proprietà, rispettando l’identità dei posti da cui veniamo”. Non per caso il menu al Don Alfonso si apre con
“Io ci sono cresciuta dentro, ho respirato l’aria di Linea Italia in cucina. – ricorda sua figlia Antonella Ricci, oggi al comando del ristorante Al Fornello da Ricci – Ero una ragazza e mio padre mi portava ad ogni incontro, ancor oggi quando rivedo i suoi amici ristoratori di quegli anni sento l’affetto sincero e il prodigio dei ricordi che ti aiutano a crescere”. Angelo Ricci non c’è più, insieme a lui se ne sono andati anche Sauro Brunicardi della Mora di Ponte a Moriano e Franco Colombani, il cui ritratto più bello lo fece Gianni Mura quando scrisse, in ricordo della sua scomparsa: “Una soddisfazione enorme, almeno, una, prima di morire Colombani l’ ha avuta. Fare cucina di territorio, hanno deciso un paio di settimane fa i massimi cuochi francesi riuniti da Joel Robuchon. Modestamente (anzi, molto fieramente) Colombani l’ aveva già deciso
una frase illuminante di Eduardo De Filippo: ”Solo dopo aver studiato, approfondito e rispettato la tradizione, si ha il diritto di metterla da parte, sempre però con la consapevolezza che le siamo debitori, per lo meno, d’aver contribuito a chiarirci le idee. Naturalmente, se si resta ancorati al passato, la vita che continua diventa vita che si ferma ma, se ci serviamo della tradizione come d’un trampolino, è ovvio che salteremo assai più in alto”. Il viaggio tra le cucine del meridione proseguiva verso Castrovillari, dai fratelli Gaetano e Pinuccio Alia i quali, coraggiosissimi in una landa circondata da capannoni, avevano trasformato la vecchia trattoria degli anni ’50 in un raffinato relais, quasi visionario per quelli anni e per quei luoghi, per arrivare poi in Puglia: alla squisita ospitalità di Angelo Ricci, a Ceglie Messapica.
nel 1980, fondando con alcuni audaci colleghi il movimento Linea Italia in Cucina che rappresentava (lo dico seriamente) un’ avanguardia di resistenza alla moda dominante in quei micidiali anni rampanti (anche in cucina). Basta coi tris, con la panna e piselli, si cucina per il cliente e non per le guide, basta con gli ikebana nel piatto. Adesso tutti quanti dicono viva la cucina zonale, ma allora ci voleva Colombani a fare argine, a organizzare i dissidenti. Forte della cultura, della rappresentatività (per due volte eletto presidente mondiale dei sommeliers) delle idee. Voila de la grande Nouvelle cuisine gli disse un giorno un cliente francese. E lui, sornione, gli squadernò davanti il libro dello Stefani, quattro secoli prima assemblatore di lombo di lepre, melograno, uvette”. Mi vien da scrivere: riprovateci, vi prego.
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Tutto ciò presuppone che chi si occupa di vino, e cioè chi lo produce, chi lo commercializza, chi lo consuma, abbia la consapevolezza di tutto il retroterra contenuto in un semplice calice. Un ristoratore all’altezza della sua professione dovrebbe quindi saper riconoscere l’importanza e il ruolo del vetro e soprattutto sapersi orientare nel labirintico panorama dell’offerta dei fornitori per guidare il commensale alla scoperta dell’intensità dei sapori individuali di ogni specifico vino.
equipment
Il calice: come riconoscerlo Saper scegliere quelli giusti per una degustazione perfetta
di Maurizia Martelli
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Servirebbe un libro, non un breve articolo, per descrivere ciò che sta dietro la produzione industriale di un calice da vino. Dietro la progettazione c’è lo studio scientifico di ingegneri al lavoro per calcolare con le leggi di diffusione nel mezzo le traiettorie delle molecole nella direzione delle papille gustative, traiettorie che naturalmente differiscono in ogni tipologia di bicchiere dando vita a forme, volumi, geometrie e spessori specifici per esaltare la percezione organolettica degli aromi di ogni vitigno e il grado di invecchiamento di un vino. Dietro la scelta dei materiali c’è la ricerca ininterrotta per ottenere dal vetro la migliore trasparenza, grado di incolore e di robustezza. Dietro le scelte di design c’è l’esigenza di tradurre il frutto di questi risultati di ricerca in uno stile che identifichi un marchio, rendendolo unico e irripetibile. “Il comportamento del calice – per dirla con le parole di Luigi Bormioli – è unico: filtra solo gli aromi più importanti del vino contenuto”, quindi corregge, aggiusta, riequilibra, valorizza e amplifica selettivamente, grazie alle speciali forme, le note olfattive più nobili, rare, ricercate.
È importante saper “scegliere” “Gestire un ristorante è quasi come uno ‘sport estremo’ – sostiene in Casa Riedel, centenaria azienda con sede a Kufstein, in Tirolo, Georg Riedel in persona – è un’attività altamente competitiva, stressante e richiede un alto grado di tecnica, competenza, professionalità. Il cliente si aspetta di vivere un’esperienza memorabile. E così, la Riedel ha pensato a una linea ad hoc per i ristoranti un po’ particolari, quelli che sanno ‘scegliere’ e che puntano a creare un’atmosfera, un’esperienza speciale per gli ospiti. Ecco come nasce Extreme Restaurant, una linea di moderni e raffinati bicchieri per la ristorazione che va ad integrare la collezione Restaurant, progettata a partire dal 2000 da Georg Riedel. Si tratta di calici in cristallo per rispondere alle vere esigenze della ristorazione, con una maggiore stabilità e resistenza alle sollecitazioni, in
cui la base del calice e il gambo sono leggermente più larghi e solidi. Il vetro non contiene piombo ed è adatto alle lavastoviglie professionali. “All’interno di un ristorante, in una sola settimana, il bicchiere è sottoposto alle manipolazioni che nell’ambiente domestico subisce in un anno intero”, spiega Georg Riedel. E in questi bicchieri la durata e la maneggevolezza sono garantite. Tutto sta quindi nel “saper scegliere” il bicchiere giusto e sapersi orientare in un’offerta che ha raggiunto livelli qualitativi elevatissimi e che presuppone da parte dell’operatore conoscenza e competenza. Per Luciano Cattaneo, presidente dell’Associazione Professionale per la promozione di attività di consulenza nel settore della ristorazione e dell’ospitalità alberghiera, che ha casa madre negli Stati Uniti, “il problema del saper scegliere è a valle, a monte, ovunque. A cominciare dall’operatore che taglia sempre più sui costi sulle figure professionali, sulla formazione e sulle attrezzature, per finire con il cliente che, anche quando va nel grande ristorante, il bicchiere non lo capisce. L’italiano è abituato al bello intorno a sé ma sembra non curarsene e guarda più al piatto che al bicchiere”. Di altro avviso è l’azienda triestina Italesse, che nasce nel 1979 dall’esperienza di Claudio Barducci nel mondo della ristorazione. “L’evoluzione professionale dell’operatore è andata di pari passo con quella dell’industria – chiarisce
I calici per birra Zago Per le Cuvée di malto in bottiglia ZAGO consiglia l’impiego di classici calici da vino bianco ampi, che consentano di valorizzare al meglio il colore, la cremosità, i profumi e il gusto del prodotto da degustare. Nel caso della spina invece, la birra deve essere servita in un’unica volta, ZAGO ha scelto dei bicchieri diversi, con forme studiate ad hoc che permettono di esaltare le caratteristiche organolettiche della Cuvée in fusto e agevolare il mantenimento della schiuma per tutta la durata della bevuta, creando i cosiddetti “merletti” ad ogni sorso di prodotto, esaltando al meglio il colore, la cremosità, i profumi e i sapori della Cuvèe di malto in degustazione. Per la HY Super Beer è stato scelto un bicchiere con un corpo molto ampio, che favorisce l’esaltazione e la percezione dei profumi, oltre che dare la possibilità di godere appieno delle tante sfumature di sapore di questo Champagne d’orzo. Per la birra Abbaye de Bonne Esperante, la forma del calice è legata alla tradizione del consumo delle birre d’abbazia, da sempre servite in classici calici a tulipano.
