BANCA DI CREDITO COOPERATIVO DI FANO
BART Banca Arte Territorio Mostra collettiva nelle diciassette Filiali della Banca di Credito Cooperativo di Fano
22 dicembre 2008 15 gennaio 2009
Ideazione e coordinamento Monica Pucillo, Alessandro Marconi Progetto grafico Claudio Vagnini (Conte Camillo) Stampa Grapho5
Ulteriori informazioni sugli artisti possono essere richieste presso l’Ufficio Soci della Banca di Credito Cooperativo di Fano (Tel. 0721 851201)
© 2008 Banca di Credito Cooperativo di Fano
BART
BART BANCA ARTE TERRITORIO
L’ARTE: VALORE PER IL TERRITORIO
Un’iniziativa importante proposta per la prima volta in occasione delle festività natalizie, che coinvolge tutte le 17 filiali. La nostra Banca rivolge i suoi auguri proponendo un percorso d’arte che vede protagonisti diciannove artisti, soci o clienti. Ad ognuno è stata affidata una sede, seguendo la logica del legame con il territorio in cui l’artista vive e opera o del legame con la filiale stessa. Ciascun pittore, scultore o fotografo ha utilizzato lo spazio dello sportello BCC che gli è stato assegnato come vetrina per presentarsi, scegliendo autonomamente le opere da esporre, perseguendo allo stesso tempo l’obiettivo di integrarsi e di valorizzare esteticamente lo spazio architettonico e di lavoro della filiale. Abbiamo infatti la convinzione che dare visibilità alle espressioni artistiche locali, se pur differenti per settore, età e fama, significhi allo stesso tempo dare valore al nostro territorio. Quest’anno quindi gli auguri della BCC di Fano diventano auguri d’arte, con l’invito a percorrere l’itinerario che si snoda tra le 17 filiali e attraversa ben 8 comuni.
Romualdo Rondina Presidente BCC Fano
Una bella idea. Decisamente una bella idea. Coniugare l’attività bancaria della “BCC di Fano” con l’arte è davvero fantastico. Mettere a disposizione di pittori e scultori gli spazi disponibili nelle attuali diciassette sedi è una di quelle cose che lascerà il segno. Diciannove artisti avranno la possibilità e quindi il privilegio di impreziosire dal 22 dicembre al 15 gennaio con le loro opere i luoghi dove “signore e padrone” è il denaro. Trattandosi di una Banca non potrebbe non esserlo. Si tratta però di una banca un po’ diversa. Non tutte le Banche sono uguali. Molte, moltissime mettono al centro del loro interesse l’utile, la BCC di Fano mette invece l’uomo. L’uomo nella sua interezza. Non per niente l’idea del BART (Banca, Arte, Territorio) è maturata all’interno di un istituto che è, e vuole essere con tutte le sue forze, radicato nel territorio. In BCC è passato il concetto che non ci sono vere radici senza l’arte e senza la cultura. L’attività editoriale della BCC di Fano era nota da tempo, oggi registriamo la sua discesa in campo anche nel dominio delle arti figurative. Una discesa in campo non priva di azzardo visto che anche in questo settore Presidenza e Consiglio di Amministrazione si sono mossi diversamente dalle altre Banche. Istituti che abitualmente e meritoriamente acquistano, realizzando un buon investimento, opere d’arte il cui valore artistico è indiscutibile. La BCC di Fano ha scelto invece la strada affascinante e perigliosa dell’arte contemporanea. Ha scelto di indagare i segni del tempo. Del nostro tempo. Ha scelto di farlo in un modo originale realizzando un inusitato percorso artistico all’interno delle sue filiali. Non so se è previsto un premio per tutti coloro, e mi auguro moltissimi, che toccheranno tutte le 17 stazioni. Personalmente lo propongo perché il loro interesse sarebbe il migliore riconoscimento per la bontà dell’idea. Prometto che sarò fra questi. Naturalmente fuori concorso. Auguri e lunga vita al neonato BART.
Alberto Berardi
FANO 3
FANO CENTRO
Viale Cairoli
Piazza XX Settembre
FANO 5 FENILE
Viale Italia
Via Girardengo
FANO 1
FANO 2 Via Veneto
S. ORSO
via Roma
Via S. Eusebio
FANO 4 Via Mattei
MONTECICCARDO Via Roma
CUCCURANO
BELLOCCHI
Via Flaminia
Via X Strada
LUCREZIA
MAROTTA
Via della Repubblica
SAN COSTANZO
Via Litoranea
Via Piave
CALCINELLI Piazza De’ Cavalieri
TAVERNELLE Via Flaminia
SENIGALLIA Via Piave
Valerio Boria Francesco Bruscia Luca Caimmi Umberto De Nuzzo Giovanni Galiardi Sirio Gentili Mario Giacomelli Andrea Giomaro Giovanni Giombetti Fernando Guidi Marisa Lambertini Pier Paolo Marcaccio Giovanni Montesi Natale Patrizi Mario Perillo Giovanni Piccini Paolo Pucci Virginio Ridolfi
Marotta Cuccurano Fano 5 Tavernelle Lucrezia Fano 2 Senigallia Fano 4 Fano 1 S. Orso Fano 1 Calcinelli Fenile S. Costanzo Fano Centro Bellocchi Fano 3 Fano Centro
Valerio Boria Valerio Boria è nato ad Ancona nel 1984. Diplomato all’istuto professionale del commercio con titolo di Tecnico della grafica pubblicitaria, si è poi laureato nel 2008 presso l’Accademia di Belle Arti di Urbino in Pittura. Si sta specializzando in grafica d’arte.
Le opere di Valerio Boria utilizzano e mettono insieme immagini di culto popolare e richiami alla corrente artistica della Pop-Art. I lavori, sono stati concepiti tutti tra il 2007 e il 2008 e sono frutto di una ricerca basata su immagini di stampo prettamente pubblicitario, che però acquisiscono una nuova dimensione e un diverso valore una volta riportate su tela. Le immagini sono concepite inizialmente come digitali per poi venire Dis-digitalizzate e riportate su un supporto, utilizzando la tecnica più classica della pittura su tela.
Viaggi e sogni acrilico su tela cm. 105x75 2007-2008
Francesco Bruscia Francesco Bruscia è nato a Fano nel 1973 dove attualmente vive e lavora. Nel 1991 si diploma all’Istituto Statale D’Arte “Adolfo Apolloni” in Decorazione Pittorica. Approfondisce gli studi frequentando la sezione di pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Urbino.
