CAPITOLO II
CAPITOLO II L’AUTONOMIA NORMATIVA DEGLI ENTI LOCALI (Prof. Vincenzo Cerulli Irelli e Dott. Riccardo Narducci)
2.1. L'adeguamento dell'ordinamento normativo dell'Ente locale al nuovo sistema costituzionale Il Comune ha autonomia statutaria, normativa, organizzativa, impositiva e finanziaria, da esercitare in conformità al quadro normativo vigente. In particolare il Consiglio comunale deve adeguare lo Statuto alla condizione di autonomia ed ai nuovi valori sanciti dalla riforma del titolo V, parte II, della Costituzione, introdotta dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, tenendo conto delle leggi emanate per l'attuazione della medesima, con particolare riferimento alla legge n. 5 giugno 2003 n. 131. La legge n.131/2003 prevede infatti espressamente che “lo statuto, in armonia con la Costituzione e con i principi generali in materia di organizzazione pubblica, nel rispetto di quanto stabilito dalla legge statale in attuazione dell'art. 117, 2° comma, lett. p) della Costituzione, stabilisce i principi di organizzazione dell'ente, le forme di controllo, anche sostitutivo, nonchè le garanzie delle minoranze e le forme di partecipazione popolare” (art.4, c.2); il successivo comma 3 prevede che “l'organizzazione degli enti locali è disciplinata dai regolamenti nel rispetto delle norme statutarie”. Senza affrontare il problema di ordine sistematico di cui alla legge 131 del 2003, non si può prescindere dal considerare le questioni di ordine interpretativo poste dalla stessa, ed in particolare quelle che attengono all'efficacia sia della legge costituzionale n. 3 del 2001 che della legge n. 131 del 2003 medesima. Tre sono, nello specifico, le domande che si pongono a questo riguardo. La prima domanda è volta ad evidenziare se l'ente locale è nella condizione giuridica per provvedere direttamente ed immediatamente all'adeguamento dei propri statuti e regolamenti sulla base di quanto previsto dal Titolo V della Costituzione. La risposta al quesito non può che essere affermativa. Si ritiene, infatti, che laddove la norma non richieda ulteriori specifici provvedimenti e preveda il riconoscimento per i cittadini di nuovi diritti o il rafforzamento di quelli esistenti, debba essere immediatamente applicata. Questi problemi afferenti l'applicazione di norme di legge erano, peraltro, insorti anche all'indomani della entrata in vigore della legge n. 142 del 1990, in relazione alla distinzione delle funzioni tra organi direttivi e organi gestionali: le istruzioni ministeriali, la dottrina ed in seguito anche la giurisprudenza erano peraltro state concordi nell'affermare l'immediata applicazione anche delle norme sui poteri, rimuovendo, in tale modo, le tesi sulle riserve regolamentari (= acquisizione di norme generali mediante l'assunzione di norme d'acquisizione regolamentare). La suddetta posizione esegetica, d'altro canto, risulta acclarata dalla stessa normativa di riferimento: 35
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– art. 114, sesto comma, Costituzione, per il quale “I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione”; – art. 117, sesto comma, Costituzione, per il quale “La potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle Regioni. La potestà regolamentare spetta alla Regione in ogni altra materia. I Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite; – art. 4, legge 5 giugno 2003, n.131, per il quale “1. I Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà normativa secondo i principi fissati dalla Costituzione. La potestà normativa consiste nella potestà statutaria e in quella regolamentare. 2. Lo statuto, in armonia con la Costituzione e con i principi generali in materia di organizzazione pubblica, nel rispetto di quanto stabilito dalla legge statale in attuazione dell'art. 117, secondo comma, lettera p) della Costituzione, stabilisce i principi di organizzazione e funzionamento dell'ente, le forme di controllo, anche sostitutivo, nonché le garanzie delle minoranze e le forme di partecipazione popolare. 3. L'organizzazione degli enti locali è disciplinata dai regolamenti nel rispetto delle norme statutarie. 