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Barducci – poiché quest’ultima deve evolvere e sapersi adeguare alle richieste dell’operatore e al tempo stesso l’operatore fa propri i suggerimenti che arrivano dall’industria per l’ottimizzazione del servizio. L’avanzamento tecnologico, i materiali sempre più competitivi, la messa a punto di dettagli tecnici in grado di coniugare la massima funzionalità a linee eleganti ha permesso al mondo dell’industria di suggerire nuovi prodotti e nuovi utilizzi all’operatore finale. Questo senza dubbio ha permesso un upgrading del servizio e una sempre maggiore attenzione da parte dell’operatore nella scelta di prodotti sempre più specializzati”. Rastal, un abito per il Franciacorta La richiesta di qualità nelle attrezzature è condizio sine qua non anche per i consorzi dei vini italiani. Rastal, altra azienda specializzata nella produzione di bicchieri da vino, di origine tedesca con sede italiana a Castel San Giovanni (PC), ha messo a punto in esclusiva mondiale un calice del Consorzio per la tutela del Franciacorta, perfezionato rispetto ai modelli precedenti, coppa e gambo del bicchiere in un pezzo unico in vetro cristallino, più robusto del 40% rispetto al normale, resistenza ai lavaggi molto superiore rispetto ai tradizionali calici e un’ampia apertura del calice, a forma di tulipano arrotondato, che esalta gli aromi e la facilità di mescita e d’assaggio. Un calice privo di piombo ed altri metalli pesanti in modo da assicurare una trasparenza perfetta, per consentire un’eccellente analisi visiva del Franciacorta. Per rendere il nuovo calice ancor più distinguibile, sulla coppa è stampata una piccola sfera che indica il livello standard dei 10 cl di contenuto, mentre sulla base è stampato in bianco il nuovo e inconfondibile logo Franciacorta. La classe non è acqua Difficile scegliere, ma in alto alla lista dei consigli per gli acquisti, oltre alla “tecnicità” dei prodotti che garantisce una corretta degustazione, oggi si guarda anche al design. “Non si può più prescindere da linee eleganti, esteticamente curate, facili da abbinare in ogni ambiente – chiarisce Barducci – e in questo Italesse ha intuito la necessità e la possibilità di far convivere forma e funzione nello stesso prodotto grazie al knowhow che ha permesso all’azienda di posizionarsi sui mercati professionali in maniera stabile e competitiva. “Prendiamo ad esempio Tiburòn, l’innovativa linea di calici lanciata lo scorso anno nel cnale horeca e nel retail. L’intera linea è caratterizzata da linee originali, riconoscibili, non assimilabili ad altre proposte sul mercato, è prodotta con la tecnologia XTREME ®, messa a punto nei nostri laboratori, conferisce ai calici una brillantezza unica, oltre a una maggiore resistenza alle torsioni, agli urti, caratteristiche che accrescono l’affidabilità del prodotto, senza nulla togliere al suo valore estetico. Una nota a parte va spesa per profondità della piqûre (l’angolo concavo sul fondo), che favorisce una perfetta degustazione dei diversi vini”.
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Il consumo e il valore del vino italiano
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di Giuseppe Vaccarini presidente Associazione della Sommellerie Professionale Italiana
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Il vino italiano, che svetta primo in classifica per fatturato nel nostro comparto agroalimentare, continua, nonostante tutto, a dare segnali contradditori e contrastanti. Un giro d’affari annuo di 13,5 miliardi di euro con 2 miliardi circa di indotto, eppure il mercato interno cala, all’estero si vende soprattutto vino sfuso e non la qualità, mentre lungo la filiera chi vende le uve è fortemente penalizzato rispetto a chi ha in mano la distribuzione del prodotto imbottigliato. È ciò che è recentemente emerso al recente forum nazionale sul vino italiano promosso dalla CIA lo scorso dicembre. E allora alcune considerazioni vanno fatte, innanzitutto sul fatto che pur continuando ad aumentare le quantità esportate per cui siamo primi in Europa, poi non sappiamo portare a casa altrettanto valore, e così da primi passiamo a secondi dopo i francesi da cui forse in tema di valorizzazione e marketing occorrerebbe cominciare ad imparare qualche cosa. Abbiamo una viticoltura con radici antichissime e nobili, in fin dei conti i romani, prima di conquistare la Gallia, odierna Francia, erano qui in Italia che praticavano la viticoltura; eppure a guardare bene sembra che in fatto di viticoltura siamo nati l’altro ieri e sicuramente lo siamo in fatto di valorizzazione con poche cantine che riescono con i loro prodotti eccellenti a farsi vedere sulle tavole della ristorazione di lusso internazionale. E sì, perché è proprio dalla grande ristorazione che comincia la valorizzazione a scendere di tutti i vini. Che manchino operatori con una solida cultura di marketing? Sicuramente non sono del tutto assenti, soprattutto quando consideriamo le grandi cantine italiane, per il resto credo che molto sia fatto in casa, in famiglia, con scarso investimento quindi su professionalità che andrebbero invece fatte fruttare di più e quindi anche con un ovvio scarso ritorno in termini di valore. Manca poi anche da noi un’imprenditoria lungimirante che investa in un progetto di promozione che non guardi solo al proprio giardino privato, penso alle grandi città italiane, dove, pur essendo i primi produttori di vino a livello europeo, non siamo capaci di creare “templi” del vino, superfici commerciali esperienziali, dove sia possibile degustare e conoscere tutta la vasta gamma di ciò che offre il nostro eccellente mercato. Tante piccole enoteche o wine bar, molti falliti uno dopo l’altro in questi anni, ma nessun luogo capace di fare breccia e cambiare il sistema di pensiero di un consumatore ancora timido e incerto. Così il buon vino si degusta essenzialmente lungo circuiti conosciuti tra gli intenditori, in luoghi spesso appartati, quasi di nascosto. Mancano le idee? Credo di no, proprio in Italia, paese delle idee, manca forse tra chi potrebbe investire la volontà di fare qualche cosa di concerto per mettere il vino italiano veramente al centro del nostro sistema produttivo e di consumo come è dovuto che sia ormai. Guardando al mercato interno invece cresce per il vino italiano la capacità di portare a casa valore, con un consumatore che acquista meno, ma meglio. Però occorre considerare che in 15 anni i consumi interni sono passati da 55 a 43 litri a testa, quindi il consumo interno decresce e notevolmente. Forse chi lavora nel settore non ha saputo guadagnare in appeal presso quei consumatori giovani più attratti dalla facile birra o dalle bevande pop up, così diffuse nei locali serali, anche se invece ci sono vini che sono fatti propri per loro, allora bisogna farli conoscere in appropriati circuiti di consumo, penso ad esempio alle pizzerie frequentate da giovani dove vini facili ed economici sarebbero ottimi compagni della pizza. E poi perché no? Più vino sfuso anche nei ristoranti, nelle pizzerie, nelle enoteche, vino alla spina proprio come la birra.