A volte rivolgendo lo sguardo al passato ci si rende conto quanto il senso del tempo si contragga, come alcune cose siano assolutamente immuni ai granellini di sabbia che passano attraverso una strettoia nel vetro, e come alcuni valori diventino assolutamente transgenerazionali. Questo è il caso della bellezza, che esce dalla morsa delle mode per assurgere a valore assoluto, un valore che si trasmette di padre in figlio, di generazione in generazione. Così le icone che hanno segnato un’epoca, a volte suscitando l’ira placida di mogli rassegnate, diventano spesso oggetto di collezionismo o protagoniste, involontariamente colpevoli, di file interminabili ai botteghini dei cinema o causa di notti incollate ad uno schermo televisivo. Vite straordinarie che infiorano le pagine patinate dei rotocalchi più o meno rosa, segreti (ed a volte capricci) che riempiono centinaia e centinaia di pagine, intervallate dalle foto che hanno fatto storia, rilegate in eleganti volumi titolati da caratteri scintillanti. Qui la donna proietta il personaggio dall’intimità del focolare nell’irrealtà dello star system. Una figura mitica, impalpabile, un simbolo di bellezza ed eleganza che comunque conserva, negli occhi velati dal trucco un’umanità straordinaria. Così Francesco Bruscia ci propone il Pantheon delle Dive di Hollywood, una serie di ritratti al femmile dove le icone della contemporaneità sfoggiano abiti imperlati e colori sgargianti. Una galleria di immagini che ci riporta ad un recente passato fatto di nostalgici manifesti acquerellati,
che ancora oggi ci fanno venire i brividi. Scatti famosi, pose che hanno fatto la storia del costume, ricordi indelebili nella mente degli spettatori. Così le grandi Dive della storia del cinema si prestano, inconsapevoli, al “gioco della vanità” dell’artista. Glitter e smalti colorati diventano uno strumento interpretativo. Gli abiti, i capelli i gioielli tutto si trasforma ed il bianco e nero di una gigantografia diventa il pretesto per una visione nuova e personale. I fondi prendono tonalità metalliche che passano dal freddo argento al calore dell’oro decontestualizzando le figure da ogni riferimento di spazio o di tempo. Il bagliore del metallo come nell’antichità bizantina eleva le figure ad una dimensione altra, sovrumana. Il bianco e nero appiattisce, i piccoli particolari che caratterizzano un gioiello od un abito si confondono e perdono delle gradazioni dal grigio al nero. Così l’artista riporta questi particolari all’originaria bellezza. Un lavoro di cesello, che si muove tra smalti e cristalli, ridona luce agli orecchini, al bordo di un abito ad una spilla nei capelli. Luce e colore danno giustizia di ciò che originariamente era, o avrebbe potuto essere. In questa chiave interviene l’inventiva dell’artista che reinterpreta alcuni abiti con ricami di inaspettata ricchezza espressiva. Un restyling dal tocco leggero, dove i filamenti d’oro e d’argento si intersecano con garbo adattandosi ed integrandosi alle figure. Stefano Verri
Marilyn tecnica mista su stampa cm. 100x150 2008
Luca Caimmi Luca Caimmi è nato a Fano nel 1978. Frequenta l’istituto d’arte a Fano e l’Accademia ad Urbino, diplomandosi in pittura. Dal 2003 affianca all’attività grafica e pittorica quella legata alla scultura in ceramica collaborando con artigiani e botteghe faentine.
Le sculture di Luca Caimmi ci trasportano dentro un micro-mondo invisibile ai nostri occhi, popolato da piccoli esseri che vivono in strane tende simili a quelle degi indiani e baloon dei fumetti, baloon che popolano i prati e si muovono con le loro codine in questo mondo fantastico. Qui i prati appaiono come alberi e tutto da un’idea di leggerezza. Le nuvolette ci si appoggiano sopra quasi con leggiadria. Questi paesaggi, incastrati in delle semisfere, vengono poi posizionati su dei piedistalli che isolano ogni pezzo dall’altro, ogni mondo dall’altro, così la leggerezza rimane un dato illusorio nell’isolamento che circonda ogni paesaggio. La sua è un’opera narrativa, che racconta storie che ci piace ascoltare, un approccio fumettistico alla scultura (ma Luca è un appassionato di fumetto e si confronta anche con questa forma espressiva), una leggerezza di linee che evoca i sogni di un bambino e mondi lontani, quasi un percorso letterario, un viaggio a metà tra i Viaggi
di Gulliver e le visioni di Moebius. Le sculture in maiolica sono così il riflesso di un universo interiore, dei sogni che magari uno fa da bambino, sogni che col crescere svaniscono, ma che magari restano sempre dentro noi come un mondo segreto. Un universo che trova voce anche attraverso il disegno che della narrazione diventa una componente fondamentale. Ecco allora che la storia si arricchisce di sempre nuove scene, che interagiscono tra di loro, ma possono anche vivere singolarmente, una vicenda semplice e complessa che è la misura di un percorso artistico in continua evoluzione. Un’arte che si muove lungo il percorso della cultura pop, ma mantenendo un rigore di linee e di colori. Non ci sono eccessi né sbavature, tutto è composto nella semisfera che contiene la scena. Le opere di Caimmi sono basate su una rigorosa fantasia, popolari ma molto raffinate, sanno offrire una fascinazione immediata ma anche una riflessione profonda sulla realtà . Dario Ciferri
Installazione mostra Just Behind, 2008 sculture in ceramica, basi in legno, pittura murale, tela (Le ceramiche sono state realizzate presso la bottega Gatti di Faenza)
Umberto De Nuzzo
Le sculture di De Nuzzo esercitano sul fruitore una stimolazione che fa scattare tutti i meccanismi della sensibilità e della reattività percettiva, per cui il messaggio denotativo viene fortemente amplificato dagli elementi connotativi che lo spettatore è naturalmente portato a riversare per esso. Luigi Valerio
[...] La sua opera, di tecnica complessa, è realizzata con senso della scultura. Aldo Risi
Umberto De Nuzzo è uno scultore autodidatta. Luogotenente CC in pensione, vive e lavora a Tavernelle di Serrungarina.
