ASPETTI PSICOLOGICI DEL CONSUMO Sommario: 1. Psicologia e consumo – 2. Conclusione – Bibliografia.
1. PSICOLOGIA E CONSUMO La”psicologia dei consumi” studia le persone nella cultura del consumo e deve riappropriarsi di una visione globale e sistemica dell’azione e della costruzione di significato. L’esperienza del consumo è un ambito in cui le persone - avvalendosi di tutta la gamma delle dinamiche di personalità ed attingendo alla relazione con il vasto mondo dei segni e dei messaggi proposti dal consumo - ricostruiscono di volta in volta la propria identità provvisoria. Il consumo si inscrive nella logica del gioco e della espressività, del piacere e del benessere, della laicità: destruttura la logica della costruzione di”metanarrazioni” dal senso universale ed eticamente impegnativo. Il consumo segue la logica del desiderio e non del bisogno, dell’impulso e non della necessità, dell’estetica e non dell’etica, del gioco e non della razionalità. È il luogo di esercizio e di creazione di sé multipli, fluidi, contestuali, che accresce i suoi effetti sempre più così che la dimensione del consumo ingloba non solo più merci ed oggetti, ma anche servizi e divertimento: ciò che si acquista tende ad essere in effetti sempre di più benessere e illusione consapevole, complicità sociale e piacere di trasformazione, progettualità temporanea e reversibile. I beni di consumo legano assieme la tecnica (la meraviglia produttiva e riproduttiva), l’affluenza (l’abbondanza, la varietà, il cambiamento), la parità dei diritti e l’abbattimento di barriere di status a priori, la velocità - mobilità (una cifra centrale della contemporaneità, testimoniata dagli”elogi della lentezza” che ne costituiscono la cartina di tornasole). Il consumo è stato studiato sulla base dei diversi comportamenti del consumatore, partendo da un livello basale (di riflesso innato) fino ad una ideologia socialmente sancita. La capacità umana di focalizzare l’attenzione in memoria a breve termine (in pratica di tenere contemporaneamente presenti un certo numero di cose per poter soppesarle e prendere una decisione adeguata) è limitata (come ci testimoniano le ricerche cognitiviste), così il nostro sistema cognitivo, al fine di garantirci delle regolarità il più possibili”evidenti” e favorire una azione programmata dalle conseguenze prevedibili, organizza la nostra conoscenza per semplificazioni aggreganti. Secondo studi recenti l’attenzione opera in modo tendenzioso, favorendo l’accesso degli input verso i processi superiori di elaborazione di quei contenuti che sembrano avere più pertinenza con le attese, con le abitudini, con i bisogni e con gli scopi che l’organismo sta perseguendo in quel momento. In sostanza ciascuno di noi non può vedere lo stesso mondo: noi in realtà abbiamo già una rappresentazione filtrata, dipendente dai nostri schemi interessi e bisogni dominanti in quel momento. Perché la nostra capacità limitata non rende possibile una percezione”totale ed oggettiva, analitica e completa” del mondo. La percezione si organizza selezionando in funzione di schemi e di aspettative, orientate dalle finalità più urgenti del momento. Il consumo così come si configura nella realtà contemporanea è quindi il luogo più sintono ad un Sé che non è più l’Io razionale universale autocosciente, ma il Self emotivo, espressivo, interattivo, sfaccettato e polimorfo, fluido e relazionale. Naturalmente il lavoro di tessitura e ritessitura del Sé attraverso l’esperienza simbolica e sociale del consumo deve considerare l’individuo non isolatamente ma nella sua interazione con i diversi contesti situazionali che il gioco socioculturale ed economico propone come scaffale di possibili identità e desideri cui attingere per il proprio quotidiano bricolage del sé (Fabris). Nel fare ipotesi sul funzionamento psicologico delle persone nell’atto di acquistare si nota come l‘interesse è accentrato su come queste decidono e scelgono tra più alternative, come vengono influenzate dalla comunicazione pubblicitaria, come si formano un atteggiamento (o una immagine) favorevole o meno ad una certa marca (“brand”), come si può misurare e modificare il grado di fedeltà
e soddisfazione verso una certa marca, come si può organizzare uno spazio di vendita (un layout) per aumentare l’acquisto... La teoria che studia il”comportamento del consumatore” privilegia una prospettiva orientata alla possibilità di prevedere e controllare le azioni, le scelte concrete, del soggetto - consumatore. In questa ottica non è importante capire il”perché” l’individuo decida di consumare, quanto piuttosto formulare leggi e individuare regolarità che consentano di prevedere le reazioni del consumatori a determinati stimoli. Un approccio di questo considera più indicate spiegazioni improntate alla teoria del riflesso condizionato, al calcolo di convenienza, alla forza della abitudine, all’impatto visivo e alla associazione mnestica che ne consegue, oppure alla memorizzazione favorevole alla parte finale e iniziale di un messaggio pubblicitario. Il tipo di psicologia che sinora è stato preso a riferimento ha seguito le linee tracciate dalla psicologia comportamentista (che offre oltretutto la possibilità di usare la psicologia per comprendere come”condizionare” il consumatore, in definitiva proprio quello cui mira istintivamente l’uomo di marketing), oppure – in casi più aggiornati – alla psicologia cognitivista o a quella del ragionamento (comunque di impronta cognitivista) che consente di descrivere il consumatore in chiave di processi di decisione o di psicologia del ragionamento applicata a quest’area specifica. La”psicologia del consumatore” si riferisce, almeno nella pratica, alle variabili più qualitative, motivazionali, ai”vissuti”: si pone cioè dal punto di vista della riorganizzazione del making sense soggettivo, con una certa preferenza per variabili di personalità, emotive o preconsce: si chiede che tipo di personificazione il consumatore dà di un prodotto, che rapporto fantasmatico intrattiene con lo stesso, che tipo di associazioni simboliche o di toni emotivi gli suscita, che tipo di prestigio sociale o di modo di appartenenza esso attiva. La psicologia del consumatore privilegia quindi processi più globali legati al Sé, all’identità ed all’interazione sociale della persona - consumatore. La”psicologia dei consumi” riguarda i significati psicologici (individuali e sociali) che le prassi di consumo assumono nella cultura postmoderna o nella civiltà dei consumi che dir si voglia. La”psicologia dei consumi” si pone il problema di capire come queste”necessità socioeconomiche” agiscano e facciano senso a livello individuale: se è chiara la razionalità economica del consumo, perché le persone diventano consumatori, e non solo consumano ma amano farlo. È perché i consumatori riconoscono il consumo come tratto della loro appartenenza alla modernità? Oppure il consumo è una pressione, un condizionamento/modellamento culturale? Ovvero esprime ed intercetta aspetti motivazionali e bisogni della natura umana? Oppure ancora l’interazione tra la personalità e il contesto socioculturale attuale genera una nuova individualità che ha nei consumi un perno importante? Il consumo (inclusi la comunicazione, la distribuzione, lo shopping) è lo spazio reale di sperimentazione della soggettività e di making sense quotidiano. Il consumo si intesse così con la propria ricerca personale: il consumismo segue lo stesso clock della nostra vita e finisce per costituire lo spazio di sperimentazione dei nostri possibili modi di essere o di esercizio delle molteplicità di aspetti che convivono nell’ambito della nostra personalità postmoderna. La definizione di post – modernità – o modernità avanzata, o iper – moderno – si è affermata nella letteratura come il modo prevalente di indicare la fase storica (sociale, culturale, psicologica) in cui si troverebbe l’Occidente industrializzato ed affluente. La post–modernità sarebbe caratterizzata dalla perdita della centralità di sistemi ideologici e metafisici che organizzavano il”senso della vita” dall’alto, trasformando l’azione individuale quotidiana nella ricerca di realizzare nella prassi i valori (ideali, principi, verità) a cui si aderisce a livello astratto e di principio. La vita sociale perde quindi il suo baricentro ideologico ed istituzionale e si deve organizzare a partire dalla soggettività individuale lasciata libera di percorrere strade a priori non prevedibili, libere almeno fino a che non si lede il corrispettivo diritto degli altri di perseguire le proprie ipotesi di lavoro. La post - modernità è caratterizzata dal”pensiero debole”, dalla consapevolezza che la visione del mondo e l’idea di verità non è riferibile a metafisiche universali, ma deriva dalla esperienza sociale (culturale, linguistica) storicamente determinata dal contesto specifico di esperienza di ciascun individuo o gruppo sociale. Ciò implica la impossibilità di grandi narrazioni mitologiche, universali, e lascia spazio
alle narrazioni individuali, soggettive, contestualizzate e prive della possibilità di imporsi ad altri”a priori”. In una società in cui la dinamica di acquisto obbedisce non alla logica dei”bisogni” primari e funzionali ma piuttosto a quella dei”sogni”, il successo di un attore economico (un’azienda, un prodotto, un servizio) dipende dalla sua capacità di”vendere”, cioè di indurre un desiderio e di influenzare una scelta tra le molte possibili. In questo senso si può”vendere” solo disponendo di una conoscenza della natura del”cliente”: quanto più la rosa di scelte e la rispondenza ai”sogni” diviene centrale tanto più si rende inevitabile una economia centrata sul consumatore. Di conseguenza diventa sempre più strategi ca una conoscenza di come funziona il cliente-consumatore, di quale sia la sua psicologia. Il consumo, attraverso la comunicazione, si dimostra capace di legare realtà e fantasia, confondendole sistematicamente, in modo tale che gli oggetti (i beni di consumo) si sottraggono alla logica del rapporto”mezzo - fine” o”problema-soluzione”, vale a dire alla razionalità strumentale dell’homo faber che stabilito un fine o individuato un problema cerca i mezzi per risolvere la situazione ed ottimizzare il risultato. Gli oggetti o le esperienze o i servizi assumono, grazie alla componente di comunicazione in cui sono immersi, un significato molto più ampio di quello insito nella razionalità strumentale, così divengono”mondi”,”sfere di esperienza vicaria”, ipotesi di identità e modelli provvisori e non vincolanti di identificazione: i beni che sono in vendita rappresentano il ponte tra realtà e fantasia, tra immaginario e razionalità. Questa caratteristica conferisce al consumo un ruolo centrale e privilegiato nella cultura della post - modernità. Nel consumo gli oggetti trasformano il bisogno in desiderio, la rappresentazione cognitiva in fantasticheria, la frustrazione in illusione, la ripetizione del reale in gioco. La psicologia dei consumi nel contesto socioculturale attuale affronta la presenza di elementi”extra - funzionali” nella dinamica di scelta e nel comportamento del consumatore. Il consumatore agisce sulla base di valori simbolici (estetici, di status, di auto - immagine) non riducibili a schemi di calcolo razionale di”convenienza” caratteristici della”psicologia economica” classica ma della comunicazione che il bene ha fornito. Questo non esclude che la scelta