Architettura e infrastrutture
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Nel progetto delle infrastrutture l’architettura spesso non ha un ruolo determinante e viene aggiunta come qualcosa di non necessario. Tuttavia alcune esperienze costituiscono validi esempi di integrazione fra architettura e progetto infrastrutturale. Il Forum di questo numero, curato da Maurizio Carones, rappresenta un’occasione per interrogarsi sulla situazione in Lombardia, in un momento in cui la questione delle infrastrutture è individuata come una delle priorità della politica di investimenti in Italia. Gli interventi richiesti ci restituiscono lo scenario del rapporto tra architettura ed infrastrutture, attraverso le riflessioni dei rappresentanti di Enti di infrastrutture ferroviarie, stradali, aeroportuali ed il parere di architetti che hanno avuto l’occasione di cimentarsi con questi temi. Ringraziamo pertanto Massimo Caputi, Amministratore delegato della Società Grandi Stazioni, Giuseppe Gambirasio, prof. ordinario di Progettazione architettonica presso lo IUAV di Venezia, Jacopo Gardella, consigliere dell’Ordine degli Architetti di Milano, Marco Gnecchi Ruscone, responsabile della Progettazione Aree Nuove Costruzioni Impianti SEA, Antonio Lombardo, responsabile dell’Ufficio Valutazione Impatto Ambientale del Compartimento ANAS di Milano e Luca Scacchetti architetto, milanese.
L’architettura e le infrastrutture ferroviarie di Massimo Caputi Il ruolo avuto dall’architettura nelle fasi progettuali, che hanno preceduto l’avvio dei lavori di riqualificazione a Roma Termini, ha costituito a mio avviso un esempio importante di integrazione tra intervento infrastrutturale e progettazione architettonica. Questo rapporto si è sviluppato su una sperimentazione che ha prodotto un modello metodologico innovativo dal punto di vista dell’organizzazione della progettazione, adottato anche nelle attuali fasi di pre-cantierizzazione preliminari agli interventi nelle altre grandi stazioni italiane. Il modello consiste nella struttura stessa della progettazione pensata, fin dall’inizio del progetto pilota di Termini SpA, come una struttura interna alla Società, interna alla complessa realtà con la quale il progetto doveva confrontarsi, organizzata ad operare sul campo in modo che vivesse quotidianamente le evoluzioni di questi spazi. Tutto ciò ha richiesto necessariamente un profondo ripensamento delle soluzioni esistenti e l’avvio di una nuova ricerca progettuale in grado di comporre, secondo una logica unitaria, le diverse esigenze spesso contraddittorie e mutevoli che si esprimono all’interno di una grande stazione ferroviaria. Contrariamente a quanto accadeva spesso in precedenza, con il consueto ricorso a professionisti esterni che avanzavano proposte in gran parte inadeguate alle esigenze concrete ed alle economie in gioco, Grandi Stazioni si è costituita come committente “attivo”, forte di una propria cultura del progetto. All’interno della Società, a seguito di una fase di affinamento e di verifica dei programmi di intervento, sono stati redatti i progetti preliminari e definitivi dell’insieme, mentre per la progettazione esecutiva e per lo sviluppo di alcuni progetti settoriali ci siamo avvalsi di società di
ingegneria di alto livello e di consulenti professionali. È stato creato così uno spazio aperto all’apporto di molti progettisti. Nel caso di Termini hanno partecipato al lavoro Pierluigi Cerri, Michele De Lucchi e l’Atelier Mendini per alcuni allestimenti interni, Piero Castiglioni per l’illuminazione e Vignelli Associates per la segnaletica. Si è trattato di un intenso lavoro di progettazione, coordinato dall’architetto Marco Tamino, iniziato nell’agosto ‘97 e che si è protratto fino alla conclusione dei lavori. Sul piano architettonico, un tema in particolare ha rappresentato la vera sfida dei progettisti: mantenere in equilibrio due esigenze apparentemente inconciliabili come il restauro e la trasformazione, la conservazione e l’apertura dei cantieri all’interno di edifici spesso protetti e sotto tutela. Un corretto progetto di ristrutturazione doveva porsi in questa doppia ottica di lettura: ineluttabilità del mutamento e conservazione del carattere originalmente moderno del manufatto. Con questa impostazione il valore fondamentale che doveva essere recuperato era dunque la spazialità del monumento, liberando lo spazio che nel tempo era stato invaso da superfetazioni e ingombri vari e restituendo la percezione di un unico grande ambiente in continuità con l’esterno. Anche il progetto per la stazione Centrale di Milano si ispira a questa impostazione. Gli interventi saranno volti ad eliminare box commerciali e di servizio, le numerose superfetazioni e tutte le installazioni provvisorie divenute definitive con il passare del tempo, compromettendo la leggibilità dell’architettura storica ed ingombrando fisicamente i percorsi e gli spazi. Prende l’avvio un programma che consentirà di ripristinare la qualità architettonica ed i valori spaziali di questo complesso monumentale inaugurato nel 1931 sul progetto di Ulisse Stacchini. Verranno restaurati e posti in luce le parti marmoree ed i rivestimenti lapidei, le pavimentazioni, le decorazioni e gli elementi di arredo originali, affrontando parallelamente il tema della profonda trasformazione delle funzioni, dei servizi, dei sistemi di percorrenza e della messa a norma degli ambienti, che richiedono necessariamente interventi innovativi. L’approccio compositivo adottato, di tipo “minimale”, si limiterà a forme e strutture essenziali, allontanandosi volutamente dalle esibizioni decorative che hanno caratterizzato le sfrenatezze post-moderne di fine secolo. Pochissimi i materiali usati che non si sovrappongono né interferiscono con l’architettura storica. Gli interventi per la riorganizzazione funzionale sono orientati a produrre la massima permeabilità ed apertura del complesso verso il tessuto urbano circostante, eliminando, per quanto possibile, il valore di “barriera” che l’edificio costituisce rispetto ai quartieri circostanti. In questa ottica viene ripensato il sistema dell’accessibilità dalla metropolitana e viene prevista la creazione di una nuova strada pedonale che attraversa la stazione: la galleria delle carrozze, una volta liberata dall’ormai asfissiante presenza delle automobili, tornerà a mostrare la sua straordinaria architettura e diventerà uno spazio pubblico pedonale, che potrà rimettere in diretta connessione gli spazi interni della stazione con la piazza Amedeo d’Aosta. Come dicevo all’inizio, il tema principale era quello di attuare nuove modalità di intervento sul patrimonio di pregio costituito dal-
Milano-Bovisa (foto: Lorenzo Mussi).
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le stazioni ferroviarie, attuando una modernizzazione dei servizi ed il recupero di spazi spesso non funzionali o poco e male utilizzati. Il tema culturale aperto è soprattutto quello dell’armonizzazione degli interventi di tipo conservativo con le esigenze vitali poste dall’evoluzione della realtà contemporanea che è stato necessario interpretare. All’inaugurazione della “nuova Termini” si è parlato di “simbolo della modernizzazione del paese”. L’auspicio è che il processo di trasformazione sul piano gestionale, come sul piano della qualità fisica ed architettonica al quale stiamo lavorando, continui trasformando le grandi stazioni da punti di disfunzione e degrado in luoghi di qualità, poli di innovazione e di sviluppo.
Necessità, bellezza e ordine delle infrastrutture di Giuseppe Gambirasio Nella Enciclopedia dell’Architettura e dell’Urbanistica si legge che “infrastruttura” è un termine usato per indicare gli interventi che l’uomo opera sul territorio a sostegno delle strutture economico-politiche. In senso stretto, il termine sta ad indicare le opere necessarie alla vita di relazione, e cioè il complesso delle linee e dei nodi costituenti il sistema reticolare dei collegamenti, degli scambi. Qui conviene considerare, fra le diverse reti infrastrutturali possibili, quelle destinate alla comunicazione fisica e diretta fra le persone e al trasporto delle merci, come strade, autostrade, ferrovie e reti metropolitane di trasporto collettivo, linee di navigazione, linee aeree, ecc. e le relative stazioni. Le strade moderne sono soprattutto strade di traffico veicolare, in quanto il disegno degli elementi costruttivi (sezioni,
curve, immissioni, svicoli, ecc.) è modellato sul comportamento del flusso di autoveicoli, analizzato in base a leggi di natura idraulica. Di conseguenza sempre meno si è intervenuti ristrutturando ove possibile i tracciati del passato, quasi sempre meglio inseriti nel contesto ambientale, sia sotto l’aspetto morfologico che quello architettonico e funzionale. La loro origine razionale ed equilibrata e la loro genuina essenzialità consentono di farli rivivere come generatori di rinnovate relazioni civili. Forse potremo così recuperare anche quei valori percettivi e simbolici della “strada”, tanto negletti nel recente passato, quanto importanti per riconoscerli parte vitale di una comunità. Ancor meno si è intervenuti sul progetto stradale con l’apporto interdisciplinare: ingegneria, architettura e paesaggio. La strada senza alcun dubbio offre opportunità creative, che possono conferirle valore di opera d’arte. I fattori che conferiscono alla strada i requisiti artistici non derivano da abbellimenti posticci, ma risiedono nella concezione di progetto: scelta del tracciato, disegno degli allineamenti delle sezioni e dei profili, appropriato disegno di ogni dettaglio e manufatto. Il risultato finale deve far apparire la strada come una componente integrale del paesaggio, senza nulla sacrificare dei suoi caratteri distintivi e della sua efficienza. Non sono molti i buoni esempi in Italia (ma anche in Europa) di realizzazioni di infrastrutture per la mobilità frutto di una qualificata collaborazione fra l’architetto e l’ingegnere. Resta, a mio parere, insuperata l’opera teorica (con il noto “decalogo per l’architettura delle strade”) e le concrete realizzazioni dal 1963 al 1983 dell’arch. Rino Tami di Lugano per l’autostrada del Canton Ticino. Credo che qualunque intervento capitasse a qualcuno di fare, questi non potrebbe non cominciare dallo studiare l’esperienza ticinese.
Monza (foto: Lorenzo Mussi).
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È doveroso nel contempo ricordare l’opera recente di due notissimi paesaggisti francesi: Desvigne e Dalnoky. In Lombardia da diversi anni si è formato un clima culturale che ha favorito alcune realizzazioni infrastrutturali in termini di qualità architettonica, a cominciare dall’esperienza condotta molti anni fa dallo Studio BBPR per la Strada Statale 36. Tra le esperienze (tra le poche che io conosco) più recenti (per ora ferme alla fase progettuale) possiamo citare lo studio dell’Autostrada Pedemontana Lombarda nella versione del 198789; lo studio del 1997 di un tratto della Strada Statale 42 tra Albano e Pianico; il progetto del 1990 di un ponte sul Po di oltre 1000 m. tra Groppello e Casei Gerola dell’Autostrada A7; la messa in pristino delle strade provinciali della Val Brembana nella provincia di Bergamo dopo l’alluvione del 1987. Fino a qualche decennio fa, la costruzione stradale era considerata come un settore esclusivamente tecnico dell’ingegneria. Questa versione semplicistica ha causato non poche violenze alla natura ed al paesaggio ed è ora superata da una concezione che alla strada attribuisce non soltanto una funzione utilitaria, ma anche un significato creativo, ottenendo peraltro risultati convenienti sia per la sicurezza che per i costi. Mentre le strade portano in se stesse un principio dinamico, diversamente la Stazioni (di ogni tipo) esprimono un concetto di sosta e di attesa. La “Stazione”, pur quando è posta nel cuore della città, sembra stare al confine tra l’interno e l’esterno della città stessa, così come il ponte levatoio appartiene nello stesso tempo al castello ed alla campagna d’intorno. Essa per la sua natura profonda di porta della città, ne è anche il simbolo. Accoglie fugacemente chi arriva e accompagna chi se ne distacca per un frammento di tempo o più a lungo, per andare vicino o verso mete lontane. La stazione in qualche modo rappresenta “il salone dei ricevimenti” pensato perché qui si incontri, confusi tra la folla, chi vi è appena entrato e chi attende di partire. Tutte le stazioni hanno una piazza antistante, estremo ricordo della città che si lascia e preludio della città che attende chi vi ritorna. La stazione, da qualunque punto di vista si guardi, è un marchingegno di spostamenti fugaci, più lenti, o l’uno e l’altro insieme e chi li pratica si trova frequentemente in uno stato d’animo di leggera insicurezza e cerca di risolvere dei piccoli problemi (non perdere il mezzo di trasporto, munirsi del biglietto, trovare la coincidenza, attendere o viaggiare con qualcuno, ecc.). Vuole dunque un senso di rassicurazione, di facile orientamento, di percezione spaziale profonda e infine di armonia, che soltanto una buona architettura può esprimere. Occorre perciò non perdere mai l’entusiasmo e la possibilità di trasformare l’ambiente in termini di “necessità”, di “bellezza” e di “ordine”, affinché il paesaggio del nostro futuro possa dirsi in qualche misura non solo scrigno delle risorse accumulate dal passato, ma anche rappresentazione della nostra civiltà contemporanea, poiché il paesaggio vivente è quello che incessantemente muta come un organismo.