Aborigeno pietra leccese 2004
Giovanni Galiardi
Sembra essere opinione di molti che l’esperienza di vita di un artista compaia, trasposta, in molte delle sue opere. Alle volte, però, meno si pensa al fatto che anche la terra che ha dato la vita all’artista stesso entri a far parte delle opere dello stesso artista. Ne sono un chiaro esempio le belle opere di Giovanni Galiardi, sculture di vari materiali e differenti tecniche. Così come diverse sono le tematiche rappresentate, fatto nonostante il quale è sempre, però, ben riconoscibile la mano e la volontà. Lo spettatore viene da principio catturato da una serie di opere bronzee di carattere astratto ed informale. Proprio di questo carattere Galiardi utilizza i topoi, portando alla luce, in una comunanza ben equilibrata, figure geometriche con tratti liberi d’azione, primitive forme appartenenti al genere umano
(la sfera, la retta, il cerchio, la ruota) e forme libere scavate nella materia. Proprio alla materia ed al rispetto di essa l’artista si rivolge, perchè nel materiale, ai suoi tempi di “reazione”, alla sua lavorazione e manipolazione, sembra essere dedicata l’opera scultorea. In essa le immagini totemiche legate ad un passato che si fa futuro post-moderno non sono solo i residui delle torri marchigiane oggi ridotte a lacerti di un passato che allunga le sue mani fino ad oggi. Le terre marchigiane con i loro minerali multicolori sono omaggiate in tutta la loro essenza e la figurazione cristologica (ispirata ad una figura umana di carattere primitivo) si sposa al topos dell’architettura moderna in modo esemplare. Sculture che offrono un’occasione di viaggio nell’opera e nell’artista di grande impatto emotivo. Michele Govoni
Giovanni Galiardi è nato a Fano nel 1967. Ha frequentato per tanti anni lo studio dello scultore Padre Stefano Pigini di Cartoceto. Partendo dall’imitazione dei classici, si è dedicato alla figura umana deformata e alla scoperta dell’informe e dell’organico; non solo attraverso la scultura e la pittura, ma anche attraverso la creazione di oggetti d’arredamento nati dalla fusione tra scultura e design. Ha avuto diversi incarichi sia pubblici che privati, in particolare per opere di arte sacra. Vive e lavora a Cartoceto.
Impronta della mia terra refrattario, gres cm. 68x97 2008
Sirio Gentili
Gentili rivela una crescente maturazione artistica, orientandosi definitivamente verso la tecnica espressiva a lui più congeniale: spatole decise, nette, sentite, materiano le figure in un’atmosfera fiammeggiante di colori infuocati. Lo studio della luce si evidenzia in effetti cromatici estasiati, che accendono le composizioni dando animazioni e visioni contemplative in cui si respira pace e serenità. I Temi dominanti che ispirano l’artista - la campagna il mare, le barche, i paesaggi innevati, colti spesso nel magico momento in cui tutto sembra tingersi di fantastici riflessi dorati - esprimono la ricerca di un equilibrio interiore attraverso l’amore per la natura, per le cose e le creature semplici. Piero Grilli
Sirio Gentili è nato a Fano nel 1935. Ma è dal 1967 che “nasce” da autodidatta alla pittura, frequentando lo studio del pittore Paolo Tarcisio Generali. Nel 1970 inizia la sua attività espositiva. Le sue opere si trovano presso collezioni private italiane e straniere.
Come tutti gli autodidatti, quello che più conta in Gentili non è l’appartenenza ad una determinata scuola o la polemica (quasi sempre verbale e verbosa) sulle mode e gli «ismi» contemporanei, bensì la naturalezza (diciamo pure la vocazione) da cui si sente spinto ad usare spatola o pennello, lapis o sanguigna. Franco Battistelli
Gentili, oltre a belle opere ad olio, realizza quelle a china: ricche di sfumature delicate, di personaggi che si muovono e raccontano storie umane, dona
pregievole possibilità interpretativa. Il sogno prevale in questi mondi in cui le forme si avvolgono in veli misteriosi, riposanti. Il Gentili, riesce a sfociare idealmente nello spazio aperto del pensiero artistico. Jolanda D’Annibale
Non è molto che sono tornato ad ammirare i lavori di questo pittore in continua evoluzione e dalla tecnica sempre più perfezionata. Spesso i suoi lavori si tridimensionano in rilievi costanti e soporosamente appropriati, dalle tinte forti, o impasti marcati, ma dosati nei limiti della pura necessità per esprimere un movimento o la staticità di una stagione o di una veduta. Le sue nevicate sembrano ammirate direttamente dalla finestra della casa di chi osserva il quadro. Salvatore Marletta
Gentili nello stesso tempo va coltivando sincere simpatie, i primi amori, per quelle espressioni venate di solitudine per rendere le quali non usa mai la spatola all’opposto rarefà l’olio tanto da sembrare delicatamente alitato più che soffiato: in dicotomia il carattere di Gentili, da un lato la forza, l’esuberanza, l’irruenza, dall’altro la dolcezza, l’intimità, l’approccio sincero all’uomo e alle cose. Raimondo Rossi
Figure di contadine olio su tela cm. 70x50 1981
© Germano Nessi
Mario Giacomelli
Per me che uso la macchina fotografica è interessante uscire dal piano orizzontale della realtà, avere la possibilità di un dialogo stimolante perché le immagini abbiano un respiro irripetibile. Riscrivere le cose cambiando il segno, la conoscenza abituale dell’oggetto, dare alla fotografia una pulsazione emozionale tutta nuova. Il linguaggio diventa traccia, necessità, spirito dove la forma si sprigiona non dall’esterno, ma dall’interno in un processo creativo. Lo sfocato, il mosso, la grana, il bianco mangiato, il nero chiuso sono come esplosione del pensiero che dà durata all’immagine, perché si spiritualizzi in armonia con la materia, con la realtà, per documentare l’interiorità, il dramma della vita.
