CAPITOLO PRIMO
ARCHEOLOGIA E STORIA DEI CASTELLI Castelli e incastellamento. Problemi di archeologia stratigrafica. Archeologia forestale.
U
na fortificazione, che sia costituita da una torre o da un elemento più complesso quale è il castello, non esclude che trovi le sue origini nel fenomeno del popolamento, che in età tardoantica si circoscriveva a poche città e piccoli aggregati rurali, a discapito di altri centri1 che scomparvero a poco a poco definitivamente. La nascita o la crescita – anche in senso verticale – degli agglomerati urbani e l’evolversi di diversi tipi di occupazione del suolo nell’altomedioevo, fecero registrare un fenomeno ben più vasto della semplice costruzione dei castelli, che veniva formandosi in un processo articolato in tre fasi distinte: 1) creazione giuridica e localizzazione del territorio; 2) fortificazione dell’abitato; 3) concentrazione dell’insediamento2. La creazione giuridica necessita in sé di un insediamento stabile, che subito dopo la guerra greco-gotica (535-553) e la spedizione di Costante II (663) non sembra
avere peculiarità proprie data la mancanza di un sicuro e duraturo potere3. Questo fenomeno conosciuto col termine di incastellamento è ben distinto dalla costruzione del castello e si configura in quei rapporti linguistici che sono definiti dalle fonti chòrion, kastron, o locus e castellum, rispettivamente insediamento aperto (stabile) e fortificato, nei quali il sistema bizantino vede la sua organizzazione naturale nello sfruttamento del territorio4. A Bari fu il monaco Bernardo, tra l’864 e l’866 circa a notare che la città era duobus (...) a meridie latissimis munita muris5, ma già al tempo del secondo emiro Mufarràg ibn Sallàm (853-856) la prima attestazione sulla presenza di città fortificate ci informa che esse non erano poi così rare: «Mufarràg (...) – infatti – prese e tenne 24 castella»6. Non residenze con palazzo, ma fortificazioni a difesa dell’intera città che videro un ulteriore rafforzamento con la seconda dominazione bizantina, segnando anche una radicale trasformazione in una importante città del Mezzogiorno, Taranto,
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come è stato documentato in recentissimi scavi7. È però dal VI secolo che a Taranto inizia la storia del popolamento medievale. Nel ricordato conflitto greco-gotico fa da scenario un porto militare che dovette apparire troppo grande al duca bizantino Giovanni, giunto in aiuto contro i Goti, se questi, allora decise di separare con un istmo lungo venti stadi l’antica acropoli, la sola zona sicuramente difendibile. Resta da considerare però l’occupazione musulmana dell’840 che pare abbia conservato nel tessuto urbano un ordito ben evidente di vicoli ciechi e di cortili, specialmente nell’area compresa tra via Duomo e via Garibaldi: tutti moduli urbanistici arabi, ma effettivamente anche adattati a schemi castrali bizantini che fecero probabilmente perdere ogni traccia del vero castrum altomedievale che doveva occupare l’area della batteria napoleonica detta di “Castel Saraceno”, dove oggi insiste Piazza Ebalia. In esso il primo emiro, Saba, inizia la dinastia araba che dura sino all’880, quando le armate di Basilio I riconquistarono Taranto consentendole di rafforzarsi come emporio commerciale e militare; lo testimonia una iscrizione trovata nell’arx del 967 che attesta la ricostruzione voluta da Niceforo Foca che riguardò la costa settentrionale del Mar Piccolo, colmata per la creazione di nuovi spazi ordinati in unità a schiera, secondo uno schema consueto di organizzazione urbana dei nuovi centri di fondazione bizantina. Nell’ambito dello sviluppo di ogni singolo insediamento, particolare riguardo hanno
quelli di fondazione religiosa. Il materiale storico disponibile è abbastanza chiaro per quanto riguarda i monasteri e ripercorre un topos comune: una serie di leggende e documenti seriori che attesterebbero il popolamento – o ripopolamento – di un’area deserta; esempi se ne trovano in Campania, nel Molise, in Basilicata ed in Puglia. Nel monastero di Santa Maria sull’Isola di San Nicola di Tremiti è presente, all’interno di una grotta chiamata “Cegliere”, una tomba a sarcofago sagomato scavata nella viva roccia. Gli scavi condotti all’interno, pur non mostrando alcun metriale significativo, consentono di ipotizzare che si tratti di una tomba privilegiata, forse anteriore al XIII secolo. Al periodo federiciano, o meglio primoangioino, si riferiscono alcune murature della fortezza dell’Isola di Tremiti. Si tratta del periodo cosiddetto Cistercense, da ritenere importante sotto il punto di vista architettonico e storico; a questo si riferiscono strutture murarie come la torre quadrangolare d’ingresso alla Fortezza, ovvero il donjon, e le torri a pianta circolare facenti parte del circuito insulare. Ovviamente tutto coincide con una serie di provvedimenti difensivi che interessarono molti castelli e città costiere del Gargano. Tra XI e XII secolo i cambiamenti e le trasformazioni insediative erano già vistosi: la formazione di identità cittadine consentì la costruzione di vere e proprie residenze fortificate. Nella stessa città di Bari non appena i due fratellastri Boemondo e Ruggero Borsa nel 1089 si scambiarono le città di Cosenza e Bari, dove avevano giu-
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1. Ripacandida, Chiesa di S. Donato. Affresco del XV sec. raffigurante la costruzione della Torre di Babele
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rato di non costruire castelli urbani 8, le fonti attestano, dieci anni dopo, l’esistenza di un castello dove aveva sede la corte di Boemondo9. ❖❖❖ La residenza fortificata o, in generale, la fortificazione normanna, è caratterizzata da un baluardo artificiale di terra con elementi strutturali in legno, circondato da un fossato. Gli scavi archeologici lo hanno documentato a Scribla e a S. Marco Argentano, nella Calabria settentrionale, a Vaccarizza, nei pressi di Troia, in provincia
2. Taranto, Tempio di Poseidon. Strutture moderne ed antiche convivono testimoniando continuità di vita ed anche stratigrafica.
di Foggia 10 e, come vedremo, anche a Gaudiano presso Lavello. La tipologia sembra sia stata abbastanza comune, tanto che la stessa funzione difensiva rendeva l’insediamento stabile e quindi abitabile; ma la differenza tra la fortezza realizzata con riporti di terra e il sistema costruito con pietra si fa netta quando a Bari, nel 1079, il castello è distrutto dagli abitanti, che si pongono in netto contrasto con una struttura che rappresenta il dominio11. A quelle entità propriamente attrezzate però si affacciano altri tipi di occupazioni del suolo, i casali, che a loro volta convivendo con la struttura castellare dimostrano per la loro proprietà che «l’impronta normanna nell’habitat dell’Italia meridionale è profonda»12, ed è collegata alla crescita della popolazione e alla natura del potere. Abbiamo infatti già notato che l’instabilità del potere non portò nell’alto medioevo ad un insediamento duraturo e ciò costituisce un primo elemento di contrasto tra mondo bizantino e mondo normanno. Un altro sostanziale contrasto, inteso però come rapporto dialettico, consiste in quella funzione oppressiva della residenza fortificata, come ha ben rilevato Raffaele Licinio nell’esaminare le vicende del castello barese, su alcuni lavori affidati nel 1131 a maestranze islamiche13 e subito sospesi per motivi di sicurezza14. Oggi il castello di Bari può essere considerato uno dei più articolati e studiati, ma non scavati con metodo analitico e con finalità ben precise. Organizzato in un ambiente centrale più antico, di pianta
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3. Miglionico, Castello. Dai restauri provengono le recenti ricerche archeologiche.