4. La disciplina dell'organizzazione, dello svolgimento e della gestione delle funzioni dei Comuni, delle Province e delle Città metropolitane è riservata alla potestà regolamentare dell'ente locale, nell'ambito della legislazione dello Stato o della Regione, che ne assicura i requisiti minimi di uniformità, secondo le rispettive competenze, conformemente a quanto previsto dagli articoli 114, 117, sesto comma, e 118 della Costituzione. 5. Il potere normativo è esercitato anche dalle unioni di Comuni, dalle Comunità montane e isolane. 6. Fino all'adozione dei regolamenti degli enti locali, si applicano le vigenti norme statali e regionali, fermo restando quanto previsto dal presente articolo.” Dal raffronto delle disposizioni sopra riportate si possono trarre le seguenti conclusioni: a) le norme costituzionali sono suscettibili di immediata applicazione; b) le relative norme di attuazione non restringono il suddetto quadro, ma forniscono ulteriori elementi di certezza operativa, ad esempio in ordine all'obbligatorietà dell'adozione dei regolamenti previsti dalla legge, inclusi quelli che si desumono dalle competenze istituzionali, nonché in ordine alla sanzione che comporta il riferimento alle norme statali e regionali, nelle more della loro adozione ed entrata in vigore. Se prima della riforma costituzionale, ogni riferimento ai poteri e alle funzioni, doveva, per svariati motivi, ispirarsi al Testo Unico 267 del 2000 - dal quale si ricava una certa apertu36
ra proprio sui principi dell'autonomia - successivamente, con la modifica della Costituzione e l'approvazione della legge di attuazione, è sostanzialmente mutato il quadro di riferimento delle autonomie locali. Cambia, come si è detto, il riferimento normativo che ora trova la sua fonte nei principi costituzionali, per cui è intesa la rimozione di ogni altra fonte, con la sola eccezione di quelle normative che afferiscono ad altre fattispecie operative, purché compatibili con le norme costituzionali. La nuova soggettività e conseguentemente i nuovi rapporti integrati richiedono una disponibilità strumentale di tipo esaustivo in grado di coprire adeguatamente tutti gli spazi dell'autonomia. La seconda domanda attiene al problema dell'adeguamento della potestà normativa degli Enti locali in base alla legge n. 131 del 2003: l'ente locale è tenuto a modificare ulteriormente il suo statuto e i suoi regolamenti sulla base di questa legge. La risposta non può che essere affermativa, non già solo in relazione alle previsioni di cui al citato titolo V della Costituzione, quanto in relazione a quelle norme di ordine strettamente tecnico-organizzativo che rientrano comunque nella competenza del legislatore statuale e che sono dotate di propria autonomia nell'ambito della gerarchia delle fonti. La terza domanda, infine, attiene ai riflessi delle modifiche apportate al Titolo V in relazione all'ordinamento delle autonomie locali. La risposta è più articolata in quanto nella specie è necessario tenere conto del disposto dell'art. 2, co. 4, lett. g) della legge 131/2003, che recita testualmente: “procedere (cfr. in relazione alla prevista delega come in apertura dello stesso quarto comma) alla revisione delle disposizioni legislative sugli enti locali, comprese quelle contenute nel testo unico delle leggi sull' ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, limitatamente alle norme che contrastano con il sistema costituzionale degli enti locali definito dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, attraverso la modificazione, l'integrazione, la soppressione e il coordinamento formale delle disposizioni vigenti, anche al fine di assicurare la coerenza sistematica della normativa, l'aggiornamento e la semplificazione del linguaggio normativo”. Da tale previsione non è dato desumere alcuna limitazione all'immediata applicazione della legge costituzionale n. 3 del 2001, sia a decorrere dalla entrata in vigore della stessa, sia, successivamente, a decorrere dalla entrata in vigore della legge 131 del 2003, in relazione ai rispettivi effetti. L'immediata applicazione della legge cost. n. 3/2001 non è tuttavia da riferire integralmente all'adeguamento degli statuti e dei regolamenti. Infatti, vi sono norme la cui entrata in vigore non è soggetta ad alcuna riserva: tecnicamente, trattasi di norme perfette in grado di spiegare i propri effetti senza ricorrere ad alcuna integrazione riservata sia espressamente che implicitamente. 2.2. Gli statuti Lo Statuto è l'atto fondamentale che garantisce l'attuazione dell'autonomia organizzativa del Comune, assicura il coordinamento delle competenze dei suoi organi e indirizza l'esercizio delle funzioni attribuite all'ente dall'ordinamento. 37