Nelle mie foto vorrei che ci fosse una tensione tra luce e neri ripetuta fino a significare. Prima di ogni scatto c’è uno scambio silenzioso tra oggetto e anima, c’è un accordo perché la realtà non esca come da una fotocopiatrice, ma venga bloccata in un tempo senza tempo per sviluppare all’infinito la poesia dello sguardo che è per me forma e segno dell’inconscio. Il linguaggio è così la coscienza espressiva interna che ha accarezzato la realtà pur rimanendo fuori, è l’attimo originale, testimone di una realtà tutta mia, un prelievo fatto sotto la pelle dell’oggetto, guidato fuori dalle regole per una libertà che è anche allargamento alle possibilità del reale. Mario Giacomelli
Mario Giacomelli nasce a Senigallia (AN) nel 1925. La prematura perdita del padre lo costringe ad iniziare a lavorare come garzone in una tipografia di cui diventerà in futuro proprietario. La “Tipografia Marchigiana” affacciata sulla piazza che, nel centro di Senigallia, ha chiuso le sue serrande nel Dicembre del 1999. Il 1953 segna la svolta: acquista infatti per 800 lire una macchina fotografica e il giorno di Natale sulla spiaggia di Senigallia scatta la sua prima fotografia. Vicino alla tipografia abita Giuseppe Cavalli che, nel 1953, fonda a Senigallia il gruppo “Misa”, di cui Giacomelli e Piergiorgio Branzi rappresentano le “giovani speranze”. Nel 1956 lo stesso Cavalli, lo chiama a far parte insieme a Branzi de “La Bussola”, da cui uscirà ben presto per insanabili divergenze. Del 1957-59 è la serie di immagini riprese a Scanno, la serie “Lourdes” seguita, nel 1958, da “Zingari”, “Puglia” e “Loreto”. Del 1961 sono le immagini di “Mattatoio” e “Io non ho mani che mi accarezzino il viso”, titolo ripreso da uno scritto di padre Turoldo. Le immagini sono scattate nel Seminario Vescovile di Senigallia, ambiente in cui i giovani seminaristi sono ritratti in momenti di ricreazione. Nel 1963 inizia la grande stagione di mostre che porteranno le sue immagini nei grandi spazi espositivi di tutto il mondo. Degli anni 1964-66 sono “La buona terra”, e del 1971-73 è “Caroline Branson”, lavoro ispirato all’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters, poi “Presa di coscienza sulla natura” (1980-94), la grande serie dei paesaggi. Su testi del poeta Permunian si fonda “Il Teatro della neve” (1985-87) seguita da “Ninna Nanna” e “A Silvia” (1987-88), lavoro pensato in origine per un programma televisivo. Tra i lavori più recenti: “Il mare dei miei ricordi” (1991-94), “Io sono nessuno” (1994-95) su testi di Emily Dickinson fino ad arrivare a “Questo ricordo lo vorrei raccontare” (1998-2000) e “Bando” (1998-99). Muore il 25 novembre 2000 nella sua casa di Senigallia.
Dalla serie “Scanno” fotografia in bianco e nero cm. 40x30 1957-59
Andrea Giomaro Andrea Giomare nasce a Fossombrone nel 1974. Nel 1996 si diploma col massimo dei voti all’Accademia Europea Effetti Speciali diretta da Carlo Rambaldi. Vive a Fano.
1996 Fornitura ufficiale nazionale di effetti speciali per la catena locali ”Transilvania” 1998 Costituzione di “Logical Art srl” con cui collabora a: effetti per il corto RossoFango (David Donatello 2003), diversi film (Mari del sud, Blek-jek, la Vita dei Santi), trasmissioni (Le Jene) e spot tv (Unicef, Lines) 2003 Supervisione e produzione effetti speciali per il film Red Riding Hood di G. Cimini prodotto da O. Assonitis (Premio migliori effetti speciali al Fantafestival di Roma 2004) 2003 Premio sceneggiatura e pubblico al festival “Joung Promises” di Miglianico per il cortometraggio “TDC” 2004 Produzione e regia video Emerald Sword Saga per il gruppo musicale Rhapsody Pubblicato nel cd “Dark secret” 2004 Rimusicazione e sonorizzazione del film “Nosferatu” di Murnau (1922) in collaborazione con Sabrina Bursi (Menzione al Rimusicazioni Film Festival) 2005 Premio migliori effetti speciali all’Alienante Film Festival per il film “Week End” di M. Gambini per la FilmHorror 2006 Premio migliori effetti speciali al Murgia Film Festival per il film “Glow Game” di Enry Secchiaroli 2006 Premio migliore regia al Cotofonino film festival per il corto “Betania 1.0” 2007 Video “Jesus” per il gruppo musicale Crownheads in collaborazione con
l’associazione Onlus “Talitha Koum Cameroun” 2007 Collaborazione con la ditta Special Project con cui realizza diversi spot tra i quali “nuova Lancia Ypsilon” (con S. Gabbana), “Fiat Bravo”, “Alfa Romeo”, “Muller” 2007 Collaborazione con la ditta Mag S.F.X. per gli effetti della trasmissione televisiva “Grande Fratello” 2007 Selezionato come unico italiano al Film Poket Festival di Parigi con “Betania 1.0” proiettato al museo d’arte moderna Pompidou e al Festival Internazionale del Cinema di Pesaro 2007 Realizzazione Make-up del personaggio “La Vecia Ines” vincitrice di una puntata del format “Balls of Steel” in onda su Rai 2 2007 Realizzazione impianto scenografico per “Orfeo ed Euridice” di David Alagna per il Teatro Centrale di Bologna 2008 Collaborazione con la ditta Special Project per alcuni spot tra i quali “Tiscali” (con Ezio Greggio), “Muller”, “Sky”, “MTV”, “Mc Donald’s”, “Tele2” 2008 Premio miglior film al Cuveglio film festival per il cortometraggio “Il pianoforte” 2008 Regia del film “Marche : imagine your film” per Marche Film Commission proiettato alla 65° Mostra d’arte cinematografica di Venezia presentato da Dante Ferretti e Neri Marcorè
Testa di caprone realizzata per Special Project “Auguri Natale MTV 2007”
Gabriele Giorgi Gabriele Giorgi è nato a Montegaudio (PU) nel 1953. Dopo la laurea universitaria si iscrive al corso di Xilografia tenuto dal professor Sanchini presso Istituto d’arte di Urbino. Nel 1985 apre il primo studio a Pesaro. Nel 1988 si diploma presso l’Accademia di Belle Arti di Urbino, sezione pittura. Dal 1997 ha il suo studio a Monteciccardo.