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4. Bari, Castello. L’ingresso e la cinta aragonesi.
trapezoidale con quattro torri angolari – sudovest, dei Minorenni; sudest, del Faro; nordest, del Monaco e nordovest, del Vento – di cui solo la prima più alta, è circondata da una cinta bastionata fatta costruire da Isabella d’Aragona prima del 1524, anno della sua morte, secondo i nuovi canoni dell’arte di costruire fortificazioni con l’avvento della polvere da sparo, definiti appunto “del periodo di transito”, dove la serie di archetti pensili che corrono sotto il toro tra il primo e il secondo ordine non hanno altra funzione se non estetica. Le caditoie disposte lungo i fianchi dei bastioni sono ancora pertinenti ad una difesa piombante.
All’interno la fortezza è coperta da archivolti e decorata con capitelli e cornici. L’intervento federiciano invece è documentato nel 1233 quando l’imperatore fortifica anche i castelli di Trani, Brindisi e Napoli15, e in questa attività si riconoscono l’archivolto riccamente scolpito all’ingresso dell’ala occidentale, il portico colonnato con volte a crociera e paraste finemente decorate con motivi antropomorfi e vegetali16. La tecnica con la quale il castello è stato realizzato, in una roccia calcarenitica plio-pleistocenica le cui cave possono provenire dai dintorni (contrade Fesca e S. Francesco), è perfettamente lineare, squadrata, con nessun elemento aggettante e con le basi delle torri lievemente a scarpa. I conci sono legati da una malta che non è stilata, dato il perfetto incastro delle pietre. Il modulo, di 210 centimetri, è assai diverso da quello registrato
5. Genzano. Planimetria del Castello di Monteserico (da Pellettieri-Masini).
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6. Bari, Castello. Il porticato medioevale nel XIX sec.
nella cosiddetta Gipsoteca, dove negli anni Settanta apparvero murature delimitanti ambienti rettangolari con pavimenti lastricati e soglie poste ad una quota sopra il livello del mare di +2,91 metri. Gli elementi orizzontali si sovrapponevano ad un battuto più profondo (m. +1,96 s.l.m.) riferibile ad un altro precedente piano di calpestio17. Resti di strutture abitative e di una chiesa della fine dell’XI secolo rinvenuti nell’ala nord e, recentemente, nel piazzale antistante il castello, tra gli “strati” tagliati dal fossato
cinquecentesco, sono associabili ai frammenti ceramici e monetali nei quali si può riscontrare una continuità di vita: acroma broad line, narrow line (il riferimento è alla decorazione e non ai tipi vascolari) con protomaiolica, invetriata policroma e graffita invetriata18, oltre a maiolica policroma rinascimentale19. Ma sulla base di questi presupposti, è necessario, e soprattutto può risultare utile proseguire una ricerca sull’archeologia dei castelli? Superata la fase della storia degli studi
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sulle più importanti fortezze, che hanno visto una sintesi suggestiva della Calò Mariani nell’edizione italiana dell’opera di Arthur Haseloff 20, analizziamo ciò che questo bilancio può indicare ai fini di un programma che si concretizzi nella storia del sito. La ricerca pone la sua attenzione sulle città abbandonate21 disposte soprattutto nel Tavoliere, proseguita ad opera di una collaborazione fra l’Università di Bari e l’Ecole Française de Rome. Si tratta di esplorazioni e scavi sistematici che hanno avuto come punto di riferimento il sito di Fio-
7. Bari, Castello. La Torre del Semaforo.
rentino, del quale è stato messo in luce il palatium, parte dell’abitato e le fondazioni della torre orientale. L’edificio imperiale, suddiviso in due ambienti, mostra nel muro ad est una preesistenza – non ancora datata – ed appare nell’impianto principale, secondo la Calò Mariani, come un probabile donjon normanno22. Che Federico II abbia modificato evidenze architettoniche più antiche è anche registrato nel castellum di Ordona, dove su un’altura a nord dell’abitato tardoromano fu trasformata una chiesa databile al IX-XI secolo in sede palaziale, mediante chiusura delle campate e probabile costruzione di quattro torri agli angoli23. Maggiori relazioni con gli scavi archeologici sono messe a fuoco nel restauro dei grandi monumenti. Le prime indagini si svolsero attorno al castello di Lucera, a partire dagli anni Trenta, dove affiorò il materiale ceramico, come le protomaioliche con figura umana o i famosi vasi-filtro in argilla chiara, di tradizione islamica24. La fortezza, studiata anche a partire dal 1964-65 per mezzo di scavi a trincea e nei pozzi neri della struttura, rappresenta una delle più grandi mai costruite nel medioevo e conserva stratificazioni che coprono un lunghissimo arco di tempo dal neolitico ai nostri giorni25. La cinta, lunga oltre novecento metri, è realizzata con una cortina di torri cilindriche (la torre “della Regina” nell’angolo sudest, alta 25 metri con diametro di 14 metri e spessore dei muri 2 metri; l’altra, di diametro più piccolo, detta del “Leone”), quadrate e pentagonali e rac-
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8. Bari, Castello. Cortile centrale in un’immagine del XIX sec.
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chiude il nucleo svevo, ubicato nell’angolo nord-ovest, realizzato in mura di laterizi con cantonali in blocchi di pietra calcarea. L’imponente struttura fu costruita a partire dal settembre 1270 e con alterne vicende che portano a suddividere i lavori di costruzione in tre periodi sino al 1282 sotto la direzione di Pierre d’Angicourt e di Riccardo da Foggia (dal 1274)26, poiché Lucera restò luogo strategicamente importante da quando Federico II vi trapiantò la colonia islamica che si disperse nel 1300 sotto Carlo II27, e che segnò l’abbandono progressivo del castello. Attualmente nel castello di Lucera sono ben visibili una prima fase più antica, un’altra rappresentata dall’impianto federiciano, la successiva evidenziata dal muro a scarpa con feritoie e numerosi edifici rettangolari, sede delle abitazioni dei soldati, una cappella e il palazzo angioino. Ora, se la parte principale della fortezza è il palazzo federiciano, mi sembra opportuno riferire alcune note sugli altri elementi strutturali fra i quali la cappella angioina. Da quest’ultima sono rilevabili importanti informazioni sulle tecniche costruttive; nel 1276 l’opera procedeva cotidie et sollicite e nel 1279 era totaliter facta et completa – ma forse era ancora priva di copertura – con una cisterna longitudinis cannarum 6 illius amplitudinis, cuius est cappella ipsa. La fabbrica con la sua cisterna conserva solo le fondazioni che restano di particolare interesse poiché mostrano una sola navata lunga 25,30 metri e larga 11,30, con un’attigua sacrestia. È interessante notare quanto sia necessaria
una ripresa sistematica degli scavi nel castello di Lucera che viene anche confermata da indagini e sondaggi finalizzati alla conservazione del monumento28. Per considerare il recupero obiettivo del monumento è necessario anche programmare un’indagine verso elementi antichi e moderni cui associare eventi compiuti. A differenza però delle semplici stratificazioni interposte fra due o più limiti di uno stesso edificio, il castello diventa un bacino di deposito soggetto a continue trasformazioni. In sostanza, pur ricavando dati stratigrafici affidabili, non è da trascurare che questi provengono dai limiti non naturali delle unità stratigrafiche. Esse sono in continuo rapporto con gli elementi verticali e permettono un inquadramento multiperiodale che è possibile solo con lo scavo stratigrafico. La chiusura di una porta, per esempio, o la messa in opera di pietre produce come effetto elementi orizzontali29 come piani di malta e pietre angolari (schegge) simili a quelli ritrovati nel Saggio I del castello di Trani (US 200). Ora, questo metodo, sebbene unanimemente riconosciuto, procede con un criterio di tipo random, vale a dire non ancora sistematico; il problema può essere considerato da alcuni non apprezzabile e mostrerebbe forse interessi diversi nella pianificazione archeologica che, a questo punto, si rivela debole nei confronti della pubblica opinione e di chi vuole ricavare una sostanza concreta, un dato sicuro da utilizzare per gli studi successivi. Il fatto che continuino a sfuggire le possibilità con cui
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9. Bari, Castello. Le strutture abitative dell’XI-XII sec. rinvenute al disotto della Gipsoteca.
