Anomalie Indagine e sperimentazione per un approccio critico agli errori nei processi produttivi.
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Politecnico di Milano - Facoltà del Design Design del Prodotto per l’innovazione Tesi di Laurea Magistrale - A.A. 2013-2014 Relatore: Odoardo Fioravanti Studente: Francesco Toselli Matricola: 786213
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"Quando il risultato guida il processo andremo sempre e solo dove siamo già stati. Se, invece, il processo guida il risultato, potremmo non sapere dove stiamo andando ma sapremo di essere nella direzione giusta". Bruce Mau, Incomplete Manifesto for Growth
Indice 0. ABSTRACT 1. INTRODUZIONE (P. 14-65 )
(P. 66-121 )
2. INQUADRAMENTO STORICO L’arte applicata L’introduzione della plastica La percezione materica Design caldo e design freddo Wabi Sabi Il caso Gaetano Pesce L’occultamernto della tecnica 3. CASI STUDIO E CLASSIFICAZIONE Introduzione Mostrare la tecnica, Stampo a perdere, Positivo e negativo, Cortocircuito materico, Manomessi, Tranfer tecnologico, Nuovi processi per nuovi progetti, Ipertrofia del processo Considerazioni
(P. 122-153 ) 4. INTERVISTE Introduzione Massimiliano Adami Giulio Iacchetti BTM 4P1B (P. 154-169 ) 5. QUELLO CHE I LIBRI NON DICONO Introduzione Tornitura in lastra Soffiaggio Estrusione (P. 170-241 ) 6. ESPLORAZIONE EMPIRICA introduzone sperimentazione considerazioni (P. 242 )
BIBLIOGRAFIA SITOGRAFIA INDICE DELLE IMMAGINI RINGRAZIAMENTI
Abstract
ABSTRACT Mentre in passato il processo produttivo degli oggetti era occultato, oggi è in parte conosciuto, grazie alla diffusione massmediatica del design e allo sviluppo di tecnologie open source e dekstop, come le stampanti 3d. Nelle lavorazioni industriali gli errori e i segni della produzione, quali il punto di iniezione, le bave, i risucchi, gli sformi o le saldature, sono sempre stati nascosti in quanto elementi che diminuiscono il valore dell’oggeto se visibili. Questi fattori considerati comunemente difetti della produzione nascondo però il racconto del processo produttivo. La tesi indaga le tecnologie produttive convenzionali analizzandone le possibilità solitamente occultate. In particolare si propone di portare il valore di processo degli oggetti a valore d’uso degli stessi Tramite una sperimentazione empirica si indaga l’estetica processuale con l’obbiettivo di tracciare delle linee guida specifiche utili per una analisis critica delle tecnologie produttive.
1. Introduzione
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La seguente trattazione si occuperà dello stretto rapporto che vi è tra i processi produttivi e i progetti, soffermandosi sulla capacità degli oggetti di svelare il modo in cui sono stati prodotti. La trattazione è divisa in cinque aree principali che hanno l’obbiettivo di porre focus differenti su questa tematica. La prima parte della trattazione presenta una componente storico - descrittiva, utile a delineare l’argomento trattato. Una volta introdotto il tema si analizzeranno i passaggi storici che lo hanno reso di interesse nella contemporaneità. Analizzeremo il rapporto con i processi fin dalla rivoluzione industriale ponendo l’interesse sull’analisi di un estetica applicata ai prodotti, perciò sulla nascita e l’evoluzione delle arti applicate. La prima parte comprende anche alcuni capitoli slegati di approfondimento che meglio aiutano nella formulazione della tesi. Si analizzerà l’importanza dell’introduzione delle lavorazioni dei polimeri e il cambiamento che questi processi hanno portato nel mondo del prodotto, estremizzando il concetto di standard. Di seguito andremo ad analizzare il cambiamento nel rapporto con la matericità dovuto all’introduzione dei nuovi materiali. Verrà analizzato il rapporto tra il design caldo e il design freddo chiarendo questa distinzione aiutati anche dai testi di Maldonado. Verrà trattata anche la tematica del wabi sabi, estetica fondata sull’accoglimento della transitorietà delle cose. Questo tema sarà utile per introdurre un argomento cruciale per la tesi , ossia quello relativo alla valorizzazione dell’errore e al valore nella modifica della standardizzazione. A conclusione di questa prima parte, anche per creare un
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rapporto di continuità con la successiva, si è diciso di analizzare il caso di Gaetano Pesce, che fin dalla fine degli anni ‘60 sviluppa la "serie diversificata" focalizzando l’attenzione sulla possibilità di produrre industrialmente oggetti unici. A termine del capitolo sarà anche trattato il tema dell’occultamento delle tecniche produttive e di come oggi siano in parte sdoganate grazie ai sistemi di comuncazione. Il secondo capitolo ha lo scopo di calare il tema nel contemporaneo grazie all’analisi di numerosi casi studio. Si andranno ad analizzare alcune metodologie utilizzate dai designer per far trasparire il racconto del processo produttivo tramite degli oggetti finiti. Per fare ciò sono state individuate diverse categorie che hanno utilizzato differenti metodi di rappresentazione del processo con una particolare attenzione al mondo dello stampaggio. Sono state individuate otto categorie: Mostrare la tecnica, Stampo a perdere, Positivo e negativo, Cortocircuito materico, Manomessi, Tranfer tecnologico, Nuovi processi per nuovi progetti, Ipertrofia del processo Queste categorie aiutano a compredere le modalità di divulgazione del processo attuata dai designer. La terza fase della trattazione riporta quattro interviste che ho effettuato ad alcuni designer che hanno lavorato e lavorano su tematiche adiacenti a quelle da me trattate. I designer che ho deciso di intervistare sono: Massimiliano
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Adami, Giulio Iacchetti, il guppo del progetto Breaking The Mould e lo studio 4p1b. Questo insieme piuttosto eterogeneo di designer mi ha aiutato a fare chiarezza su alcune idee ancora nebulose sul rapporto tra designer e produzione, in particolar modo quando questo rapporto riveste il ruolo centrale del progetto. Le interviste, riportano la descrizione approfondita dei progetti, alcuni poco noti o ancora inediti, e analizzano in dettaglio le specifiche processuali necessarie nella realizzazione dei prodotti. Nella quarta sezione dell’elaborato sono riportate le descrizioni di alcune visite effettuate per meglio conoscere il mondo della produzione. Ho deciso, infatti, di incontrare diversi industriali e artigiani per cercare di capire meglio alcuni processi produttivi. Questo lavoro di analisi è chiaramente solo marginale ed incompleto trattando infatti solo poche lavorazioni ma ci aiuta a capire le possibiltà di un approccio critico ai processi industriali. Le visite svolte hanno interessato aziende e artigiani Lombardi ed Emiliani, e hanno permesso di approfondire le tecnologie dell’iniezione, soffiaggio, estrusione e metal spinning. Nel capitolo vengono riportate le conversazioni con gli industriali e gli artigiani, tentando di far trasparire l’esperienza e mettendo in luce quei piccoli segreti produttivi che spesso vengono tralasciati nei libri di tecnologia ma che possono essere certamente spunti per un approccio progettuale. Le esperienze svolte e i consigli ricevuti dalle numerose persone incontrate in questo percorso di tesi sono state importanti anche nello sviluppo della quinta sezione della trattazione. Questa parte è infatti dedicata ad un lavoro di
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sperimentazione svolto su diverse tecnologie con lo scopo di investigare le possibilità di innovazione all’interno di alcune tipologie di produzione. Questa fase viene descritta in maniera analitica, come un vero e proprio processo scientifico. I test sono riportati in ogni passaggio, spiegando quali siano le aspettative, i mezzi e i risultati ottenuti. Filo conduttore di questa sperimentazione è l’approccio non convenzionale al processo. Molte delle specifiche tecniche raccomandabili per un utilizzo consono delle tecnologie vengono volutamente ignorate aprendo strade progettuali nuove.
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2. Inquadramento storico _
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Il primo capitolo della trattazione ha l’obbiettivo di contestualizzare il tema arricchendolo di alcune sfaccettature che meglio ne aiutano la comprensione. Per capire il perchè sia di interesse analizzare la genesi degli oggetti studieremo l’evoluzione dell’estetica industriale che dall’800 ad oggi si è evoluta anche in relazione allo sviluppo tecnico scientifico. Analizzeremo anche il tema dell’introduzione delle lavorazioni dei polimeri che innesca ragionamenti sulla standardizzazione. Allontanandoci da questa tematica verrano approfondite le possibilità di approcci differenti dallo standrd, facendo riferimento alla definizione di design caldo e design freddo. Un sottocapitolo sarà dedicato alla disciplina del WABI SABI che fa’ dell’imperfezione punto di forza dell’oggetto. Infine analizzeremo il caso di Gaetano Pesce che, con la "serie diversificata" pone al centro la poetica del difetto. Per meglio calare la tematica nel contemporaneo si accennerà anche a come nel tempo le tecniche produttive siano state sdoganate passando da una fase di totale occultamento ad una di grande divulgazione anche nel campo del design.
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Arte applicata
Il rapporto tra produzione industriale e oggetti d’uso prevede l’introduzione della tematica della standardizzazione, intesa come ottimizzazione per la riproducibilità industriale. Waler Benjamin nel libro " L’opra d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica" tratta proprio questo tema: "In linea di principio, l’opera d’arte è sempre stata riproducibile. Una cosa fatta dagli uomini ha sempre potuto essere rifatta da uomini. Simili riproduzioni venivano realizzate dagli allievi per esercitarsi nell’arte, dai maestri per diffondere le opere, infine da terzi semplicemente avidi di guadagni. La riproduzione tecnica dell’opera d’arte è invece qualcosa di nuovo, che si afferma nella storia a intermittenza, a ondate spesso lontane l’una dall’altra, e tuttavia con una crescente intensità. I greci conoscevano soltanto due procedimenti per la riproduzione tecnica delle opere d’arte: la fusione e il conio. Bronzi, terrecotte e monete erano le uniche opere d’arte che essi fossero in grado di produrre in quantità. Tutte le altre erano uniche e non tecnicamente riproducibili. Con la silografia diventò per la prima volta tecnicamente riproducibile la grafica; cosí rimase a lungo, prima che, mediante la stampa, diventasse riproducibile anche la scrittura".1 La contrapposizione tra l’artigianato e la produzione industriale ha origini ben precedenti alle affermazioni di benjamin. La definizione di un’estetica abbinata ai prodotti dell’industria trovò nella seconda metà dell’Ottocento varie risposte che concorsero a far maturare una nuova visione che coincise con l’emancipazione estetica dell’oggetto d’uso, il primo grande protagonista dell’estetica applicata.
Una delle prime categorie a emergere fu quella della merce. Essa fu colta sia come massima espressione di un’estetica che negava la natura come suo modello a favore dell’artificio, sia come manifestazione di un feticismo che proiettava sugli oggetti contenuti spirituali. Artificio e feticismo divennero nel tempo due paradigmi imprescindibili per una lettura ideologica dell’oggetto definendone sostanzialmente l’estetica. Ma certamente quest’opzione non rimase l’unica. Il tentativo di rimarginare la frattura moderna della techne, la separazione tra arte
1 Waler Benjamin,L’opra d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica.
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bella e artigianato e poi arte applicata, comportò un problematico riesame della stessa nozione dell’autonomia dell’estetico. Una prima implicazione col design si può riscontrare nelle stesse macchine industriali, che nascono proprio all’insegna di una grande funzionalità ed efficienza e quindi con quella modesta pretesa "estetica" che conquisterà il favore della critica più moderna. Infatti fra tutti gli articoli che verranno presentati alla grande esposizione di Londra del 1851, saranno proprio I macchinari, quasi totalmente immuni da preoccupazioni stilistico-decorative, a segnare il reale progeresso, anche in fatto di gusto, compiuto nel periodo della rivoluzione industriale. Nel periodo tra il 1760 e il 1830 bisogna sottolineare che, nonostante la nascita di nuove tipolgie di prodotti, l’impiego di nuovi materiali, l’invenzione di nuovi macchinari, I settori proCrystal Palace di Londra www.skyscrapercity.com duttivi più pertinenti la cultura del design furono quelli che presentavano una maggiore continuità con la tradizione, quelli in cui si potè meglio assistere al passaggio dall’artigianato all’industria. Esemplare è il caso di Wedgwood, industriale inglese che si occupò dell’industria delle potteries. L’approccio di Wedgwood era molto attento ai metodi della produzione e alle nuove scoperte scientifiche, nonostante ciò, dal punto di vista stilistico il lavoro di wedgwood inizia con l’imitazione dei modelli dal passato, da quelli cinesi agli etruschi fino all’approdo al Neoclassicismo, che finì per caratterizzare totalmente I prodotti della ditta, I quali divennero a loro volta la maggiore espressione del Neoclassico nel campo della ceramica. "Il motivo che aveva spinto Wedgwood a imitare gli antichi era stato il desiderio dell’intrapprendere industriale che vuole superare le migliori
2.F.D. Klingender, Arte e Industria, Lerici, Milano 1962, p. 38
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opere prodotte in qualsiasi luogo e in qualsiasi tempo". 2
Ma accanto a tutta la gamma di prodotti artistici, decorativi ed ornamentali, destinati ad un pubblico di amatori e di collezionisti, vegono proposte altre tipologie di prodotti che hanno l’intento di essere utilitari e funzionali. Come viene spiegato nel libro "storia del design" di Renato De Fusco è con questa seconda tipologia di prodotti che Wedgwood esprime la propria genialità: "partendo dalla personale esperienza e dalla tradizione locale, egli seppe, attraverso un processo di continue riduzioni e semplificazioni, trovare il modo di rendere sempre più aderente la forma alla funzione dei prodotti ceramici quantificandone il numero e riducendone il prezzo, così come impone una lavorazione seriale".3 "Wedgwood fu il primo vasaio a ideare delle forme del tutto adatte al loro scopo e che fossero al tempo stesso capaci di venir riprodotte con assoluta precisione in quantitativi illimitati ". "in ogni particolare della loro struttura si nota efficienza ed economia dei mezzi".4 Ritengo il caso di Wedgwood molto interessante ai fini di meglio comprendere questa trattaznione perchè rappresenta uno dei primi casi dove l’ottimizzazione della tecnica genera una estetica. Piatto un ceramica Wedgwood, Pattern:Absaloms Pillar, 1820 www.blueandwhite.com
3 Renato De Fusco, Storia del design, Laterza, 2006 4 Herbert Read e Bernard Rackham, English Pottery, 1924
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In questo periodo storico viene anche a definirsi il concetto di arte applicata che la produzione industriale enfatizza creando una forte separazione tra arte ed estetica. Facendo riferimento al pensiero di David Hume nel suo saggio Of the Standard of Taste del 1757, si può affermare che nel pensiero del tempo prende forza una stretta relazione tra buon gusto e buon senso.L’analisi di Hume mira a un livellamento medio-alto del gusto, tendente a influenzare I comportamenti sociali e I prodotti della società. L’intento di Hume mira ad affidare al gusto e al buon senso l’ideale di bellezza. Il contributo di Hume risulta molto importante nella distinzione tra esteticità e artististicità, oggi infatti è esperienza diffusa che la bellezza e il gusto intesi come componente estetica del design appartengono alla sfera dell’esteticità diffusa e non a quella dell’arte emergente. Qui si può delinerare in maniera più chiara il valore dell’ arte applicata, ".. lo stesso concetto di implicazione implica un idea di precedenza dell’arte pura e del successivo secondario impiego delle sue forme nella produzione di oggetti d’uso".5 Nel secolo scorso, cioè propio quando avveniva la rivoluzione industriale, quell’ordine di valori si è invertito: la tecnica e la pratica, collegandosi alla scienza, hanno assunto un valore ideale, mentre l’antico ideale estetico scadeva, come è noto, come inutile Fabbrica di cemento di Portland, disegno di Georg Burmester 1895 accademismo. www.wikimedia.org
5 Renato De Fusco, Storia del design, Laterza, 2006
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"I ponti, I viadotti, I grandi magazzini, infine le prime costruzioni in ferro e in cemento sono il precedente diretto del disegno industriale; la loro bellezza dipende dalla loro perfezione tecnica e dalla loro aderenza a una funzione pratica; e poichè l’idea di tecnica e di pratica implicano un fare, l’idea del bello si connette al fare e non più al contemplare". 6 Il periodo che segue la rivoluzione industriale in inghilterra prende il nome di età Vittoriana. Quanto alla componente "produzione", questa età viene considerata come una sorta di involuzione rispetto al periodo della rivoluzione industriale. Accanto ai pionieri dell’industria, legati agli scienziati e agli inventori, viene affermandosi, a partire dagli anni ‘30 una classe di imprenditori meno dotata di spirito imprenditoriale. Benchè la ricerca tecnologica proceda con nuove invenzioni, fioriscano e si consolidino gli impianti , in generale l’intero movimento industriale subisce un appiattimento: non è più l’iniziativa di pochi individui eccezionali, ma una routine che interpreta nel modo peggiore I principi del liberalismo, cioè produrre molto e nel tempo più breve anche a scapito della qualità dei manufatti. La "Folding Machine" esposta alla Il fenomeno è ben descritto negli scrit- grandeesposizione di Londra nel 1851 ti di Pevsner che dice: "grazie alle nuove www.italia61.it macchine, I fabbricanti erano in grado di lanciare sul mercato migliaia di articoli a buon prezzo impiegando lo stesso tempo e lo stesso costo che occorreva un tempo per produrre un solo oggetto ben fatto. In tutti I rami dell’industria si alterava la natura dei materiali e della tecnica. L’abile lavoro dell’artigiano venne sostituito dallo routine meccanica".7 Le disfunzioni della produzione del tempo non vanno attribuite solo a
6 g.c.argan, op.cit p.133 7 N.Pevsner, I pionieri del Movimento Moderno da William Morris a Walter Gropius, Rosa e Ballo editori, Milano 1945, p. 3.
