Analisi delle quartine del Congedo del viaggiatore cerimonioso & altre prosopopee di Giorgio Caproni di Beatrice Mencarini Il Congedo del viaggiatore cerimonioso & altre prosopopee raccoglie poesie scritte dal 1960 al 1964 e si può considerare un libro centrale nella storia poetica di Giorgio Caproni poiché in esso vengono anticipati temi e motivi che saranno sviluppati nelle successive e più importanti raccolte (Il muro della terra, Il franco cacciatore, Il conte di Kevenhüller). Il Congedo è costruito su un doppio registro stilistico: alle prosopopee, cui si accenna anche nel titolo (ovvero ai lunghi monologhi di alcuni personaggi), si alternano alcuni componimenti brevi, ovvero quattro quartine a tono aforistico che formano come una “contro-voce”, un “controcanto” 1 alle poesie più lunghe, cui però si legano sottilmente fino a integrarvisi completamente – si pensi al finale de I ricordi.2 Il linguaggio delle quartine del Congedo è chiaro e diretto così come nella maggior parte delle opere del poeta livornese che ha sempre prediletto il linguaggio quotidiano e l’uso di vocaboli comuni. Per apprezzare queste quartine e tutte le altre poesie di Caproni bisogna ascoltarne la musicalità e l’armonia ma, al tempo stesso, bisogna leggerle: l’approccio visivo è molto importante poiché i mezzi tipografici in Caproni diventano mezzi espressivi e i segni di interpunzione, le parentesi e gli spazi bianchi non hanno mai una mera funzione ancillare diventando parte strutturante del messaggio poetico. La prima quartina In una notte d’un gelido 17 dicembre apre anche il libro intero ed è, dunque, un’introduzione a tutto ciò che leggeremo: …l’uomo che di notte, solo, nel «gelido dicembre», spinge il cancello e rientra – solo – nei suoi sospiri…3
I punti di sospensione sia all’inizio che alla fine della poesia ci introducono in un’atmosfera indeterminata: non si capisce dove realmente una poesia finisca e cominci invece quella successiva. Il titolo dell’opera riporta una data precisa: il 17 dicembre, data a cui non è stato possibile collegare nessun avvenimento della biografia del poeta ma che ritroviamo nella didascalia di un’altra poesia: Palo nel Muro della terra: «a Sezis e Mézigue / (Chtibe-Cabane, 17 dic.)».4 Dalla lettura di quest'ultima poesia possiamo dedurre che la data rimandi a un avvenimento significativo della vita di Caproni ma, con molta probabilità, non un evento concreto e reale rintracciabile nella sua biografia ma un evento esclusivamente interiore, una specie di collasso intimo e privato. Il «gelido dicembre», evidenziato tramite virgolette, sembrerebbe segnalare una citazione ma, data la mancanza di fonti plausibili, può venire considerato un esempio dell'utilizzo straniante di un’espressione comune. Questo procedimento di straniamento è tipico del poeta che utilizza virgolette, corsivi e altri mezzi tipografici per evidenziare una determinata espressione del linguaggio comune (come modi di dire o cartelli stradali) 5 per ridare vita e attenzione a parole e espressioni ormai consolidate e, dunque, svuotate di significato. Se l’uso comune della parola ce la 1
Cfr. Giorgio Caproni, Controcanto, in Tutte le poesie, Garzanti, Milano, 1999, p. 641. Cfr. il finale de I ricordi: «Ahi l'uomo – fischiettai – / l'uomo che di notte, solo, / nel gelido dicembre, / spinge il cancello e – solo – / rientra nei suoi sospiri...» in ivi, pp. 276-278. 3 Giorgio Caproni, In una notte d’un gelido 17 dicembre, in ivi, p. 253. 4 Giorgio Caproni, Palo, in ivi, p. 394. 5 Cfr. Falsa indicazione: «“Confine”, diceva il cartello. / cercai la dogana. Non c'era. / Non vidi, dietro il cancello, / ombra di terra straniera» in ivi, p. 297; oppure ne Il vetrone «Eh Milano, Milano, / Il Ponte Nuovo, la strada / (l'ho vista, sul Naviglio) / con scritto: «strada senza uscita» in ivi, pp. 310-311. 2