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terre di vino
Una Soave comunicazione Il Consorzio del Soave a Vinitaly per dire, ascoltare e capire
di Eugenio Negri
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“Per bere inizierei con champagne Cristal e proseguirei con del Soave doc” è il suggerimento beverino di Gordon Ramsey, lo chef contemporaneo forse più conosciuto al mondo. Per la Doc più antica d’Italia, ottenuta con Regio Decreto nell’ottobre 1931, che ha recentemente festeggiato i suoi primi ottant’anni è di certo una bella soddisfazione. E non è l’unica: pochi mesi fa il Soave è stato premiato dal Touring Club Italiano con il riconoscimento Eco-Friendly 2012 della Guida Vinibuoni d’Italia, per l’impegno che tutto il sistema vitivinicolo, coordinato dal Consorzio, ha profuso nella tutela del territorio e nei valori dell’eco-sostenibilità attraverso: il coordinamento dell’attività fitosanitaria sull’intero territorio a denominazione d’origine; un puntuale monitoraggio di suolo e sottosuolo, con il controllo dei residui dei trattamenti sulle uve; l’ottenimento, nel 2005, della certificazione ambientale UNI EN ISO 14001. A cui aggiungere il percorso Free Wine, proposto e condiviso con alcune aziende sul territorio per produrre vini a basso o nullo contenuto in anidride solforosa, e il progetto Eco2 nato da una sinergia tra Consorzio e aziende private per il recupero dell’anidride carbonica di fermentazione, sostenuto dalla Regione Veneto nell’ambito dell’ultimo PSR.
E sarà il palcoscenico internazionale di Vinitaly a raccontare l’evoluzione di questi due progetti, nati a Soave per poi propagarsi in Italia fino a creare l’interesse dell’OIV che guarda al Veneto come esempio di innovazione e tutela ambientale. A Vinitaly, dal 25 al 28 marzo,in un’area del padiglione Veneto, il cui layout espositivo richiama l’inimitabile profilo della cittadella medievale che sorge al centro del vastissimo vigneto di uve che fanno del Soave uno stile prima ancora che un vino, il Consorzio del Soave darà vita ad una serie di appuntamenti il cui filo conduttore, come racconta Aldo Lorenzoni, direttore del Consorzio, “sarà per l’appunto, lo stile inteso come insieme di carattere, di riconoscibilità, di estetica ma anche di sostanza. La sfida per il Soave sarà quella di giocare sulle differenze e sulle tendenze, in costante equilibrio tra il proporre novità e l’intercettare i gusti dei consumatori e i trend di mercato. Dire ma nello stesso tempo ascoltare e capire”. Le tendenze saranno indubbiamente protagoniste nei giorni dell’appuntamento fieristico, a cominciare dal vino e i giovani, alla presenza del professor Giorgio Calabrese, in quest’occasione nel ruolo di presidente nazionale ONAV, per arrivare ad Attilio Scienza che racconta del grande progetto Vulcania, tenendo a battesimo, insieme al giornalista del Messaggero, Antonio Paolini, la nascita dell’associazione delle Doc
vulcaniche. Il progetto, nato da un forum internazionale organizzato nel 2009 dal Consorzio del Soave, ha attestato, secondo autorevoli pareri di esperti internazionali, tra cui lo stesso Scienza, che i terreni vulcanici, di cui l’Italia è piena, sono i migliori per ottenere grandi vini: in effetti basta dare uno sguardo al panorama vinicolo emergente per rendersi conto della verità di quest’affermazione, da Pantelleria all’Etna, dall’Irpinia fino ad arrivare ai cru del Soave che stanno vivendo una straordinaria primavera. La scelta dei vini nella ristorazione Per tornare a Gordon Ramsey e al mondo della ristorazione, sarà affrontato proprio a Vinitaly, dal consorzio Soave in collaborazione con la nostra rivista, un dibattito su “Vizi e virtù dei ristoratori nella scelta dei vini”. L’incontro, moderato da Roberto Martinelli, vede i contributi di: Giuseppe Vaccarini, Presidente Associazione Sommelierie Professionale Italiana, Walter Fontanesi, responsabile acquisti San Geminiano Italia, Roberto Gazzola, patron e sommelier del Ristorante “La Palta” di Piacenza, Antonio Previdi, della Trattoria Entrà di Modena, Arturo Stocchetti, presidente Consorzio del Soave. Le domande attorno al tema sono infinite ma su alcune di esse si è focalizzata la riflessione di Giuseppe Vaccarini che offre un assaggio di ciò che potrà
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emergere dal convegno: “Intanto cominciamo con il dire che il Soave è tra i più conosciuti nelle varie parti del mondo dove si apprezza il vino, forse perché è stato tra i primi vini italiani ad affrontare i mercati internazionali: sicuramente perché ha un nome che piace, che ricorda l’Italia e lo stile di vita di questo nostro paese che, nell’immaginario internazionale, è tra i più invidiati”. Ma il tema porta più lontano, indugia sulle luci e le ombre del mercato del vino, su ciò che c’è di giusto e/o sbagliato e qui Giuseppe Vaccarini, dal suo osservatorio privilegiato, le idee le ha chiarissime e le esprime con la stessa trasparenza: “Il vino italiano è stato promosso bene suscitando interesse sia sotto il profilo del legame con il cibo italiano, sia sul piano culturale. Anche e soprattutto in quei paesi dove non c’era tradizione enogastronomica e conoscenza dei nostri vini. Di contro, attualmente, assistiamo ad un fenomeno negativo che corrisponde al ricarico esagerato che sul vino si sta facendo un po’ ovunque. Questo porta a penalizzare i vini italiani a favore di vini prodotti in paesi dove i costi di produzione sono inferiori e quindi anche le bottiglie costano meno. Il timore è che i vini italiani, al pari di quelli francesi, possano diventare vini belli da vedere e basta”. E in Italia? Quali sono le tendenze nel consumo? “Un vino facile da capire e che accompagni da inizio a fine pasto”, non ha dubbi il presidente dell’Associazione Sommelier Professionali Italiana. Vaccarini insiste sul concetto del prezzo, che non significa l’equivalenza di basso prezzo-scarsa qualità: “Oggi al ristorante trovano spazio i vini che stanno tra i 10 e i 30 euro, la gente vuole bere qualcosa che si possa bere, non vini impegnativi e legnosi che non consentono di andare oltre ad un bicchiere. Oltre ad un certo prezzo non si vende più”. Un dato che trova conferma nel successo di un vino come il Soave che, in un periodo di forte crisi come quello in corso, non ha visto flessioni di vendite, ma anzi accresce il suo posizionamento sia sul mercato italiano dove annovera tra i consumatori più fedeli circa il 60% di donne e giovani, sia sui mercati esteri che, secondo l’analisi del professor Attilio Scienza, ribadita anche in occasione del Forum Vinum Loci proprio a Soave, “rappresentano una tendenza che continuerà, con il Belpaese che produrrà sempre più vini da esportazione e dovrà rispondere a gusti sempre più specifici dei consumatori, a partire dai consumatori di domani, ovvero i più giovani, sempre di meno in Italia ma, potenzialmente, tanti milioni oltreconfine. E, per la quale, a giocare un ruolo fondamentale, sarà soprattutto la comunicazione. Non generica, ma sempre più mirata ai diversi target di consumatori e alle loro esigenze, puntando sui nuovi mezzi, nel caso per esempio di messaggi rivolti in particolare ai più giovani. Il web infatti è il canale fondamentale di comunicazione utilizzato soprattutto dai consumatori di domani, i giovani appunto, i cosiddetti nativi del web”. Al mondo della ristorazione italiana, ancora lontano da queste forme di comunicazione (solo il 10% usa internet, secondo recenti dati divulgati da FIPE), conviene attrezzarsi rapidamente.