Architettura, Paesaggio, Infrastrutture di Jacopo Gardella Le infrastrutture possono essere considerate sotto l’aspetto delle loro proprietà architettoniche o del loro inserimento nel paesaggio. I due aspetti sono complementari: una brutta infrastruttura rovina un bel paesaggio; ma un brutto paesaggio viene migliorato da una bella infrastruttura. La consapevolezza di questa complementarità ancora oggi non si può
dire acquisita: le infrastrutture non sono concepite né come opere di architettura né come elementi del paesaggio. La complessa rete di infrastrutture che collega edifici residenziali, luoghi di lavoro e di ricreazione non è ancora diventata oggetto di attenzione estetica. Dice Marcel Smets, sul numero 110 della rivista “Lotus”: “il sistema viario del territorio è concepito come entità sovrana, governata da una logica sua propria e nettamente separata da ciò che le sta intorno”. Ciò non appare strano in un’epoca come la nostra, dominata da una visione utilitarista dello sviluppo. Un esempio di tale visione si riscontra ad Ascoli Piceno, dove la nuova tangenziale taglia brutalmente il pendio, coltivato con cura, che si eleva di fronte alla storica cittadina. È raro che il progetto del tracciato di una infrastruttura tenga in considerazione il modo per poter ammirare visuali panoramiche di particolare bellezza, per evitare tratti di eccessiva monotonia o per salvaguardare una campagna incontaminata. Spesso le infrastrutture sono il risultato di scelte strategiche sbagliate. Ne è un esempio l’enorme incremento del trasporto su strada, dal quale il paesaggio subisce guasti molto più pesanti di quelli causati dal trasporto su rotaia. Un altro esempio è la rinuncia al grandioso progetto di canale navigabile che avrebbe dovuto attraversare l’intera pianura padana, migliorando sensibilmente l’intero sistema dei trasporti pesanti nell’Italia settentrionale. Un maggior numero di vie d’acqua e di vie ferrate avrebbe evitato l’attuale saturazione delle vie su gomma. Anche nelle minori infrastrutture di ambito locale sono stati commessi errori: a Milano la copertura dei Navigli, voluta per aumentare la capienza della sede stradale, si è rivelata un doppio grave errore urbanistico a danno del paesaggio; così come demolizione dei bastioni, detti anche mura spagnole, che offrivano, lungo tutto il perimetro urbano, un percorso anulare sopraelevato e interamente svincolato dalla restante rete stradale. La loro conservazione sarebbe stata di enorme sollievo per il traffico della metropoli lombarda, perché le arterie radiali avrebbero collegato peri-
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feria e centro città senza mai incrociare i concentrici percorsi anulari. Questi errori sono stati ripetuti anche in altre metropoli europee: a Bruxelles, nella prospettiva di facilitare il traffico urbano, le mura ed il soprastante viale alberato presenti fino al dopoguerra, sono stati drasticamente abbattuti e sostituiti da una imponente arteria di circonvallazione, anziché prevedere una linea metropolitana interrata. Un esempio minore, ma significativo, di infrastruttura nata da valutazioni strategiche sbagliate, è la recente strada carrozzabile che collega la cittadina di Chiavenna, in Valtellina, con la soprastante frazione posta sul pendio della montagna. Quest’opera non solo ha richiesto costi molto elevati, ma ha anche provocato un visibile guasto all’intatto paesaggio alpino: costo e danni sarebbero stati evitati se in luogo delle strade si fosse installata una funicolare pubblica a comando automatico. Un esempio di infrastruttura nata da una scelta strategica giusta, ma progettata con incompetenza, è la superstrada MilanoLecco: il più grave errore è la mancanza di un collegamento diretto tra arteria veloce extra-urbana e rete stradale urbana, con la formazione di interminabili code all’ingresso della città. Esistono tuttavia infrastrutture viarie, abitualmente concepite sotto il solo aspetto tecnico e funzionale, alle quali vanno riconosciuti indiscutibili pregi per le loro qualità esteiche: nel tratto di autostrada svizzera tra Chiasso e Lugano gli imbocchi delle numerose gallerie presentano un attento disegno architettonico, assumendo la forma di grandiosi portali in cemento armato di forma energica. In Italia nel tratto appenninico dell’autostrada del Sole i viadotti costruiti sul versante emiliano, lungo le aride pietraie del fondovalle, contrappongono la razionalità della loro struttura alla desolata povertà del paesaggio, introducendo una componente estetica nel quadro disabitato dei monti. Chi ricorda come appariva la veduta aerea di Sestriere prima della guerra non avrà dimenticato le sagome cilindriche dei due alberghi a torre che, ergendosi isolati sullo spartiacque del valico tra gli impianti di salita, formavano un sorprendente disegno geometrico nel-
l’ampio paesaggio alpino. Distrutto dall’edificazione incontrollata del dopoguerra, il colle del Sestriere è diventato oggi un caotico agglomerato di condomìni, ville, palazzi, che nulla lascia più indovinare del geniale disegno originario. L’incontrollato sviluppo edilizio delle stazioni alpine ha causato guasti irrimediabili non solo in Italia, ma anche nella vicina Svizzera. In Engadina gli impianti sportivi di sollevamento sono stati costruiti senza nessun riguardo per le bellezze della montagna e nessun interesse per la qualità della loro architettura: le stazioni di partenza e di arrivo hanno l’aspetto di goffi cassoni che si inseriscono brutalmente nello straordinario paesaggio circostante. Mentre le opere di pura ingegneria hanno una loro razionalità essenziale che non disturba il panorama alpino, le opere che implicano un impegno architettonico si presentano come strutture scadenti. Eppure in passato si dava prova di grande sensibilità estetica nella costruzione delle infrastrutture, se pur di dimensione più modesta. È il caso delle eleganti stazioni in stile floreale della pittoresca ferrovia che percorreva la Val Ganna in provincia di Varese, o delle fermate di partenza e di arrivo della ripida funicolare che saliva a Campo dei Fiori. In Italia ed in Europa, all’inizio del XX secolo, si hanno esempi illuminanti sia dell’impegno architettonico dedicato alle opere di uso pubblico, sia del generale rispetto nei confronti della natura: le amministrazioni di Vienna e di Parigi, consapevoli dell’importanza estetica dovuta ai servizi civici, affidavano ai migliori architetti del momento il progetto delle loro stazioni metropolitane. L’incapacità di salvaguardare il delicato equilibrio di architettura e di natura fa la sua deludente comparsa anche in un paese come la Gran Bretagna che aveva fama di essere un sensibile cultore delle bellezze naturali. Il complesso monumentale di Greenwich, alla periferia sud-est di Londra, si affaccia su un ampio prato degradante verso l’acqua del fiume Tamigi, al di là del quale la folta cortina di alberi secolari, che si stagliavano contro la diffusa luminosità del cielo, è oggi coperta da una fitta barriera di moderni grattacieli.
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Caratteri tipologici delle aerostazioni di Marco Gnecchi Ruscone È diffuso l’uso del termine “aeroporto” per indicare l’edificio che, tra quelli che insistono sul sedime aeroportuale, solitamente è il più conosciuto da parte degli utenti, vale a dire l’aerostazione passeggeri che costituisce la struttura emblematica e più rappresentativa. L’aerostazione è comunque l’edificio attraverso il quale ci si muove da un sistema di trasporto, stradale o ferroviario, a quello aereo. In origine, agli albori del trasporto aereo di linea, le aerostazioni avevano una dimensione equiparabile, come sensazione, a ciò che rappresentavano le prime stazioni ferroviarie o marittime: passare attraverso di esse costituiva un’esperienza umanamente esaltante e piacevole. Esisteva, nelle stazioni ferroviarie, una sequenza chiaramente definita: arrivo, acquisto dei biglietti, entrata ad una galleria, quindi la grande copertura (parzialmente riempita di fumo e vapore che dava un pathos di mistero alla transizione), acquisto dei generi per il viaggio ed infine la salita in carrozza. La progressione all’imbarco di una grossa nave di linea all’atto della partenza era più enfatica e spesso l’arrivo ancor più emozionante. Così è stato un tempo anche per le aerostazioni: luoghi di attesa, d’imbarco e di sbarco di una categoria di passeggeri quasi elitaria. L’esponenziale aumento del traffico in questo settore ha determinato in breve tempo una trasformazione di tutte le strutture aeroportuali, e fra queste delle aerostazioni, molto più rilevante rispetto alle strutture degli altri sistemi di trasporto. Le aerostazioni originarie si sono sviluppate per fasi successive, per ampliamenti a macchia d’olio, tanto che si è persa la percezione del nucleo originario sparito sotto le coltri di grandi estensioni di pavimenti, controsoffitti, rivestimenti che unificano gli spazi interni e di courtain-wall spersonalizzanti che unificano in un grande contenitore la frammentarietà dei cor-
Due vedute di Lissone (foto: Lorenzo Mussi).
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La baia di San Francisco, in epoca anteriore alla nascita della città e alla costruzione del celebre ponte sospeso, si presentava come un angolo di mare desolato: oggi i vertiginosi grattacieli della metropoli e la gigantesca struttura del ponte hanno trasformato radicalmente il luogo, rendendolo un esempio di geniale integrazione fra natura e architettura. Viene discusso in questi giorni un ambizioso programma governativo che prevede la costruzione di un enorme ponte sullo stretto di Messina: opera di impegno tecnico ingente e di costo elevatissimo, ma di discutibile urgenza e di scarsa utilità. Non occorre grande esperienza per avvertire che un efficiente servizio di aliscafi e ferry-boats assicurerebbe adeguati collegamenti tra continente ed isola. Si è proprio sicuri che lo sviluppo economico e produttivo della Sicilia dipenda dalla costruzione del ponte? Quest’opera presenta una preoccupante incognita, dovuta alla sua inconsueta lunghezza e alle forti oscillazioni provocate dalla spinta dei venti ed inoltre offende sia la tradizione che la geografia del luogo. Su un noto quotidiano milanese il critico Sandro Veronesi ha fatto recentemente notare come lo sviluppo senza limiti è diventato una angosciante ossessione della nostra epoca, i cui esiti possono essere letali, essendo letali i potentissimi strumenti di cui la nostra epoca dispone. Se l’uomo non ha la forza di riflettere sulle scelte strategiche che condizioneranno il suo futuro, andrà incontro ad un destino tragico; non solo esaurirà le risorse della natura che lo ha ospitato e protetto, distruggerà anche le testimonianze della cultura che lo ha nutrito ed educato.
pi di fabbrica aggiunti nel tempo. Molti aeroporti, nati secondo schemi semplici ed eleganti, si sono accresciuti in modo tale da perdere la chiarezza iniziale. A questa categoria appartengono gli aeroporti di vecchia generazione che hanno dovuto reggere il passo con l’evoluzione e la massificazione del trasporto aereo. È stata tuttavia emblematica, negli anni ’80, la determinazione di Aldo Rossi di conferire con ammirevole risultato, un carattere unitario ed una tipicità di immediata lettura all’aerostazione di Milano-Linate in espansione, con un’immagine forte del prospetto “lato-aria”. Si tratta della prima comunicazione architettonica di Milano per quanti nella città di Milano si dirigono. La storia della città è comunicata in questo progetto architettonico, mediante le sue antiche qualità an-
tà e della moderna tecnologia e che sia in grado di trasmettere a chi vi transita le sensazioni che hanno le radici antiche del tempo in cui gli uomini celebravano i riti del viaggiare.
che materiche. La realizzazione esprime coerentemente un’architettura unitaria all’interno delle diversificazioni funzionali e dei limiti di altezza imposti agli edifici dalle normative. Elemento essenziale è il grande portale centrale formato da alcuni elementi significativi della storia dell’architettura. La grande vetrata è anch’essa un’architettura compiuta, opposta cioè all’anonimo courtain-wall incapace ormai di contribuire alla costruzione di un’architettura di elevata qualità. Oggi, una nuova generazione di aeroporti sta iniziando a prendere forma. Un esempio: Stansted. Non sorprende che il progettista, Norman Foster, amante del volo e delle idee semplici ed essenziali, sembra voler accantonare l’idea di intraprendere nuove soluzioni di approccio al volo. Sembra infatti che Foster voglia perpetuare la tradizione vittoriana dell’architettura dei luoghi del viaggio. Il superfluo in cui spesso i viaggiatori devono immergersi, bombardati da musica ed annunci assordanti in modo tale da renderli facili prede di fast-food o di supermarkets duty free, qui sembra appena tollerato. Al superfluo è riservato un proprio spazio definito e ben sottoposto al controllo architettonico dell’acciaio. La sua realizzazione è basata su due concetti chiave. Il limite tra terra e aria deve essere chiaramente delineato, gradevole e dignitoso. In secondo luogo l’evento “drammatico” del viaggio aereo deve essere celebrato. Così come Stansted anche Kansai di Renzo Piano, Marsiglia, il terminal 5 di Heathrow di Richard Rogers, offrono una progressione umanamente sensibile, sono flessibilmente estensibili senza dissoluzioni caotiche e sono luoghi godibili nella loro essenza e non spazi astratti alimentati da ingressi e svuotati da canali di uscita. All’inizio del nuovo millennio le aerostazioni assumono i caratteri di edifici con tipologia propria. Una tipologia che possiede una struttura razionale e organizzata dagli ingranaggi delle funzionali-
neralmente ne trascura la sua qualità formale. Nell’ambito delle opere stradali la ricerca progettuale è impostata unicamente su problematiche di tipo strutturale, affidate all’esclusiva competenza dell’ingegnere, sebbene la rilevanza di tale genere d’infrastrutture richieda il coinvolgimento dell’architetto e degli esperti preposti alle diverse discipline. Ciò, purtroppo, determina esiti assai scontati e monotoni, che spesso scadono nell’errata concezione anche sotto l’aspetto della regolarità geometrico-costruttiva.Quest’innaturale separazione dei ruoli ha ormai stravolto l’etica progettuale, storicamente basata sulla sapiente e magistrale coniugazione della statica con l’estetica, da cui ne consegue che la pratica professionale dell’ingegnere e quella dell’architetto tendono a discostarsi dalle rispettive materie fondamentali, dando luogo ad una sterilità creativa che produce sempre meno ingegneria e sempre meno architettura.
Statica ed estetica nelle opere stradali di Antonio Lombardo Nel progetto di infrastrutture l’architettura non ha un ruolo determinante Solitamente nel nostro paese il concetto di infrastruttura s’identifica con l’opera realizzata da un ente pubblico attraverso un articolato percorso decisionale, che ne definisce soluzioni tecniche, costi e modalità esecutive, ma che ge-
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L’architettura viene considerata come qualcosa di non necessario Diversamente che dal resto d’Europa l’architettura, nei diversi campi, quali edilizia residenziale, industriale o infrastrutturale, è considerata un inutile orpello di cui poterne fare anche a meno. I manufatti stradali vengono ideati secondo parametri trasportistici, senza però considerare la loro potenziale multifunzionalità e senza una ponderata valutazione sulla percettibilità dei loro effetti. I componenti di un plesso viario, così contraddistinti: • corpo viabilistico (rilevato-trincea); • viadotto; • galleria (imbocchi-parte interna); • ponti; • intersezioni e svincoli; • rotatorie; • annessi (piazzole aree di sosta);
contrariamente a quanto ritenuto, potrebbero assolvere altri compiti oltre a quello primario preposto all’uso del veicolo, ed essere adibiti ad usi versatili, ad esempio: arredo urbano, intermodalità, fruibilità pedonale, usi plurimi con altri servizi tecnologici, integrazione con altre funzioni insediative. Ciò rappresenterebbe un’ulteriore premessa per un prezioso contributo da parte dell’architetto, chiamato alla ricerca di idonee soluzioni in termini d’utilità e configurazione compositiva.
Lissone e, nella pagina a fianco, IKEA-Carugate (foto: Lorenzo Mussi).