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rende estranea è solo evidenziandola e utilizzandola fuori dal suo contesto naturale che è possibile recuperarla nella sua pienezza. Sicuramente la fonte della poesia, il riferimento implicito, è alla prosa di Dino Campana Il russo: «un uomo in una notte di dicembre, solo nella sua casa, sente il terrore della sua solitudine». 6 Se in questo caso non si può sicuramente parlare di citazione, si nota però una forte suggestione a livello figurativo e lessicale. Caproni è un maestro nell’arte dell’intertestualità e utilizza citazioni, suggestioni e richiami letterari in modo sempre nuovo e originale. Per l'autore la letteratura è intreccio e legame di testi: i rimandi intertestuali sono utilizzati liberamente, prescindendo sempre dal loro contesto iniziale ma, allo stesso tempo, arricchendo il luogo di destinazione di tutte le suggestioni originarie che portano con sé. Come ha sottolineato Silvia Longhi nel suo saggio Il dire e il disdire di Giorgio Caproni7 la quartina era una struttura molto utilizzata da Caproni che in essa si rifugiava soprattutto per prendere possesso di un testo altrui. Ad esempio in poesie come Chor,8 Versi incontrati poi,9 Plagio (o conclusione) per la successiva10 è preso e modificato strutturalmente un testo di un altro autore: trasformandolo in una quartina Caproni arriva a renderlo suo, a estrapolarlo dal contesto originario e ad appropriarsene profondamente. L’uomo è protagonista unico e solo della poesia e diventa soggetto impersonale: singolo ma al tempo stesso universale e assoluto. La solitudine è il filo rosso della poesia e l’aggettivo “solo”, riferito all’uomo, compare ben due volte in quattro versi: la prima volta come inciso, tra virgole («, solo,»), e la seconda tra lineette («– solo – »). In quest'ultimo modo l’aggettivo diventa ancora più incisivo e determinante: le lineette isolano la parola acuendo, anche visivamente, il senso di solitudine. Infatti se nel primo verso l’uomo si avvia nel «gelido dicembre», nell’ultimo si avvia nei «suoi sospiri», ovvero nella dimensione dell’interiorità, propria dell’individuo e non condivisibile con nessuno. L’atmosfera della poesia è notturna, invernale, e l’ambientazione irreale: siamo entrati in uno spazio interiore che piano piano le altre quartine e le altre poesie del Congedo ci aiuteranno a comprendere. L’unico oggetto concreto, che in questa dimensione metafisica sembra mantenere la poesia nei confini del reale è il «cancello» che si rivela essere proprio il varco verso quel mondo interiore e onirico che si sta aprendo davanti ai nostri occhi. Il tema del varco e della soglia è spesso presente nelle poesie di Caproni, concretizzato nell’immagine del cancello o della porta, elementi che vengono sempre straniati dal loro uso e dal loro contesto abituale e considerati fini a se stessi, come strutture private del loro contorno e utilizzate simbolicamente. L’immagine del cancello ritornerà in Falsa indicazione, la prima poesia del Muro della terra: «Confine», diceva il cartello. Cercai la dogana. Non c’era. Non vidi, dietro il cancello, ombra di terra straniera.11
Sulla rima «cartello»/«cancello» si condensa un mondo nuovo, in cui le cose non hanno il loro solito significato e la loro solita funzione: il cartello è depistante, dà un messaggio sbagliato e il cancello non separa nulla, non è un varco. Siamo dunque in una dimensione assolutamente metafisica, al di fuori della logica consueta, anche se gli oggetti evocati sono quelli quotidianamente noti a tutti. Senza titolo, la seconda quartina del Congedo, segue immediatamente la prima e ne ricalca precisamente la struttura: 6