non sia motivata anche da aspetti implicanti il livello di auto giustificazione razionale e di calcolo dei vantaggi. Ciò che intendiamo dire è che in questa fase storica del consumo gli elementi più”pesanti” sono quelli extra - funzionali, di cui manca ancora una conoscenza e un modello scientificamente gestibile. L’importanza dei processi extra - funzionali (emotivi, simbolici, affettivi) nel comportamento d’acquisto non deriva da scelta degli individui o da meccanismi puramente psicologici: è la conseguenza di un assetto socioculturale ed economico che”spinge” il consumatore a”funzionare” secondo modalità che fanno sì che il sistema economico riesca ad auto - alimentarsi. Tutto ciò dipende da tre macro fattori sinergicamente interagenti nell’attuale contesto socioculturale: - La saturazione delle merci e dei beni, che genera da un lato la necessità di motivare all’acquisto secondo impulsi o significati affettivi e non più attraverso un calcolo di necessità o di opportunità razionale. - La crescita esponenziale della civiltà dei mass media e più in generale della comunicazione, che alimenta i processi di esperienza vicaria, di identificazione e proiezione, ed abbassa la soglia di distanza tra realtà e fantasia. In chiave di psicologia dei consumi questo implica la dominanza di codici equivoci, allusivi, proiettivi, entro cui ciò che è in gioco non è più un calcolo”oggettivo” ma le fantasie di appagamento del desiderio e congiuntamente di immagine di sé. Il prototipo del consumo oggi è costituito non più tanto dal comperare il cibo quando si ha fame, e neppure dal comperare l’auto importante per farsi bello dinnanzi agli amici, quanto piuttosto dal comperare il biglietto per vedere un film. Acquistare è oggi più simile ad accedere ad un”mondo” fantastico e partecipare vicariamente di emozioni e avventure e relazioni affettive che non a qualsiasi altro atto quotidiano. La destrutturazione della società”post-moderna”, con la frammentazione dei grandi organizzatori socioculturali: ideologie, fedi, istituzioni, pregiudizi razziali, morale borghese, stereotipi
sociali, leggi. In questa condizione gli ancoraggi dell’identità non sono più top - driven ma bottom pushing. In altri termini la costruzione della identità personale è affidata al rapporto con i propri sogni e bisogni ed alla interazione affettiva con le persone”vicine” e non più canalizzata dagli agenti sociali istituzionalmente formativi. In queste condizioni il funzionamento della personalità viene più largamente delegato alle spinte”interne” di tipo emotivo ed affettivo più che ai”valori” interiorizzati dalla educazione strutturata. In questo contesto acquista senso e rilevanza un’attenzione della psicologia dei consumi al processo del desiderare: de - siderare significa infatti sottrarre la logica del comportamento alla presenza del cielo a”stelle fisse” che governa secondo leggi universali l’umano destino e l’agire degli individui. La logica del desiderio ha quindi una natura non - razionale, almeno non nel senso di una prevedibilità secondo criteri logici e di coerenza. Ciò non significa affatto pensare che il desiderio non segua le proprie logiche: il desiderio ha una propria razionalità che si intreccia con quella dell’Io razionale (diremo che il desiderio segue la logica del Sé). Se (…) il rapporto con gli oggetti / beni / servizi di consumo trova comprensione a partire dalla logica del desiderio piuttosto che dalla logica del calcolo funzionale o della coerenza valoriale, allora la psicologia dei consumi dovrà assumersi il compito di comprendere la logica del desiderio. Questo compito si esaurisce in tre punti: 1. l’uomo è un essere”desiderante”; 2. ricostruire l’evoluzione del desiderio, indicando le fasi del suo sviluppo, il suo ruolo all’interno della personalità nelle varie fasi, le modalità caratteristiche delle diverse fasi del desiderio; 3. indicare come le forme del desiderare alimentano il comportamento di consumo, come cioè si riconnettono e”spiegano” i comportamenti di consumo, la comunicazione pubblicitaria, il tipo di oggetti che”hanno successo”, le mode, le auto - giustificazioni che i consumatori si danno delle loro azioni di acquisto e consumo. Alcune radici psicologiche del desiderio forniscono le risposte alle questioni menzionate. Intanto Bowlby ha affermato che specie umana produce un attaccamento assai più intenso di quello presente nelle altre specie (“neotenìa”). La rottura di questo rapporto di attaccamento (necessaria per un percorso di autonomia) è una delle radici del desiderio: sul piano psichico il desiderio sostituisce una mancanza fisica. Poi, la specie umana possiede una rilevante capacità di gioco, di fantasticheria, di immaginazione, ovvero l’esploratività, che sarebbe correlata alla struttura cognitiva peculiare dell’uomo, orientata alla”curiosità epistemica”, base psichica della conoscenza e della scienza. Infine, la comunicazione, l’interazione sociale, il legame affettivo interpersonale sono importanti spinte a desiderare. La necessità di”appoggio” (“anacliticità” in termini tecnici), rende impossibile al bambino il passaggio dal biologico allo psichico senza la mediazione della relazione. Il piccolo ha una rilevante capacità ad identificarsi e proiettare emozioni, ciò alimenta la fantasticheria e produce l’interiorizzazione delle figure significative attraverso cui egli elabora il primo senso della propria identità. L’“Io”, così, è figlio dell’interiorizzazione degli”altri”: la confusione tra sé ed altri, tra realtà e immaginazione, tra mondo interno e mondo esterno è costitutiva della nostra psiche. Ciò permette, per esempio, di emozionarsi per le vicende che accadono sullo schermo quando si assiste ad un film. Desiderio e dimensione”transazionale” del pensiero, - cioè contenuti del desiderio e modalità non-razionale del pensiero costituiscono il sistema di sopravvivenza del bambino quando ancora non possiede un”Io” cognitivo, razionale, capace di progetto e pianificazione, di feedback informativo. Le modalità del”pensiero primario” quello cioè precedente la nascita dell’Io, sono dominanti nei primi anni di vita, ma rimangono attive anche dopo la genesi dell’Io. Ogni volta che si attivano le angosce, i desideri e le modalità di pensiero primario, si riattivano le modalità infantili di funzionamento della personalità, o meglio si sposta il baricentro del funzionamento personologico dall’Io adulto al Sé infantile.
Va da sé che parallelamente alla linea evolutiva del desiderio si sviluppano anche (intrecciandosi con essa) le linee dello sviluppo cognitivo, della socialità, del controllo motorio: l’evoluzione del desiderio non avviene nel vuoto, e”fa sistema” in ogni fase con le altre linee. Gli stadi distinguibili nello sviluppo del desideri sono otto, quanti quelli degli stadi di sviluppo della personalità cui si accompagnano cronologicamente (seguendo lo schema classico di Erickson). Ogni stadio raggiunto implica che le fasi precedenti rimangono attive anche quando sono subentrate altre fasi, e che le fasi successive possono emergere correttamente solo se le fasi precedenti hanno trovato un’espressione soddisfacente. La”psicologia culturale”, proposta da Vygotsky, teorizza che i processi mentali abbiano essenzialmente la funzione di attribuire un significato all’azione ed ai sentimenti che la accompagnano, e che questo”lavoro” della psiche possa effettuarsi soltanto entro una cornice socioculturale, attraverso l’interazione comunicativa. La prospettiva della psicologia culturale lega quindi indissolubilmente (e non come causa-effetto lineare, ma. come sistema integrato) la psiche individuale e i modelli di cultura, attraverso l’interazione quotidiana con gli altri, guidata da riti, modelli e convenzioni che strutturano il senso della azione e la legittimano nel gruppo sociale. Nella modernità l’Io diventa il centro dell’organizzazione della conoscenza e del criterio di verità o di conoscibilità affidabile: un Io però che non è soggettività arbitraria, ma anch’esso Legge e Ragione, un Io che non è spontaneismo ma metodo (il”metodo scientifico”, infine) e che semplicemente possiede le ragioni del proprio ragionare ed è in grado di esibire le leggi che governano la genesi delle proprie rappresentazioni ed il loro rapporto con la”realtà”. Il grande schema kantiano e poi idealista e poi romantico e infine positivista pone sempre al centro - in modi invero assai diversi tra loro- le”leggi dell’Io” che governano la costruzione della conoscenza e permettono di discernere la conoscenza”vera”. È alla parallela certezza della possibilità umana di comprendere, dominare ed usare ai propri fini la ragione che si deve la laicizzazione progressiva della società e la legittimazione del perseguimento del piacere e del benessere, che la rivoluzione industriale e i suoi progressi nell’arco di tutto il ’900 renderanno prassi quotidiana e diritto scontato per le società occidentali. Ebbene, il termine di”post - moderno” (o dizioni analoghe nel significato complessivo) sta ad indicare l’involuzione di questa certezza e il venir meno del presupposto della universalità della ragione e della possibilità della consapevolezza autocosciente come perno dell’agire umano e del suo rapporto con la verità, che lascia il posto ad una visione frammentata, fluida e contestuale della ragione e della costruzione del senso (il cosiddetto”pensiero debole” di Vattimo). La filosofia della autocoscienza ha trovato critici, a partire dalla fine del ’800 per tutto il ’900, diversi autori, trai quali Marx, Nietsche e Freud che hanno asserito che i contenuti della coscienza siano”giocati” da forze estranee alla autoconsapevolezza del soggetto (il portatore della autocoscienza), e che obbediscano a processi assai poco”razionali” o”logici”. Nel teorizzare ciò gli studiosi hanno proposto il tema della fausse conscience, intesa come frutto di un”inganno” che contrappone razionalità ad irrazionalità. L’irrazionalità genererebbe ed attribuirebbe causa alla razionalità che ha il compito ruolo di unire i componenti del processo evolutivo che porta al Sé ed all’identità. Sia che richiamino il gioco tra struttura di potere e formazione della coscienza, oppure il gioco tra semantica del potere e sintassi del volere, o infine tra natura selvaggia e civilizzazione, i tre inquisitori della fausse conscience seminarono fin dal periodo di auge dell’età dell’Io (razionale, scientifico, tecnologico) il dubbio che la struttura della coscienza fosse decisa”altrove”, secondo regole che non possiamo poi ritrovare all’interno del focus della razionalità consapevole (le leggi del potere, le leggi del linguaggio, le leggi della difesa dall’angoscia). Il tema della fausse conscience, ripreso dalla scuola di Francoforte, da quella di Chicago, dal pensiero di Lacan e degli strutturalisti francesi legati al decostruzionismo, metteva in crisi la centralità dell’Io nella misura in cui presentava la struttura dell’Io autocosciente come”reattiva” ad un conflitto o ad un inganno ignoto all’Io stesso, ma non poneva in dubbio che la struttura formale dell’Io soggettivo fosse consona al modello dell’ego moderno: tanto che le figure esplicative sono quelle dell’inganno, dell’alienazione e del conflitto, e tanto che in definitiva tutte e tre le figure tendono (a parte Nietsche) a reintegrare una superiore razionalità che includa anche il passaggio irrazionale della genesi della coscienza.