Alcune esperienze costituiscono validi esempi di integrazione fra architettura e progetto infrastrutturale Nell’attualità internazionale il linguaggio moderno dell’architettura si è evoluto, elaborando canoni formali mutuati dalla cultura scien-
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tifica ed applicando soluzioni tecnologiche offerte dall’alta disponibilità di nuovi materiali. Nel campo delle costruzioni stradali un eclatante esempio è rappresentato dai ponti progettati da Santiago Calatrava Valls e, sempre nel quadro della rinascita che sta caratterizzando i paesi iberici, spicca dignitosamente il complesso Guggenheim Museum a Bilbao di Frank Gehry, dove la trascendente fantasmagoria del museo viene inglobata nella razionale struttura del ponte-viadotto, producendo una suggestiva simbiosi tra ingegneria e architettura. Invece per quanto concerne il recente passato assistiamo alle ardite realizzazioni dei ponti svizzeri di Robert Maillart, dove la struttura assume declinazioni armonicamente ritmate al motivo del paesaggio, secondo una cultura ed una sensibilità locale che ritroviamo nelle opere dell’autostrada N2 Chiasso S.Gottardo del ticinese Rino Tami. In Italia il connubio tra architettura e infrastruttura, tramandatoci dalla genialità di Antonio Sant’Elia, viene riproposto con un linguaggio singolare da Sergio Musmeci nel ponte sul Basento, senza però tuttavia essere successivamente mantenuto.
teressanti progettazioni di ponti, conferite rispettivamente dalle amministrazioni di Venezia, Cosenza, Fiuggi, Pistoia e Modena, ad architetti validissimi tra cui il citato Calatrava. Ciò rappresenta un’inversione di tendenza, e dimostrerebbe una certa volontà di progresso e di avvicinamento alle altre società moderne ed industrializzate, dove, già da qualche tempo, lo sviluppo dei sistemi infrastrutturali si caratterizza per l’alta efficienza e l’elevata qualità, grazie ad una politica di programmazione che si avvale dell’inventiva capacità di personale tecnico competente al quale affidare lo svolgimento dell’attività progettuale rivolta prevalentemente al soddisfacimento dei veri fabbisogni umani e della convenienza collettiva, secondo criteri di miglior godibilità funzionale e visiva.
La situazione in Lombardia, in un momento in cui la questione delle infrastrutture è individuata come una delle priorità della politica degli investimenti in Italia A fronte dei programmi di intervento finalizzati all’estensione della viabilità speciale costituita da nuove superstrade ed autostrade, in corso di progettazione, purtroppo non sono state impartite direttive diverse da quelle usuali in materia di dimensionamento e di scelta di tracciato. Sicché allo stato dell’arte, la nuova rete viaria verrà realizzata, per quanto è dato a sapere, sulla scorta di progetti redatti da un numero ristretto di autori designati da una committenza non particolarmente attenta ai contenuti concettuali e morfologici delle soluzioni da adottare. Nelle altre regioni invece sono in corso in-
Il profondo scollamento che l’Italia ha vissuto e vive ancora tra ricerca, qualità architettonica e trasformazioni del paese reale è ancor più evidente se si concentra l’attenzione sulle grandi e piccole infrastrutture pubbliche e sulla loro generale mancanza di qualità progettuale ed architettonica. Possiamo sostanzialmente affermare l’inesistenza di ogni rapporto tra i due termini e, se si escludono alcune eccezioni come le opere di Morandi, di Nervi e pochi altri o alcuni recenti recuperi nei settori aereoportuali e ferroviari, il paese ha mostrato sempre una grande indifferenza ad ogni tentativo di conciliare il progetto inteso come previsione qualitativa e la dotazione infrastrutturale. Il recente e fondamentale interessamento governativo su di un necessario recupero dell’arretratezza infrastrutturale italia-
Composizione e costruzione delle opere infrastrutturali: due sfere ancora lontane di Luca Scacchetti
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na non sembra modificare tale generale tendenza, demandando alle imprese ogni ruolo: dal progetto alla realizzazione. E l’indignazione di noi tutti, ben rappresentata dalle parole di Raffaele Sirica (Presidente del Consiglio Nazionale degli Architetti), “assolutamente indispensabile è inoltre riaffermare la separatezza tra chi progetta e chi realizza l’opera”, sembra non trovare la giusta risonanza. Almeno per ora. Esistono quindi probabilmente motivi profondi e diversi per questo scollamento, motivi sia etici che di tipo culturale. Essi sono da ritrovare sicuramente nella mala gestione politica della cosa pubblica e del territorio dal dopoguerra ad oggi, ma sono anche insiti nella figura dell’architetto italiano e nelle sue deformazioni contemporanee. Rimandando ad altri l’approfondimento delle questioni relative al rapporto pubblico-gestionale degli appalti, alla Merloni, specchio nelle sue differenti versioni di una sfiducia tra le parti e dei recenti apparati legislativi del “pacchetto infrastrutture”, vorrei avanzare alcune considerazioni su quell’aspetto di cui nessuno parla che riguarda viceversa le deficienze e mancanze o, forse, vere e proprie colpe di noi architetti rispetto al mestiere e al paese reale. Il tema delle infrastrutture illumina in qualche modo il nostro lato oscuro; esse, potremmo dire, contengono rispetto ad altri manufatti edilizi, in modo più evidente, due componenti fondamentali e caratterizzanti che interagiscono con la sostanza del nostro lavoro di progettisti e coincidono con le carenze stesse dell’attuale architettura italiana. La tecnica, ovvero tutto ciò che riguarda l’apparato tecnicocostruttivo, nel tema infrastrutturale si ingigantisce e, all’interno di una mentalità dell’emergenza consolidata a regola come quella italiana, diviene tema stesso e pratica esaustiva, relegando ogni aspetto compositivo, progettuale, estetico e
ambientale come questione salottiera e non pertinente. Una partecipazione degli architetti, reale e capace di incidere sulla definizione progettuale delle infrastrutture, dovrebbe quindi usare il “grimaldello” della tecnica per poter scardinare la resistenza/diffidenza esistente verso ogni progettualità architettonica. Ma è proprio per la sua particolarissima scissione tra composizione e costruzione che la cultura architettonica contemporanea italiana mostra il fianco e tutte le sue debolezze, la sua sostanziale astrazione “letteraria”. La separazione tra composizione e costruzione, già anticipata da Argan in Progetto e Destino, segna la cultura architettonica italiana del dopoguerra. Positivamente per lo sforzo concesso all’elaborazione teorica e compositiva, ma disastrosamente per la perdita progressiva di un rapporto con la reale attività edilizia, con il fare, relegando i progetti degli architetti ad un destino di inutilità, nel migliore dei casi, negli archivi e nei cassetti di amministrazioni e ministeri. Il progetto del manufatto statico, impiantistico, tecnologico, costruttivo e funzionale non riguarda in Italia l’architetto, è ad esso sottratto sia poiché è per lui “indecente” occuparsene, sia perché troppo magro è il credito delle imprese verso la nostra professione. Tutto scivola nelle mani di engineering, lasciando all’architettura il rango di una cosmesi vincolata e subordinata da scelte altrimenti svolte, schiacciate da problemi gestionali, da costi e da tecnologie, vere e presunte, che il più delle volte rendono quella cosmesi un decadente “mascherone”. “Eppure nulla fa così bene alle opere di architettura quanto la costrizione del loro divenire forma costruita” (A. R. Burelli), ma bisogna essere capaci di accettare e di guidare la costrizione all’interno del progetto. Viceversa la rinuncia snobbistica, perpetuata ed ampliata nelle università, ha finito per definire l’architetto come la figura
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Lissone (foto: Lorenzo Mussi).
più ingombrante e più di intralcio nella realizzazione di un’opera infrastrutturale, ove le problematiche costruttive, funzionali e di appalto si ingigantiscono lasciando poco spazio alle perdite di tempo con chi non è “preparato”. Alle infrastrutture è possibile riconoscere, oltre questa “prevalenza della tecnica”, un’altra vocazione che al di là del nostro accettarla o meno è assolutamente veritiera. “Quelle forme non sono certamente nate con il proposito di intonarsi al paesaggio, assecondandone o ripetendone le masse e le linee, ma divengono immediatamente e spontaneamente paesistiche non appena si inseriscono nella realtà”, scriveva ancora Argan. Esiste cioè una sorta di realismo e di verità insita nelle grandi infrastrutture tanto da renderle, pur nella loro spinta ingegnerizzazione, elementi propri e non in disaccordo con il paesaggio. Basti pensare ad una diga o alle centrali elettriche montane, è ben difficile, se non da chi è ormai cieco per dogmatismo, sostenere che deturpino il paesaggio. Io credo che questa assonanza naturale dipenda dal loro grado di necessità e dalle loro verità costruttive. Sono elementi che trasformano la terra in una “terra degli uomini”, senza altre pretese. Non pretendono cioè di affermare posizioni intellettuali, di scuola o di stile o personali, ma solo di essere opere necessarie al miglioramento della nostra vita e, in questo senso, sono grandi opere collettive e di tutti. La loro bellezza, pensate ai viadotti, dipende da ciò, dalla loro utilità. Ed anche qui gran parte degli architetti italiani si trovano sul fronte opposto: l’individualismo, il personalismo e la necessità noiosissima di affermare sempre la propria opera, di apparire e farsi riconoscere, caratterizza il panorama architettonico italiano, distanziando ancor più i progettisti delle grandi infrastrutture, dalla costruzione e dal senso stesso del nostro mestiere.
Il dibattito sulla stampa
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La questione della progettazione di grandi opere ed infrastrutture è stata trattata negli ultimi tempi da giornalisti e rappresentanti di istituzioni in una serie di articoli pubblicati sul “Corriere della Sera”, permettendoci di ricostruire un dibattito sul tema. In un articolo del 18 gennaio 2002, dal titolo Grandi opere. Piccoli dubbi, Francesco Giavazzi scrive: “Il governo, a fine dicembre, ha rispettato una delle promesse tante volte ripetute durante la campagna elettorale: dare nuovo impulso alla costruzione di strade, ponti, trafori, acquedotti e ferrovie. La realizzazione di queste grandi opere è resa possibile da due nuove leggi: la legge-delega sulle infrastrutture e un apposito provvedimento collegato alla legge Finanziaria. Tuttavia, se non verranno corrette, queste norme rischiano di far lievitare i costi delle opere e di riportare negli appalti pubblici sistemi e procedure poco trasparenti che furono all’origine delle indagini di Tangentopoli. Questi pericoli nascono dalla scelta di affidare a un’unica impresa (il ‘contraente generale’) la progettazione, il finanziamento e l’esecuzione delle opere, non escludendo che alla medesima impresa ne possa in seguito essere affidata anche la gestione. Si elimina così la contrapposizione tra ruoli professionali diversi che, in una materia delicata come gli appalti pubblici, è essenziale per la trasparenza e il controllo dei costi (…) La scomposizione di un’opera in fasi distinte (progetto esecutivo, costruzione, finanziamento, gestione) e l’assegnazione tramite asta di ciascuna singola operazione, consente di ridurre i costi perché i prezzi, negoziati separatamente, diventano trasparenti (...) I rischi potrebbero essere limitati qualora vi fosse una forte concorrenza (…). Si potrebbe aprire una concorrenza internazionale, ma (…) nonostante gli sforzi meritevoli della Commissione Europea, gli appalti pubblici restano un’attività fortemente protetta. Il 27 novembre scorso la Corte di giustizia ha condannato il governo italiano perché le nostre norme in questa materia prevedono l’esclusione automatica delle offerte considerate troppo basse, senza neppure consentire alle imprese escluse di spiegare perché ritengono di poter far risparmiare tanti denari allo Stato”. La risposta a questo intervento non si fa attendere e il giorno 21 gennaio, in un articolo dal titolo Grandi opere dopo tanti grandi ritardi, il ministro delle Infrastrutture Pietro Lunardi risponde: “Un chiarimento è necessario (…). Va detto subito che non può addebitarsi al sistema del general contractor la nascita di Tangentopoli, perché tale sistema in Italia non è stato mai organicamente disciplinato come
ci accingiamo a fare con la recente ‘legge obiettivo’ (...) In merito poi al rischio che affidando a un unico soggetto progettazione, finanziamento ed esecuzione delle opere venga meno la trasparenza, perché scompare la contrapposizione dei ruoli, è bene ricordare che proprio la contrapposizione dei ruoli ha creato finora solo una gratuita dialettica delle parti e un contenzioso insanabile che ha provocato nell’ultimo decennio un risultato drammatico nel processo di infrastrutturazione del Paese (...) Che il ricorso poi al contraente generale, come Giavazzi precisa nell’articolo, sia una pratica tipica dei Paesi emergenti, non risponde assolutamente al vero (…) Il ricorso al general contractor infatti non è legato al committente ma a complessità e dimensione dell’intervento che impone il ricorso a un soggetto responsabile unico. Inoltre il modello del general contractor è previsto dalle direttive dell’Unione Europea (…) A garanzia del mantenimento dei tempi e dei costi il general contractor presta una speciale garanzia, il cosiddetto performance bond. Sui dubbi sollevati in merito a una corretta procedura concorrenziale su scala internazionale e su possibili elusioni delle direttive europee, la legge delega sulle infrastrutture impone la scelta del general contractor con gara pubblica internazionale. I ribassi elevati che Giavazzi porta come esempio di elusione delle norme comunitarie sono una delle piaghe tipiche del mondo delle costruzioni”. Sullo stesso quotidiano Francesco Giavazzi replica: “I benefici di affidarsi a un contraente generale, illustrati dal ministro Lunardi, sono evidenti, soprattutto se egli è disposto a riconoscere che l’amministrazione di cui è responsabile è incapace di fare il coordinamento delle opere. Il ministro tuttavia trascura i rischi insiti nel rapporto tra un’amministrazione debole e un contraente generale forte. Negli Stati Uniti questi rischi sono mitigati da una cauzione (completion bond) che dà al committente una garanzia piena sui tempi e i costi dell’opera, ben diverso dal performance bond previsto dalla ‘legge obiettivo’, che copre solo il 20% dell’opera. I dubbi che ho manifestato nascono proprio dalla preoccupazione per la posizione asimmetrica che si crea tra lo Stato committente e i general contractor, tutta a favore di questi. Infine, anche se fosse opportuno affidarsi ad un unico soggetto per la realizzazione di un’opera, non necessariamente al medesimo soggetto si deve anche chiedere di finanziarla. Lo farà, ma a un costo superiore rispetto a quello al quale potrebbe finanziarla lo Stato”.