[...] Chi osserva avrebbe problemi a percepire lo stile, la scrittura di questo artista figurativo. Egli deve rispettare e sapere che si tratta di un artista che vuole dare movimento ai paesaggi, che fa soste, per così dire al “borderland” perché proprio ai confini estremi della geografia estetica si possono fare nuove esperienze. Questo superamento dei confini, che di nuovo mutano se percorsi, poiché qui si ci sono venuti incontro nuovi paesaggi, è divenuto proprio il segno distintivo di questo artista. [...] Le opere sono prodotte dai più disparati materiali, una particolare preferenza è per la pietra e l’acciaio, per la durezza che proviene dalla natura e per ciò che oggi è reso solido dal fuoco ma forgiato da opera umana. L’autore si pone antiteticamente ma anche a file o a mucchi. Il pezzo singolo è stato abbandonato più volte a favore di discussioni di parti artistiche singole, che tra loro dialogano nell’opera d’arte, si inviano palle, pongono domande reciprocamente, per essere in grado di rispondere come “ensemble”. [...] È probabilmente tipico che egli abbia studiato Xilografia all’Istituto d’Arte di Urbino. Qui ha appreso una tecnica che si può continuamente rielaborare, che si deve inventare di nuovo se si vuole arrivare a risultati differenti. Liberandosi dal vincolo al medium della Xilografia è riuscito a disporre liberamente di tutti i materiali, portando però con sé l’esperienza nelle nuove creazioni: il materiale è partecipe della forma. Quindi non form follows function, ma form follows material. Ciò è valido per tutte le opere, dagli inizi ad oggi, sin all’opera Anima,
2000, o Sone, 2001. L’artista proietta le sue fantasie nel cosiddetto medium classico del disegno o dell’invenzione. Costruisce modelli che vengono successivamente rielaborati in grandi dimensioni. Nell’ultimo stadio utilizza esperti, artigiani, poiché tale proprio non si sente. Lui è ideatore, inventore. Può fare proposte che vengono eseguite molto individualmente in scala ridotta, ma devono essere realizzate da altri nella nuova monumentale dimensione. Importante è che l’artista ponga la propria mano, quindi corregga e determini le rifiniture e la patina. Giorgi è quindi un artista instancabile, mutevole, sempre alla ricerca, un curioso, pieno di idee, e continuamente fa registrare nuove sfide. Teso tra serietà ed ironia, tra la fermezza del materiale e superamento del materiale, tra la precisione di uno spazio e dissoluzione del medesimo. Il freddo ed il caldo, il cielo come l’acqua, la terra e la natura sono tutti elementi che giocano un ruolo. Alessandro Pitré parla di segni di forza. [...] Questa non è serietà per proprio volere, bensì riflessione che parafrasando Hermann Hesse l’artista è un homo ludens par excellenz, che ha il compito, da Dio assegnatogli, di variare nuovamente e di continuo. I risultati sono interessanti soprattutto laddove aumenta il grado di astrazione e si avvicina il carattere d’incontro dei numeri. Giorgi conosce questo gioco delle perle di vetro. Stabilisce le sue regole per trovare la propria libertà, per garantire con essa la libertà dell’arte. Qui sono le radici della sua volontà d’artista. Dieter Ronte
Udeis, installazione marmo di Carrara e rame cm. 500x500x150 1998
Fernando Guidi Fernando Guidi, nato a San Costanzo, dipinge e crea opere in ferro battutto dal 1966. Vive e lavora a Fano.
La vocazione alla pittura si manifestò assai presto in Fernando Guidi, e sua prima maestra fu la realtà. Al ragazzino di S. Costanzo che usciva ai campi con carta e matite colorate, il gargiante spettacolo della natura. Si esercitava in tutto il suo fascino: un invito alla scoperta del mondo. Ed era vocazione insopprimibile, tanto che da circa 10 anni, Guidi cominciò a dipingere. La sua pittura conserva il significato spirituale di un uomo inteso a ritrovare in sé tutti quei valori che paiono essere stati dissipati o addirittura degradati a complementi non essenziali di una vita avviata verso soluzioni esclusivamente utilitarie. Allora un artista di elementare formazione ma di ricchissima interiorità quale Femando Guidi, ritrova nella pittura lo strumento adatto a proporre la complessità del proprio essere in tele su cui appaiono figure religiose, paesaggi agresti, vie di città. Inoltre un cenno meritano i suoi mini quadri che fanno di un dipinto la testimonianza reale vista in quella luce poetica che trasferisce la realtà medesima nella verità dell’immagine. Mirella Secchiaroli
Natura morta olio su tela cm. 70x50 1975
Giovanni Giombetti John Betti
La pennellata di John Betti non è solo viva nel colore, ma è anche forte, di una linearità marcata di taglio espressionista. Però con un’anima diversa, mediterranea, dove gli ambienti chiusi degli interni si aprono improvvisamente in ampi panorami marini, in spiagge deserte con alti cieli e corpose sensuali nubi bianche; e il mare viene sempre accostato alle donne in maniera così naturale da rendere impensabile questo senza quelle. Ivo Gigli
Con la Sua Pittura John Betti ha dimostrato una ricerca costante che lo ha portato a sviluppare e approfondire un suo personale filone ‘Ironico-Fantastico’ trasfigurando la società contemporanea e la vita quotidiana attraverso una rara sensibilità poetica e gli smaglianti colori della sua tavolozza. Giovanni Tesoriere
John Betti (Giovanni Luca Giombetti) è fanese e disegna dalla nascita. Ha fatto Studi Classici. È Laureato in Veterinaria. Ha frequentato la Scuola Libera del Nudo (Accademia di Belle Arti di Roma), la Scuola d’Arti Ornamentali “S.Giacomo” di Roma e la Scuola di Litografia dell’Accademia Raffaello di Urbino. llustratore, Pittore, Grafico e Umorista, collabora con le più importanti Case Editrici di Libri per Ragazzi.
Nell’opera di John Betti si ravvisa una moderna figurazione capace di condurre, con bella apertura colloquiale, un discorso segnico e coloristico di compiuta indole espressiva. Giorgio Falossi
Sirena (II) olio su tela cm. 150x100 2008
Marisa Lambertini Marisa Labertini è nata a Russi nel cuore della Romagna e vive a Fano dove lavora. Disegna da sempre e scolpisce da più di trent’anni. Ha eseguito lavori monumentali, per scuole chiese e monasteri in Italia e all’estero. Ha diretto un corso superiore di modellazione a Bruges (Belgio). Le sue opere sono in molte gallerie e fanno parte di collezioni italiane e straniere. Ha uno studio a Portorotondo (Costa Smeralda) e uno a Cortina d’Ampezzo.