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cinismo di alcuni fabbricanti, ma essenzialmente in una visione poco chiara della qualificazione dei prodotti, al modo stesso di dar loro una forma in assenza di modelli. Importante in questo frangente fu l’intervento di Robert Peel che diede avvio alla riforma delle arti applicate e al riconoscimento della loro importanza socio-economica, al contempo mostrando tutti I limiti dell’estetismo del tempo in questo campo. La qualificazione dei prodotti, infatti, veniva richiesta alle belle arti, anzi addirittura dai disegni pittorici, quale valore aggiunto ai manufatti. Nasce su queste basi la questione del rapporto arte-industria che rimase irrisolta a lungo fino al consolidarsi di un estetica che poco aveva in comune con il mondo delle arti tradizionali, dovendo essere una nuova e specifica del prodotto industriale. Tale estetica, che richiama in parte il contributo di Hume di cui abbiamo trattato in precedenza, trova il proAncient Egyptian Ornament di Owen Jones, La grammatica dell’ornamento, 1856. prio avvio nell’inghilterra vittoriana nella ricerca del modo più adatto di disegnare gli oggetti fabbricati a macchina. Negli anni che seguono viene coniata da Hanry Cole il termine art manifaturer, che denota una figura nuova di artista fabbricante. Per non dilungarci sulle caratteristiche della visione di Cole e della della sua cerchia potremmo riassumere che la loro metodologia progettuale non era di tipo naturalistico o stilistico, bensì basata sulla geo-
metria, l’organicismo, I caratteri invariati e la tendenza alla semplificazione e alla riduzione. Pochi anni più tardi venne a svilupparsi il progetto di Wiliam Morris, con idee molto divese rispetto a Cole egli combatteva il liberismo e l’ecletticismo della produzione industriale proponendo una radicale riforma politica che, nello specifico settore delle arti applicate, prendeva a modello le corporazioni e le lavorazioni dei prodotti medievali. Seguendo l’idea di Ruskin "joy in labour", Morris vede nell’artigianato l’unica garanzia della qualità dei prodotti. Come osserva Pevsner: " Il primo effetto degli insegnamenti di Morris fu che, sotto il loro influsso, molti giovani artisti, architetti e dilettanti, decisero di dedicarsi all’arte applicata. Ciò che per oltre mezzo secolo era stata considerata una occu- American library chair pazione inferiore, diventò nuovamente un special.lib.gla.ac.uk compito nobile e degno".8 L’idea anacronistica di Morris venne in qualche modo smorzata dalle generazione che lo succedette, questa, aderì ancor più fortemente alla condizione del tempo, alla bottega artigiana sostituirono una rete di laboratori ed organizzazioni produttive, ed ammisero esplicitamente la possibilità di una produzione meccanica accanto al lavoro fatto esclusivamente a mano. Come già accennato,la grande esposizione di Londra del 1851 ha segnato una tappa fondamentale nella storia del design, in questa esposizione vengono esposte sia complementi d’arredo che macchinari provenienti da molti paesi e si nota la differenza fondamentale, dei primi infatti vi è un decoro ancora preponderante e che richiama la classicità, nei macchinari questo è decisamente meno evidente. La riflessione sull’estetica dei macchinari, sulla bellezza dei meccanismi e della semplicità è una tematica molto interessannte nello sviluppo del design odierno. Già allora diceva Oscar Wild, seppur non addetto
8 N.Pevsner, I pionieri del Movimento Moderno cit. , p 34 9 O.wild, Essay and Lectures, London 1913, p. 178
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ai lavori: " tutte le macchine possono essere belle, non cercate di decorarle ". 9 Il gusto del pubblico di quegli anni era caratterizzato da due elementi dominanti: da un lato si esigeva la decorazione in ogni sorta di oggetto, anche laddove la vavorazione meccanica di fatto lo negava. Ciò era dovuto non solo al simbolismo che la gente, da sempre, associa ad ogni tipo di prodotto, ma soprattutto perchè ogni nuovo genere merceologico viene accolto più favorevolmente se richiama referenti già noti.
Raffigurazione di un’antica apparecchiatura utilizzata per lo svolgimento della galvanostegia chiamata cella per elettrodeposizione.
Dall’altro lato il gusto del pubblico esigeva che gli oggetti anche se prodotti industrialmente, avessero sempre l’apparenza di essere eseguiti a mano: il valore essendo collegato alla fatica, all’abilità, al tocco manuale.
Non solo le decorazioni, la parvenza di pseudo-artigianalità si limitano a falsificare la foma degli oggetti industriali, perchè la finzione si estende anche alla natura dei materili. Tra il 1835 e il 1846 in Inghilterra vennero registrati ben 35 brevetti per il rivestimento di materili e superfici che imitassero o somigliassero ad altri. Intervenne poi la riproduzione galvanoplastica che, grazie ad un processo elettrolitico, consentiva di rivestire forme del materile economico con un atro di maggior pregio.
Oltre che alle false superfici simili artifici furono applicati anche alla volumtria degli oggetti: furono inventate macchine per stampare, pressare, preparare matrici atte a riprodurre, in nuovi oggetti di materiali vili e a tutto volume, modelli anA balancing act with Thonet chairs in the 1920s. gg-magazine.com
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tichi o comunque ritenuti di valore. Questa tendenza alla falsificazione si verifica però solo per gli oggetti con pretese decorative, cioè quelli richiesti dai consumatori di ceto medio-alto, non si applicava perciò ai prodotti di primaria necessità. Accanto a questi oggetti esisteva una grande produzione di oggetti semplici ed essenziali, ad uso e consumo delle classi povere. Non a caso, sin dai tempi di Wedgwood, la produzione popolare si orientava su questo tipo di oggetti. Un esempio che non possiamo non citare del periodo è il caso di Michael Thonet. La produzione dei suoi mobili ha origine da un innovazione tecnica che consiste nell’inumidire il legno con il vapore per poi poterlo piegare. Non andremo qui ad analizzare in maniera specifica la produzione di Thonet che è ben riportata in molti libri che trattano di storia del design, ma è bene citare questo esempio poichè è forse il primo complemento d’arredo a diventare un vero "classico". sedia 214 e primo flat pack, Per l’analisi di questa trattazione, del rapin un metro cubo potevano essere stoccate 36 sedie. porto tra gli oggetti e I processi produttivi designagenda.me che gli generano è utile però evidenziare come una innovazione della tecnica ha dato origine ad un modo di produrre mobili radicalmente nuovo. Le lavorazioni tradizionali difatti non avrebbero mai permesso la realizzazione di strutture al pari di quelle di Thonet.
Il processo in questo caso, non insegue più forme note ma al contrario le genera, lo stile di Thonet vive forme ed esigenze produttive del suo tempo ed anticipa nuovi orientamenti del gusto, in particolare l’art Nouveau. Il processo di espansione industriale dell’economia tedesca di fine Ot-
tocento si tradusse in un’impostazione più circoscritta delle domande legate agli oggetti prodotti industrialmente. Si aprì un grande dibattito che trovò in due grandi questioni il proprio centro problematico: il rapporto tra forma e funzione, da una parte, e il ruolo dell’ornamento rispetto ai prodotti industriali, dall’altra. Tra i primi a sondare il nesso forma-funzione fu Hermann Muthesius che indicò la strada di un’estetica rigorosamente funzionalista e adeguata ai processi produttivi della contemporaneità. Muhesius attacca in maniera incisiva il decorativismo analizzando l’oggetto anche dal punto di vista economico-produttivo. Dice: "Con il lavoro che essi richiedono, la materia prima non è utilizzata come si dovrebbe , e quindi si spreca innanzitutto un colossale patrimonio nazionale in materia prima, e inoltre si ha un lavoro aggiunto inutile". 10 Un’estremizzazione della posizione di Muthesius è riscontrabile in Joseph August Lux che propose un’ingegnerizzazione dell’estetico, facendo coincidere l’automatismo tecnico con la qualità estetica. A mitigare questa sorta di estremizzazione positivistica contribuì la riflessione, certamente più ambigua, di Peter Behrens, per il quale l’industria poteva segnare una nuova sintesi di arte e tecnica promuovendo il disegno industriale come dimensione sociale. È questo il periodo che potrebbe esser definito classico dell’estetica applicata.
L’arte applicata cessa di essere solamente un’evoluzione storica dell’artigianato e tematizza in un complesso dibattito le proprie categorie: l’arte applicata entra nella sua fase di piena maturità e dà vita a una estetica estremamente articolata, sempre più orientata ai bisogni delle masse. Il progettista della AEG affronta in modo del tutto nuovo I problemi del design in
Bollitore elettrico,Peter Behrens, AEG, 1909 www.abitare.it
10 Muthesius Herman, Die Bedeutung des Kunstgewerbes (1907)?? 11 P. Behrens, Zur Asthetik des Fabrikabus, in " Gewerbefleiss", a. 1929, n 7-9
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ogni sua componente. Innanzitutto, per tecnico che fosse, il prodotto non doveva essere privo di quella valenza formale che distingue un prodotto di qualità. Behrens ricorda una significativa raccomandazione di paul jordan espressa forse in occasione del suo ingresso come consulente artistico dell’azienda. "Non pensi che anche un ingeniere quando acquista un motore si metta a smontarlo per controllarne le parti. Anche il tecnico compera secondo l’impressione che ne riceve. Un motore deve essere bello come un regalo per il compleanno".11 Questo preciso passaggio storico è importante ai fini della nostra trattazione, vogliamo porre l’attenzione, infatti su un fenomeno che grazie ai prodotti della AEG incomincia a prendere piede. Parliamo dell’occultamento della tecnologia. La componente meccanica e l’involucro risultano infatti svincolati, quest’ultimo aveva una funzione meramente protettiva nei confronti del delicato ingranaggio e tutelatrice dell’utente dai pericoli dell’energia elettrica, rendendo possibile una libertà fino ad allora sconosciuta nella progettazione delle forme degli oggetti. Inoltre il grado di complessità tecnica degli strumenti rendeva il compratore sempre meno competente nel formulare un giudizio e delegava al "guscio" il compito della persuasione. Riferendosi alle norme protettive Maldonado scrive: " In questo modo una configurazione formale viene a nascondere una configurazione tecnica dell’oggetto e si stabilisce così una dicotomia che non si limiterà al campo delle macchine utensili. Anzi diventerà la caratteristica dominante di quasi tutte le tipologie di oggetti della civiltà industriale. Nasce così la "carrozzeria" cioè un involucro aggiunto che verrà spesso trattato come una forma che non ha nessun, o con scarso, rapporto con il contenuto".12 Fu il Bauhaus a ridefinire la questione in un’intricata vicenda culturale nella quale Gropius, in un proprio percorso concettuale non sempre semplice e lineare, identificò nello standard, inteso come unità organica di qualità e quantità, la nuova possibilità di una completa formulazione estetica della civiltà industriale. "Va rifiutata la ricerca, a qualsiasi costo, di nuove forme, in quanto non derivano dalla cosa stessa. E così pure si rifiuta l’applicazione di ornamenti puramente decorativi, siano essi storici o frutto di invenzione. La creazione di tipi per gli oggetti di uso quotidiano è una necessità
12 Tomàs Maldonado, disegno industriale un riesame, 2008 Feltrinelli
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sociale. Le esigenze della maggior parte degli uomini sono fondamentalmente uguali".13 Nel 1923 Gropius conia lo slogan " arte e tecnica, una nuova unità", infondo una versione aggiornata della tesi di Behrens con un ingrediente in più: L’ammissione dell’estetica autonoma della macchina. Uno degli oggetti simbolo della scuola furono I mobili in tubolare in aciao che si distaccavano di molto dalle tendenze del gusto precedente conferendo ai prodotti un carattere seriale e meccanico. Questa tipologia di progetti rivoluziona a tal punto la conformazione della scuola da cambiare il nome del famoso laboratorio del legno in " officina del mobile". L’oggetto che meglio incarna il cambiamento verso un maggiore accento industriale del bauhaus è la poltrona in tubi d’acciao nichelati, con sedile, schienale e braccioli in tela, che Breuer disegnò nel 1925. La storia di questa sedia deriva da un succedersi di episodi particolari, la prima sedia a sbalzo in tubo metallico era stata realizzata da Martin Stam nel 1924, il secondo modello del genere è di Mies Van der Rohe del 1927. La sedia di Mies si differenzia dal suo precedente olandese per avere I tubi montanti a semicerchio, cui si raccordano altri due tubi che fungono da braccioli, così come nel dondolo di Thonet.Infine il terzo modello è quello di Breuer, che, fatto suo il principio per cui un unico tubolare metallico può costituire l’intero sostegno della seduta, evita il supporto frontale usato da Stam e rende l’oggetto più maturo e perfezionato dei precedenti.
Marcel Breuer seduto sulla sua poltrona wassily. artvalue.com
struttura della sedua composta da tubature del gas, Mart Stam www.themilanese.com
13 Tomàs Maldonado, disegno industriale un riesame, 2008 Feltrinelli
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Ancora una volta una innovazione tecnica, così come per il caso Thonet traccia una serie di nuovi linguaggi estetici che non hanno nulla a che fare con il decorativismo ma utilizzano al meglio il processo produttivo. Non è facile riportare un ideale univoco riferibele al Bauhaus, nella sua natura plurale, infatti, si possono richiamare altre due posizioni, divergenti fra loro e anche rispetto alle posizioni di Gropius: quella di Hannes Meyer, a favore di un funzionalismo che negando l’estetico si apriva alla politicizzazione della progettazione, e quella di Georg Muche, più interlocutoria e meno convinta della realizzazione di una vera sintesi tra arte e tecnica. L’estetica applicata, però, non solo si concentrò sulla questione strutturale di forma e funzione, ma ridefinì il grande equivoco estetico che l’arte applicata non era riuscita a chiarire: il tema dell’ornamento. L’ornamento fu oggetto di una profonda messa in discussione che sostanzialmente segnò il passaggio da Henry van de Velde Candeliere in un’estetica ottocentesca all’elaborazione Bronzo argentato, Bruxelles, 1898di uno stile che ne sconfessava i conte1899 presscenter.org nuti ormai più acquisiti. Henry van de Velde cercò, ad esempio, di promuovere una riforma dell’ornamento concependolo organico ai nuovi stili espressi dagli oggetti industriali, mentre per Bloch l’ornamento rappresentò il pretesto per delineare un’estetica della crisi che non si riconosceva più né nel funzionalismo né nel decorativismo, ma in una ricerca utopica espressionista. La negazione definitiva dell’ornamento fu condotta con fermezza da Adolf Loos che vide nella pratica ornamentale non solo un’aberrazione estetica, ma il segno di un imbarbarimento antropologico e di decadenza dell’umano. " L’ornamento è forza lavoro sprecata, e quindi salute sprecata. E’ sempre stato così. Oggi ciò significa però anche materiale sprecato, ed in definitiva capitale sprecato". 14 Più o meno sulla stessa linea la proposta di Le Corbusier tendente a risolvere la bellezza del moderno in un sistema di organizzazione architettonica nella quale l’ornamento non poteva trovare spazio. L’abbandono dell’ornamento segnò nelle arti applicate l’avvio del mod-
ernismo, di fatto la dimensione storico-culturale in cui l’estetica applicata trova pieno compimento. Conclusasi nel 1933 l’esperienza del Bauhaus, negli anni Trenta si assiste a una tendenza di sistematizzazione critica dell’evoluzione storica e culturale dei risultati sino a quel momento raggiunti. Si afferma l’esigenza di comprendere l’estetica applicata come problema complesso, nel quale la dimensione estetica coincide con il momento, prima, della progettazione e, poi, dell’uso. Si giunge così a una definizione sempre più pregnante di estetica industriale. In questo quadro, sebbene non strettamente segnata dalle questioni in gioco, si inserisce la riflessione di Benjamin che lega l’indagine filosofica delle manifestazioni estetiche della città con un’interrogazione decisiva sulla riproducibilità tecnologica dell’estetico.
14 Tomàs Maldonado, disegno industriale un riesame, 2008 Feltrinelli
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L’introduzione della plastica
Come abbiamo visto nel capitolo precedente, fin dall’ ‘800 era abitudine utilizzare materiali poveri per imitarne altri di maggior pregio, la stesso compito era stato assegnato ad un materiale che cambierà profondamente I meccanismi della produzione industriale, la plastica. Già nell’ottocento era usata come materiale economico per imitare l’avorio o la tartaruga. La plastica inizia a trovare una sua identità negli impieghi originali, a partire dagli anni trenta, in europa e negli stati uniti: apparecchi radio, casalinghi, carrozzerie d’automobile assumono nuove fisionomie grazie proprio 1935 radio in resina fenolica verde all’utilizzo di un materiale estremamente marmorizzata. innovativo nei colori, e soprattutto nelle unirc.it possibilità formali. In italia già prima della guerra i fratelli Castiglioni conducono una sperimentazione d’avanguardia sull’uso della bakelite in alcuni radioricevitori, ma solo alla fine degli anni quaranta inizia per la plastica l’età dell’oro.
L’etimologia del termine plastica deriva dal verbo greco“plasso che significa“plasmare, formare, modellare” e allude alla caratteristica peculiare dei polimeri sintetici capaci di subire deformazioni permanenti e di essere messi in forma attraverso la modellazione, proprietà che in realtà appartiene solo ad alcuni di essi. La rivoluzione culturale dei materiali moderni e la contemporaneità possono dirsi all’insegna dei materiali polimerici, connessi alla ricerca scientifica ed al trasferimento tecnologico, e appartenenti alla cultura delle materie solido-fluide. Con il termine generale di plastiche si fa riferimento ad un vasto, articolato e in continuo aggiornamento orizzonte di materiali oggi impiegati per produrre un enorme numero di oggetti d’uso e di consumo, di elementi per il design e l’architettura, intermedi e finali. Roland Barthes, nel 1957 in Miti d’oggi, ne parla come di una sostanza alchemica, che trasforma la materia in oggetto perfetto, quasi umano.
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Caccia Dominioni - Castiglioni - Phonola Radioricevitore mod. 547 wikipedia.org
"Più che una sostanza è l’idea stessa della sua infinita trasformazione, è, come dice il suo nome volgare, l’ubiquità resa visibile; e proprio in questo essa è una materia miracolosa: il miracolo è sempre una conversione brusca della natura. La plastica resta tutta impregnata in questa scossa: più che un oggetto essa è traccia di un movimento". 15
Davvero rivoluzionario è l’approccio dei produttori per l’arredamento, che intuiscono le straordinarie possibilità di applicazione del materiale in un mercato tutto ancora da inventare: nel 1949 nasce la Kartell, la prima industria italiana a concentrarsi esclusivamente sull’impiego di materie plastiche per la produzione di oggetti d’uso: tra i suoi designer più prolifici Gino Colombini, cui si affiancano in seguito Achille e Piergiacomo Castiglioni, Anna Castelli Ferrieri, Marco Zanuso, Richard Sapper e Joe Colombo: questi è il primo progettista a realizzare con kartell una sedia Universale, design Joe Colombo. interamente in materiale klatmagazine.com plastico, il modello "universale". Le altre due industrie che si dedicano ad un uso raffinato della plastica in oggetti semplici ma estremamente curati sono danese (fondata da Bruno Danese e Jacqueline Vodoz nel 1955) e Artemide (fondata da Ernesto Gismondi nel 1959): la prima sviluppa un’intensa ricerca con Enzo Mari e Bruno Munari, la seconda collabora con Giuliana Gramigna, Sergio Mazza, Vico Magistretti. A fronte del dilagare quasi incontrollato delle materie plastiche, impiegate soprattutto per il loro basso costo, le aziende italiane rappresentano negli anni sessanta una sorta di sofisticato laboratorio di sperimentazione, che contribuisce a fare dell’uso della plastica una forma di stile, estremamente dinamico e aggiornato in continuazione da nuove forme, colori, possibilità di applicazione rinnovate costantemente dalla scoperta di nuove formule.