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Per un riferimento alle fonti di produzione relative a natura e a contenuti degli statuti degli enti locali, il rinvio è, in via prevalente, ma non per questo esclusiva, alle seguenti specifiche fonti di produzione normativa: – art. 6 del Testo unico n. 267 del 2000; – art. 114, c. 1, della Costituzione; – art. 117, c. 2, lett. p, della Costituzione; – art. 118 della Costituzione; – art. 4, commi 1 e 2, della legge n. 131 del 2003. Se l'intendimento fosse unicamente quello di un esame integrato dei suddetti riferimenti normativi in funzione di una precisa identificazione dello strumento normativo, questi non potrebbe che essere individuabile nello Statuto, il quale, pertanto, stabilisce, anche sul piano tecnico, i relativi elementi essenziali. Se, tuttavia, a codesto intendimento s'intendesse anteporre un esame delle prevalenze ritenute essenziali ed inderogabili, allora, in questo caso, non rimarrebbe che attenersi a “i principi fissati dalla Costituzione” di cui, per l'appunto, al primo comma del citato art. 4 della legge n. 131. Ed allora quali sono i principi fissati dalla Costituzione a cui gli enti locali devono fare riferimento, in primo luogo, nella adozione dei loro statuti? Bisogna ricorrere al coordinamento tra i principi fissati dalla stessa Carta costituzionale e quanto disposto dal secondo comma del citato art. 4, che assume una chiara rilevanza sul piano della dimensione qualificante (da non confondere con quella di dettaglio), che presuppone l'esistenza di un “nucleo normativo centrale”. Più specificatamente, se il raffronto tra gli artt. 114, comma secondo, e 117, comma sesto, della Costituzione, e l'art. 4 della legge n. 131, esaurisce la più generale esigenza esegetica per l'appunto riferita alla soggettività, per quanto attiene allo statuto dei Comuni, delle Province e delle Città metropolitane il raffronto va ragionevolmente condotto sulle corrispondenti disposizioni della citata legge 131 del 2003 e del T.u.e.l.. Da questo punto di vista, il T.u.e.l. assume un ruolo integrativo, ma non interpretativo rispetto alle norme costituzionali e alla legge di attuazione n. 131 del 2003, ovviamente per le ulteriori disposizioni e nei limiti della compatibilità. Con gli strumenti legislativi attualmente disponibili si può, dunque, intervenire sugli statuti vigenti in quanto la normativa di riferimento è immediatamente applicabile. Sul piano tecnico due sono le possibilità d'intervento: 38
a) di aggravamento sotto il profilo della novellazione riferita alle norme statutarie che risultano in contrasto con il nuovo assetto normativo; b) di riadozione dello statuto in quanto è ritenuta impraticabile la tecnica giuridica della novellazione in relazione al notevole grado di difformità. La scelta della tipologia di intervento normativo deve quindi essere ponderata in relazione alla consistenza dell'adeguamento statutario che si intende effettuare. In merito ai contenuti della fonte in esame, si osserva che lo statuto è l'atto con cui l'ente locale fissa i principi fondamentali della sua organizzazione e del suo funzionamento. In particolare, secondo le disposizioni del vigente testo unico sugli enti locali, è possibile distinguere un contenuto "necessario" ed un contenuto "facoltativo". Gli statuti devono necessariamente disciplinare ex art. 6 T.u.e.l. le norme fondamentali dell'organizzazione dell'ente: in particolare, specificare le attribuzioni degli organi, le forme di garanzia e di partecipazione delle minoranze, i modi di esercizio della rappresentanza legale dell'ente, le forme di collaborazione tra comuni e province, la