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l’archeologo del medioevo in Puglia e in Basilicata può costruire una storia reale non porta ad una valutazione complessiva dei singoli fenomeni registrati. Iniziando dalle strutture murarie si comprende che la destinazione con il passare del tempo può variare30 componendosi infine in elemento architettonico. Preso in sé, cioè come prodotto finale, resta inutilizzato, ma recenti campionature ad Egnazia (Fasano, prov. di Bari) confermano che prosegue la tecnica costruttiva a secco (datata al XVII-XVIII secolo) in sovrapposizione all’opera poligonale messapica con le medesime funzioni, cioè di limite urbano o di campo. Tuttavia ciò che si vuole chiarire non è la semplice analisi dei procedimenti costruttivi, ma dei materiali e dei trattamenti utilizzati che condizionano l’intero paesaggio
10. Castelfiorentino. L’abitato.
urbano, e le pratiche edilizie nelle dimore rurali. È naturale che l’uso della strumentazione
11. Il Castello di Lucera.
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12. Bari, Castello. Planimetrie degli scavi nell’ala nord con i resti della chiesa dell’XI sec.
riveli destinazioni ben distinte: proseguendo con gli esempi un muretto iconostatico dell’XI secolo è lavorato con gradina, mentre alcuni muri di fondazione seriore di un centinaio di anni nella Cattedrale di Bitonto sono lavorati con martellina e i conci sono disposti su letti di posa dove si tende ad uniformare lo spessore della malta per ricavare un valore più elevato del “modulo”. Diversamente, nelle strutture fortificate “normanne” e “sveve”, oggetto del nostro studio, sono realizzati grossi conci a bugnato perfettamente squadarati e privi di stilatura, con un modulo che in età aragonese diverrà più piccolo. A proposito delle tracce lasciate sul concio lavorato esse permettono di verificare la datazione dello strumento di lavoro o di ricostruirne la forma, secondo alcune recenti esperienze francesi31 al fine di studiarne diffusione e possibilità di impiego. Riferendosi sempre ad indicazioni stratigrafiche, capisaldi nell’analisi descrittiva e nelle sintesi, si può accennare al problema delle origini della bocciarda, le cui tracce sono
documentate in molte fortificazioni e abitazioni civili. Secondo Jean-Claude Bessac lo strumento appare in Italia nel XVII secolo32 (ma forse si dovrebbe approfondire la questione), quindi è possibile ipotizzare che il tipo del martello puntinato potrebbe avere un’origine più antica: lo scavo di un vano del castello di Trani ha messo in luce alcuni proiettili in pietra bocciardata riferibili al periodo VII, databile al XIV-XV secolo, ma un solo scavo non può essere né elemento datante né dato sicuro. Restiamo, per ora, ai soli dati forniti al cantiere del castello di Lucera, che oltre a documentare modalità e tempi di esecuzione dei lavori, offrono un quadro interessante della vita del cantiere e della sua organizzazione.
13. La fase angioina del Castello di Lucera. È da questo settore che possiamo ricavare maggiori informazioni sui caratteri costruttivi della fortezza.
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Molti lavori, ad esempio, erano concessi ad extalium, cioè a cottimo, cui ad un livello superiore era la figura del carpentarius come il magister carpentarius gallicus Jean de Laum e l’ingenierius carpenterius Jean de Toul, il cui compito specifico era la costruzione degli ingenia o macchine di sollevamento dei materiali; per la parte tecnica sulle opere murarie vi sono magistri lutifiguli (artigiani di mattoni ed embrici), muratores, fabricatores, incisores (tagliapietre, scalpellini), scappatores (cavapietre), calcarii (addetti alle fornaci di calce), intunacatores (intonacatori), fabbri e magistri qui bene sciant laborare finestras vitrea... Di tutti questi e del loro lavoro, in parte a cottimo, ne troviamo conferma con i contrassegni lapicidi incisi dai tagliapietre sui blocchi lavorati ed utilizzati come cantonali delle torri e degli stipiti delle porte. I contrassegni permettevano al capocantiere di verificare il numero delle pietre lavorate in una giornata in modo da attribuire all’operaio il corrispondente pagamento33. Tra i vari segni sono evidenti le lettere, le croci ed altri simboli, la cui unica classificazione è quella operata da A. Haseloff34. Altre sono poi le esperienze che vanno maturando in seno all’archeologia35. Per esempio nel momento in cui si dovrà operare una scelta nei sistemi di campionatura delle malte, degli intonaci o di tutto quello che possa interessare la costruzione (capriate, volte, murature, eccetera)36, è necessario considerare un metodo già applicabile sotto qualsiasi forma di indagine: i1 rilievo in scala 1:20 in base ad un
reticolo di 1,00 x 2,00 metri, può essere circoscritto a tutti gli interventi post-classici, dalla survey al saggio stratigrafico che presenta difficoltà nelle sequenze cronologiche assolute. Tale analisi si impone quando ci troviamo di fronte a migliaia di unità stratigrafiche murarie (USM) documentate a loro volta in una struttura muraria (UER, Unità Edilizia Riassuntiva)37 che si presenta in diversi “moduli”, cioè con diversi spessori di malta e letti di posa dei blocchi38. Anche in questo caso è importante tenere conto che le ricerche effettuate nel territorio, iniziate nel 1991 in occasione dello scavo nel castello di Trani e quindi portate a termine soprattutto nella Terra di Bari, furono del tutto fortuite non appena ci si accorse che sui materiali della stessa natura si presentavano tracce diverse di lavorazione. In primo luogo su quelli più antichi sono riconoscibili la gradina (su pilastri e ghiere di archivolti), l’ascia dentata e la martellina a doppia punta (quest’ultima ritrovata sulle strutture murarie della cattedrale di Ruvo datate all’XI-XII secolo); manca l’ascia piana, utilizzata in monumenti propriamente normanni. Sulle strutture più recenti del castello (XIX secolo) evidente è la bocciarda (in maggior percentuale a superficie convessa). Per quel che riguarda le cave di estrazione, si ricorda quella sicuramente antica in contrada Lamadoro, presso Trani, dove la roccia è bituminosa ed assume un colore grigio, che diventa, dopo l’estrazione, più scuro. Cave dello stesso tipo si trovano a Bari (contrada S. Francesco, Fesca e Quat-
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14. Brienza, il Castello con i resti della fortificazione dell’abitato.
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15. Lucera, Castello. La Torre della Leonessa con l’alto basamento in bugnato ed il rinforzo a scarpa nel XIX sec.
16. I potenti strati (US 2OO) effetto del lavoro di costruzione del Castello di Trani ricoperti da livelli di vita (US15).
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17. Craco. L’abitato ai confini dell’antico insediamento medievale.
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a
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18. Sistemi di campionatura di murature con rilievi a maglia di 1x2 metri in scala. a) abitazione del XVI sec. a Bitonto; b) muri d’ambito di Castel Lagopesole; c) mura bizantine di Canne della Battaglia; d) fondazioni del Castello di Canosa; e) Torre dei Minorenni del Castello di Bari; f ) un vano del Castello di Barletta.