15 Roland Barthes, La plastica, in Miti d’oggi, Milano, Einaudi, 4a ed., 1974,
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La velocità della lavorazione dei polimeri e le grandi possibilità di tiratura seriale degli oggetti introducono un nuovo approccio alla produzione. Sempre molto attenta ai processi produttivi ed ai costi dice la Ferrieri: "[...]c’è una differenza formidabile fra il lavorare artigiano e il lavorare nella produzione industriale. Se si pensa che gli artigiani una volta per realizzare un tavolo od una sedia ci mettevano più di un anno e lo facevano lentamente con quello che avevano imparato da generazioni. Se noi facciamo migliaia di esemplari in un colpo solo - dei miei oggetti in materia plastica si dovevano stampare, ogni volta, almeno 5.000 pezzi di un solo colore - il costo ridotto di questa operazione si comprende subito. Oggi un falegname che lavora una sedia, anche se usa delle macchine a controllo numerico, impiega comunque una grande quantità di lavoro manuale. Giorni e giorni. La mia sedia che è stata premiata con il Compasso d’oro nel 1987, in materia plastica, è prodotta, tutta completa in 80 Sedia impilabile 4870 di Anna Castelli Ferrieri per Kartell. secondi, sommando tutte design.repubblica.it le operazioni, perché è realizzata in soli due stampi. Si comprende subito la differenza tra prodotto plastico e tradizionale: il tempo e quindi il suo costo. Se si impiegano 80 secondi oppure un mese. Quindi, quest’idea di annullare la fatica non è stata un’idea sbagliata.."
Fiera Campionaria di Milano, Ingresso della Mostra Internazionale Estetica Materie Plastiche, 1956 deepsdesignbyceciliapolidori
cit. Anna Castelli Ferrieri
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La percezione della materia
L’introduzione e lo sviluppo della lavorazione dei materiali plastici apre una tematica d’interesse per questa trattazione che ha a che fare con l’espressività materica. La plastica, grazie alla sua capacità di essere plasmata, può assumere finiture diverse ed è perciò difficile associare questo materiale a sensazioni note. I materiali tradizionali, come la pietra, il legno o la ceramica, hanno invece la capacità di legarsi alla memoria collettiva trasferendo sensazioni passate. Gli oggetti della più recente generazione, invece, ci appaiono sempre più spesso tali che possiamo forse dire di che cosa sembrano fatti, ma non possiamo realmente dire di che cosa sono. La necessità di un riscontro materico con l’oggetto è però presente nelle persone, come dice Manzini:
"E’ come se non ci fossero più forme stabili su cui sedimentare la memoria e su cui far crescere lo spessore dell’esperienza. Di qui nascono per molti il disagio e la nostalgia di una realtà perduta e, per alcuni, la ricerca nei segni e nei materiali del passato di quei valori di spessore e di profondità che sembrano svanire nel mondo contemporaneo".16 Secondo Manzini il rapporto con le cose è fondamentale e con l’introduzione di alcuni materiali meno radicati nella memoria collettiva rischia di rompersi. Dice infatti: <>17 L’introduzione dei polimeri e poi a seguire di materiali più tecnologici fino ad arrivare oggi ai campi più estremi dei materiali nanotecnologici, hanno in qualche modo allontanato l’uomo dalla percezione concreta di ciò che gli sta’ intorno. Nella memoria collettiva ci sono muri di pietra, mobili di legno, materassi di lana, spade d’acciaio, corone d’oro: in questi stereotipi i nomi dei materiali appaiono pieni dei loro significati più larghi; è così che
16 Ezio Manzini, Artefatti Edizioni DA, 1990 17 Manzini, La materia dell’invenzione p.31 18 ivi
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l’oggetto acquista peso e spessore culturale: <>18 Sono i materiali e le tecnologie che contraddistinguono le diverse epoche del moderno e condizionano, insieme alla forma degli oggetti, quella produzione, del gusto e del nostro modo di vivere e operare. L’importanza del materiale è sempre soverchiante. Per esempio, come sostiene Dorfles, ha comportato la scomparsa della sensibilità tattile ed estetica, che è rimasta identica ed analoga per secoli, verso i materiali tradizionali; e di conseguenza, si sono modificate le nostre valutazioni degli aspetti formali, tessutali, organolettici, dei materiali usati. <>19
Design caldo e design freddo
Capacità dei materiali tradizionali era anche quella di raccontare il modo in cui erano stati lavorati, la qualità dell’artigiano era ben visibile e giudicabile da chi andava ad utilizzare l’oggetto. Le tecniche artigianali, semplici e sostanzialmente poco variate nel tempo facevano parte di una cultura di base che difficilmente poteva essere stupita. L’utilizzo di processi indstriali ed in particolar modo per un materiali duttile come la plastica introduce forme mai viste prima, texture che imitano altri materiali, densità e consistenze diverse. La perfezione del processo e l’industrializzazione che punta alla serialità produttiva riducono l’intervento umano al punto da creare oggetti così finiti di risultare alieni rispetto alle tipologie precedenti.
19 Dorfles, Introduzione al disegno industriale, p.57
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Una tematica riconducibile a quella della scomparsa della percezione materica è affrontata anche da Maldonado è quella della classificazione tra design caldo e design freddo. Maldonado intende il design freddo come rivolto alla produzione industriale e destinato al consumo di massa, e come design calddo, un design fatto da pochi, con pochi mezzi e destinato alla funzione artistico-culturale di pochi soggetti sociali. "E’ più che evidente il giudizio di valore implicito nell’uso delle nozioni di freddo e caldo: da una parte un design "disumano" in quanto freddo, dall’altra un design "umano" in quanto caldo. A ben guardare tutto il design preindustriale era un design "caldo", ossia fatto artigianalmente da pochi e destinato a pochi".20 Maldonado, alla fine deHumberto e Fernando Campana, vaso della collezione gli anni ‘90 affermava un Nativo Campana , Corsi Design. concetto che oggi è ancora corsidesign.it molto presente nel mondo del design. Il tema del design caldo e del design freddo, delle produzioni limitate, del pezzo unico o frutto di una performance è oggi più che mai di attualità. Nella contrapposizione tra design caldo e design freddo vi è il tentativo di presentare come novità ( anzi come radicale novità ) tematiche che sono state già discusse alla fine del XIX secolo e agli inizi del successivo.
Da ciò la ricerca e il recupero di materiali e tecniche, non solo come possibile punto di partenza per un confronto con un’idea più estesa di produzione e di mercato, ma anche come pratica progettuale, attraverso un rapporto più immediato con il processo produttivo e con il contesto, ed una riscoperta di altre dimensioni culturali, che la grande produzione necessariamente tende a semplificare o ignorare. Emblematico è il caso dei Fratelli Campana che in Brasile hanno cominciato a costruire direttamente oggetti in materiali naturali e industriali poveri (come corda e cartone pressato), con tecnologiche elementari e attrezzi da officina, approdando successivamente alla produzione industriale con aziende italiane e continuando a praticare e ad insegnare un approccio diretto e immediato con i materiali e le forme. È tramite la manualità e una forte componente personale che l’idea progettuale si sviluppa e si anima. La continua sperimentazione permette l’evoluzione di pratiche, come queste esaminate, che arrivano a mutare a percorrere la sottile linea di demarcazione che c’è tra il design e l’arte. Tecniche di lavorazione che diventano delle vere e proprie performance che creano oggetti unici . In un’ intervista ad Achille Castiglioni , alla domanda : "Come può un oggetto fatto in serie, in milioni di copie, accontentare persone che hanno esigenze e gusti diversi?" il maestro replica: " è una domanda a cui non so rispondere, credo si crei un rapporto di reciproca curiosità tra chi compra l’oggetto e chi lo produce (...) io sono dell’idea che agli oggetti ci si affezioni.
La ricerca di oggetti che trasmettono il calore e l’imprecisione della manualità, con impresso il segno delle tradizioni più o meno distanti dal contemporaneo, si presenta come un fenomeno che si sviluppa in maniera complementare alla diffusione delle nuove tecnologie e alla nascita di tipologie di oggetti del tutto nuove.
20 Tomàs Maldonado, disegno industriale un riesame, 2008 Feltrinelli
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Wabi Sabi
Per meglio approfondire la tematica del design caldo, descritto nel capitolo precedente, può risultare interessante trattare il tema del wabi sabi, estetica fondata sull’accoglimento della transitorietà delle cose. Recentemente il tema è stato indagato da due interessanti libri: Il valore dell’imperfezione. L’approccio wabi sabi al design, di Francesca Ostuzzi, giuseppe Salvia, Valentina Rognoli e Marinella Levi e "Wabi-sabi per artisti, designer, poeti e filosofi" di Leonard Koren.
Il Wabi-sabi costituisce una visione del mondo giapponese fondata sull’accoglimento della transitorietà delle cose. Tale visione, talvolta descritta come "bellezza imperfetta, impermanente e incompleta" deriva dalla dottrina buddhista dell’ anitya.
un vaso riparato con la tecnica Kintsugi
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Richard R. Powell riassume dicendo "il wabi-sabi nutre tutto ciò che è autentico accettando tre semplici verità: nulla dura, nulla è finito, nulla è perfetto".22 L’approccio del wabi sabi può essere considerato assolutamente coerente con molti progetti contemporanei di design. Nella letteratura specifica attualmente si rintracciano la tendenza e il desiderio di modernizzare e internazionalizzare il concetto di wabi sabi. Tale aspirazione si concretizza nella stesura e definizione di principi espliciti e linee guida precise che riportano cosa si possa o, viceversa, cosa non si debba assolutamente fare quando ci si vuole avvicinare all’estetica wabi sabi. Di seguito vengono riportati I principi di progettazione wabi sabi descritti dal libro " Il valore dell’imperfezione. L’approccio wabi sabi al design ". In questo tipo di visione viene condannata la standardizione dei prodotto, il difetto diventa segno particolare e di pregio, per questo nei progetti wabi sabi viene evidenziato. "Risulta evidente come i concetti alla base siano profondamente distanti da quella che e una concezione produttiva industriale per la società occidentale conternporanea. "...
Hilla Shamia, Wood casting. hillashamia.com
Secondo Koren, il wabi-sabi è la più evidente e particolare caratteristica di ciò che consideriamo come tradizionale bellezza giapponese dove "occupa all’incirca lo stesso posto dei valori estetici come accade per gli ideali di bellezza e perfezione dell’Antica Grecia in Occidente". Andrew Juniper afferma che "se un oggetto o un’espressione può provocare dentro noi stessi una sensazione di serena malinconia e un ardore spirituale, allora si può dire che quell’oggetto è wabi-sabi". 21
21 Juniper, Andrew, Wabi Sabi: The Japanese Art of Impermanence, Tuttle Publishing, 2003
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Naturale L’elemento principale e forse più affascinante dell’estetica wabi sabi è legato all’ idea di poter cogliere, negli oggetti del vissuto quotidiano, il passaggio del tempo che si
Rou Designs, Deep Bowl. roudesigns.com
22 Powell, Richard R., Wabi Sabi Simple, Adams Media, 2004
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manifesta esplicitamente con ossidazioni, graffi, scolorimenti, macchie, incrinature o crepe. Esistono però anche espressioni che non registrano solo il passaggio del tempo ordinario, ma anche di quello straordinario, come le ammaccature dovute a una caduta accidentale, I tagli, le bruciature, e via dicendo. In sostanza, gli oggetti afferenti a un’estetica wabi sabi risultano piacevoli proprio perche registrano su di se gli usi e gli abusi accaduti nella loro vita. Visualizzare un processo naturale significa conferire spontaneità all’oggetto progettato. Irregolarita Sono le imperfezioni, generalmente scaturite involontariamente, a conferire quel particolare sentimento definibile come wabi sabi. Dal momento che conosciamo gia le soluzioni progettuali corrette, il wabi sabi ci offre premurosamente quelle sbagliate e proprio con queste ci affascina. In questo senso non vanno temute le piccole imperfezioni o asimmetrie che appaiono sugli oggetti.
Grossolanita e texture I manufatti che rispecchiano l’estetica wabi sabi hanno spesso un aspetto poco curato, non presentano superfici perfettamente lisce e soprattutto valorizzano la casualita generata dai processi adottati per la loro realizzazione. Le texture sono spesso ruvide e casuali e raggiungono la massima espres-sione quando vengono modificate in modo inatteso dal tempo e dagli eventi accidentali. Colori La scelta della variazione della scala cromatica e molto importante nella progettazione wabi sabi. Non si parla di colori, ma di chiaro-scuri. Le tinte non dovrebbero mai essere completamente uniformi e andrebbero evitati, nella fase di scelta, colori troppo luminosi e forti. Vengono invece prediletti quei colon opachi, incerti o cangianti Martín Azúa, Natural Finish, 1998 martinazua.com
Organicita e scelta dei materiali L’organicita e intesa come la capacita del materiali di modificarsi autonomamente nel tempo in modo mai perfettamente prevedibile. ln questo senso si compie un’attenta scelta dei materiali. I preferiti sono legno, metalli, tessuti, pietra e argilla. Il vetro, l’alluminio e le plastiche sono viceversa considerati materiali inadatti alla progettazione wabi sabi, in quanto non percepibile, sulle loro superfici, lo scorrere del tempo. Indeterminatezza Definite wabi sabi un oggetto, un manufatto, una poesia significa considerarlo "indeterminato", e per certi versi indefinibile. Dai colori sbiaditi agli spigoli non netti, le cose e le forme col tempo perdono consistenza, diventando piu umili e meno aggressive. Sfuggono cosi docilmente a ogni classificazione, aumentando il mistero della loro storia e accrescendo inconsapevolmente rispetto e l’affezione che l’utente dimostra nei loro confronti.
Martín Azúa, Natural Finish, 1998 martinazua.com
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Patina del tempo Un oggetto ha la sua storia. Quello che più affascina degli oggetti wabi sabie è la possibilita di vedere impressa in ciascuno di essi una storia specifica e irripetibile dando origine a riflessioni sul tempo e sulla caducità di tutte le cose.
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Le cose antiche sono venerate, collezionate ed esibite in molte culture. Questo avviene in parte perche risvegliano l’immaginazione del passato: immaginiamo che siano state usate da molte persone, da molte mani per decenni, secoli o millenni". 23 La teoria del wabi si può ritrovare in molti progetti nella contemporaneità, gudagnando nuove estetiche e trovando applicazione anche in materiali polimerici. Rimane cioè la grande capacità narrativa di questa filosfia estetica e l’irregolarità degli oggetti che sono spesso caratterizzati da difetti. Il tema dei materiali naturali , che nel wabi sabi riveste un ruolo importante, viene talvolta tralasciato nei progetti contemporanei a cui facciamo riferimento. Lampanti sono invece i concetti di base in comune con molti progetti basati sull’esaltazione dell’errore, sulla possibilità di lasciare una traccia e sulla valorizzazione delle texture.
23 Francesca Ostuzzi , Giuseppe Salvia , Valentina Rognoli , Marinella Levi Il valore dell’imperfezione. L’approccio wabi sabi al design, editore Franco Angeli, 2011
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Un progetto che può far capo a questa tematica é la tesi di laurea sostenuta al Politecnico di Milano nel 2008 da Giacomo Moor. Il nome della ricerca è " difetti di pregio " e si poneva l’obbiettivo di creare una catalogazione di oggetti di design realizzate in legno evidenziandone gli aspetti di innovazione tecnologica. La parte a mio parere più interessante della tesi, era però l’ultima, dove Giacomo si è concentrato sui difetti del legno, reinterpretando quelli che normalmente sono ostacoli come punti di forza del progetto. " Qualsiasi lavoro, scultura, opera d’arte realizzata in legno non conosce mai la parola " fine " e una volta terminato il lavoro dell’uomo, subentra quello del tempo che lo dilata, lo restringe, lo scurisce, lo crepa, lo imbarca, lo brucia senza che raggiunga mai un risultato di compiutezza ed equilibrio". 24 Utilizzando qusti principi come linea guida del progetto il designer ha realizzato quattro oggetti che sfruttano l’imperfezione per far si che il difetto stesso sia creatore della forma. Personalmente credo che questo progetto rispetti perfettamente la teoria del wabi sabi e credo che sia un esempio ricco di poetica che riesce a mettere in luce tutte le tematiche che queste teorie raccolgono.
24. Giacomo Moor, Difetti di pregio, tesi di laurea presso il Politecnico Di Milano, 2008
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Il caso Gaetano Pesce
Un caso che ritengo interessante trattare per approfondire il tema è quello relativo al lavoro di Gaetano Pesce. Come nei principi del wabi sabi trattati nel capitolo precedente, una componente forte del progetto è l’irregolarità e il distacco dalla standardizzazione dell’oggetto. Il tema della "serie diversificata" ha un ruolo centrale e permanente cui è possibile ricondurre il principio generatore di molti progetti emblematici e l’innesco di nuove riflessioni nell’opera di Pesce. Carico di connotazioni politiche e sovversive nei confronti di ideologie e metodi di produzione, emerso alla fine degli anni sessanta, con largo anticipo rispetto alle recenti teorie economiche che confermano il principio della "personalizzazione di massa" , il tema ha contribuito a rendere nota la figura di Gaetano Pesce nel panorama internazionale dei designer, per cui il binomio Pesce-serie diversificata sembra essere ormai divenuto un caposaldo della storia del design. L’idea di produzione in serie di beni connotati da un carattere di unicità, nasce in opposizione a ideologie politiche tardomarxiste, che volevano ridurre a standard le esigenze umane, come afferma lo stesso Pesce: "Quando ho cominciato ad avere dubbi sulla produzione standardizzata è perché, da una parte, c’era qualcuno, come per esempio i retorici dell’ideologia marxista, [...] i quali dicevano che il mondo, le popolazioni del mondo, dovevano tutte somigliarsi, C&B Italia photography series e dovevano essere delle popolazioni che showing an Up 5 chair being si esprimevano nello stesso modo. Addi- unwrapped. rittura il modo di vestirsi doveva essere blog.modernica.net unificato. E quindi tentavano di eliminare le differenze, che invece sono qualità che portano l’identità al mondo e a diverse popolazioni" 25 Il problema della lotta all’omologazione dei bisogni e alla relativa standardizzazione, aveva caratterizzato anche il movimento radicale a cui Pesce aveva in parte aderito.