Dino Campana, Il russo, in Canti Orfici ed altre poesie, Garzanti, Milano, 2002, p. 75. Silvia Longhi, Il dire e il disdire di Giorgio Caproni, in Omaggio a Gianfranco Folena, Padova, Editoriale Programma, 1993, vol. III, pp. 2177-2192. 8 Giorgio Caproni, Chor, in Tutte le poesie, cit., p. 534. 9 Giorgio Caproni, Versi incontrati poi, in ivi, p. 372. 10 Giorgio Caproni, Plagio (o conclusione) per la successiva, in ivi, p. 397. 11 Giorgio Caproni, Falsa indicazione, in ivi, p. 297. 7
…l’uomo che se ne va e non si volta: che sa d’aver più conoscenze ormai di là che di qua…12
L’impostazione è identica: i puntini di sospensione indicano un discorso aperto e non concluso e l’uomo, ripetuto anaforicamente all’inizio, è sempre soggetto impersonale, non identificabile in un personaggio preciso, anche perché è raffigurato nell’atto di procedere senza voltarsi, cosa che ce ne rivelerebbe i lineamenti. Probabilmente l’indeterminatezza del soggetto è voluta da Caproni per coinvolgere in un solo vocabolo tutta l’umanità: « […] i versi tanto più sono grandi e veri quanto più (sembra incredibile) sono i loro vocaboli generici, cioè quanto più il loro significato trascende quello di ogni singolo vocabolo».13 L’uomo «se ne va», non è precisato dove, ma non possiamo non notare che il verbo “andarsene” spesso, nell’uso comune, sostituisce il verbo “morire”. Il movimento dell’uomo è dunque un movimento verso la morte, verso un «di là» che è il regno dei morti e del passato, contrapposto a un «di qua» che rappresenta il mondo e la vita presente. Questa poesia rappresenta quel momento della vita dell'uomo in cui le conoscenze sono maggiori tra i morti che tra i vivi, il momento della vecchiaia. Iniziamo a intuire il significato del Congedo del viaggiatore cerimonioso & altre prosopopee: il poeta sente arrivare la vecchiaia e decide di raccogliere in questo libro una serie di congedi alla vita. In Caproni spesso una piccola incrinatura della realtà, un varco, un momento di apparente alogicità ci consentono di sperare in un contatto con il mondo di là, dei morti, del passato; speranza che viene eternamente delusa dalla forza prepotente della realtà e del presente. Tra il qua e il là non è possibile il contatto, ogni tentativo di sanare questo divario è destinato a fallire e l’unica strada per ricongiungersi al proprio passato, ai propri morti, è quello di “andarsene”. Nelle poesie di Caproni la morte è spesso legata al ricordo, al passato, alla nostalgia di ciò che fu e che è ormai ineluttabilmente perduto. La morte dunque non viene proiettata nel futuro, come termine ultimo della vita dell’uomo, ma nel passato: i volti delle persone scomparse, i luoghi perduti, l’infanzia irrecuperabile, tutto questo è la morte. Una visione che si avvicina molto a quello che ci palesa Seneca quando scrive: «Ecco il nostro errore: vediamo la morte davanti a noi e invece gran parte di essa è già alle nostre spalle: appartiene alla morte la vita passata». 14 Prima della terza quartina La lanterna c’è il componimento che dà il titolo al libro: il Congedo del viaggiatore cerimonioso, la prima prosopopea, un prolungato e cerimonioso addio alla vita e a tutti i suoi aspetti, fatto da un personaggio che riflette uno dei vari mézigue (“me stesso”) autoriali. La struttura di una raccolta poetica non è mai casuale e Caproni costruiva le sue raccolte meticolosamente dunque, se le due quartine iniziali introducevano proprio al momento del varco e dell’addio alla vita, poi ampliato (ma non ancora esplicitato) nel Congedo, ora La lanterna sembra esserne un commento, una sorta di post scriptum: Non porterà nemmeno la lanterna. Là il buio è così buio che non c’è oscurità.15