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tro Strade), Ruvo (contrada S. Lucia), Canosa (contrada Profico) e Bitonto (contrade Pezza Santoro e Selva della Città). Un altro tipo di calcare, maggiormente utilizzato, è quello compatto cretaceo a grana minuta, omogenea e cristallina, con frattura concoide, ottima per la lavorazione a bugnato, le cui cave sono situate nelle contrade del Puro, Gesumaria e S. Angelo a Trani, l’Avvantaggio a sud di Barletta ed anche ad Andria, Canosa, Terlizzi, Bitonto e Ruvo. A Lama Paterno di Trani esiste il tipo a grana ancora più fine, utilizzato per le cortine dell’impianto federiciano del castello di Trani. Nell’area del Vulture pare non siano state utilizzate cave di tipo diverso da quelle a cielo aperto. Alcune piuttosto antiche
Bitonto
sono state rintracciate a sud e ad est della strada Venosa-Ripacandida, ed anche più a nord in località Toppo di Mosca, composte sia da calcareniti scuri che da pietrisco utilizzato come legante. Sul “Toppo di Monticchio” si trovano probabilmente cave in arenaria utilizzate per edificare la Badia di S. Ippolito a Monticchio e per l’ultimo rinforzo del castello omonimo. I materiali vulcanici sono presenti nel fossato del castello di Melfi e sulla strada Rionero in Vulture-Ripacandida. Poiché una US verticale può essere composta anche da materiale terroso, una particolare attenzione viene data al deposito archeologico: in Italia la prima indagine che metteva in relazione i due materiali al fine di approfondire la genesi di una for-
Bitonto
Bitonto Trani
Mazza
Martellina
Piano Subbia
Martellina a punta orizzontale
Gradina Trani
Bocciarda
19. Iniziando dalle ricerche di R. Parenti, si procede all’analisi delle strutture in giacitura primaria.
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tezza e di registrare tecniche edilizie e rapporti commerciali fu lo scavo del “cassero” senese di Grosseto che, sotto la cura di Riccardo Francovich e Sauro Gelichi, restituì una miriade di informazioni sulla società e sull’economia medievali39. I diversi sviluppi della storia della cultura materiale, salvo il caso del palatium di Ordona, hanno comportato una serie di deduzioni stimolate dal rinvenimento fortuito dei reperti e dall’intensificarsi di restauri di chiese e castelli. Descrivere quindi i dati generali, fornendo un quadro alquanto completo dei castelli scavati richiede una profonda riflessione e non pone che una visione problematica del monumento. Le considerazioni di carattere architettonico, per le quali ogni intervento è ascrivibile ad un periodo di breve durata (federiciano, svevo, angioino, aragonese)40 o addirittura lunghissimo nell’accezione di “medievale”41 sono prive di fondamento storico. Allo stato attuale solo gli scavi di Lucera hanno consentito così di definire una cronologia nella sequenza relativa alle acrome dipinte a bande larghe (broad line) o strette (narrorw line) e nella invetriata unita ai vasi-versatoio con tubolare obliquo42. Per i primi due tipi, la sequenza è oggi ritenuta superata, anche se questa classificazione ha mostrato la sua validità. Contemporaneamente ad una presunta e pur credibile origine della maiolica in Italia, non si trascuri che l’impiego dello smalto stannifero fu proprio dell’Islam, ed è fuori di ogni dubbio che attorno alla metà del XIII secolo essa appare in modo cospicuo in diverse
forme e tipologie decorative43. Nello scavo dei castelli è utile studiarne la presenza e di conseguenza la sua diffusione negli altri centri culturali tenendo conto che molti esemplari di vasellame non fanno parte del “quotidiano” dell’abitato, ma convivono accanto ad esso. Il ritrovamento di questi reperti attesta invece una condizione privilegiata, considerata secondo un metodo che proprio perché casuale (laddove dovrebbe essere invece pianificato), non porta a tipologie tecnologiche, ergologiche e architettoniche determinate. Durante lo scavo del castello di Trani è stato possibile sperimentare alcuni sistemi di lettura dei suoli antichi e delle trasformazioni strutturali, ma in altri siti non è stato possibile il medesimo intervento, vale a dire che non si è potuto verificare se essi siano da ritenersi collegabili a fattori naturali o, al contrario, voluti dall’uomo. Gli eventi sono in maggior percentuale determinati e pianificati, il che avvicina lo stesso monumento alla condizione in cui si trovano le stratificazioni urbane. Meno complesso è il sistema fortificato caratterizzato dalle torri isolate come in Adelfia (BA) (secondo la tradizione eretta nel 1146 nella contrada Canneto, a pianta quadrata) e Rutigliano, entrambe coronate da una serie di archetti pensili su mensole dove si innestano le caditoie su ogni lato44, mentre il castello di Mola presenta un aspetto abbastanza semplice. Di pianta quadrangolare con un nucleo originario fondato da Carlo I intorno al 1278, di esso vengono date le dimensioni l’8 giu-
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20. Monticchio. Rinforzo esterno con fori per travicelli ad una fila di montanti del Castello.
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21. Monticchio. Le tre fasi edilizie del Castello.
22. Adelfia. La torre normanna ricostruita nel XIV sec.
23. Mola di Bari, Castello. Il cortile.
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gno 127745. Dopo alterne vicende (è stato posseduto dai Veneziani nel 1495 e dagli Spagnoli nel 1511), in seguito fu ulteriormente ampliato tra il 1535 e il 1540, inglobando le vecchie torri46. Anche qui è stata documentata la presenza di ceramica narrow line con l’invetriata policroma nel tipo della brocca47. Sulle singole torri di Adelfia e Rutigliano, considerate del VII-VIII secolo ancora nei
repertori dei castelli, troviamo, invece una felice intuizione a proposito della datazione di una torre presso Castiglione in agro di Conversano. La funzione del mastio, assimilabile alla torre centrale del castello di Conversano, faceva notare che nel sito di Castiglione la pianta quadrilatera e la sopraelevazione con blocchi mediamente ben rifiniti e beccatelli posti al livello del terzo ordine, riportava invece la datazione
24. Conversano. Il cortile centrale del castello.
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alla seconda metà del XIV secolo. Scavi sistematici, che hanno forse confuso diverse unità stratigrafiche riunendo quindi anche i loro componenti, furono effettuati nel singolare complesso di Sannicandro di Bari, già notato per l’originalità delle forme, essendo un quadrilatero
centrale con una cinta turrita composta complessivamente da otto torri, di cui tre fanno parte del complesso più antico. I1 castello, che presenta vari aspetti icnografici, a mio parere, simili a quello di Ceglie del Campo (frazione di Bari) sorse secondo la leggenda su un antico casale, Castel Mezardo, dove poi alcuni monaci fondarono S. Nicandro – è l’antico nome del paese – e su cui successivamente lo stratega Piccinigli nel 916 fece costruire un fortilizio a protezione della strada che collegava Bari con Taranto 48. Fu con i Normanni che venne incluso fra le venti baronie della Contea di Montescaglioso. Nel 1119 il feudo di S. Nicandro è tenuto da Emma, sorella di Ruggero II, e Ruggero Maccabeo suo figlio; nel 1134 appartenne a Guido de Venusio, signore di Casamassima, mentre nel periodo svevo non si sa nulla tranne la probabilità che fosse appartenuto all’arcivescovo di Bari nel 1225 e nel 1242, dove è menzionato in quest’ultima data, un Grommando, Castaldo di S. Nicandro49.
25. Monticchio. Planimetria generale della collina del Castello, un’importante zona archeologica da valorizzare: A,B,C: percorsi di accesso; D: ingresso in direzione dell’abitato.
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Archeologia e storia dei castelli
26. Sannicandro di Bari. La fortezza nel XIX sec.
27. Bari, Ceglie del Campo. Una torre del Castello.
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Archeologia e Storia dei castelli di Basilicata e Puglia
28. Manfredonia, Castello. Cortile centrale.
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Archeologia e storia dei castelli
Successivamente il castello è citato nel 1277 quando Carlo I nomina Egidio di Capua alla custodia palatii nostri Sancti Nicandri Terre Bari50. La fortuna ha voluto che il castello fosse in pieno centro storico, mostrando negli scavi ben dieci fasi di frequentazione che ininterrottamente partono dall’Età del Ferro sino al XIX secolo51. A proposito della ceramica non sembra opportuno collegare il ritrovamento del tipo narrow line con l’attività di Federico II 52, perché è stato dimostrato che questo reperto è un retaggio del vasaio locale e non una peculiarità del basso medioevo. La ceramica è in questo caso non il “fossile-guida”53, ma
un “fossile-guida”, cui associare l’invetriata per la quale però si possono riscontrare influenze e rapporti commerciali diretti, come nelle importanti Salapia, presso Manfredonia, e Trani, dove forse il contatto con il mondo orientale è stato più frequente54. Il suo ritrovamento in particolari unità stratigrafiche (livelli d’incendio, strati primari definiti di abbandono) consente una lettura della dinamica di formazione del suolo e del deposito che è circoscritta all’attività di bonifica o produzione di rifiuti (cortili del castello di Trani; cortile minore del castello di Lagopesole), eventi che rappresentano quindi livelli di vita anziché di abbandono.