25. Carlo Martino, Gaetano Pesce. Materia e differenza, editore Marsilio 2007
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All’inizio degli anni novanta sosteneva: "Un tempo affermavo che la serie industriale è una conquista indiscutibile, una evoluzione essenziale e insostituibile. Oggi quei valori non mi sono più sufficienti, oggi voglio più ricchezza nella produzione industriale, ritrovare cioè la spontaneità dell’oggetto in copia unica".26 Quindi, la diversificazione degli oggetti prodotti in serie rappresenta l’alternativa al livellamento delle esigenze umane. Da queste premesse Pesce è poi passato alla dimostrazione concreta della possibilità di ottenere la serie diversificata in un processo di produzione industriale. Parallelamente, ha Dalila uno, due, tre, sedie e poltroncine Cassina, 1980. hongyonghui.wordpress.com portato avanti un costante lavoro di sensibilizzazione, lanciando appelli alla tutela della diversità, fino ad affermare che oggi il ruolo fondamentale del progettista è quello di creare la differenza. Per tutta la prima metà del Novecento la riproducibilità consisteva nella capacità di rendere, attraverso l’ausilio della macchina, un infinito numero di oggetti perfettamente identico a un modello iniziale. Di conseguenza venivano scartate tutte le copie che, alla fine del processo, presentavano difetti. Tale principio era sostenuto da un sistema indifferenziato di consumi che puntava a soddisfare bisogni primari, e non si curava del valore culturale dei prodotti e del rapporto oggetto-fruitore. Tali preoccupazioni erano limitate solo agli strati sociali abbienti, che però ottenevano la differenziazione attraverso il ricorso a oggetti unici, ad alto costo e di prevalente fattura artigianale. L’industria, imitando i modelli fordisti, aveva impostato quindi la produzione sulla grande serie. Successivamente, con la crisi del petrolio, all’inizio degli anni settanta, con le brusche oscillazioni del mercato e con la nascita di un sistema di consumo più esigente e differenziato, l’industria sente la necessità di sperimentare sistemi produttivi più flessibili. L’elettronica viene incontro a questa esigenza, contribuendo, attraverso la realizzazione di
26 Intervista in "Lezioni di design", cit.
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apparecchiature a controllo numerico, alla nascita della "serie variata", procedimento che riguarda sostanzialmente l’ottimizzazione della produzione. Macchine polifunzionali, attraverso software specifici, organizzano e gestiscono al meglio la produzione in base agli ordini raccolti, riuscendo in questo modo a realizzare porzioni o parti intere di oggetti anche diversi. Il progetto, però, resta sostanzialmente legato ai vincoli tecnologici della macchina, quindi alla necessità di avere parti componibili o modulari, ma non è in grado da solo di creare o di contribuire alla differenziazione. O, meglio, cerca di offrire una distinzione basandosi su variabili "leggere" e non sostanziali, quali colori o finiture. La "serie diversificata", introdotta da Gaetano Pesce, tocca all’opposto i contenuti sostanziali del prodotto, partendo proprio dalla progettazione. La sua Green Street Chair, sedia, Vitra, grande innovazione sta, infatti, nell’aver 1984-86. intuito che l’elemento di caratterizzazi- skandium.com one va ricercato e introdotto in questa fase. Obiettivo principale della serie diversificata è quello di ottenere prodotti simili ma non identici, appunto differenziati, a costi accessibili, attraverso variabili libere. Queste intervengono durante il processo di produzione in modo casuale e non calcolato, rendendo distinti, al termine del processo, il contenuto e l’aspetto del prodotto finale. Come è possibile immaginare, Pesce è stato facilitato, in questo lento processo di sperimentazione, dal suo modo originale di associare concezione e realizzazione dei prodotti. Attraverso l’attività di laboratorio, infatti, è possibile esercitare un controllo diretto e sincronico dei processi di trasformazione e di esecuzione dell’idea. Le soluzioni ottenute in laboratorio si sono poi dimostrate valide anche per la produzione industriale. Le variabili libere che Pesce ha individuato in tanti anni di ricerche e sperimentazioni nascono dal principio fondamentale di accettazione del difetto che, da elemento
N. M. Romanelli, cit.
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di scarto, si trasforma in elemento di distinzione. Sulle pagine di "Domus", nel 1989 affermava infatti : "La linea produttiva dell’industria rappresenta un esempio violento di pianificazione esercitata sugli oggetti, attraverso il controllo costante e attivo dei pezzi prodotti. All’interno di questa logica viene scartato qualsiasi prodotto che presenti un difetto. In questo fatto "eccezionale" per cui un pezzo, nonostante la pianificazione cui è soggetto, riesce a esprimere la propria peculiarità, agendo secondo leggi proprie e impreviste, ritengo sia insito un valore".26
Nobody’s Perfect, poltrona, Zerodisegno, 2002. www.zerodisegno.com
Nobody’s Perfect, libreria, Zerodisegno, 2002, vista laterale. www. zerodisegno.com
26 G. Pesce, in "Domus", n. 708, settembre 1989, p. 116.
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L’occultamento della tecnica
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Quando osserviamo con attenzione un oggetto prodotto industrialmente, spesso non ci rendiamo conto con precisione di come questo oggetto sia stato fabbricato; il discorso si amplifica quando l’osservatore è un non addetto ai lavori e ancor più quando gli oggetti sono composti in materiale plastico implicando tecnologie più complesse e meno note. Sin dai tempi del corporativismo gli artigiani prima, e gli industriali poi, hanno tenuto segreti I modi di produrre le cose: si pensi ad esempio ad un falegname che tramanda la propia conoscienza al suo apprendista più giovane. Lo stesso clima di occultamento del sapere è stato applicato anche all’industria. L’evolversi delle tecnologie produttive ha fatto si che gli oggetti diventassero sempre più perfetti e privi di sbavature. I segni del processo utilizzato nella produzione delle cose difficilmente viene svelato o è capace di lasciare traccia. Uno dei motivi probabilmente è che l’industria aspira nella maggior parte dei casi ad un oggetto finito, perfetto, privo di errori, segni particolari o imprefezioni. Questo pretesa di uniformità dei prodotti trova chiaramente motivazione nel mercato e nella difficoltà di commercializzare molti prodotti leggermente diversi tra loro. Un altra motivazione che si potrebbe ipotizzare nella lettura di questo occultamento è quella della complessità. L’industria, deve infatti proteggere gli utenti dalla complessità della tecnolgia, non solo fisica, come un ingranaggio ma anche formale, questo è il motivo per il quale fin dall’800 si espande l’utilizzo dei carter per coprire oggetti tecnici e non. Oggi appare però che la tematica dell’occultamento non sia sempre adeguata al nostro tempo, seppure i device elettronici nascondano la tecnologia e, soprattutto in questo ambito, la teoria del black box è spesso utilizzata, ci sono altri fenomeni che tendono a divulgare i processi produttivi per soddisfare la curiosità degli utenti. Un esempio molto noto è quello del programma How it’s Made, trasmesso da vari canali del gruppo Discovery in molti paesi del mondo. Nel programma viene descritta la produzione dalla materia al consumatore di oggetti di uso comune. Il programma ha avuto molto successo, è stato infatti tradotto in numerose lingue e prodotto per ventidue stagioni trattando un gran numero di oggetti: dai tappeti, ai cavi elettrici, alle lattine in alluminio. Tale capacità di divulgazione del processo apre simbolicamente le porte delle fabbriche agli spettatori mostrando la magia della produzione a tutti.
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Anche nel mondo del design la tematica dell’occultamento e divulgazione dei processi è molto contemporanea, ritrovandosi spesso manifesta in numerosi progetti. Andramo nei capitoli successivi ad analizzare la grande quantità di casi studio che lo dimostrano. Occorre però introdurre questo rapporto con l’esempio della bella mostra "In the making" curata dal duo di designer londinesi Barber e Osgerby al Design Museum di Londra. L’esposizione mostra i processi produttivi di molti oggetti congelandoli in una fase intermedia. Il visitatore può perciò rendersi conto delle fasi del processo: anche perchè ogni ogSemilavorato della mostra" In the making", matite getto è affiancato ad una barberosgerby.com percentuale che indica a che punto processo è stato interrotto. È possibile perciò osservare un telo di tessuto giallo dal quale mancano le forme fustellate utilizzate per le palline da tennis, tavolette di legno accoppiato per creare le matite, o un volume di vetro colorato dal quale vengono ricavate le biglie. Personalmente ho trovato i semilavorati trattati in questa mostra estremamente interessanti, perchè evidenziano la tendenza dei designer a spingersi in maniera preponderante verso il processo produttivo.
Traspare da questi quasi oggetti, embrioni di cose che non sono ancora, il rapporto forte che c’è tra il disegno e la produzione, affiancando cioè il talento creativo al sapere tecnico.
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Semilavorato della mostra" In the making", biglie barberosgerby.com
oggetto della mostra" In the making", biglia barberosgerby.com
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Questa mostra non è, come detto, una mosca bianca nel panorama del design. Sembra quasi che presentare l’oggetto così com’è non basti più e vengano perciò indagate vie alternative per trattare l’oggetto mostrando la materia prima di essere lavorata, il processo interrotto, i disassemblaggi ecc. Quest’ultima tecnica è stata da prima indagata dal mondo artistico, tra gli altri da Fabian Oefner, con esplosi di modellini di automobili e da Todd Mclellan con le bellissime composizioni di oggetti smontati. L’artista disassembla oggetti tecnici, ricchi di dettagli meccanici e gli dispone sul piano con una cura maniacale svelando la complessità dell’oggetto stesso.
Simili metodi di rappresentazione si possono trovare anche nei siti dei designer che spesso mostrano i loro progetti smontati e disposti su un piano ortogonale. Come nei casi riportati sotto della lampada Plug dello studio Form Us With Love, e della gattiera Minù di Valerio Sommella, gli oggetti vengono disassemblati per mostrare le singole compoenti ed evidenziare le capacità nel disegno. Mettere a nudo gli oggetti è una operazione che reputo molto interessante perchè da forma alla presenza di una comunity di professinisti e addetti che si interessa anche al dettaglio tecnico e che richiede perciò un grado di analisi superiore dell’oggetto.
Minù, Valerio Sommella, United Pets, 2013 http://www.sommella.com
Form us with love, plug lamp per ateljé lyktan http://www.designboom.com
Composizione, Todd Mclellan http://www.toddmclellan.com
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Infine anche lo sviluppo di nuove tecnologie produttive ha la capicità di far uscire il processo produttivo dalla fabbrica. Facciamo riferimento alle stampanti 3D, che rappresentano una grande innovazione nel mondo della produzione. Seppure le capacità di questi strumenti siano ancora limitate, soprattutto per quanto riguarda i tempi di produzione, essi rappresentano un fenomeno di estrema diffusione del sapere produttivo. La possibilità di avere una tecnologia capace di produrre oggetti con un utilizzo desktop, alla portata di tutti, può cambiare le dinamiche di questo sapere. Tutti i segreti e gli accorgimenti tecnici che da sempre abitano le fabbriche entrano nelle case e si diffondono su forum on line dedicati ai nuovi makers.
Makerbot, 2012 www.makerbot.com
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3. Casi studio e classificazIone _
A seguito di un inquadramento storico avvenuto nei capitoli si precedenti, risulta più facile inquadrare Il processo produttivo come componente di rilevante importanza nel design contemporaneo. Come è vero che l’industrializzazione ha portato perfezione produttiva ed assenza di errori nell’oggetto, è altresì vero che la tendenza di molti designer negli ultimi anni è quella di mostrare il processo con cui gli oggetti sono fattti intervenendo spesso sul tema della riproducibilità seriale. Dai primi casi, come quello citato di Gaetano Pesce, questa tendenta si è fatta via via riscontrabile con più frequenza andando oggi a formare una tipologia precisa di progetti. La divulgazione della genesi dell’oggetto è resa possibile anche dalla notevole espansione dei mezzi masmediatici che, grazie a siti dedicati, hanno la capacità di amplificare il potere narrativo dei progetti. In questo capitolo si andranno ad analizzare alcune metodologie utilizzate dai designer per far trasferire il racconto del processo produttivo tramite degli oggetti finiti. Per fare ciò sono state individuate diverse categorie che hanno utilizzato differenti metodi di rappresentazione del processo con una particolare attenzione al mondo dello stampaggio.
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Partendo da oggetti d’uso comune che già sono dotati di quasta capacità narrativa procederemo con l’analisi di diversi casi studio del mondo dell’arte e del design che ci porteranno ad avere un idea più chiara della tematica nella contemporaneità.
MOSTRARE LA TECNICA Quando da bambini abbiamo tolto I soldatini dai blister in plastica spezzando le giunture del blister stesso eravamo parte del processo produttivo generante quei piccoli personaggi. Difatti quello che ci arrivava nella scatola era solo un semilavorato e l’ultima parte della produzione era affidata a noi. Un semilavorato, in quanto oggetto incompiuto, presenta alcune caratteristiche che possono aiutare nell’identificazione della tecnologia che lo ha generato. Quegli oggetti, tipici del mondo del modellismo trasmettono una estetica che ben si allinea al tema che stiamo trattando, si trovano infatti in vendita con ancora annesso il loro "cordone ombelicale" ovvero la matarozza e I canali dell’iniezione. Analogo è il caso delle termoformature fustellate con ancora la lastra in plastica che le ha generate. Questi oggetti sono dotati di una forte capacità narrativa che può dare una idea, seppure poco precisa, di come siano stati prodotti.
model-kit stampato a iniezione. makezine.com
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Le mollette per bucato di Giulio Iacchetti per Coop seguono lo stesso principio, Dallo stampo escono in formazione "a corolla" 12 pezzi. L’assenza di un ulteriore passaggio industriale (come il montaggio, assemblaggio e l’aggiunta di una molla metallica) incide sulla riduzione del costo del prodotto. Sarà l’utente finale a staccare ogni singolo pezzo dalla corolla, avviando una sorta di gioco con un oggetto che da sempre rientra nell’attrezzaggio base di ogni casa. Queste mollete, così come i soldatini dei model-kit, sfruttano la caratteristica forma dei canali dell’iniezione che, sono abbastanza larghi da consentire il flusso della plastica durante il processo , ma che una volta induriti consentono di essere spezzati facilmente saltando perciò parte del processo produttivo. Un altro modo efficace utilizzato per mostrare il processo è quello di portare fuori dalla fabbrica o dal laboratorio artigianale componenti e parti che solitamente vengono occultate.
Giulio Iacchetti, molletta per bucato COOP 2008 giulioiacchetti.com
La produzione, sia artigianale che industriale, è fatta di macchinari , attrezzi e strumenti specifici solitamente estranei ai più. Dare risalto attraverso il progetto a queste componenti diventa un gesto forte perchè pone luce sulla liturgia del processo divulgando i mezzi necessari alla sua realizzazione. Lo stampo fa parte di una di queste componenti, alcuni designer, come Huang Ching Chi con la sua collezione mould tableware utilizza direttamente lo stampo come componente funzionale, privandola della sua funzione di forma generatrice ma dandogli una funzione altra, ad esempio lo stampo della ciotola diventa la ciotola stessa. L’utilizzo non convenzionale di stampi in gesso per la ceramica è piuttosto ricorrente negli ultimi anni. Semplificando molto potremmo dire che la maggior parte dei vasi in ceramica è prodotta utilizzando stampi in gesso composti da due metà.
Mold Tableware by Huang Ching-Chi from taiwan designboom.com
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Una volta uniti con degli elastici il materiale viene colato all’interno e ,quando raggiunge lo spessore desiderato, svuotato e lasciato asciugare. Una volta tolto dallo stampo e lasciato seccare a dovere l’oggetto viene cotto. A questo punto il materiale prende il nome di biscotto. Questo viene successivamente smaltato e cotto una seconda volta dando origine al prodotto finito. Alcune delle nozioni sopra citate possono riscontrarsi e trasparire da alcuni progetti che hanno come componente primaria proprio lo stretto rapporto tra lo stampo e l’oggetto riprodotto, rapporto che trova nella ceramica la sua applicazione più antica. Lo studio spagnolo Nadadora con il progetto bootleg ha creato dei vasi in ceramica ottenuti mischiando gli stampi in disuso dell’industria di Manises. Alcuni anni fa, infatti, il polo industriale della città attraversò una fase di importante crisi e diverse eziende dedite alla lavorazione ceramica chiusero lasciando numerosi stampi prematuramente inuti-
Studio Nadadora, bootleg. nadadora.es
Studio Nadadora, bootleg. nadadora.es
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lizzati. Il suo nome, bootleg, deriva da una tipologia di remix musicale, il progetto consiste infatti di un esercizio di taglia e incolla che consente di abbinare parti di stampi diversi. Ci sono state due edizioni, la prima nel 2008, in cui la sezione verticale definisce il mix. Nel 2009, vengono creati altri due modelli utilizzando la sezione orizzontale con un risultato diverso. Le parti di giunzione del materiale ceramico sono state lo spunto progettule di altri oggetti. La ceramica liquida, versata nello stampo si infiltra nelle giunzioni tra le parti di quest’ultimo creando delle increspature chiamate "bave". Solitamente questi difetti vengono tolti passando una spugna umida sull’oggetto prima della cottura. Nel progetto Pieces of Pi, del designer olandese Dik Scheepers, questo difetto viene messo in luce ed estremizzato grazie all’utilizzo di stampi composti da molte parti.
dice infatti il designer: " I do not think it is necessary to make the perfect mold. I accept the mistakes, which are normally not wanted.These mistakes become a characteristic of the product and tell a lot about it’s processing. They make the product even more beautiful". Dik Scheepers. Un’altra caratteristica che ha il materiale ceramico è che quando asciuga Diminuisce di circa il 10 % . Questo è ciò che maggiormente ha interessato Dave hakkens con il progetto SHRINKING JUG, Il designer ha costruito una grossa caraffa utilizzando vari materiali in modo da osservare il fenomeno del restringimento su differenti texture. Dalla caraffa ha ricavato uno stampo con il quale ne ha riprodotta una seconda che si è ristretta del 14 %, il processo è stato ripetuto diverse volte, ogni volta la ceramica si deforma leggermente e i dettagli si perdono lentamente.
Dik Scheepers, Pieces of Pi. 2010 dikscheepers.nl
Dave Hakkens, SHRINKING JUG, 2012. davehakkens.nl
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Ci sono voluti 13 passaggi per trasformare una brocca da 5 litri in una da 10 millilitri. Personalemente credo che questo progetto sia molto interessante perchè sfrutta un comportamento fisico del mteriale in modo innovativo, mostrando differenti texture e con una forte componente poetica. Ancora una volta una caratteristica fisica, una peculiarità nota agli addetti ( in questo caso ai ceramisti ), si mostra, grazie ad un progetto capace di trasferire un valore, o meglio un limite di processo al valore d’uso ed estetico dell’oggetto. Anche Tomas Alonso nel progetto Stamp per l’azienda italiana Italesse forza l’estetica del processo produttivo. Le posate in acciaio stampato ricordano più dei macchinari o degli oggetti tecnici piuttosto che un prodotto per la casa.
STAMPO A PERDERE Un processo a mio parere molto interessante che è in grado di manifestare in modo forte il processo produttivo è quello dello stampaggio a perdere. L’ espressione "a perdere" viene comunemente utilizzata per indicare i processi di fusione in cui un modello in cera viene utilizzato per creare la forma da stampare e che viene sciolto e quindi perso quando il metallo fuso entra nella cavità dello stampo. Con questo termine voglio intendere invece vari metodi produttivi che prevedono la perdita delle componenti generanti la forma ( lo stampo appunto).
Queste componenti possono svanire in vari modi, fisicamente, cioè attraverso dei procedimenti che ne deterioriano una parte,possono essere inglobate dal materiale stampato, fungendo da anima o al contrario da esoscheletro ecc.
Studio Glithero, Big Dipper glithero.com
Thomas Alonso, stamp, Italesse 2010 tomas-alonso.com
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Un esempio a mio parere molto interessante dell’utilizzo dello stampo a perdere è il progetto BIG DIPPER di studio Glithero. Il progetto consiste in un macchinario formato da fili e pulegge che consente di creare dei candelabri immergendo nella cera fusa una struttura composta da fili del materiale tipico degli stoppini. Ispirato alla tecnica convenzionale di lavorazione delle candele decorative il progetto è dotato di una forte poetica. Il filo, anche se leggerissimo è parte fondamentale dell’oggetto finito, non solo perchè consente alla candela di bruciare ma anche perchè nella fase di produzione dell’oggetto ha svolto la funzione di embrione della forma. La cera, cioè, si deposita sul filo che immersione dopo immersione aumenta di volume costituendo la geometria del candelabro. Ricoprire un materile con un altro può non avere fini solo funzionali, come nel caso delle candele, ma anche estetico. Ricoprire un materiale povero con uno più ricco ad esempio è una tecnica molto utilizzata, si pensi ad esempio ai processi di cromatura e placcatura introdotti alla fine dell’800 come abbiamo visto nei capitoli " arte applcata" e " la scomparsa della percezione materica". La tecnica di ricoprire un materiale con un altro ha origini molto atiche e anche oggi trova nel design alcuni esempi di interesse.