L’Io postmoderno ha, invece, di per sé una struttura frammentata e fluida, molteplice e non solo razionale, ed è frutto di una continua transazione tra individuale e sociale, in un flusso comunicativo che è il”brodo di cultura” del Self postmoderno. Anche la concezione moderna, che vede il trionfo della tecnologia, destruttura la concezione”moderna” dell’Io. Ulteriore effetto dirompente sull’Io moderno ha nell’accelerazione della comunicazione e della globalizzazione, che nell’obbligare al confronto continuo con diversità ed alterità culturali, organizzative, d’identità, di linguaggi, portano ad un'impossibilità di salvezza di concetti universalistici ed astratti. Tutto si relativizza ad un contesto specifico e la morale quotidiana ne diventa la più evidente manifestazione come pure l’etica dei sentimenti o della legalità. La consapevolezza dell’infinita serie d’interdipendenze mina la certezza della verità, che assume il ruolo di razionalità limitata e sempre contestuale. Il desiderio nasce nello spazio tra la meta rappresentata (o ricordata) e l’esperienza della frustrazione (mancanza attuale della meta). Il desiderio sessuale ha costituito in Freud il prototipo formale del desiderio, consentendogli di sottolineare la plasticità specifica delle pulsioni (istinti) umane che consentono lo spostamento della meta originaria a mete diverse. La facilità di questo spostamento dipende da due dinamiche concomitanti tipiche della specie umana. Innanzitutto la plasticità dello spostamento su altre mete permette la relativa facilità e versatilità di apprendimento dell’uomo (a partire dall’associazione stimolo - risposta e dal riflesso condizionato fino al rinforzo sociale che legittima associazioni”innaturali”). In secondo luogo lo spostamento della pulsione dalla meta”naturale” ad altri oggetti avviene in una fase di sviluppo dell’Io in cui non ha ancora raggiunta maturità ed operatività; avviene cioè nell’ambito delle relazioni affettive primarie e della visione sincretica e diffusa del mondo in cui il bambino si trova, quando i vissuti delle esperienze relazionali e fattuali godono di un’amplia gamma di possibilità di scomposizione e ricomposizione della pulsione naturale. L’aspetto del desiderio comporta la possibilità di vivere”la presenza di una assenza”, in condizioni di allentamento della pressione della realtà (capacità di simbolizzazione proto – rappresentativa). L’esempio che può spiegare questa condizione si osserva agevolmente quando per la prima volta il bambino succhia il pollice: quest’esperienza gli consente di superare la frustrazione per la mancanza della meta (il contatto con la madre, l’allattamento), sostituendo al contatto con il capezzolo materno la suzione del proprio pollice, che è”come se” fosse la presenza della madre. Da lì e per sempre benché le”cose” sono ciò che cognitivamente sono, possono anche assumere, però, valenza di”segno”, di appagamento sostitutivo di un desiderio incommensurabile con la realtà. Per fare ciò il bambino dispone della possibilità di modellare, modulare, alterare la realtà e il suo rapporto con essa attraverso i processi fondamentali di identificazione e proiezione, di empatia e di equivocità o polisemìa: l’insieme di ciò che fa la struttura del”pensiero magico”, senza qui intendere questa definizione in senso negativo. Poiché il bisogno centrale del bambino è la relazione, gli”oggetti” sostitutivi sono sempre vissuti all’interno di un rapporto emotivo forte, e quindi in un clima di affettività e di amore - odio, di accettazione - rifiuto. Da questo inizio si sviluppano poi gli”oggetti transizionali” così denominati da Winnicott (il classico orsetto di pelouche o la copertina di Linus...). La possibilità di confusione tra realtà e fantasia, la sostituzione protosimbolica, l’anticipazione di una esperienza attesa appartengono alla struttura del desiderare. La dimensione del desiderio è componente della area ludica e del meccanismo cognitivo della esplorazione. Della prima in quanto sfrutta la possibilità di confondere e mixare realtà e fantasia, sostituendo oggetti protosimbolici alla realtà e simulando una realtà non presente. Del secondo in quanto il desiderare implica la presenza di una aspettativa, quindi di uno schema anticipatorio che guida a scrutare il reale in attesa di segnali anticipatori dell’apparire reale della meta (chi desidera entra nella logica del wishful thinking e dell’attribuzione, selezionando e deformando sistematicamente gli elementi che possono essere decodificati come promessa di appagamento).
La condizione naturale per il desiderio è la fantasticheria in cui la realtà è trasfigurata e gli indizi di possibilità di appagamento non sono condizionati dalla frustrazione della realtà. Nella lezione lacaniana il desiderio si consolida in capacità simbolica strutturata (il linguaggio e la rappresentazione cognitiva) grazie alla separazione (forclusione) dagli oggetti originari (infantili) di desiderio: dalla imponente rimozione edipica e dall’angoscia di distruzione nasce lo stato di separazione irreversibile tra le pulsioni e gli affetti primari e le forme di appagamento anche fantasticato. Questo vallo potenzia indefinitamente la condizione simbolica grazie a cui i simboli descrivono la realtà rinviando sempre ad un”significante altro” ormai irraggiungibile: con ciò le esperienze reali e gli oggetti razionalmente codificati portano con sé sempre un”doppio senso”: quello dell’inquadramento razionale orientato alla efficacia della prestazione e dello scambio sociale e quello del rimando simbolico inconscio che allude alle valenze di meta di appagamento per le pulsioni affettive (fusive, possessive, distruttive, onnipotenti e ansiogene) ormai rimosse e non riconoscibili come progetto reale di azione. In questo spazio si inseriscono gli oggetti di consumo, catalizzando su di sé tre valenze di meta e di sostituzione o allusione simbolica: - la valenza allusiva di meta degli affetti primari, irrazionale e inconscia; - la valenza di mezzi di auto rappresentazione e di rappresentazione sociale della nostra identità (l’identità è oggetto di desiderio in quanto metonimia dell’interesse del nostro essere e della sua armonia originaria); - la valenza di estensione del proprio Sé attraverso l’incorporazione di protesi che ampliano le possibilità fisiche, psichiche ed emotive. Nell’attuale contesto socioculturale i modelli dominanti della cultura del consumo favoriscono attivamente le modalità del narcisismo, della identificazione e della simulazione. Per decodificare i riti e le mode del consumo si deve tenere conto che questi non debbono più apparirci come cose”strane” e irrazionali, ma piuttosto come percorsi di attivazione e di soddisfazione del desiderio, secondo le modalità specifiche di quella tipologia di desiderio. La novità costitutiva del consumismo di oggi è il ruolo che il consumo gioca nell’interazione con il self e l’identità: questa asserzione ci indica quali aree della psicologia possano essere oggi più utili per la comprensione delle dinamiche di consumo. Un primo assioma nel percorso che porta a legare strettamente tra loro consumi e identità consiste nella convinzione che la società dei consumi inizia quando i mezzi di produzione consentono un surplus di prodotto rispetto alla capacità di acquisto delle élites economiche cui fino ad allora era stata diretta la proposta di acquisto. La società dei consumi amplifica le dinamiche del desiderio e il pensiero primario, mentre la cultura dei consumi fonde (e spesso confonde) il codice cognitivo e quello dell’immaginario, realizzando uno spazio ludico, segnico, polisemico di ampiezza impressionante. I modelli culturali predispongono percorsi di senso, offrono orientamenti di desiderio, propongono modelli di identità e trame narrative cui attingere per progettare un personale percorso di senso. La cultura trasmette i suoi modelli creando un terreno di coltura in cui il seme della personalità individuale può crescere. Fuori dai”condizionamenti” (come li si è impropriamente chiamati fino a pochi anni fa), infatti, la personalità non cresce e non si generano ego individuali. La personalità individuale è innestata sia nella storia dei propri rapporti interpersonali, sia in quella della cultura di cui si alimenta. Il sistema dei media consente, oggi, di esprimersi con modalità più efficaci di quanto il linguaggio lineare scritto permetta. La possibilità di sperimentare in modo vicario progetti di identità consente una dilatazione della gamma di identità coesistenti, creando quel”sé molteplice” che caratterizza la condizione postmoderna: naturalmente a rischio di sba ndamenti schizoidi o di frammentazioni della personalità. La cultura dei consumi favorisce - grazie alla fruizione diffusa della esperienza vicaria dei media - la sistematica osmosi tra realtà e fantasia, aprendo le porte ad un pensiero”magico” che scambia il possesso di oggetti con il conseguimento di modificazioni del proprio essere.
La cultura dei consumi esalta la ricerca di un’identità personale originale e unica, anche se all’interno di una comunicazione di massa, creando il paradosso di una”unicità” di massa. La cultura dei consumi propone legami sociali e modelli di interazione interpersonale all’insegna della complicità regressiva invece che sulla base della condivisione di ideali normativi, come avveniva in precedenza. Nell’attuale ciclo socio - culturale i modelli di cultura sono largamente assimilati attraverso la esperienza del consumo, che è l’ambito primario di formazione del Sé e della identità odierni. È la soggettività che soggiace agli stimoli del consumo, perché un comportamento”razionale” (nel senso comune del termine) non permetterebbe l’estensione dei consumi alla massa né la velocità di rotazione dei beni e servizi richiesta dalla macchina economica. Nuovi”valori” o”bisogni” emergono e spingono a pianificare acquisti. Se la spinta non parte questi servono stimoli alle varie forme di intelligenza (l’intelligenza emotiva, le formae mentis), che dipendono dal tipo di equilibrio assunto dalle diverse componenti della personalità in un determinato momento o contesto o stadio evolutivo, e che fanno sì che la logica del Sé possa prevalere su quella dell’Io. Si è spesso criticato il ritenere che i consumi siano in relazione ai bisogni: ciò perché quando il consumo è considerato la risposta ad un bisogno si enfatizza il valore d’uso dei beni. Per la comprensione della psicologia dei consumi in senso sistemico va osservato che una data personalità (un dato assetto dei livelli e sistemi della personalità) si declina solo nella interazione sociale, guidata da modelli di cultura che orientano gli equilibri possibili tra i vari aspetti della personalità: la società e l’educazione moderna hanno favorito la crescita entro relazioni che rafforzavano la centralità dell’Io razionale, della ricerca, di coerenze universali e di etiche oggettive, e quindi hanno prodotto quell’equilibrio di personalità che si può indicare con il nome”personalità moderna”. A parere di molti autori gli effetti della modernità e dei consumi sulla personalità degli individui che vivono in questa epoca (fase postmoderna) sono dei rapporti con gli oggetti/beni/esperienze/servizi di consumo che eccedono la dimensione razionale. Caratteristica è la trasformazione di oggetti d’uso o di necessità in”oggetti di desiderio”. Il rapporto con un oggetto di desiderio è un rapporto con una entità cui si attribuisce, mediante la proiezione ed il pensiero magico, una sua personalità (non si può entrare in relazione se non con una entità antropomorfica, anzi personalizzata, perché la relazione non può che essere personale, individualizzata,”mia”). Questa è la ragione per cui il brand o la marca sono la personalità del prodotto, il significato e il mondo con cui ci relazioniamo. La comprensione degli aspetti”irrazionali” della personalità è il focus della psicologia del consumo, e occorre abituarsi alla idea che esiste una”logica del desiderare” accanto e spesso intrecciata alla logica del”calcolare”. Esiste un”ragionamento estetico” o”semiotico” che muove da propri assunti e con proprie regole non riconducibili a quelle precedenti. Quando una”cosa” diventa”oggetto di desiderio” allora non vale più il principio di non contraddizione, si confondono realtà e fantasia, la causalità è magica e non lineare, la definizione è polisemica e la condivisibilità sociale attenuata e non vincolante. Quando si tratta una ”cosa” nella logica del”calcolo razionale” ci si pone come obiettivo l’azione, il fare, il risultato nella realtà. Quando, invece, si ha a che fare con una”cosa” nella logica del”desiderio” la finalità (non confessata e spesso non percepita consapevolmente) è quella di immaginare come potere essere magicamente, senza affrontare la fatica e il rischio della realtà. Nella logica del desiderio si attivano processi quali l’identificazione e la proiezione, l’empatia, la connotazione, l’associazione, la fantasticheria, la sostituzione simbolica, l’immaginario. La scuola strutturalista francese e quella inglese kleiniana hanno cercato di dimostrare che anche l’immaginario (il desiderio) ha una sua struttura, un suo linguaggio e segue delle sue leggi, anche se nella nostra cultura si è abituati ad avere a che fare con il linguaggio e le leggi della razionalità strumentale. Allo stesso modo i difensori della”psicologia ingenua” muovono alla”psicologia scientifica” la critica di aderire al pregiudizio storico culturale che assolutizza un”homo logicus”, in realtà frutto di una dominanza culturale storicamente temporanea e non inevitabilmente necessaria.
