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L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO
Unicuique suum Anno CLIII n. 75 (46.319)
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Città del Vaticano
sabato 30 marzo 2013
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Il vescovo di Roma celebra la messa «in cena Domini» tra i giovani reclusi di Casal del Marmo
Al servizio degli altri Nel pomeriggio del 28 marzo, Giovedì Santo, il Pontefice si è recato nell’istituto di pena minorile romano di Casal del Marmo, dove ha celebrato la messa «in cena Domini» compiendo il rito della lavanda dei piedi con dodici detenuti. Di seguito l’omelia pronunciata dal Papa.
L’olio che si sparge
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È nel cuore dell’anno cristiano, lungo i giorni che preparano la Pasqua, che il vescovo di Roma sta progressivamente mostrando il suo volto di dolcezza e misericordia, grazie a parole e gesti semplici che arrivano a tutti. Lo si è sperimentato vedendo le immagini della lavanda dei piedi a dodici giovani nel carcere minorile della città, una celebrazione toccante e sconvolgente, così come ascoltando o leggendo le omelie durante la messa crismale e per la domenica delle Palme. Appare allora chiaro a tutti quanto non era difficile capire, e cioè il significato della scelta di Benedetto XVI — notoriamente attentissimo alla liturgia — di rinunciare al pontificato nel cuore della quaresima. Grazie al tempo scelto per questa decisione, infatti, il suo successore ha potuto far coincidere gli inizi del suo servizio come successore di Pietro con la celebrazione più importante per la fede in Cristo risorto dai morti, durante il triduo sacro che culmina con la veglia pasquale. E proprio in questi giorni centrali del tempo liturgico è risuonata con forza la voce di un Papa per la prima volta venuto quasi dalla «fine del mondo», come lui stesso ha detto subito dopo l’elezione, lui che in tutta la sua vita di sacerdote e di vescovo ha sempre mostrato una preoccupazione speciale per le periferie materiali e spirituali. Ed è lì infatti che come donne e uomini mai tristi bisogna portare Gesù, ha esclamato aprendo la settimana santa. Lo stesso concetto è tornato con suggestiva sapienza nell’omelia della messa crismale, quando Papa Francesco ha intrecciato i simboli presenti nelle Scritture ebraiche con la predicazione di Cristo. Così l’immagine dell’olio che si sparge e quella delle vesti sacerdotali con i nomi dei figli di Israele sono servite al Pontefice per sottolineare la necessità di unione tra la gente e i suoi preti e il bisogno che questo «olio di gioia» arrivi appunto sino alle periferie, là dove «il popolo fedele è più esposto all’invasione di quanti vogliono saccheggiare la sua fede». Ecco il significato più autentico della «bellezza di quanto è liturgico», presenza della gloria di Dio «che risplende nel suo popolo vivo e confortato», ha ricordato il vescovo di Roma. Per questo bisogna venire incontro al «desiderio della nostra gente di essere unta con l’olio profumato, perché sa che noi lo abbiamo» e a quella «cecità che desidera vedere». Bisogna dunque uscire «a dare noi stessi e a dare il Vangelo agli altri», abbandonando quel-l’autoreferenzialità che rischia di inaridire la Chiesa e di fare dei preti «una sorta di collezionisti di antichità o di novità». E descrivendo la necessità della relazione con Dio e con il suo popolo Papa Francesco ha ripreso l’immagine evangelica, a lui cara, del pastore vicino al suo gregge al punto da assumere l’«odore delle pecore». Che ricerca e custodisce senza stancarsi per ungerle con l’olio profumato di Cristo, modello di ogni pastore. g.m.v.
Dalla grotta della Natività a quella del sepolcro FABRIZIO BISCONTI
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Questo è commovente. Gesù che lava i piedi ai suoi discepoli. Pietro non capiva nulla, rifiutava. Ma Gesù gli ha spiegato. Gesù — Dio — ha fatto questo! E Lui stesso spiega ai discepoli: «Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come ho fatto io» (Gv 13, 12-15). È l’esempio del Signore: Lui è il più importante e lava i piedi, perché fra noi quello che è il più alto deve essere al servizio degli altri. E questo è un simbolo, è un segno, no? Lavare i piedi è: “io sono al tuo servizio”. E anche noi, fra noi, non è che dobbiamo lavare i piedi tutti i giorni l’uno all’altro, ma che cosa significa questo? Che dobbiamo aiutarci, l’un l’altro. A volte mi sono arrabbiato con uno, con un’altra... ma... lascia perdere,
Un dono che non conosceremo mai MARIO PONZI
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lascia perdere, e se ti chiede un favore, fatelo. Aiutarci l’un l’altro: questo Gesù ci insegna e questo è quello che io faccio, e lo faccio di cuore, perché è mio dovere. Come prete e come vescovo devo essere al vostro servizio. Ma è un dovere che mi viene dal cuore: lo amo. Amo questo e amo farlo perché il Signore così mi ha insegnato. Ma anche voi, aiutateci: aiutateci sempre. L’un l’altro. E così, aiutandoci, ci faremo del bene. Adesso faremo questa cerimonia di lavarci i piedi e pensiamo, ciascuno di noi pensi: “Io davvero sono disposta, sono disposto a servire, ad aiutare l’altro?”. Pensiamo questo, soltanto. E pensiamo che questo segno è una carezza di Gesù, che fa Gesù, perché Gesù è venuto proprio per questo: per servire, per aiutarci.
In comunione sacerdotale con Benedetto XVI Papa Francesco ha telefonato a Benedetto XVI nella tarda mattinata del 28 marzo, dopo la celebrazione della messa crismale presieduta nella basilica vaticana. Nel giorno in cui i preti rinnovano le loro promesse il Pontefice ha voluto esprimere, in un lungo e significativo colloquio, il senso della comunione sacerdotale con il suo predecessore.
Gli auguri del Presidente Napolitano al Papa
Dalla Pasqua un messaggio di rinascita L’augurio del popolo italiano in occasione della Pasqua è stato trasmesso a Papa Francesco dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nel messaggio che pubblichiamo qui di seguito. Nell’approssimarsi della santa Pasqua, la prima celebrata da vostra Santità dopo la recente elezione al soglio pontificio, desidero rivolgerle, a nome mio personale e del popolo italiano, che già l’ha accolta con grandissimo calore e affetto, i più fervidi voti augurali unitamente a sentiti auspici di benessere. Le festività pasquali ricorrono quest’anno in un momento particolarmente impegnativo per l’Italia, che affronta una fase cruciale di ricambio democratico ai vertici delle istituzioni. Esse ci invitano a dare ascolto al condiviso anelito di pace, di giustizia e di solidarietà e a trovare la forza e coesione necessarie per raccogliere il messaggio cristiano e universale di rinascita e di speranza che questa fausta ricorrenza porta con sé e diffonde al mondo. È con questo spirito che la prego, Santità, di accogliere i miei più sinceri sentimenti di amicizia e di profonda considerazione per la sua alta missione apostolica.
Delusione del segretario generale delle Nazioni Unite
Nessun consenso sul Trattato per le armi NEW YORK, 29. Il Segretario generale delle Nazioni Unite si è detto profondamente deluso per il mancato raggiungimento di un accordo unanime sul Trattato per il commercio delle armi convenzionali (Att). L’adozione per consenso, cioè all’unanimità dell’Assemblea generale dell’Onu, è stata bloccata ieri da Corea del Nord, Iran e Siria al termine di due settimane dell’ultima sessione di negoziati. In una nota, Ban Ki-moon sottolinea che si tratta di un testo equilibrato e ora «si augura vivamente che gli Stati membri proseguiranno nel tentativo di adottare il documento il più presto possibile». I sostenitori del documento dell’O nu sperano su un largo consenso in caso di voto in Assemblea generale la prossima settimana, dove si punta a ottenere l’approvazione da parte dei due terzi dei 193 Paesi membri. Le Nazioni Unite erano sembrate vicine allo storico accordo sul pri-
mo Trattato internazionale globale e vincolante sulla compravendita delle armi dopo la svolta data dal presidente Barack Obama alla posizione degli Stati Uniti, finora contrari a vincoli internazionali sul proprio commercio di armi. Per ottenere il consenso sull’Att — pur ritenendolo debole su aspetti come il controllo dei proiettili e l’esclusione di armi come i droni — si erano spesi in particolare la maggior parte dei Paesi dell’Africa e dell’America latina. All’apertura dei lavori, il 18 marzo, il cosiddetto Africa Group aveva chiesto un Trattato con «i più alti standard internazionali possibili», per porre fine, come dichiarato da Ellen Johnson Sirleaf, presidente della Liberia e premio Nobel per la pace, a «centinaia di migliaia di morti provocati ogni anno nel mondo e milioni di mutilati e traumatizzati».
Il Consiglio di sicurezza costituisce una brigata speciale di combattimento
Offensiva dell’Onu contro i ribelli congolesi NEW YORK, 29. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato ieri all’unanimità una risoluzione che prevede la creazione di una forza di combattimento speciale nella Repubblica Democratica del Congo, per un periodo iniziale di
un anno e con il mandato di passare all’offensiva contro i ribelli. L’obiettivo è infatti quello di effettuare «operazioni offensive mirate» per neutralizzare le milizie presenti nella parte orientale del Paese. Secondo la risoluzione, la brigata
Un campo di rifugiati nella Repubblica Democratica del Congo (Afp)
opererà «in modo deciso, altamente mobile e versatile, da sola o accanto alle forze armate congolesi, per bloccare tutti i gruppi armati, neutralizzarli e disarmarli». La nuova unità conterà su 2.500 soldati e affiancherà la Monusco, la missione dell’Onu già da anni dispiegata in territorio congolese, e porterà il totale dei caschi blu a oltre ventimila effettivi. L’invio della nuova forza è stato deciso proprio nell’ambito di una proroga di un anno del mandato della Monusco. Le particolari modalità di impiego della brigata erano state concordate il mese scorso ad Addis Abeba dai capi di Stato di 11 Paesi della regione. Le operazioni della brigata speciale potrebbero concentrarsi in un primo momento nel Nord Kivu, dove scontri e violenze continuano con cadenza quotidiana, nonostante l’avvio di un negoziato tra il Governo e i ribelli del Movimento del 23 marzo. Il mandato dell’Onu consente comunque alla brigata di intervenire in tutto il territorio del Paese.
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sabato 30 marzo 2013
Il presidente Anastasiades assicura di avere il controllo della situazione
Cipro non vuole uscire dall’euro Contenuto il rischio di ulteriori fughe di capitali NICOSIA, 29. Cipro non ha nessuna intenzione di uscire dall’euro, e la situazione nell’isola nel secondo giorno di riapertura delle banche dopo l’approvazione del piano di salvataggio appare «contenuta». È questo il quadro tracciato oggi dal presidente cipriota Nicos Anastasiades durante una conferenza stampa. «Non abbiamo intenzione di lasciare l’euro — ha dichiarato Anastasiades — non fare-
mo alcun esperimento con il futuro del nostro Paese». Tutte le banche di Cipro hanno ripreso stamani la loro attività. Gli istituti di credito sono soggetti a rigide restrizioni, e lo saranno probabilmente per almeno un mese per quanto riguarda i movimenti di denaro. L’obiettivo delle restrizioni è quello di evitare una massiccia fuga di capitali in seguito al piano di salvataggio concordato da Nicosia con l’Eurogruppo e che prevede un prelievo sui depositi di oltre centomila euro. Ieri, prima giornata di attività dopo una chiusura continuata di dodici giorni, gli sportelli sono stati aperti alle undici e hanno chiuso alle 18. Le procedure si sono svolte senza incidenti, tanto che il presidente Anastasiades ha ringraziato di persona, con un messaggio su twitter, i propri connazionali «per il grande senso di responsabilità dimostrato». Questa mattina qualche breve fila di persone si è formata soltanto davanti ad alcune filiali della Laiki Bank (Banca Popolare), il secondo istituto di credito del Paese dopo la Bank of Cyprus, da cui dovrà essere in parte assorbito dopo essere stato liquidato. I prelievi di contante sono limitati a trecento euro al giorno a persona; i trasferimenti all’estero non possono oltrepassare i cinquemila euro al mese e chi deve andare in un altro Paese non può portare con sé
Wall Street fa segnare i massimi di sempre NEW YORK, 29. Wall Street recupera le perdite accumulate durante la crisi iniziata nel 2008. Il Dow Jones e lo S&P 500 hanno chiuso ieri ai loro massimi storici, nonostante le tensioni degli ultimi giorni su Cipro, e spinti dalle buone indicazioni giunte dall’economia americana. Il Dow Jones ha chiuso la seduta salendo di 52,53 punti, o lo 0,36 per cento, a 14.578,54 punti, aggiornando i suoi massimi di sempre e archiviando il suo miglior trimestre dal 2008. Il Nasdaq è avanzato di 11,00 punti, o lo 0,34, a 3.267,52 punti. Lo S&P 500 ha messo a segno un progresso di 6,34 punti, il più 41 per cento, a 1.569,19 punti: si tratta della chiusura più alta della storia, superiore al record di chiusura precedente del 9 ottobre 2007 a 1.565,15 punti. L’indice nei primi tre mesi del 2013, che si sono chiusi ieri, è salito del dieci per cento, anche se resta ancora al di sotto del suo livello storico, raggiunto intraday l’11 ottobre 2007 a 1.576,09 punti. Dopo il picco di cinque anni fa, lo S&P 500 ha iniziato una parabola discensiva culminata il 9 marzo 2009, quando l’indice ha toccato il suo minimo di sempre a 676,53 punti, con una capitalizzazione di mercato che era scesa a 5.900 miliardi di dollari. Da allora lo S&P 500 ha guadagnato il 135 per cento, il Dow Jones il 125 e il Nasdaq il 157 per cento. «Il mercato ci ha provato e riprovato e alla fine ce l’ha fatta; i record del Dow Jones sono una buona notizia, ma quello dello S&P 500 è un importante messaggio per gli investitori» affermano alcuni analisti. «Raggiungere un record è una bella pietra miliare; invia un messaggio agli investitori: ci sono opportunità sul mercato» aggiungono. Intanto, sul fronte macroeconomico, l’economia americana è cresciuta nel quarto trimestre dello 0,4 per cento: lo ha comunicato ieri il dipartimento del Commercio, rivedendo al rialzo la precedente stima del più 0,1 per cento (meno 0,1 la prima stima). Le richieste iniziali di sussidio di disoccupazione nella settimana terminata il 23 marzo sono state 357.000, in aumento di 16.000 unità rispetto al livello della settimana precedente.
oltre mille euro in contanti pena il sequestro della somma in eccesso. Intanto, l’Europa s’interroga sulla gravità della situazione. «Cipro è un caso speciale, tutti lo sanno» ha detto il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, secondo il quale sarebbero state fraintese le parole del presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, per il quale la soluzione adottata per Cipro potrebbe diventare un modello europeo. Sulla stessa linea di Schäuble, anche il Fondo monetario internazionale (Fmi). «Il piano di salvataggio adottato a Cipro è unico ed è difficile adottarlo altrove» ha detto il portavoce dell’Fmi, Gerry Rice. «Sarebbe difficile — ha spiegato — estendere questo caso al resto di Europa o nel mondo». Rice non si aspetta che l’Fmi finanzi Cipro prima della fine di aprile, quando si concluderà la missione inviata nell’isola. Successivamente il board dell’istituto dovrà approvare i finanziamenti. Nel frattempo, a metà della prossima settimana, il 3 o il 4 aprile, la troika internazionale tornerà ad Atene in modo tale che i suoi rappresentanti — Paul Tomson (Fmi), Servaz Deruz (Ue) e Claus Masuch (Bce) — possano riprendere i controlli sullo stato dell’attuazione del programma di risanamento dell’economia greca, sospeso circa un mese fa per approfondire alcune questioni rimaste ancora aperte.