Un fregio in polistirolo dal costo molto ridotto viene fissato al soffitto e, una volta coperto di vernice, simula uno stucco di pregio. La componente povera è nascosta da una patina che seppure assumendo la sua forma la esalta e la arricchisce.
Wiktoria Szawiel, Landscape Within project. dezeen.com
Wiktoria Szawiel, Landscape Within project. dezeen.com
Fregio in poliestirolo cosedicasa.com
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Nel progetto Landscape Within project la polacca Wiktoria Szawiel compie un operazione opposta rispetto all’esempio del fregio. Il progetto si pone infatti l’obbiettivo di esaltare I materili tipici dei paesaggi nord-europei che vengono incapsulati all’interno di oggetti in resina opaca. Pur non avendo funzione strutturale l’anima dell’oggetto è ben visibile e viene esaltata dalla combinazione di naturale e artificiale. I progetti citati in questo capitolo sono spesso caratterizzati dalla complementarietà delle componenti: è come se, per esistere, una parte preveda e necessiti dell’esistenza dell’altra.
Seguendo questo principio non possiamo non citare il caso della sedia Leggera disegnata da Riccardo Blumer per Alias. Il progetto è frutto di una sperimentazione sui materiali che trova la sua compiutezza in una scocca in legno sottile pochi millimetri che funge da esoscheletro, all’interno viene iniettata una schiuma poliuretanica che riempiendo il volume in legno conferisce resistenza e leggerezza alla sedia. L’nterdipendenza tra i materiali è in questo caso estremizzata perchè l’assenza della schiuma farebbe collassare la struttura in legno ed allo stesso tempo quest’ultima funge da cassaforma per il materiale plastico che altrimenti non prenderebbe forma.
POSITIVO NEGATIVO Una delle caratteristiche interessanti quando si tratta il mondo degli stampi è il rapporto tra il pieno e il vuoto, tra la forma e ciò che la genera e più in generale tra il posiivo e il negativo. Mostrare l’assenza di qualcosa è un metodo molto efficace per definere una forma perchè innesca un processo mentale di ricostruzione delle cose. Nel vaso "missing" dello studio Sovrapensiero le tracce del tempo lasciate dagli oggetti prendono forma per testimoniare l’assenza di qualcosa che era lì ma che ora non è più.
Missing Vaso ispirato agli oggetti assenti / 2008 sovrappensiero.com
Riccardo Blumer, La leggera, Alias 1996 living.corriere.it
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Lasciare il vuoto dovuto all’esportazione della materia è il fil rouge anche di alcuni progetti di Samuel Treindl, la lamiera che compone i sui mobili viene infatti lavorata a priori generando altri oggetti. Rimane perciò sull’oggetto il segno della mancanza che lascia intravedere e immaginare quali altri oggetti esso stesso abbia generato.
Samuel Treindl, brass shelf. samuel-treindl.de
Maestra nel lavoro sul negativo e il positivo è Rachel Whiteread, artista inglese che produce principalmente sculture che assumono tipicamente la forma di stampo. Alla sua prima mostra personale, allestita alla Carlisle Gallery di Londra nel 1988, presenta calchi di mobili e utensili di uso domestico che sottendono elementi autobiografici. Solidificando lo spazio occupato da questi oggetti quotidiani, l’artista inverte il rapporto tra pieno e vuoto trasformando il negativo in positivo. Lo stampo diventa una scultura astratta e moltiplicabile ed è riempito di materiali — come gesso, gomma, cemento e, dal 1994, resina poliestere — capaci di conservare il ricordo, le impronte, le tracce fisiche dell’esistenza umana a cui quegli oggetti sono appartenuti. Prendere il calco di un oggetto, fissare nella materia la sua impronta può generare anche oggetti d’uso.
Samuel Treindl, brass shelf. samuel-treindl.de Rachel Whiteread, Untitled, 2010 Mixed media 5 units farticulate.wordpress.com
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Ne è un esempio il progetto " reversed volumes" dello studio Mischer’traxler, una collezione di contenitori ottenuti prendendo l’impronta di frutta e verdura. Lo spazio tra il cntenitore e il vegetale è stato riempito di materilale capace di trasferire la texture e I dettagli un modo molto dettagliato.
Mischer’traxler, reverse volume - leaves. 2014 mischertraxler.com
Mischer’traxler, reverse volume, 2013 mischertraxler.com
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Mischer’traxler, reverse volume, set di ciotole 2013 mischertraxler.com
CORTOCIRCUITO MATERICO Con Il seguente capitolo, in continuità con il precedente si vogliono analizzare le capicità dello stampaggio di trasferire le texture. Come già visto nel capitolo "Mostrare la tecnica", lo stampo permette di trasferire la finitura e i dettagli degli oggetti replicandoli in modo molto preciso. In certi casi riportati di seguito è possibile riscontrare un cortocircuito materico che è reso possibile proprio dalla fedeltà dello stampo.
Il progetto Macramè di Lorenzo Palmeri è un esempio che ben chiarisce la classificazione che stiamo compiendo donando alla pietra la finitura dei tessuti. Il progetto è stato realizzato grazie alla collaborazione di due aziende: Nodus e Stone Italiana, e si pone l’obbiettivo di trasmettere alla pietra la sapienza dei tessitori di tappeti quasi fossilizzandola. Nei tappeti realizzati a mano ogni nodo è diverso dall’altro, per trasportare questa unicità alla pietra I tappeti sono stati raffreddati con azoto liquido in modo da indurire il tessuto, successivamente è stato preso il calco che è stato poi utilizzato per lo stampaggio del materiale composito di Stone Italiana. Gli artigiani di Nodus e di Stone Italiana hanno lavorato virtualmente insieme per dare vita a una superficie di pietra, "morbida” come un tappeto".
Per cortocircuito materico si vuole identificare la capacità di alcuni oggetti di trasmettere sensazioni inaspettate proprio grazie allo studio della relazione tra il materiale e la sua finitura.
Lorenzo Plameri, Macramè, nodus - stone italiana, 2013 lorenzopalmeristudio.it
Lorenzo Plameri, Macramè, nodus - stone italiana, 2013 lorenzopalmeristudio.it
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Il trasferimento di finiture tipiche di oggeti morbidi come il tessuto a materiali fragili come la ceramica è una operazione riscontrata in vari casi studio. E’ stato il punto di partenza anche del progetto sviluppato dallo studio Raw Edges per Mutina. Riuscire a creare una texture tangibile è la vera sfida quando si disegnano piastrelle in ceramica. I due giovani designer affermano: "A sorpresa sono state proprio le texture tessili a condurci alla definizione della nuova collezione Tex". La forma della piastrella è un ingrandimento semplificato della lavorazione a maglia di base: osservando attentamente un tessuto lavorato a maglia, si può vedere una ripetizione di cuciture, allineate in file simmetriche una di fianco all’altra. Raw Edges sviluppa sempre per Mutina anche il iprogetto Folded, questa volta la texture riportata sulla ceramica è quela di fogli di carta piegati.
Raw Edges,Tex, Mutina raw-edges.com
Raw Edges, Folded, Mutina raw-edges.com
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Sia nel progetto Macramè che nei due progetti dello studio inglese la texture è stata trasferita ad una superfice piana, che anche se viene così arricchita di una tridimensionalità non si può considerare un oggetto a tutto tondo. Rachel Boxnboim con il progetto Alice – Porcelain tea-were applica questa tecnica ad oggetti d’uso e leggibili perciò nelle loro tre dimensioni. Il punto di partenza di questo progetto è stata la volontà di realizzare una teiera in tessuto e successivamente di usarla come stampo per la ceramica. Durante la cottura il tessuto prende fuoco e svanisce lasciando la texture impressa sulla ceramica. Il lavoro include anche la ricerca di pat-
Rachel Boxnboim con il progetto Alice – Porcelain tea-were. rachelboxnboim.com
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tern diversi con l’utilizzo di diversi tessuti. Gli oggetti ottenuti: teiera con il relativo set di tazze, piattini, zuccheriera e lattiera raccontano il modo in cui sono stati prodotti e risultano ogni volta unici. Un altro caso interessante è quello dei tombini di Giulio Iacchetti e Matteo Ragni per Montini, sui quali sono presenti delle impronte. L’obiettivo del progetto,pur in una gamma molto contenuta, è stato quello di evitare la mera operazione di decoro grafico. Ogni chiusino vuole raccontare una storia. Ad esempio quello con le impronte delle zampe degli uccellini è dedicato e da utilizzare per le aree a verde pubblico (giardini, parchi). I motivi sono quattro, ma in particolare in due vi è l’idea di trasformare la ghisa in materiale morbido sul quale è possibile lasciare un segno o un impronta.
MANOMESSI Per mostrare il processo produttivo spesso si va ad interagire con i limiti ad esempio estremizzando le lavorazioni, esaltando gli errori o andando ad intervenire a posteriori sull’oggetto rispetto alla sua produzione.
Come approfondito nel capitolo riferito al Wabi Sabi, l’errore e il difetto possono assumere accezione positiva donando unicità all’oggetto.
JVLT, Saving/Space/Vase, PLUST, 2009. joevelluto.it
Giulio Iacchetti e Matteo Ragni, Tombini, Montini 2012 giulioiacchetti.com
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Quando questa tecnica è applicata ad oggetti prodotti industrialmente guadangna, a mio parere, ancora più forza, perchè traccia una linea nitida di demarcazione tra la serialità e il pezzo unico. Per manomissione dei processi si intende l’intervento con il quale si modifica la produzione andando ad intervenire in una delle fasi del processo modificando il ciclo standardizzato della produzione. Questo è il caso del progetto Saving/Space/Vase progettato dallo studio Joe Velluto per Plust. Un vaso in palstica prodotto per stampaggio rotazionale viene sottoposto ad un trattamento di “compressione” subito dopo essere estratto dallo stampo. L’oggetto originario, il vaso, assume una nuova connotazione arricchendosi di un’estetica diversa, di senso estraneo. Un’azione artistica che produce pezzi unici ma industriali, che ammicca alla nostra gestualità quotidiana, familiare come lo schiacciare una bottiglia in plastica.
Casi smili sono quello della collezione di vasi "Indiscipline" di Quentine De Coster, ma anche il progetto Unlimited Edition di Pieke Bergmans e Madieke Fleuren. Nel primo caso il vaso In ceramica viene deformato in maniera casuale una volta uscito dallo stampo quando la ceramica è ancora malleabile, si ottengono perciò pezzi unici generati da una unica matrice di partenza. La collezione di vasi Unlimited Edition è invece un ottimo esempio di come si possa dare unicità agli oggetti pur usando tecniche di produzione di massa. Utilizzando un estrusore per la ceramica che genera dei tubolari continui di materiale e tagliando l’estruso si producono oggetti sempre diversi. JVLT, Saving/Space/Vase, PLUST, 2009. joevelluto.it
Quentine De Coster, indiscipline, 2010 . quentindecoster
JVLT, Saving/Space/Vase, PLUST, 2009. joevelluto.it
Quentine De Coster, indiscipline, 2010 . quentindecoster
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Quentine De Coster, indiscipline, 2010 . quentindecoster
" Abbiamo progettato diverse teste di estrusione che abbiamo posizionato nel macchinairo consentendo alla macchina di estrudere tubolari ininterrotti di ceramica. A causa della velocità e della flessibilità della ceramica il materiale tendeva a schiacciarsi dando origine a forme quasi impossibili. Abbiamo tatgliato gli estrusi e posizionati su un tavolo di asciugatura ottenendo risultati sempre diversi ". Pieke Bergmans Grazie alla ricerca della qualità della ceramica che consentiva una massima deformazione i designer hanno sviluppato un nuovo prodotto che è sempre unico ma può essere prodotto in serie: il risultato è una serie di vasi che prende il nome di "Unlimited Edition".
Lavorare con il modo di produrre le cose è una tematica ricorrente dello studio Mischer’Traxler, già citato nel capitolo POSITIVO NEGATIVO , in uno dei loro primi lavori risalente al 2006 hanno sviluppato il progetto "till you stop". Si tratta di un idea di un nuovo modo di produzione . Utilizza dei movimenti ripetuti e randomici sommandoli alla decisione del cliente di dire "stop" generando oggetti ogni volta diversi. Gli esperimenti svolti sono stati: Una stampante che stampa In maniera continua lo stesso pattern su un nastro di carta. Un piatto che viene decorato da uno strumento che lo colora. Un contnitore in ceramica umida che viene stressato da diversi strumenti che ne alterano la forma. Un diffusore per lamade che viene forato ripetutamente. L’intervento umano in questo caso è fondamentale, anche se la lavorazione non è da lui svolta egli ha il potere di fermarla e in un qualche modo di governarla.
Pieke Bergmans e Madieke Fleuren unlimited edition, 2007. piekebergmans.com
Mischer’Traxler, till you stop 2006. piatti mischertraxler.com
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All’interno della tematica della manomissione dei processi l’intervento umano è fondamentale. Questo gesto rimane impresso nell’oggetto e mostra, come in alcuni casi precedenti, l’imprecisione umana rispetto al rigore della macchina. In altri casi questa operazione ha lo scopo di conferire unicità all’oggetto, in altri ancora è utile per evidenziare il lavoro artigianale e manuale. Un esempio di quest’ultima tipologia è il tatppeto day by day Progettato per Nodus. Il tappeto è realizzato a mano ed è studiato per esaltare il lavoro umano ed il tempo necessario ad un singolo tessitore per realizzarlo. Ogni giornata di lavoro è resa riconoscibile e generea un pattern sempre diverso indicando anche l’esatto tempo necessario per realizzare l’oggetto . Il pattern è definito da una struttura a celle, il tessitore usa ogni giorno due colori diversi per riempire il pattern. day by day è un metodo di produzione applicabile a tappeti di diverse dimensioni sempre in grado di rappresentare il tempo speso dal tessitore per annodarli.
TRANSFER TECNOLOGICO Come accennato nell’introduzione del capitolo alcune tecnologie sono più comprensibili di altre. Mentre è probabile che conoscenze, anche indicative,dello stampaggio ad iniezione non siano comuni tra I non addetti ai lavori è più verosimile che tecnologie più semplici passino nell’immaginario collettivo, anche grazie all’osservazioni di oggetti comuni. Utilizzare tecnologie riconducibili ad un oggetto noto per realizzarne uno appartenente ad un campo totalmente diverso è un modo piuttosto efficace per far ricadere l’attenzione sul processo produttivo. Questo insieme di progetti può essere diviso in due classificazioni principali:
il transfer tecnico-funzionale che consiste nell’utilizzo di una tecnologia nota con il relativo materiale ma cambiando l’ambito di applicazione. Il transfer tecnico-materico che consiste nell’ultilizzo di una tecnologia nota ma riadattata ad un materiale diverso dalla norma per la produzione di oggetti di vario tipo.
Mischer’Traxler, day by day, mischertraxler.com
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La sedia Sparkling disegnata dal designer tedesco Marcel Wanders per Magis utilizza proprio questo metodo. La sedia in PET è prodotta utilizzando la tecnica del blow moldig comunemente usata per la produzione delle bottiglie d’acqua. Dopo essere state soffiate, le gambe e la seduta sono riempite di aria ad alta pressione che crea componenti resistenti e strutturali. Con questa tecnica si minimizza la quantità di plastica necessaria e si rende la sedia estremamente leggera: circa 1 kg. L’estetica della sedia è si dettata dalla tecnologia ma vuole volutamente richiamare quella delle bottiglie d’acqua, non solo per il nome ma anche per il modo con cui le gambe si avvitano alla seduta.
La sedia Chassis disegnata da Stefan Diez per Wilkhahn segue un principio simile: Prodotta dal 2011 è stata la prima sedia realizzata tramite l’imbutitura di una lastra d’acciaio utilizzando la tecnologia tipica della lavorazione delle carrozzerie delle automobili. La scocca della sedia è ricavata dalla lavorazione di un foglio d’acciaio spesso 1.2mm.
Marcel Wanders, Sparkling, Magis. marcelwanders.com
Stefan Diez, chassis, Wilkhahn, 2011. stefan-diez.com
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Successivamente le gambe sono saldate alla struttura grazie ad un supporto. La struttura, come in un automobile, è in grado di distribuire il peso in modo uniforme ed allo stesso tempo rende la sedia leggera e robusta. Il nome ancora una volta vuole enfatizzare la tecnologia utilizzata rimarcando il collegamento con il mondo dell’auto. Nei due progetti appena citati è possibile leggere la volontà dei designer di svolgere una azione che potremmo definire di divulgazione del processo. Utilizzando una tecnologia nota ai più il processo si trasferisce da un ambiente altro ad un complemento d’arredo. Il nome, le finiture e le soluzioni progettuali cercano il più possibile di tenere il progetto legato al mondo dal quale ha attinto la tecnologia ripetendo il concetto in modo ridondante.
Stefan Diez, chassis, Wilkhahn, 2011. stefan-diez.com
Sempre per rimanere nel mondo della sedia, per eccellenza l’oggetto "preferito" di molti designer, anche il caso di pressed chair, progettata da Harry Thaler per Moormann è riconducibile alla categoria di cui si sta trattando. La sedia infatti, è realizzata dallo stampaggio di una lastra di alluminio dello spessore di 2.5 mm. L’oggetto è ricavato da un pezzo unico ed è perciò piuttosto economico. La resistenza e la solidità della sedia è resa possibile dalle nervature presenti sulla scocca.
Harry Thaler, pessed chair, Moormann, 2011. harrythaler.it
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Questi progetti fanno parte, facendo riferimento alla classificazione riportata all’inizio del capitolo, ad un operazione di cortocircuito tecnico-funzionale. Differenti sono I casi dove una tecnologia nota viene reinterpretata cambiandone il materiale. Si va,cioè, ad agire su alcune comoponenti del processo ma senza stravolgerne totalmente la resa estetica. Sarà capitato a tutti almeno una volta di rompere un tubo in cartone, uno di quelli che fanno da anima ai rotoli di carta da cucina ad esempio; come da una striscia di cartone si possa ottenere una forma cilindrica è piuttosto risaputo o ipotizzabile. Questo processo produttivo è stato il punto di partenza del progetto Playtube del designer Seongyong Lee. Lee ha sviluppato un processo per realizzare tubolari di legno impiallacciato che utilizza poi per realizzare arredi dal peso ridotto.
Harry Thaler, pessed chair, Moormann, 2011. seduta prima della curvatura. harrythaler.it
Seongyong Lee, Plytube, 2010. http://www.seongyonglee.com/
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Il progetto , chiamato Playtube, utilizza una tecnologi simile a quella utilizzata per fare i tubi in cartone accoppiando i laminati di legno con colla. Lee ottiene delle strutture sorprendentemente solide e legere e ha sviluppato una serie di giunti che hanno portato alla realizzazione di tavoli e sgabelli, quest’ultimo dal peso di soli 820g. Il dettaglio del giunto vuole mettere l’attenzione sul processo utilizzato.In questo caso, a differenza di quelli precendenti, la volontà di divulgazione del processo è minore ma nonostante ciò la componente narrativa del materiale è in grado di far immaginare velocemente come l’oggetto sia stato realizzato.