Il giorno 23 gennaio Giuseppe Zamberletti, presidente Igi (Istituto grandi infrastrutture) riapre il dibattito scrivendo: “Concordo con il prof. Giavazzi sulla necessità di usufruire, anche in Italia, di uno strumento di riequilibrio come performance bond. Aggiungo però che tale strumento è stato già introdotto nella cosiddetta ‘legge Merloni’ (art. 30, comma 7 bis) grazie all’azione propositiva dell’Igi portata avanti fin dal 1994. In questi anni abbiamo dovuto constatare che la norma, purtroppo limitata ad opere di grandi dimensioni, non è mai diventata operativa perché è mancato il regolamento attuativo. Diversamente da quanto afferma il prof. Giavazzi, nella legge-obiettivo non si prevede una cauzione del 20%, ma al contrario, vi è un’espressa delega a stabilire adeguate garanzie, che nello schema di decreto legislativo, predisposto dal ministero, si sostanziano appunto nel performance bond (o garanzia globale di esecuzione) in un meccanismo che appare essere proprio quello auspicato dal prof. Giavazzi, perché prevede l’intervento del garante (banca o compagnia di assicurazione) che porta a termine l’intervento, nei tempi e nei costi pattuiti, nel caso di adempimento del contraente generale. È chiaro che la ‘garanzia di esecuzione’ è tanto più efficace quanto più il ‘garantito’ è titolare sia della responsabilità di redazione del progetto esecutivo che della realizzazione dell’opera (...) Quanto al finanziamento dell’opera, o meglio al ‘prefinanziamento’ (perché il contraente generale non recupera l’investimento, come il concessionario, mediante la gestione dell’opera stessa) Giavazzi sostiene e a ragione che questo si farà ad un costo superiore a quello al quale potrebbe finanziarla lo Stato (...) Ma il contraente generale sarebbe in ogni caso vincolato a tempi e costi contenuti per non sopportare direttamente oneri aggiuntivi e questo può tradursi a conti fatti in un vantaggio economico significativo per il committente (...) Il combinato della garanzia di esecuzione e del general contractor può offrire alla stazioni appaltanti pubbliche e private, nella realizzazione di opere pubbliche, percorsi decisamente più celeri e sicuri”. È Claudio De Albertis, presidente dell’ANCE (Associazione nazionale costruttori edili), a concludere questo dibattito il giorno 31 gennaio affermando: ”Abbiamo da sempre sostenuto la necessità di una forte azione di governo per rilanciare l’infrastrutturazione del Paese e accolto con estremo interesse il programma varato con la legge ‘obiettivo’. Nonostante i dubbi sollevati da Francesco Giavazzi, questo provvedimento prevede significative accelerazioni e semplificazioni nel processo autorizzativo. Ma perché sia in grado (…) di colmare il ritardo italiano nelle grandi infrastrutture, van-
no rispettate alcune essenziali condizioni. Intanto la realizzazione di opere strategiche non può prescindere dallo stato del settore delle costruzioni: frantumato, parcellizzato, ma non incapace. Il dimensionamento degli appalti deve essere coerente con la struttura del nostro sistema produttivo (…) Altra questione fondamentale riguarda le risorse da destinare a queste opere strategiche. Tali risorse non devono andare a scapito delle opere ordinarie (...) Aiuta sicuramente a raggiungere questo obiettivo la prevista mobilitazione di capitale privato sotto forma di Project Financing e di concessione di costruzione e gestione: sempreché, come precisa Giavazzi, si tratti di vero capitale di rischio. Quanto al dogma della doverosa separazione tra progettazione e costruzione (...) questo dogma non trova fondamento nella disciplina comunitaria. Progettazione e produzione non sono funzioni incompatibili (...) Il previsto ricorso al general contractor, infine, può produrre per le opere strategiche effetti positivi in termini di costi e di tempi. Gli affidamenti saranno infatti eseguiti in gara, il general contractor sarà tenuto ad anticipare il finanziamento delle opere e verrà pagato solo a conclusione dei lavori. In ogni caso sarà chiamato a offrire una garanzia di adempimento che rende certa la disponibilità dell’opera nei tempi e nei costi previsti (Performance Bonds e simili)”. Citiamo infine un intervento sul n. 11/2001 de “l’Architetto” in cui Raffaele Sirica, Presidente del Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori, sottolinea “l’esigenza di assicurare la rigorosa qualificazione dell’impresa chiamata a progettare (...) Assolutamente indispensabile è inoltre riaffermare la separatezza tra chi progetta e chi realizza l’opera. Occorre evitare il conflitto di interessi che grava sull’imprenditore interessato a dare all’amministrazione non il progetto per quest’ultima qualitativamente migliore, ma quello per sé economicamente più conveniente (...) Deve essere chiamato a realizzare l’opera chi ha le capacità e i mezzi per attuare il progetto ritenuto migliore. Solo così la qualità dell’opera potrà essere salvaguardata. A nostro avviso, se l’obiettivo è quello di accelerare i lavori, il governo deve continuare nella semplificazione delle procedure amministrative”. Inoltre, sulla questione del cosiddetto ”appalto integrato” (di progettazione ed esecuzione) aggiunge: “Siamo contrari (...) In ogni caso è indispensabile rivedere il sistema della qualificazione. È indispensabile che l’impresa possa realizzare la progettazione integrata solo disponendo di quei requisiti tecnici che assicurino la qualità del lavoro”. a cura di Roberta Castiglioni
L’esposizione, organizzata dallo IUAV - Archivio Progetti e curata da Nicola Navone e Letizia Tedeschi, era dedicata ai progetti elaborati dall’architetto ticinese Rino Tami quale consulente estetico per l’autostrada N2 nel tratto Chiasso-San Gottardo, presentando un caso, per molti versi esemplare, in cui il progetto d’architettura acquista una dimensione territoriale. I materiali esposti nella mostra provenivano dall’Archivio Rino Tami, raccolto e conservato presso l’Archivio del Moderno dell’Accademia di Architettura di Mendrisio. La polemica sollevata in Italia da Bruno Zevi con un articolo uscito su “l’Espresso”, nel febbraio del 1961, in merito alla disorganicità negativa dell’Autosole tra Firenze e Bologna, fu l’occasione per implicare l’architetto Rino Tami come “consulente estetico” dell’Ufficio Strade Nazionali del Cantone Ticino (Svizzera), ruolo che svolse per un ventennio, dal 1963 al 1983. Tami, formatosi a Zurigo e interessato anche alle espressioni del Movimento italiano per l’architettura razionale, di cui era parte Alberto Sartoris, chiamato dall’allora capo del Dipartimento delle Costruzioni, Franco Zorzi, e incaricato della supervisione estetica dell’autostrada ticinese, riesce, attraverso un impegno progettuale assolto con immutato rigore sull’arco di vent’anni, a conferire un volto unitario all’opera,
disegnando viadotti, muri di sostegno del terreno, portali di galleria, pozzi di ventilazione, sovrappassi, aree di sosta, edifici di servizio. La sua ricerca investe ogni aspetto, dall’inserimento nel territorio del tracciato autostradale sapientemente risolto attraverso un’attenta lettura del sito e l’adozione di muri di sostegno in cemento armato modulati da una rigorosa trama geometrica - fino al disegno dei dettagli più minuti degli edifici di servizio. Tami manifesta un’attenzione speciale nei confronti dell’architettura e del paesaggio con il quale intenta un dialogo stretto e costante per creare una nuova realtà ambientale in cui i due soggetti possano convivere senza eccessivi strappi o conflitti insanabili. Egli insiste sull’unitarietà stilistica, innanzi tutto con l’impegno di un unico materiale costruttivo, il cemento armato, cui segue la sistematica reiterazione di stilemi, di accorgimenti costruttivi, di elementi di dettaglio, assunti sempre in termini essenziali, a comporre un linguaggio formale asciutto, stringato, lineare, di evidente e ricercata pulizia. Ne risulta un’opera di straordinaria coerenza e di alto valore formale, che contribuisce in misura determinante a conformare un’ampia porzione di territorio, da Chiasso al San Gottardo, e che deve essere considerata tra le maggiori opere d’architettura realizzate in Ticino nel Novecento.
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Roberto Gamba
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A Venezia in mostra l’autostrada Chiasso-San Gottardo di Rino Tami
Bergamo a cura di Antonio Cortinovis
Progettare il futuro per realizzare qualità
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Governare il territorio con la capacità di leggere e interpretare l’oggi, per progettare e costruire il domani, con il grande obiettivo di tracciare prospettive convincenti. Il futuro si presenta difficile ma carico di potenzialità e di prospettive positive. L’imprenditoria ed il mondo economico bergamasco hanno da tempo segnalato le difficoltà a reggere la competitività, nel processo di globalizzazione, in assenza di un’adeguata rete infrastrutturale ma anche in assenza di politiche di governo del territorio. Abbiamo appena lasciato alle nostre spalle “l’esigenza storica” di un governo del territorio legata alla domanda di “quantità” e siamo ora alla domanda di “qualità”, abbiamo utilizzato strumenti e tecniche della pianificazione, abbiamo ricercato modelli di modernità ma dobbiamo prendere atto che tutto ciò non ha risolto minimamente il problema del rapporto tra l’uomo e la sua città, tra l’uomo il territorio e la natura. Nelle grandi città si è sempre più soli, nel territorio in generale non riusciamo più a riconoscerci. Evidentemente alla qualità non basta la modernità e alla qualità non basta la sola tecnologia. Ora siamo all’interno di un nuovo processo di profondo cambiamento: la globalizzazione; siamo dappertutto, tutto sembra possibile in ogni luogo In realtà è venuto il momento di progettare lo spazio per l’uomo mediante l’utilizzo delle culture incrociate dell’ambiente, dell’urbanistica, e dell’architettura. Occorrono progetti integrati e complessi da sviluppare in termini di “ecologia urbana” se vogliamo davvero rispondere alle attese e alle aspettative della comunità. Siamo consapevoli delle profonde trasformazioni in atto, è richiesto un grande sforzo per rapportarsi con i nuovi orizzon-
Due vedute del nuovo intervento tramviario.
ti ed i nuovi bisogni: in prospettiva la tecnologia, la telematica e l’informatica, doteranno l’uomo di strumenti individuali, incredibilmente semplici e potenti, assisteremo ad un’ulteriore profondo cambiamento nei comportamenti e nei bisogni, si modificheranno in maniera evidentissima le esigenze di mobilità (telelavoro, teleconferenza, acquisto di generi alimentari e di beni di consumo, tempo libero). Sono inoltre evidenti alcune criticità: • Un territorio fortemente urbanizzato e ancora in forte crescita con la progressiva saturazione di spazi; • Una politica urbanistica molto municipale; • Il sistema stradale, costruito per la domanda di mobilità delle persone, si è trasformato in sede per il trasporto delle merci; • Il trasporto delle merci ha davanti a sé una prospettiva di ulteriore crescita. Abbiamo di fronte a noi un periodo difficile, di grande impegno: interventi infrastrutturali strategici che stanno prefigurando l’area bergamasca come una nuova centralità lombarda, un territorio complesso e delicato, ma abbiamo una grande opportunità: il governo contestuale della loro progettazione con la definizione del piano territoriale di coordinamento provinciale. È giunto il momento di accrescere la credibilità delle istituzioni, non dobbiamo programmare tutto, è necessario però delineare le strategie, tracciare gli indirizzi sui quali si andranno poi a liberare tutte le energie, le risorse di una comunità importante come la nostra, attraverso le capacità imprenditoriali e finanziarie che ci appartengono. Qualche volta l’entusiamo mi porta a delineare progetti da qualcuno definiti eccessivamente spinti, disancorati da una fattibilità reale...non corrisponde certo alle mie intenzioni, il ruolo e la responsabilità istituzionale richiedono severità e concretezza. C’è invece grande stima e ammirazione per le grandi intuizioni e le capacità di iniziativa del passato e, riflettendo, mi chiedo perché oggi tendiamo a ritenerle irriproponibili. Grandi infrastrutture (ferrovie, ponti, strade) grandi architetture (le mura, gli edifici, i palazzi pubblici e privati), grandi architetti, scultori, maestri e artisti della pietra, del legno, del vetro e del ferro, hanno reso bella e importante la nostra Città e il nostro territorio provinciale, e hanno contribuito in maniera determinante alla costruzione di altre città come Venezia e tante altre in Italia e in Europa. Si sta ora delineando una nuova importante stagione con i nuovi progetti per l’ospedale, la fiera, lo stadio, i sistemi ferroviari e tramviari, oltre ai progetti autostradali di Brebemi e pedemontana. Questi trascineranno operazioni importanti e di qualità lungo gli itinerari e sul sistema del ferro in corrispondenza delle fermate. Facciamo in modo che le nuove procedure vadano a premiare i contenuti progettuali, basta con i soli parametri metrici, tecnici e burocratici! Creiamo competizione qualitativa, facciamo crescere la bellezza dei luoghi, del territorio, degli edifici, dello spazio intorno a noi, dello spazio nel quale vogliamo vivere. Dobbiamo sollecitare e promuovere progettazioni e realizzazioni di qualità. La qualità non si realizza solo con la definizione di programmi, con l’enunciazione delle intenzioni; si deve tradurre in fatti concreti e perché questo possa accadere dobbiamo agire con determinazione nell’azione di coinvolgimento di professionalità, di esperienze che possano con adeguata progettualità garantire il successo delle nostre intenzioni. Si è pertanto deliberato nel programma dell’Amministrazione Provinciale del 2002 l’attivazione mirata su alcuni temi significativi capaci di coniugare l’interesse delle realtà istituzionali, con la dimensione culturale, professionale, tecnica e scientifica, al fine di definire un’adeguato livello progettuale finalizzati alla: • valorizzazione delle aree spondali dei corsi d’acqua: l’intorno dei fiumi rappresenta un patrimonio ambientale e paesistico tra i più significativi, l’obbiettivo è migliorare l’accessibi-
Felice Sonzogni Assessore al territorio, trasporti e infrastrutture della Provincia di Bergamo
Brescia a cura Laura Dalé e Paola Tonelli
Novità per la Mobilità a Brescia Il progetto per la LAM (Linea ad Alta Mobilità) di Brescia nasce dall’esigenza, da parte dell’Amministrazione Comunale e dell’Azienda Servizi Municipalizzati, di identificare nuove soluzioni di trasporto per la rete urbana, al fine di riequilibrare l’uso del mezzo di trasporto tra pubblico e privato, attualmente a netto favore del secondo. La LAM è una linea di trasporto su autobus che, godendo di corsie preferenziali e precedenze, si pone l’obiettivo di intensificare il numero delle corse e la velocità di percorrenza, innalzando quindi il livello del servizio pubblico, consentendo contemporaneamente l’estensione delle zone pedonalizzate del Centro Storico ed una diminuzione del traffico nell’area urbana. Per Brescia il Settore Trasporti e Mobilità del Comune, assieme all’Azienda dei Servizi Municipalizzati, ha sviluppato un progetto preliminare, sulla scorta dei dati e delle indicazioni forniti dallo studio da loro commissionato alla società londinese Steer Davies Gleave, individuando le due direttrici principali lungo le quali dovevano snodarsi le due linee LAM, verificandone la fattibilità ed individuando altresì le aree che, per particolari loro caratteristiche o collocazione, sarebbero state oggetto di un progetto di dettaglio per la loro riqualificazione globale. Il progetto definitivo è stato poi affidato all’architetto Italo Rota, che ha sviluppato l’immagine di tutti gli elementi che concorrono a definire il sistema LAM, dall’attesa all’illuminazione, verificate nei vari contesti urbani, sino a progetti esecutivi, di dettaglio per particolari zone. Nella relazione tecnica ad uno di questi studi particolareggiati leggiamo: “Il progetto cittadino di riqualificazione urbana per le porzioni di città interessate dalle nuove linee LAM, intende ridisegnare lo spazio valorizzando l’autobus LAM considerato come oggetto urbano mobile, differentemente protagonista in ogni sito della città. Così il tracciato delle due linee LAM diventa il disegno base, oltre il quale riorganizzare gli spazi cittadini in parte degradati o comunque frazionati dalle varie fasi costruttive. Ricomporre e riunire i ritagli del verde per offrire aree attrezzabili a verde pubblico con servizi connessi, comporre le sezioni della viabilità pubblica con quella privata e pedonale per offrire a quest’ultima più spazi e più vivibilità, riorganizzare lo spazio destinato al parcheggio delle vetture, nell’ottica di una migliore fruibilità del me-
Italo Rota, progetto per la nuova linea ad Alta Mobilità.