In realtà la logica del desiderio è più”fondamentale” della logica”razionale - strumentale”, almeno nel senso cronologico del termine. Il”desiderio” precede di gran lunga il”calcolo”: il desiderio è presente fin dalla nascita, mentre la capacità cognitiva e di ragionamento e la percezione della realtà maturano progressivamente e lentamente. La società dei consumi riapre la logica del desiderio permettendo ai post - moderni di ri esplorare il loro rapporto con il reale, di rendere tollerabile la sensazione di carenza di risposta e di senso ai propri bisogni individuali, narcisistici ed emotivi, resi peraltro più intensi che mai dalla cultura dell’individuo e dalla caduta del principio del sacrifico e del dovere. Un aspetto macroscopico della vita quotidiana nella società attuale è la presenza di realtà”vicarie”, di mondi non coincidenti con il mondo”reale”. I mass media, i video - giochi, la lettura”evasiva” (dai fumetti ai romanzi rosa), il pettegolezzo sui divi, Internet ed il chatting, i telefoni cellulari, la pubblicità, sono di canali che rendono possibile, la familiarità con”mondi” vicari, con una condizione di esperienza che non necessita di confrontarsi con la realtà in cui occorre reagire, prendere posizione, esporsi di persona. L’intensità quantitativa del fenomeno si accompagna a differenze qualitative non meno sostanziali. La funzione principale della realtà vicaria in cui viviamo ha funzione evasiva/di entertainment, in tal modo si rende”normalmente” disponibile all’individuo una sfera di esperienza svincolata dal confronto con la realtà, nella quale si è stimolati ad allontanarsi dalla concretezza in cui viviamo. L’Identità nella concezione moderna, però, obbliga a privilegiare alcuni impulsi e a sfavorirne altri sotto la pressione dei modelli di cultura che presentano come valori alcune mete e come disvalori alcune altre. L’Identità”moderna” organizza una gerarchia di valori che guidano ordinatamente il comportamento con una canalizzazione restrittiva del legittimo e desiderabile, e valorizzando l’etica del sacrificio come guardiano della integrità della persona e dell’ordine sociale. La post - modernità opera una profonda ristrutturazione sul sistema della identità. L’Identità nuova nasce a spese della molteplicità del Sé: il Sé non conosce contraddizione e non è guidato dal principio di non contraddizione o di realtà. I suoi diversi desideri ed impulsi (dipendenza ed autonomia, aggressività ed amore, dominio e ammirazione, invidia e gratitudine, essere piccoli ed essere grandi...) coesistono senza obbligare ad una scelta. Nella post - modernità l’identità monolitica e coerente viene ritenuta rigida e monotona (sulla scorta del modello della personalità autoritaria), povera, non creativa, inadatta ad un mondo poliedrico e ricco di opportunità per il quale occorre inventare ogni giorno schemi di adattamento nuovi. Viene alimentato un ideale di personalità multipla, di identità fungibili, una per ciascun contesto di esperienza individuale e sociale. Il modellamento dell’Identità avviene attraverso canali diversi: oltre ai mass media altri concorrono a questo risultato finale. Una menzione merita il polimorfismo relazionale anticipato, vale a dire l’incontro con figure diverse, fuori dalla famiglia: le baby sitter, le insegnanti di scuola materna, i compagni di culture diverse rendono abituale per il bambino il confronto con pattern relazionali diversi che richiedono ada ttamenti del proprio stile relazionale e pongono le basi di una serie di registri diversi e di identità variegate. Il processo si amplifica nella giovinezza, quando cercare l’incontro con nuove culture e situazioni”diverse” sembra diventato un autentico bisogno: quale giovane non è stato oggi all’estero, e quale giovane non ha compagnie diverse con cui fa cose diverse (quelli della discoteca, quelli dell’università, quelli delle vacanze, quelli della palestra, quelli del motorino... sono sempre più spesso gruppi diversi, non lo stesso gruppo che fa cose diverse). La fluidità delle identità sessuali è un altro modello di cultura che alimenta il nuovo progetto di identità mobili e fluide. La possibilità di attingere oggi a pattern maschili e femminili indipendentemente dal proprio sesso biologico è alimentato dalla cultura, proposto come un valore positivo. L’evoluzione della dialettica maschio - femmina in un continuum di maschile - femminile da cui ciascuno può liberamente attingere, moltiplicando anche in questo modo le possibilità di rappresentazione del sé.
Anche la partizione frammentata delle sfere di esperienza aumenta la molteplicità dei Sé. Se la modernità aveva essenzialmente distinto tra sfera pubblica e sfera privata, oggi i campi di azione, e le identità connesse, sono infinitamente moltiplicati: c’è la professionalità e il tempo libero le competenze negli hobbies e le vacanze, la relazione amicale, sentimentale, sessuale e sociale, il tempo della cura del sé, del relax. Il ruolo dell’immaginario, della fabulazione e della narrazione, alimentati dai mass media, diviene strutturale e non è più confinato nella fase infantile o in spazi delimitati e funzionali nell’arco della quotidianità adulta, ma è una modalità sempre presente che occupa nella nostra vita un posto simile al rapporto con la realtà. La persistenza di osmosi tra realtà e fantasia amplifica lo spazio del Sé (il Sé si avvale delle narrazioni fantastiche e della dimensione ludica più dell’Io, che ha bisogno del riscontro di verifica reale e della strutturazione di nessi logici sequenziali) e incide pesantemente sui percorsi di articolazione della identità. I modelli di identificazione comprendono, oltre ai genitori o all’entourage parentale, anche personaggi filmici, dei cartoons, idoli sportivi e così via. La lista delle possibili identità desiderabili si allarga, lasciando aperta la strada a proiezioni che soddisfano quasi tutti i nostri desiderio di potenza. Le pulsioni e i sentimenti trovano nel ventaglio di offerta identificativa ogni tipo di possibilità espressiva, allentando il principio di coerenza e consentendo la sperimentazione almeno vicaria e fantastica di molteplici sé. Si realizza così la possibilità, apparentemente schizoide, di sperimentare le identificazioni in modo simulativo, proiettivo, e quindi di non trasferire direttamente nella realtà le identificazioni con i personaggi o i tratti vissuti nella immedesimazione con la messa in scena narrativa. La confusione tra realtà e fantasia, la abitudine ad usare entrambi i registri intersecandoli tra loro diventa normale, così fatti reali drammatici vengono descritti dai mass media come se fossero eventi filmici. La invadenza della esperienza mediatica trasforma il criterio di realtà ed concede spazio alla fantasia, o meglio alla trasformazione evasiva, emozionante, spettacolare della esperienza di vita. L’identità che si struttura è fluida, proteiforme, spazia tra realtà e fantasia e ridefinisce il significato della esperienza reale contaminandola continuamente con la fantasia. L’estensione e l’intensità della esperienza vicaria costituiscono un potente elemento di costruzione e di mantenimento di una identità fluida, che perde o allenta l’aspetto di rigidità e coerenza. La narrazione ha la funzione di assicurare a tutti la soddisfazione fantastica dei propri desideri, la vittoria sui”cattivi”, la conciliazione dei conflitti (miti cinematografici). Si è portati a violare il principio di realtà e l’esperienza della frustrazione, cortocircuitando desiderio ed appagamento via fantasia, riproducendo modalità infantili di compensazione della frustrazione. I mass media sono oggetto di commento, scambio, presenza sociale, e la fantasia così acquista dignità di realtà, attenuando ancora più il confine tra esperienza reale ed esperienza vicaria e quindi consentendo la fuga dalla realtà fino al limite estremo della fuga persino dalla anticipazione della frustrazione. La comunicazione commerciale, cogliendo i nuovi equilibri di personalità, usa codici narrativi fatti di ritmi e sequenze associative iconiche e sonore, con un ruolo complementare e raramente centrale della parola e del discorso; utilizza volentieri segnali iperbolici e caricaturali che dichiarano la propria natura di finzione ma al tempo stesso legittimano la espressione più diretta del desiderio, come accade per esempio per l’erotismo. Ancora, per alimentare l’attenzione, utilizza con facilità l’erotizzazione e la sensualizzazione; interpretando l’orientamento regressivo, infantile, della personalità postmoderna utilizza linguaggi e codici da cartoons o da fiaba. D’altro canto la comunicazione pubblicitaria è stato uno dei fattori che ha consentito la transizione dallo scambio basato sul calcolo di convenienza alla logica del desiderio: il prodotto può trasfigurarsi in metonimia di un desiderio solo attraverso la sua presenza”filmica”, perché il desiderio non nasce dalla semplice presenza fisica dell’oggetto ma richiede una storia in cui l’attesa e l’anticipazione dell’appagamento rendono significativo il rapporto con l’oggetto di appagamento (la”meta” in termini psicologici). L’oggetto deve entrare all’interno di un contesto in cui una tensione