Slitta il via libera definitivo dei ventisette
Timori per la tenuta del sistema sloveno
Berlino frena sulla vigilanza bancaria europea
LUBIANA, 29. Dopo Cipro potrebbe toccare alla Slovenia dover gestire un sistema bancario sull’orlo del precipizio e la fuga degli investitori. Gli analisti puntano sempre di più sul Paese nell’indicare il prossimo membro dell’Ue che chiederà aiuti a Bruxelles. Ma il governatore della Banca centrale di Lubiana è intervenuto per smentire. «Posso capire la preoccupazione della gente — ha detto ieri Marko Kranjec — ma a nome della Banca
centrale posso garantire che i depositi in Slovenia sono al sicuro, e che la Slovenia non dovrà chiedere alcun tipo di aiuto». Il primo ministro, Alenka Bratusek, due giorni fa, nel suo primo intervento pubblico sulla crisi economica ha detto al Parlamento che il suo Esecutivo farà di tutto per risanare le banche e il bilancio pubblico «in cattive condizioni». E ha promesso che «la Slovenia non avrà bisogno di aiuti».
La filiale di un istituto di credito a Lubiana (Reuters)
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TOKYO, 29. I prezzi al consumo hanno segnato a febbraio una nuova contrazione in Giappone (meno 0,3 per cento annuo), a conferma delle difficoltà per superare quindici anni di deflazione. Il dato diffuso dal ministero degli Affari interni, rilevato al netto degli alimenti freschi e migliore delle stime degli analisti (che prevedevano un meno 0,4 per cento), è poco in linea con i piani del nuovo governatore della Bank of Japan, Haruhiko Kuroda, che in due anni ha puntato al target di inflazione del 2 per cento. A marzo, invece, i prezzi nell’area di Tokyo hanno avuto un calo dello 0,5 per
GIOVANNI MARIA VIAN direttore responsabile
TIPO GRAFIA VATICANA EDITRICE L’OSSERVATORE ROMANO
Carlo Di Cicco
don Sergio Pellini S.D.B.
vicedirettore
Piero Di Domenicantonio caporedattore
Gaetano Vallini segretario di redazione
BERLINO, 29. La Germania frena sul meccanismo unico di vigilanza bancaria e il via libera dei ventisette, previsto per ieri, slitta a dopo Pasqua. La presidenza irlandese di turno dell’Unione europea rimane fiduciosa sulla possibilità di rispettare i tempi previsti, secondo i quali già nel 2014 la Bce gestirà la vigilanza sugli istituti dell’eurozona. Ciò nonostante, l’inatteso stop tedesco di ieri ritarda l’approvazione definitiva del testo legislativo. Ora tutti gli occhi sono puntati all’11 aprile, quando ci sarà la riunione dell’Ecofin, il vertice dei ventisette ministri dell’Economia e delle Finanze dei Paesi membri. Dopo il via libera della Commissione Ue, il passaggio successivo prevede l’approvazione del testo da parte del Parlamento europeo in seduta plenaria (la prossima è fissata a partire dal 15 aprile). Dopo l’accordo raggiunto lo scorso 19 marzo, la Germania ha inaspettatamente chiesto ieri di cambiare alcuni punti, in particolare aspetti riguardanti i rapporti fra parlamenti nazionali e Bce. Secondo il testo elaborato dall’Ecofin dello scorso dicembre e successivamente approvato da Parlamento e Consiglio Ue, la Bce assumerà la vigilanza sulle banche di rilevanza sistemica dell’eurozona, quelle con attivi di bilancio pari almeno a trenta miliardi di euro o un fatturato pari ad almeno il venti per cento del pil del Paese dell’istituto (in tutto circa
Segnali di deflazione in Giappone
destinati alla messa in sicurezza di alcuni stabili, al controllo del traffico e alla sanità. Il budget, però, copre soprattutto le spese per il mantenimento della Polizia armata del popolo, la cosiddetta Wujing, il corpo paramilitare che sovrintende alla sicurezza interna, a cui saranno destinati ben 100,6 miliardi di yuan dei 128,9 totali. Nelle scorse settimane, il Governo di Pechino aveva anche deciso di aumentare le spese di difesa. Durante i recenti lavori dell’Assemblea del popolo, è stato infatti deciso un incremento delle spese del 10,7 per cento.
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Un uomo in attesa dell’apertura della sua banca a Nicosia (Reuters)
Ma la Banca centrale è ottimista
Aumenta in Cina il budget per la sicurezza interna PECHINO, 29. Aumenta del 9 per cento, nel 2013, il budget destinato alle spese per la sicurezza interna della Cina. Secondo un comunicato diffuso ieri dal ministero delle Finanze di Pechino, il Governo spenderà quest’anno 128,9 miliardi di yuan (circa 16,1 miliardi di euro) per il rafforzamento delle forze di polizia, per il funzionamento dei tribunali e per la gestione delle carceri. Dal 2009, le spese per la sicurezza interna sono cresciute del 76,1 per cento, con aumenti del 17,1 per cento nel 2011 e del 10,2 per cento lo scorso anno. La maggiore parte dei fondi, in particolare, saranno
In ambienti governativi già si teme che la drastica soluzione data alla crisi di Cipro possa indurre la troika ad adottare una linea più dura per l’assegnazione della nuova tranche di aiuti a marzo. Il Governo greco si prepara per il nuovo appuntamento con i creditori internazionali: l’obiettivo di Samaras è quello di chiudere tutte le questioni in sospeso e non perdere altro tempo prezioso in vista della riunione dell’Eurogruppo del prossimo 1112 aprile, che dovrebbe dare il via libera all’assegnazione della tranche di 2,8 miliardi di euro. Per fare il punto della situazione Samaras ha convocato ieri sera al ministero delle Finanze una riunione cui hanno partecipato il ministro delle Finanze. Yannis Stournaras, il vice ministro. Christos Staikouras, il sottosegretario, Giorgos Mavragannis, e il ministro del Lavoro, Yannis Vroutsis. Fra le questioni sul tavolo, lo spinoso problema degli esuberi di cinquantamila dipendenti statali e la proroga della tassa sugli immobili riscossa per il tramite della bolletta dell’energia elettrica anche nel 2013. Sugli esuberi, la troika chiede al ministero per la Riforma amministrativa un piano attendibile sulla messa in mobilità degli statali, parte dei quali avrebbero dovuto lasciare già l’anno scorso.
direttore generale
cento. A conferma delle difficoltà, a febbraio il tasso di disoccupazione è cresciuto di 0,1 punti percentuali toccando il 4,3 per cento, ma con una riduzione su base annua del numero di disoccupati di 120.000 unità. I senza lavoro sono ora 2,77 milioni. I dati diffusi dal ministero degli Affari interni mostrano il terzo calo di fila su base annua del numero di disoccupati. Resta stabile, invece, il rapporto tra offerta e domanda di posti di lavoro: le cifre del ministero del Welfare mostrano un rapporto di 0,85, pari cioè a 85 posti di lavoro disponibili per ogni 100 richieste.
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150 istituti), mentre le altre continueranno a essere controllate dalle autorità nazionali, a meno che la Bce non chieda di vigilare su specifici istituti che ritiene “a rischio”. La vigilanza unica, considerata il primo importante passo verso la realizzazione di una vera unione bancaria europea, è inoltre la precondizione perché il meccanismo continentale di stabilità Esm possa procedere alla ricapitalizzazione diretta delle banche.
A influenzare la decisione tedesca potrebbero essere state — dicono gli analisti — anche le difficoltà recenti sul piano economico. In Germania, il numero dei disoccupati è aumentato a sorpresa a marzo di 13.000 unità, mentre il tasso è rimasto fermo al 6,9 per cento. Il dato è peggiore delle stime degli economisti, che si attendevano un calo di duemila unità. I dati assoluti mostrano invece un calo di 58.000 unità a 3.098.000.
Nuove consultazioni del presidente Napolitano ROMA, 29. Nuove consultazioni sono state avviate oggi, venerdì, dal presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, dopo che ieri Pierluigi Bersani, incaricato di verificare la possibilità della formazione di una maggioranza di Governo, ha riferito al capo dello Stato che i suoi colloqui con le forze parlamentari non hanno avuto «esito risolutivo». Napolitano dunque «si è riservato di prendere senza indugio iniziative che gli consentano di accertare personalmente gli sviluppi possibili del quadro politico-istituzionale» e ha ricevuto questa mattina una delegazione congiunta del Popolo della libertà (Pdl) e della Lega Nord, guidata rispettivamente da Silvio Berlusconi e Roberto Maroni. «Siamo disponibili — ha detto Berlusconi al termine del colloquio con il capo dello Stato — a che il Partito democratico avanzi una sua candidatura. Ci va bene la candidatura di Bersani, come ci vanno bene altre candidature». Per quanto riguarda i contenuti dell’azione di governo, ha continuato, «siamo disponibili ad incontrare le altre forze politiche ed esaminare nel dettaglio i provvedimenti urgenti che si impongono per la difficilissima situazione economica. Crediamo che ci possa essere accordo su provvedimenti principali. Questa è la nostra posizione», ha aggiunto Berlusconi, che ha riferito che «non c’è stata nessuna discussione», né nessuna
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posizione avanzata a Napolitano per il Quirinale, anche se «è nella logica delle cose che, se si fa un Governo di coalizione insieme, si discute insieme anche del prossimo presidente della Repubblica». Il leader della Lega Nord, Roberto Maroni, ha dichiarato di sostenere «un Governo politico, non un Governo tecnico», altrimenti «meglio le elezioni». Secondo il programma, le consultazioni del capo dello Stato termineranno nella serata di oggi con il colloquio con la delegazione del Pd.
Italia fanalino di coda del G7 PARIGI, 29. La recessione non accenna a dare tregua all’Italia e all’Europa. La conferma arriva dall’Ocse che prevede un pil italiano negativo dell’1,6 per cento nel primo trimestre dell’anno, record negativo del G7. Secondo Banca d’Italia, inoltre, aumentano i debiti dello Stato verso le imprese. Anche per l’Europa — nonostante alcuni timidi segnali positivi — la ripresa tarderà ad arrivare con il mercato del lavoro dell’area euro che continuerà a deteriorarsi.
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Sempre più difficili i rapporti fra Pakistan e Afghanistan
Dopo l’invio da parte degli Stati Uniti di due bombardieri B-2 in Corea del Sud
Nubi sull’Afpak
Pyongyang sul piede di guerra
di GABRIELE NICOLÒ Avrebbero dovuto costituire un fronte comune per combattere il terrorismo nella regione: invece Afghanistan e Pakistan continuano a essere divisi da aspre divergenze e l’auspicato fronte comune sta lasciando il posto a un argine frammentato che non riesce a opporsi all’ondata delle violenze scatenate dai talebani. Ed è proprio in nome della lotta al terrorismo che si sta consumando il divario tra i due Paesi. Kabul e Islamabad si lanciano infatti reciproche accuse riguardo alle costanti infiltrazioni dei terroristi lungo il poroso confine. Afghanistan e Pakistan non farebbero abbastanza — questa è la reciproca accusa — per impedire tali infiltrazioni. E in questo critico scenario s’inserisce il monitoraggio della comunità internazionale che da tempo esorta le autorità di Kabul e Islamabad a un più efficace impegno per sradicare l’elemento talebano nella regione. Insomma, mentre complesse dinamiche s’intrecciano senza far intravedere, per il momento, confortanti prospettive di cambiamento, i talebani continuano nella loro azione destabilizzante, fatta di attentati suicidi e di imboscate. A rendere più tesi i rapporti fra Pakistan e Afghanistan ha contribuito quanto è accaduto in questi giorni: Islamabad ha criticato Kabul per aver reagito «in maniera eccessiva» annullando la prevista visita di undici ufficiali come atto di protesta contro il lancio di razzi (si stima più di cinquanta) dalle aree trasfrontaliere pakistane verso la provincia di Kunar. Gli ufficiali si sarebbero dovuti recare a Quetta per partecipare a un’esercitazione antiterrorismo. Aziz Ahmed Chaudhry, portavoce del ministero degli Esteri pakistano, ha dichiarato: «Riteniamo che l’Afghanistan abbia reagito in maniera eccessiva a un incidente minore». La visita degli ufficiali afghani, tra l’altro, aveva come obiettivo di accrescere, come si legge in un comunicato, «la cooperazione e la fiducia reciproca fra i due Paesi». Ora, invece, la mancata missione sta facendo da cassa di risonanza
Rafforzata l’attività nelle basi missilistiche
alle difficoltà che segnano le relazioni tra Kabul e Islamabad. Segnali significativi di rapporti non idilliaci erano emersi anche dal vertice trilaterale svoltosi il mese scorso a Londra fra Gran Bretagna, Pakistan e Afghanistan. Nell’occasione, ricorda «The Wall Street Journal», era stato diffuso un comunicato che trasudava ottimismo, annunciando un rinnovato impegno, da parte di Kabul e Islamabad, nel combattere il terrorismo. Ma in realtà il vertice, dietro la facciata squisitamente diplomatica, era servito a misurare la distanza che divide i due Paesi. In particolare, si era imposto il timore dell’Afghanistan riguardo alla presunta intenzione del Pakistan di esercitare una certa influenza negli affari interni di Kabul dopo il 2014, ovvero quando il contingente internazionale avrà abbandonato il territorio afghano. Alcune fonti afghane hanno anche parlato di «sovranità in pericolo». Non hanno certo contribuito a distendere gli animi le recenti affermazioni del presidente afghano, Hamid Karzai, secondo cui gli Stati Uniti starebbero conducendo una guerra «nel posto sbagliato»: a detta di Karzai, infatti, Washington dovrebbe concentrarsi sul Pakistan e sulle «radici del terrorismo» che affondano in quel territorio. In queste ultime ore, poi, Islamabad è tornata a rilanciare le accuse, affermando che Kabul deve rompere gli indugi e provvedere a eliminare i covi dei miliziani nelle province di Kunar e Nuristan, situate lungo il confine. Secondo le autorità di Islamabad, il gruppo terroristico Tehrik-e-Talian Pakistan si nasconderebbe in Afghanistan e da lì lancerebbe attacchi contro le zone di frontiera in terra pakistana. E mentre le schermaglie tra i due Paesi continuano, importanti scadenze si avvicinano. La più vicina riguarda il Pakistan: l’11 maggio si terranno le elezioni generali. Le più lontane, ma poi non tanto, interessano l’Afghanistan: il 2014 segnerà la fine della missione del contingente internazionale e la conclusione del mandato presidenziale di Karzai. Scadenze cui si legano sfide nevralgiche in funzione alla lotta contro il terrorismo.