partecipazione popolare, l'accesso dei cittadini alle informazioni e ai procedimenti amministrativi, la parità dei sessi. Sul punto, la L. n. 131/2003 prevede espressamente che lo statuto stabilisce principi di organizzazione e funzionamento dell'ente, le forme di controllo anche sostitutivo, nonché le garanzie delle minoranze e le forme di partecipazione popolare ( art. 4 comma 2). Al contrario l'inserimento di altre disposizioni è lasciato alla autonomia e alla discrezionalità dell'ente stesso, tra queste in primo luogo l'istituzione del difensore civico (art. 11 T.u.e.l.), del referendum (art. 8 T.u.el.), varie forme di decentramento quali la previsione di circondari provinciali (art. 21), i municipi per comuni risultanti da fusioni (art.16), le circoscrizioni per i comuni con popolazione inferiore ad una certa soglia (art. 17). Problematica è in dottrina la possibilità di introdurre negli statuti la disciplina di “ulteriori oggetti” non previsti dal T.u.e.l.. In ragione della sua rilevanza è prevista per la sua adozione un procedimento aggravato: esso è deliberato dai consigli con il voto favorevole dei 2/3 dei consiglieri assegnati. Qualora tale maggioranza non sia raggiunta la votazione è ripetuta in successive sedute da tenersi entro 30 gg. E lo statuto è approvato se ottiene per due volte il favorevole della maggioranza assoluta dei consiglieri assegnati. Particolarmente complessa è anche la questione relativa alla posizione che lo statuto assume nel sistema delle fonti dell'ordinamento della Repubblica: l'art. 114 Cost., infatti, impone allo statuto il rispetto dei principi fissati dalla Costituzione; l'art. 4 della L. n. 131/2003 ne predica l'armonia con la Costituzione e con i principi generali in materia di organizzazione pubblica; questi principi sono desumibili sia direttamente dall'art. 97 e 98 Cost. (buon andamento, imparzialità e concorso per l'accesso ai pubblici impieghi), sia dalle disposizioni della legislazione ordinaria (tra i quali preminente è il principio di distinzione tra politica e amministrazione di cui al d. lgs.165/2001). 39
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Per quanto attiene al rapporto tra statuto e legge statale, nel T.u.e.l. è stabilito che la disciplina statutaria si determina nell'ambito dei principi stabiliti dal T.u.e.l. stesso (art. 6, comma 2). A seguito della riforma costituzionale, è necessaria una reinterpretazione di detto articolo: è evidente, infatti, che il limite in questione, e più in genere le disposizioni del T.u.e.l., sono cogenti soltanto laddove possano essere ricomprese nella legislazione esclusiva dello Stato. Si ricorda, inoltre, che, nel sistema attuale caratterizzato da una potestà legislativa regionale particolarmente ampia, gli enti locali dovranno tenere conto anche di tale normazione nell'esercizio del potere statutario e regolamentare; ancora incerti i confini tra le competenze normative delle Regioni e degli enti locali. 2.3. I regolamenti Il potere regolamentare degli enti locali è istituzionalmente implicito ancorché, adesso, costituzionalmente previsto espressamente dalla Costituzione negli artt. 114, c. 2), e 117, c. 6): quest'ultimo, in particolare, prevede espressamente la riserva regolamentare a beneficio dei comuni e delle province in materia di disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite. Per avere un quadro completo della potestà regolamentare, bisogna tuttavia rifarsi all'art. 4 della legge n. 131 del 2003,, nonchè al T.u.e.l. L'art. 7 del T.u.e.l. prevede che Nel rispetto dei principi fissati dalla legge e dallo statuto, il Comune e la Provincia adottano regolamenti nelle materie di propria competenza ed in particolare per l'organizzazione e il funzionamento delle istituzioni e degli organismi di partecipazione, per il funzionamento degli organi di partecipazione, per il funzionamento degli organi e degli uffici e per l'esercizio delle funzioni. Al riguardo, l'art. 4 della legge n. 131/2003 si esprime tra l'altro come segue: “3. L'organizzazione degli enti locali è disciplinata dai regolamenti nel rispetto delle norme statutarie. 