prende forma e, superando ostacoli. infine raggiunge la meta, oppure in cui la perdita di ciò che era nostro viene riparata con un percorso ad ostacoli ripristinando infine la felicità iniziale. Sono ben conosciuti i miti della eterna giovinezza, dell’individualismo, dell’edonismo narcisista, della seduzione sessuale, dell’estetizzazione del quotidiano, del lieto fine, della possibilità di ricominciare sempre, della magia del facile appagamento. Si tratta di miti – valore, che entrano a far parte della rappresentazione aspirazionale di sé e regolano lo scambio sociale generando aree di senso e consenso diffuso. L’agenda setting è articolata in molteplici spazi, ed in ciascuno di questi spazi - tempo esiste uno stile da acquisire e da esibire, e questo stile è una delle identità. Come maschile - femminile anche pubblico - privato hanno cessato di essere una dialettica contrapposizione per divenire un continuum dai molti equilibri possibili. La pubblicità ha potentemente contribuito a promuovere, a sviluppare ed a mantenere una personalità dalla identità fluida, caratterizzata da osmosi tra realtà e fantasia, centrata sul desiderio e sulla promessa del lieto fine: solo così il prodotto può diventare latore di un messaggio che riguarda il bisogno di una identità gratificante, di successo, felice. La nostra società - realizzando le visioni di Marinetti - ha fatto della velocità un mito, e della attualità l’orizzonte temporale entro cui ci rappresentiamo noi stessi e le nostre azioni. Così l’agenda giornaliera è subentrata alla progettualità per tappe successive, e l’orizzonte temporale si è ristretto al momento in corso ed alla contiguità di poche ore. Anche nelle vacanze si è imposto questo fenomeno e sono nati i last minute tours. Per seguire le richieste momentanee e volubili dei consumatori le aziende hanno dovuto inventare la strategia del”just in time” e stanno decisamente puntando sull’“on line”. Nonostante questa difficoltà organizzativa (reale) la accelerazione e la restrizione temporale favoriscono e promuovono una personalità singolarmente adatta al consumo. L’accelerazione e la restrizione temporale orientano la tendenza della personalità verso l’immediatezza. L’immediatezza favorisce l’azione per impulso (il famoso”acquisto d’impulso” dei manuali) e l’impulso nasce dalla corto - circuitazione desiderio - appagamento escludendone la mediazione razionale ed amplificando il ruolo delle dinamiche magiche e ludiche, abbassando il principio di calcolo razionale. Si crea quindi un contesto pratico, legittimato dalla messa in scena di stili di vita socialmente condivisi, entro cui il principio del piacere, la logica del”concedersi”, del”farsi un regalo” prevaricano la sequenza”ideale” informazione - valutazione - decisione - azione per lasciare spazio ad una sequenza accorciata rappresentazione deduttiva - acquisto d’impulso. Nei filmati pubblicitari in pochi secondi l’incontro con il prodotto/desiderio si trasforma in possesso e godimento e trasforma lo stato d’animo e la personalità del consumatore rappresentato, modellando la forma mentis che si invita a riprodurre nel comportamento reale. Questo schema - che diventa uno schema psicologico, vale a dire una modalità cognitivo motoria - favorisce un assetto della personalità che massimizza la modalità infantile (del Sé) della incapacità di sopportare la dilazione. L’immediatezza garantisce alla logica del consumo (assieme al modello della molteplicità che consideriamo di seguito) anche la rapida saturazione del possesso per il veloce subentrare di alternative: l’inseguimento dell’ultimo modello di computer o di telefonino, dell’ultimo capo alla moda, ma anche del detersivo di ultima generazione appartengono al modello della velocità e del rapido decadimento, esattamente come un bambino posto dinanzi continuamente a molti giocattoli tende a lasciare subito quello che ha preso e vuole quello nuovo che gli si propone. Il possesso e l’immediatezza producono ingordigia e coazione a ripetere: la psichiatria sta proponendo casi di persone che devono lasciare la propria abitazione perché stracolma - tanto da non essere abitabile - di pacchi di prodotti mai aperti. La sindrome di don Giovanni si trasferisce dalle relazioni erotiche a quelle di acquisto-possesso di prodotti di consumo. La caduta del ruolo di riferimento, protezione e rassicurazione ha duplicato l’effetto di ricentrazione narcisistica dei genitori. La capacità dei genitori di sacrificare il proprio sé a quello del bambino è diminuita, ed anzi il bambino rappresenta una estensione del sé dei genitori in una misura incomparabile rispetto al passato. Poiché questa minore disponibilità lungi dal diminuire le esigenze anaclitiche del bambino le aumenta, la
necessità di trovare figure integrative o sostitutive della funzione anaclitica parentale è forte. Le istanze anaclitiche passano quindi agli oggetti ed alle marche, che vengono ad esercitare un ruolo genitoriale sul piano del Sé e di riferimento culturale sul piano dell’Io. I prodotti, i marchi e le insegne assumono il ruolo fantasmatico di coloro che ci raccontano le storie ed al tempo stesso ci indicano quali sono i valori e gli stili di vita, quali le cose che stanno maturando. Il tempo libero viene progressivamente istituzionalizzato forse come il principale dei diritti della post - modernità. In effetti la società dei consumi dipende strutturalmente dalla disponibilità di disporre di tempo liberato dal lavoro, sia come spazio per il desiderio e l’acquisto, sia come oggetto da acquistare (vacanze, aggiornamento, cura di sé). Ma questa centralità e la insistenza culturale e onirica (filmica, pubblicitaria) sul tempo libero ne ha profondamente trasformato il senso. Al punto che oggi il tempo libero non è più il tempo”liberato da” ma il tempo in cui sono finalmente”libero di”. Il tempo libero come tempo”mio”, come tempo in cui il mio Sé si cerca, si esprime, si sperimenta, si relaziona, in cui il confine ludico si sposta, e l’area transizionale si dilata. È una condizione psicologica, una sfera di esperienza e non un tempo cronometrico, quantitativo. Il tempo libero alimenta il narcisismo, lo spazio ludico, la sperimentazione di identità e di sé diversi da quelli della normalità più etero - condizionata, stimolando le dinamiche psicologiche alla base del consumo e della personalità consumista. Il consumo diviene espressione ed al tempo stesso”liquido amniotico” della transizione dalla modernità verso la post - modernità. Consumare infatti significa non più solo acquistare ciò che serve, ma trasformare la qualità della vita attraverso i beni e i servizi oggi disponibili sul mercato, dalla lavatrice alle vacanze, modificare la nostra vita quotidiana sostituendo oggetti e prestazioni -prima prodotti / agiti autonomamente oppure ottenuti per scambio - con beni acquistabili simbolicamente. Il denaro, mezzo abituale di acquisto, è infatti un’entità fortemente astratta, un simbolo ormai sganciato dal contenuto materiale della fatica della produzione, il cui senso si è del tutto svincolato dai canoni della funzionalità e del bisogno e quindi dalla razionalità mezzo - fine: il nascondimento simbolico della fatica produttiva sgancia il consumatore dalla concretezza dello scambio materiale di”fatiche produttive diverse e complementari” consentendo l’occupazione dello spazio dell’acquisto da parte di psico logiche legate alle dinamiche dell’espressione del sé che spaziano dalla simbolizzazione di status al sostegno della propria identità personale. Sul piano psicologico ciò significa passare dalla dimensione della”carenza” (si scambia perché non si ha qualcosa) a quella della espansione narcisista. Riguardo agli aspetti di”personalità multiple” e di”sé fluido”, va considerato che l’idea che la personalità umana andasse intesa come ruotante attorno ad un perno stabile e costante chiamato identità nasce alla fine dell’800. L’aspetto di flessibilità, molteplicità, polidimensionalità e polisemìa viene esaltato nell’attuale contesto sociale in quanto assimilato alla capacità di cambiamento, alla fluidità di contro alla rigidità morale della coerenza. Viene esaltato il principio del piacere di contro a quello del dovere (sia pure il dovere verso sé stessi o il dovere della coerenza con sé stessi). Il modello di personalità emergente è quello di molteplici sé coesistenti, attivati da contesti (micro-scenari) sociali che ci vedono attori che recitano copioni diversi in situazioni diverse: non come frammentazione schizofrenica ma come esercizio di diversi aspetti e potenzialità di sé, come esplorazione ed esperienza di sfere diverse della personalità e di diversi giochi relazionali. In questa prospettiva il consumo si presta meravigliosamente ad assecondare e stimolare il nostro trasformismo e la nostra sperimentazione. Tutto questo non sarebbe possibile senza un aspetto legato alla condizione della post modernità: l’enorme estensione e l’intensa familiarizzazione con l’esperienza Vicaria. La modernità avanzata ha ormai familiarizzato almeno due generazioni di individui con la compre senza al”reale” dell’immaginario costruito dai mass media ed in particolare dal cinema e dalla televisione (ma anche dal telefono, dal computer e dai videogiochi, ed ora da Internet e dal chatting e presto dalla realtà virtuale e dai sistemi misti telefono – computer - hifi).