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mercato grigio. Inoltre il consumatore, attraverso uno smartphone, può essere sicuro che quello che sta acquistando non è un vino taroccato. Antinori ha anche applicato i tag sui pallet’s, ma per un motivo diverso: quello di monitorare le condizioni di trasporto, soprattutto sulle lunghe distanze, e controllare gli sbalzi termici. Partito nel 2010 in collaborazione con Indicod-Ecr (l’associazione che si occupa della diffusione degli standard adottati a livello mondiale e in particolare del codice a barre) e con il consorzio Tuscania, il progetto coinvolge anche altre case vinicole come Barone Ricasoli, Le Macchiole, Ceretto e due distributori di Hong Kong come Watson Wine Cellar e Summergate. Tutto il lavoro di individuazione degli strumenti e della loro fattibilità è stato fatto dalla società Agriconsulting che ha verificato i diversi problemi che il sistema RFID poteva presentare, arrivando ad individuare le soluzioni, come racconta Giovanni Scola ricercatore della società: “Uno dei risultati più
intanto il nostro settore continua ad avere forti danni visto che sembra che in alcuni Paesi una bottiglia su tre di vino italiano sia contraffatta”. “Noi enologi siamo chiamati in prima persona a lavorare per arginare la deriva della contraffazione – ha aggiunto il presidente dell’Associazione enologi enotecnici italiani, Giancarlo Prevarin –, perché, a lungo andare, il ripetersi di episodi negativi rompe il patto di fiducia tra il produttore e il consumatore. Gli enologi sono un anello centrale di questa catena. Spesso, dalla nostra categoria dipendono le sorti, anche commerciali, dei vini e non possiamo lasciare degradare l’immagine nobile del vino italiano, da pochi “furbetti” guidati da mire puramente economiche”. Da queste riflessioni è partito il progetto lanciato da Assoenologi, in concomitanza delle celebrazioni per i 120 anni dell’associazione, di adottare l’analisi del DNA del vino. Un appello che il Consorzio della Vernaccia di San Gimignano sta portando avanti con molta determinazione, forte anche dei risultati positivi del bian-
interessanti ed utili per le aziende è derivato dall’applicazione dell’RFID alle barrique. In questo modo vengono tenute sotto controllo le grandi barricaie, sapendo dove è collocata esattamente una determinata barrique, qual è il contenuto, il tempo e l’evoluzione del vino”.
co DOCG italiano forse più conosciuto al mondo. “Sicuramente è così in Cina. – precisa la presidente del Consorzio, Letizia Cesani, in un’intervista nei giorni della recente anteprima del Vernaccia in cui snocciola i dati di mercato - Un 2010 in crescita del 5,3%, e al 31 dicembre 2011 sono state rilasciate oltre 5,1 milioni di fascette con un +2,2% (pari a 38mila hl di cui 25% provenienti da uve biologiche). Il conforto più grande ci viene dal fatto che non ci sono giacenze. Questo deriva dalla preferenza che il consumatore nutre verso i vini bianchi, in particolare all’estero, dove i nostri 76 soci esportano la metà della produzione”. Per quanto riguarda la codifica del DNA della Vernaccia di San Gimignano, portata a termine dall’Università di Firenze, le aziende, nei prossimi dieci anni,
Il vino si innova In cantina e nel vigneto, nelle architetture, nelle vendite
di Luigi Franchi
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L’innovazione sta invadendo il mondo del vino italiano: innovazione nella ricerca, nell’architettura, nell’approccio ai mercati. Non passa giorno senza imbattersi in una notizia che parla di vino e, fortunatamente, cominciano ad essere di più quelle che riguardano appunto l’innovazione pensata in funzione del consumatore che non quelle celebrative di vini che, parafrasando Giuseppe Vaccarini, sono solo belli da vedere perché impossibili da raggiungere per il loro prezzo al ristorante. Un viaggio nell’innovazione, pur breve che sia, non può che cominciare dalla casa vinicola Marchese Antinori per almeno tre motivi: l’assegnazione del prestigioso Premio Leonardo che, ogni anno, viene riservato ad un personaggio che si è particolarmente distinto nel promuovere l’immagine dell’Italia nel mondo. E immagine italiana nel mondo vuol dire life style, che si coniuga fortissimamente al vino e al cibo. Il secondo motivo è il progetto Wine Traceability, attraverso cui l’azienda riesce ad ottenere la tracciabilità delle bottiglie sui vari mercati, utilizzando la tecnologia a radio frequenza (RFID). Sostanzialmente vengono applicati, tramite le etichette intelligenti, dei tag che permettono di seguire a distanza il percorso che fa il vino, contrastando in tal modo il fenomeno del cosiddetto
Il DNA del vino La contraffazione del vino è uno dei mali endemici del settore, come dimostrano i sequestri per 11,5 milioni di euro, portati a termine nell’arco di un anno dall’Icqrf, e il milione di bottiglie di Amarone contraffatte e scoperte in Danimarca. “È vero si “taroccano” i prodotti di grido, quelli sconosciuti non li copia nessuno – afferma Giuseppe Martelli, direttore generale di Assoenologi –, ma
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potranno reimpiantare il 20% dei vigneti con i nuovi cloni omologati e, grazie ad una convenzione con l’Università di Siena, ai viticoltori verrà consentito di certificare, attraverso l’analisi del Dna, e a prezzi sostenibili, le barbatelle di Vernaccia prima del rinnovo degli impianti. Il sogno, o meglio l’obiettivo del presidente del Consorzio, è quello di fare della Vernaccia “il primo vino DNA traced”. Un’altra innovazione che sta incontrando un grande interesse è il QRCode: un codice a barre bidimensionale in grado di contenere dati o link fino a 7089 caratteri numerici, 4296 caratteri alfanumerici, 2953 bytes e 1817 caratteri Kanij dell’alfabeto giapponese. Adottato dalla nuova Asolo Docg Prosecco superiore, che il consorzio ha fatto applicare alle bottiglie delle aziende per permettere al consumatore di leggere tutto ciò che riguarda il prodotto e il territorio. Una strada ormai seguita da molte cantine italiane. Le architetture del vino E veniamo al terzo motivo per cui scrivere di Marchese Antinori: l’architettura e la sostenibilità, sia verso l’attenzione al paesaggio sia verso la qualità dell’ambiente di lavoro. Sono i due aspetti per cui la storica azienda, che produce vino da 26 generazioni (1285), si è vista attribuire il premio “Architettura” dell’US Award 2011, organizzato dal Sole 24 Ore, per l’eccellenza nella progettazione dell’ambiente lavorativo. La cantina, progettata da Marco Casamonti/ Studio Archea, verrà inaugurata a fine anno, nel cuore del Chianti Classico dove la famiglia Antinori trasferirà anche la propria sede che ora si trova a Firenze, è stata costruita con il pensiero rivolto alla perfetta integrazione con il paesaggio naturale. Si tratta dell’ultima opera architettonica, in ordine di tempo, che pare aver contagiato i grandi nomi del vino italiano. È storia recentissima la presentazione del Carapace di Arnaldo Pomodoro: la cantina voluta dal gruppo Lunelli sulle colline dell’Umbria, circondata da antichi vigneti e dove spicca, visibile a chilometri di distanza, un dardo enorme che penetra, con il suo fascio di luce, nel cuore della cantina. “Il paesaggio mi ricordava il Montefeltro dove sono nato, così come l’ha raccontato in tanti quadri Piero della Francesca. Il mio intervento quindi non doveva disturbare la dolcezza delle colline dove si estendono i vigneti, anzi doveva integrarsi perfettamente con l’ambiente. Ho avuto l’idea di una forma che ricorda la tartaruga, simbolo di stabilità e longevità che, con il suo carapace rappresenta l’unione tra terra e cielo”, ha raccontato Arnaldo Pomodoro. Il risultato è una sfera in rame e legno, intrecciati dagli abili carpentieri dolomitici, che sovrasta la collina, spuntando da essa; su tutto risalta un enorme dardo conficcato, un punto rosso visibile a chilometri di distanza. “Oltre al nostro amatissimo Trentino cercavamo un luogo con vigneti storici e forte personalità – spiega Marcello Lunelli, vicepresidente, che con Matteo, Camilla e Alessandro rappresenta la terza generazione a capo dell’azienda famosa nel mondo per le bollicine Ferrari – con l’obiettivo di portare ai nostri giorni il vino del passato”.