4. La disciplina dell'organizzazione, dello svolgimento e della gestione delle funzioni dei Comuni, delle Province e delle Città metropolitane è riservata alla potestà regolamentare dell'ente locale, nell'ambito della legislazione dello Stato e della Regione, che ne assicura i requisiti minimi di uniformità, secondo le rispettive competenze, conformemente a quanto previsto dagli artt. 114, 117, sesto comma, e 118 della Costituzione. 5. Il potere normativo è esercitato anche dalle Unioni di Comuni, dalle Comunità montane ed isolane”. Il raffronto fra le due normative evidenzia: a) un miglioramento dell'assetto soggettivo, nel senso che l'art. 4 estende la disciplina alle Città metropolitane, nonché alle Unioni di Comuni ed alle Comunità montane e isolane; b) una diversa articolazione dei limiti opposti alla funzione regolamentare ed una distinzione tra “organizzazione degli enti locali” e “gestione delle funzioni”, nonché 40
un ulteriore limite all'esercizio della potestà regolamentare “nell'ambito della legislazione dello Stato e della Regione”, quest'ultimo tuttavia sottoposto a riserva “che ne assicura i requisiti minimi di uniformità”; c) la necessità di un'integrazione fra le due normative sino a quando il legislatore non apporterà le previste modificazioni al T.u.e.l.. A questa organizzazione sovrintende, anche come contenuto e limite, la normativa statutaria che esce rafforzata dalla recente legge costituzionale di modifica del Titolo V della Costituzione e dalle relative norme di attuazione di cui alla legge n. 131/2003. Il regolamento, infatti, si pone come subordinato allo statuto nella disciplina delle fonti locali: ciò, come si è detto, è chiaramente indicato dall'art. 4 comma 3 della L. n. 131/2003. In attuazione dell'art. 117, comma 6) Cost., è inoltre stabilito che la potestà regolamentare operi nell'ambito della legislazione dello Stato o della Regione, affinchè siano assicurati i requisiti minimi di uniformità, secondo le rispettive competenze, conformemente a quanto previsto dagli artt. 114, 117, 6 comma, e 118 della Costituzione. I regolamenti sono solitamente di competenza del consiglio, ma in alcuni casi spettano alla giunta, come nel caso del regolamento uffici e servizi, per la redazione del quale però la giunta deve agire sulla base di indirizzi e criteri indicati dal consiglio stesso, che devono essere rispettati a pena di illegittimità. In proposito, il Tar Calabria ha dichiarato l'illegittimità di una delibera assunta dalla giunta comunale nella quale la giunta medesima non abbia tenuto conto, nel riorganizzare gli uffici ed i servizi dell'ente locale, dei criteri generali per l'adozione del regolamento degli uffici e dei servizi che erano stati fissati dal consiglio comunale (sentenza del 7.12.2000. n. 1577). Per l'adozione dei regolamenti, di regola si utilizzano le procedure previste per l'adozione delle altre deliberazioni del consiglio. In alcuni casi, gli statuti indicano maggioranze assolute o qualificate. A questo punto, è di tutta evidenza la necessità di delineare il quadro della nuova situazione giuridica, alla quale gli enti locali devono fare riferimento in tutti i casi di adozione e di aggiornamento dei propri regolamenti. Sebbene non esista alcun limite di tipo classificatorio al di fuori di quello espressamente previsto dalla legge, si ritiene, per quanto attiene ai regolamenti degli enti locali, che la parte speciale dei regolamenti debba essere distintamente prevista, non ritenendo agevole il ricorso a varie discipline, sebbene comprese in più sezioni dello stesso regolamento. Nell'ambito delle tecniche che indicativamente presiedono alla formazione e alla distribuzione sistematica delle norme regolamentari, devono essere previste dinamiche di modificazione coordinata, tali quindi da prevenire le cadute di relazione tra le norme originarie e quelle modificate. 41
Capitolo II › L’autonomia normativa degli enti locali
PROPOSTA DI ARTICOLATO L'ATTIVITÀ NORMATIVA Art... (Autonomia normativa) 1. Il Comune ha autonomia statutaria, regolamentare, organizzativa ed amministrativa. 2. L'esercizio dell'autonomia statutaria e regolamentare è realizzato nel rispetto dei principi e dei limiti fissati dalla legge.