Una parata militare nella capitale nordcoreana (LaPresse/Ap)
Fa discutere la decisione della Lega araba
Hollande si oppone alla fornitura di armi ai ribelli siriani DAMASCO, 29. Fa discutere la recente decisione della Lega araba di fornire armi ai ribelli siriani. L’Eliseo ha dichiarato che la situazione in Siria è ancora troppo incerta per cominciare ad inviare forniture ai ribelli che combattono contro le forze di Assad. Il presidente francese François Hollande ha invece sottolineato la necessità di rispettare l’embargo deciso da Bruxelles e di trovare una soluzione politica alla crisi. Non saranno fornite armi
«finché non saremo certi che l’opposizione controlli totalmente la situazione» ha spiegato Hollande. Per il ministro degli Esteri russo, Serghiei Lavrov, il fatto che all’opposizione siriana sia stato dato un seggio al vertice della Lega araba di Doha mette in discussione il mandato del mediatore di pace Onu in Siria, Lakhdar Brahimi. A Doha la Coalizione dell’opposizione siriana ha occupato i posti riservati al Governo siriano e il suo presidente,
Popolazione stremata per i saccheggi, la crisi alimentare e l’emergenza profughi
Cresce l’insicurezza dopo il colpo di Stato nella Repubblica Centroafricana BANGUI, 29. Alle violenze ancora presenti nella Repubblica Centroafricana e in particolare nella capitale Bangui, dove domenica scorsa i ribelli della Seleka hanno preso il potere con un colpo di Stato, si sommano un’accresciuta insicurezza, gravi carenze sul piano dell’assistenza sanitaria e una nuova emergenza profughi. Finora non hanno avuto alcun riscontro nei fatti le rassicurazioni sulla messa in sicurezza del Paese date dalle milizie della Seleka, il cui leader, Michel Djotodia, si è autoproclamato capo dello Stato e ha sospeso la Costituzione e il Parlamento. Non s’interrompono infatti gli atti di banditismo di elementi della Seleka, tra le cui file ci sono un’alta percentuale di miliziani islamisti provenienti da Ciad e Sudan. Ancora nelle ultime ore sono stati segnalati saccheggi di uffici e abitazioni, ma anche di parrocchie e missioni. Secondo i responsabili locali dell’Ocha, l’ufficio dell’Onu per il coordinamento degli affari umanitari, il colpo di Stato della Seleka ha aggravato una situazione umanitaria già difficile. «Le conseguenze sono particolarmente preoccupanti nelle regioni centrali e settentrionali, dove più di 80.000 persone rischiano di subire una carestia in attesa del prossimo raccolto», si legge in un comunicato dell’Ocha diffuso ieri. La nota aggiunge che più di 166.000 bambini non vanno più a scuola dall’inizio della crisi, lo scorso dicembre. Già subito dopo il colpo di Stato, l’arcivescovo di Bangui, Dieudonné Nzapalainga, oltre a chiedere ai golpistri di arginare immediatamente saccheggi e violenze, aveva sottolineato la necessità di aprire corridoi umanitari. La Caritas ita-
liana, che è in stretto contatto con quella della Repubblica Centroafricana, sta tentando di portare aiuti alla popolazione della capitale rimasta senza elettricità e senza acqua potabile. Tutte le parrocchie sono in allerta, così come i tre ospedali il cui personale cerca di assicurare alla popolazione le prime cure seppur in condizioni difficili. L’arcivescovo Nzapalainga, in una teleconferenza con la Caritas italiana, ha indicato alcuni bisogni immediati. Molti medici e infermie-
ri hanno lasciato i centri sanitari, i medicinali scarseggiano e c’è necessità di formare agenti sanitari e riabilitare alcuni centri sanitari danneggiati. La popolazione sfollata ha perso da mesi le proprie case e si trova presso famiglie vicine o amici, ma la situazione alla lunga è difficilmente sostenibile. Oltre ad aiuti immediati è necessario fornire strumenti di lavoro che permettano di riprendere le coltivazioni. La Caritas centroafricana è impegnata a distribuire aiuti alimentari, ma an-
che in attività di sostegno sociale e di ricostituzione delle strutture socioeconomiche e dei mezzi di sussistenza a beneficio di circa 70.000 persone. Nel frattempo il presidente François Bozizé, costretto alla fuga dai ribelli, ha chiesto asilo al Benin, secondo quanto annunciato ieri dal ministero degli Esteri di tale Paese. Bozize aveva trovato un primo rifugio in Camerun, mentre i suoi familiari erano stati accolti nella Repubblica Democratica del Congo.
Moaz Al Khatib, ha tenuto un intervento. Nel frattempo, non si placano le violenze in tutto il Paese. Sono 112 i morti registrati ieri in varie parti della Siria. Lo denunciano gli attivisti citati dall’emittente Al Arabiya. Tra le vittime anche donne e bambini. I combattimenti più cruenti sono stati segnalati a Damasco, dove le truppe dell’esercito continuano a bombardare le aree occupate dai ribelli, tra le quali soprattutto il sobborgo di Qaboon, alla periferia nord-orientale della capitale. È salito a 15 il numero delle persone uccise ieri in un attacco a colpi di mortaio contro l’università di Damasco, nel quartiere nord-occidentale di Baramkeh. Lo ha riferito la televisione di Stato siriana. Altri otto studenti sarebbero rimasti feriti. I colpi di mortaio sono esplosi contro l’edificio della facoltà di architettura, secondo quanto riferito dall’agenzia ufficiale Sana. L’Alto commissariato dell’O nu per i rifugiati (Unhcr), dal canto suo, si è detto «molto preoccupato» per le indiscrezioni secondo le quali centinaia di siriani sarebbero stati espulsi dal campo profughi turco di Suleiman Shah per aver preso parte, mercoledì scorso, a una sommossa contro la polizia locale. L’organismo delle Nazioni Unite, con sede a Ginevra, è in contatto diretto con le autorità turche.
Chieste al Governo di Khartoum iniziative immediate per porre fine alle violenze
Si aggrava la condizione degli sfollati nel Darfur
Un bambino nel campo profughi di Abu Shouk (Ansa)
KHARTOUM, 29. Torna ad acuirsi la crisi nel Darfur, la regione occidentale sudanese teatro da oltre dieci anni di un conflitto civile che ha provocato centinaia di morti e una delle maggiori emergenze umanitarie oggi in atto nel mondo. L’aggravamento della situazione è stato discusso in un incontro tenuto a Nyali tra i delegati delle comunità di sfollati del Darfur del quale dà notizia l’agenzia Misna. I delegati hanno rivolto un appello al Governo di Khartoum perché agisca per porre fine alle violenze e all’insicurezza nella regione. L’incontro, al quale hanno partecipato circa seicento delegati, si è tenuto in vista del prossimo vertice a Doha, dove il Governo sudanese sta cercando di negoziare un complesso accordo di pace con i diversi gruppi ribelli attivi in Darfur. I responsabili hanno chiesto inoltre la creazione di un organi-
smo che gestisca e supervisioni il ritorno volontario di quanti sono stati costretti ad abbandonare le loro case negli anni più bui del conflitto, tra il 2003 e il 2007. La Misna ricorda che l’incontro di Nyala si è svolto in un clima di malcontento e frustrazione in seguito al rapimento di un gruppo di 31 delegati provenienti da Zalingei e diretti alla conferenza, da parte di un gruppo di uomini armati. Tre giorni fa il convoglio, scortato da soldati dell’Unamid, la missione dispiegata congiuntamente in Darfur dall’Onu e dall’Unione africana, è stato bloccato da insorti a bordo di sette fuoristrada, e condotto in una località imprecisata. Il rappresentante delle Nazioni Unite in Sudan, Ali Al Za’atari, si è detto molto preoccupato per la loro scomparsa e per la sempre più manifesta insicurezza sul territorio.
PYONGYANG, 29. Peggiora di ora in ora la già precaria situazione nella penisola coreana. Stamane, infatti, il regime comunista della Corea del Nord ha rafforzato le attività presso le basi missilistiche di medio e lungo raggio, spingendo la Corea del Sud ad aumentare il livello di guardia. Lo riporta l’agenzia sudcoreana Yonhap citando fonti militari di Seoul, secondo le quali sono in corso movimenti di veicoli e truppe. Il provvedimento segue un ordine d’allerta lanciato dal leader nordcoreano, Kim Jong un. Lo ha confermato l’agenzia ufficiale della Corea del Nord Kcna, precisando che Kim, al termine di una riunione d’emergenza con i vertici militari, ha firmato un piano sui preparativi tecnici per il lancio di missili strategici, ordinando all’esercito di prepararsi in qualsiasi momento all’evenienza, in modo che possano essere colpite le basi sul territorio degli Stati Uniti e quelle americane nei teatri operativi del Pacifico, compresi Hawaii e Guam, e in Corea del Sud. La decisione è stata presa dopo l’invio di due caccia bombardieri americani B-2 per partecipare alle annuali esercitazioni militari congiunte con Seoul. Kim Jong un, citato sempre dalla Kcna, ha sostenuto che ora le azioni degli Stati Uniti «stanno andando al di là della fase di minaccia e di ricatto». Gli aerei da combattimento, aveva spiegato ieri il comando americano a Seoul, sono stati inviati per una missione di addestramento di lunga durata. In una singola missione, i due bombardieri (con capacità nucleari) hanno sganciato delle munizioni inerti su un campo di addestramento sudcoreano sull’isola di Jikdo, per dimostrare l’impegno degli Stati Uniti a difendere la Corea del Sud e come deterrente a favore degli alleati nella regione pacifico-asiatica. Secondo le stesse fonti, Stati Uniti e Corea del Sud stanno mantenendo una stretta vigilanza sui movimenti nelle basi della Corea del Nord. È ritenuto possibile, infatti, il lancio di missili come atto provocatorio, dato che Pyongyang ha reso noto martedì scorso di considerare le truppe in assetto da combattimento, con le unità di artiglieria e balistiche stategiche in grado di colpire in Corea tutti gli obiettivi riconducibili alle forze considerate «ostili» al regime. Secondo un’altra fonte, invece, movimenti di veicoli militari nordcoreani sono stati registrati presso il sito nordoccidentale di Tongchang ri, lo stesso da dove è stato lanciato il razzo-satellite lo scorso 12 dicembre, rilanciando le ipotesi di un ulteriore test balistico in arrivo. E nel tentativo di contenere la tensione, la Cina ha chiesto oggi sforzi comuni.
Israele prima comunità ebraica al mondo TEL AVIV, 29. Per la prima volta nella sua storia Israele raccoglie la più grande comunità ebraica al mondo, strappando il primato agli Stati Uniti. Le cifre fornite alla stampa internazionale dal demografo israeliano di origini italiane Sergio Della Pergola, dell’Università di Gerusalemme, mostrano che Israele, con sei milioni di ebrei su otto milioni di cittadini complessivi, ha superato la comunità ebraica americana ferma a cinque milioni e mezzo. All’inizio del 2012 in Israele c’erano 7.836.000 cittadini, con un incremento dell’1,8 per cento rispetto al 2011. Nello stesso anno sono nati in Israele 170.000 bambini e sono arrivati 17.000 emigranti, portando così la popolazione alla quota di 7.993.000 persone. Cifra, questa, che ora, proprio durante Pesach, la Pasqua ebraica, ha superato gli otto milioni. Di questi, 6 milioni sono cittadini ebrei, 1.600.000 arabi, 350.000 cristiani non arabi e altri, per lo più immigrati o loro parenti, provenienti dall’ex Unione Sovietica la cui religione non è riportata nei file del ministero dell’Interno. Nella classifica generale delle comunità ebraiche nel mondo dopo Israele e gli Stati Uniti si trova la Francia con 500.000 ebrei (la maggior parte a Parigi), seguita dal Canada con 380.000 (soprattutto a Toronto) e dalla Gran Bretagna, che conta 290.000 ebrei.
L’OSSERVATORE ROMANO
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sabato 30 marzo 2013
I figli del Cireneo
Roger Van der Weyden «Deposizione dalla Croce» (1433-1435)
Quegli occhi che tutto cambiano di PIER GIORDANO CABRA
di JEAN-PIERRE DE RYCKE
nostri erano tempi davvero duri, dal momento che gli spettacoli più ricercati erano quelli del circo dove si davano le persone in pasto alle belve o, in mancanza del circo, si poteva assistere a qualche esecuzione capitale, particolarmente sadica, come una crocifissione. Nostro padre detestava simili cose e ci proibiva di parteciparvi, considerandoli degli show scandalosi, dove si offendeva l’immagine di Dio. Eppure è stato costretto a entrare in scena anche lui, contro sua voglia. Quella mattina si era alzato prestissimo per sistemare alcune cose urgenti nel suo campetto, prima della pausa di Pasqua. Aveva lavorato sodo e, mentre ritornava sporco e stanco, si imbatté in uno di quei detestati cortei di curiosi che accompagnavano i condannati al luogo della ripugnante e crudele esecuzione. Chiuse gli occhi per non vedere e stava cambiando strada, quando un soldato lo requisì, imponendogli di prendere su di sé la croce di un condannato, particolarmente malmesso.
riginario di Tournai, ai confini tra le Fiandre, la Francia e il Belgio francofono attuale, Roger de le Pasture (nato attorno al 1400) — il cui nome fu “fiamminghizzato” quando si stabilì definitivamente a Bruxelles — incarna, sulla scia dei fratelli Van Eyck, ma ancor meglio di questi ultimi, la sintesi plastica storica che si produsse nella pittura, negli antichi Paesi Bassi, verso la fine del XIV e l’inizio del XV, tra un espressionismo di ascendenza germanica e l’arte di corte francese fatta di sfumature, raffinatezza e leggerezza, la cui introduzione e diffusione nelle Fiandre furono probabilmente molto favorite dall’alleanza matrimoniale tra il primo duca di Borgogna — Filippo l’Ardito, fratello del re di Francia — e Margherita de Mâle, figlia del conte di Fiandra, unione fondatrice della futura aggregazione del Belgio. Gli incroci genetici e culturali, come è ben noto, recano sempre i frutti migliori. Nel suo capolavoro assoluto presumibilmente di gioventù, la Deposizione dalla Croce esposto a Madrid al Prado, realizzato per la cappella della gilda dei balestrieri — due minuscoli balestrieri raffigurati agli angoli della nicchia gotica dove si situa la scena attestano ancora il legame con i committenti — a Lovanio nel Brabante, il pittore mostra già la piena maturità del suo talento. Sebbene ancora in parte legato all’arte illusionista dei Van Eyck — dei quali, secondo alcune fonti, seguì forse l’insegnamento, essendo in ogni caso perfettamente documentato il ripetuto passaggio a Tournai di Jean Van Eyck — si differenzia però fondamentalmente per l’introduzione del movimento e delle emozioni esasperate, ben lontani dall’impassibilità espressiva e dalle pose più statiche, o monumentali, generalmente osservate nel più giovane dei suoi illustri predecessori. L’intensità nuova nell’espressione dei sentimenti e del linguaggio plastico è forse anche il frutto del suo presunto apprendistato nella bottega della grande ed enigmatica figura — che si è voluto confondere a volte con Van der Weyden stesso in gioventù — di Robert Campin, originario di Valenciennes, detto “Il Maestro di Flémalle”, fondatore della scuola di pittura di Tournai e “fiamminga” in generale, più o meno contemporaneo dei Van Eyck. Valenciennes era anche il paese di origine del più grande scultore franco-fiammingo della seconda metà del XIV secolo, André Beauneveu (nato intorno al 1330), le cui meravigliose miniature nei libri delle ore sembrano del resto annunciare questa gloriosa filiazione. La Deposizione dalla Croce divenne celebre dal momento stesso in cui fu esposta, al punto da risvegliare, più di un secolo dopo, l’appetito di Filippo II re di Spagna che la fece portare a El Escorial, dopo una sosta a Binche (Hainaut) nel palazzo di sua zia Maria d’Ungheria, sorella di Carlo V. La gran-
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James Tissot «Simone di Cirene e i suoi due figli» (1886-1894)
Quel gesto era una doppia infamia: sia perché nostro padre, venendo da Cirene, era, per il colore scuro della sua pelle, se non un extracomunitario certamente uno straniero, che si poteva vessare senza complicazioni; sia perché si temeva che il condannato non ce la facesse ad arrivare al calvario, privando così il pubblico dell’atteso spettacolo. Che umiliazione per nostro padre dover partecipare a quella bolgia che andava contro tutti i suoi principi! Ma poi, incrociando gli occhi mitissimi e riconoscenti del condannato, che, con regale dignità, sembravano incoraggiarlo, avvenne una rivoluzione dentro di lui, perché prese quella croce e salì dietro a lui, passando dal rifiuto alla accettazione, dal sentirsi umiliato al sentirsi onorato, dall’indignazione di dover partecipare a un’azione detestata alla sensazione di partecipare a un evento unico e misterioso. Deposta la croce, abbandonò immediatamente il luogo e rientrò rapidamente a casa, raccontando senza rancore il sopruso subito, soffermandosi con stupore e fervore insoliti su quegli occhi che lo avevano cambiato dentro, al punto di sentirsi un privilegiato. Noi, al momento, non ci rendevamo conto di tanto fervore. Comprendemmo tutto pochi giorni dopo, quando il Signore risorto venne a ringraziare nostro Padre, che si scherniva dicendo che doveva essere lui a ringraziare per essere stato scelto ad aiutare il Signore della gloria. E anche noi, Alessandro e Rufo (Marco, 15, 21), siamo ricordati nel Vangelo per essere figli di quel cireneo, il quale ci ripeteva con insistenza che non c’è situazione detestabile e umiliante che non possa essere vista come una benedizione, una volta che si siano incontrati gli occhi del Signore Gesù. Grazie, papà, che ci ricordi, che la fortuna più arricchente nella vita, è poter incontrare quegli occhi, che tutto cambiano!