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La tendenza di affidarsi ad archistar per trasformare l’immagine delle cantine del vino da antri bui e oscuri a nuove categorie del degustare acculturato nacque, in Italia, a cavallo del millennio quando l’architetto Mario Botta, per il gruppo Terra Moretti, e l’architetto Renzo Piano, per l’azienda Rocca di Frassinello che vede in joint-venture Paolo Panerai ed Eric De Rotschild, rispettivamente amministratore delegato del gruppo editoriale Class e grande famiglia di banchieri, diedero vita a due straordinari esempi di architettura vinicola nel cuore della Maremma dove, a detta di molti, pulsa il cuore di una viticultura attenta, molto più sensibile al territorio circostante dove, anche in questo caso forse qui si fanno i migliori vini del mondo e non per caso. Web per crescere nel mondo del vino Le foto di queste cantine rimbalzano sul web, vengono scaricate, commentate, e come dice un blogger, “valgono sempre il viaggio dal vivo se ti vuoi davvero regalare un’emozione”. In Italia ci sono oltre 3,5 milioni di blogger, in 8 milioni li leggono e i quasi 6 milioni lasciano commenti. Su tutto. Ma ad appassionare di più è il mondo del vino dove, protetti da una sorta di filtro anti-timidezza, migliaia di italiani diventano critici, esperti e, purtroppo, in molti casi censori.
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Quest’ultimo aspetto sta generando alcuni rischi di danneggiamento di prodotti e produttori che, dalla loro, continuano ad avere solo un’arma: quella di far assaggiare il prodotto. Modello che però non raggiunge ciò che possono fare pochi clic, ovvero un’indistinta opinione di massa. Eppure non si può più far finta di niente: nel 2011 secondo la Bordeaux Management School, l’e-commerce del vino nel 2011 ha movimentato 4 miliardi di dollari a livello mondiale, con una proiezione per il 2012 che parla di 6,5 miliardi. Un dato che si sposa con quello presentato dal “Wine Future” di Hong Kong in Cina, secondo cui il 62% dei consumatori di vino si informa attraverso i social network, e il 70% delle scelte di consumo avviene tramite il passaparola della rete. In Italia, sul portale di eBay.it, da gennaio a settembre 2011, si è venduto vino per 2,3 milini di euro. In questo caso si tratta di bottiglie d’annata e, tra quelle preferite dai fruitori dell’e-commerce, ci sono le annate dal 1960 al 1969. Tecnologia e informatizzazione diventano quindi gli strumenti più importanti per chi produce e commercializza vino. In Italia si stanno muovendo i primi passi, ma fa già tenerezza vedere nelle fiere le aziende specializzate nel commercio di vini a domicilio continuare a proporre un piccolo assaggio.
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la consulenza
Alberto Fugagnoli avvocato dello studio legale Avv. Gaetano Forte
La nuova disciplina in materia di cessione dei prodotti agricoli e commerciali È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 24.01.2012 il tanto atteso, quanto discusso, Decreto Legge sulle “Liberalizzazioni”. Tra le molteplici questioni trattate dal Governo, merita un approfondimento l’art. 62, rubricato “Disciplina delle relazioni commerciali in materia di cessione di prodotti agricoli e agroalimentari”. Con tale disposizione il legislatore, nell’ottica della raccomandazione formulata dalla Direttiva 2000/35/CE al fine di impedire il ricorso a condizioni gravemente inique sulla data del pagamento e sulle conseguenze del ritardo, tende a dare certezza ed equilibrio alle relazioni commerciali tra gli operatori economici e mira a rafforzare la salvaguardia del fornitore/creditore nei confronti di possibili abusi, a suo danno, dell’autonomia contrattuale. Per le transazioni commerciali contemplate nell’articolo in esame (ad esclusione dei contratti conclusi con il consumatore finale) viene stabilito: l’ob-
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bligo della forma scritta e dell’indicazione, a pena di nullità, della durata, della quantità e delle caratteristiche del prodotto venduto, del prezzo, delle modalità di consegna e pagamento; il divieto di imposizione, diretta o indiretta, di condizioni di acquisto e di vendita “vessatorie” e ingiustificatamente gravose o inique e di adozione di condotte commerciali sleali; il termine legale per il pagamento del corrispettivo e la disciplina degli interessi applicabili al suo ritardo. L’elenco dei prodotti ascrivibili alla macrocategoria dei “prodotti alimentari deteriorabili”. Da rilevare, in particolare, la novità prevista dal comma 3, rispetto alla disciplina applicabile ai ritardi di pagamento nei contratti commerciali: con la nuova disposizione viene fissato il termine legale di pagamento per tutti i prodotti agricoli ed alimentari, distinguendo tra merci deteriorabili (30 giorni dalla consegna o dal ritiro dei prodotti o dal ricevimento della fattura) e non deteriorabili (60 giorni), con conseguente applicazione automatica degli interessi commerciali dal giorno successivo alla scadenza, al saggio, inderogabile, di cui all’art. 5, comma 1 del D.lgs. 231/2002, maggiorato di ulteriori due punti percentuali (come nella previgente disciplina). Il primo problema che si è presentato all’attenzione degli operatori deriva dal fatto che per i nuovi termini legali di pagamento (a differenza di quanto previsto dall’abrogata disciplina particolare dettata per i prodotti alimentari deteriorabili) non si fa alcuna menzione della loro inderogabilità, assoluta o condizionata. Resta quindi da capire se - come previsto dal comma 2 dell’art. 4 del D.lgs. 231/2002 per i contratti di cessione dei prodotti non appartenenti alla categoria dei prodotti alimentari, fatta salva la possibilità di eccepire la nullità degli accordi presi in caso di loro grave iniquità in danno del creditore - le parti siano libere o meno di stabilire un diverso termine di pagamento del corrispettivo, alla cui scadenza decorrano automaticamente gli interessi moratori. In assenza di un definizione legale della nozione di “norma imperativa”, appare ragionevole e del tutto in linea con lo scopo della nuova disposizione sostenere che la previsione di una sanzione amministrativa pecuniaria per il mancato rispetto dei termini di pagamento stabiliti al comma 3 (irrogabile dall’Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato con il supporto operativo della Guardia di Finanza, ai sensi dei commi 7 e 8) esprima una disapprovazione dell’ordinamento rispetto agli effetti che l’atto di autonomia, consistente nella deroga ai termini legali di cui si tratta, sarebbe in grado di continuare a produrre per le piccole e medie imprese, con influssi negativi su tutta l’economia nazionale (carenze di liquidità, insolvenze, mancato accesso al credito). Ulteriori problematiche si porranno nella gestione dei rapporti contrattuali con la clientela, specie per la tipologia di commercio all’ingrosso.Viste le prevedibili richieste di stralcio avanzate dalle associazioni di categoria dei retailers, si prevede un serrato dibattito nelle more della conversione in legge del provvedimento, che potrebbe portare in aula a sostanziali modifiche del testo esaminato.