Accolti da improvvise ondate di speranza e di stupore, entriamo nel sempre giovane mondo creativo di Marisa Lambertini: fra sogno e incarnazione, fra verità e riflessione il dispiegarsi delle sue forme femminili ci coinvolge nel sorridente gioco della purezza e della malizia con segni e parole di verità figurativa che non toccano mai né i pericoli, né i drammi dell’inquietudine e dell’ovvietà. E la sorpresa diventa silenzio e accoglienza, misura e armonia fino ad una ammirazione sincera che conquista il cuore di ognuno. Marisa Lambertini è artista di sorriso e di estroversione; il suo sguardo sa posarsi su tutte le espressioni gentili e aggraziate che l’umanità riesce ancora ad elaborare ricreandole e illuminandole ulteriormente di quella sua personale carica di vitale affettuosità che rende le sue sculture solo ed esclusivamente “sue”. I bambini, le adolescenti, le ragazze di Marisa escono dalla creta come da una materia primigenia che infonde ai loro corpi bellissimi, una carnalità sfolgorante che un’intima disinvoltura rende espansiva e seducente. [...] Marisa ha puntato la sua attenzione sull’atteggiamento maniacale che le donne hanno per la loro “linea” e così, tutto ad un tratto,
dopo anni e anni di adolescenti perfette, ha creato le “Pomone”, felicissime ragazze in sovrappeso che, nella coincidenza degli opposti, giocano, ballano, sognano, abbracciano bambini come le loro sorelle di linea perfetta, al di sopra di ogni estetico “diktat”. Le “Pomone” sono creature liberate da ogni complesso che esibiscono, anche loro con innocente narcisismo, forme e rotondità che sanno suggerire accoglienti e caldi abbracci. Ancora una volta la femminilità riesce a riguardare e a correggere i propri limiti e i propri tic, grazie ad una “misura” ricreata da quel speciale soffio che l’immaginazione suggerisce agli artisti. In Marisa Lambertini, quietamente affermativa, l’arte non risulta mai affermazione di autorevolezza, ma amorosa e libera partecipazione alla vita, senza lacci e annodature con movimenti artistici né con circuiti meramente esibitori: Marisa canta sola, con gioia, i suoi fervori figurativi pieni e decantati, dando vita a vicendevoli scambi di umori vitali fra sé, e loro, suoi personaggi: una vibrazione che ci coinvolge in formule di cortesia variata a modo di ciascuno, fra nostalgia e famigliarità, fra astrazione immaginativa e emblemi del desiderio. Ivana Baldassarri
Ragazza con leone bronzo fusione a cera persa cm. 120x70 2000
Pier Paolo Marcaccio Pier Paolo Marcaccio è nato a Fermo nel 1957. A metà degli anni ’70, sul lascito del concettuale opera con “materiali poveri”; il cinema di animazione e astratto lo portano a collaborazioni e pubblicazioni sul cinema “antico”. Negli anni ‘80-‘90 si esprime con la “pittura-pittura” e poi “pittura-installata”; alla fine del 2000 si rapporta con l’architettura organica di Makovecz, al misticismo dell’icona in Florenskiy, alla spiritualità nella scultura sociale di Beuys; il lavoro nella Gestalt di Arnheim lo spinge verso l’idea della funzione pedagogica dell’arte. È docente di decorazione presso l’Accademia di Belle Arti di Macerata.
Sogno di San Vito, dettaglio olio su telo di canapa cm. 50x7 1997-2000
Giovanni Montesi Giovanni Montesi ha frequentato la Scuola d’Arte Mengaroni di Pesaro. Vive e lavora a Fano.
Giovanni ha sempre avuto la passione per la pittura, della quale non può fare a meno. Ha sempre dipinto da quando frequentava la Scuola d’arte “F. Mengaroni” di Pesaro, esercitandosi con le tempere. Ero insegnante di Educazione Artistica in quella scuola ed apprezzavo la naturalezza, la sincerità e la robusta cromia con cui si esprimeva, in un architettura solida ed equilibrata. Nei momenti liberi da impegni di lavoro, dipinge nel suo studiolo, ricavato nel seminterrato della sua abitazione, immersa nella verde vallata del fiume Arzilla. In tele di piccole e medie proporzioni, racchiude: paesaggi, vie, paesi a noi noti, poiché i suoi soggetti preferiti sono le nostre terre, i nostri borghi. Sempre alla ricerca di scorci caratteristici, e come gli impressionisti tenta di trovare il difficile accordo tra occhio e sentimento. Nei suoi viaggi porta sempre con sé una macchina fotografica, e inquadra i soggetti che più lo colpiscono, rielaborandoli nello studio. le fotografie sono la moderna versione degli antichi “taccuini d’artista”. La sua pittura è semplice, schietta e immediata, dipinge libero da presupposti intellettuali, e la si può collocare tra il naif e il naturalismo. Felice di poterci restituire la realtà, così come la vede, e gioisce quando nota qual-
che progresso tecnico nell’uso del pennello o del colore, quando la mano si fa più agile o la tonalità subito trovata. Ultimamente ha voluto sperimentare l’uso dei tre colori primari da cui ne ricava tutti gli altri, in un processo di semplificazione con risultati lusinghieri. Nelle tele di recente fattura si avverte il progressivo superamento del particolare e delle tinte piatte: il colore tende a sfaldarsi in vibranti pennellate, imbevendosi di luce, il tessuto pittorico diventa più leggero e scorrevole, sono evidenti segnali che Giovanni sta lentamente avviandosi verso la sua maturità pittorica. Franco Fraternale
In molte sue opere si avverte il richiamo alla natura incontaminata, espressa con gusto e semplicità. L’originalità e la sicurezza del disegno fanno fantasticare oasi di pace, dove Giovanni trova la serenità dei ricordi lontani. I dipinti si caratterizzano per la tensione costante ad esprimere il rapporto privilegiato con la natura. Di lui colpiscono: la passione spontanea, l’esercizio instancabile e la tenacia nel proseguire in un continuo miglioramento di sé e della propria pittura. Denis Bevilacqua
Notturno sul porto di Fano olio su tela cm. 61x32 2002
Natale Patrizi - Agrà Natale Patrizi (Agrà) è nato a Mondolfo nel 1941. Nel 1962 ha conseguito a Firenze la specializzazione in pittura murale (affresco). Ha partecipato a mostre in Italia e all’estero. Tra il 1981 e il 1983 realizza le caratteristiche “Finestre”, assemblaggio di suoi dipinti con infissi recuperati da vecchie case coloniche. Insieme con Mario Giacomelli e Fide, ha compiuto dal 1986 al 1990 una serie di interventi artistici in luoghi aperti, nell’entroterra marchigiano. Una vasta collezione di sue opere è conservata presso il Museo Comunale d’Arte Moderna e dell’Informazione di Senigallia.