Ciò, di fatto, consente che la personalità viva abitualmente in un flusso di esperienza che va dalla realtà fisica a quella sociale (anche gli scambi sociali si sono enormemente estesi ed intensificati nella modernità avanzata) a quella vicaria costituita dalla fruizione dei mass media. Questa è una novità strutturale nella dinamica della personalità: l’identificazione con personaggi, situazioni, emozioni rappresentate costruisce la nostra personalità tanto quanto - e forse più - delle relazioni interpersonali”reali”. Questo rende possibile muoversi su piani diversi e tenere assieme dimensioni e sfere di esperienza diverse, e costituisce il substrato reale della nuova personalità multidimensionale e fluida, disancorata dal principio di realtà e dalla legge della coerenza. I pubblicitari propongono”beni di consumo” capaci sia di rispondere alle diverse esigenze di individui diversi, sia di rispondere alle mutevoli ed a volte contraddittorie esigenze dello stesso individuo. Per fare ciò il”bene di consumo” o il”produttore” deve essere capace di creare un legame con il consumatore, vale a dire di entrare in un rapporto di fiducia che si basa sulla condivisione di sensibilità, linguaggi, fantasie e progetti. D’altro canto il riconoscimento della rilevanza assunta dall’approccio psicologico in questo contesto storico non può andare disgiunta della consapevolezza che sono proprio le condizioni economiche e strutturali che generano processi di consumo”a dominanza psicologica”. Il consumo coinvolge una gamma di processi e di livelli che forma un sistema ipercomplesso, e come oggi sappiamo (Morin) la ipercomplessità apre gradi di libertà in un sistema. Questo ideale porta oggi ad analisi costrette a lavorare sulle”eccezioni” rispetto alla”regola generale”. La psicologia dello sviluppo ha tematizzato il rapporto tra genesi dei processi (da quello cognitivo a quello sociale), interazione tra linee di sviluppo e contesti relazionali specifici. La psicologia sociale e della personalità ha elaborato il concetto di dinamiche di personalità legate al contesto sociale. L’emozione è la cifra della nuova logica del consumo: la ricerca di uno stato di eccitazione che deriva certo da iperboli dello stimolo (ipersessualità, ipercinetismo, esasperazione fantascientifica...), ma soprattutto dalla possibilità di sperimentare condizioni diverse e nuove del proprio sé. Se accettiamo la tesi secondo cui il senso psicologico del consumo va ritrovato nella capacità della cultura dei consumi di interagire dinamicamente con l’identità delle persone, allora è ragionevole trarre la conseguenza che in questo contesto sono centrali quei processi psicologici legati alla creazione di senso, di narrazioni e di rappresentazioni del sé, nell’interazione individuo società cultura. La psicologia che spiega meglio il consumo riguarda la visione d’insieme e non le singole parti o i processi. È evidente che in un fenomeno del consumo che vede sempre più sottolineata l’interazione tra l’identità personale, la comunicazione ed i marchi, e che sottolinea da tempo il ruolo del consumo come canale di rappresentazione sociale, di acquisizione di ruolo e di sostegno all’autostima, è indispensabile una psicologia sociale che studia da sempre questi processi e che li assume come fondanti la struttura della personalità e della forma mentis. Il consumatore sperimenta affetto e legame con la narrazione pubblicitaria, s’identifica con la azienda produttrice, che sente confermata la sua ricerca di armonizzare, nella propria identità, attualità moderna e fedeltà alla tradizione. In seguito il sistema della identità non ha più bisogno di questi elementi l’appeal del messaggio diminuisce e a poco valgono i tentativi di estremizzare il”messaggio” originario e di attualizzarne la messa in scena. Uno dei meccanismi dell’angoscia che ci sono più noti scaturisce dal trovarsi in una situazione strana, inconsueta, rispetto a cui non disponiamo di schemi di azioni e di prevedibilità rassicuranti. La psicologia sociale ha da tempo evidenziato quanto forte sia la tendenza ad agire per stereotipi e pregiudizi, irrigidendosi in atteggiamenti autoritari, subendo la pressione alla conformità e ragionando per attribuzioni che violano i principi elementari della logica”razionale”. Il fatto è che la sfera della esperienza sociale è tra tutte la più ansiogena per gli esseri umani. E, quella in cui si gioca il legame con gli altri e la accettazione da parte del gruppo, che per una specie come quella umana in cui la sopravvivenza fisica e la nascita psichica dipendono strettamente dalla
interazione positiva con gli altri costituisce una necessità biologica prima ancora che psichica, ed infatti è garantita da meccanismi genetici (almeno in parte). È poi quella in cui si crea ed attraverso cui si mantiene l’identità personale, il senso del sé, e da cui soltanto possiamo trarre alimento per la nostra autostima, essenziale per la sopravvivenza psicologica. Uno dei”difetti” del sistema dell’Io è che quanto più lavora sotto stress tanto più esso tende a irrigidire gli schemi e i pregiudizi che governano il suo operare, nel tentativo di garantirsi una rappresentazione”rassicurante” delle cose. Il successo della esperienza cinematografica sta nel fatto che essa ci fornisce una realtà modellata sulle nostre aspettative, senza rischio, che finisce per gratificare il nostro sé (attraverso il meccanismo del lieto fine, vera e propria invenzione del ’900 come sottolineava molti anni fa Morin). La pubblicità si è appropriata pienamente di questo meccanismo: garantisce il lieto fine, usa l’approccio problema - soluzione o ansia - felicità dando ai processi dell’Ilo quanto essi cercano. Più in generale ogni narrazione (sia quella cinematografica o dei mass media in genere) sia quella del racconto degli altri (il pettegolezzo: figura centrale nella dinamica sociale ed ingiustamente trascurata dalle ricerche) o del racconto di sé (biografia episodica) tende a ritessere la trama del reale in modo tale che rivesta il nostro Sé gratificandone l’immagine e le attese affettive. La psicologia narrativa, un orientamento emergente, si basa proprio sul presupposto che la narrazione, ed in particolare la narrazione del sé, evidenzia nel modo più efficace i processi cognitivi e cognitivi sociali nella loro natura specificamente”umana”. Un altro organizzatore fondamentale del sistema dell’Io strettamente connesso con l’esigenza di regolarità e prevedibilità è il principio di coerenza, quello che in forma meramente logica assume la nota definizione di”principio di non contraddizione”. Questo principio tende a mantenere coerenza tra le rappresentazioni del Sé e le rappresentazioni del mondo degli altri che interagiscono con il sé, e quindi può essere inteso come un vero e proprio guardiano della identità, se per identità intendiamo la sintesi che l’Io fa guardando al sé. Il principio di coerenza ed equilibrio esige che ci sia congruenza tra ciò che pensiamo, ciò che sentiamo e le nostre azioni e quindi ogni volta che si produce dissonanza (cognitiva, quindi percepita) tra queste sfere deve intervenire una giustificazione. Il modo in cui funziona il processo di mantenimento della coerenza attraverso la riduzione della dissonanza ci mostra che questi processi tendono ad essere tanto più autoprotettivi e poco disponibili al cambiamento quanto più questo cambiamento investe sfere profonde, centrali, della nostra autostima e del sistema della identità, mentre siamo assi più disponibili quando si tratta di elementi periferici (e difatti ogni terapia di cambiamento tende a procedere dalla periferia). Mostrano anche che le argomentazioni per ridurre la dissonanza dipendono molto dalla circolazione mediatica e dalla legittimazione sociale, che creano consenso. In sostanza il lavoro dell’Io consiste per questo aspetto nel difendere l’identità dalla crisi, anche a prezzo di gravi deformazioni nella percezione della realtà. Nel sistema dell’Io accanto a dinamiche omeostatiche (che tendono all’equilibrio e resistono al cambiamento) esistono dinamiche antiomeostatiche (che cercano il cambiamento). Questo si traduce in una esigenza di”novità” radicata persino nel suo ritmo cerebrale: se non si ha variazione di tono (promosso da stimoli in entrata) ed eccitamento della formazione reticolare ascendente l’uomo tende a procurarselo (cfr. esperienze di deprivazione sensoriale) oppure accusa disturbi. A livello sociale nella specie umana il bisogno di gioco, novità ed esplorazione sono evidenti: tutti vogliamo conoscere gente nuova, posti nuovi, avere nuove esperienze... la noia è una condizione negativa per la nostra specie. Naturalmente questo accade in condizioni di sicurezza, perché in situazione ansiogena funzionano meglio i meccanismi omeostatici: il che significa anche che chi ha un’identità solida, ricca di autostima, è più esplorativo di chi ne ha una fragile e da difendere continuamente. Oggi però i modelli di cultura da un lato ed i mass media dall’altro consentono un esercizio di esplorazione senza rischio in misura mai prima sperimentata (così come del resto ormai anche Internet, il chatting, il telefono, le vacanze, andare a fare shopping). L’eccitazione è la cifra del muoversi nel gioco della novità, come la sicurezza è la cifra emotiva dell’omeostasi e il sentimento è la cifra della sintesi tra ideale e reale.
La ricerca di novità, di sorpresa e di attivazione (in termini di psicologia del consumatore di”excitement”) è un fatto cognitivo perché intrinseco al modo di lavorare del sistema cognitivo e sorretto da strutture neurologiche (la formazione reti colare ascendente, per es.): l’Io, ha anch’esso dei propri”needs”, e anche questi (come quelli dell’Es freudiano) sono contradditori. L’Io infatti, come abbiamo visto, ha bisogno di regolarità ma anche di violazione della regolarità. Le due dinamiche sono in realtà (come intuì Berlyne) sinergiche. Nella pubblicità hanno più successo gli spot che richiamano (ma senza ricalcarlo letteralmente) schemi noti - evocando situazioni o personaggi filmi ci ben noti per esempio - piuttosto che novità (diversità) assolute. I creatori di nuovi schemi, per esempio Ibsen per la tragedia, raramente conoscono un successo immediato: se sono i successori che creano i precursori, come voleva Borges, sono gli schemi noti che creano la novità. L’esplorazione costituisce dunque un dinamismo ad un tempo istintivo e cognitivo, come lo è del resto l’attaccamento o il linguaggio: la psicologia sembra sempre meglio mettere a fuoco l’interazione tra sistemi fino a qualche anno fa pregiudizialmente separati. Il gioco in particolare (che appartiene dal punto di vista cognitivo alla classe della ricerca di novità e di variazione di schemi) è un fenomeno sia cognitivo (simulazione) che istintivo - emotivo. In particolare la dimensione ludica costituisce una vera e propria sfera di esperienza con leggi sue proprie, e particolarmente sviluppata negli esseri umani: una sfera di esperienza intermedia, una area transizionale (Winnicott) che svolge molteplici funzioni - dalla sostituzione all’esercizio assimilativo - ed è anche una fase evolutiva in cui l’essere umano crea senza ansia schemi nuovi. Tutti i programmi di apprendimento, infatti, hanno”esercizi” simulativi (l’addestramento dei piloti o il training autogeno). Il gioco ha massimamente bisogno di sicurezza affettiva (analitica o interiorizzata nella fiducia di base e nell’autostima: le persone sicure si concedono al gioco con maggiore facilità delle persone insicure, ed è uno spazio massimizzato nella cultura postmoderna, giustamente perché