Il soggetto è sottointeso e possiamo identificarlo sia con «l’uomo» delle prime due quartine, sia con il «viaggiatore cerimonioso» che si è appena congedato da una serie di valori terreni (la sapienza, la scienza, l’amore, la religione) che sapeva non essergli utili per il suo prossimo viaggio, proprio come inutile gli sarà la lanterna. È in questo modo, attraverso questo fitto intreccio di 12
Giorgio Caproni, Senza titolo, in ivi, p. 254. Giorgio Caproni, Versi come utensili, in «Mondo operaio», 25 dicembre 1948. 14 Seneca, Epistole a Lucilio, 1. 15 Giorgio Caproni, La lanterna, in Tutte le poesie, cit., p. 259. 13
rimandi e di legami testuali, che il Congedo riesce a portare avanti un discorso poetico univoco attraverso i due registri stilistici completamente opposti. Con La lanterna entriamo in una logica ossimorica, antitetica, in cui è possibile anche che «il buio è così buio / che non c’è oscurità». 16 Siamo in un mondo assurdo, irreale, onirico e Caproni gioca con gli opposti, si diverte a far saltare le leggi del mondo reale e quotidiano per crearne di nuove. Il gioco degli opposti si snoda spesso sulle coordinate luce-buio, come su quelle essere-non essere. Compare l’immagine della lanterna, immagine cara al poeta che la utilizza frequentemente nelle sue poesie, solitamente legata al tema della guida ma, dato che spesso nell’opera caproniana la guida manca, la lanterna messa in scena non farà luce e sarà una lanterna buia, “cieca”. La metafora della lanterna connessa alla funzione di guida deriva dal Purgatorio dantesco, quando Stazio indica Virgilio come sua guida, suo lume, perché gli ha chiarificato il percorso verso la fede: «Facesti come quei che va di notte, / che porta il lume dietro e sé non giova, / ma dopo sé fa le persone dotte».17 Questa citazione dantesca richiama un’immagine delle poesia Palo, nel Muro della terra quando al protagonista, che si ritrova in una situazione di debole visibilità, circondato dall’oscurità e dalla nebbia, appare una sagoma: La nebbia che mi ricopriva era vuota, era vera. Ma io non sapevo se ombra od uomo certo, era lunga la figura nera che su e giù andava – alzava col braccio la lanterna cieca, e scuoteva dal cappotto il nevischio e il fumo, mentre un fischio la tenebra trapassava. 18
C’è un chiaro riferimento alla Commedia: viene richiamato il momento in cui Dante personaggio, perduto nella selva e impaurito dalle tre fiere, scorge una figura lontana: «"Miserere di me", gridai a lui, / "qual che tu sii, od ombra od omo certo"», 19 ovvero il momento dell’apparizione di Virgilio, colui che gli sarà conforto e guida attraverso il regno dei morti, che gli aprirà la strada e gli faciliterà il cammino. In Caproni invece la guida è una «figura nera», lontana, avvolta nel nevischio e nel fumo dell’indeterminazione e la lanterna che tiene in mano e che dovrebbe illuminare il cammino è cieca. Il gioco di rimandi e contrapposizioni che Caproni crea con la Commedia e soprattutto con il primo canto dell’Inferno è una costante del suo discorso poetico: frequenti le citazioni, le suggestioni e le rime dantesche in tutte le sue raccolte (Il seme del piangere20 e Il muro della terra21 sono esplicite citazioni dantesche, il primo canto dell’Inferno è l’implicita ambientazione da cui parte la storia del Franco cacciatore e nel Conte di Kevenhüller una poesia come Controcanto non può che colpire per l’esibizione e la contemporanea negazione assoluta del modello dantesco). A proposito della “lanterna cieca” andrebbe sottolineato che, oltre a essere un ossimoro di grande efficacia essa è, al tempo stesso, un oggetto concreto, reale ovvero la lanterna usata per le segnalazioni. Questa soluzione dimostra l’acuta intuizione e la capacità inventiva del poeta che riesce a cogliere la radice antitetica, e dunque la potenzialità espressiva, di un oggetto quotidiano e comune. La «buia lanterna» compare anche in Poesia per l’Adele,22 brano giocato sul contrasto 16