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lità anche con percorsi ciclopedonali, l’organizzazione delle aree verdi e delle aree attrezzate per la fruizione corretta di queste fasce di territorio; • riqualificazione ambientale delle aree adiacenti alle infrastrutture: l’intorno dei sistemi stradali, ferroviari e tramviari; • piste ciclabili: nel verde e nell’abitato le reti di percorsi ciclabili, oltre che occasione per il tempo libero e di fruibilità dei valori storici, ambientali naturalistici, devono costituire una proposta vera, convincente e praticabile come sistema di trasporto per gli spostamenti brevi; • viabilità connesse al sistema ferroviario e per l’accessibilità alla rete di trasporto: in particolare per il facile raggiungimento delle stazioni e delle fermate del trasporto pubblico su ferro e gomma, compresi i parcheggi; • infrastrutture e attrezzature a supporto dei sistemi della mobilità: fermate tram e autobus, i nuovi terminal per il trasporto; • programmi d’area: il tram delle valli, il progetto autostradale Brebemi e alta capacità FS nella pianura bergamasca. In particolare l’intervento più innovativo è l’intervento tramviario e la sua integrazione con quello ferroviario. Con il progetto non si è solo scelto il mezzo di trasporto, si è individuato un sistema territoriale definito su cinque direttrici, con origine dalla stazione di Bergamo in direzione di Albano, Treviglio e Ponte S. Pietro, (istituzione di servizio metropolitano sulle infrastrutture ferroviarie esistenti), S.Pellegrino e Gazzaniga (sistema tramviario, in fase di realizzazione per una prima parte). La ragione principale di questa scelta è proprio la interconnessione complessiva del sistema, con possibili e auspicate tratte che provenendo dalle valli transitano sulla stazione per proseguire nelle altre direzioni senza cambio di mezzo. È irrinunciabile in ogni occasione la ricerca di grande qualità: nel mezzo di trasporto, nel modello di esercizio (frequenza ogni 6-12 minuti), nella progettazione del tracciato e delle sue opere connesse. • Gli itinerari, dal punto di vista funzionale, intercettano le funzioni urbane e territoriali più significative: ospedale, fiera, università e scuole, teatro, stadio, centri direzionali e uffici pubblici, aeroporto. • In corrispondenza delle fermate i Comuni stanno prevedendo significativi e qualificanti interventi finalizzati a valorizzare luoghi urbani centrali esistenti oppure, mediante nuove progettualità, si andranno a costituire nuovi terminal di attestazione del servizio di trasporto pubblico e privato su gomma. • Lungo tutto l’itinerario deve essere colta l’occasione per una iniziativa di riqualificazione ambientale e funzionale sia nelle parti già urbanizzate che negli attraversamenti di aree libere, si creano evidenti e importanti occasioni di percezione ambientale del paesaggio oltre alla volorizzazione di tutto il territorio, per cui il tram non è solo un mezzo di trasporto dalle valli per la città, ma anche al contrario dalla città per le valli. Dobbiamo promuovere più qualità, dobbiamo sviluppare più ricerca e, come ci ricorda l’architetto Renzo Piano, dobbiamo spingerci insieme sulla frontiera, e ogni tanto attraversarla per vedere che cosa c’è dall’altra parte. Abbiamo il dovere di sondare ed essere più creativi. Chi sviluppa creatività attraverso l’architettura usa una tecnica per generare un’emozione, e lo fa con un linguaggio suo specifico, fatto di spazio, di proporzioni, di luce, di materia, di messaggi, e sono soprattutto i messaggi che possono raggiungere i soggetti istituzionali, gli operatori, sono soprattutto questi che ci consentono di tracciare delle prospettive e realizzare su queste le convergenze necessarie per realizzarle. Vorremmo quindi aprire la fase di dibattito al PTCP con questo spirito, vorremmo un dibattito capace di stimolare gli interessi e gli entusiasmi.
desimo: questi sono gli obbiettivi che il progetto generale della città si propone, insieme a quello di creare il più possibile corsie preferenziali per il percorso degli autobus, tali da garantire una maggiore velocità e fruibilità del traffico LAM. Oltre al miglioramento della viabilità pubblica e conseguentemente privata, l’efficacia del progetto sarà inoltre legata alla rivalutazione degli altri sistemi qualitativi urbani, quali la segnaletica, gli elementi pubblicitari, quelli di arredo urbano. Il loro preciso disegno e la loro localizzazione, cercherà di contenere quell’inquinamento visivo, acustico e luminoso oggetto di una forte attenzione sociale”. P. T.
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Paola Tonli
I nuovi edifici dell’autostazione di Desenzano L’elaborazione del progetto esecutivo dei Nuovi Edifici dell’Autostazione di Desenzano è stata esito, tra l’altro, di incontri con la Società Committente e i suoi organi tecnici. Tale soluzione progettuale dà risposta: • alle varie esigenze tecniche e viabilistiche legate al rilevato incremento del traffico; • al problema dell’impatto ambientale, che è stato assunto come condizionamento fondativo ai fini dell’ubicazione, e la cui soluzione consiste nella cospicua dotazione arborea di specie locali, quale peculiarità sitologica a significare il ruolo dell’autostazione quale “porta” principale del Garda; • alla richiesta di nuove edificazioni per uffici, spazi e parcheggi per il personale e per gli utenti; • alla necessità di riconfigurazione ex novo della pensilina quale immagine unitaria di identificazione segnica dell’autostazione. Il corpo servizi e i parcheggi L’analisi delle necessità funzionali ha fatto intravedere la possibilità di riunire i corrispondenti spazi operativi in un unico edificio, distinguendoli fondamentalmente in sei gruppi e cioè: • lo spazio per il centro servizi a disposizione degli utenti per pratiche autostradali, per meeting di operatori economici, che possono riconoscere nell’autostazione
un agevole punto di riferimento, usufruendo di salette attrezzate, nonché per le attività ausiliarie di sportello bancario, informazioni turistiche, integrate spazialmente con il Centro Servizi ma facilmente separabili per la necessaria autonomia gestionale; è previsto inoltre un gruppo di servizi igienici pubblici; • lo spazio per le attività relative alle esazioni dei pedaggi e per i servizi tecnici, tali da garantire il funzionamento continuativo delle apparecchiature di stazione e autostradali; • lo spazio per uffici e depositi per assicurare il razionale e tempestivo servizio P.I.V. (Pronto Intervento Viabilità) o Helpy, e per il soccorso ACI autostradale, necessari a garantire la sicurezza del traffico e il comfort dell’utente in difficoltà; • lo spazio per i servizi igienici e di comfort (spogliatoi, docce, WC, salette ristoro) suddivisi in due gruppi per motivi di autonomia operativa, il primo per esattori-centro servizi, il secondo per P.I.V. e Helpy. I due gruppi di addetti usufruiscono di un unico spazio per trattare insieme, quando necessita, i problemi tecnici, di aggiornamento e sindacali; tale spazio è ubicato al centro dell’intero complesso ed è emblematizzato da una geometria piramidale controventante l’antenna tecnologica per i ponti radio. Per difendere questi ambienti dall’inquinamento acustico dovuto alla loro vicinanza in continuo a sorgenti sonore, fisse e mobili, oltre alla naturale fono-assorbenza della folta alberatura circostante, è stato previsto un percorso vetrato perimetrale e climatizzato di disimpegno ai vari locali; • lo spazio autorimessa interrata per garantire il parcheggio ai mezzi di servizio e alle automobili di ogni addetto in turno; • lo spazio per il grande parcheggio scoperto pubblico e interamente alberato, con messa a dimora delle piante autoctone o caratteristiche della zona del Garda. Esso verrà organizzato a parcheggio pubblico per gli utenti, essendo attrezzatura sempre più apprezzata dagli operatori che riconoscono in essa un servizio migliorativo nella facilitazione di incontri e percorrenze semplificate. La pensilina Se l’architettura del verde è in questo caso il preannuncio della qualità del sito, non meno essenziale ha da essere il segno che identifica e qualifica l’autostazione, e per essa le piste e i servizi agli utenti, vale a dire la pensilina, il cui ruolo sarà, come già detto, quello di contribuire a sottolineare l’immagine unitaria da contrapporre dialetticamente alla discontinuità edilizia circostante, senza mimetismi. (dalla relazione di progetto di Giuseppe Davanzo) a cura di Paola Tonelli
Giuseppe Davanzo, Autostazione di Desenzano.
a cura di Roberta Fasola
Progetto delle infrastrutture: da “non luoghi” a “luoghi” del paesaggio, anche lombardo! Può esistere un “luogo” che tale non è, senza espressione, senza carattere, senza genius loci? Un “non luogo” come spazio senza significato né storia, in opposizione al “luogo” come elemento concreto e simbolico, dotato di carattere distintivo, è oggi facilmente identificabile negli svincoli, negli spazi a parcheggio, nelle stazioni di servizio, nelle infrastrutture di trasporto, ma anche nelle reti di comunicazione elettrica e telefonica, che punteggiano e segnano tutto il nostro paesaggio. Si è volutamente usato il termine paesaggio e non territorio, perché elementi importanti su cui porre attenzione (e rimedio) sono i rapporti, le relazioni che si innestano, che non nascono o che nascono “deviati” rispetto al paesaggio in cui questi “non luoghi” si innestano o che molte volte trasformano, quasi senza saperlo o meglio senza rendersene conto. Nel paesaggio urbano contemporaneo i non luoghi, diventano gli spazi di risulta del costruito, spazi di semplice attraversamento, spazi per il nomadismo e per l’esclusione sociale. Ma allo stesso momento, paradossalmente, diventano gli spazi più frequentati ed “usati” dall’uomo, che appartiene alla civiltà di internet (rete globale metafisica) ma soprattutto dell’automobile (rete globale fisica). Tangenziali, superstrade, svincoli, autogrill, stazioni, aeroporti sono gli spazi anonimi su cui corre la nostra esistenza quotidiana, che pur nella loro importanza, l’architettura e l’urbanistica non riescono a “disegnare”, a pensare come “luoghi”, come essi sono e come vengono realmente utilizzati. Non arrendersi all’abitudine di viaggiare e progettare strade tutte uguali, importanti solo per la loro “funzione”, importanti perché ci mettono in comunicazione con qualcosa o con qualcuno, ma che invece trascurano quello che sta in mezzo a questi qualcuno e qualche cosa, anch’essi persone, paesaggi, con le loro storie ed emozioni, importanti per qualcuno diverso da noi, che magari pigri nella nostra capacità di “vedere” oltre la superficie delle cose, li attraversiamo senza chiedere né apprendere cosa ci comunicano. Le grandi infrastrutture della mobilità o i metanodotti o reti elettriche, attraversando ormai qualsiasi territorio, rappresentano così delle vere e proprie matrici del nuovo paesaggio contemporaneo, trasformando, con la loro presenza e flussi di persone, merci, dati, la natura fisica e lo stesso genius loci del territorio. Questo dimostra come, nella maggior parte delle opere attuali, la progettazione tecnica ed urbanistica sia disgiunta da una progettazione paesistica, e quindi poco attenta al contesto ambientale, ma anche sociale, culturale e storico dei luoghi attraversati. Il paesaggio dovrebbe diventare non più solo sfondo, ma testo (oggetto di riferimento) su cui agire e con cui interagire. I tre elementi basi per il progetto infrastrutturale, ovvero la pianificazione di scala vasta, la programmazione tecnica ed economica e il progetto puntuale dell’opera, debbono essere pensate e studiate in modo contempo-
raneo, o meglio tutti e tre i momenti debbono essere presenti nelle diverse fasi di “costruzione” del progetto, il feed back tra di esse diminuisce gli errori, garantisce il rispetto degli obiettivi, verifica a priori gli scenari ipotizzati, permette un maggiore controllo della qualità tecnica ed urbanistica dell’opera. Gli interventi, pur ognuno nelle loro differenze di contesto, funzione ed obiettivi, dovrebbero tutti avere come punto di partenza il progetto paesistico, come input ex-ante, concepito insieme al progetto tecnico infrastrutturale. Intervenire ex-ante, infatti, permette di analizzare e definire i limiti territoriali su cui il progetto insiste e si raffronta, significa aggiungere significato ai luoghi che già ne hanno o ridarne ad altri “poveri” o in cui il significato è latente. Progettare ex-ante significa anche poter definire l’ambito più adatto per il passaggio dell’opera, compresa la possibilità di scegliere localizzazioni alternative, confrontando fra di loro aspetti negativi e positivi, sia di tipo paesistico ma anche sociale, storico ed economico. Questa strategia di pianificazione dell’infrastruttura supera i problemi che si rilevano oggi negli interventi expost, dove nella maggior parte dei casi si interviene sul paesaggio per sanare un “danno” o porre rimedio ad una situazione ormai invariabile. Dando uno sguardo alle previsioni per lo sviluppo della rete di mobilità in Lombardia, ci accorgiamo quanto sopra esposto sia un fatto ormai irrinunciabile e non più procrastinabile, da confinare nelle utopie disciplinari di urbanisti ed architetti “ambientalisti”. In Lombardia la programmazione regionale prevede per il futuro grandi opere infrastrutturali: le previsioni sono indirizzate alla risoluzione dei problemi relativi alla viabilità nell’area pedemontana, al potenziamento del sistema tangenziale di Milano e dei principali poli regionali, al miglioramento dell’accessibilità viaria nelle aree periferiche della regione. Per la viabilità nell’area pedemontana è stato individuato un sistema così costituito (arteria denominata Pedemontana): Busto Arsizio-Cermenate; Cermenate-Desio; Desio-Vimercate; Vimercate-Bergamo; Sistemi tangenziali di Como e di Varese e collegamento al valico del Gaggiolo. Inoltre si prevedono la Direttissima Milano-Brescia (BreBeMi), il by-pass A4 (Agrate) - A8 (barriera laghi), la Tangenziale est-est di Milano, per i quali dovrà avviarsi una fase di studio di fattibilità tecnico-economica, ovvero di progettazione preliminare. A quanto sopra si aggiungono le problematiche relative all’accessibilità viabilistica al nuovo scalo internazionale di Malpensa. Rispondere sì alle nuove esigenze, ma senza dimenticare che la qualità della vita passa prima di tutto dalla qualità dei luoghi in cui si vive e non dove si sopravvive. L’architettura (come momento multidisciplinare), diceva Ignazio Gardella “è come l’aria, noi senza rendercene conto respiriamo architettura in ogni ora delle nostre giornate: a casa, in ufficio, per strada“ e come tutti cerchiamo, aneliamo ad un’aria pulita, buona, che faccia bene al corpo, ma anche alla mente. Gianfredo Mazzotta