Come tutti gli artisti, anche Patrizi ha subito nel corso della sua carriera una naturale evoluzione di tecniche e di modi espressivi. Il primo quadro di cui ho memoria visiva risale al 1963, l’ultimo a pochi giorni fa: la diversità stilistica e compositiva è palese. Il primo è una composizione astratta, l’ultimo è un libro di legno di cinquanta chili, scritto e dipinto in ogni suo lato e in ogni sua pagina. Ma in precedenza Natale Patrizi -Agrà è passato anche per tante finestre e la sua barba si è fatta bianca (anche i miei baffi si sono incanutiti!). Un punto fermo però c’è sempre stato in questi cinquant’anni di attività pittorica: i luoghi della sua ispirazione. Quelli non sono mai cambiati e sono rimasti ancorati in una sorta di quadrilatero che comprende il mare fra Fano e Senigallia e le colline fra il Cesano e il Metauro. Con i paesi e i campi, i borghi e le case di campagna, le strade e i corsi d’acqua, le siepi e gli orizzonti. E contadini e giovani donne. Patrizi è nato e vissuto in questo mondo, lo ha sviscerato con gli occhi e i colori, l’ha plasmato e rimirato con i pennelli,
a volte con rabbia, a volte con tenerezza. Un mondo da cui è partito tante volte senza mai andarsene del tutto. Anzi credo che le sue trasferte siano state soltanto degli equivoci spaziali e temporali: perché in realtà lui non si è mai mosso dalla Strada dei Tufi (ora un tratturo sabbioso) che da Mondolfo scende e risale, piega e si snoda, lambendo Stacciola per inerpicarsi infine verso San Costanzo. Il proverbio ammonisce che “nessuno è profeta in patria”, ma nel caso di Patrizi il detto non ha funzionato. Mondolfo, Stacciola e San Costanzo, senza nessun accordo politico-culturale, hanno riconosciuto all’unisono l’arte del loro cantore artistico. L’estate del 2007 ha infatti visto il pittore Patrizi acclamato “cittadino dell’anno” a Mondolfo, Stacciola gli ha offerto i suoi muri per un grande affresco e San Costanzo ha ospitato una sua personale. Se Patrizi ha amato da sempre i Tufi, i “paesi dei tufi” hanno ricambiato con l’ammirazione. E Patrizi dunque può bellamente fregiarsi del titolo di “pittore profeta in patria”! Non è cosa da poco e soprattutto non è da tutti. Paolo Sorcinelli
Piaggiolino, terra di confine tempera su tela cm. 150x100 2008
Mario Perillo Mario Perillo è nato a Salerno nel 1953. Consegue il diploma di Maturità d’arte applicata nel 1973 presso l’Istituto d’arte A. Apolloni di Fano. Dipinge e scrive dal 1978. Vive e lavora a Fano. Disegno dal vero e decorazione pittorica sono subito le sue grandi passioni, insieme allo studio di pittori ed artisti d’origine classica e romantica italiani, francesi, inglesi e olandesi.
[...] Prezioso crocevia esistenziale capace di vivere a lungo nel fondo dell’anima ed in essa, potente stimolo interiore, fa rieccheggiare sempre nuove sensazioni. Si, perchè l’artista, salernitano di nascita ma fanese di adozione ed elezione (anch’egli è un mirabile prodotto della mai troppo elogiata Scuola d’Arte “Apolloni”), approdato non da oggi alle soglie di una splendida maturità espressiva prima ancora che anagrafica, è in grado come pochi di toccare le corde più recondite di chi si pone di fronte alle sue opere, regalandogli a profusione palpiti della mente e del cuore. Obiettivo raggiunto mediante l’uso sapiente della luce e del colore che, sparsi con mirabile equilibrio sulle tele raffiguranti paesaggi sospesi nello spazio e nel tempo, intensi eppur sfuggenti ritratti di figure umane, delicate, mistiche nature morte, fanno si che il quadro stesso finisca con il trascendere l’oggetto che rappresenta, rimandando a quel qualcosa di indicibile da un punto di vista puramente razionale che sta dietro, o meglio sopra alla mera realtà. Da moderno, personalissimo impressionista
dell’intimo, egli sfrutta con maestria gli effetti delle sorgenti luminose nonchè gli accoppiamenti ed i contrasti cromatici per fissare la materia nell’istante, unico ed irripetibile, suggeritogli dall’ispirazione ed al contempo propone di superarla, tentando così di coglierne i legami nascosti con ciò che la esprime. O, se si preferisce, con l’Assoluto. L’arte dunque non come classica consolazione o romantica maledizione, e neppure come meta estrema, fine a se stessa, di estetizzante memoria, bensì come sublime strumento di conoscenza. Mezzo privilegiato di elevazione che conduce Perillo, pittore, poeta, pensatore finissimo, in definitiva intellettuale a tutto tondo di chiaro stampo umanistico, a specchiarsi nell’infinito mistero dell’itinerario terreno dell’uomo, consentendogli di cogliere per un attimo che dura un’eternità “il senso sublime del tutto”. E, magia suprema regalata da questo straordinario esploratore dell’essenza, la stessa sorte è concessa continuamente allo spettatore. Al cospetto di ogni suo quadro. Sandro Candelora
Studio per un dipinto olio su tavola cm. 40x30 2007
Giovanni Piccini Giovanni Piccini nasce a Fano nel 1977. Frequenta la Scuola d’arte Mengaroni a Pesaro e successivamente l’Accademia Raffaello a Urbino, sezione scultura. Dal 2002 frequenta diversi corsi di incisione presso il centro nazionale per l’incisione KAUS a Urbino partecipando a diverse mostre collettive di libri d’artista in alcune sedi europee. Oggi gestisce un laboratorio d’arte a Fano, Studio Drago e la sua produzione va dalla scultura alla pittura, dall’istallazione artistica all’incisione.
Nei suoi lavori è chiaramente leggibile il carattere istintivo dell’esecuzione, grazie ai gesti che lasciano un segno definitivo sul supporto. Nei suoi quadri la rifinitura non esiste, perchè il lavoro termina nel momento in cui scorge il soggetto che sta dipingendo, permettendo così all’osservatore di leggere in progressione le pennellate che compongono l’opera. In questo modo i segni e i colori rivelano il percorso mentale dell’artista anche nelle sue riflessioni più intime.