Ibidem. Dante, Purgatorio XXII, vv. 67-69. 18 Giorgio Caproni, Palo, in Tutte le poesie, cit., p. 394. 19 Dante, Inferno I, v. 67. 20 Dante, Purgatorio XXXI, v. 46. 21 Dante, Inferno X, v. 2. 22 Giorgio Caproni, Poesia per l’Adele in Tutte le poesie, cit., p. 496. 17
visivo bianco-nero. Questo contrasto (bianco-nero, luce-ombra) anima diverse poesie di Caproni, arrivando in alcuni casi a diventare paradosso come ne Il cercatore dove gli opposti coincidono e si sovrappongono e dove vige una logica ossimorica: «Come può farmi lume,» pensava. «Come può forare la tenebra, in tanta inondazione di luce?»23
La presenza della lanterna, unita alla figura di guida, si ritrova in All’alba, poesia iniziale della sezione Acciaio nel Muro della terra: Eran costretti, tutti, a seguir lui, il solo che avesse una lanterna. Ma all’alba tutti, si son dileguati come fa la nebbia. Tutti. Chi qua, chi là. (C’è anche chi ha preso, pare, una strada falsa. Chi è precipitato. È facile.) Oh libertà, libertà.24
Questa volta la guida è presente e la lanterna illumina davvero l’oscurità: entrambe svolgono il loro compito anche se suscitando un senso di costrizione («Eran costretti»). Il momento critico arriva però con l’aumentare della luce. L’alba è un momento sempre estremamente critico in Caproni («L’alba mi è sempre stata odiosa […] è l’ora bianca delle fucilazioni» 25), cosa che viene qui evidenziata grazie alla posizione a scalino del verso «Ma all’alba», che lo isola e lo evidenzia nella sua funzione avversativa. Probabilmente la negatività dell’alba in Caproni deriva dal suo carattere estremamente transitorio e indeterminato: è infatti il momento di passaggio tra due realtà ben distinte (il giorno e la notte) e, come il crepuscolo, le comprende entrambe e non si identifica in nessuna delle due. L’indeterminatezza, qui accentuata anche dalla presenza della nebbia, spaventa il poeta ma è al tempo stesso il suo terreno di gioco: il poetare di Caproni si muove nell’indefinito, terreno ricco di potenzialità irrisolte e significati plurimi. La poesia successiva, Prudenza della guida,26 riprende e amplia il tema della guida e accenna al motivo del brindisi che sarà trattato nella quartina successiva. Il bicchiere, l’ultima quartina, riprende la struttura delle prima due: …l’uomo che nel buio è solo a bere: che non ha nessuno, nell’oscurità, cui accostare il bicchiere… 27
Il soggetto è sempre l’uomo, impersonale e assoluto e i puntini di sospensione mostrano che anche stavolta il discorso non è concluso, nonostante questa sia l’ultima quartina del Congedo. In mezzo all’oscurità più completa e metafisica compare un oggetto estremamente concreto e comune, 23
Giorgio Caproni, Il cercatore, in ivi, p. 341. Giorgio Caproni, All’alba, in ivi, p. 321. 25 Giorgio Caproni, Il labirinto, Milano, Rizzoli, 1984. 26 Giorgio Caproni, Prudenza della guida, in Tutte le poesie, cit., pp. 260-261. 27 Giorgio Caproni, Il bicchiere, in ivi, p. 262. 24