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La «Deposizione dalla Croce» di Roger Van der Weyden
Un’appassionata coreografia di sentimenti de novità della visione e il suo aspetto rivoluzionario per l’epoca risiedono nella teatralizzazione senza precedenti della passione di Cristo, che si può probabilmente collegare ai famosi Misteri, oggetto di rappresentazioni pubbliche in molte città dell’Europa occidentale alla fine del medioevo. Si è voluto anche vedervi l’eco di un tipo nuovo di devozione che si diffuse negli antichi Paesi Bassi alla fine del XIV secolo, la Devotio moderna, dalla quale risultano una visione più affettiva del gesto cristiano, una più grande umanità e un maggiore radicamento nella realtà concreta della vita e del martirio di Gesù, ben lontani dalle speculazioni essenzialmente mistiche delle antiche tendenze idealiste. L’estrema concentrazione e il groviglio delle figure rappresentate è anche il frutto del loro raggruppamento un po’ artificiale all’interno di una nicchia dorata (evocazione del sacro), sul modello degli exvoto funerari scolpiti o enfeus — molto comuni soprattutto a Tournai — che hanno, a quanto pare, preceduto questo tipo di rappresentazione a due dimensioni. Per suggerire meglio il “dramma” (azione) propriamente detto, Van der Weyden fa eseguire ai suoi dieci protagonisti una vera e propria coreografia di pose e di atteggiamenti diversi che compongono un repertorio senza precedenti. All’interno di questa elaborata articolazione quasi degna di un ingranaggio meccanico, “girabacchino” di
corpi in lacrime, spicca la duplice broccato foderato di pelliccia con il figura di Gesù e di sua madre Ma- motivo vegetale del cardo che riria, solidali nel movimento stretta- corda il sacrificio, mentre al centro mente parallelo della morte del dipinto, il suo compagno, andell’uno, dal nobile corpo sospeso che lui vestito con un prezioso tesnel vuoto, contorto, accasciato e suto rosso satinato bordato di perle abbandonato, e dello svenimento e di pietre preziose policrome, avdell’altra, che viene meno cadendo volge in un sudario, e regge con un a terra, la mano che ciondola vicino al cranio che indica il Gol- movimento che suggerisce lo sforzo gota, luogo del sacrificio a Gerusa- compiuto, il busto del suppliziato, il cui braccio inarcato è sostenuto lemme. Tenendo conto della destinazio- da un’ultima figura dai tratti un ne originale dell’opera, la cappella po’ moreschi, appollaiata su una di Nostra Signora fuori le Mura, scala addossata alla croce. dove esisteva già in precedenza un’immagine scolpita La grande novità della visione di Nostra Signora dei dolori, è probabilmente a querisiede nella teatralizzazione st’ultima che la composiziodella passione di Cristo ne sacra era innanzitutto destinata. che si può collegare ai Misteri Più a destra della compooggetto di rappresentazioni pubbliche sizione, Maria Maddalena la “civettuola” — riconoscibile dalla ricercatezza dell’abito e A sinistra, infine, Maria Salomé dagli ornamenti degni di una corti- e Maria di Cleofa completano il digiana (la cinta cesellata) — si con- pinto delle sante donne presso il torce letteralmente dal dolore, il sepolcro. busto proiettato in avanti e le bracA questo meraviglioso contrapcia unite in un sorprendente movi- punto di atteggiamenti e di gesti a mento ellittico di contorsione; il scatti corrisponde quello non meno suo attributo tradizionale, il vaso contrastato dei colori luminosi in degli unguenti, è tenuto in mano parte presi in prestito dalla simboun po’ più dietro da un personaggio anziano non chiaramente iden- logia mistica: il rosso del martirio tificato. Accanto a lei Giuseppe di per Giovanni, l’apostolo prediletto Arimatea — al quale la tradizione che sostiene la Vergine, avvolta in attribuisce il ruolo di aver tolto un abito blu lapislazzuli, di una dalla croce e raccolto il corpo del straordinaria profondità e intensità, Salvatore con Giovanni Nicodemo per suggerire la sua purezza e allo — indossa un sontuoso mantello di stesso tempo la sua regalità celeste.
In modo ancora più singolare, la nervosità generale dell’immagine si prolunga nella struttura stessa delle pieghe prodotte dall’increspatura degli abiti dai pesanti drappeggi che formano volumi irregolari come poliedri. Così la passione di Cristo raggiunge realmente il rango di una passione (pathos) umana, nel senso “appassionato” del suo ritmo discordante, della sua intensità sentimentale totalmente disinibita, nel senso “scorticato” dell’incarnazione radicale degli esseri di sangue, di carne e di lacrime abbandonati alla sofferenza, ben lungi dalla ricerca di armonia matematica e di serenità spirituale più tipiche della sensibilità italiana della stessa epoca. Ed è proprio questo patetismo religioso che Michelangelo, formatosi nel clima neoplatonico dello Studio fiorentino creato da Cosimo dei Medici e da Giovanni Argyropoulos — egli stesso allievo del famoso Pletone di Mistra (l’antica Sparta), apostolo del sincretismo paganocristiano e zoroastriano — rifiutava con tutte le sue forze, in nome di un idealismo figurativo quasi astratto ed esoterico. Tutto il contrario del grande pittore fiammingo, per il quale l’instabilità generale dell’immagine e il luminoso splendore degli straordinari colori avevano innanzitutto come vocazione quella di risvegliare l’empatia dei fedeli e di ravvivare la speranza in un mondo migliore riscattato dalla redenzione del Salvatore, semplice uomo tra gli uomini.
Il Sabato santo a Murcia nel «pregón» tenuto da José Luis Mendoza
Processione silenziosa per il Re addormentato «Fin da bambino — scrive José Luis Mendoza Pérez, presidente della Universidad Católica San Antonio de Murcia, e quest’anno pregonero dei riti della Settimana santa — colui cioè che illustra e commenta i vari appuntamenti devozionali e liturgici — ho sempre vissuto la Settimana santa con intensità; per me era la festa più importante dell’anno, insieme al Natale. Chi non si emoziona contemplando, per esempio, il Cristo de la Sangre di Nicolás de Bussy, nella chiesa del Carmen?». La commozione di fronte alle immagini sacre non ha solo un valore esclusivamente emotivo, superficiale ed effimero. In un modo analogo, infatti, avvenne la se-
conda conversione di Teresa d’Ávila, all’età di quarant’anni, quando Teresa era già da tempo monaca carmelitana. Un giorno, guardando un quadro che rappresentava Cristo flagellato e piagato, percepì che Gesù, vivo e vero, era di fronte a lei e le chiedeva di corrispondere al suo amore. Fu la scoperta dell’assoluta centralità della preghiera, fonte di stabilità interiore e garanzia di concretezza e fecondità nella vita di ogni giorno. In Spagna la Settimana santa è un momento di grande partecipazione, fortemente
radicato nella cultura e nella tradizione popolare. Il suono dei tamburi si mescola con i canti religiosi e lo splendore delle sculture sacre, creando un’atmosfera davvero suggestiva. È una delle feste più sentite e coinvolgenti. L’arte, i colori, la partecipazione della gente arricchiscono e rendono uniche le solenni celebrazioni che commemorano la morte di Gesù, durante le quali, di giorno e di notte, i membri delle diverse confraternite,
Diego de Ayala, «Santísimo Cristo Yacente»
con vesti caratteristiche, percorrono le strade portando in spalla le immagini religiose (pasos, portantine processionali) al ritmo del canto e dei tamburi. «Il Sabato santo inizia con un’austera processione del ritorno dal calvario — spiega Mendoza Pérez nel testo del Pregón de Semana santa — in serata si svolge la processione della confraternita del Santísimo Cristo Yacente y Nuestra Señora de la Luz en su Soledad, l’unica processione che non ha nessun accompagnamento musicale. “Cosa succede oggi?” si legge in un’antica omelia sul Sabato santo. “In questo giorno un gran silenzio avvolge la terra. Un gran silenzio e una grande luce. Un grande silenzio perché il Re dorme”».
L’OSSERVATORE ROMANO
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Ricostruzione della basilica costantiniana
Dalla grotta della Natività a quella del sepolcro di FABRIZIO BISCONTI obbiamo alla pazienza, alla competenza e alla tenacia di padre Virgilio Corbo, allievo di padre Bellarmino Bagatti dello Studium Biblicum Franciscanum, se oggi possiamo far dialogare le descrizioni storiche del Santo Sepolcro di Gerusalemme, ovvero la Vita Constantini di Eusebio di Cesarea, l’Itinerario di Egeria e la descrizione di Arculfo con i resti archeologici, ispezionati e dettagliatamente documentati anche in seguito all’interminabile e intermittente operazione di restauro, avviata già negli anni Sessanta del secolo scorso. Tali indagini hanno, innanzi tutto, confermato che la fabbrica del Santo Sepolcro si situa in un’area esterna alla città, proprio dove si collocava il Golgota e laddove si estendeva un terreno disabitato, presumibilmente adibito a orto e dove era una cava di pietra sfruttata sin dal I secolo prima dell’era cristiana. Sappiamo che in quest’area, nel 135, per volontà di Adriano, fu co-
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struito un grande terrapieno per erigere i templi di Giove e di Afrodite, forse proprio in corrispondenza rispettivamente della tomba di Gesù e del Calvario, che rappresentavano il cuore della Colonia Aelia Capitolina. Gli architetti di Costantino, inventando un edificio complesso, decidono di includere i due poli della crocefissione e della resurrezione in un unico edificio, costituito da un mausoleo, da un triportico e da una basilica. Il mausoleo, che racchiude il Santo Sepolcro, propone una originale pianta a emiciclo, provvisto di tre piccole absidi, che si aggancia, attraverso un corridoio rettilineo, ad un triportico, che avvolge il Golgota. È sintomatico che il cuore dell’edificio dell’Anàstasis sia definito dalla pellegrina Egeria come spelunca, ovvero come una grotta, secondo la stessa denominazione usata per la cavità di Betlemme nella basilica della Natività e per il santuario dell’Ascensione. Queste “grotte sante” monumentalizzate dai Costantinidi vogliono dar vita a un evidente
e simbolico percorso epifanico, creando un suggestivo confronto tra tenebre e luce, tra morte e resurrezione, enucleando i misteri centrali del messaggio cristiano. Se le fonti sono assai laconiche rispetto al triportico che includeva il Calvario su cui si innalzava la croce, gli archeologi hanno potuto ben ricostruire la basilica-martyrium, descritta da Eusebio, di cui sono stati rintracciati tratti dell’abside, arricchita secondo il biografo di Costantino da dodici colonne ornate da altrettanti vasi argentei, per alludere agli apostoli, mentre nulla è rimasto del doppio ordine di navatelle laterali, pure menzionate nella descrizione eusebiana. Il complesso progetto costantiniano, pensato per includere i luoghi salienti della morte e della resurrezione del Cristo, progettando un complesso che deve tener conto della contiguità dei luoghi santi, si allineano perfettamente alla concezione architettonica del tempo e ai santuari disseminati in tutto l’orbis christianus antiquus.
Ricostruzione del Santo Sepolcro (IV secolo)
Se, infatti, l’architettura religiosa costantiniana prevede monumenti originali, in quanto alla pianta e alla struttura, specialmente se pensiamo all’edificio cruciforme dedicato agli apostoli a Costantinopoli, per il resto vengono edificate aule absidate a più navate e a pianta longitudinale e, per quanto attiene il suburbio romano, basiliche a pianta circiforme, per lo più legate a memorie martiriali e spesso agganciate a mausolei imperiali a pianta centrale. Gli esempi romani della basilica di Sant’Agnese sulla via Nomentana annessa al mausoleo di Santa Costanza e del santuario dei Santi Pietro e Marcellino sulla via Labicana collegato al mausoleo di Elena rappresentano i modelli più prossimi alla basilica dell’Anàstasis, che, a sua
Il senso iconografico della Madonna dell’umiltà
Povera e regale allo stesso tempo di ANTONIO PAOLUCCI Papa Francesco nella sua visita a Castel Gandolfo al suo predecessore Benedetto, gli ha portato in regalo un piccolo dipinto raffigurante la Madonna dell’umiltà. Sono sicuro che molti si sono chiesti qual è il soggetto iconografico che porta questo titolo. Che cos’è, che cosa rappresenta la Madonna dell’umiltà? Per capirlo bisogna andare indietro nei secoli e porre mente alle innumerevoli varianti che l’immaginario popolare, nelle varie epoche e nelle diverse culture, ha voluto dare all’immagine della Madre di Dio. La storia dell’arte ci offre un campionario praticamente infinito di situazioni e quindi di iconografie. E infatti come si può rappresentare la Madonna? Se lo sono chiesto, generazione dopo generazione, i cristiani e se lo sono chiesto gli artisti che le attese, le idee e i sentimenti dei credenti cercavano di mettere in figura. Le risposte potevano essere molte e sono state molte. La Madonna la si può rappresentare nel suo ruolo di madre amorosa, ed ecco la puerpera felice nella luce della santa notte; ecco la Virgo lactans, il seno scoperto in atto di nutrire il suo bambino; eccola immaginata mentre fa le coccole al piccolo Gesù. Così Masaccio in un celebre piccolo dipinto che sta agli Uffizi, così gli ortodossi nella iconografia della glicofilusa. Ma la Madonna è anche Mater misericordiae, protettrice dai mali del mondo e i pittori hanno voluto darle immagine mentre spalanca il mantello a coprire come un’abside di chiesa il popolo dei suoi fedeli. Piero della Francesca, al centro del polittico che si conserva nel Museo civico di Borgo San Sepolcro, ce ne ha consegnato una interpretazione tanto celebre quanto insuperata. Anche la Madonna incinta (ancora Piero a Monterchi), la Madonna che ospita nel suo grembo il Corpus Christi e lo presenta all’adorazione del popolo come la particola consacrata nel ciborio, può essere rappresentata.