29. Il Castello di Manfredonia.
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Archeologia e Storia dei castelli di Basilicata e Puglia
30. Manfredonia, Castello. L’intervento aragonese si impianta su quello precedente.
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Archeologia e storia dei castelli
31. Rocchetta Sant’Antonio, Castello D’Acquino.
I1 recupero della ceramica definita invetriata policroma, databile al XIV secolo, portò alla conservazione di suddetto materiale durante gli sterri del castello di Brindisi, allo studio del castello di Oria55 e, recentemente, di Manfredonia 56 . A Brindisi il castello, costruito da Federico II con materiale di reimpiego, si protende sul mare con una pianta trapezia, e con poderosi torrioni angolari circondati da un largo e profondo fossato. Abbiamo già assimilato il concetto che la
diversa ubicazione delle strutture ha reso lo stato delle stratificazioni vario e perciò unico, sebbene le cause delle trasformazioni pavimentali e portanti siano da attribuire ad eventi ben distinti: ogni castello è bacino di deposito e segue la morfologia del territorio, della roccia con le sue pendenze e le sue asperità, adattamento quest’ultimo che si accentuerà volutamente nel castello-palazzo di Rocchetta S. Antonio.
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Archeologia e Storia dei castelli di Basilicata e Puglia
❖❖❖ La ricerca diretta sul campo, lo studio del sito e dei suoi processi di formazione (e di degrado) dipendono anche dal dibattito storiografico in merito al paesaggio e all’archeologia forestale, che si intenderà inoltre anche come studio dei sistemi annessi alle costruzioni, osservazioni rigorose messe a punto dalll’eccezionale contributo di Diego Moreno57. Simili ricerche ricadono, oggi, nell’historical ecology che ha trovato nell’archeologia estensiva il suo più grande sviluppo, il quale vede ancora nell’Italia meridionale alcune resistenze dovute ad un diverso approccio sulla geo-
grafia del popolamento. A completamento del paesaggio, accanto ai castelli e alle abitazioni civili e religiose, non poteva mancare la foresta che ha avuto un ruolo preminente nella società medievale58. A partire dall’età normanna i termini afforestare, forestare e i toponimi di silva, foresta, gualdus, indicavano un territorio riservato legato al particolarismo feudale ecclesiastico e cittadino59. Senza soffermarsi a lungo sul fondamento della ricerca, che ha avuto uno sviluppo straordinario in due interventi apparsi sui Quaderni Storici, sotto la direzione esperta di Diego Moreno60 e che ha ottenuto solo un ap-
32. Montescaglioso, Difesa San Biagio. Strutture preromane conservatesi sotto il bosco ormai scomparso.
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Archeologia e storia dei castelli
33. Montescaglioso, Difesa San Biagio. Necropoli con bosco residuale.
profondimento da parte di Benedetta Cascella, si vuole qui piuttosto porre l’accento da un punto di vista storico: è vero, infatti, che l’interesse per i boschi si accentuò in Italia meridionale con i successori di Ruggero II i quali ponendolo come risorsa finanziaria resero tale diritto più un sopruso che un privilegio. Fu Federico II a completare il controllo diretto sul patrimonio boschivo, imponendo nelle Costituzioni melfitane del 1231 che omnia nemora et pascua sunt curiae61. E Carlo I non fece altro che proseguirne la politica lungo i territori dove allora si estendevano
i boschi: il Gargano, il Subappennino Dauno (Troia, Lucera, Bovino, Guardiola, Salpi, Ascoli, Ordona), la Murgia barese (Minervino, Bitonto, Castel del Monte, Spinazzola, Canosa, Corato, Gravina, Cassano), il Salento (Ugento, Salvia, Taranto, Oria, Belvedere) e la Basilicata (Lagopesole, Guasto, Vitalba, Pietragalla, Melfi, Palazzo San Gervasio)62. Si riscontra così la presenza del leccio (quercus ilex), dei querceti a fragno (quercus trojana), della ghianna (quercus pubescens), del frassino (fraxinus ornus), della sughera (quercus suber), dei faggi (fagus
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Archeologia e Storia dei castelli di Basilicata e Puglia
latifolia) e tra la flora spontanea il lentisco (pistacia lentiscus), il rovo (rubus fruticosus), il cappero (capparis spinosa) e il mirto (mirtus communis). Un lavoro che l’archeologia dovrebbe compiere è quello di evidenziare, attraverso la toponomastica e la fotografia storica affiancate alla survey, le trasformazioni che ha subìto il paesaggio agrario. Poiché i boschi sono importanti per l’alimentazione umana e anche animale, possiamo comprendere che l’attuale forte antropizzazione della copertura vegetale porta verso una falsa storia del sito. Una recente esperienza di scavo condotta dalla Scuola di Specializzazione in Archeologia dell’Università della Basilicata nella Difesa San Biagio presso Montescaglioso, ha dimostrato che il bosco medievale (oggi scomparso) si impiantò su un insediamento classico conservando le vestigia antiche e i caratteri della topografia naturale (stagni, depressioni, sistema viario)63; pertanto il sito non è stato sempre necessariamente un bosco. Se, dunque, «un bosco è parte della società locale»64 esso può anche consentire una più agevole lettura del paesaggio (in quanto dimensione geografico-ambientale) suggerendone anche una possibile storia, e quindi far considerare quei fattori di degradazione che vengono inclusi nella storia degli usi del suolo. La necessità di attingere all’osservazione etnografica, alla decifrazione toponomastica e all’iconografia storica per trovare i fondamenti di un’ipotesi di datazione delle strutture indagate, ha avuto significato
soprattutto per lo studio di quell’edilizia degli insediamenti abbandonati intesi come documenti storici per risposta ad alcuni problemi di utilizzo delle colture legnose nei centri abitati (si pensi alle campionature effettuate a Craco, Campomaggiore e Trani). Le ragioni della trasformazione, dovute alla coltura seminativa e intensiva, non giustificherebbero più costruzioni di grandi castelli, giacché essi nacquero per vicinanza con piante d’alto fusto, che si conservano ancora in Basilicata, come il cerro (quercus cerris), il farnetto (quercus farnetto), e altre varietà di querce, castagni ed elci accompagnate da sparto (lygeum spartum), ginestra (genista saggittalis), asfodelo (asphodelina liburnica) e, oltre i cento metri, faggeta (fagus silvatica) e abete bianco (abies alba). Ma se ciò resta un buon campo di ricerca, solo di recente si affrontano i problemi del paesaggio, come dimostrano gli studi sul Gargano dove sono presenti pochi resti di un immenso bosco noto nel medioevo65. Mi sembra opportuno rilevare che le considerazioni che saranno fornite nelle pagine successive tenteranno solo di arricchire ed innovare, come fonti storiche, quelle che si sono prodotte realmente sul terreno.
1) Cfr. J. M. MARTIN-G. NOYE, La Capitanata nella storia del Mezzogiorno mediedievale, Bari 1991, passim.