un oggetto che, proprio in forza della sua quotidianità, troveremo molte volte nel repertorio poetico caproniano: il bicchiere. Caproni stesso dichiara: «Una poesia dove non si nota nemmeno un bicchiere o una stringa, m’ha sempre messo in sospetto […] perché sono oggetti quotidiani e nostri».28 Gli oggetti in Caproni esistono, “pesano”, hanno vera consistenza, diventano anche protagonisti e aiutano il poeta a eludere l’astrattezza e a rimanere ben piantato a terra, ancorato alla realtà. Eppure, il coraggioso attaccarsi agli oggetti di Caproni, non è tanto realismo quanto metafisica: «l'occhio del poeta qui si restringe su frammenti di realtà acontestuali, su “cose” isolate, abbozzando qualcosa che non è una visione di reale a tutto tondo ma piuttosto una natura morta». 29 Qui il bicchiere diventa emblema della condizione di solitudine esistenziale dell’umanità, il cui brindisi irrisolto manifesta la mancanza di comunicazione e di partecipazione tra gli uomini: «Siamo in un deserto».30 Prudenza della guida aveva anticipato l’immagine del brindisi in maniera non solo dissimile a quella della quartina, ma contrapposta: Abbiamo camminato, siamone lieti, quel tanto da poter ora sedere. Alziamo perciò il bicchiere, tranquilli, e brindiamo.31
Il brindisi in questo caso avviene poiché c’è scambio e partecipazione tra gli uomini. La poesia è ambientata in montagna, esattamente nel momento prima di passare la cresta, di attraversare il varco e avventurarsi in un inquietante “di là”. Siamo proprio a un passo da «l’uscio dei morti», 32 titolo che originariamente l’autore aveva pensato per la raccolta. Se confrontiamo le poesie del Congedo ritroviamo una certa omogeneità principalmente nella situazione che propongono: sia nelle quartine che nelle poesie più lunghe viene descritto il momento che precede un passaggio, ci troviamo davanti a un varco inquietante e misterioso che conduce “di là”. A questo varco si avvicina velocemente il treno del «viaggiatore cerimonioso» ed è a esso che va incontro il guardacaccia ne Il fischio. Lo stesso varco che conduce “di là” è quello che si tenta di recuperare ne Lo scalo dei fiorentini, ne I ricordi e in Toba, poesie centrate sull’impossibilità di ritrovare il passato, di ricongiungersi agli amici e alle persone di un tempo, di varcare, insomma, il regno dei morti. Il motivo del bicchiere riappare nella poesia che segue la quartina, Fischio (parla il guardacaccia): Intanto (scusate: ci vuole, col freddo che m’aspetta) lasciate ch’io mi versi ancora – ultimo – quest’altro bicchiere.33
L’ultimo bicchiere allude all’ultimo saluto, al brindisi finale fatto insieme agli amici, una sorta di ultima cena, prima di avventurarsi fuori, nel freddo, prima di passare il varco. Anche in Delizia (e saggezza) del bevitore,34 nel Franco cacciatore, il bicchiere è il motivo che accompagna una tematica positiva, l’avventore è allegro e non per incoscienza, ma per 28
Giorgio Caproni, Il mestiere di poeta, a cura di F. Camon, Milano, Lerici, 1965. Pier Vincenzo Mengaldo, Introduzione, in G. Caproni, L’opera in versi, edizione critica a cura di L. Zuliani, Milano, Mondadori, 1998, p. XXXX. 30 «Siamo in un deserto / e volete lettere da noi?», frase di Annibale Caro, è l’epigrafe posta da Caproni alla raccolta Il muro della terra. 31 Giorgio Caproni, Prudenza della guida, in Tutte le poesie, cit., p. 260. 32 Dante, Purgatorio XXX, v. 139. 33 Giorgio Caproni, Il fischio (parla il guardiacaccia), in Tutte le poesie, cit., p. 263. 34 Giorgio Caproni, Delizia (e saggezza) del bevitore, in ivi, p.525. 29
consapevolezza, perché «Sa l’ombra». È la tematica della «straziata allegria», della «disperazione calma» ovvero dell’unica felicità possibile per Caproni: la consapevolezza che ha l’uomo della sua mortalità e la stoica accettazione di questa sorte, unita alla consapevolezza che Dio non esiste e che il passato è perduto e irrecuperabile, porta con sé una carica illimitata di libertà, tale da concedere all’uomo la sola allegria consapevole possibile. Il bicchiere può diventare anche il simbolo della non accettazione di questa sorte inevitabile, della rabbia dell’uomo di fronte al suo destino mortale e misura di paragone per la durata della sua vita, come in All’osteria, nel Franco cacciatore: Guardava il bicchiere. Fisso. Quasi da ridurlo in schegge. Sapeva che il bicchiere dura Più di chi in mano lo regge?35