I cristiani hanno sempre saputo che la Vergine è Regina del Cielo e quindi come una sovrana nella gloria del trono e nell’omaggio degli angeli e dei santi deve essere rappresentata. Basta pensare ai dipinti famosi che popolano ogni manuale anche il più sommario di storia dell’arte: Cimabue e Giotto agli Uffizi, Duccio nel Museo dell’Opera di Siena, il Beato Angelico a San Marco. C’è poi la Mater dolorosa che piange tutte le sue lacrime sul cadavere del Figlio (la Pietà di Michelangelo in San Pietro), la Madonna che è figura della Chiesa, misteriosamente santa in virtù del sangue di Cristo. Infine c’è la Madonna dell’umiltà, iconografia rara diffusa soprattutto in Italia ma anche in area nordeuropea nel XIV e nel XV secolo. Era l’epoca che i manuali di storia dell’arte chiamano del “gotico fiorito” o del “gotico fiammeggiante”, un’epoca che vedeva i potenti della terra (i Papi e i grandi prelati fra gli altri) moltiplicare il lusso e lo sfarzo, un’epoca di colori preziosi, di oro operato, di pitture e di arredi improntati a squisita eleganza. Ed ecco, per monito e per contrasto, la Madonna dell’umiltà. La Vergine Maria ha rinunciato al trono, è seduta per terra, non ci sono santi a omaggiarla né angeli a servirla. È sola con il suo Bambino. Non ha bisogno d’altro, non chiede altro. È umile in apparenza ma in realtà è ricchissima perché la creatura che stringe fra le braccia è uno sterminato incommensurabile tesoro. La Madonna lo sa ma deve saperlo anche chi guarda. Questo vuole dirci la Vergine dell’umiltà e questo è il messaggio che i cristiani di quei secoli (anche il Papa, anche i principi della Chiesa) dovevano intendere. La Pinacoteca Vaticana custodisce due squisite tavolette dipinte che rappresentano questa iconografia della Vergine. Una è opera di un piccolo pittore marchigiano che si chiamava Francescuccio Ghissi (documentato a Fabriano fra il 1359 e il 1395). È un artista di impronta popolareggiante il quale non dimentica che la Madonna, anche se
Sassetta, «Madonna dell'umiltà» (1435, Musei Vaticani)
dell’umiltà, è pur sempre la Madonna. Ed ecco, scintillare di raggi d’oro il luogo della sua seduta, ecco brulicare di preziosi decori il rosso e il blu delle sue vesti. L’altro dipinto si colloca ormai nel pieno Quattrocento. L’autore, Stefano di Giovanni detto il Sassetta, è un senese e in lui vive ancora la nostalgia dei paradisiaci fulgori di Simone Martini. In quegli anni però a Firenze la visione dell’universo visibile secondo prospettiva si è già imposto con Brunelleschi, con Masaccio, con Donatello. Il Sassetta si colloca al confine fra due culture, utilizza con preziosa sofisticata prudenza le novità dell’arte nuova e le declina sotto il segno di una malinconica melodiosa tenerezza. Non si può essere più umili e allo stesso tempo più regali di così. Nella tavola che sta in Pinacoteca Stefano di Giovanni detto il Sassetta, pittore di Siena, ha regalato alla Vergine Maria uno squisito ossimoro.
volta, richiama i complessi della Natività e dell’Eleona, a cui si è già fatto cenno, proprio per questo nesso intimo e inscindibile, tra il monumento memoriale e l’aula riservata alla liturgia. È evidente che il complesso dell’Anàstasis colpiva i pellegrini specialmente per la sistemazione del Santo Sepolcro, incluso nell’edificio a pianta centrale e protetto, secondo quanto ricorda Egeria, da un doppio ordine di cancellate. La peculiarità architettonica dell’edificio e dei suoi arredi furono tradotti in figura specialmente negli avori paleocristiani, ma anche nelle ampolle metalliche dei pellegrini, dove il cuore dell’Anàstasis e la rappresentazione simbolica della crocefissione convivono, come per suggerire l’idea di quella contiguità tra il luogo della morte e quello della resurrezione, che gli architetti di Costantino paiono rispettare, se l’edificio dell’Anàstasis poteva essere intravisto dal triportico annesso del Golgota-Calvario. Rimane da comprendere la tipologia e l’articolazione del sepolcro, così come lo descrive Eusebio, in quanto angusta grotta, ovvero la roccia che conteneva il sepolcro in una landa deserta, che Costantino monumentalizzò con colonne e arredi preziosi. Tale operazione non meraviglia, in quanto i Costantinidi fornirono quasi sistematicamente i loro edifici di culto di un organismo che indica, protegge e impreziosisce l’oggetto della venerazione o della celebrazione. È per questo che al centro della cattedrale lateranense viene innalzato il fastigium argenteum, una sorta di ciborio argenteo; è per questo che nel cuore del martyrium petrino, laddove era l’umile tomba dell’apostolo, si costruisce una solenne confessio. Anche nella basilica del Santo Sepolcro, al centro dell’emiciclo dell’Anàstasis, dunque, fu edificata dall’imperatore un’edicola che, secondo Eusebio di Cesarea e Cirillo di Gerusalemme, consisteva in un dignitoso organismo marmoreo, purtroppo perduto, assieme a tutto il complesso monumentale paleocristiano, a seguito della distruzione da parte del fatimide califfo al-Hākim nel 1009. Al di là delle diverse ipotesi ricostruttive, sembra più semplice immaginare l’articolazione della tomba di Cristo che, secondo Giovanni (19, 41), si situava in un luogo disabitato e coltivato, ma utilizzato, appunto, anche come campo funerario. È ancora Giovanni a ricordarci che il luogo del sepolcro di Giuseppe di Arimatea era vicino al Calvario (19, 20), poco fuori dalla città, secondo quanto testimonia Paolo (Ebrei, 13, 12), non lontano da una strada, se Matteo (27, 39) e Marco (15, 29), men-
Luoghi del dolore visti da giovani fotografi
Scatti in cerca di speranza di ISABELLA FARINELLI Ha davvero una buona mira Luca Tesconi. Lo si potrebbe affermare anche se non avesse vinto un argento olimpico di tiro a segno a Londra nel 2012. Il suo più lucido obiettivo è infatti quello della macchina fotografica: fino al 31 marzo, Pietrasanta, la sua città, espone a Palazzo Panichi una sua personale di carattere molto particolare, sin dal titolo «Non luogo». Figlio di un rappresentante di psicofarmaci nel manicomio di Maggiano — reso famoso dalla narrativa autobiografica di Mario Tobino, che nei suoi racconti lo chiama «Magliano» — Luca ha assorbito fin da bambino i racconti del padre, poi ha letto Tobino e molto altro e, appena possibile, ha alternato gli allenamenti con le visite di strutture abbandonate fra Toscana, Lazio ed Emilia. Le sue foto sono dunque le stazioni di una via crucis estremamente partecipe sui luoghi del dolore, della solitudine e, troppo spesso, dell’ingiustizia, come quella, che ama ricordare, di un giovane artista fatto internare dal padre per dissidi familiari. E tuttavia, pur documentando una sofferenza labirintica e una solitudine prigioniera di se stessa, umanamente purtroppo irrecuperabile per chi fra quelle pareti ha consumato una in-
tera esistenza, non vi è né disperazione né narcisismo nel racconto per immagini che passa attraverso il giovane sguardo di Luca. Il risultato si rivela artistico anche in senso propositivo, ossia non semplicemente estetico, ma subito tradotto in richiesta di attenzione verso un problema reale, verso disagi che coinvolgono intere famiglie e richiedono, oltre e più che “le cure”, un’adeguata “cura” da parte di tutti. Anche nei romanzi di Tobino non si respira mai cupa disperazione né sterile denuncia — per lo meno non solo — ma grande benevolenza umana, che è già di per sé contagiosa. Frattanto, a Maggiano, la Fondazione Mario Tobino dedica nuovi spazi espositivi alle persone, uomini e donne, vissute nell’ex manicomio. Un itinerario denominato «Stanze con vista sull’umanità» parte dalle storie dei ricoverati e dalle collezioni di strumenti oggi non più utilizzati, per risalire verso ambienti ariosi dove sono esposti i lavori e le opere d’arte realizzate dai pazienti, sino ad arrivare alle stanze abitate dallo stesso Tobino all’interno della struttura. Ciò che si vuole simboleggiare è l’evoluzione da una mentalità di reclusione, contenzione e separazione a una considerazione dell’uomo nella sua interezza e nel suo contesto, per aiutarlo a coltivare le proprie capacità quali che siano, in atteggiamento di servizio
e di ascolto (ciò che tentava di fare il giovane dottor Anselmo, pur con tutti i suoi limiti, nel più famoso romanzo di Tobino, Per le antiche scale). Sul tema dell’attenzione giovanile a tutti gli aspetti della sofferenza, sempre cercando risvolti originali e propositivi, ben si inserisce una mostra che si è appena conclusa a Milano, intitolata «Dire, fare, FotografRare» perché incentrata su momenti di vita quotidiana di persone affette da una delle cosiddette malattie rare, ossia patologie diffuse al di sotto di una data soglia statistica e quindi soggette a particolari difficoltà terapeutiche. Promossa dal dottor Fabrizio Seidita, presidente dell’Associazione italiana glicogenosi (malattie metaboliche che colpiscono un bambino su centomila, dovute
al deficit funzionale di enzimi coinvolti nel metabolismo degli zuccheri), la mostra ha visto la partecipazione di numerosi giovani artisti, che hanno coinvolto pubblico e malati anche in azioni teatrali. L’iniziativa si è svolta alla Fabbrica del Vapore, uno spazio-laboratorio dedicato dalla città di Milano alla creatività giovanile.
Luca Tesconi, «Solitudine»
zionano il fatto che i passanti lanciavano ingiurie verso il Crocefisso. Sappiamo che Giuseppe di Arimatea, con Nicodemo, raccolsero il corpo del Cristo e lo avvolsero nei lini e lo cosparsero di aromi, secondo l’usanza giudaica (Giovanni, 19, 40). Quel corpo fu deposto in un sepolcro nuovo, scavato nella roccia (Giovanni, 19, 41) chiuso da una grande pietra (Marco, 16, 3). Tale particolare escludeva che la tomba fosse del tipo a kokim (loculo), ma che si presentasse come una camera, forse con un bancale, dove sedeva l’angelo al momento della resurrezione (Marco, 16, 5; Giovanni, 20, 12), con un angusto ingresso, se Pietro, Giovanni e Maria Maddalena devono chinarsi per entrare (Luca, 24, 12; Giovanni, 20, 5). La tomba del Cristo, se prestiamo attenzione a questi scarni particolari, era composta da tre piccoli elementi: la scala di accesso, un vestibolo e il vano sepolcrale. Su quella tomba, recuperata dagli architetti di Costantino, sorge uno dei monumenti più complessi e suggestivi della tarda antichità, che, in un unico edificio, custodisce simultaneamente le memorie e i luoghi della Crocefissione e della Resurrezione, divenendo il centro di pellegrinaggio più attrattivo dell’ecumene cristiano antico.
Il Papa in libreria
Parola di Jorge Mario «In quel momento giocavo a fare Tarzan», raccontava — dimostrandosi «molto severo nel giudicare se stesso» (come commentano gli intervistatori) — il cardinale Jorge Mario Bergoglio a Sergio Rubin e Francesca Ambrogetti, nel libro El jesuita. Conversaciones con el cardenal Jorge Bergoglio (Buenos Aires, Vergara, 2010), appena ripubblicato in edizione speciale per i manuali del «Corriere della Sera» con il titolo Papa Francesco si racconta (Milano, Salani, 2013, pagine 191, euro 12,90). Il volume (acquistabile in abbinamento al quotidiano) si apre con il prologo del rabbino Abraham Skorka, rettore del Seminario rabbinico della capitale argentina, testo che «L’Osservatore Romano» ha anticipato, in una sua traduzione, lo scorso 19 marzo. Sempre in questi giorni del resto, a dimostrazione di un interesse collettivo che ha mobilitato i maggiori quotidiani italiani, in allegato a «la Repubblica» o a «L’Espresso», è possibile acquistare il volume Il cielo e la terra. Il pensiero di Papa Francesco sulla famiglia, la fede e la missione della Chiesa nel XXI secolo (Milano, 2013, pagine 211, euro 9,90) che propone il colloquio appassionato del 2011 tra l’arcivescovo di Buenos Aires, Bergoglio, e il rabbino Skorka (Sobre el cielo y la tierra, Buenos Aires, Sudamericana). Un terzo volume appena uscito dedicato al Papa è Francesco Insieme (Edizioni Piemme, pagine 182, euro 12,90) di Andrea Tornielli, che sottolinea, tra le altre tappe della biografia di Bergoglio, quella dello studente lavoratore: «Ringrazio tanto — scriveva il cardinale — mio padre perché mi ha mandato a lavorare. Il lavoro è stata una delle cose che meglio mi hanno fatto nella mia vita e, in particolare, nel laboratorio dove lavoravo ho imparato il bene e il male di ogni attività umana».