cosa succede nel food & beverage
Spirito contadino, valore alla terra Nato da pochi mesi in terra di Puglia, Spirito Contadino è riuscito ad affermarsi nella ristorazione italiana grazie alla dedizione con cui la sua gente lavora e coltiva i campi per produrre frutti sani, che lasciano il segno in chi li scopre, diventando prodotti di eccellenza complementari alle ricette degli chef. Il cuore della produzione è in provincia di Foggia, dove Spirito Contadino è riuscito a recuperare verdure quasi scomparse e ortaggi che diventano raffinate pietanze e contorni di originali ricette. In azienda tutto è scandito dal calendario della natura: dalla semina alla raccolta, dalla mondatura alla preparazione di eccellenti verdure surgelate e in crosta di farina di grano. Il seme utilizzato per le colture, dal grano alle verdure, è accuratamente selezionato e prodotto nella stessa azienda, riutilizzato per una nuova semina per garantire e conservare alti i livelli di qualità. Una selezione accurata e riservata delle migliori verdure dell’orto, come Cime di Rapa, Fiori di Zucca, Peperone Friggitello sapore antico, sono generosamente affidate alle mani contadine, per donare il gusto puro e ricevere pregio e soddisfazione dai professionisti della ristorazione. Per saperne di più: www.spiritocontadino.com
Premi per l’Italia della ristorazione
Skalo di qualità Specializzata nei prodotti ittici, la marchigiana Skalo si attesta tra le migliori aziende italiane del settore, con una leadership come principale importatore italiano di gamberi (6000 tonnellate annue) e di scampi (1200 tonnellate annue). Fondata nel 178 dal commendator Giulio Gagliardini. La Skalo ha sviluppato un modello operativo che si basa sull’inderogabile principio di altissima qualità di prodotto, condizione esaltata dalle professionalità dei dipendenti e dalle numerose partnership con i fornitori. Un esempio arriva dal pescato dell’Adriatico che Skalo commercializza grazie al rapporto diretto ed esclusivo con alcune barche. Con il marchio Pesca Rara la Skalo produce una linea di prodotti congelati; con il marchio AmicoChef offre invece prodotti pronti da cuocere e anche cotti e già conditi solo da riscaldare. Per saperne di più: www.skalo.it
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L’incontro dell’Academie Internationale de la Gastronomie (con sede a Parigi e nella quale conferiscono 27 Accademie nazionali), avvenuto a fine gennaio, ha visto la partecipazione di Giovanni Ballarini, presidente dell’Accademia Italiana della Cucina, che è tornato con un carnet di riconoscimenti da far inorgoglire l’Italia enogastronomica. Infatti le sue proposte sono state accolte all’unanimità e il “ Gran Prix de l’Art de la Salle” del 2011 (premio unico a livello mondiale) è andato a Umberto Giraudo, Restaurant Manager del Roma Cavalieri Waldorf Astoria Hotels & Resorts. I vincitori italiani che lo hanno affiancato sono stati: per il Prix du Chef de l’Avenir - Giovanni Santini del Ristorante Dal Pescatore di Canneto sull’Oglio; per il Prix de la Littérature Gastronomique, Enrico Carnevale Schianca, autore de “La Cucina Medievale” pubblicato da Leo S. Olschki Editore; mentre il Prix Multimedia è andato a Davide Paolini, giornalista, scrittore, conduttore radiofonico.
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nel food & beverage
vitignoItalia a Napoli dal 20 al 22 maggio 2012
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Sarà Castel dell’Ovo la prestigiosa sede di Vitignoitalia, il salone dedicato ai grandi vini italiani. Un appuntamento che, arrivato all’ottava edizione, si caratterizza per la concretezza tematica che, quest’anno, viene focalizzata sui “Vini e i Territori vitivinicoli” del Belpaese sottolineando l’importante binomio tra vino e territorio. Inoltre l’edizione 2012 sarà fortemente export oriented: a fronte dei bassi volumi produttivi, cresce infatti l’Export per il vino italiano. I dati resi noti da Unione Italiana Vini parlano di 11 milioni di ettolitri (+16%) per 2 miliardi di euro (+1%) per il primo semestre 2011. Su queste analisi l’Ufficio buyers di Vitignoitalia sta già organizzando i Workshop One To One che mettono a diretto contatto domanda ed offerta.
La pasta al vertice della Qualità Pasta all’Uovo d’altissima Qualità Possiamo definirci a buon titolo gli specialisti della pasta all’uovo della tradizione Emiliana. Il pastificio Granarolo, nato nel paese omonimo antico granaio di Bologna, in questo prodotto unisce la modernissima tecnologia alla sapiente tradizione delle nostre terre.
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Per saperne di più: www.vitignoitalia.it
I nuovi vini lamborghini a vinitaly
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Acquerello, il riso ogni giorno migliore
Etichette davvero particolari e che lascino un’impronta di marchio fortissima nel consumatore, mantenendo un messaggio di naturalità ed eco-sostenibilità. Da queste indicazioni è nata la nuova gamma di vini Lamborghini (Sangue di Miura e Palazzo del Vignola): il primo cobrand è rappresentativo del gruppo ed è in onore della più importante auto realizzata nel recente passato, la mitica Miura; l’altro (Palazzo del Vignola) è in onore del palazzo storico sede del Gruppo Tonino Lamborghini spa. Al fine di dare un impronta ancor più decisa ad ogni bottiglia, sulla retro-etichetta è presente l’immagine del fondatore del gruppo, il Cav. Tonino Lamborghini, la sua firma in originale, oltre che a tutte le caratteristiche di legge del vino contenuto nella bottiglia, più Bar-code e QR code per scaricare con i comuni smart-phone tutte le caratteristiche tecniche del vino, inoltre l’etichetta principale frontale è realizzata completamente a mano in ceramica naturale e colorata in rosso Lamborghini. Nella gamma ci sono dal Cabernet-Sauvignon al SuperTuscan, al Merlot Umbro al Lugana riserva al metodo Classico con quasi 5 anni sugli lieviti, sino al Brachetto.
Acquerello è un riso coltivato, raffinato e confezionato nella Tenuta Colombara a Livorno Ferraris (VC). La famiglia Rondolino si prende cura di questo riso unico al mondo sin dal 15, e oggi Piero, insieme alla moglie Maria Nava ed ai figli Anna ed Umberto, porta avanti con passione la sua produzione del riso Carnaroli, cercando di raffinarlo sempre di più per renderlo ogni giorno migliore, grazie alle tecnologie innovative che ha installato nella tenuta. Acquerello è un riso unico al mondo, invecchiato almeno un anno, raffinato lentamente con un metodo esclusivo e reintegrato con la sua gemma, ricca di proprietà benefiche. Un riso perfetto grazie ai suoi chicchi integri, sodi e saporiti. Non s’incolla, assorbe i condimenti, non perde l’amido, le proteine e le vitamine in esso contenute.
Per saperne di più: www.imedhia.com
Per saperne di più: www.acquerello.it
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Le famose Tagliatelle di Bologna
La pasta per eccellenza simbolo della ricca gastronomia Bolognese, di sfoglia lavorata con trafile di bronzo impastata con sole uova e senza aggiunta di acqua come vuole la tradizione.
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Le Specialità Regionali Orecchiette Baresi, gnocchetti sardi, gramigna di Bologna, fusilli calabresi e tanti altri formati tipici della ricchissima tradizione della pasta di semola di grano duro italiana.
Pasta di semola per la ristorazione
Selezione Gourmet, la pasta di Semola di Grano Duro ad ALTISSIMA QUALITÀ con caratteristiche specifiche adatte alla ristorazione, idonea per la doppia cottura.