L’oggetto-bicchiere, come abbiamo visto, compare nella poesia di Caproni spesso nel momento del riposo, della meditazione ed è spesso legato anche all'illuminazione, allo Squarcio nella realtà (ne Il conte di Kevenhüller): Viltà d’ogni teorema. Sapere cos’è il bicchiere. Disperatamente sapere che cosa non è il bicchiere, le disperate sere quando (la mano trema, trema) nel patema è impossibile bere.36
In questa poesia c’è uno “squarcio”, un’incrinatura nella realtà che fa straniare il soggetto e gli fa prendere coscienza della vacuità della vita: in un istante gli oggetti diventano estranei, lontani e incomprensibili all’uomo, che non riesce più a utilizzarli. Questo squarcio è proprio lo spiraglio da cui si insinueranno le ombre della bellissima sezione successiva del Conte: Asparizioni. Una notazione andrebbe fatta a proposito dell’insistenza sull’immagine del tremito della mano («la mano trema, trema»), probabile sintomo di una paura incontenibile suscitata dalla rivelazione, dallo squarcio, ma anche manifestazione tangibile dell'incedere della vecchiaia. È possibile inoltre che il tremito della mano sia metafora dell’atto di scrivere e dunque la scrittura diventerebbe la reazione inconsulta e incontrollata alla rivelazione e, al tempo stesso, il varco per entrare in contatto con il “di là”, con le “asparizioni”. In Andantino37, nel Muro della terra, il bicchiere diventa punto di inizio e di conclusione di una vicenda di inseguimento. L’ambientazione è realistica e concreta, siamo in un’osteria, luogo della socialità e dei ricordi, che qui si fa teatro di un incontro mancato con il proprio doppio, con un “altro” con cui alla fine l’Io finisce per coincidere. Infatti la poesia si chiude, circolarmente, come era incominciata, proprio sul bicchiere: «Mi misi, muto, a sedere / al suo posto, e – vuoto – / guardai a lungo il bicchiere». Il tema del doppio è uno dei temi più trattati da Caproni soprattutto dal Muro della terra in poi, ma nel Congedo ne abbiamo già un’anticipazione nella nota 38 in cui l’autore ci fa capire che è stato sollecitato a scrivere questo libro dalle voci di vari mézigue (“me stesso”) che cercavano di entrare in scena, di raccontare la loro storia, e che si sono manifestati attraverso i vari personaggi del libro. Dunque se l’Io si scinde, le parti complementari dovranno cercarsi e inseguirsi per riacquistare la 35
Giorgio Caproni, All’osteria, in ivi, p. 467. Giorgio Caproni, Squarcio, in ivi, p. 619. 37 Giorgio Caproni, Andantino, in ivi, pp. 387-388. 38 Giorgio Caproni, Nota al Congedo del viaggiatore cerimonioso & altre prosopopee, in ivi, pp. 287-288. 36
completezza iniziale. D’altro canto Caproni prospetta anche un’altra soluzione, quella in cui ci si sente perseguitati, rincorsi, soffocati dall’“altro” e l’unica soluzione alla fine è l’omicidio/suicidio. Come abbiamo anticipato la quartina In una notte di un gelido 17 dicembre, viene interamente ripresa e inserita, con alcune modifiche, nel finale de I ricordi, uno dei componimenti lunghi del Congedo: Ahi l’uomo – fischiettai – l’uomo che di notte, solo, nel gelido dicembre, spinge il cancello e – solo – rientra nei suoi sospiri…39