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NOTE AL CAPITOLO PRIMO
2) Tali fenomeni sono ottimamente descritti da C. WICKHAM, Castelli e incastellamento nell’Italia centrale: la problematica storica, in R. FRANCOVICH (ed.), Archeologia e storia del Medioevo italiano, Urbino 1987, p. 94. Ho dovuto invertire i primi due punti, anche se non è da escludere che essi possono convivere per ragioni intrinseche alla natura e all’atteggiamento dell’insediamento di farsi fortificare: M. DEL TREPPO, Frazionamento dell’unità curtense, incastellamento e formazioni signorili sui beni dell’Abbazia di San Vincenzo al Volturno tra X e XI secolo, in G. ROSSETTI(ed.), Forme di potere e struttura sociale in Italia nel Medioevo, Bologna 1977, p. 286 sgg.; in questo studio l’autore ipotizzò che i Longobardi si fossero insediati in antichi castelli romani per far fronte ad infiltrazioni bizantine. Per tutta questa problematica si vedano i fondamentali saggi di M. D EL TREPPO, La vita economica e sociale in una grande abbazia del Mezzogiorno: San Vincenzo al Volturno nell’Alto Medioevo, in Archivio Storico per le Province Napoletane, LXXXIV, 1956, pp. 31-110; A. A. SETTIA, Castelli e villaggi nell’Italia padana. Popolamento, potere e sicurezza fra IX e XIII secolo, Napoli 1984; C. WICKHAM, I1 problema dell’incastellamento nell’Italia centrale. L’esempio di San Vincenzo al Volturno, Studi sulla società degli Appennini nell’alto medioevo. II, Firenze 1985; in parallelo L. FELLER, Casaux et castra dans les Abruzzes:
3) 4)
5)
6)
7)
San Salvatore a Maiella et San Clemente a Casauria (XIe-XIIIe siècle), in Mèlanges de l’Ecole Française de Rome-Moyen Age-Temps Modernes, 97, 1985, pp. 185-192; ID., L’“incastellamento” inachevé des Abruzzes, in Archeologia Medievale, XVI, 1989, pp. 121-136; P. NATELLA-P. P EDUTO , Il problema dell’insediamento e il sistema castrense altomedievale, in Atti del IV Congresso Internazionale. Castelli e vita di Castello. Testimonianze storiche e progetti ambientali, (Napoli-Salerno, ottobre 1985), Castella 45, Roma 1994, pp. 401-412. P. CORSI, La spedizione italiana di Costante II, Bologna 1977. A. GUILLOU, Città e campagna nell’Italia meridionale bizantina: (VI-XI secolo). Dalle collettività rurali alla collettività urbana, in Habitat -Strutture-Territorio, Atti del III Convegno Internazionale di Studi sulla Civiltà Rupestre medievale nel Mezzogiorno, Galatina 1978, pp. 27-40; ID., La Puglia e Bisanzio, in C. D. FONSECA(ed.), La Puglia tra Bisanzio e l’Occidente, Milano 1980, pp. 5-36. BERNARDUS MONACHUS FRANCUS, Itinerarium in loca sancta anno 870 factum, in T. T OBLER -A. M OLI NIER(eds.), Itinera Hierosolymitana latina, I, 1879, p. 310. Sull’emirato barese, G. M USCA , L’emirato di Bari (847-871), Bari 1964. A. GUILLOU, La seconda colonizzazione bizantina nell’Italia meridionale, in La civiltà rupestre medievale
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nel Mezzogiorno d’Italia: ricerche e problemi, Atti del I Convegno Internazionale di studi sulla Civiltà Rupestre medievale nel Mezzogiorno d’Italia, Genova 1975, pp. 27-44; ID., Aspetti della civiltà bizantina in Italia. Società e Cultura, Bari 1977; V. VON FALKENHAUSEN, La dominazione bizantina nell’Italia meridionale dal IX all’XI secolo, Bari 1978. Su Taranto, EAD., Taranto in epoca bizantina, in Studi Medievali, IX, 1968, in part. pp. 138-139 e PASSIM. 8) R. L ICINIO , Bari e il suo castello: scelte insediative problemi politici, funzioni istituzionali. Parte I. Dall’età prenormanna agli ultimi svevi, in Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Bari, XXX, 1988, p. 221 sgg. 9) Codice Diplomatico Barese, V, n. 32, a. 1099. 10) J. M. MARTIN-G. NOYÈ, Vaccarizza (Monte Castellaccio, comune di Troia, prov.di Foggia), in Mèlanges de l’Ecole Française de Rome, MoyenAge, 98, 1986, pp. 1225-1231; G. NOYÈ, Recherches sur le site de Vaccarizza, in Profili della Daunia Antica, II, Foggia 1986, pp. 91-115. 11) Cfr. R. LICINIO, Castelli Medievali. Puglia e Basilicata: dai Normanni a Federico II e Carlo I d’Angiò, Bari 1994, passim. 12) J. M. MARTIN, L’ impronta normanna sul territorio, in I Normanni popolo d’Europa. MXXX-MCC, a cura di M. D’Onofrio, Venezia 1994, p. 216. 13) R. LICINIO, Bari e il suo castello...,
Archeologia e Storia dei castelli di Basilicata e Puglia
cit. a nota 8, p. 228. 14) G. BACILE DI CASTIGLIONE, Castelli pugliesi, Roma 1927, p. 42. Sul castello di Bari è in corso di stampa una monografia specifica di M. S. Calò Mariani, G. B. De Tommasi, R. Iorio, R. Licinio e R. Mola, ma si vedano G. PETRONI, Della storia di Bari dagli antichi tempi sino all’anno 1856, I-II, Napoli 185758; M. GERVASIO, Il castello di Bari, Bari 1927; F. SCHETTINI, Per la storia del castello di Bari, in Archivio Storico Pugliese, I, 1948, pp. 121133; ID., Il Castello di Bari, Bari 1964; A. HASELOFF, in Architettura sveva nell’Italia meridionale, a cura di M. S. C ALÒ M ARIANI , Bari, 1992, Appendice, pp. 411-429. 15) Cfr. Capitolo Quarto, p. 108. 16) A. WILLEMSEN, I castelli di Federico II nell’Italia meridionale, Napoli 1979, p. 27; M. S. CALÒ MARIANI, in F. TATEO(ed.), Storia di Bari. 2. Dalla conquista normanna al ducato sforzesco, Roma-Bari 1990, p. 328 sgg. 17) A. FORNARO, in AA.VV., Restauri in Puglia, II, Fasano 1986, fig. 8.50. 18) Per l’acroma e l’invetriata policroma, M. R. S ALVATORE , Ceramica medievale da alcuni restauri e recuperi in Puglia e Basilicata, in Faenza, XVI, 1980, pp. 51-57; quanto alla protomaiolica ho avuto modo di riscontrarne la presenza seguendo su richiesta del Soprintendente ai BAAAS della Puglia arch. Roberto di Paola, l’estensione dei saggi di scavo sotto la Gipsoteca nel luglioagosto 1993; per la graffita, un esemplare è pubblicato in AA.VV., Restauri in Puglia..., cit. a nota 17, fig. 8.53. Altri dati, da rivedere, sono in A. F ORNARO -M. G. DI C APUA , Castello, in AA.VV., Archeologia di una città. Bari dalle origini al X secolo, Bari 1988, pp. 574580. 19) A. PEPE, in F. TATEO(ed.), Storia di Bari..., cit. a nota 16, p. 348, fig. 55. Recenti scavi (1991) hanno presentato le medesime stratificazioni. A proposito della continuità inse-