La Qualità non teme confronti Certificazione BRC-IFS
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Via Artigianato, 12 - 40057 Granarolo Emilia (Bologna) ITALIA Tel. (0039) 051 761 888 - Fax (0039) 051 760 660 www.pastificiogranarolo.it / e-mail:
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nel food & beverage
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Petrucci, il territorio nel bicchiere
madi ventura: specialisti della frutta secca
Podere Forte si trova a Castiglione d’Orcia, più villaggio che paese, incuneato tra Montalcino e Montepulciano, in un paesaggio di rara suggestione, dove si alternano terra e ampi orizzonti: è la Val d’Orcia, luogo magnifico, il cui nobile passato si perde nella notte dei tempi. Pasquale Forte, proprietario di Podere Forte dal 17, ha scelto di far rivivere qui un’antica tenuta, con l’obiettivo di creare un mondo nuovo, un ecosistema incontaminato e auto sufficiente. “Per noi, al Podere – racconta Pasquale Forte - il vino è il prodotto principe e lavoriamo intensamente per capire il territorio e quali sono le parcelle migliori, quei vigneti che, alla francese, chiamiamo Grand Cru, classificati e selezionati all’interno del Podere in base alle analisi chimico-fisiche e biologiche e in relazione dei prodotti che si sono ottenuti in questi dieci anni”. Il Petrucci, vino simbolo dell’azienda, prende il nome dall’antico appellativo del fondo di questo splendido luogo e viene prodotto con uve Sangiovese 100%. Qui già dal Rinascimento, generazioni di uomini hanno vissuto con le rendite di queste terre. Alcune viti di quel Sangiovese furono ritrovate nell’antico fondo Petrucci dove furono dimenticate per decenni. Oggi quelle viti sono rinate tramite il grande lavoro di selezione per dare vita ai migliori vigneti dell’azienda.
Non si diventa leader di mercato per caso in un settore così specializzato: è necessaria una conoscenza rigorosa delle esigenze dei consumatori, dei prodotti, la capacità di scegliere le materie prime migliori nei mercati d’origine, una cura speciale in ogni fase della produzione, una distribuzione capillare che coinvolga marchi di assoluta notorietà. Con la linea BB Mix, Madi Ventura offre Bontà e Benessere in tre mix di frutta disidratata e frutta secca in granella particolarmente adatti a varie combinazioni gastronomiche. BB Mix Colazione (mandorle, nocciole, uvetta e albicocche) rende piacevole lo yogurt o i cereali, mentre BB Mix Insalata (noci, mandorle, pomodori e semi di zucca) offre un momento di sana energia nella pausa pranzo, ottimo anche come “tocco” originale per arricchire gustose insalate. Mandorle, nocciole, noci e mirtilli rossi sono invece gli ingredienti originali alla base di BB Mix Macedonia, ideale per creare fantasiose insalate di frutta o semplicemente per un simpatico break. Per saperne di più: www.madiventura.it
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Picàie rosso
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Bagno alla birra, nuova emozione per due
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Chi la preferisce bionda, chi scura, light o doppio malto... ma ora la naturale bevanda fa il suo ingresso anche nel centro Spa & Vital delle Terme Merano, per un bagno rilassante e romantico allo stesso tempo. Luppolo, malto e orzo, sapientemente mescolati, danno vita ad una delle bevande più diffuse nel mondo: la birra. Non solo fa bene alla salute, in particolare al cuore, si è dimostrato che la birra è anche benefica per la pelle e lo spirito. Ecco perché è entrata a far parte dei prodotti naturali impiegati nel centro Spa & Vital delle Terme Merano dove la novità è proprio il Bagno alla birra per due, un trattamento rilassante, ma anche romantico proprio perché vissuto col proprio partner, nutriente e idratante.
Picàie ricorda l’antica usanza di appendere grappoli d’uva nelle soffitte delle case di campagna. I contadini lasciavano l’uva ad appassire fino a dicembre, poi una parte veniva portata sulla tavola di Natale come buon augurio ed il resto vinificato per ottenere un ottimo vino. Le uve Corvina, Cabernet Sauvignon e Merlot, selezionate e raccolte a mano con particolare cura, si lasciano appassire per tre mesi. La vinificazione avviene separatamente in fermentini di acciaio a temperatura controllata di 25°-28°C, per 20 giorni. Segue in acciaio la fermentazione malolattica che conferisce al prodotto morbidezza ed armonia. L’affinamento in barriques di rovere per 8 mesi ed in bottiglia per un anno ne esalta la struttura ed il bouquet.
Una Unasinfonia sinfoniadidiprelibatezze prelibatezze
cateringnews.it • marzo/aprile 2012 _
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nel food & beverage
Sei volte S.Pellegrino SAPorI TIcINo Nove cene al top della cucina europea e cinque pranzi per veri gourmet: questa è la sintesi perfetta per presentare S.Pellegrino Sapori Ticino 2012, quest’anno alla sesta edizione, l’affermata rassegna enogastronomica, ideata per accostare alta gastronomia e turismo nella cornice del Canton Ticino. Ad ogni edizione Dany Stauffacher, ideatore ed organizzatore di S.Pellegrino Sapori Ticino, sorprende con un tema che identifica e pone l’evento tra i più attesi del panorama enogastronomico. Anche in questa edizione è riuscito a stupire puntando sui “Giovani Talenti d’Europa”: i grandi chef della Svizzera italiana aprono le porte dei loro locali ai giovani chef europei che proporranno le proprie creazioni gourmet, dandosi appuntamento in diversi prestigiosi ristoranti di Lugano, Ascona e Vacallo. Dal 15 Aprile al 20 Maggio 2012, gli chef ticinesi “padroni di casa”, tra cui Dario Ranza, Ivo Adam, Luigi Lafranco, Marco Ghioldi, Andrea Bertarini e René Nagy, ospiteranno una selezione di giovani chef europei di grande successo capaci di convincere i gourmet più esigenti con
sapienti mix della cucina europea, che elaboreranno le loro specialità, mettendo in risalto il loro territorio attraverso le loro creazioni: Markus Arnold, 17 punti GaultMillau e una stella Michelin del Meridiano Kursaal di Berna; Maryline Nozahic, “Cuoca Svizzera dell’anno” per il 2012 dalla celebre guida gastronomica GaultMillau de La Table de Mary di Yverdon; Aurora Mazzucchelli, 1 stella Michelin del Marconi di Sasso Marconi consigliatissima dallo Chef Patron Giancarlo Morelli del Pomiroeu; Anton Schmaus, 1 stella Michelin dello Historisches Eck di Regensburg; Edouard Loubet del Domaine de Capelongue di Bonnieux en Provence, due stelle Michelin e Chef dell’Anno 2011 dalla Guida GaultMillau; Ronny Emborg, 1 stella Michelin e astro nascente della cucina danese del Ristorante AOC di Copenhagen; Pier Giorgio Parini, un vero artista con 1 stella v, del Ristorante Povero Diavolo di Torriana. Lorenzo Albrici, 1 stella Michelin della Locanda Orico di Bellinzona, Stefan Nowaczyk del Ristorante Seven Easy di Ascona, e Matteo Pellini del Ristorante Villa Saroli di Lugano sono invece fra coloro che torneranno a deliziare con i loro ormai celebri mezzogiorni d’alta cucina. “Vi faremo innamorare del buongusto e della vita” promette Dany Stauffacher. Difficile non crederci. Per saperne di più: www.sanpellegrinosaporiticino.ch
LE STELLE SONO SERVITE.