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Como
Lecco a cura di Carmen Carabus
La mobilità delle merci: infrastrutture per il trasporto
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Quando si vede un bene, sia questo un prodotto manifatturiero od un prodotto agricolo, raramente si pensa a come questo bene sia arrivato alla nostra portata. Si sa come è stato prodotto, da chi, dove; nulla si sa del suo “viaggio” per arrivare a noi. Eppure qualsiasi bene, sia esso materia prima, prodotto manifatturiero, semilavorato o finito, prodotto agricolo o quant’altro (a eccezione naturalmente dei beni immobili) per essere consegnato all’utilizzatore viene messo in viaggio e quasi sicuramente viene spostato più volte. L’operazione di trasferimento di un bene dal luogo dove viene prodotto-raccolto-estratto a dove viene utilizzato si chiama “trasporto”; sembra ovvio, ma pochi ci pensano, anche se a fronte di questa operazione di trasferimento si crea un traffico che, unito a quello del trasferimento delle persone, intasa le nostre strade. La mobilità delle merci è direttamente proporzionale al prezzo della merce stessa; quindi l’organizzazione della “Mobilità” è essenziale per una economia sana. Inoltre l’organizzazione della mobilità delle merci produce effetti positivi sul traffico stradale a beneficio della qualità ambientale con ripercussioni positive sulla salute pubblica. Non solo strade: le infrastrutture per il trasporto e la distribuzione delle merci Un moderno sistema di trasporti deve risultare sostenibile tanto dal punto di vista economico che sociale ed ambientale. Attualmente il trasporto merci sconta un pesantissimo squilibrio a carico del trasporto stradale (detto su gomma) generando la congestione di moltissimi assi stradali (si salvano solo quelli secondari ed intercomunali) con grossi problemi ambientali e di salute pubblica. Il nord Italia e in particolare la Lombardia, unica vera porta comunicante con l’Europa per volumi di traffici, ha ormai da tempo il problema della cronicità di congestione, dovuto essenzialmente a due fattori: • gli utilizzatori del sistema di trasporti non pagano i costi che generano a danno dell’ambiente e della salute dei cittadini; • gravi ritardi nella realizzazione delle infrastrutture dedicate alla rete transeuropea. La regione Lombardia, nella bozza del DPEF del 02.7.2001, non ha sviluppato un programma infrastrutturale di riequilibrio del sistema modale, e ha proposto un piano di “potenziamento delle infrastrutture logistiche” (in controtendenza con i dettati dell’U.E.). Ha però riconosciuto la saturazione e l’obsolescenza di strutture ferroviarie, adatte a sistemi di interscambio modale; non ha però proposto alcun intervento progettuale di rispetto delle infrastrutture ferroviarie adatte all’interoperabilità. La Commissione Europea il 21 marzo 2001 ha varato il progetto European Rail Traffic Management System su incarico dell’Associazione Europea per l’Interoperabilità, con sede a Bruxelles, consentendo ai treni di percorrere linee ferroviarie di diversi paesi, sebbene dotati di sistemi di sicurezza e di automazione progettati con logiche e apparecchiature diverse fra loro. Nella sostanza manca da parte della Regione Lombardia, in sinergia con le regioni confinanti e la vicina Svizzera, un Piano Territoriale Interregionale di realizzazione di infrastrutture ferroviarie atte a fronteggiare lo sviluppo dell’interoperabilità nel rispetto delle decisioni Europee. Perché gli operatori trovino credibilità in termini di regolarità
e puntualità, sarà opportuno costituire progressivamente una rete ferroviaria dedicata esclusivamente al trasporto merci. Ecco ora delinearsi il “sistema infrastrutturale per il trasporto e la distribuzione delle merci“. Questo “sistema” ha in verità fondamento sulle vie di terra (strade e ferrovie), acqua (navigazione), ed aria e si realizza nelle strutture di connessione fra le varie modalità di trasporto, ovvero nei nodi intermodali detti anche interscambi. Fra le intermodalità e gli interscambi, il più classico ed usato dagli operatori è quello ferro-gomma, ovvero lo scambio fra il trasporto su ferrovia e su strada. Attualmente la modalità su strada, particolarmente in Italia, sovrasta quella su ferrovia causando lo squilibrio di cui si è detto; l’Unione Europea, ritenendo queste due modalità prevalenti sulle altre, per il prossimo futuro ha avviato la politica della realizzazione delle infrastrutture di connessione intermodale, per riequilibrare le due modalità riducendo il trasporto su strada a favore di quello ferroviario. Individuazione delle infrastrutture per il trasporto e la distribuzione delle merci: cosa sono? È il momento di aggiungere, per una corretta comprensione del discorrere, le definizioni delle principali infrastrutture di connessione intermodale non prima di averle elencate, ovvero: raccordi ferroviari, scali merce ferroviari, poli logistici raccordati, terminal ferroviari, interporti. I raccordi ferroviari Sono appendici o rami ciechi alle linee ferroviarie principali che portano direttamente i vagoni ferroviari all’interno dei complessi industriali; servono la grande industria e trasportano prevalentemente merce sfusa. Dopo la chiusura dei grandi complessi industriali sono stati notevolmente ridotti. Gli scali merce ferroviari Sono quelle strutture ferroviarie realizzate per lo più alla fine degli anni ‘40 fino a metà degli anni ‘50 con le quali si effettua, mediante la tecnica del trasbordo, lo smistamento delle merci; sistema ormai abbandonato da tutti per i tempi lenti e gli alti costi. I poli logistici raccordati Servono solamente alla distribuzione, consistono nell’esternazione dei magazzini delle aziende sia del settore commerciale che di quello produttivo con la gestione affidata a terzi. Essi sono prevalentemente posizionati sulla grande viabilità e raccordati alla ferrovia come utenti finali. Effettuano prevalentemente consegne in un raggio di 50/60 chilometri. I terminal ferroviari Sono strutture tipicamente ferroviarie che servono esclusivamente al trasporto con il sistema del treno blocco. Queste strutture, per essere dichiarate tali, debbono rispondere alle caratteristiche internazionali dell’E.I.A. (European Intermodal Association) con sede a Bruxelles. Gli interporti Sono strutture complesse molto vaste, almeno tre milioni di metri quadrati, nelle quali si effettua ogni tipo di trasporto e distribuzione con una serie di servizi dedicati. Queste strutture non possono essere costruite dove si vuole: debbono essere costruite necessariamente adiacenti a linee ferroviarie con capacità operativa e collegati alla grande viabilità. Il sistema intermodale lombardo nel panorama europeo L’Europa ha delineato con chiarezza le politiche di investimento infrastrutturali attraverso il programma Trans-European Trasport Networks (TEN-T); la Lombardia è direttamente interessata a questo progetto con la costruzione delle linea ad Alta Capacità Lione-Torino-Milano-Venezia-Trieste, consentendole di fruire di un importante corridoio nei traffici paneuropei verso est, in particolare a quei paesi che prossima-
Politica attuale della regione Lombardia La Regione Lombardia si è mossa in anticipo rispetto alle altre regioni, individuando nel Piano del Sistema dell’Intermodalità e della logistica in Lombardia uno strumento legislativo su cui programmare e operare in piena sintonia, sia attraverso il SNIT e un attento esame di programmazione, sia con il progetto Marco Polo, inserendosi a pieno titolo nelle strategie europee. Si può quindi procedere a scelte in sintonia con tali progetti, avendone finanziamenti in tempi brevi e certi. Nonostante ciò la nutrita serie di atti del Consiglio Regionale, in particolare la risoluzione del 4.12.1998, e la delibera del 5.5.1999, non ha prodotto all’atto pratico alcun intervento, anzi ha generato, attraverso la stesura del Piano del sistema dell’intermodalità e della logistica in Lombardia, confusione fra le modalità di interscambio. Innanzitutto il compito affidato a FNM, così come citato D.c.r. 5.5.1999 n. VI/1245, non ha prodotto proposte significative, gli interventi programmati sul proprio sedime ferroviario riguardano infrastrutture atte a soddisfare le proprie necessità aziendali, nessuno di questi interventi ha le caratteristiche proprie di “rail-ruote” (Terminal Ferroviario). Il protocollo d’intesa firmato il 13.2.2001 prende in considerazione il raddoppio del Gottardo (progetto europeo Freeways), non tenendo conto del progetto TEN-T (Lione-TriesteLubiana) corridoio fondamentale a sud delle Alpi per lo sviluppo dell’intera area padana; in questo contesto va vista la Pedegronda ferroviaria Novara-Busto-Seregno-Ponte S.P.-Bergamo-Rovato-Brescia. Detta struttura ferroviaria è di fondamentale importanza. Nei punti di intersezione con le princi-
Modello di Polo Logistico Integrato.
pali linee nord-sud in aree adiacenti al sedime ferroviario e raccordate alla grande viabilità, necessitano con estrema urgenza almeno tre terminal intermodali con caratteristiche “railruote”; la necessità di queste infrastrutture a nord di Milano è motivata dal fatto che si trovano in quest’area le province più densamente industrializzate e, sempre in quest’area, si trovano i nodi ferroviari a più alta densità di traffico. Quale quindi la scelta della modalità di interscambio Gi interporti sono strutture come Quadrante Europa di Verona, uno dei pochi in Italia ad avere tutte le caratteristiche infrastrutturali necessarie ad espletare qualsiasi servizio al sistema dei trasporti; le altre strutture denominate interporti sono strutture ibride o semplicemente dedicate a determinati settori merceologici. È difficile, per le loro caratteristiche, contestualizzarli in Lombardia e inoltre Verona è molto vicina. La soluzione è quindi quella dei Terminal Intermodali (rail-route). Di terminal ferroviari si sente parlare spesso, ma l’unico vero terminal in Lombardia appartiene alle Ferrovie Svizzere, l’UPACH di Busto Arsizio, dove il sistema “rail-route” trova la più ampia applicazione. Questo sistema è l’unico vero in grado di spostare notevoli quantità di merce dalla strada alla ferrovia, ha le proprie tracce ferroviarie, quindi, a differenza dei tradizionali trasporti merci, ha la certezza della celerità e della puntualità; autentico concorrente della strada. Uno dei punti di forza del terminal è la rapidità del cambio modale, il treno può essere caricato e scaricato in poco tempo, la merce, essendo trasportata per la maggior parte con casse mobili, non viene manipolata e in breve tempo raggiungere lo stabilimento o il centro logistico e viceversa. L’U.E. ha ribadito più volte, e tutti i documenti prodotti vanno in tal senso, l’esigenza di uno sviluppo compatibile con l’ambiente, nel più ampio rispetto degli accordi di Kyoto; i trasporti “rail-route” sono l’unica risposta immediata ed economica a queste esigenze. Pierluigi Baraggia
Collegamento aereo da Piazza Sassi al Centro “La Meridiana” L’intervento consiste nella realizzazione di un ponte pedonale a Lecco collegante piazza Sassi con il Centro La Meridiana, e quindi sovrappassante lo scalo ferroviario, immediatamente a sud della Stazione F.S. L’impalcato del nuovo ponte ha una larghezza media di circa 3,5 m, con l’intradosso ad una quota sempre superiore a 8,5 m dal piano del ferro dei sottostanti binari, al di sopra delle linee di contatto. L’ampiezza dell’area ferroviaria è pari a circa 142 m lungo l’attraversamento. Lo sviluppo totale del nuovo attraversamento, comprensivo dei sovrappassi su di una strada Anas e su di una strada di accesso ai parcheggi del Centro La Meridiana, nonché dell’accesso a piazza Sassi, è pari a circa 170 m. La progettazione si è sviluppata tenendo conto dei seguenti “assunti” iniziali: riduzione delle servitù nei confronti delle Ferrovie dello Stato, sia durante la realizzazione che ad opera ultimata; facilità e rapidità d’esecuzione; leggerezza strutturale e riduzione dell’impatto ambientale; contenimento dei costi. Inquadramento urbanistico Lecco si configura come una città policentrica caratterizzata da nuclei storici dal tessuto urbano fitto e consolidato, fra di loro uniti da una urbanizzazione di formazione più recente, ora coinvolta in una fase di riconversione che sviluppa temi inerenti in particolare insediamenti con destinazione terziaria commerciale e di nuova residenza. La città è segnata dalla presenza dell’asse ferroviario che la taglia longitudinalmente, da sud a nord, costituente una bar-
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mente entreranno a far parte dell’U.E. A questo dobbiamo aggiungere il progetto freeways in avanzato stato di realizzazione che, attraverso il raddoppio del Gottardo, raggiungerà il porto di Genova; il quadro dei grandi traffici di trasporto merci per ferrovia fa intravedere le potenzialità di sviluppo del trasporto merci senza precedenti per la Lombardia. Di recente nella seduta del 26 luglio 2001 la Commissione Europea ha varato il progetto Marco Polo, finanziando per 7,5 milioni di Euro 17 progetti pilota nel trasporto combinato: puntando in modo concreto alla scelta prioritaria di questo tipo di modalità, il progetto si prefigge di trasferire circa il 20% di traffico merci dalla strada alla rotaia entro il 2006. Il Piano Generale dei Trasporti e della Logistica ha individuato la necessità di programmare una serie di infrastrutture dedicate (terminal intermodali, poli logistici ecc.), in alternativa alla programmazione di megastrutture (interporti). Questi interventi strutturali trovano applicazione attraverso il Sistema Integrato Nazionale dei Trasporti (SNIT), delineando le direttrici principali, sia ferroviarie che stradali, nonché tutte quelle strutture di collegamento (nodi) a queste direttrici di traffico e demanda inoltre a un apposito piano di settore la possibilità di inserire tra le infrastrutture di interesse nazionale i Centri di interscambio strada rotaia. La Regione Lombardia, attraverso il Piano Regionale dei Trasporti (PRT), può programmare una politica mirata alla costruzione di infrastrutture ferroviarie allo scopo di integrazione e interconnessione con le strutture programmate dal piano stesso.