L’OSSERVATORE ROMANO
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sabato 30 marzo 2013
Ai dipendenti degli uffici fiscali consentito di non lavorare il Venerdì santo e la Pasqua
I leader cristiani presentano un piano di riconciliazione
Una decisione di buon senso a favore dei cristiani in India
Per il bene dell’Iraq e degli iracheni
NEW DELHI, 29. I lavoratori cristiani degli uffici fiscali pubblici in India saranno esentati dal recarsi al lavoro nelle giornate del Venerdì santo e di domenica 31 marzo, Pasqua di Risurrezione, nel rispetto della loro tradizione religiosa. Lo ha stabilito il 27 marzo, una sentenza del giudice dell’Alta Corte di Delhi, Pradeep Nandrajog, ponendo così fine a una lunga polemica. A riferire sulla decisione è stata l’agenzia Églises d’Asie, tramite il proprio sito. Poiché il 31 marzo è il temine ultimo stabilito — quest’anno — nel Paese per la consegna della dichiarazione dei redditi da parte dei cittadini, nelle scorse settimane il Governo federale aveva annunciato che, per consentire alla popolazione di adempiere ai propri obblighi con più comodità, gli uffici pubblici sarebbero dovuti restare aperti anche nei giorni di venerdì 29 marzo, sabato 30 marzo e domenica 31 marzo. In tal modo, anche i dipendenti di religione cristiana si sarebbero dovuti presentare regolarmente al lavoro, senza avere la possibilità di partecipare alle celebrazioni religiose. L’annuncio aveva provocato la pronta critica dell’intera comunità cristiana e a far sentire la propria voce era stato anche l’episcopato cattolico. Monsignor Albert D’Souza, arcivescovo di Agra e segretario generale della Catholic Bishops’ Conference of India, aveva espresso al riguardo l’auspicio che il Governo federale indiano «possa compiere il massimo sforzo per evitare di colpire i sentimenti religiosi della comunità cristiana nel Paese». Il presule aveva anche ricordato che in passato le autorità federali avevano stabilito lo spostamento delle date di alcuni concorsi pubblici, proprio al fine di rispettare la tradizione religiosa cristiana, coincidendo questi stessi concorsi proprio con le giornate del Venerdì santo o della Pasqua. Dunque la sentenza ha concesso l’astensione, stabilendo con un’eccezione che essa è valida per il corrente anno in quanto il termine ultimo della dichiarazione dei redditi relativa all’anno 2012, cade nel 2013 di domenica, «di solito giorno di riposo in India, che risulta essere la Domenica di Pasqua». La sentenza ha specificato pertanto che il Venerdì santo e la Domenica di Pasqua debbano essere considerate come giornate di ferie «ristrette» a favore di una sola categoria, ossia quella dei lavoratori cristiani. A subire i maggiori disagi sarebbero stati i cristiani che vivono nello Stato di Jammu e Kashmir, a maggioranza musulmana, dove il Venerdì santo non è vacanza. Il giudice, Pradeep Nandrajog, ha osservato che ai cristiani, anche se rappresentano solo il 2,3 per cento della po-
Impiegati di un ufficio pubblico indiano
polazione indiana, deve comunque essere assicurato l’equilibrio tra l’osservanza delle tradizioni religiose e quella relativa agli adempimenti fiscali. Come accennato, la protesta aveva coinvolto l’intera comunità cristiana. A levare la voce in difesa dei lavoratori era stata anche l’organizzazione All India Christian Council. Il segretario generale, John Dayal, aveva depositato un ricorso di fronte all’Alta Corte di Delhi, sottolineando che «tutti i cristiani devono essere autorizzati a osservare i loro obblighi religiosi il Venerdì santo e la Domenica di Pasqua, che sono due giorni troppo importanti per loro». Dayal aveva aggiunto che l’obbligo per questi lavoratori di recarsi in ufficio, durante le festività pasquali, costituiva una violazione dei diritti fondamentali, che sono stabiliti nella Costituzione dell’India. Nel Paese proseguono intanto anche le violenze a opera dei gruppi fondamentalisti indù, che agiscono spesso in un clima di impunità: aggressioni a fedeli e demolizioni di edifici sacri sono avvenuti in alcune zone del Paese, alimentando allarme per la Pasqua. L’agenzia AsiaNews ha pubblicato, a tal proposito, l’intervento del presidente del Global
Council of Indian Christians, Sajan George, che ha denunciato alcuni attacchi avvenuti in Chhattisgarh e Kerala. «Questa — ha sottolineato il leader cristiano, lanciando un appello alla National Human Rights Commission — è la settimana più importante dell’anno: le minoranze cristiane dovrebbero essere ancora più protette e difese». E aggiunto: «Questo sentimento anticristiano preannuncia problemi per le solenni celebrazioni della Santa Pasqua. Chiediamo alle amministrazioni di aumentare la protezione, garantendo ai cittadini cristiani il diritto costituzionale e laico di professare il piena libertà la propria religione». A Gadia (distretto di Jagdalpur, Chhattisgarh) è stata demolita una chiesa, sulla base di una presunta edificazione illegale. La comunità cristiana ha cercato di intervenire, ma i fedeli sono stati aggrediti verbalmente e fisicamente. Prima della demolizione della chiesa, sono state distrutte Bibbie e profanati altri oggetti sacri. Un centinaio di estremisti indù hanno poi fatto irruzione in una chiesa nel villaggio di Chirayinkeezzh (distretto di Trivandrum, Kerala), colpendo i fedeli presenti con dei bastoni, accusandoli di praticare il proselitismo.
BAGHDAD, 29. Un piano in quattro punti per rilanciare il dialogo e la riconciliazione nazionale e per favorire la più ampia partecipazione alla costruzione della comune casa irachena. A dieci anni dall’inizio della seconda guerra del Golfo, il Patriarca di Babilonia dei Caldei, Louis Raphaël I Sako, e i capi delle confessioni cristiane di Baghdad, hanno presentato un piano di riconciliazione nazionale al primo ministro iracheno Nuri al-Maliki e ad altre personalità del Governo, tra le quali il ministro dell’Ambiente, il cristiano Sargon Lazar. Per l’occasione — secondo quanto riferisce il sito Baghdadhope — il Patriarca caldeo, dopo aver ringraziato il premier per la sua partecipazione alla cerimonia della propria intronizzazione avvenuta il 6 marzo scorso, ha ricordato come «Cristo dice nel Vangelo: il più grande tra voi sia il vostro servitore. Lei — rivolgendosi appunto ad al-Maliki — è il più grande tra noi in quanto a responsabilità ed è quindi suo dovere prendere l’iniziativa per la riconciliazione come farebbe un padre, per il bene dell’Iraq e degli iracheni». Lo stesso sito rende noti anche i contenuti dei quattro punti del piano, che è stato inoltrato anche al presidente della Repubblica, a quello della regione autonoma del Kurdistan e al presidente del Parlamento centrale. In prima battuta, nel documento viene chiesta la fine degli «interventi stranieri in materia di politica interna», con la conseguente «edificazione della casa irachena attraverso l’attiva partecipazione di tutte le componenti del mondo politico». Viene poi sollecitato un maggiore impegno «a risolvere i contrasti attraverso lo strumento del dialogo», soprattutto «evitando di usare i media per istigare, provocare e minacciare». E ciò, viene sottolineato, anche in vista delle prossime elezioni che decideranno le sorti del Paese. Tra le richieste dei leader cristiani anche la riapertura dei dossier
che riguardano i detenuti nei territori di competenza del Governo centrale e in quello del Kurdistan, «rilasciando gli innocenti e permettendo loro di riunirsi alle proprie famiglie». Infine, l’istituzione di una specifica «commissione per il dialogo» che segua le tappe e la messa in pratica di tale percorso. L’intento, secondo i promotori del documento, è quello di superare la fase di sfiducia che caratterizza l’attuale situazione. Si tratta di «passi coraggiosi da fare per il bene del Paese e del popolo che ancora soffre, teme per il proprio futuro e merita di essere amato dai suoi governanti e di
raggiungere finalmente la pace e la stabilità». Il piano di «riconciliazione nazionale» è stato elaborato nei giorni scorsi dai leader cristiani, durante una serie di incontri dedicati alla pastorale. In particolare, secondo quanto riferisce l’agenzia Fides, un incontro si è svolto martedì 26 presso la sede del patriarcato caldeo di Baghdad, al quale hanno partecipato autorevoli rappresentati delle Chiese greco-ortodossa, armena apostolica, assira d’Oriente, siro-ortodossa, copta ortodossa e siro-cattolica, nonché il presidente della comunità avventista in Iraq.
Pasqua di speranza in Pakistan ISLAMABAD, 29. La violenza e il clima di paura non scoraggeranno i cristiani del Pakistan dal partecipare ai riti della Pasqua. Ne è convinto l’arcivescovo di Karachi e presidente dell’episcopato locale, Joseph Coutts. «A Pasqua — ha dichiarato il presule all’agenzia Fides — le nostre chiese saranno stracolme. La fede è viva e solida: episodi di violenza o attacchi, come quello della Joseph Colony a Lahore, hanno l’effetto di rafforzarla ancora di più». Il riferimento è alle violenze anticristiane scoppiate il 9 marzo scorso in un sobborgo di Lahore, dove 178 case di fedeli cristiani sono state bruciate da una folla di musulmani, per un presunto caso di blasfemia. Monsignor Coutts si dice convinto che i cristiani in Pakistan continueranno a dare una forte testimonianza: «Non perdiamo la speranza, sappiamo che il Signore è con noi e sono i fedeli stessi, anche nelle dif-
ficoltà, a incoraggiare tutti i sacerdoti: il laicato cattolico in Pakistan è in forte crescita». Un sacerdote di Lahore, padre Bonnie Mendes testimonia che «l’atmosfera, nonostante la tragica violenza, è di grande ottimismo e vi è buona lena nel ricostruire o riparare le abitazioni. Si guarda avanti. La ricostruzione va avanti molto rapidamente, la gente sta tornado nelle case, il Governo provinciale ha dato un risarcimento e in pochi giorni, lavorando giorno e notte, oltre trenta famiglie hanno già riedificato la propria casa. Anche la Caritas sta aiutando molto i senzatetto. Speriamo che la Pasqua sia pacifica e armoniosa». Quanto alle sfide riguardanti i diritti umani, «restiamo ottimisti, anche dopo questo episodio: per esempio il maulana Zubair, noto leader islamico, ha detto pubblicamente che bisogna rivedere l’abuso della legge sulla blasfemia».
L’appello lanciato dall’arcivescovo di Yangon alle comunità religiose
La legge dell’amore contro le violenze in Myanmar
Programma del Kaiciid per contrastare la mortalità infantile
Il dialogo che diventa azione VIENNA, 29. Promuovere la sopravvivenza e il benessere dei bambini africani attraverso attività educative che coinvolgono le famiglie: è questo l’intento che anima il «Multi-religious Collaboration for the Survival and Wellbeing of Children» (Mcc Programme), il programma umanitario lanciato dal King Abdullah Bin Abdulaziz International Centre for Interreligious and Intercultural Dialogue (Kaiciid), l’istituzione indipendente riconosciuta dalle Nazioni Unite, con sede a Vienna, in Austria, che ha il compito di promuovere il dialogo tra le religioni e le culture nel mondo. La Chiesa cattolica è rappresentata nel Board of Directors, che comprende personalità di alto livello delle principali religioni: ebraismo, cristianesimo, islam, induismo e buddismo. In particolare, la Santa Sede ha il ruolo di Fondatore-Osservatore. Il Mcc Programme — al quale collabora anche l’organizzazione Religions for Peace (Rfp) — è stato lanciato ufficialmente nei giorni scorsi in occasione di una visita di una delegazione in Uganda, che rappresenta il primo Paese africano dove il programma verrà “testato” e sviluppato. Tra Kaiciid e Rfp è stato siglato un documento di collaborazione che ha dato vita a un gruppo di lavoro. Secondo una stima dello stes-
so Kaiciid circa 8 milioni di bambini sono morti nel 2010 nel continente per malnutrizione e condizioni igieniche scarse, oltre che per altre cause considerate evitabili. A tale riguardo il programma coinvolge le comunità locali, senza alcuna distinzione religiosa, al fine di diffondere pratiche di buona salute e di igiene, che consentano di contrastare la mortalità infantile. Oltre all’Uganda, il programma verrà applicato nella Repubblica Democratica del Congo, in Etiopia, in Nigeria, in Kenya e in Sierra Leone. Durante la visita in Uganda, i delegati del Kaiciid e dell’Rfp hanno incontrato anche diversi leader religiosi locali, tra cui il mufti dell’Uganda, Sheikh Shaban Ramadhan Mubaje. Il segretario generale del Kaiciid, Faisal Bin Abdulrahman Bin Muaammar, ha sottolineato in una conferenza stampa che la visita ha consentito «di trarre esempi ispiratori per il dialogo tra i leader religiosi e le diverse comunità». E ha aggiunto: «Portando queste culture ricche e diverse a stare assieme, attraverso il dialogo, possiamo collaborare per promuovere il benessere dei bambini e per responsabilizzare le famiglie nel migliorare il loro futuro». Il re di Bunyoro, Solomon Gafabusa Iguru e responsabile delle Istituzioni della cultura e delle tradizioni ha ringraziato il Kaiciid per il sostegno fornito
all’Uganda. Il sovrano ha incoraggiato «i leader religiosi e le altre parti interessate a proseguire l’impegno con questo spirito di dialogo». Il Kaiciid è stato inaugurato lo scorso 26 novembre. In occasione della presentazione alla stampa, avvenuta invece il 21 novembre, il segretario generale, Faisal Abdulrahman Bin Muaammar, aveva affermato che «questo centro può diventare un punto di riferimento e apprendimento per un dialogo sincero tra le diverse religioni e culture». Il rappresentante cattolico, padre Miguel Ángel Ayuso Guixot, segretario del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso — che svolge anche la funzione di osservatore — ha aggiunto che «il dialogo basato sul rispetto, sulla mutua intesa e collaborazione rappresenta necessità fondamentali non solo per il presente ma anche per il futuro». L’annuncio della prima iniziativa del Kaiciid, ovvero il programma di solidarietà per i bambini e le famiglie in Africa era stato dato agli inizi di febbraio. Come accennato in Uganda, assieme al Kaiciid, opera anche l’organizzazione Religions for Peace. Il segretario generale di Rfp, William Vendley, ha evidenziato che «l’impegno per il dialogo portato avanti dal Kaiciid si traduce nel salvare le vite di bambini vulnerabili e pertanto questa iniziativa è stata molto ben accolta».
NAYPYIDAW, 29. «Per promuovere l’unità e la convivenza pacifica, non servono il diritto o le azioni militari, ma solo la legge dell’amore»: lo ha sottolineato l’arcivescovo di Yangon, Charles Maung Bo, in riferimento alle violenze in Myanmar che hanno coinvolto nei giorni scorsi gruppi di musulmani e buddisti nella cittadina di Meikhtila, nel centro del Paese, dove sono morte alcune decine di persone e sono state bruciate anche moschee e diverse altre strutture. Incidenti minori si erano verificati nei mesi scorsi anche in altre zone. Si tratta di attacchi che hanno come sfondo una diffusa ostilità nei confronti di quei musulmani discendenti di indiani e bengalesi stabilitisi nella ex Birmania durante la dominazione britannica. Il presule cattolico — riferisce l’agenzia UcaNews — ha espresso preoccupazione per il clima di violenza e ha esortato i leader religiosi
«a riunirsi con rispetto, ascoltando gli altri e cercando una parola e un’azione comuni» per contrastare l’intolleranza tra le comunità. Questo, ha aggiunto monsignor Bo, «è il momento per i leader religiosi di farsi avanti. Sia il buddismo che l’islam e il cristianesimo, insegnano tutti l’amore e la compassione». Il tema della pace e della riconciliazione era stato richiamato dall’arcivescovo di Yangon anche l’11 febbraio scorso, in occasione di una celebrazione eucaristica presso il Santuario mariano di Nyaunglebin (il più noto in Myanmar). Riferendosi al conflitto tuttora in corso nel Paese tra l’esercito e i ribelli kachin, il presule aveva ricordato che «dal 1948, anno dell’indipendenza, non c’è stato un anno senza guerra. Dobbiamo imparare che la guerra non risolve i problemi, ma aumenta l’odio e la distruzione». Tra i maggiori gruppi etnici del Myanmar, i
kachin sono l’unico movimento ribelle a non aver raggiunto un accordo di cessate il fuoco con il nuovo Governo di Naypyidaw. Per questo, ha proseguito monsignor Bo, «abbiamo bisogno di discutere, negoziare e trovare i modi e i mezzi per una soluzione pacifica». Il presule ha concluso che «se vogliamo cambiare la nostra società, il nostro Paese e il nostro mondo, dobbiamo iniziare a cambiare noi stessi». Il Governo si è intanto impegnato a compiere tutti gli sforzi possibili per fermare le violenze e l’incitamento dei disordini religiosi e razziali. Le autorità statali hanno quindi invitato la popolazione a evitare tali azioni che, si puntualizza, portano anche a pregiudicare il processo di riforme. Negli ultimi anni il Governo civile del presidente Thein Sein (un ex generale) ha introdotto una serie di riforme democratiche e aperture all’opposizione.