Un altro caso dove una tecnologia è stata applicata ad un materiale completamente diverso è Sealed Chair di Francois Dumas. Sealed Chair è il risultato della ricerca e dello sviluppo di una tecnologia accessibile ma che permetta una produzione seriale. La struttura della sedia è formata da tre estrusi in plastica che vengono modellati dopo essere stati scaldati in un forno. Dopo aver preso forma grazie ad uno stampo in legno, le parti vengono saldate tra loro. I giunti della sedia sono disegnati seguendo il modo in cui le varie parti curvate si assemblano, e sono perciò diversi a seconda che si tretti dei sedia o poltroncina. Ogni parte lavora sinergicamente con le altre stabilizzando l’insieme. Trovo questo caso interessante perchè è stata applicata una tecnologia utilizzata da metà ‘800 per curvare il legno applicandola, però, a materiali plastici.
Seongyong Lee, Plytube, 2010. http://www.seongyonglee.com/
Francois Dumas, Sealed Chair. designboom.com
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NUOVI PROCESSI PER NUOVI PROGETTI Il capitolo precedente relativo ai cambi di applicazione delle tecnologie ci introduce direttamente ad una corrente piuttosto nuova che negli ultimi anni ha interessato il mondo del progetto. La presenza di questa tipologia di designer è descritta anche nel libro "dopo gli anni zero" di Chiara Alessi che chiama questo gruppo di designer “metonimici” e “empiristi” facendo anche riferimento alla scuola olandese. Questi designer spesso in modo empirico mettono a punto metodi di produzione nuovi. Se in passato, infatti, il designer si affidava al know how della azienda, negli ultimi anni il mondo dell’autoproduzione e una diversificazione delle conoscenze ha fatto si che il designer potesse occuparsi si di progetto ma anche sempre più spesso del processo che lo genera dando vita anche a metodi produttivi nuovi e innovativi.
cenni, ai risultati che ogni fine d’anno gli studenti della celebre Design Academy di Eindhoven mettono in mostra".27 Uno dei casi che ha riscosso maggiore successo e che ben si allinea con questa corrente è il lavoro di Oskar Zieta. Il designer ha sfruttato una tecnologia nota modificandola per otenere oggetti dall’estetica nuova e distinta. Zieta ha utilizzato infatti l’idroformatura ma privandola dello stampo: gli oggetti sono disegnati bidimensionalemente e prodotti saldando due fogli di metallo. Una volta realizzata la forma l’oggetto viene riempito di fluido ad alta pressione che lo gonfia e ne definisce la forma. Le parti si piegano e aumentano di volume dando all’oggetto l’estetica di un oggetto gonfiato e conferendo al metallo un aspetto leggero.
"Esiste un tipo di ricerca in cui il concept è fondamentale, ma non basta una telefonata a spiegarlo perchè non è l’oggetto la cosa più interessante da raccontare. In cui c’è una attenzione ineludibile nei confronti del prodotto e del sue esito percettivo, ma non si risolve necessariamente nella collaborazione con una azienda. In cui nella metanarrazione il processo e la motivazione ch lo orienta contano più del risultato, e il valore complessivo del prodotto non si esaurisce nel prodotto in sè, ma implica il coinvolgimento di elementi contigui per qualche affinità: perciò si parla di metonimici, perchè nel caso di questi autori la materia conta più dell’oggetto di cui è fatta, la causa vale più dell’effetto, e I contenitori ( per esempio la collezione, la serie o lo studio) diventano più importanti del singolo contenuto. Si parla di auturi davvero a proposito in questo senso perchè, oltre che progetti, questi designer inaugarone delle collane. La scuola olandese, invece, viene menzionata per il fatto che, benchè oggi questo stile non abbia una patria unica, il genere per antonomasia fa riferimento, da almenu un paio di deOskar Zieta, processo di produzione dello sgabello Plopp zieta.pl 27 Chiara Alessi, Dopo gli anni Zero, Laterza, 2014
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La tecnica dell’hidroforming consente la realizzazione di oggetti dall’estetica forte e che ben racconta il processo che l’ha generato. Ogni oggetto è inoltre unico e diverso dagli altri anche se frutto di un processo riproducibile, poichè il metallo si piega sempre in modo leggermente differente. Con questa tecnica sono stati realizzati vari oggetti: sedute, appendiabiti, scale e sgabelli: quest’ultimo prodotto oggi dall’azienda danese HAY. Una delle caratteristiche che spesso accomuna questa tipologia di progetti è l’assenza degli stampi. Il motivo è spesso legato al costo d’investimento ma dipende anche dalla libertà che si vuole ottenere alla possibilità di creare oggetti in edizioni limitate o pezzi sempre diversi gli uni dagli altri.
Oskar Zieta, sgabello Plopp, HAY zieta.pl
Un progetto che agisce in maniera importante sullo stampo è Pixel Mould di Julian Bond.
In questo, come in altri casi, si sostituisce il disegno dell’oggetto con quello del macchinario che lo genera, e poco importa se la resa non è precisa, se l’oggetto sembrerà non finito o rovinato,i designer lo mostreranno così com’è in con un exploit di onestà produttiva. Il designer ha progettato un macchinario per stampare oggetti in ceramica che consenta una costante modifica dello stampo stesso. Un po’ come i caratteri mobili della stampa su carta ma reinterpretati in versione tridimensionale . Lo stampo è formato da più di 1300 componenti mobili che possono essere configurati in maniera sempre diversa. Una volta assunta la conformazione voluta dello stampo si lavora con la ceramica per colaggio ottenendo oggetti con una distinta estetica che strizza l’occhio alla pixel art.
Julian Bond, Pixel Mould. julianfbond.co.uk
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Julian Bond, Pixel Mould. julianfbond.co.uk
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Spesso questi processi produttivi, dettati da una forte componente empirica, danno l’idea di perdere il controllo sulla lavorazione, come se si volesse lasciare la materia libera di assumere la forma per lei più naturale. Diversi sono i processi che utilizzano proprio l’assenza del controllo per generare la forma affidandosi alla casualità e all’entropia. Il progetto Storm boxes di Johannes Hemann utilizza proprio l’entropia dell’aria per applicare il materiale su una forma. Una forma cospasa di colla viene messa in un contenitore dentro il quale sono state messe piccole componenti in materiale plastico, sferette di polistirolo, granuli di polipropilene o poligoni di schiuma poliuretanica.
Il compressore collegato alla scatola soffia queste piccole componenti contro la forma dando origine all’oggetto che assume un aspetto caotico e che ben racconta l’entropia che lo ha generato. La volontà dei designer di modificare I processi non riguarda solo I metodi produttivi convenzionali ma anche le nuove tecniche come quella della prototipazione rapida. Un esempio interessante e paradigmatico è quello di Area Fabrica, progetto nel quale Roos Meerman ha sviluppato una tecnica che combina il soffiaggio e la stampa 3d. Meerman ha sperimentato la tecnica soffiando delle forme stampate 3d per deposizione di filo. Il materiale si trasforma liberamente ma limitato dalle specifiche della forma di partenza che può variare per spes-
Roos Meerman, Aera Fabrica, 2013 www.mocoloco.com
Johannes Hemann, Storm boxes, Kirsten 2008. johanneshemann
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Roos Meerman, Aera Fabrica, 2013 www.mocoloco.com
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sore e disegno. Il risultato sono delle forme che mostrano le possibilità della tecnica nella quale l’oggetto stampato 3D non è il fine ultimo, ma un semilavorato che grazie ad una seconda fase di lavorazione apre nuove strade di applicazione. L’utilizzo della stampante 3d permette di determinare a priori la forma che si otterrà gonfiando la preforma senza l’utilizzo di uno stampo.
"Ho sviluppato una tecnica che combina il blow moulding, il soffiaggio del vetro e la stampa 3D. Al contrario del soffiaggio del vetro però, con Aera Fabrica determino la forma prima del processo di soffiaggio consentendomi di influenzare maggiormente la forma finale".
Roos Meerman, Aera Fabrica, 2013 www.mocoloco.com
Dirk van der Kooij con il progetto reboot,reinterpreta la tecnologia della stampa 3d a deposizione di filo utilizzando un robot al quale viene applicata una testa di estrusione caricata con pellet di materiale riciclato. Seguendo una geometria bidimensionale la macchina sovrappone strati di materiale con un unica deposizione fino a formare un oggetto tridimensionale. Inserendo nel contenitore sulla testa di estrusione materiale di colore diverso è possibile anche ottenere delle variazioni di colore graduali. Le possibilità di questo processo produttivo sono molte in quanto il robot consente un approccio estremamente dinamco capace di creare facilmente variazioni su ogni oggetto.
Dirk van der Kooij, reboot, 2012 www.dirkvanderkooij.nl
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IPERTROFIA DEL PROCESSO Come ultima sezione di questo capitolo si vogliono analizzare quei progetti dove il la narrazione del processo produttivo prende il totale sopravvento sul prodotto. Non è raro infatti imbattersi in progetti presentati on line arricchiti da un vasto accessorio di immagin, video e spiegazioni. Il progetto ha infatti dovuto adattarsi ai mezzi di comunicazione e più in particolare al mondo dei blog. In passato la comunicazione del progetto, incominciando dal supporto da utilizzare fino al mezzo divulgativo aveva una funzione molto più tecnica che mediatica. Il suo posizionamento all’interno della timeline del progetto era a posteriori dello sviluppo del protto: prima si progetta qualcosa, poi si pensa a dove e come lo si comunica.” Le possibilità di divulgazione di informazioni e l’aumento delle capacità narrative dei nuovi media hanno determinato una categoria di progetti differente dal passato che ha come segno distintivo la spettacolarizzazione del processo produttivo. Come se fosse una celebrazione sacra ogni fase del progetto viene filmata, fotografata e descritta; si possono trovare documenti fotografici del designer alle prese con la formulazione del cencept, dei modelli di studio, della scelta dei materiali ecc. Il momento di spannung di questo racconto progettuale è la realizzazione dell’oggetto che solitamente fa ricorso a metodi semiartiganali, imprecisi e dall’alto valore simbolico. Si può quindi affermare che, in questo ambito, il progetto sia diventato comunication driven,ossia guidato dal sistema comunicativo. Parliamo di un progetto mediatico, col fine principale di raccogliere quanti più proseliti attraverso la sua spettacolarità concentrata e la narrazione delle sue tappe, per cercare di far emergere l’immagine del designer che lo ha sviluppato.”
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Alla luce di ciò si viene a creare una distribuzione squilibrata delle componenti del progetto rendendo preponderante la parte inerente allo svolgimento a scapito del prodotto finale. L’oggetto finito viene creato attraverso una serie di passaggi che gli conferiscono senso . Il prodotto perciò non avrebbe alcun significato senza I momenti della sua generazione. Riassumendo potremmo dire che all’interno del work flow del progetto una parte, il processo appunto, prende maggiore importanza aumentando di volume diventando, per usare un termine medico, ipertrofica. I progetti affetti da ipertrofia del processo sono dei veri e propri atti performativi abusati poichè si concentrano sull’accadimento in quanto tale, invece che sul risultato prodotto dall’evento ovvero l’oggetto stesso. E’ giusto dire che molti progetti negli ultimi anni si servono dei nuovi media per avere visibilità, e al primo sguardo non è facile capire quali siano ipertrofici e quali no. Può aiutarci in questa divisione, pensare di privare il progetto di ogni sua appendice, di ogni video, spiegazione e descrizione, spogliando il progetto in questo modo, si otterrà l’oggetto puro, senza nulla di più. Qualora questo fosse ancora in grado di raccontare la storia che lo ha generato, allora è probabile che non ci troviamo davanti ad un appartenente alla categoria trattata in questo capitolo.
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I progetti ipertrofici spesso utilizzano tecnologie semplici e ambienti naturali, come nel caso dello sgabello Hexagonal Pewter Stool progettato da Max Lamb. Ispirato dall’infanzia passata sulle spiagge della Cornovaglia il designer ha deciso di produrre un oggetto in quel luogo a lui così caro utilizzando una tecnica antica come quella della fusione in sabbia. Il metallo fuso è stato versato in uno stampo scavato a mano direttamente sulla spiaggia. Una volta raffreddato l’oggetto viene ripulito dalla sabbia mostrando la sua finitura. L’oggetto viene presentato da video, foto e descrizione. La finitura grezza dell’oggetto ha un potere narritivo, ma la maggior parte della poetica viene delegata alla componente comunicativa (foto e video appunto).
Max Lamb,Pewter Stool, 2006. maxlamb.org
Max Lamb,Pewter Stool, 2006. maxlamb.org
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I designer che realizzano questa tipologia di progetti hanno grandi capacità di narrazione e spesso le utilizzano per trattere tematiche di sostenibilità ed ecocompatibilità e più in generale rimanendo sempre nell’area del politically correct. Studio Swine fa di queste tematiche il corpo centrale del proprio lavoro, dal riutilizzo di materiali di scarto, all’uso di capelli resinati per creare giochi di venature in un materiale nuovo, alla realizzazione di una piccola fornace mobile per riciclare le lattine gettete in strada. I progetti affrontano tematiche forti e vengono rese sempre in maniara spettacolare, tanto che nella home page del loro sito vi è una sezione FILM che riporta tutti I video " documentari" dei progetti. Forse il loro lavoro più pubblicato e condiviso è Sea chair che affronta il problema dei rifiuti di plastica dispersi in mare.
Nel cortometraggio realizzato si vedono alcuni componenti dello studio uscire in mare con I pescatori locali, dopo aver raccolto pezzi di plastica e ridotti in grani grossi vengo sciolti e pressati all’interno di stampi rudimentali. Il risultato è uno sgabello dall’espetto grezzo al quale viene legata una piccola cima nautica ed un biglietto con la data di produzione dell’oggetto. Personalmente credo che il video sia realizzato estremamente bene, che renda l’idea desiderata e che ben narri la tematica del riciclo e di sesibilizzazione all’inquinamento. Questo potere comunicativo però, come dicevamo in precedenza, viene meno se si analizza l’oggetto privato del contesto comunicativo che lo circonda.
Studio Swine, Sea Chair, 2012 www.studioswine.com
Studio Swine, Hair Highway, 2014 www.studioswine.com
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Un’altra tematica sostenibile è quella affrontata dal designer Markus Kayser con il progetto SolarSinter Project. In un mondo sempre più interessato a questioni di produzione di energia e carenza di materie prime, questo progetto esplora il potenziale della produzione nel deserto, dove sono presenti energia e materiali in abbondanza. In questo esperimento la luce del sole e la sabbia sono utilizzati rispettivamente come energia e materiale per la produzione di oggetti in vetro utilizzando un processo di stampa 3D, che combina energia naturale e materiali con una tecnologia di produzione ad alta tecnologia. Solar-sinter mira a sollevare domande sul futuro della produzione e innesca sogni del pieno utilizzo del potenziale di produzione della risorsa energetica più efficiente del mondo: il sole. Pur non fornendo risposte definitive, questo esperimento mira a fornire un punto di partenza per nuove idee.
Markus Kayser, SolarSinter Project, 2011 markuskayser.com
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3. Interviste _
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Il capitolo seguente riporta quattro interviste che ho effettuato ad alcuni designer che hanno lavorato e lavorano su tematiche adiacenti a quelle da me trattate. Le interviste svolte più come conversazioni informali che come domande botta e risposta, mettno a fuoco diversi argomenti di cui si è accennato, in particolare nel capitolo riportante I casi studio contemporanei. I designer che ho deciso di intervistare sono: Massimiliano Adami, Giulio Iacchetti, il guppo del progetto Breaking The Mould e lo studio 4p1b. Questo insieme piuttosto eterogeneo di designer mi ha aiutato a fare chiarezza su alcune idee ancora nebulose sul rapporto tra designer e produzione, in particolar modo quando questo rapporto riveste il ruolo centrale del progetto. Massimiliano Adami ha un approccio molto sperimentale ed empirico, ho deciso di porgli qualche domanda per il suo modo di affrontare le tecnologie, acherare i processi undustriali noti o inventarne di nuovi fuori dall’ordinario. La conversazione con Giulio Iacchetti trova invece motivazione nella sua grande capacià di ragionamento sul concetto, in questo caso sulla
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possibilità di far ragionare sul progresso grazie alla produzione di cortocircuiti tra la materia e la sua trasformazione. I ragazzi dello studio 4P1B mi hanno raccontato volentieri il loro lato più sperimentale attraverso il quale una foza invisibile come quella sprigionata dal passaggio di stato dell’acqua è capace di generare forme attreverso procedimenti nuovi e riconducibili anche alle tematiche del wabi sabi. Il progetto Braking The Mould sviluppato da Chiara Onida, studio AUT, Anna Perugini, Marco Zito, Tommaso Cavallin e Dario Stellon mi viene raccontato via skype da Chiara. Il progetto tratta le tematica della lavorazione a stampo del vetro soffiato e porta con se le tradizioni muranesi reinterpretate in modo contemporaneo. Uno degli aspetti più interessanti è quello che per il progetto sono stati svolti numerosi test meticolosamente preparati nei quali è evidente un tentativo di controllo ma dove il risultato ogni volta celava risvolti sorprendenti e interessanti.
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Conversazione con Massimiliano Adami 22\07\’14 Appena si entra nello studio di Massimiliano ci si rende conto che l’approccio fisico e sperimentale è fondamentale per lui, lo spazio infatti è fitto di macchinari autocostruiti, buste piene di granuli di polimero, oggetti, prove, protipi. Gli parlo della ricerca che sto facendo e che mi sembrava doveroso citare il suo lavoro perchè si distacca molto dal design convenzionale.
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Lui mi mostra alcuni lavori che ben si allineano a quello che sto indagando: il primo è il progetto B side fatto nel 2011 per Refin. Queste piastrelle sfruttano il retro come componente estetica, M. mi spiega che il retro delle piastrelle ha delle geometrie che servono all’incollaggio nella messa in posa, smaltate queste geometrie diventano un decoro. Dopo la smaltatura le piastrelle vengono tagliate in pezzi più piccoli di forma quadtata e unendoli insieme nella messa in posa si crea una composizione che ricorda un mosaico. Ogni pezzo è diverso dall’altro, ed’è interessante, dato che I pezzi sono frutto di
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un processo industrieale che solitamente non prevede disomogeneità del risultato. Un altro progetto del quale chiedo di parlarmi è Terraviva, sempre per Refin , in questo da imperfezione, la crepa diviene simbolo estetico e metaforico, io gli dico che è un perfetto progetto Wabi Sabi, dove
la componente narrativa assume un valore primario. Poi Massimiliano mi mostra una serie di oggetti frutto di alcune prove recenti che sfruttano la forza centrifuga per creare oggetti in polimero.
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Mi racconta anche la storia dei vasi alba per Serralunga, dove il processo produttivo è stato manomesso, uno degli assi di rotazione dello stampaggio rotazionale viene infatti bloccato, in questo modo il colore si distribuisce in maniera uniforme creando una sorta di gradiente.