necessario per affrontare realtà mutevoli, veloci, diverse nella loro natura. È anche una dimensione, come sappiamo, fortemente associata al consumo, che per certi versi sta diventando sempre più un”grande gioco”: non a caso non solo i giocattoli ma anche il giocare (vedasi il caso Enalotto) sono divenuti oggetto dI consumo, e il momento ludico è presente in ogni fase del consumo di ciascuna categoria merceologica: sia come possibilità di premio o sconto sia come contesto di ostensione del prodotto sia come valore aggiunto. Il sistema del Sé si riferisce ai processi affettivi e più in generale alle modalità di adattamento cui abbiamo dovuto ricorrere per tutto il tempo in cui il sistema dell’Io non era ancora in grado di operare efficacemente. Il Sé gia c’era prima che l’Io fosse. Il Sé è l’insieme di quei processi affettivi di base che tendono a creare, alimentare e mantenere un legame relazionale con quegli”oggetti affettivi” che rappresentano la garanzia di sopravvivenza biologica prima e psicologica poi. La nostra biologia ha predisposto una serie di segnali e di attivazioni istintive che debbono innescare la relazione di cura parentale che sola dà al neonato rassicurazione ed argine all’angoscia. Questo processo, detto da Bowbly di attaccamento, è la condizione sine qua non di sopravvivenza biologica, ma è anche la culla della genesi psicologica. L’angoscia biologica di separazione è il fantasma che coincide con il non-esserci, e la sopravvivenza psichica dipende dal fatto che questa angoscia non invada il bambino. La relazione avviene, grazie alla attivazione di IRM (meccanismi innati di reazione), attraverso segnali totalmente non verbali. È in questa fase (seguendo la lezione di Erickson) che se tutto va bene si crea nell’essere umano (da qui e per tutto il resto della vita) la”fiducia di base” che costituisce lo zoccolo duro della autostima: è il sedimento della esperienza basica che”c’è qualcuno per cui esistiamo e che ha cura di noi”. Progressivamente si entra nella fase della separazione (attorno alla fine del primo anno di vita) in cui il bambino inizia a differenziarsi dalle figure parentali, a percepire il proprio corpo come diverso da quanto sta intorno, ed a sperimentare parallelamente la possibilità di distanza e separazione (grazie anche alla presenza accresciuta di percezione, memoria, capacità associativa). Questo scatena l’angoscia
di separazione, ancora intollerabile per un essere che non ha ancora altro cui”appoggiarsi” (si parla di funzione anaclitica delle figure - o anche degli oggetti - che ci danno la sicurezza di”esserci” e controllano l’angoscia di distruzione), perché manca ancora di un organizzatore interno (la rappresentazione di sé, l’identità) che funga da appoggio interno in grado di emanare la sensazione di”esserci”. Il bambino letteralmente non solo non sa cavarsela da sé per provvedere alla propria sopravvivenza fisica, ma soprattutto può sapere se c’è e chi è solo attraverso il rispecchiamento da parte degli altri: la sua identità è presente negli altri, in coloro che hanno un Io che categorizza il bambino e gli comunica che lui c’è (perché sono in relazione con te, ti accudisco, ti voglio bene) e che è maschio piuttosto che femmina, vivace piuttosto che tranquillo, bello anziché simpatico, e così per tutti i suoi tratti. Poiché nessuna esperienza per quanto positiva può sedare la angoscia per questa esperienza tutta nuova di separazione (esperienza programmata biologicamente e piena di soddisfazione per il bambino, ma anche massimamente ansiogena nelle sue condizioni), si attivano nel bambino - in assenza di processi di stabilizzazione cognitiva non ancora maturi - dei processi che hanno la funzione di proteggerlo dalla angoscia di separazione. Si tratta di processi diversi che rispondono ad obiettivi diversi. Vi sono processi (già attivi nella fase precedente ma che qui ampliano la loro portata ed assumono un ruolo centrale) che tentano di ripristinare sul piano dell’immaginario e delle fantasie il rapporto fusivo originario che ora non possono più non accorgersi di avere perduto. Si tratta dei processi d’identificazione e di proiezione grazie ai quali il bambino può”portare dentro di sé” le figure parentali e proiettare in loro i propri bisogni (o la risposta ai propri bisogni), realizzando quindi una”vicinanza psicologica” che sostituisce la contiguità fisica. In questo modo si avviano quei processi di interiorizzazione che affiancandosi ai processi di condizionamento e di associazione costituiscono la piattaforma più importante di quel fascio di processi che è la comunicazione umana. L’angoscia di separazione permane comunque intollerabile per il bambino in questa fase, e quando il controllo attraverso identificazione e proiezione non è sufficiente si attivano altri processi destinati a lasciare una traccia duratura nella personalità adulta. Si tratta della necessità di compensare la frustrazione per la separazione quando questa supera la soglia di tolleranza. I processi destinati a questa compensazione sono di tre tipi. Innanzitutto vi è il ricorso alla sfera di esperienza transizionale, cioè alla confusione programmatica tra realtà e fantasia da cui si genera il gioco e la possibilità di sostituire la fantasia alla realtà. Grazie alla debolezza del principio di realtà che solo l’Io adulto consente, il bambino può modificare i confini della realtà frustrante e costruirsi un mondo di fantasia che assecondi l’urgenza dei suoi bisogni. Si tratta di una attività che ha chiaramente carattere simbolico, e quindi la sua attivazione favorisce lo sviluppo delle capacità simboliche che vanno poi a costituire uno dei rivoli attraverso cui sta prendendo forma la capacità di rappresentazione. La scissione tra oggetto buono ed oggetto cattivo illustrata dalla Klein è il secondo tipo di esperienza che innesca conseguenze durature. Il bambino scinde l’oggetto d’amore in una parte”buona” ed in una parte”cattiva”, come se fossero due figure distinte e diverse, e si rapporta con esse in modo diverso, identificandosi con la prima e proiettando sulla seconda le proprie fantasie distruttive e vendicative. Questa necessità di separare le parti”buone” da quelle”cattive” diventa uno schema fondamentale in noi che governa il nostro rapporto con gli altri ma anche con noi stessi, e che è divenuto non a caso un classico della narrativa. Il terzo ordine di esperienze che nasce in questa fase ha a che fare infine con il tentativo di sfuggire alla angoscia di separazione producendo fantasie compensative di controllo, di dominio, di possesso. Quale modo sicuro c’è di evitare il pericolo di essere abbandonato, di vivere l’esperienza della separazione? evidentemente quello di controllare totalmente l’oggetto d’amore, di possederlo e dominarlo completamente. I capricci ed i ricatti del bambino in questa fase tendono ad esercitare questo tipo di controllo, e così le,sue fantasie di possesso, che spesso si trasferiscono (si spostano) su altri oggetti sostitutivi: animali, giocattoli, compagni di giochi.
Se non si danno regolarità e sicurezze a livello della relazione affettiva l’Io non riesce a dipanare tutto il suo potenziale: come se la possibilità di costruire regolarità cognitive fosse in parte legata alla esperienza di regolarità affettive. La sfera di esperienza transizionale e le fantasie cui il Sé ricorre ampiamente per costruirsi un mondo”sopportabile” sono anche la palestra della capacità simbolica, che concorre potentemente a generare la capacità di rappresentazione (assieme ovviamente allo sviluppo neuronale, del linguaggio e dell’apprendimento associativo sotto il massaggio continuo dell’esperienza). Allo stesso modo l’intersezione tra fantasie transizionali e linguaggio consentono la creatività e l’intelligenza emotiva. L’interazione sociale si regge su un intreccio fittissimo di Io e di Sé, come la creatività, il gioco, la narrazione... Gli elementi focali della interazione Io / Sé sono due. a) Il primo è il principio della permanenza: le funzioni psicologiche”successive” non annullano la presenza e il manifestarsi delle modalità psicologiche”precedenti”; ciò significa che l’emergere del sistema dell’Io non annulla la attività delle modalità caratterizzanti il sistema del Sé. Ogni messaggio, ogni segnale che noi riceviamo viene decodificato al livello dell’Io (in base a principi razionali, a confronti mnestici, a inferenze logiche) ma anche al livello del Sé. Esiste in sostanza una doppia decodifica, un doppio registro (la decodifica cognitiva e la lettura simbolica) per ciascuna esperienza. In condizioni di minaccia e di angoscia tendiamo a reagire utilizzando i processi e le modalità del Sé e destrutturando la presa dell’Io. Che le condizioni di stress che generano angoscia o le condizioni di crisi di identità ed autostima generano un irrigidimento dei processi dell’Io e/o il subentrare dei processi del Sé. L’Io intelligente, consapevole e razionale che amiamo rappresentarci per lo psicologo esiste solo in condizioni di particolare favore, protette e sicure. Una possibilità positiva di gestione dell’ansia e della crisi, che tutti conosciamo ed il cui valore come indice di personalità sana non era sfuggito all’osservazione di Freud: si tratta dell’utilizzo di quella famiglia di modalità di funzionamento della personalità che hanno il nome di”sfera di esperienza intermedia” (intendendo intermedia tra realtà e fantasia) o”area transizionale” (intendendo uno stato di fluidità e di permeabilità facilitata tra le modalità dell’Io e quelle del Sé). Le modalità vanno dallo humour (con le sfumature dall’ironia alla comicità al sarcasmo) alla fabulazione. b) Il secondo riguarda il rapporto tra Io e Sé nella costruzione della identità. L’identità è un concetto complesso, che racchiude in sé un insieme di aspetti e di dinamiche: l’identità è infatti (dal punto di vista psicologico) il plesso di una self image, di una self esteem e di una self efficacy coerenti con i feedback che il mirroring degli altri ci dà di noi stessi. La self image è frutto del lavoro cognitivo dell’Io, in quanto è una rappresentazione organizzata che mappa i tratti della propria persona che conciliano la percezione interna e quella esterna. Noi abbiamo accesso al nostro self solo attraverso la rappresentazione che ce ne dà il nostro Io: o attraverso i sintomi (non trasparenti nel loro significato ai nostri occhi) che emergono dal Sé. Allo stesso modo la self efficacy e la self esteem dipendono dalla somma delle autovalutazioni e dalla memoria dei feedback che abbiamo ricevuto nelle nostre prestazioni fatta dall’Io, come una sorta di autogiudizio che l’Io dà del proprio Sé. Ma nella identità confluiscono anche elementi che l’Io può riconoscere ma non gestire. L’identità è una fabbrica in perenne manutenzione ed arrangiamento, anche perché dipende non solo dal lavorìo interno ma anche dai feedback e delle esperienze esterne, soprattutto la relazione con gli altri e il racconto reciproco di sé che costituisce una forma di socializzazione simile allo”spulciamento” reciproco tra le scimmie, assieme al pettegolezzo. Abbiamo quindi un bisogno di continue conferme alla nostra identità, che ha preso il posto delle figure parentali nel darci sicurezza: è al tempo stesso nostra madre e nostro figlio. Perciò siamo fruitori dei media e dei racconti: siamo sempre in cerca di simulazioni, di modelli di identificazione, di giochi di identità che ci consentono di dilatare i confini della coerenza cui la logica dell’Io ci costringe per evitare di doverla ottenere pagando il prezzo della rimozione di aspetti importanti del nostro sé.