L’OSSERVATORE ROMANO
sabato 30 marzo 2013
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Alla messa crismale letta l’omelia lasciata dal cardinale Bergoglio
In Uruguay i vescovi criticano la legge attesa dal voto in Senato
Tra Buenos Aires e Roma un legame speciale
L’inganno del «matrimonio igualitario»
BUENOS AIRES, 29. La capitale argentina guarda a Roma. E viceversa. Il vescovo amministratore dell’arcidiocesi di Buenos Aires, Joaquín Mariano Sucunza, presiedendo nella cattedrale cittadina la messa crismale del Giovedì santo ha letto l’omelia che il cardinale Bergoglio aveva preparato prima di essere eletto Papa, nella quale i sacerdoti vengono invitati a non richiudersi in se stessi e ad andare bensì verso le «periferie» dell’esistenza, per incontrare i più bisognosi e i sofferenti. In pratica, con l’eccezione di alcune aggiunte, lo stesso testo usato da Papa Francesco nella basilica Vaticana, e che lui stesso aveva consegnato ai suoi collaboratori prima di
partire per il conclave. Il segno di un legame speciale che lega la capitale argentina a Roma, confermato anche dall’annuncio che «Buenos Aires ha un nuovo pastore» fatto all’inizio della celebrazione dall’arcivescovo nunzio apostolico, Emil Paul Tscherrig. La folla dei fedeli, molti dei quali non hanno potuto trovare spazio nella cattedrale, ha applaudito al nome del successore del cardinale Bergoglio, l’arcivescovo Mario Aurelio Poli — la prima nomina compiuta da Papa Francesco — che assumerà il governo pastorale di Buenos Aires il 20 aprile prossimo. Successivamente monsignor Sucunza ha benedetto gli oli santi che saranno utilizzati nell’am-
ministrazione dei sacramenti, mentre circa cinquecento presbiteri diocesani hanno rinnovato le loro promesse sacerdotali. Non si arresta, intanto, la gioia per l’elezione del primo Pontefice argentino della storia. Dal giorno della fumata bianca l’immagine di Papa Francesco è comparsa sulle facciate degli edifici di molte delle arterie principali di Buenos Aires. Ieri è stata inaugurata quella a cui forse spetta il record delle dimensioni: una gigantografia di poco meno di 3.000 metri quadri con l’immagine del Pontefice e lo slogan «La città celebra con orgoglio e allegria Papa Francesco» affissa sulla facciata di uno dei principali edifici pubblici della capitale, l’Edificio del Plata, un palazzo moderno che occupa un caseggiato intero sulla emblematica Avenida 9 de Julio. Nella gigantografia, con sullo sfondo la bandiera argentina, Papa Bergoglio è sorridente e saluta con la mano destra levata in alto. La tela è stata posizionata sulla facciata dell’edificio per iniziativa del governo della città di Buenos Aires. Il ministro della Cultura della città, Hernan Lombardi, ha spiegato che tra circa due mesi l’immagine sarà ridotta e trasformata in borse di stoffa, che poi saranno messe all’asta. I proventi saranno destinati al lavoro pastorale compiuto dall’arcidiocesi nelle baraccopoli della città. Inoltre, il dipartimento del Turismo e la direzione generale per gli Affari religiosi hanno confermato che sarà preparato un percorso turistico dedicato ai siti più significativi della vita di Papa Francesco, come i luoghi dove ha studiato e dove è cresciuto.
MONTEVIDEO, 29. Ad aprile l’Uruguay diventerà molto probabilmente il secondo Paese dell’America latina, dopo l’Argentina, a riconoscere il matrimonio fra persone dello stesso sesso (è consentito anche in Messico ma solo nel distretto federale della capitale). Se si aggiunge che in Uruguay le coppie formate da omosessuali possono già da tempo — con alcuni vincoli — adottare bambini, si comprende la preoccupazione dei vescovi che in questi giorni stanno intensificando gli interventi contro la relativa legge, approvata a dicembre dalla Camera e ora al vaglio del Senato. Il voto, a detta degli osservatori, appare scontato e orientato a confermare il “sì” espresso dai deputati. «Sarà un duro colpo per il matrimonio e la famiglia», commenta il vescovo di Salto, Pablo Jaime Galimberti di Vietri, per il quale l’aver chiamato questa nuova forma di vincolo matrimonio igualitario rappresenta un inganno perché «lo equipara al matrimonio fra un uomo e una donna, unione affettiva ma anche corporale piena, con capacità di generare nuova vita e di offrire ai figli una complementarietà genitoriale tanto importante per il loro ottimale sviluppo psicologico». Dietro questa volontà di annullare tutte le differenze — afferma
monsignor Galimberti di Vietri — si scorge «l’oscura intenzione di disarmare una struttura ormai consolidata», qual è la famiglia tradizionale, di provocare un “cambiamento di civiltà”, per usare la definizione del ministro francese della Giustizia, Christiane Taubira. E sempre alla Francia (dove una simile riforma sarà al vaglio del Senato a partire dal 4 aprile) fa riferimento il vescovo di Salto quando ricorda le parole pronunciate a Parigi, durante una recente manifestazione, dalla fondatrice di Homovox, organizzazione dichiaratamente contraria al mariage pour tous perché strumentalizzerebbe i diritti dei gay: «Sono francese e omosessuale. La maggior parte degli omosessuali non chiedono né il matrimonio né l’adozione dei bambini, non vogliono essere trattati allo stesso modo degli eterosessuali perché sono differenti, non chiedono uguaglianza ma giustizia sì». Critico nei confronti degli uruguaiani, in particolare dei cattolici, incapaci di opporsi adeguatamente al provvedimento sul matrimonio igualitario, è invece il vescovo di Canelones, Alberto Francisco María Sanguinetti Montero. Ricorda che in Francia centinaia di migliaia di cittadini sono scesi giorni fa per le strade, assieme ad associazioni e a movimenti, per difendere il matri-
monio, la famiglia, la vera filiazione e adozione. «Che succede agli uruguaiani? Abbiamo perduto la capacità di pensare, di domandare? O sappiamo manifestare solo per ragioni politiche o di denaro?», si chiede il presule, sottolineando che la legge sul matrimonio fra persone dello stesso sesso non solo «distrugge il matrimonio e la famiglia» ma «fa dell’adozione un affare degli adulti e non un diritto del bambino», oltre a interrogare la società sul valore di scelte fondamentali. E il vescovo di Minas, Jaime Rafael Fuentes Martín, parla di «gravissima ingiustizia» perché il matrimonio e le unioni omosessuali sono «realtà differenti e pertanto devono essere trattate in maniera differente». Il presule ricorda poi che la Corte europea dei diritti dell’uomo, nel giugno 2010, ha detto che non esiste alcun diritto al matrimonio fra persone dello stesso sesso e che dunque non si può parlare, in caso contrario, di discriminazione. «Dopo il sì del Governo all’aborto, cambia adesso la natura del matrimonio. In seguito si arriverà a leggi favorevoli all’eutanasia e anche all’eugenetica. È questo il progresso sociale che vogliono gli uruguaiani?», si chiede monsignor Fuentes Martín.
L’episcopato brasiliano contro la bozza di riforma delle norme sull’aborto
Il diritto inviolabile di nascere
Lettera del preposito generale della Compagnia di Gesù ai confratelli
Tutte le cose sotto una luce nuova Il 26 marzo il preposito generale della Compagnia di Gesù ha inviato a tutti i confratelli una lettera intitolata «Con Papa Francesco all’inizio del suo Pontificato». Ne riportiamo qui di seguito il testo pubblicato nei giorni scorsi su www.gesuitinews.it. di AD OLFO NICOLÁS PACHÓN Cari fratelli in Cristo, nella solennità di san Giuseppe ho avuto la possibilità di concelebrare la santa messa inaugurale di Papa Francesco insieme al ministro generale dei Francescani, che è anche presidente dell’Unione dei superiori generali, unici due non cardinali. Riflettendo su questa esperienza e sugli altri eventi di questi giorni, ho sentito il bisogno di scrivere nuovamente alla Compagnia. E lo faccio volentieri. È evidente che tutta la Chiesa sta osservando e ascoltando le parole e le azioni del nuovo Papa con grande attesa. Un clima generale di speranza è percepito in maniera tangibile in tutto il mondo. C’è una perfetta corrispondenza tra questa speranza e il nome Francesco che il Papa ha scelto, come un annuncio di rinnovamento e di riforma che la Chiesa stessa desidera per tutti noi. In due occasioni Papa Francesco ha preso l’iniziativa di chiamarmi personalmente al telefono e, con un vivo desiderio di comunione spirituale ed ecclesiale, ci siamo incontrati nel pomeriggio di domenica 17 marzo in clima fraterno e di grande cordialità. Dovunque nel mondo sono numerosi i segni di affetto e di gratitudine verso i gesuiti. Quando alcuni cardinali mi si sono avvicinati il 19 marzo per congratularsi con me per l’elezione, ho ricordato loro, per mettere una nota di umorismo e di leggerezza, che è stato il collegio dei cardinali, in ascolto della voce dello Spirito santo, ad aver dato questo Papa alla Chiesa. Papa Francesco si sente profondamente gesuita e lo ha manifestato in diverse occasioni in questi giorni. Troviamo un segno evidente di ciò nel suo stemma papale, così come nella risposta cordialissima del 16 marzo alla mia lettera del 14. La Compagnia continua a essere unita al Santo Padre nella persona di Papa Francesco che abbiamo come superiore. Di fronte alle complesse questioni e ai problemi che
egli dovrà affrontare, noi gesuiti, suoi fratelli, dobbiamo riaffermare il nostro sostegno al Santo Padre e offrirgli — senza condizioni — tutte le nostre risorse e il nostro aiuto, sia in campo teologico che scientifico, amministrativo o spirituale. Siamo consapevoli che i nostri sforzi sono limitati e che noi tutti portiamo il peso di una storia di peccato che condividiamo con tutta l’umanità (CG 35, D. 1, n. 15). Ma noi sperimentiamo anche la radicalità della chiamata di Dio che ci invita, come sant’Ignazio a Manresa, a guardare al futuro e a vedere tutte le cose sotto una luce nuova. Questo è il momento di far nostre le parole di misericordia e di bontà che Papa Francesco ripete in maniera così convincente e di non lasciarci prendere dalle distrazioni del passato, che possono paralizzare i nostri cuori e portarci a interpretare la realtà a partire da valori che non si ispirano al Vangelo. L’obbedienza al Romano Pontefice ci spinge ancora una volta ad ascoltare con apertura di cuore le sue indicazioni sulla nostra missione (CG 35, D. 1, n. 1) in modo che, come lui stesso ha suggerito, possiamo essere testimonianza di una vita dedicata totalmente al servizio della
Chiesa e lievito evangelico nel mondo. Da parte nostra, sarebbe arrogante pretendere che il Papa debba confermare tutte le nostre opinioni, come se noi gesuiti non avessimo bisogno di conversione, correzione e rinnovamento spirituale. È solo partendo da un atteggiamento di umiltà che saremo in grado di cooperare nella costruzione di una Chiesa povera e per i poveri, che può crescere sempre di più ogni giorno, secondo il cuore di Dio e di suo figlio Gesù. Senza alcun tipo di trionfalismo, rendiamo esplicita con rinnovato vigore e slancio la vicinanza della Compagnia al nostro fratello Francesco. Questo è il momento di rispondere alla sua richiesta: pregare con lui e per lui. Come amici nel Signore, ci proponiamo di accompagnarlo nel suo cammino di croce e di vita e, secondo la nostra spiritualità ecclesiale, ci mettiamo a sua disposizione con gli stessi sentimenti di gioia e di fiducia vissuti da tutta la Chiesa. Mentre ci prepariamo alle feste pasquali, Dio Padre ci conceda la grazia di sentire la gioia della nostra vocazione a essere minima Compagnia di Gesù. Fraternamente in Cristo.
Gli auguri di Pasqua del rabbino Di Segni A seguito della lettera inviata da Papa Francesco per augurare buon Pesach al rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni e a tutta la comunità ebraica della città, lo stesso Di Segni ha fatto recapitare al Pontefice il suo messaggio di auguri per la Pasqua. La ringrazio molto per gli auguri che ha inviato alla mia Comunità e a me alla vigilia di Pesach, confermando la bella e recente consuetudine di scambio di messaggi tra le due sponde del Tevere, in occasione delle grandi festività. Contraccambiando gli auguri, osservo che l’occasione della Pasqua è particolarmente significativa perché questa grande festa, spesso contemporanea nel calendario, come questo anno, rappresenta sia il legame che il distacco tra le nostre religioni. Un distacco che nel corso della storia sfociava, proprio in
questi giorni, in manifestazioni di ostilità e di intolleranza antiebraica. Se oggi, a differenza del passato, questi giorni sono vissuti da entrambi le fedi in gioia e in armonia lo dobbiamo a tutti gli uomini che in questa opera di risanamento si sono impegnati, ed esserne grati al Signore. La nostra preghiera per Lei è in spirito di rispetto e di fraterna amicizia, consapevoli della difficoltà di augurare non solo quello che noi reputiamo essere il suo bene, ma anche e soprattutto quello che reputa essere bene per se stesso, per quanto diverso e non comprensibile. Proprio in questi giorni in cui le preghiere di rito risentono del peso di una storia di incomprensione, l’augurio è che il Santo Benedetto ci renda capaci di comprendere reciprocamente il senso della differenza e il valore della fratellanza.
BRASILIA, 29. Sorpresa e preoccupazione sono state espresse dal vescovo di Camaçari e presidente della Commissione della pastorale per la vita e la famiglia della Conferenza episcopale del Brasile, monsignor João Carlos Petrini, in merito alla decisione del Consiglio federale di medicina (Cfm) che difende e sostiene il diritto all’aborto entro la dodicesima settimana di gestazione. A preoccupare fortemente la Chiesa in Brasile è la legalizzazione dell’aborto prevista nella bozza di riforma del codice penale. «La decisione del Consiglio federale di medicina favorevole all’interruzione della gravidanza entro la dodicesima settimana, come previsto dalla proposta del nuovo codice penale, in discussione al Senato — ha sottolineato il vescovo — ha sorpreso non poco la società brasiliana. Le immediate reazioni negative a questa posizione dimostrano la preoccupazione di coloro che difendono la vita umana dal concepimento fino alla morte naturale». Secondo il presidente della Commissione della pastorale per la vita e la famiglia «il dramma vissuto dalle donne a causa di una gravidanza indesiderata o di circostanze che rendono difficile sostenere una gravidanza, può portarle alla disperazione e alla dolorosa decisione di abortire. È un errore pensare che l’aborto sia la soluzione giusta. La nostra civiltà — ha proseguito monsignor Petrini — è stata costruita scommettendo non sulla morte, ma sulla vittoria sulla morte». Al riguardo il presule ha ricordato i numerosi ospedali, lebbrosari, case di cura per ospitare disabili fisici e psichici realizzati dalla Chiesa. «E non dimentichiamoci le beate Madre Teresa di
Calcutta e suor Dulce dos Pobres, così come le migliaia di persone che, ogni giorno, dedicano il loro tempo a difendere e a promuovere la vita umana e la sua dignità». Inoltre, il vescovo ha posto l’accento sulle Costituzioni dei principali Paesi occidentali che hanno una prospettiva ampiamente positiva alla vita. «La Costituzione federale del Brasile, nel suo articolo 1 — spiega monsignor monsignor Petrini — afferma che la Repubblica federativa del Brasile, ha come suo fondamento la dignità della persona umana. E all’articolo 5 garantisce l’inviolabilità del diritto alla vita. Ciò aiuta a prevenire l’aborto con l’attuazione di politiche pubbliche che creano forme di sostegno per le donne in gravidanza anche in situazioni di vulnerabilità e di rischio. Questa — ha aggiunto — è la soluzione migliore sia per il nascituro, la cui vita va senz’altro protetta, sia per la donna, che si sente così realizzata quando riesce ad avere le condizioni per portare a termine la gravidanza, evitando il dramma e il trauma dell’aborto». Secondo il presule, il Consiglio federale di medicina nell’esprimersi a favore dell’aborto entro la dodicesima settimana di gravidanza non sembra aver preso in considerazione tutti i fattori che entrano in gioco in situazioni che si intendono affrontare. «La sua decisione, che non ha avuto l’unanimità dei Consigli regionali brasiliani, trasmette un messaggio forte e chiaro: “quando qualcuno disturba, può essere eliminato”». Per giustificare la propria posizione, il Cfm ha ricordato l’autonomia della donna e del medico, ignorando completamente il nascituro.