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Le prime prove sono state fatte In studio con un macchinario autocostruito, I protipi, grandi come un bicchierino da caffè sono molto simili al risultato finale ottenuto. Le bave che di solito vengono eliminate dopo lo stampaggio sono state mantenute per aumentare l’effetto della lampada. M. mi dice che una delle cose più stimolanti del progetto è stato vedere gli operai abituati ad una mansione piuttosto monotona accendersi di interesse
nel vedere un approccio diverso che ha scatenato in loro la voglia di dare suggerimenti e proposte. Mi chiede di come abbiano reagito gli industriali a cui ho mostrato I prototipi perchè, dice: "non per ignoranza, ma più per sedimentazione della conoscieza queste persone dicono troppo spesso "non si può fare". Gli dico che ad essere onesti sono stati tutti disponibili, solo mi guardavano strano mentre spulciavo nei cesti degli scarti.
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Ci spostiamo nell’altra stanza dove mi mostra I prototipi del progetto Elettroshock ora in esposizione al Triennale design musum con un tavolino.
Massimiliano ha usato tre fili di nikel-cromo spessi 2mm sagomati, dopo averli inseriti in una cassa riempita di pvc in polvere ha attaccato la corrente ai fili, questi scaldandosi fondono la polvere e inglobando I fili creano l’oggetto.
Mi mostra varie prove, con fili di diversa sezione e con materiali diversi come il pvc liquido. L’appoccio di Massimiliano è sempre legato al procedimento e questo progetto è forse quello che meglio lo rappresenta. Non vi è infatti la modifica di un processo esistente ma l’deazione di un modo nuovo di produrre oggetti caratterizzato da un estetica ben precisa ed imprescindibile.
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Prosegue sui passi avanti del progetto, per le ultime prove ha infatti usato un filo molto più sottile che non essendo autoportante è stato teso in una cassaforma che funge da telaio tridimensionale. L’oggetto ottenuto questa volta è una sedia che presenta molti sottosquadra e segni di imprecisione, caratteristiche che la identificano fortemente.Il filo è matrice dell’oggetto che può essere fatto solo ed esclusivamente con questo processo.
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Calibrando la corrente a 220 volt e lo spessore del filo si ottiene che per scaldare alla giusta temperatura il filo deve essere lungo circa 15 m, disponendo questa lunghezza nel telaio si possono ottenere un gran numero di oggetti prescindendo dall’utilizzo di uno stampo.
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Massimiliano Adami, elettroshock, 2014
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Conversazione con Giulio Iacchetti 01\08\’14 Alcuni dei progetti sviuluppati da Giulio Iacchetti sono citati nei casi studio che ho analizzato nei capitoli precedenti, non è queso però il motivo per il quale ho deciso di incontrarlo. In una delle visite svolte nelle aziende ho incontrato Antonio Andriolo, che nel 2005 aveva svolto alcuni lavori per il progetto
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Coop del quale faceva parte anche Giulio. Tra le altre cose Antonio mi accenna di un progetto che Giulio aveva sviluppato utilizzando gli estrusi di polipropilene prodotti in azienda per la realizzazione di borracce da ciclista. Mi reco perciò in studio da Giulio per capire meglio il progetto e per chiedere qualche consiglio sulla sperimentazione che già avevo da tempo incomincito. Il progetto di cui avevo sentito parlare si chiama "A bout de souffle", ed è stato sviluppato nel 2009.
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L’idea era quallo di provocare un cortocircuito tecnologico tra il materiale e la tecnica.
lipropilene utilizzato esce dall’estrusore morbido e malleabile e con questo tipo di lavorazione artigianale ed empirica assume un aspetto inedito che non richiama ne finitura della plastica ne tantomento quella del vetro.
La tecnologia di soffiaggio della plastica deriva certamente da una manipolazione delle antiche lavorazioni del vetro, era perciò interessante capire che risultati si potevano ottenere lavorando un estruso in polipropilene derivato da una tecnologia complessa e moderna, con una tecnica antica come quella del soffiaggio a bocca. Giulio ed un soffiatore hanno perciò tagliato l’estruso caldo con delle forbici andando a chiudere il fondo del tubolare, successivamente con un altro taglio il pezzo veniva tolto dalla macchina e poteva incominciare il lavoro del soffiatore. Questo, con un cannello in metallo immetteva aria dando volume all’oggetto. La Plastica si comportava, come ipotizzato in maniera molto diversa rispetto al vetro determinando forme asimmetrice e scomposte. Si sono ottenuti una Serie di bottiglie, ciotole, bicchieri, tutti con una estetica particolare e incerta, il po-
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Conversazione con Chiara Onida ( BTM) 19\10\’14 Dopo esserci accordati via mail io e Chiara Onida ci sentiamo su skype. Le chiedo come è nato il progetto e come ha fatto a costituirsi un team così eterogeneo che vede al suo interno designer, architetti e un ingeniere dei materili. L’interesse per il lavoro sul vetro derivava
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dal lavoro di tesi di Chiara alla Saint Martins di Londra. Quando le è stato chiesto di ripetere l’esperienza per una galleria d’arte Berlinese, Chiara ha chiamato i ragazzi dello studio AUT di Venezia per portare avanti l’idea, insieme a loro anche Anna Perugini e Maro Zito, esperto nel design del vetro che li introduce a Salviati, storica azienda veneta della lavorazione del vetro. Il gruppo coinvolge anche Tommaso Cavallin, scienziato dei materiali, con l’obbiettivo di ottenere maggiore rigore scientifico nella
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sperimentazione. Tommaso suggerisce dei materiali adatti a sopportare le temperature del vetro (1400 gradi, 900 gradi dopo essere stato soffiato) che non volatilizzassero nel momento in cui il vetro viene a contatto con lo stampo e che non fossero dannosi. All’interno del gruppo c’è anche Dario Stellon, direttore di produzione di Salviati che li ha seguiti nel progetto e ha fatto fare I pezzi ai maestri. L’idea era: " portiamo un progetto di processo e di sperimentazi-
Il gruppo sperimenta con materiali ceramici e silicei, individuati come I più covincenti, ma non mancano i test con con ferro, legno, fino alle prove con la pelle che un tempo venva conciata e seccata per poter essere utilizzzata nella costruzione di stampi.
one in mostra a Berlino per il design festival del 2011, poi la fase di sperimentazione ha richiesto più tempo di quanto pensassimo e abbiamo perciò posticipato".
"Abbiamo lavorato cercando di capire quali erano I materili alternativi al legno che potessero costituire lo stampo, I materili dovevano essere economici e permettere la riproducibilità dell’oggetto in serie".
L’intero progetto ha come linea guida il mantenimento delle specificità del vetro Muranese, di silica, molto puro e con lavorazioni particolari. Chiara mi dice che l’idea di lavorre sullo stampo deriva proprio dalla volontà di lavorare sulla tradizione del vetro muranese, oggi infatti è conosciuta per il vetro artistico ma anticamente ospitava le "fabbriche" del vetro, dove facevano valvole, lampadine ecc. Murano era cioè l’isola della produzione seriale degli oggetti in vetro prima che I prezzi diventassero non competitivi costringendo Murano a reinventarsi con la vetreria artistica. "A noi interessava riscopri-
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re questo aspetto della tradizione seriale che passa necessariamente attraverso lo stampo". Chiedo a Chiara cosa dicevano gli artigiani alla richiesta di procedimenti quantomeo inusuali rispetto alla norma. La risposta più tipica era: " Ti me ga rotto I coioni!! " . Infatti gli artigiani erano piuttoso restii ad ogni tipo di cambiamento, la presenza dello scienziato dei materiali aveva però il vantaggio di poter rassicurare I maestri
sulla non pericolosità delle fibre utilizzate che al contatto con il vetro emanavano fumo. Anche loro dopo un po’ hanno visto che I risultati erano interessanti, diversi da ciò a cui erano abituati. Le chiedo della lana ceremica e con che obbiettivo era utilizzata. Chiara mi dce che hanno messo questo materiale dentro uno stampo classico in legno, soprannominato dal soffiatore "vaso de peo" ossia vaso di pelo. La lana
è stata usata per dare una divesa finitura freddo come la battitura, la molatura, i tasuperficiale. gli e le sabbiature. Mi dice che a loro interessava studiare A murano si dice che "il vetro è fat- questi procedimenti e cercare di replicarto di fuoco e di acqua" , questo per- li, anche in maniera più semplice e meno dispendiosa. chè tutte le fornaci sono sull’acqua, La lana ceramica aveva proprio questo perciò dalle finestre entrano riflessi scopo, simulando il processo di acidatura particolari che nel tempo hanno in- introdotto da Carlo Scarpa con Venini che fluenzato le forme del vetro ispiran- consisteva nella corrosione del vetro con un acido del quale oggi è vietato l’uso. do le lavorazioni. Vengono ad esempio fatte lavorazioni a In questo caso l’obbiettivo era reinterpre-
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tare una lavorazione introdotta agli inizi del ‘900 da uno sperimentatore come Carlo Scarpa, rendendola attuale e sostenibile per l’azienda.
Il progetto è il seguito di ricerche svolte nella prima sperimentazione e si focalizza sulla capacità dei tessuti di determinare delle texture decorative. Insieme ad una textile designer inglese Le chiedo quali saranno gli avanzamenti e lavorando con il tessuto siliceo si sono del progetto.Chiara mi dice che hanno già definiti dei pattern, texture e decori. realizzato il progetto 02, textile e che sarà presentato a breve a Venezia.
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4P1B
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Conversazione con Simone (4P1B) 04\10\’14 Incontro Simone dello studio 4P1B per chiedegli informazioni a proposito di due progetti che ho trovato molti ineressanti nell’approfondimento della mia trattazione: "273" e "a perdere". I due progetti utilizzano le proprietà dell’acqua, ed in particolare il suo cambiamento di stato come punto di partenza
nello sviluppo di un processo produttivo. Simone comincia a raccontarmi come è nato il progetto 273 prodotto da De Vecchi, L’idea nasce da un breaf dato da padiglione italia, associazione culturale che racchiude diversi giovani designer con lo scopo di indagare tematiche inusali vicine al progetto. Il tema scelto per per Cersaie 2012 era l’acqua. Invece di lavorare su oggetti pensati per l’acqua lo studio decide di ragionare su oggetti creati dalla forza di questo elemento.
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Influenzati da suggestioni comuni come una bottiglia che scoppia nel congelatore a causa dell’aumento di volume del ghiaccio incominciano a sperimentare. Viene costruito un campione ottenuto da un estruso a sezione quadrata di ottone, che, dopo aver saldato due piani sempre in ottone per chiudere i lati lasciati aperti, viene riempito d’acqua attraverso un foro e lasciato congelare. Aumentando di volume l’acqua forza il metallo dandogli una forma morbida che sembra quasi gonfiata.
Questa forza impalpabile e inesorabile modifica la forma fino a farla esplodere rompendo il metallo nel punto più debole ( solitamente uno spigolo). Per fare ciò la forma deve essere riempita più volte: non basta infatti una sola "gelata" per rompere il metallo. Il ghiaccio viene fatto sciogliere e successivamente la forma viene ri-riempita. Solitamente con terza "gelata" il metallo
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cede. A queste forme dal forte potere comunicativo viene attribuita funzione: con questa tecnica vengono infatti realizzati vasi, contenitori e cestelli da ghiaccio. Il progetto viene prodotto dall’azienda De vecchi, famosa nella realizzazione di oggetti in argento. Essendo questo processo produttivo così lontano dal convenzionale non era facile trovare un fornitore che si occupasse del "gonfiaggio" dei volumi in metallo.
I designer quindi, in accordo con l’azienda, sono diventati anche produttori, occupandosi di una delle fasi della realizzazione. Le forme, una volta "gonfiate" vengono argentate, processo che oltre ad arricchire il prodotto esalta le forme e le superfici esaltando il processo che le ha generate.
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Il lavoro con il ghiaccio continua con il progetto a perdere, sviluppato sempre con padiglione italia. Il progetto nasce da un ragionamento sui sottosquadra
L’idea era quella di creare un metodo di stampaggio che permetta di realizzare qualsiasi geometria senza la necessità di estrarre il pezzo dallo stampo.
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Il pezzo viene prima realizzato in ghiaccio, immerso in una soluzione di cera d’api e cera carnauba che, indurendosi istantaneamente, forma una pelle solida. Infine si aspetta che il ghiaccio si sciolga lasciando il pezzo cavo all’interno, l’oggetto non va quindi estratto dallo stampo perché è lo stampo che cola via naturalmente. Entrambi I progetti sono dotati di una forte componente sperimentale senza la
pretesa di giungere ad una reale funzione o resa che contraddistingue I prodotti industriali. Simone mi dice infatti che per loro la sperimentazione libera è uno degli strumenti per sviluppare dei ragionamenti slegati dalle logiche industriali ma ricchi di significato.
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4. Quello che i libri non dicono _
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Data la natura sperimentale della trattazione e il contnuo interfacciarsi al mondo della produzione ho deciso di incontrare diversi industriali e artigiani per cercare di capire meglio alcuni processi produttivi. Questo lavoro di analisi è chiaramente solo marginale ed incompleto trattando infatti solo poche lavorazioni ma ci aiuta a capire le possibiltà di un approccio critico ai processi industriali. L’esperienza, se pure ridotta, mi ha permesso di vedere le tecniche e i limiti dei processi, di mostrare le sperimentazioni che contemporaneamente stavo sviluppando e perciò di ricevere consigli e feedback. Le visite svolte hanno interessato la produzione di estrusi In pvc presso... Il soffiaggio di bottiglie e contenitori mi è stato mostrato prima alla LARIOPLAST che si occupa di estrusione-soffiaggio e soffiaggio di preforme in PET, poi dal ANDRIOLO, che si occupa di estrusione-soffiaggio, ed iniezione. Infine in un piccolo Laboratorio di milano il sig. Magistrelli mi ha mostrato le tecniche e I segreti della tornitura in lastra. Il capitolo che segue cerca di riportare queste conversazioni, sconnesse e poco fluide, ma che nascondo piccole perle di saggezza artigiana, cose che non sono riportate dai libri di tecnologia, ma che si apprendono con il fare e si tramandano.
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Torneria di Rinaldo Magistrelli Via Cola Montano, 6 20159 Milano Nella torneria
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Il tornitore mi mostra il processo di ricottura: partendo da una lastra di ottone lavorata il metallo viene riscaldato con un bruciatore per riconferirgli una consistenza malleabile. Il grasso che viene utilizzato per far scorrere lo strumento sul metallo si brucia e annerisce, per questo gli oggetti in spinning non finiti risultano scuri. Gli stampi per lo spinning, chiamate "forme" o chuck sono solitamente fatte in legno, materiale economico e facile da lavorare. I legni solitamente utilizzati per svolgere questo compito sono Bosso e Noce.
sono solidi di rotazione circolare, ma si possono ottenere anche forme a pianta ovale grazie a torni appositi con il fulcro decentrato. Gli oggetti che si ottengono sono solitamente privi di sottosquadra, per ovviare a questo problema e per aumentare le possibilità di impiego vengono utilizzate forme "spacche" , queste forme sono scomponibili, una volta tornita la lastra I vari pezzi della forma vengono disassemblati permettendo l’estrazione della forma stessa. Il sig. Magistrelli mi mostra un’altra possibilità per creare forme con
Quando I tornitori lavorano si allacciano una cintura passante dietro il corpo che aiuta a spostare il peso durante il lavoro. Nella lavorazione a spinning si possono ottenere spessori variabili, il metallo così lavorato si comporta come un"fluido" nel senso che può essere distribuito sulla superficie perciò si possono idealmente ottenere oggetti con cambi di spessore.( seppure molto piccoli). Solitamente le fome ottenibili con lo spinning
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Gli chiedo del perchè nel cesto degli scarti ci siano dei contenitori dai bordi ondulati. Mi dice che quello è un errore della pressa.
sottosquadra, una volta tornita la lastra con una forma, si sostituisce quest’ultima con una più piccola,facendo aderire la lastra da un punto un poi si crea il sottosquadra. Questa tecnica è una sorta di tornitura libera perchè la lastra non si adatta alla forma ma lascia uno spazio cavo prima di aderirvi.
La pressa utilizzata per preimbutire le forme a due supporti ad anello nel mezzo dei quali viene messa la lastra. Capita che i due anelli non siano ben stretti e che la pressione esercitata sulla lastra stiri il metallo creando questo errore.
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M. mi parla della difficoltà degli artigiani di tramandare il mestiere”, mi racconta di come ha iniziato da giovanissimo e di come fosse radicata la figura dell’apprendista. Oggi, mi dice, è molto più complesso poter prendre qualcuno in laboratorio a cui insegnare. A proposito di ciò mi dice che gli apprendisti per prendere la mano con le lavorazioni utilizzavano il peltro, un metallo molto morbido che consentiva una tornitura più facile.
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Lario Plast di Ambrogio Alberio Alzate Brianza (CO)
Lario plast si occupa di lavorazione di materie plastiche, in particolare di soffiaggio.
Nello stabile sono presenti macchinari per estrusione-soffiaggio e per il soffiaggio di preforme. Gli oggetti prodotti sono contenitori di varie tipologie e dimensioni: dai flaconi per il sapone ai boccioni per l’ acqa da 5 Litri. Il sign. Alberio, proprietario dell’azienda, mi mostra I macchinari e mi dice alcune specifiche del processo, come la pressione necessaria per il gonfiaggio pari a 10 atmosfere. Queste nozioni, saranno molto utili nella realizzazione dei campioni nella fase i sperimentazione. Mi mostra come l’estruso in HDPE, una volta tagliato incomincia a gonfiarsi in modo da stirare il polimero prima ancora di entrare nello stampo. Questa operezione viene svolta con dell’aria fredda, ma non tanto da far cristallizzare il polimero.
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L’estruso in LDPE non viene gonfiato preventivamente, ma, dopo essere stato tgliato " a lancia" viene inserito nello stampo. Nelle immagini si può vedere il processo di produzione di un flacone con manico. Dopo il soffiaggio ( IMG 1 ) il manico è chiuso da un sottile strato di plastica. (IMG 2) Il foro viene aperto da un punzone che lo stacca velocemente. (IMG3) Dopo avergli mostrato alcuni prototipi, il sig. Alberio mi dice che industrialmente alcuni di essi sarebbero facilmente riproducibili. Gli mostro alcuni render di una forma soffiata in una gabbia in metallo e mi dice che per fare ciò basterebbe utilizzare un macchinario per estrusione-soffiaggio con testa di accumulo, la specifica del macchinario consente di avere una estrusione interrotta e di permettere perciò l’inserimento della gabbia all’interno dello stampo. Alberio da’ anche qualche consiglio per la realizzazione dei prototipi data la mia volontà di sperimentare con le preforme ( come vedremo nel capitolo successivo).
Mi racconta a proposio di ciò che in cina, per risparmiare su alcuni macchinari utili al riscaldamento delle preforme in PET, queste venivano fatte bollire in acqua salta prima di essere soffiate.
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Romplast Srl San Biagio D’Argenta (FE) Romplast Srl, con sede a San Biagio d’Argenta, in provincia di Ferrara è specializzata nella costruzione di filiere e calibratori per estrusione delle materie plastiche.