Testa Acrilico su tavola cm. 70x120 2008
Paolo Pucci Paolo Pucci è nato a Fano nel 1941; il babbo scalpellino diede degli input decisivi. Fin da giovane cercò di evolversi, con l’estro e con la frequenza alla sezione “scultura” dell’“Apolloni” di Fano. Così cominciò a perfezionarsi in scultura, architettura e restauro. Per venti anni gli furono commissionati interventi di restauro in marmo dalla Sovrintendenza ai Beni Culturali e Monumentali di Urbino. Ha eseguito restauri in marmo dei principali palazzi nobiliari di Fano, prediligendo, ove possibile, i marmi preesistenti.
“Perché non parli?” urlò affascinato e spazientito Michelangelo, gettando anche un martello verso quella madonna della sua “Pietà”. Non è Michelangelo il nostro concittadino Paolo Pucci, ma a volte, alla fine delle sue plasmature, potrebbe anch’egli aver sussurrato la stessa frase alle sue creature sacre. Non è Michelangelo Buonarroti il nostro Pucci, ma ai nostri tempi (tempi in cui la creatività manuale sembra quasi definitivamente sacrificata sull’altare della digitalità informatica tridimensionale) un sopravvissuto dello scalpello, pur nel suo piccolo, può apparire stranamente ammirevole, nostalgicamente grande, artisticamente bravo, quasi un (scusate la moda!)… “unto del Signore”. Tutte le sue ultime opere non sono da copiatura, ma nascono da una metodica e graduale progettualità: schizzo, disegno, modello ridotto, calco negativo in gesso a dimensioni reali, colatariempitura in gesso della copia e pla-
smatura a scalpello su marmo. Tutta una procedura allettante, stimolante, ma sempre più perduta e rara: infatti questa attività artistico-artigianale è quasi estinta a certi livelli nel Bel Paese culla dell’arte. Questo perché la scultura (attività che permette maggior creatività e dà più soddisfazione) “da sola oggi non ti permette più di campare economicamente”. Da millenni l’archeologia ci regala testimonianze storico-artistiche marmoree; dopo i pochi testimoni dello scalpello (come Pucci) lasceremo ai posteri solo colate di cemento? Paolo Pucci ama veramente il suo lavoro e le sue creature, al punto da non accontentarsi del materiale marmoreo su cui intervenire; al punto da scegliere di persona i pezzi dalle cave di Carrara. Ed ogni volta il suo amore “paterno” potrebbe veramente esternarsi in quel sussurro: “perché non mi parli?”. Massimo Ceresani
Busto di cavallo marmo bianco di Carrara cm. 60x60x25 2008
Virginio Ridolfi Virginio Ridolfi è nato a Fano nel 1922 dove si diploma maestro d’arte nella locale scuola d’arte “A. Apolloni”, è allievo di Emilio Lazzaro e Fabio Tombari. Trascorre un periodo della sua vita (1954-1963) a Fossombrone per poi rientrare con la sua famiglia a Fano dove muore nel dicembre 1983. È sempre stato profondamente legato alla sua terra, di cui conosceva ogni anfratto e segreto.
[...] Ma poi accade, a partire da quel fatidico, intensissimo 1973 datato da Marcelle Azzolini, un mutamento dapprima impercettibile, poi via via aperto, ad ali spiegate. Anzitutto i calanchi delle Marche del nord e della Romagna, o vicini alle zone etrusche di Umbria e Lazio, sembrano stendersi in una potenza terribile ma morbida, addolcita come carne, costruita con corpi di terra. Impasti di colore denso, stesi con pennellate invisibili o plasmati con le dita, sono animati da mutamenti di luce pura, implacabile, cristallina, fino alle montagne estreme sull’orizzonte. Terra, terra all’infinito, con ferite arcaiche, sedimenti, grumi: non fecondata dalla vegetazione, spoglia ma non arida, ricca della sua vitalissima forza plastica. Come mappe preistoriche su mari o laghi o cascate altrettanto poderosi. Ma dalla lontananza geologica al sentimento del presente il passo è brevissimo: bastano piccoli uomini, cani, gabbiani, barche, fagiani. Allora entra la vita, da quel fatidico 1973, nelle immani visioni di Virginio Ridolfi, e se c’è un sentore di tempesta nel cielo, senti che s’allontana; o se è sereno, avverti una luce sempre più trasparente e lieve, quasi dissolta nel chiarore delle distanze. Sono spazi infiniti coi quali i piccoli uomini coesistono, dominati ma non sopraffatti. Via via il sentimento dominante è insomma la “contemplazione” dell’immensità della natura, e di questo coesistere nostro con lei. Memorie del grande romanticismo te-
desco - alla Caspar David Friedrich - si attenuano in una tensione meno vertiginosa, meno allucinata, tutto sommato più classica e controllata dalla ragione. Perché la suggestione formidabile del volare, del vedere dall’alto scendendo col paracadute, ha dato a questo artista il privilegio di catturare vastità di spazio altrimenti imprendibili, nelle dimensioni della profondità e della larghezza. Credo che l’originalità più intensa dei quadri di Ridolfi stia proprio in questo suo doppio amore per il volo coraggioso e per la pittura: dall’alto si può dominare tutto, immagini di città e campagne, strade (generalmente al bivio) e filari di coltivazioni. Oppure il mare, alla luce del crepuscolo, con aria di tempesta appena finita, e onde che si alzano e s’increspano come le frastagliature dei calanchi. Un primordiale bisogno di esaltare la vita, con sapienza pittorica istintiva, talvolta anche un po’ ingenua: ma tesa ad evocare stagioni esasperate o luoghi di piccole città, nell’enormità dello spazio e del tempo da scandire col “suono dell’ora”. L’infinito ameno delle docili colline di Recanati si è spostato più a nord, nella pittura di Ridolfi, e si è immerso in territori selvaggi fra terre e acque. Poi alla fine, nell’ultima opera, è sprofondato nella forza terribile di un vulcano che butta fuori fuoco, come quel Vesuvio alla cui lava ha resistito, fiore pieghevole eppure tenace, solo la memorabile Ginestra. Alla fine: per Virginio Ridolfi, nel dicembre 1983. Grazia Calegari
Piazza XX Settembre Fano olio su tela cm. 70x50 1968