Il premio le 5 stagioni Quando si parla di pizza il mondo intero si mette in moto. Pare essere questo il messaggio raccolto al Sigep alla premiazione del “Premio Le 5 Stagioni – Progettare il futuro dei locali pizzeria. Nuove aperture, spazi e concept innovativi”, il concorso di design promosso dalla linea di farine specializzate “Le 5 Stagioni” di Agugiaro e Figna Molini SpA in collaborazione con POLI Design, Consorzio del Politecnico di Milano. Una pluralità di proposte testimoniano una vitalità internazionale che spicca dai progetti provenienti da ogni parte del mondo e selezionati da una commissione di esperti presieduta dal Prof. Arturo Dell’Acqua Bellavitis, Preside della Facoltà del Design del Politecnico. Spiega Giorgio Agugiaro, presidente di Agugiaro e Figna Molini SpA: “Questo premio rappresenta un momento d’incontro tra chi progetta e chi produce materie prime. Promuovere un confronto tra visioni diverse verso questo mercato può essere uno stimolo reciproco all’innovazione e alla crescita anche qualitativa del settore così legato alla tradizione”. Sono stati selezionati sette progetti vincitori , tre della sezione “Opening”per i nuovi locali e nuovi trend, il cui primo premio è stato assegnato alla Pizzeria Dodici Rondini di Foligno, progettata dallo Studio Carini di Foligno. Il secondo premio se l’è aggiudicata la Pizzeria Lamericano di Altamura, progettata dall’architetto Pasquale Gentile, e il terzo premio alla Pizzeria Pizza di Roma ideato dal progettista Josef Arbau di Nuoro. La giuria ha inoltre assegnato una menzione speciale ai concept “Pizza in Piazza” ai tre progettisti Soriano, Palazzo, e Modugno di Molfetta. Alla “Materia prima” a Fernanda Cesareo e Mimma Morelli di Villasanta e “Mammainpasta” ai progettisti Conventi, Benedetti e Calvano. Per saperne di più: www.premiole5stagioni.it
_ cateringnews.it • marzo/aprile 2012
www.apvd.it
cosa succede
Massimo Bottura, Chef testimonial GIBLOR’S, si conferma il numero uno della Cucina italiana. Anche la terza stella Michelin che mancava al suo palmares è arrivata puntualmente quest’anno.
Primo posto ed il massimo del punteggio anche per la Guida dell’Espresso, il Gambero Rosso ed il Touring Club. Un grande riconoscimento è stata inoltre l’assegnazione al suo ristorante, Osteria Francescana di Modena, del quarto posto (primo in Italia) nella classifica 2011 dei “50 World’s Best Restaurants”.
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www.giblors.com
cateringnews.it • marzo/aprile 2012 _ 5
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Catering
Foto di copertina: Vincenzo Lonati N° 8 Marzo - Aprile 2012 Catering News - Poste Italiane Spa - Sped. AP. DL 353/03 Conv. in L. 27/02/2004 N° 46 Art. 1 comma 1 - CN/BO autorizz. del Tribunale di Bologna n. 6126 del 25/07/1992 EDITORE Edizioni Catering srl Presidente: Umberto De Marinis Via Margotti, 8 – 40033 Casalecchio di Reno (BO) Tel. 051/751087 – Fax 051/751011
[email protected] – www.cateringnews.it DIRETTORE RESPONSABILE Roberto Martinelli
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abbiamo scritto di: Giovanni Albini, Catering Market Giorgio Agugiaro, Agugiaro & Figna Sayaka Anzai, Ristorante Piccolo Lago Bianca Maria Aranguren, ricercatrice Bartolo Artusa, Ristorante Dal Maestro del Brodo Azienda Agricola Cecilia Beretta Giovanni Ballarini, Accademia Italiana della Cucina Manfredi Barbera, produttore di olio Claudio Barducci, Italesse Guido Barilla, Barilla Luciano Berardi, De Cecco Paolo Bertozzi, Olitalia Renato Besenzoni, Ristorante Da Giovanni Giancarlo Bini, Ristorante Ombrone Giovanni Bonalli, Oleificio Zucchi Bordeaux Management School Luigi Bormioli, Bormioli Mario Botta, architetto Massimo Bottura, Osteria Francescana Carlo Maria Breschi, FIPE Leonardo Calbucci, AMIRa Luigi Caricato, Olio Officina Food Festival Enrico Carnevale, scrittore Casa Vinicola Marchese Antinori Luciano Cattaneo, consulente Letizia Cesani, Consorzio Vernaccia San Gimignano DOCG CHEF Consorzio Asolo DOCG Prosecco Consorzio Tutela Franciacorta Consorzio Vulcania Giuseppe Costa, Ristorante il Bavaglino Costaguta, Bain & Company Giuseppe Cuzziol, Italgrob D’Aucy Richard D’Angelo, Rose & Crown pub Arturo Dell’Acua Bellavitis, Politecnico Umberto De Marinis, Cateringross Demetra Maurizio Di Dio, giornalista Mauro Entradi, Cateringross Gennaro Esposito, Ristorante Torre del Saraceno Eurovo Loretta Fanella, Caffè Mamà Riccardo Felicetti, Unione Pastai Italiani Walter Fontanesi, San Geminiano Italia Fondazione Moresca Pasquale Forte, Podere Forte Giancarlo Fraternali Grilli, produttore di olio Marco Gandolfi, Barilla Roberto Gazzola, Ristorante La Palta Umberto Giraudo, Hotel Roma Cavalieri Waldorf Astoria Caz Hildebrand, designer Jacob Kenedy, chef Alfonso Iaccarino, Ristorante Don Alfonso Antonella Iandolo, chef Riccardo Illy, Illy Indicod-ECR Istituto Italiano Alimenti Surgelati Daniele Lambertini, Orogel Nicola Lasorsa, ISMEA Linea Italia in cucina Aldo Lorenzoni, Consorzio Vini Soave
Marcello Lunelli, Ferrari Madi Ventura Ilma e Karl Mair, Maso Pretzhof Franco Marongiu, Marongiu Catering Giuseppe Martelli, Assoenologi Marina Mastromauro, Pastificio Granoro Aurora Mazzucchelli, Ristorante Marconi Maurizio Melucci, assessore al turismo E.R. Fabrizia Meroi e Roberto Brodevani, Ristorante Laite Gianni Mura, giornalista Carmelo Nigro, Nigro Catering Paolo Panerai e Eric De Rotschild, Az.Agr. Rocca di Frassineto Antonio Paolini, giornalista Davide Paolini, giornalista Salvio Passariello, Andrea D’Amato, Pasquale Di Muccio, Antonio Guadagno, Ristorante le Due Torri Pata Luca Pellegrini, TradeLab Renzo Piano, architetto Pizzeria Piccola Ischia Pasquale Pizzuti, Quartiglia distribuzione Poli.Design Arnaldo Pomodoro, scultore Lucio Pompili, Ristorante Symposium Quattro Stagioni Luca Pregnolato, Co.Pra.L. Antonio Previdi, Trattoria Entrà Gordon Ramsey, chef Rastal Anna Revedin, ricercatrice Antonella Ricci, Ristorante Fornello da Ricci Georg Riedel, Riedel Frank Rizzuti, Ristorante Dattilo Michele Rotondo, Masseria Petrino Carlo e Marco Sacco, Ristorante Piccolo Lago Antonio e Nadia Santini, Ristorante Dal Pescatore Giovanni Santini, Ristorante Dal Pescatore Sapore Tasting Experience Luciano Sbraga, FIPE Davide Scabin, Ristorante Combal Zero Giovanni Scola, Agriconsulting Giuseppe Schipano, Scuola Alberghiera di Serramazzoni Attilio Scienza, Università Milano Vincenzo Servedeo, Barilla Skalo Leonardo Spadoni, Gruppo Alimentare Spadoni Massimo Spigaroli, Antica Corte Pallavicina Spirito Contadino Dany Stauffacher, San Pellegrino Sapori Ticino Arturo Stocchetti, Consorzio Vini Soave Jumpa Tarquini, Ristorante Il desiderio preso per la coda Terme Merano Terra Moretti Giuseppe Tinari, Ristorante Villa Maiella Daniele Tirelli, Popai Italia Unione Italiana Vini Giuseppe Vaccarini, ASPI Vini Lamborghini Viviana Varese, Sandra Ciciriello, Ristorante Alice Daniele Visconti, Trattoria Visconti Vitigno Italia Alfredo Zini, FIPE
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