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Questa tecnica produttiva richiede grande attenzione nel controllo dei ritiri della plastica. L’azienda, occupandosi anche della messa a punto di impianti, spende molte energie in questa fase. Mi viene mostrato lo scanner utilizzato per questa operazione. La testa di estrusione progettata viene testata e, una volta ottenuto l’estruso se ne teglia una porzione e la si mette su uno scanner che, grazie ad un software di confronto evidenzia le differenze tra il 2d ideale e l’estruso ottenuto permettendo di controllare la correzione dei ritiri. ad esempio volendo ottenere un pezzo come in fig.1 lo stampo deve essere modificato andando a determinare quale sformo sarà causato dalle componenti interne alla geometria. Alcune volte lo stampo viene messo in fresa ma il sign. Poltronieri mi confessa che le ultime rifiniture sono eseguite a mano. Gli chiedo informazioni su tutti gli scarti presenti in unc carrello vicino FOTO. Mi dice che la macchina prima di andare a regime espelle estrusi con molti errori ad esempio, se la temperatura è troppo alta la plstica tende ad ingiallire. Tutte le prime estrusioni vengono lasciate cadere a terra fino a quando non si raggiunge il giusto settaggio. Anche le ultime estrusioni della giornata sono interessanti, il pellet utilizzato viene sostituita con una plastica specifica chiamata ( poco precisamente )“super”. Questa plastica non solifdifica ma rimane piuttosto polverosa, consente perciò di svuotare l’impianto e di essere poi estratta facilmente.
La gamma dei suoi prodotti spazia da stampi di piccole e medie dimensioni come avvolgibili e canaline, alla realizzazione di stampi di notevole impegno e complessità come zoccoli per cucine, pannelli per rivestimenti e finestre. Nello stabile sono presenti diversi macchinari che il direttore tecnico dell’azienda, mi descrive specificando alcuni dettagli della produzione per estrusione. Mi dice ad esempio che la calibratura delle macchine deve essere eseguita quando ci sono i cambi di stagione: la temperatura esterna al capannone influisce infatti sulla fase di raffraddamento dell’estruso e, se non calcolata rischia di intaccare la precisione del pezzo.
P. mi mostra i micchinari all’opera, la fase di estrusione, di raffreddamento del pezzo e quella di trazione tramite un macchinario cingolato. Il macchinario tira l’estruso in modo da mantenerlo ortogonale ed evitare che si deformi.
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5. Esplorazione empirica _
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Nel capitolo seguente è riportata la fase di sperimentazione effettuata. Tratasi di sperimentazione libera, i campioni sono perciò spesso slegati gli uni dagli altri. I test sono stati un mezzo essenziale per investigare le possibilità di innovazione all’interno della produzione. Per motivi di fattibilità le tecnologie maggiormente trattate sono state la termoformatura e il soffiaggio, ma sono riportati anche alcuni esempi di estrusione ottenuti presso una delle aziende citate nel capitolo precedente. Ogni esperimento è stato classificato e descritto nel modo più analitico possibile, indicando specificamente l’effetto desiderato, la tecnologia e i metodi utilizzati, la presenza o meno di stampi e il risultato finale. Filo conduttore della sperimentazione è quello di prendere le distanze dalla produzione seriale, evidenziando come, anche in un processo industriale, ci siano delle fasi dove la materia può esprimersi liberamente. Molte delle specifiche tecniche raccomandabili per un utilizzo consono delle tecnologie vengono volutamente ignorate aprendo strade progettuali nuove. I sottosquadra perdono la loro componente erronea, e spesso si strasformano in incastri funzionali. Lo stampo può rimanere ingabbiato o al contrario fungere da gabbia per il volume in plastica. Le bave e le superfici considerate errori di processo possono assumere geometrie parzialmente controllabili e nascondere funzioni impreviste.
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CAMPIONE #1 MATERIALI lastra da 2 mm in polistirolo stampo scomponibile in legno OBIETTIVI Studiare i comportamenti della lastra al variare del tempo di riscaldamento della stessa e della quantità di pressione applicata nella fase di aspirazione dell’aria.
Termoformatura
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Lo stampo in legno è composto da quattro parti. Una volta stampato è possibile rimuoverle dall’ggetto ottenuto.
La forma dello stampo permette di creare otto nervature.
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In questo caso la lastra era molto morbida, ha perfetamente aderito allo stampo. L’aumento di superficie riduce lo spessore della lastra che in alcuni punti diventa sottile come un velo.
Nelle foto a lato sono presenti alcuni test ottenuti diminuendo il tempo di rammollimento della lastra.
Nel caso a lato e sottostante una volta ottenuto il vuoto con la termoformatrice con una lastra molto morbida ( ottenendo un campione simile al precedente) è stata immessa aria gonfiando il volome e modificando le geometrie appena ottenute.
Nel caso a lato la lastra era ancora molto tenace e poco riscaldata, per questo non si è adattata allo stampo generando forme morbide e incomplete.
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CAMPIONE #2
si è tentato di ottenere delle "lamelle" radiali con un volume cavo all’interno utilizzando stampi mobili e composti.
MATERIALI lastra da 2 mm in polistirolo stampo composto da quattro pezzi in legno ad incastro e un volume " a capana".
Si è poi deciso di lasciare perte dello stampo " a perdere"
OBIETTIVI lasciare uno stampo inserito all’interno della lastra fermoformata indagando la possibilità di realizzare stampi misti a perdere e convenzionali.
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CAMPIONE #3
Come si può ossservare nel campione a lato in corrispondenza della "corona" sottile, la plastica tende a tirare. Una volta estratto lo stampo, cioè, la plastica occupa un volume inferiore a quest’ultimo.
MATERIALI lastra da 2 mm in polistirolo stampo composto da una parte piana in legno e un volume " a capana". OBIETTIVI Analizzare i comportamenti della lastra termoformata su geometrie sottili e costanti.
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CAMPIONE #4
Uno stampo in legno composto a incastro è stato posto su una base cilindrica in legno e utilizzato come stampo per la termoformatura.
MATERIALI lastra da 2 mm in polistirolo stampo in legno "a perdere" OBIETTIVI Osservare il comportamento della tecnologie stampando geometrie comlesse presupponendo la perdita dello stampo.
Si possono osservare le nervature che si vengono a creare in corrispondenza con ipiani dello stampo tipiche di questa tecnologia.
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CAMPIONE #5 MATERIALI lastra da 2 mm in polistirolo stampo in legno e tondono in metallo. OBIETTIVI Osservare il comportamento della tecnologia su un tondino di metallo piano e su due tondini intersecati.
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CAMPIONE #6 Nel capione a fianco la superficie che si crea è doppia e perfettamente piana, con la presenza di piccole costolature sul lato esterno alla base del tondino dovuta alla notevole eltezza del pezzo.
MATERIALI Lastra da 2 mm in PETG e in polistirolo. Volume in rete metallica. OBIETTIVI Studiare il comportamento della termoformatura su una superficie ricca di cavità.
Termoformando due Tondini formati a "U" intersecati di 90 gradi si forma una superficie centrale parallela al tondino più basso, e quattro superfici che si giuntano ad essa. Le giunture di queste superfici son visibili anche sul lato inferiore del campione.
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Sia nel campione delle pagine precedenti che in quello a lato è stata sperimentata la termoformatura su gabbia metallica.
Se lo spessore della lastra è abastanza sottile si vengono a creare delle "ernie" all’interno della gabbia.
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La lastra ingloba il tondino formando una superficie doppia. Si verifica la formazione di quattro costole dalla consistenza molto rigida.
CAMPIONE #7 MATERIALI lastra da 2 mm in PETG stampo in legno e tondono in metallo. OBIETTIVI Osservare il comportamento della tecnologia su un tondino di metallo a sbalzo.
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Dato l’aumento di complessità nella geometria del tondino rispetto al campione precedente la superficie appare più frammentata.
CAMPIONE #8 MATERIALI lastra da 2 mm in polistirolo. stampo in legno e tondono in metallo. OBIETTIVI Osservare il comportamento della tecnologia su un tondino di metallo a sbalzo.
Nel campione la lastra è stata scaldata molto, aumentando la superficie è di conseguenza aumentata anche la dimensione delle costolature.
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CAMPIONE #9
Termoformando una lastra ben ammorbidita sullo stampo cilindrico si vengono a generare delle "costolature" che incominciano poco sotto il punto più alto dello stampo. Queste costolature sono piuttosto spesse perchè si formano con un raddoppiamento della superficie e si distriubuiscono radialmente attorno al cilindro.
MATERIALI lastra da 2 mm in polistirolo. stampo in legno e tondono in metallo. OBIETTIVI Studiare la formazione di "costolature" quando si termoforma un oggetto dal volume allungato.
La formazione di costolature è legata soprattutto all’altezza del pezzo stampato. Più il pezzo sarà alto in proporzione alla dimensione della base più sarà evidente il fenomeno delle costolature.
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CAMPIONE #10
All’estremità del tondino è stata posto un cilindro in legno in modo da aumentare la superficie ed evitare la foratura della lastra.
MATERIALI lastra da 2 mm in PETG stampo "a perdere" in legno e metallo OBBIETTIVI Studiare la formazione di "costolature" termoformando su un oggetto allungato e molto sottile.
Termoformando la lastra il tondino viene inglobato, inoltre si verifica la formazione di lunghe e sottili costolature che iniziano sul lato basso del cilindro e giungono fino alla fine dello stampo.
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CAMPIONE #11 La geometria dello stampo è caratterizzata da quattro vertici più in alto. Termoformandoci sopra la lastra nel tentativo di seguire la geometria forma una superficie inaspettata che collega i diversi piani dello stampo.
MATERIALI lastra da 2 mm in PETG stampo "a perdere" in legno OBBIETTIVI Tentativo di termoformatura su stampo in sottosquadra.
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CAMPIONE #12 MATERIALI Lastra da 4 mm in polistirolo Stampo in legno in quattro parti estraibili. OBBIETTIVI Indagare la formazione di superfici non aderenti allo stampo.
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CAMPIONE #13
La lastra viene stampata quando non è ancora molto morbida, non adattandosi perfettamente allo stampo forma delle nervature.
MATERIALI Lastra da 3 mm in polistirolo Stampo in legno in quattro parti estraibili. OBIETTIVI Indagare la possibilità di controllo nella formazione di " bave"
Lo stampo è costituito da quattro componenti in legno di spessore 3 mm ad incastro.
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Alcuni stampi sono stati realizzati in legno MDF, che però ha la tendenza ad imbarcare quando posto sotto le pressioni della termoformatura. I risultati migliori si sono ottenuti con stampi in legno compensato, più rigdo del precedente.
La lastra ben scaldata aderisce in parte allo stampo, la forma di quest’ultimo però genera la formazione di una superficie aggiuntiva molto rigida come si nota nella pagina a fianco.
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CAMPIONE #14 MATERIALI Lastra da 4 mm in polistirolo Stampo in legno in quattro parti estraibili. OBIETTIVI Forzare il processo riducendo il tempo di riscaldamento della lastra e deformandola con lo stampo senza utilizzare il sottovuoto.
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Scaldando poco la lastra non si concede a questa di aderire allo stampo Quando è ancora molto tenace si procede con lo stampaggio, sollevando cioè lo stampo che funge in questo caso da "punzone".
CAMPIONE #15 MATERIALI lastra da 2 mm in PETG stampo in legno. OBIETTIVI Osservare il comportamento della tecnologia quando, dopo aver stampato il pezzo si gonfia la lastra invertendo il processo.
Lo stampo si solleva sotto la lastra creando la forma. Raffreddandosi il sollevamento dello stampo diventa più difficoltoso, per evitare di rompere il pezzo il processo è stato interrotto prima che tutto lo stampo imprimesse la lastra.
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Una volta creato il vuoto la lastra si adatta allo stampo prendendo la forma. Soffiando, essendo la plastica ancora calda, il pezzo si gonfia mantenendo però parte delle geometrie conferitegli dallo stampo che lascia l’impronta sul risultato finale.
Soffiaggio
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Per la fase di sperimentazione sulla tecnologia del soffiaggio ho utilizzato metodi poco ortodossi per poter riprodurre personalmente tale processo produttivo. Le preforme in PET sono state scaldate con una pistola ad aria calda settata sulla temperatura di 110 °C.
Un normale tappo di bottiglia forato è stato giuntato con un tubo in gomma e collegato alla pistola di un compressore .
I campioni sono stati realizzati soffiando preforme in PET solitamente utilizzati nella produzione di bottiglie da 1.5L e da 0.5L.
La prima fase è servita per calibrare la precessione necessaria per gonfiare le preforme senza farle scoppiare. A lato è presente la foto di un campione soffiato alla pressione di oltre 6 Bar che ha causato l’esplosione del pezzo.
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CAMPIONI #16
La preforma si gonfia seguendo la propria geometria, formando unvolume allungato. La disarmonia del gonfiaggio è sicuramente dovuta alla disuniformità del riscaldamento. Nei punti dove è più calda la preforma tende ad aumentare maggiormente di volume.
MATERIALI preforme in PET OBIETTIVI Osservare il comportamento della preforma quando viene gonfiata in aria senza stampo.
Quando si supera una certa temperatura tende ad indurire e a virare di colore opacizzandosi come si nota nella parte superiore del campione a lato.
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CAMPIONE #17 MATERIALI preforme in PET OBIETTIVI Osservare il comportamento della preforma riscaldando solo un lato di quest’ultima.
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CAMPIONE #18
Appena inizia la fase di soffiaggio la preforma si gonfia in maniera asimmetrica. Il lato non scaldato rimane quasi del tutto invariato. La pressione e le tensioni generate dal lato gonfio curvano leggermente la preforma.
MATERIALI preforme in PET Stampo in legno OBIETTIVI Soffiare Il parison in uno stampo dalla forma squadrata.
Nel pezzo una volta gonfiato rimane impresso il modo in cui è stato riscaldato come fosse un grafico della fase precedente al gonfiaggio.
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Lo stampo è stato realizzato in modo da permettere l’estrazione del pezzo una volta soffiato.
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CAMPIONE #19
La preforma (da 0,5L) si gonfia strozzandosi al centro ma continuando la sua espansione senza richiudersi sull’ostacolo.
MATERIALI preforme in PET rondella in metallo OBIETTIVI Osservare il comportamento della preforma quando viene soffiata all’interno di uno stampo circolare "a perdere".
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CAMPIONE #20 MATERIALI preforme in PET stampo in legno in due parti. OBIETTIVI Osservare il comportamento della preforma quando viene soffiata all’interno di uno stampo circolare estraibile.
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CAMPIONE #21 MATERIALI preforma in PET OBIETTIVI Osservare il comportamento della preforma quando viene soffiata all’interno di una "gabbia" in rete metallica.
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CAMPIONE #22
Il volume aderisce alla "gabbia" formando dei leggeri rigonfiamenti in corrispondenza delle maglie della rete. Nel secondo campione è possibile vedere il risultato una volta che la gabbia viene tagliata ed estratta.
MATERIALI preforma in PET Gabbia in tondino di metallo saldato. OBIETTIVI Osservare il comportamento della preforma quando viene soffiata all’interno di una gabbia.
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CAMPIONI #23
La preforma si gonfia aderendo allo stampo in diversi punti e creando una superficie morbida.
MATERIALI preforma in PET Tubi in pvc OBIETTIVI Osservare il comportamento della preforma quando viene soffiata all’interno di un tubo.
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Nel primo campione la preforma aderisce allo stampo e fueriesce all’estremità formando una sorta di bolla.
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Nel campione a lato è stata utilizzata una preforma più piccola della precedente. Non uscendo dal tubo forma una superficie semisferica piuttosto regolare all’estremità.
Nel terzo campione di questa tipologia nel tubo sono stati praticati due fori che consentono alla preforma di gonfiarsi formando delle piccole "ernie" all’esterno.
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6. Conclusioni
La sperimentazione effettuata ha l’obbiettivo di teorizzare un metodo che è possibile adottare per l’analisi critica di un processo produttivo. Le caratteristiche indagate possono essere valide non solo nei casi di termoformatura e soffiaggio, ma adattabili ad una più vasta gamma di tecniche. Nell’analisi dei campioni effettuati sono stati individuate quattro variabili fondamentali che consentono una vasta gamma di applicazioni. Variazione del tempo Individuazione e forzatura dei limiti di processo Inserimento di componenti a perdere Intervento umano in una fase della produzzione
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VARIAZIONE DEI TEMPI PROCESSUALI
INDIVIDUAZIONE E FORZATURA DEI LIMITI DI PROCESSO
La produzione industriale trova nel rapporto con il controllo dei tempi una componente fondamentale. Come analizzato nell’elaborato, la produzione trova nello standard una unità di qualità e quantità. I processi industriali prevedono la maggiore riduzione possibile dei tempi di lavorazione in modo da ottimizzare la produzione. Modificare i tempi di lavorazione, può generare approcci differenti, sia per significato che per risultati fisci. L’operazione di allungare il tempo di un processo, così come accade in altri ambienti ne aumenta il valore. Aumentare o diminuire i tempi ha però risultanti anche sulle variazioni fisiche dei materiali lavorati. Prendendo in considerazione i polimeri si può ad esempio modificare i tempi di riscaldamento necessai per la lavorazione di materiali plastici.
Aumetando questi tempi si possono ottenere materiali più morbidi in fase di lavorazione, cambiamento di colorazione dovuto all’eccessivo riscaldamento dei pezzi ecc. La variazione dei tempi può avvenire anche in fase di lavorazione, rallentando il processo e generando perciò risultati differenti.
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Ogni processo produttivo presenta delle caratteristiche specifiche e dei limiti che vincolano le lavorazioni per garantire una uniformità dei pezzi. Per individuare i limiti dei processi presi in considerazione può risultare utile consultare i libri di tecnologia o dedicarsi ad una fase di sperimentazione ed osservazione. Delineando le caratteristiche che possono essere generatrici di errori o imperfezioni si può andare ad intervenie estremizzandole e portando ad un livello accettabile il controllo della lavorazione.
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INSERIMENTO DI COMPONENTI A PERDERE
INTERVENTO UMANO IN UNA FASE DEL PROCESSO PRODUTTIVO
Le lavorazioni industriali applicano solitamente degli approcci monomaterici che prevedono la lavorazioni delle parti separatemente. Le componenti sono poi unite alla fine del processo produttivo attraverso la fase di assemblaggio. Utilizzare una modalità di satampaggio " a perdere" consente invece dianticipare parte del processo di assemblaggio incorporandolo alla fase di produzione.
Il processo produttivo standardizzato permette un controllo totale sulla produzione ed una uniformità diffusa su ogni pezzo prodotto. Quando nel procedimento vi è l’intervento umano è possibile invece creare una variazione. Una operzione virale nel processo consente di creare disomogeneità nei pezzi garantendone perciò l’unicità. Possono avvenire variazioni nelle varie fasi del processo produttivo: A priori, modificando il materiale o il semilavorato che verrà sottoposto alla lavorazione. Durante il ciclo: andando ad intervenire sul macchinario o sul prodotto durante la fase di lavorazione. A pesteriori, modificando l’oggetto una volta uscito dalla macchina.
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Bibliografia
BIBLIOGRAFIA
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