Art... (Lo statuto comunale) 1. Il presente statuto stabilisce, nell'ambito dei principi fissati dalla Costituzione, le norme fondamentali dell'organizzazione del Comune, l'attribuzione degli organi e le forme di garanzia e partecipazione delle minoranze, le modalità di esercizio della rappresentanza legale, le forme di collaborazione fra comuni e province, della partecipazione popolare, del decentramento, dell'accesso alle informazioni ed ai procedimenti amministrativi, alla pari opportunità ed a quant'altro dalla legge. 2. Lo statuto, liberamente formato ed adeguato dal Consiglio comunale, con la partecipazione dei cittadini e delle loro associazioni, costituisce la fonte normativa che, attuando i principi costituzionali e legislativi di autonomia, determina l'ordinamento generale del Comune e ne indirizza e regola l'azione amministrativa, i procedimenti e l'adozione degli atti, secondo il principio di legalità. 3. L'esercizio delle distinte competenze degli organi di governo e dei dirigenti responsabili della gestione del Comune è regolato dallo statuto in conformità ai principi dell'ordinamento giuridico. 4. Il Consiglio comunale adegua lo statuto alle modifiche dei principi-limite dell'autonomia disposte dall'ordinamento giuridico, ed alla evoluzione della società civile, assicurando costante corrispondenza delle norme con lo stesso stabilite con le condizioni sociali, economiche e civili della Comunità.
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Art... (I regolamenti comunali) 1. Il Consiglio comunale, nel rispetto dei principi fissati dalla legge e dallo statuto, esercita l'autonomia normativa con l'adozione dei regolamenti nelle materie di propria competenza, secondo quanto disposto dagli artt. 7 e 42 e con l'esclusione prevista dall'art. 48 del Testo Unico 18 agosto 2000, n. 267. 2. I regolamenti disciplinano in particolare l'organizzazione ed il funzionamento degli organi di governo, delle istituzioni e degli organismi di partecipazione, la contabilità, il decentramento, il procedimento amministrativo, l'esercizio delle funzioni e la gestione dei servizi, il sistema integrato di solidarietà sociale; gli interventi per lo sviluppo dell'economia, per la diffusione della cultura, la promozione della pratica sportiva. Con gli stessi è regolato l'esercizio dell'autonomia impositiva e le tariffe dei servizi, l'attività edilizia, la polizia municipale, la protezione del territorio e dell'ambiente, l'uso delle strutture pubbliche, la tutela del patrimonio comunale e le modalità per il suo impiego e per ogni altra funzione ed attività, di interesse generale, effettuata dal Comune. 3. La Giunta comunale, nel rispetto dei principi fissati dalla legge, dal presente statuto e dai criteri stabili dal Consiglio comunale, adotta l'ordinamento generale del personale e degli uffici e servizi, in base a criteri di autonomia, funzionalità ed economicità di gestione e secondo principi di professionalità e responsabilità, conformemente a quanto prevedono gli artt. 7, 42 e 89 del Testo Unico 18 agosto 2000, n. 267. 4. Il Consiglio comunale, nel rispetto dei principi fissati dalla legge e dal presente statuto, approva il regolamento attinente alla propria autonomia organizzativa e contabile. 5. Il Consiglio comunale provvede ad adeguare i principi affermati dalla legge 27 luglio 2000, n. 212, i regolamenti con i quali il Comune esercita l'autonomia impositiva. 6. Le disposizioni dei regolamenti comunali sono coordinate con lo statuto e fra loro per realizzare l'unitarietà e l'armonia dell'ordinamento comunale. Il Presidente del Consiglio comunale, prima dell'esame dell'Assemblea, sottopone le proposte di regolamento alla competente commissione consiliare per la verifica e le eventuali proposte di perfezionamento. Per il regolamento di cui al precedente terzo
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comma la Giunta provvede, periodicamente, alla verifica ed eventuale adeguamento ai nuovi regolamenti adottati dal Consiglio. 7. Le contravvenzioni ai regolamenti comunali ed alle relative ordinanze sono punite con sanzioni amministrative la cui entità è stabilita nei medesimi regolamenti.