L’identità è quindi anche il luogo della ansia anche perché è sempre in balìa degli altri (come da piccoli noi eravamo in balìa delle figure di appoggio). Di fatto la ricerca psicologica, con una strana convergenza tra la deriva freudiana e il più recente contributo della psicologia cognitivista, ha sottolineato che la stabilità, la coerenza ed i contenuti rappresentativi ed autorappresentativi dell’Io non sono un”dato” ma un costrutto cognitivo. In altri termini l’Io si percepisce come coerente e logico solo grazie al fatto che una serie di filtri cognitivi (che agiscono al di sotto della soglia di attenzione consapevole) forniscono una realtà”ordinata” e leggibile ai terminali dell’Io. Quindi la percezione ordinata della realtà non corrisponde ad un dato di fatto ma è una attiva interpretazione effettuata da processi cognitivi di cui l’Io finale (quello autocosciente) non è per nulla consapevole. Il lavoro cognitivo svolto dalla prime fasi di elaborazione dell’informazione (a livello pre attentivo e dunque non consapevole) non. solo tende a proporre ai livelli superiori della coscienza (all’Io, come qui chiamiamo questo focus autocosciente: anche se in realtà anche questo lavoro preconscio appartiene anch’esso all’Io, e quindi in realtà dobbiamo dire che l’autocoscienza costituisce solo una parte dell’Io) non dati ma informazione, ma ha pure una propria dinamica sinergica. Nello svolgere il suo lavoro cognitivo il”filtro” dell’Io tende infatti ad organizzare i dati in informazione in parte - come si è detto sulla base di pattern neurologicamente prefissati ed in parte sintonizzandosi sulle attese, le ipotesi, le abitudini che orientano l’individuo in quel contesto. Questo lavoro cognitivo appare proteso in modo curioso alla ricerca di due diversi risultati: 1) Da un lato cerca la regolarità che consente di rendere prevedibile l’ambiente e di programmare l’azione in modo sicuro; 2) dall’altro, come posto in evidenza da studi etologici prima e dal lavoro di Berlyne dopo, la struttura neurologica abbisogna anche di”bisogni epistemici”, ovvero di novità, di sorpresa e di esplorazione. Esiste, cioè, un bisogno biologicamente garantito di curiosità verso la novità, di cambiamento, di sorpresa. Il filtro cognitivo cerca regolarità ma cerca anche modificazioni: possibilmente variazioni di schemi noti piuttosto che qualcosa di stravolgentemente diverso, verso cui non avremmo alcuna ipotesi preliminare di comprensione. Il lavoro cognitivo teso a produrre senso è strettamente collegato, ad un livello intermedio tra meccanismi preattentivi e livello percettivo cosciente, al linguaggio: il linguaggio supporta e guida il nostro”pensiero” e la nostra rappresentazione del mondo perché unisce aspetti strutturali cognitivi ed aspetti culturali e sociali storici e contestuali. L’Io dunque tenderà ad organizzare le esperienze cercando nei vari contesti sociali di procacciarsi stima, ammirazione ed approvazione: ciò gli è possibile ricevendo conferma alla immagine di sé che si sforza di dare a sé stesso ed agli altri, e quindi lo schema della immagine di sé costituisce lo schema fondamentale che ispira il lavoro dì selezione della informazione e di elaborazione”tendenziosa” protesa a mantenere intatta l’autostima. In ultima analisi questo bisogno di feedback positivo da parte degli altri deriva dalla congiunzione di un bisogno emotivo e da un necessità cognitiva. Un bisogno di attaccamento che necessita una risposta positiva di cura, che nell’età adulta permane sotto forma di necessità di accettazione, una necessità avvertita affettivamente e che rende per noi significativa, emotivamente ricca, la relazione sociale. L’aspetto cognitivo alimenta e conferma la ricerca di relazione. La costruzione di una personalità autonoma e capace di progettualità dipende dalla generazione di un punto di riferimento interno da circa mezzo secolo definito come”identità”. L’identità ruota attorno alla immagine di sé consapevolmente posseduta e riconosciuta dal gruppo di riferimento. Il bisogno della relazione e del gruppo sociale non ha il solo scopo di saturare un bisogno di sicurezza basilare, ma anche quello di alimentare, correggere e confermare l’immagine di sé che sta al cuore della nostra identità personale.
Diventa impossibile cercare relazione (autostima e immagine di sé) senza allo stesso tempo assimilare schemi cognitivi, modelli di comportamento, valori e credenze. Questa assimilazione si basa in larga parte sui processi di imitazione, identificazione, empatia: la relazione è una dimensione estremamente pregna di emotività e poiché ciò che è in gioco è troppo importante per l'individuo il suo successo è protetto da una serie di meccanismi di difesa tra cui i più noti sono forse il pregiudizio e lo stereotipo. La dimensione dell’interazione funge da filtro perché i meccanismi di autoprotezione lasciano pervenire all’Io solo i feedback sociali che non mettono troppo in crisi la autoimmagine di Sé. Assieme alla decodifica razionale, le esperienze assumono sempre per l’uomo anche un significato emotivo, simbolico. Quest’altra decodifica nasce dal rimbalzo delle esperienze sullo strato affettivo primario, che interroga l’esperienza (la realtà e l’interazione) non con la logica dell’efficacia ma con la logica del desiderio, e non con le modalità della razionalità logica ma con quelle dell’immaginario e della fantasticheria. Noi possiamo ritenere inutile una esperienza, o addirittura dannosa (come nel caso del fumo o della droga) ma l’esperienza può egualmente piacerei ed attrarci. Possiamo ritenere non funzionale e non promettente una relazione ma possiamo egualmente non riuscire a sottrarci all’innamoramento. La logica affettiva ha un suo linguaggio, dei suoi percorsi, una sua sintassi e quindi”costruisce” una esperienza di significatività o di non senso che può non essere per nulla in accordo con il versante razionale, agganciato alla realtà. Sopravvivenza e successo sono possibili solo garantendosi la cura e l’amore di chi è intorno ed evitando la percezione di radicale impotenza e dipendenza in cui in realtà viviamo allora. Così i bisogni ed i desideri non sono ancorati alla realtà”esterna” ma piuttosto a quella interna, e gli strumenti di adattamento sono processi come l’identificazione. e la proiezione, la fusività, la confusione realtà e fantasia, la fantasticheria. Il registro inconscio permane al di sotto del registro conscio anche quando questi si afferma e prevale. È il registro inconscio a”colorare” la nostra esperienza ed a pilotare surrettiziamente la ricerca di piacere e di soddisfazione: esso interviene quindi nel dare all’Io cognitivo degli”orientamenti” e delle preferenze. I contenuti del registro inconscio assumono la forma di”vettori del desiderio”. I nuclei di bisogni affettivi sono noti: - si tratta dei bisogni legati alla relazione oggettuale primaria (attaccamento, dipendenza, fusività) e secondaria (possesso, dominio, controllo dell’altro); - dei bisogni legati all’esperienza del proprio corpo e delle sue prime autonomie (trattenere e lasciare andare, potenza, forza, vittoria, superamento della prova, aggressività); - dei bisogni legati a narcisismo secondario (seduzione, esibizione, successo); - dei bisogni connessi all’ambivalenza edipica (tradimento, doppio senso, scambio di ruoli, amore e odio). Anche le modalità psicologiche con cui questi bisogni cercano soddisfazione sono note, e le abbiamo già ricordate, suddivisibili in due categorie: A) i processi di attenuazione del principio di realtà: . la confusione tra realtà e fantasia . i processi di identificazione e proiezione . la confusione tra sé e non sé (tutti questi processi sono per esempio all’opera quando state in una sala, cinematografica e vi emozionate seguendo le vicende del filmato e del suo”eroe”) B) i processi di negazione della realtà emotivamente intollerabile (che frustra i desideri e i bisogni del registro inconscio): . i meccanismi di difesa: rimozione, intellettualizzazione, formazione re attiva, ritualizzazione, sublimazione tra i principali. Questi nuclei di bisogno e queste modalità di funzionamento psichico producono delle”figure retoriche”, definite da Jung archetipi, che svolgono una funzione analoga a quella degli schemi cognitivi
nel registro razionale. Come gli schemi cognitivi organizzano il senso della percezione e della esperienza confrontando dialetticamente gli stimoli sopravvenienti con gli schemi già noti. Tra le figure/archetipi più citati in letteratura possiamo a mò di esempio citare i seguenti: - la figura dell’eroe - il mito del grande distruttore - il mito della doppiezza - il mito della vendetta - il mito della fusività e armonia - il mito del possesso di risorse particolari concesse solo a pochi o solo a me - il ciclo omeostatico Mentre il registro conscio (i processi secondari per Freud, ovviamente secondari in senso cronologico, nel senso cioè che”vengono dopo”, non sono già presenti fin dalle origini) tesse la trama di un controllo delle cose (di un successo nel gruppo, di una acquisizione di competenza) attraverso il confronto con la realtà e l’uso delle categorie della razionalità strumentali, parallelamente il registro inconscio (i processi primari nella dizione di Freud) tessono una diversa trama nella quale il significato dell’esperienza nasce dai bisogni primari, segue i vettori del desiderio, e si articola nelle figure miti che delle storie che l’umanità eternamente si ripete. Questo livello non è però meno incidente nell’orientare l’Io, e costituisce quindi un grande filtro della coscienza finale delle cose: anche perché contiene i bisogni emotivamente basilari che già agivano ben prima che l’Io cognitivo fosse organizzato. È naturale che il registro inconscio si attivi e risenta, insomma interagisca attivamente, soprattutto con la sfera della interazione interpersonale. Ogni volta che si realizza un legame affettivo o anche solo una relazione sociale il registro inconscio opera fortemente accanto e a volte prevaricando il registro conscio. Tutto questo è orientato e”fa senso” entro una determinata cultura, in grado di legare la”macchina di senso” individuale con le necessità sociali più larghe, con le infrastrutture economiche, con le istituzioni. In questo senso possiamo dire che i consumi costituiscono una vera e propria cultura (o se si preferisce una subcultura dominante) che: - connette i percorsi di senso individuali con le necessità economiche; - offre concrete prassi di socializzazione nella comunanza dei luoghi, delle prassi di consumo, e nel possesso di oggetti che creano”appartenenza” allo stesso gruppo; - propone modelli di identificazione che integrano la parte adulta con la parte infantile degli individui; - crea un proprio linguaggio ed un proprio gusto estetico; - prepara alla globalizzazione superando gli ancoraggi localizzati; - crea una agenda setting che riempie il quotidiano di una serie di azioni che danno senso al proprio agire. Allo stesso tempo i modelli offerti dalla cultura dei consumi attenuano in modo inusitato il principio di realtà e solleticano oltre misura il principio del piacere e il narcisismo individuale, rendendo poi difficile il rispetto della norma e il devolvimento alle istituzioni di parte dei nostri desideri: tutto ciò si traduce in una abolizione del valore del sacrificio e in una difficile ricerca della ricomposizione tra necessità sociali ed istituzionali e le esigenze di una personalità ludica e narcisista.
2. CONCLUSIONE Il consumo è un aspetto del nostro modo di esprimere l’identità. Il cambiamento dello stile di consumo corrisponde ad una variazione della nostra identità. Scegliendo prodotti diversi o cambiando marca di prodotti di fatto seguiamo il messaggio culturale che la pubblicità di quel prodotto o servizio propone. La scelta di acquistare un prodotto o servizio ha a che fare con aspetti di gratificazione di bisogni del Sé, più che da scelte”razionali”. Nel consumo si soddisfano richieste di gratificazioni sul
piano ludico, espressivo, culturale. Si esprimono così, acquistando determinati beni e servizi piuttosto che altri, aspetti della nostra personalità. Il consumo ha anche un aspetto relazionale ed espressivo, come il linguaggio, comunica alcuni nostri aspetti culturali e la nostra appartenenza e simpatia per gruppi che condividono le stesse preferenze. Dott. Giuseppe Giunta Psichiatra
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