diativa, tema assai caro all’archeologia stratigrafica e alla storia, significativa è la notizia del monaco Giovanni e di Romualdo salernitano per cui i Normanni edificarono i castelli in quei luoghi conquistati lasciandone la denominazione immutata: JOHANNES MONACHUS S. V INCENTII , Chronicon Vulturnense, in F.S.I., I, ed. V. FEDERICI, Roma 1925, p. 231; ROMUALDUS SALERNITANUS, Chronicon, in R.I.S, ed. C. A. GARUFI, VII, parte I, Città di Castello 1909-1935, p. 197. 20) Cit. a nota 14. 21) J. M. MARTIN-G. NOYÈ, La Capitanata..., cit. a nota 1, ma si confrontino le considerazioni di P. CAMMAROSANO, Problemi di convergenza interdisciplinare nello studio dei castelli, in R. C OMBA -A. A. SETTIA(eds.), Castelli. Storia e archeologia, Torino 1984, pp. 11-25. 22) M. S. CALÒ MARIANI, Archeologia, storia e storia dell’arte medievale in Capitanata, in A. HASELOFF, cit. a nota 14, p. XX. 23) J. MERTENS, Deux monuments d’èpoque mèdièvale à Ordona (Apulie), in Bullettin de 1’Institut Historique Belge de Rome, 44, 1974, pp. 405421. 24) F. SARRE, L’arte mussulmana nel sud dell’Italia e in Sicilia, in Archivio Storico per la Calabria e la Lucania, III, 1933, pp. 441-447; D. WHITEHOUSE, Ceramiche e vetri medioevali provenienti dal Castello di Lucera, in Bollettino d’Arte, 1966, p. 176 e fig. 29; U. SCERRATO, Arte islamica in Italia, in di F. GABRIELI-U. SCERRATO(eds.), Gli Arabi in Italia, Milano 1979, in particolare le pp. 399-344 (figg. 280-286-287-288364-365-366). 25) D. B. JONES, Apulia. Neolithic Settlements in the Tavoliere, I, London 1987, p. 143 sgg.; M. D. MARIN, Un angolo della Daunia anteriore al periodo federiciano: Teanum Apulum, Luceria, Arpi, in Federico II e Fiorentino, Atti del Primo Convegno di Studi Medievali della Capitanata, a cura di M. S. Calò Maria-
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ni, Galatina 1985, pp. 55-77; cfr. il volume Lucera dal tardoantico all’Altomedioevo, Atti del Diciottesimo Convegno della Storia del cristianesimo in Puglia, Lucera 1987. 26) V. DEL POZZO, Il castello lucerino, Napoli 1858; B. COLASANTO, Storia dell’antica Lucera, Lucera 1894; G. GIFUNI, La fortezza di Lucera, in Le vie d’Italia, XXXIX, 1933, pp. 925932; S. FOLLIERO, Il castello di Lucera, in Bollettino dell’Istituto Militare dell’Arma e del Genio, 17, 1951, pp. 39-51; L. SANTORO, Castelli angioini e aragonesi nel Regno di Napoli, Milano 1982, pp. 56-60. 27) P. E GIDI , La colonia saracena di Lucera e la sua distruzione, in Archivio Storico per le Province Napoletane, 1911, pp. 597-697; ID., Codice Diplomatico dei Saraceni di Lucera (1285-1343), Napoli 1917; A. ABBATANTUONO, I Saraceni in Puglia, in Japigia, II, 1931, pp. 328-339; R. BEVERE, Ancora sulla causa della distruzione della colonia saracena di Lucera, in Archivio Storico per le Province Napoletane, 60, 1935, pp. 222-228; F. GABRIELI, La colonia saracena di Lucera e la sua fine, in Archivio Storico Pugliese, XXX, 1977, pp. 169-175. 28) La Calò Mariani, nell’introduzione all’opera di Haseloff, cit. a nota 22, p. XXX, riferisce anche della presenza del «capannone da guerra, le logge dei carpentieri e degli scalpellini, la fucina del fabbro, le scuderie», il cui studio può davvero fornirci indicazioni utili per lo studio della fortezza. Sulla valutazione del deposito archeologico, si consulti J. D. B. JONES, Apulia..., cit. a nota 25, fig. 75 (è calcolato in circa m. 2,60). 29) G. P. BROGIOLO, Archeologia dell’edilizia storica, Como 1988; R. FRANCOVICH-R. PARENTI(eds.), Archeologia e restauro dei monumenti, I Ciclo di lezioni sulla Ricerca applicata in archeologia, Firenze 1988; T. MANNONI, Caratteri costruttivi dell’Edilizia storica (Archeologia dell’Architettura), Genova 1994. 30) A. A. SETTIA, Castelli medievali, un
Archeologia e storia dei castelli
problema storiografico, in Quaderni medievali, 5, 1978, p. 117. 31) Seminario del prof. Giovanni Coppola titolare della Cattedra di Storia dell’architettura e dell’urbanistica medievali presso la Scuola di Specializzazione in Archeologia dell’Università della Basilicata, a.a. 1993/94. 32) Cfr. P. NOËL, Technologie de la Pierre de Taille, in Dictionaire des termes couramment employès dans l’extraction, l’emploi et la conservation de la pierre de taille, Paris 1968, p. 67; J. C. BESSAC, L’outillage traditionnel du tailleur de pierre de l’Antiquitè à nos jours, in Revue Archelogique de Narbonnaise, suplement 14, 1987, pp. 76-85. Ringrazio il prof. Giovanni Coppola per avermi fornito questi due importanti contributi. 33) Un’indagine sistematica con relativa classificazione dei contrassegni lapicidi è stata recentemente condotta su numerosi monumenti normanni. A tal proposito si consulti: G. C OPPOLA -J. Y. M ARIN , Les signes lapidaires sur les monuments de Caen (XIe-XIIe), in Revue Archeologique de l’Ouest, 7, 1990, pp. 101-109. 34) A. H ASELOFF , cit. a nota 14, pp. 300-304 e fig. 57. 35) Gli interventi non sono del tutto pianificati, poiché legati ancora alle indagini che vengono effettuate nei monumenti per conto delle soprintendenze e in scavi di emergenza. Cfr. solamente A. AMBROSI-E. DEGANO, Les marques des tailleurs de pierre au Moyen-Age dans les Pouilles, in Acta del Coloquio Intenacional de glyptografia de Potevedra (Julio 1986), 1988, pp. 497507. 36) Si vedano seguenti lavori apparsi nella rivista Archeologia Medievale: F. BONORA, Nota su un’archeologia dell’edilizia, VI, 1979, pp.171-182; I. F ERRANDO C ABONA , Tecniche d’indagine per un’archeologia dell’edilizia povera. L’analisi dendrocronologica, VIII, 1981, pp. 605-620; D. ANDREWS, L’archeologia della città bassomedievale, X, 1983, pp. 125142; S. FOSSATI, Possibilità di datare complessi di mattoni, XI, 1984, p.