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riera urbana evidente a livello spaziale e che limita sostanzialmente i collegamenti viari da una parte all’altra. Anche in corrispondenza del centro cittadino appare evidente la presenza di questa barriera che rende più complesso l’accesso al centro città e alle funzioni ivi insediate. Oltre alla ferrovia, posta immediatamente a monte del centro storico cittadino, sta sorgendo il complesso “La Meridiana”, progettato da Renzo Piano, un nuovo insediamento di notevoli potenzialità dove trovano ubicazione una serie di strutture e destinazioni di rilevante interesse collettivo (terziario, parco pubblico, parcheggi) complementari alle funzioni del centro storico e quindi possibilmente da integrare e connettere per una migliore funzionalità complessiva, con notevoli vantaggi per entrambe le parti di città. Il sovrappasso ferroviario unisce fisicamente, ed in maniera diretta, due differenti ma complementari realtà lecchesi e in senso metaforico funge da ponte fra passato e futuro, fra tradizione e innovazione. Richieste della città e prestazioni della nuova infrastruttura Oltre alla valenza significativa che acquista nel substrato culturale e sociale della città, il sovrappasso ferroviario è un’arteria infrastrutturale utile per la rivalutazione del centro storico e indispensabile per un miglioramento sostanziale dei collegamenti in ambito cittadino. Il collegamento a destinazione esclusivamente pedonale contrae i percorsi soprattutto agli studenti che si distribuiscono negli istituti scolastici dislocati tanto nel centro storico, quanto nella zona delle aree in espansione terziaria e commerciale. Il pendolarismo degli studenti nei due sensi di marcia usufruirà di una via preferenziale più breve e diretta, che collegherà il centro cittadino soprattutto alla stazione ferroviaria, con le strutture scolastiche poste oltre la ferrovia a ridosso del nuovo parco urbano in cui è immerso il nuovo centro “La Meridiana”. In secondo luogo, il collegamento pedonale agevola una decongestione automobilistica del centro cittadino che è giornalmente appesantito da un carico di auto eccessivo, con conseguente carenza di parcheggi. “La Meridiana”, con più di 2.000 posti auto, alleggerirà i flussi automobilistici convergenti nella zona centrale, permettendo di accedere pedonalmente ed in tempi brevi alle attività del centro. Il ponte migliora in tal modo l’uso della città che, decongestionata, acquista una maggiore fluidità di percorsi e di scambi e una fruibilità qualitativamente migliore, diventando uno strumento al servizio dei cittadini che garantisce fluidità, accelerazione degli scambi ed incentivazione dei rapporti. La struttura della passerella pedonale inciderà positivamente sull’immagine di Lecco, e, come il centro “La Meridiana” stesso, avrà un livello di percezione evidente in una visibilità prospettica aperta, che ne farà un ponte che collega radici storiche con sviluppo, zona a lago con fascia superiore circostante e funzioni pubbliche cittadine (Municipio, Stazione ferroviaria, Commercio, Turismo, ecc. con strutture situate a monte quali scuole, parcheggi, strutture sportive per il tempo libero, ecc.). Tipologia strutturale del ponte Si prevede l’appoggio del nuovo impalcato in tre punti: ai due lati dello scalo ferroviario, fuori dal fascio di binari, ed in una zona centrale libera da binari. I punti di appoggio del ponte, a struttura realizzata, non presenteranno quindi alcuna interferenza con gli impianti ferroviari o con l’esercizio ferroviario attuale, né costituiranno vincoli per eventuali future modifiche dell’organizzazione dei binari. La struttura d’impalcato si sviluppa su due grandi campate principali con luci pari a 64,5 m e 67,5 m, che sovrappassano i fasci di binari, su uno sbalzo di 25,5 m per lo scavalco delle strade laterali ed una campata di 12,1 m per l’accesso a piazza Sassi. Le due campate principali sono sostenute da un sistema di stralli impostati su di un’unica antenna centrale, prevista
in acciaio, con sezione trasversale ottenuta per calandratura di pannelli di lamiera. La parte inferiore, tra impalcato e fondazione, sarà riempita di calcestruzzo per aumentarne la rigidezza. I materiali di finitura Per le finiture del collegamento aereo si sono cercati materiali che contribuissero ad aumentare l’effetto di “leggerezza” del manufatto. Per l’impalcato sono state impiegate strutture metalliche saldate e verniciate. Gli schermi di protezione laterale richiesti dalle Ferrovie disegnano un profilo aerodinamico, sviluppato in galleria del vento e pensato anche come protezione frangivento. Si è previsto l’utilizzo di lamiere curvate in alluminio anodizzato naturale microforate. Le strutture di accesso Lo “sbarco” verso piazza Sassi è stato pensato come il terminale naturale di un percorso che inizia dal Centro Meridiana e si sviluppa sopra il parco ferroviario. Questo terminale “naturale” è stato ottenuto con un percorso elicoidale realizzato con una struttura metallica autoportante, di profilo identico a quello del ponte. Al centro di questa grande “elica”, che degrada verso la piazza con un’inclinazione media dell’9,5%, è stato collocato un cilindro trasparente in cristallo nel quale scorre un ascensore (portata 12 persone) idraulico a pistone centrale, che permette l’accessibilità alla passerella anche ai portatori di handicap. Conclusioni Si è qui illustrata una soluzione progettuale per l’attraversamento dello scalo ferroviario di Lecco in cui, oltre a dare una risposta alle problematiche di ordine statico e formale, sono state valutate e rispettate le esigenze connesse all’esercizio ferroviario. Tali ultime esigenze comportano vincoli molto restrittivi nella ubicazione degli appoggi a terra e nelle procedure di costruzione, e proprio da tali vincoli sono scaturite le scelte delle due grandi campate e dello schema di costruzione e montaggio a sbalzo. La soluzione proposta si configura quindi innanzitutto come una soluzione tecnica ad una serie di vincoli a problemi tecnici e logistici. Si configura altresì come un segno semplice, ma chiaro e deciso, del contesto urbano della Città di Lecco. Paolo Bodega
Vedute del modello del nuovo ponte.
a cura di Antonio Borghi e Roberto Gamba
Il Piano Urbano della Mobilità (2001-10) e le Isole Ambientali Nel luglio 2000, vista l’evoluzione del quadro normativo di riforma del trasporto pubblico da un lato, e il progressivo aggravarsi della situazione della mobilità milanese dall’altro, il Comune ha costituito la Agenzia Milanese Mobilità e Ambiente. Accenniamo brevemente il quadro istituzionale all’interno del quale si colloca e le sue finalità, nelle parole del suo Amministratore Unico e Direttore, Gian Paolo Corda: “Il D.L. n.422/97 impone il trasferimento agli enti locali delle funzioni e dei compiti regionali in materia di trasporto pubblico locale. Inoltre, contestualmente all’apertura al mercato, mediante gara, dei servizi di trasporto pubblico locale, viene introdotto il principio di separazione tra le attività di programmazione e regolazione del trasporto pubblico locale da quella di gestione. (...) I principali ambiti di attività (dell’Agenzia ndr.) sono l’acquisizione, l’analisi e l’elaborazione dei dati, costruzione di modelli e simulazioni, studi e pianificazione del trasporto pubblico locale, predisposizione dei contratti di servizio, regolazione e controllo del trasporto pubblico locale, studi e pianificazione del traffico privato e della mobilità in generale, studi e pianificazione degli interventi ambientali in materia di aria, energia, rumore ed onde elettromagnetiche”. Cercando di approfondire il lato progettuale di queste attività dobbiamo districarci tra le complicate e a volta ripetitive denominazioni degli strumenti che l’amministrazione ha adottato o intende adottare in materia. Nel maggio 2000 il Comune ha approvato il Piano Urbano del Traffico (PUT) per il triennio 2000-03. Questo piano non si occupa del riassetto infrastrutturale, ma punta solo a razionalizzare le strutture esistenti con interventi di manutenzione e adeguamento delle sedi stradali, abbattimento delle barriere architettoniche e ridisegno delle aree di sosta, come, ad esempio, l’intervento portato recentemente a termine in piazza Bausan. Più ambizioso è invece il Piano Urbano della Mobilità (PUM) che costituisce lo strumento di pianificazione della mobilità con validità decennale, dal 2001 al 2010, previsto dal Piano Generale dei Trasporti. “Il PUM è un progetto strategico basato su investimenti e innovazioni sia dal punto di vista organizzativo che gestionale”, che inquadra Milano nella ”area urbana milanese lombarda (…) un’area che intreccia relazioni multiple e complesse, interessando direttamente sette milioni e mezzo di abitanti.” Qui di seguito presentiamo un settore specifico dell’attività dell’Agenzia, ovvero la progettazione coordinata delle cosiddette Isole Ambientali, la cui definizione è contenuta nelle Direttive ministeriali per l’attuazione e la redazione dei Piani del Traffico: ”La viabilità principale viene a costituire una rete di itinerari stradali le cui maglie racchiudono singole zone urbane alle quali viene assegnata la denominazione di Isole Ambientali composte da strade locali (‘isole’ in quanto interne alla maglia di viabilità principale; ‘ambientali’ in quanto finalizzate al recupero della vivibilità degli spazi urbani)”. L’Isola ambientale è dunque un’area urbana delimitata da primarie arterie di traffico, all’interno della quale si intende valorizzare la funzione residenziale, migliorarne la vivibilità eliminando il traffico di attraversamento e l’interferenza del traffico locale con le primarie arterie di scorrimento, restituendo al pedone una chiara priorità rispetto ai veicoli. Il traffico residuo all’interno dell’isola ambientale dovrebbe in questo modo essere limitato ai soli residenti, oppure a coloro che nel quartiere devono svolgere un compito specifico. Gli interventi previsti in queste isole riguardano il ridisegno generale della circolazione,
con eventuale sistemazione degli incroci, spostamento di alcune tratte di linee di trasporto pubblico e recupero di spazi di sosta pedonale lungo le vie residenziali. Si prevede inoltre il recupero di alcuni tracciati storici e la realizzazione di nuovi parcheggi, interrati e a raso. Dovranno essere adeguati di conseguenza i regolamenti del traffico (velocità massima a 30Km/h), della sosta, i servizi di trasporto pubblico e gli elementi di arredo urbano. In questa logica il Comune di Milano ha individuato, col supporto dell’Agenzia, le prime dieci Isole Ambientali, riguardanti le zone di Brera-Garibaldi, Missori-Torino, Darsena-piazza XXIV Maggio, viale Monza-Leoncavallo, corso XXII Marzo-corso Lodi, piazza Caduti del Lavoro, piazza Tripoli, San Siro, via Alber-
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Isola ambientale di Corso Como.
ti, Farini Maciachini. A queste, in fase di approvazione in Consiglio Comunale, sono state aggiunte altre cinque: Feltre. Forlanini, Villaggio dei Fiori, Torretta e G1-G2-S.Leonardo. All’inizio di quest’anno è stato deciso di dare l’avvio alla progettazione esecutiva delle prime isole ambientali e la scelta è caduta su quelle di Garibaldi-corso Como e corso di Porta Ticinese. Esaurita la fase di analisi, e approvate le scelte di base contenute nel progetto preliminare, i lavori dovrebbero essere avviati entro la fine del 2002. A. B.
La riqualificazione della Stazione Centrale di Milano All’inizio del secolo venne indetta una gara per la costruzione della nuova stazione ferroviaria di Milano. Vinse il progetto di Arrigo Cantoni, che non fu mai realizzato. Dopo sei anni, una nuova gara. Così, nel primo dopoguerra, nasce la nuova stazione su progetto di Ulisse Stacchini, in cui si ritrova il gusto di un tardo liberty che si rifà alla Secessione viennese. Milano Centrale è la seconda stazione ferroviaria italiana, dopo Roma Termini, per grandezza e volume di traffico. Si articola su più livelli: il piano sotterraneo (-4,5 m), quasi interamente occupato dall’albergo diurno, da servizi e da un cinema oggi dismesso, da magazzini e da locali tecnologici; il livello urbano, costituito dalla Galleria delle carrozze, dal salone biglietteria e dal salone postale; il livello superiore (+7,4 m) sede dei binari e della Galleria di testa, più volte rimodernata. Con la realizzazione del progetto di ristrutturazione le superfici destinate ai servizi primari e secondari (per il viaggio, il ristoro, le compere, la cultura) registreranno un incremento (+92%), determinato sia dalla riorganizzazione funzionale sia dalla realizzazione di nuove strutture (mezzanini, piani rialzati) e nuove percorrenze (scale mobili, ascensori, tapis roulant). Verrà formato un nuovo nodo dei collegamenti interni, a piano terra, al centro della stazione e su esso verranno a confluire gli arrivi della metropolitana; l’acces-
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Milano
Pavia a cura di Elisabetta Bersani, Valerio Oddo, Luca Pagani
Nuovo ponte ferroviario sul Ticino
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Schizzi di studio del progetto e veduta della Stazione.
so dal parcheggio di prossima realizzazione; gli arrivi delle fermate taxi; l’accesso pedonale trasversale, che metterà in comunicazione le due piazze laterali (Luigi di Savoia e IV novembre); le percorrenze di servizio, provenienti dal sottopasso stradale. Da questo nodo centrale partiranno i percorsi meccanizzati, che porteranno fino al marciapiede di testa, al livello dei binari, impiegando scale mobili, tapis roulants e ascensori. Nel fulcro della stazione, il punto di passaggio obbligato per raggiungere i treni, verrà collocata la nuova biglietteria, realizzata seconda una moderna concezione, che favorisce il rapporto diretto fra operatore e cliente. Il livello sotterraneo, il piano terra e il mezzanino saranno il cuore del nuovo polo dei servizi della stazione: nuovi spazi per l’informazione, bar e ristoranti, negozi, attività culturali ed espositive. Verrà avviato un progetto specifico per ottimizzare la leggibilità e riconoscibilità degli spazi delle percorrenze e dei servizi, con l’introduzione di sistemi innovativi, compreso quello di controllo e sicurezza. La riqualificazione prevista comprende un rilevante impegno per il recupero dell’architettura originaria, ma anche l’introduzione di nuovi elementi architettonici in armonia con le strutture storiche. Il progetto, come gli altri che riguardano altre 12 stazioni in Italia, redatti o coordinati dall’Ufficio tecnico della Società Grandi Stazioni, avrà prossima attuazione. R. G.