Si attua così il ricongiungimento, anche a livello strutturale, tra le due voci che avevano finora interagito soltanto tramite legami tematici e semantici. La quartina ora viene cantata, fischiettata, ne viene mostrata la natura melodica, musicale. Lo studio della musica e dell’armonia è sempre stato alla base della composizione poetica per Caproni che spesso scrive poesie come se fossero musica: la pagina è uno spartito, pieno di riferimenti musicali, di suoni e di silenzi. Il fischiettare sembra essere anche uno stratagemma dell’uomo per farsi coraggio: ci troviamo ancora una volta davanti al varco che è stato aperto nel cuore del protagonista dai nomi dei morti, evocati superficialmente dagli amici del bar. Se gli altri possono parlare delle persone scomparse e del passato con tanta facilità, il protagonista non riesce ad avere questo approccio “leggero” con i ricordi e decide di uscire, nel freddo della notte, per ritirarsi nella sua solitudine e nel suo rapporto tormentato e difficile con i morti. Il protagonista delle quartine, «l’uomo solo», ritornerà nella raccolta successiva, Il muro della terra, nella poesia di apertura (dopo la dedica e gli svolazzi introduttivi): Un uomo solo, chiuso nella sua stanza. Con tutte le sue ragioni. Tutti i suoi torti. Solo in una stanza vuota, a parlare. Ai morti.40
La struttura è cambiata, non si tratta più di una quartina e sono spariti i puntini di sospensione ma i vocaboli e l’immagine evocata tradiscono un rimando diretto. Questa poesia chiarisce ed esplicita il significato profondo che sta alla base delle quartine del Congedo. La solitudine dell’uomo, e la mancanza di oggetti a cui rapportarsi, crea la condizione necessaria per varcare i confini di questo mondo e stabilire un contatto con l’aldilà: l’uomo cerca un contatto con le ombre, con le persone che hanno popolato il suo passato e che adesso sono morte. Se questo contatto avvenga veramente non è chiarito, forse il parlare dell’uomo si perderà nel vuoto e non otterrà risposta. Bisogna però ricordare come Caproni dall’azzeramento totale di ogni certezza faccia nascere sempre una positività, una libertà e una leggerezza che, attraverso l’accettazione del deserto, del vuoto, del silenzio e dell’incomunicabilità col passato, pongono l’uomo nella condizione di resistere positivamente e stoicamente a tutto questo: «La mia poesia ha sempre indicato certezza: stoica certezza. Pochi hanno saputo leggerla in questa direzione. Afferma per negazioni».41 Caproni aveva una notevole propensione per le poesie brevi in cui arrivava con facilità alla chiarezza fulminante, alla rivelazione, grazie a una capacità comunicativa ieratica e illuminante: tutte le poesie, sia quelle a tono allegro e canzonatorio, sia quelle più profonde e meditative si caratterizzano infatti per la loro capacità epifanica. 39
Giorgio Caproni, I ricordi, in ivi, pp. 277-278. Giorgio Caproni, Condizione, in ivi, p. 303. 41 Molti dottori nessun poeta nuovo, intervista a Giorgio Caproni a cura di Jolanda Insana,, «La fiera letteraria», 19 gennaio 1975. 40
Bibliografia Opere di Giorgio Caproni Caproni, Giorgio, Il labirinto, Milano, Rizzoli, 1984. Caproni, Giorgio, Il mestiere di poeta, a cura di F. Camon, Milano, Lerici, 1965. Caproni, Giorgio, Tutte le poesie, Garzanti, Milano, 1999. Caproni, Giorgio, Versi come utensili, in «Mondo operaio», 25 dicembre 1948. Molti dottori nessun poeta nuovo, intervista a Giorgio Caproni a cura di Jolanda Insana,, «La fiera letteraria», 19 gennaio 1975. Opere di critica su Giorgio Caproni consultate: Dei, Adele, Grigio Caproni, Milano, Mursia, 1992. Longhi, Silvia Il dire e il disdire di Giorgio Caproni, in Omaggio a Gianfranco Folena, Padova, Editoriale Programma, 1993, vol. III, pp. 2177-2192 Mengaldo, Pier Vincenzo, Introduzione, in G. Caproni, L’opera in versi, edizione critica a cura di L. Zuliani, Milano, Mondadori, 1998. Altre opere letterarie citate Campana, Dino, Canti Orfici ed altre poesie, Garzanti, Milano, 2002. Dante, Divina Commedia. Seneca, Epistole a Lucilio.