395; T. MANNONI, Metodi di datazione dell’edilizia storica, XI, 1984, pp. 396-404; S. FOSSATI, La datazione dei mattoni: una proposta di metodo, XII, 1985, pp. 731-736; T. MANNONI, Archeologia della. produzione, XIV, 1987, pp. 559-564; I. FERRANDO CABONA-T. MANNONIR. PAGELLA, Cronotipologia, XVI, 1989, pp. 647-662; R. RICCI, Composizione e datazione delle malte e degli intonaci in Liguria. Nota 1, XVI, 1989, pp. 663-674; F. GHISLANZONI-D. PITTALUGA, Un metodo di datazione del patrimonio edilizio: la curva mensiocronologica dei mattoni in Liguria, XVI, 1989, pp. 675-682; D. P ITTALUGA -F. G HI SLANZONI , Mensiocronologia dei mattoni: la statistica applicata all’analisi, XVIII, 1991, pp. 683-686. 37) Secondo una scheda dell’Insegnamento di Archeologia Medievale dell’Università di Siena (prof. Riccardo Francovich). 38) R. PARENTI, Le tecniche di documentazione per una lettura grafica dell’elevato, in di R. F RANCOVICH -R. PARENTI(eds. ), Archeologia e restauro dei monumenti..., cit. a nota 29, pp. 249-279. Nel testo è stata utilizzata la terminologia fornita in P. ROCKWELL, Lavorare la pietra, Roma 1989; U. MENICALLI, I materiali dell’edilizia storica, Roma 1992. 39) R. F RANCOVICH -S. G ELICHI , Archeologia e storia di un monumento mediceo. Gli scavi nel “cassero” senese della Fortezza di Grosseto, Bari 1980. Della presenza di un “muro” di terra in Puglia, ad Egnazia, si è data notizia (con riferimenti stratigrafici) in P. RESCIO, Città altomedievali: prima valutazione di depositi archeologici, elaborato per la Cattedra di Metodologia e tecnica dello scavo, Scuola di Specializzazione in Archeologia, Università della Basilicata, a. a. 1993/94. Relatore Prof. Paul Arthur. 40) H. B LAKE , Archelogia e storia, in Quaderni Medievali, 12, 1981, pp. 136-151. 41) A. A. SETTIA, Castelli medievali...,
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cit. a nota 30, passim. 42) F. D’ANGELO, Ceramica e vetro, in Uomo e ambiente nel Mezzogiorno normanno-svevo, Atti delle ottave giornate normanno-sveve, Bari 1989, pp. 273-291. 43) Ibidem. 44) Adelfia: AA.VV., Restauri in Puglia..., cit. a nota 17, pp. 15-16; Rutigliano: R. DE VITA(ed.), Castelli, torri ed opere fortificate di Puglia, Bari 1984 (2a edizione), s.v. 45) E. S THAMER , Dokumente zur Geschichte der Kastellbauten. Kaiser Friedrich II. und Karl I.von Anjou (Ergänzungsband II, in Die Bauten der Hoenstaufen in Unteritalien), band II, Apulien und Basilicata, Leipzig 1926, n. 573 e 584. 46) G. D E T OMMASI , Mola di Bari (BA), Castello, in AA.VV., Restauri in Puglia..., cit., a nota 17, pp. 178182. 47) R. S ALVATORE , Ceramica..., cit. a nota 18, p. 255. 48) G. SCALERA, Notizie storiche sulla terra di San Nicandro di Bari, Palo del Colle (Ba) 1900. Sul problema della datazione della torre di Castiglione si veda E. DEGANO, Caratteristiche tipologiche e costruttive di Torre di Castiglione, in V. L’ABBATE(ed.), Società, cultura, economia nella Puglia medievale, Bari 1985, pp. 337-354. 49) Codice Diplomatico Barese, VI, n. 74, a. 1242; G. BACILE DI CASTIGIONE, Castelli pugliesi..., cit. a nota 14, p. 251. 50) F. CARABELLESE, I1 restauro angioino dei castelli di Puglia, in l’Arte, XI, 1908, pp. 367-372; nello stesso anno si trova confermato a Jannoctus de Culant, figlio di Arnolfo; nel 1283 a Guido de Arcellis e ad Iverio de Mignach; nel 1289 ad AnseImo de Chevreuse (Caprosia); nel 1293 a Baldovino d’Alagni, sino a ritornare nel 1415 alla Basilica di San Nicola. 51) AA. VV., Restauri in Puglia..., cit. a nota 17, pp. 203-225. 52) G. MAETZKE, Problemi relativi allo studio della ceramica nell’Italia meridionale nei secoli XI-XIII, in Ruggero il Gran Conte e l’inizio dello
Archeologia e Storia dei castelli di Basilicata e Puglia
Stato normanno, Atti delle seconde giornate normanno-sveve, Bari 1991 (2a edizione), pp. 79-104. 53) Cfr. a proposito S. DI L ERNIA , L’indicatore ceramico nell’archeologia mineraria: il caso-studio della Defensola-Vieste (FG), in Rassegna di Archeologia, 11, 1993, pp. 45-65. 54) P. RESCIO, Trani (Bari). Castello, in Taras, XIV, 1, 1994, pp. 164-166. Su Salapia cfr. P. RESCIO, Reperti ceramici da Salapia medievale, in la Capitanata, XXV, 1997, pp. 315348. 55) Brindisi: S. PATITUCCI UGGERI, La ceramica a Brindisi in epoca federiciana, in Federico II..., a cura di M. S. CALÒ MARIANI, cit. a nota 28, pp. 221-225; Oria: R. F ORLEO , Oria e il suo castello medievale, in Rassegna Tecnica Pugliese, 6, 1907, pp. 82-92. 56) G. ABATINO, Il castello di Manfredonia, in Napoli Nobilissima, XI, 1902, pp. 44-45; A. HASELOFF, Architettura sveva...,cit. a nota 14, pp. 387-407; L. SANTORO, Castelli angioini e aragonesi..., cit. a nota 26, passim. 57) D. MORENO, Dal documento al terreno. Storia e archeologia dei sistemi agro-silvo-pastorali, Bologna 1990. 58) R. BECHMANN, Le radici delle cattedrali, Casale Monferrato 1984, pp. 1-117; M. M ONTANARI , Uomini, terre, boschi nell’Occidente medievale, Catania 1992. 59) P. CORRAO, Boschi e legno, in Uomo e ambiente..., cit. a nota 40, pp. 135-164; sull’amministrazione dei boschi, B. C ASCELLA , I “magistri forestarii” e la gestione delle foreste, in R. LICINIO(ed.), Castelli, foreste e
masserie. Potere centrale e funzionari periferici nella Puglia del XIII secolo, Bari 1991, pp. 47-94. 60) A tal proposito si segnalano gli interventi apparsi su “Quaderni Storici”, n° 49 e 62 rispettivamente del 1992 e del 1986. D. MORENO, Storia e archeologia forestale; O. RACKHAM, Boschi e storia dei sistemi silvo pastorali in Inghilterra; F. S IGAUT , Gli alberi da foraggio in Europa: significato tecnico ed economico; E. CORENA, Il contributo della dendocronologia alla storia del paesaggio silvo-pastorale cisalpino (XVIXIX secolo); G. FILIPPI, Un canale per la fluitazione nell’appennino bolognese. Primi rilievi; P. P IUSSI , Utilizzazione del bosco e trasformazione del paesaggio. Il caso di Montefalcone (XVII-XIX secolo); H. KILIANN, Una innovazione selvicolturale: l’introduzione della sega nell’Europa centro-settentrionale (XVXIX secolo); D. MORENO, Querce come olivi. Sulla rovericoltura in Liguria tra XVIII e XIV secolo; S. ANSELMI-E. BIONDI-R. PACI, Foreste e boschi nella bassa Vallesina del ’400: fonti cartografiche e resti subfossili. Su “Quaderni Storici”, 62, 1986; D. MORENO, Boschi, storia e archeologia. Riprese, continuità, attese; P. PIUSSI-S. STIAVELLI, Dal documento al terreno. Archeologia del bosco delle Pianora (colline delle Cerbaie, Pisa); P. D I M ARTINO , “Pascoli boscosi del Molise”. Pratiche silvo-pastorali nella foresta di Montedimezzo (XVII-XIX secolo); M. AGNOLETTI-E. TOGNOTTI-A. ZANZI SULLI, Appunti per una storia del trasporto di legname in Val di Fiem-
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me; J. D. HUGHES, Storici e storia ambientale. L’“American Society for Enviromental History”; W. L IN NARD, Testimonianze etnografiche e storia forestale: il caso del Galles. Per l’Italia meridionale si veda: R. TRIFONE, Diritti d’uso delle foreste, Napoli 1913; P. TOUBERT, Paysages ruraux et techniques des production en Italie Mèridionale dans la seconde moitiè du XII siècle, in Potere Società e Popolo nell’età dei due Guglielmi, Atti delle quarte giornate normanno-sveve, Bari 1981, pp. 201-229; M. MONTANARI, Campagne medievali, Torino 1984; AA. VV., Il bosco nel Medioevo, Bologna 1988. 61) H. ZUG TUCCI, La caccia da bene comune a privilegio, in Storia d’Italia. Annali 6, Torino 1983, pp. 399-445; B. CASCELLA, I “magistri forestarii”..., cit. a nota 59, p. 59; P. GALLONI, Il cervo e il lupo. Caccia e cultura nobiliare nel Medioevo, Roma-Bari 1993. 62) Ibidem . 63) R. LICINIO, L’organizzazione del territorio fra XIII e XIV secolo, in C. D. FONSECA(ed.), La Puglia tra Medioevo ed Età moderna.Città e Campagna, Milano 1981, pp. 226-228. 64) Le ricerche, ancora in corso, sono dirette da chi scrive. 65) Cfr. ad esempio, N. ANGELICCHION. BISCOTTI-F. FIORENTINO, Paesaggio del Gargano, Fasano 1993; AA. VV., Archeologia del paesaggio, Firenze 1991.