Nell’ambito del sistema di accessibilità al nuovo Aeroporto di Malpensa 2000, con riferimento all’accordo di programma quadro sottoscritto nel 1999 tra lo Stato e la Regione Lombardia, si inserisce la riqualificazione della S.S. 494 nel tratto compreso tra Abbiategrasso e Vigevano. In particolare, nel suddetto accordo viene prevista, per quanto concerne l’accessibilità su ferro, il raddoppio della linea ferroviaria Milano-Mortara, per il quale risulta attualmente in corso la procedura di valutazione di impatto ambientale ai sensi del DPCM 350/88. L’attuale ponte ferroviario, messo in esercizio a partire dal 1870, ha una destinazione per l’uso sia ferroviario che stradale; il nuovo progetto dovrà invece prevedere l’unica destinazione all’uso ferroviario, si è evidenziata quindi la necessità di rivedere lo schema attuale di accessibilità stradale, anche tenendo conto dei volumi di traffico della S.S. 494, pari a circa 25.000 veicoli/giorno, con valori dell’ora di punta prossimi alla congestione. La progettazione preliminare, iniziata nel 1998, ha potuto analizzare alcuni aspetti, sia per l’inserimento del nuovo tracciato stradale, sia per l’opera di scavalcamento dell’area fluviale. Specifiche soluzioni esaminate in quella fase hanno suggerito, per una serie d’istanze di funzionalità dell’opera, di gestione manutentiva e di inserimento paesaggistico, la scelta tecnologica del tipo di attraversamento: nella successiva fase progettuale definitiva è stata quindi approfondita e scelta la soluzione dell’arco portante a via inferiore. Il nuovo ponte sarà situato a valle di quello esistente ad una distanza di circa 230 m, avrà due campate di circa 145 m che attraversano l’alveo attivo, lasciando un unico sostegno posto all’interno della lanca mediana del fiume: proprio questa “pila” intermedia rappresenta l’appoggio delle due grandi arcate principali che attraversano l’alveo; attraverso la lettura della sezione trasversale dell’impalcato si evidenziano, oltre alla carreggiata per l’esercizio veicolare, il percorso delle piste ciclopedonali poste su entrambi i lati, che permettono, proprio in corrispondenza del sostegno intermedio, anche una discesa verso il greto del fiume. In tale previsione vengono inoltre inserite due piazzette di sosta che permettono la fruizione panoramica del fiume “dal suo interno”. L’esito finale della pronuncia di compatibilità ambientale della Regione Lombardia, ai sensi degli art. 1 e 5 del DPR 12.4.96, avvenuta con Decreto n. 10780 del 11.5.01, ha consentito l’inserimento nella fase progettuale finale di importanti prescrizioni in ordine agli interventi di mitigazione e compensazione ambientale, come ad esempio la riqualificazione delle sponde e delle aree limitrofe, la qualificazione dei corpi idrici interferiti, la localizzazione di aree di parcheggio attrezzato con la qualificazione dei relativi accessi alla viabilità esistente, il collegamento e la realizzazione ex novo di percorsi ciclopedonali. Marco Zanetti
Fotomontaggio del ponte ferroviario.
a cura di Enrico Berté e Claudio Castiglioni
La tratta Seregno-Saronno: infrastruttura di interesse sovraregionale “Il sistema dei trasporti pubblici deve essere efficiente e confortevole, attraente per i cittadini” (A. Soria y Mata, La città lineare, Milano, 1968) Il collegamento Brianza-Malpensa, un progetto che da anni le Ferrovie Nord Milano inseguono e che da molti anni gli abitanti della Brianza vorrebbero vedere attuato, sembra essere un tema di grande attualità in un momento in cui le città sono congestionate dal traffico, in cui la paralisi dei centri è dovuta soprattutto al movimento di milioni di persone costrette ad effettuare spostamenti in auto, non trovando alternativa nel trasporto con il mezzo pubblico; in giornate come queste, l’assillo dell’inquinamento e delle targhe alterne ci fa riflettere maggiormente su quelle che potrebbero essere le soluzioni per una qualità di vita migliore. L’utilizzo della capacità di trasporto merci della rete delle FNM e lo sfruttamento programmato e coordinato della linea ferroviaria Seregno-Saronno (anche in proiezione della futura integrazione con la Cargo operante su Malpensa) potrebbero essere individuati come interventi necessari allo spostamento dalla gomma al ferro del trasporto merci e potrebbero costituire un utile punto d’incontro per diminuire l’incidenza negativa del trasporto pesante sulle nostre strade e l’esigenza della mobilità pubblica e privata che diversamente risulterebbero penalizzate. Le difficoltà tecniche per portare a termine il progetto per il cosiddetto Malpensa Brianza Express sono molteplici ed i costi stimati di grande entità. Il problema del collegamento della Brianza con Malpensa sembrava ormai non essere risolvibile in altro modo se non facendo transitare i passeggeri da Milano e facendo loro cambiare treno. Ma si comprese che si poteva valutare un’altra ipotesi. L’ipotesi considerata più auspicabile fu, senza ombra di dubbio, quella di sfruttare alcune di quelle tratte che oggi sono poco percorse, se non addirittura chiuse al servizio. Per questa ragione la Regione Lombardia e le Ferrovie Nord Milano Spa hanno creato un protocollo d’intesa, sottoscritto da entrambi, atto alla promozione di progetti pilota per la valorizzazione delle aree di interscambio del servizio ferroviario regionale. Uno dei poli individuati di maggior interesse è stato il polo di Saronno, con l’individuazione della tratta Saronno-Seregno come linea da recuperare. Il finanziamento per l’elettrificazione della linea, la realizzazione di un doppio binario tra Ceriano Laghetto e Cesano Maderno, il riammodernamento delle stazioni, con la loro nuova localizzazione, sembra poter essere disponibile. Le FNM hanno redatto già un progetto preliminare della riqualificazione della tratta ferroviaria Saronno–Seregno, inserendola anche tra gli interventi prioritari all’interno del Piano Territoriale dell’Area della Malpensa. Nel 1993 è stato redatto uno studio di fattibilità e nel 1999 uno studio preliminare per la realizzazione della stazione di Cesano Maderno, all’intersezione delle due linee ferroviarie della Milano-Asso e Saronno-Seregno. Molto è stato fatto, ritengo, per la riapertura del tratto Saronno-Seregno, in quanto già ritroviamo la tratta citata all’art. 21 della Legge 7 dicembre 1999 n. 472 “Interventi nel settore sei trasporti“, pubblicata sulla G. U. n. 294 del 16 dicembre 1999 quando si cita: “Alla società Ferrovie Nord Milano Esercizio Spa è concessa, ai sensi del testo unico approvato con regio decre-
to 9 maggio 1912, n. 1447, la costruzione della tratta ferroviaria Busto Arsizio (…) per il collegamento della linea NovaraSaronno-Seregno”. Questa breve linea ferroviaria interessa un’area fortemente urbanizzata, ma un’area che attraversa anche buona parte del Parco delle Groane. La linea ha un’estensione di circa 14 chilometri, attualmente non è elettrificata, è utilizzata, peraltro solo parzialmente, per un traffico merci. Se venisse ripristinata la tratta Seregno-Saronno, sarebbe destinata a rivestire un ruolo strategico di scala sovraregionale, costituendo una prima tratta della “Gronda Nord” ferroviaria Novara-Bergamo-Brescia. La storia della tratta nasce nel 1890, quando il percorso viene aperto sulla tratta ferroviaria di Novara. La linea veniva percor-
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Cartellone illustrativo Littorina Fiat, percorso Riviera-Sestriere, anni ‘30.
sa da quella che era definita “Littorina”, una locomotiva fabbricata dalla Fiat produzione ferroviaria. Dopo aver fatto per molti decenni da padrona incontrastata la locomotiva a vapore, così come in tutte le ferrovie, venne l’epoca della trazione meccanica con i motori ad iniezione. Intorno al 1936 le Ferrovie dello Stato ed altre ferrovie adottarono questo tipo di automotrici, che furono denominate “Littorine”. Curiosa l’origine del nome Littorina, nato dalla fantasia di un giornalista che lo usò in un articolo sull’intervento del Duce all’inaugurazione della città di Littoria, oggi chiamata Latina. Mussolini viaggiò a bordo di alcune Fiat AL 56. Al Senatore Agnelli, che lesse l’articolo, il nome piacque e la Fiat lo adottò per le sue “nuove” automotrici. “Littorina” diventa termine d’uso comune in ferrovia sfidando il tempo poiché ancora oggi, impropriamente, vengono così definite anche le elettromotrici. Nonostante la popolarità, questo termine non è mai stato ufficializzato dalle Ferrovie dello Stato. La linea fu chiusa al servizio dei viaggiatori nel lontano 1958, so-
stituita da un servizio di autobus che oggi risulta poco competitivo sul servizio locale di collegamento tra un centro e l’altro. Certamente il suo ripristino dovrà essere valutato in termini di impatto ambientale, considerato il fatto che la linea attraverserebbe il Parco delle Groane. Corridoi ecologici, riqualificazione delle aree boscate ed interventi di mitigazione adeguati potranno contribuire ad una migliore percezione dell’infrastruttura. La necessità di “restituire” la città al cittadino, separando i movimenti pedonali da quelli veicolari e, più in generale, di recuperare i centri urbani come spazi di socializzazione, darà avvio ad una riconsiderazione sui mezzi e le modalità del trasporto collettivo, che investirà la forma, la struttura e i modi di espansione della città. Emanuele Brazzelli e Laura Gianetti
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Un esempio di architettura ospedaliera Si è poco parlato e scritto, a mio avviso, di un’opera in corso di realizzazione a Varese. Mi riferisco al nuovo nosocomio, la cui realizzazione è prevista a lato dell’Ospedale di Varese detto Ospedale di Circolo. Le informazioni qui riportate le ho tratte dal periodico di informazione “H Orizzonte”, mentre le fotografie sono state gentilmente fornite dall’Azienda ospedaliera varesina. Il costo complessivo dell’opera si aggira intorno a duecento miliardi di lire ed il programma dei lavori prevede l’ultimazione di tutte le opere entro l’anno 2005. Era stato effettuato l’affidamento degli incarichi, relativi alla progettazione, il 23 maggio 2000, l’approvazione del progetto definitivo era avvenuta il giorno 11 maggio 2001 ed i lavori, che saranno aggiudicati entro la fine del mese di febbraio 2002, inizieranno a marzo. L’ul-
Vedute prospettiche del nuovo Ospedale.
timazione delle opere è prevista per il mese di marzo 2005. Il progetto di “ristrutturazione ed ampliamento dell’Ospedale di Circolo” è firmato da Ishimoto Architectural and Engineering Firm, Tekne S.p.A. e Studio d’ingegneria Corbellini, mentre responsabile del procedimento per il progetto e per la sua realizzazione è l’architetto Paolo Ciotti, coordinatore della gestione tecnico-patrimoniale dell’Azienda ospedaliera varesina. Il finanziamento dell’opera è ripartito tra lo Stato, l’Azienda ospedaliera e la Regione Lombardia. Un intervento di così grande importanza patrimoniale ed architettonica merita una risonanza maggiore di quella che fino ad oggi esso ha avuto. Infatti, e non credo di sbagliare, definendo l’opera in esame uno degli interventi edilizi di più ampio respiro in atto in Varese e provincia. In linea di massima i criteri informatori del progetto sono i seguenti: anzitutto si è cercato di ottenere una migliore qualità di vita sia per i degenti sia per gli operatori. Il progetto ha rispettato la collaudata soluzione della pianta a forma di “H”, con due monoblocchi collegati tra loro da un corpo di fabbrica interno, per consentire l’ubicazione dei diversi servizi sullo stesso piano, così evitando la perdita di tempo in discese e risalite e così consentendo la tempestività degli interventi. Al primo piano è prevista la terapia intensiva, mentre ai piani successivi sono previste le degenze mediche e chirurgiche. Gli edifici dell’attuale ospedale, che si prevede di non demolire, continueranno a contenere i servizi di dialisi, nefrologia, radioterapia, oncologia medica ed altro. Il complesso edilizio si sviluppa su differenti livelli prospicenti la via Guiccardini, il piazzale Avis e la via San Michele del Carso. I servizi diagnostici e di terapia sono allogati in due piani interrati con una superficie lorda di pavimento pari a circa 15.000 metri quadrati ciascuno. Al secondo piano interrato sono collocati le centrali tecnologiche, la cucina, la farmacia ospedaliera, la centrale di sterilizzazione, mentre al primo piano seminterrato sono collocati la diagnostica per immagini, n. 20 sale operatorie, il laboratorio di analisi cliniche e di microbiologia, il servizo trasfusionale, la medicina legale ed inoltre al piano terreno sono collocati l’obitorio, la cappella mortuaria, la hall dell’ingresso, alcuni negozi, la farmacia per il pubblico, la sala ristorante, l’area poliambulatoriale, il dipartimento di emergenza ed urgenza (Pronto Soccorso), compresa la “camera calda” di arrivo delle ambulanze e la disponibilità di un totale di n. 11 posti letto di astanteria/osservazione. Sopra la piastra dei servizi sono previsti n. 2 padiglioni di degenza di n. 6 piani ciascuno. Al primo piano è prevista l’area di terapia intensiva per un totale di n. 70 posti letto, negli altri piani troveranno sede le degenze dell’area chirurgica e dell’area medica per un totale n. 640 posti letto. Sopra uno dei padiglioni è prevista la realizzazione dell’elisuperficie. In totale il nuovo complesso ospedaliero prevede di poter disporre di n. 721 posti letto, cui si aggiungeranno quelli rimasti in alcuni reparti che non verranno smantellati, come quelli di dialisi e radioterapia. Le stanze con n. 1 oppure n. 2 posti letto, saranno dotate di servizi igienici, radio e Tv, le divisioni interne saranno realizzate in materiale prefabbricato con il concetto di pareti mobili, per eventuali modifiche future, la distribuzione dei cibi ed il recupero dello sporco avverranno in parte con percorso robotizzato. Nell’esistente area di piazzale Avis è prevista la realizzazione di un parcheggio interrato di n. 5 piani con capacità di n. 1000 posti auto e con accesso sotterraneo diretto alla piastra dei servizi ed ai padiglioni per la degenza. Come si voleva dimostrare è in fase di realizzazione a Varese un’opera di architettura e di tecnologia ospedaliera d’avanguardia che nel futuro prossimo arrecherà un grande prestigio alla città, alla provincia ed alla Regione Lombardia. Enrico Bertè