«Quest’ultimo — ha spiegato monsignor Petrini — non è un insieme di cellule privo di significato, ma è un essere umano con un’identità biologica ben definita, con un codice genetico proprio. Protetto nel grembo materno, il nascituro non è un pezzo del corpo della sua genetrice, ma è un essere umano vivente con una propria individualità. A questo proposito convergono dichiarazioni di genetisti e biomedici». Per il vescovo di Camaçari, tutti questi fattori devono essere considerati nel complesso dibattito sull’aborto, riconoscendo i diritti del nascituro, tra i quali il diritto inviolabile alla vita che viene prima di tutto. Il presule auspica «che i legislatori siano in grado di prendere in considerazione tutti gli aspetti della questione a portata di mano e che sia possibile un dialogo efficace per ampliare l’uso della ragione. L’uso corretto di quest’ultima — ha concluso — non escluderebbe nessun fattore riconoscendo i diritti del nascituro, che primo fra tutti è il diritto inviolabile alla vita. Così, sarà possibile legiferare a favore del vero bene della donna e del nascituro, e si consoliderà lo Stato democratico, repubblicano e laico che tanto desideriamo». Secondo Paulo Fernando Melo, vice-presidente del movimento Próvida e Pró-família e membro del comitato di bioetica dell’arcidiocesi di Brasilia, «il cattolico è purtroppo alienato dalla vita politica. Tra i cattolici si è creata la mentalità che, poiché lo Stato è laico, le persone non possono esprimere i loro valori etici e religiosi nel mondo della politica. Tale mentalità è assurda, perché sappiamo che ogni legge manifesta un ethos, una visione del mondo e un quadro di valori».
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 8
sabato 30 marzo 2013
Papa Francesco tra i giovani di Casal del Marmo
Un dono che non conosceremo mai di MARIO PONZI «Ma perché sei venuto qui oggi?». «Non lo so. Mi è venuto dal cuore. E le cose che vengono dal cuore non hanno spiegazione». Si sono lasciati così, con questo brevissimo scambio di parole, Jan (ma è un nome di fantasia), slavo di Belgrado, che sta scontando una lunga pena detentiva a Roma, e Papa Francesco, che è andato a far visita a lui e agli altri ospiti del carcere minorile di Casal del Marmo ieri pomeriggio, 28 marzo, Giovedì Santo. Difficile non cedere il passo alla commozione davanti a quanto vissuto nella piccola cappella dell’istituto penitenziario, dove il Papa ha celebrato la messa «in cena Domini» e ha ripetuto il gesto di Gesù lavando e baciando i piedi di dodici singolarissimi apostoli: dieci giovani e due ragazze, tutti minorenni, di diverso credo religioso (musulmani, ortodossi, cristiani, agnostici) e diversa nazionalità (magrebini, slavi, latinoamericani, italiani, romeni, albanesi). Commozione che non ha risparmiato neppure il ministro di giustizia italiano, Paola Severino, la quale, al momento di rivolgere al Papa il discorso ufficiale, ha lasciato da parte il testo preparato per confessargli proprio la sua commozione: «Padre Santo — ha detto abbandonando anche il tono istituzionale — quando lei, dopo la lavanda ha baciato il piede di ciascuno di loro, e li ha guardati io ho visto tanto amore nei suoi occhi». Quell’amore che Papa Francesco non ha certo mancato di confessare direttamente ai giovani,
manifestandolo prima nell’omelia della messa e poi scendendo dall’altare per abbracciarli e baciarli, uno a uno, al momento del segno di pace. Poche ore, forse un paio, è rimasto tra di loro; ma sono stati momenti che questi ragazzi difficilmente potranno dimenticare. Mai si sarebbero aspettati la visita di una «persona tanto importante — dice
un diciassettenne — che ho visto in televisione, in mezzo a tanti pezzi grossi di tutto il mondo, in una stanza enorme e piena di pitture su tutti i muri. Gli ho stretto pure la mano! E lui mi ha accarezzato e mi ha chiesto come mi chiamo». Una gioia, la sua, evidente e condivisa anche dagli altri. Nelle loro giovani esistenze quasi mai hanno avuto la gioia di sentirsi veramente amati, accolti, ascoltati. Anzi spesso sono stati derubati del loro bene più prezioso, la gioventù, bruciata dall’egoismo, dall’incuria, dalla violenza degli adulti. E hanno perso la rotta. Ora sono qui per tentare di ricostruire la loro vita. E in questa delicata opera, l’incontro con Papa Francesco può avere un valore eccezionale. Hanno bisogno infatti soprattutto di riassaporare il calore del contatto umano, di riscoprire finalmente relazioni umane autentiche. Il Papa è giunto in auto poco prima delle 17.30. Davanti alla cappellina, intitolata significativamente al Padre Misericordioso, lo hanno accolto il ministro Severino, la responsabile del dipartimento per la Giustizia Minorile, Caterina Chinnici, la direttrice dell’istituto, Liana Giambartolomei, con il comandante degli agenti di polizia Penitenziaria Savio Patrizi e il cappellano don Gaetano Greco. Indossati i paramenti per la celebrazione, Papa Francesco è entrato processionalmente nella cappella, immersa in uno straordinario e significativo silenzio. Seduti l’uno accanto all’altro, i 49 ospiti del penitenziario hanno seguito, con lo sguardo pieno di curiosità, il lento incedere
Il Papa ha pranzato con alcuni sacerdoti romani
Incontro fraterno Papa Francesco ha pranzato con sette preti romani, giovedì 28 marzo, dopo la celebrazione della messa crismale nella basilica vaticana. L’incontro si è svolto con molta semplicità nell’appartamento dell’arcivescovo Angelo Becciu, sostituto della Segreteria di Stato. Da diversi anni, e in particolare durante la sua missione di nunzio apostolico in Angola e a Cuba, il Giovedì santo monsignor Becciu era infatti solito invitare a pranzo alcuni sacerdoti soli, in un clima di fraternità. Venuto a sapere dell’incontro, il Pontefice si è detto molto lieto di prendervi parte. E ha così potuto ascoltare le esperienze dei presenti, quasi tutti impegnati nelle zone di periferie, tra i poveri e in situazioni di particolare disagio. Dall’incontro è emersa soprattutto la bellezza della Chiesa, come hanno sottolineato diversi intervenuti, anche se questa non viene in genere rappresentata sui media. Tra i presenti vi era monsignor Enrico Feroci, direttore della Caritas diocesana, che ha consegnato al Pontefice una lettera delle persone assistite nell’ostello romano. «Mi ha colpito profondamente la profonda
spiritualità del Papa e la sua capacità di accoglienza nell’ascolto» ha detto monsignor Feroci. E a tutti coloro che fanno riferimento alla Caritas romana — poveri e volontari — ha subito dopo trasmesso il saluto e l’incoraggiamento del vescovo di Roma. Al pranzo hanno partecipato, insieme con il sostituto e con monsignor Alfred Xuereb, monsignor Angelo De Donatis, parroco di San Marco al Campidoglio e guida spirituale di tanti sacerdoti; don Marco Valenti, parroco di San Saturnino, proveniente da una famiglia contadina della Sabina; il salesiano don Maurizio Verlezza, che ha una vocazione adulta, maturata per una conversione dopo un’esperienza politica nell’estrema sinistra; don Antonio Petrosino, anch’egli salesiano, delegato regionale per la formazione professionale dei giovani in difficoltà; don Giuseppe Trappolini, parroco di San Giacomo, costretto in sedia a rotelle per una serie di interventi ortopedici; e don Mario Pasquale, già prete operaio, impegnato nella parrocchia di San Bernardino in particolare nella pastorale tra i rom.
del corteo processionale. Un coro accompagnato da un paio di chitarre, l’unico accento musicale per una celebrazione estremamente semplice ma certamente vissuta con una notevole partecipazione, tanto da coinvolgere tutti i presenti anche i musulmani e persino chi non ha fede. Con il Papa hanno concelebrato il cardinale vicario di Roma, Agostino Vallini, l’arcivescovo sostituto della Segreteria di Stato, Angelo Becciu, monsignor Alfred Xuereb e il cappellano don Gaetano Greco. Al momento della lavanda dei piedi il Papa si è avvicinato ai giovani prescelti, indossando il grembiule tessuto dalla comunità di Villa San Francesco, con «fili moderni — si spiega in una nota che accompagnava il dono — nati da storie di vita, di dolore, di fatica e di speranza; filamenti presi nelle città e lungo i villaggi che ricordano fatti, miracoli e narrazioni accaduti oltre 2000 anni fa»: fili provenienti cioè da Nazareth, Betlemme, Tekoa, Tiberiade, Gerico, Gerusalemme, As-samu, Ebron, Betania, Bet Hanina, Bet Jiallah e Cana. Si è inginocchiato davanti a ognuno dei ragazzi. Ha lavato loro il piede destro, lo ha asciugato e poi lo
ha baciato. Ma quello che forse resterà più a lungo nei loro cuori e ciò che, più di ogni altro gesto simbolico, ha fatto comprendere l’esatta dimensione di quanto stava comunicando Papa Francesco a ciascuno di loro, era racchiuso negli sguardi che si incrociavano al momento di alzarsi per andare avanti. Intenso, profondo, sorridente e carico della tenerezza dell’amore che solo un padre può dare a un figlio, quello del Papa; aperto e stupito dalla forza di un sentimento avaro, sino a quel momento, nei loro confronti, quello di ognuno di quei ragazzi. Conclusa la celebrazione della messa, l’incontro si è trasformato in qualcosa di più familiare nella palestra dell’istituto. Il ministro Severino ha salutato il Papa ricordando in particolare la riflessione in lei scaturita ascoltando «le cose che lei ha detto da quando è Papa. Tante mi hanno colpito — ha confessato — ma ce n’è una in particolare che mi ha colpito più delle altre. Lei ha sottolineato che nella parola custodire c’è un senso speciale. C’è il senso di non solo un tenere dentro, ma un tenere dentro il proprio cuore. Allora, vede, questi ragazzi sono custoditi qui dentro, ma sono custoditi, come avrà visto, con tanto sentimento con tanta anima. Molti di loro hanno la famiglia lontana; uno di loro ha perso da poco la mamma. Qui hanno trovato tanta comprensione, tanta educazione, la possibilità di avere una cultura, di avere quei sentimenti nei quali devono riaffondare la propria capacità di stare nella società. E io leggerei soltanto una cosa che ha scritto un ragazzo; lei è ovviamente il primo custode di questi ragazzi e delle loro speranze. Loro sognano, come le ha scritto il nostro giovane chiamandola papà e non Papa, che la vita futura possa essere semplice e onesta». E questa è la speranza che il Papa ha chiesto loro di difendere, di non farsela rubare. Lo ha detto rispondendo al saluto della Severino: «Ringrazio la Signora Ministro delle parole. Ringrazio le autorità per l’accoglienza e ringrazio voi, ragazzi e ragazze, per l’accoglienza di oggi: sono felice di stare con voi. Avanti,
eh? E non lasciatevi rubare la speranza, non lasciatevi rubare la speranza! Capito? Sempre con la speranza, avanti! Grazie». Uno dei giovani lo ha ringraziato a nome di tutti e poi gli ha chiesto: «Perché sei venuto oggi qua a Casal del Marmo?». E il Papa gli ha risposto semplicemente: «È un sentimento che è venuto dal cuore; ho sentito quello. Dove sono quelli che forse mi aiuteranno di più ad essere umile, ad essere servitore come deve essere un vescovo? ho pensato; e poi ho domandato: “Dove sono quelli a cui piacerebbe una visita?” E mi hanno detto “Casal del Marmo, forse”. E quando me l’hanno detto, sono venuto qui. Ma è venuto soltanto dal cuore. Le cose del cuore non
hanno spiegazione, vengono solo. Grazie, eh!». Poi a uno a uno sono sfilati davanti a lui. «Come ti chiami»? «Da dove vieni»? «Mi raccomando prega per me. Ho bisogno delle tue preghiere». «Io pregherò per te». Frasi quasi sussurrate a ciascuno di loro. Gli hanno offerto in dono un crocifisso e un panchetto in legno, fatti da loro stessi, e gli hanno consegnato tante lettere, alcune fatte a forma di tau francescano. Il Papa ha donato a ciascuno una colomba pasquale e un uovo di cioccolata. Ma forse il dono più grande che ha lasciato loro è quello rimasto negli occhi di quei ragazzi mentre, poco dopo le 19, lo salutavano. Forse. Perché quello che conserveranno nel cuore non lo conosceremo mai.
Soddisfazione tra i sacerdoti di Buenos Aires per la nomina del nuovo arcivescovo
Nel segno della continuità da Buenos Aires CRISTIAN MARTINI GRIMALDI La prima nomina di Papa Francesco riguarda il suo successore alla guida dell’arcidiocesi argentina di Buenos Aires. È Mario Aurelio Poli, sessantacinque anni. Il 24 giugno 2008 è stato nominato vescovo della diocesi di Santa Rosa, che ha una popolazione di centomila abitanti ed è a circa settecento chilometri da Buenos Aires. In precedenza era stato accanto a Jorge Mario Bergoglio come vescovo ausiliare di Buenos Aires dal 2002 al 2008. Nella cattedrale di plaza de Mayo numerosi sono i parroci presenti alla messa. È Giovedì Santo, il giorno in cui i sacerdoti di tutte le diocesi si riuniscono intorno al proprio vescovo. E sembra quasi che il Papa non abbia voluto lasciare, proprio in questo giorno, i preti della sua arcidiocesi senza vescovo. Mario Aurelio Poli darà inizio al servizio pastorale nell’arcidiocesi il 20 aprile. L’amministratore dell’arcidiocesi di Buenos Aires, monsignor Joaquín Sucunza, legge l’omelia che Bergoglio aveva lasciato scritta prima di partire alla volta di Roma per il conclave. In essa il futuro Papa esorta i sacerdoti a non chiudersi in se stessi e nelle loro sicurezze personali, ma ad andare nelle strade per aiutare bisognosi e sofferenti. Poli è il primo arcivescovo di Buenos Aires a essere scelto tra il clero della stessa arcidiocesi dopo novant’anni dalla morte di Mariano Antonio Espinosa, che fu pastore della capitale dal 1900 al 1923. «Ha formato molti di noi qui», dice padre Ramón, del barrio Palermo, guardandosi intorno e indicando gli altri parroci. «Era — ricorda — il mio superiore nel seminario. Un uomo molto semplice, molto umile, un ottimo pastore. E qui siamo tutti contenti, puoi vederlo da te! Lo conosciamo bene perché anche lui è di Buenos Aires. Ha lo stesso stile di Bergoglio. Nei cinque anni di
episcopato a Santa Rosa ha concentrato il suo impegno soprattutto sulle attività pastorali, mantenendo sempre un profilo semplice e modesto. Anche se sulle questioni rilevanti — per esempio la difesa della famiglia e del matrimonio tra un uomo e una donna — ha sempre tenuto una linea molto rigorosa e forte. E l’anno scorso ha fortemente criticato un prete della diocesi che si era congratulato pubblicamente con l’ex dittatore Videla che compiva ottantasette anni». Padre Guglielmo, parroco della Villa 31, parla di «un’ottima scelta per la successione a Bergoglio. È una scelta in perfetta continuità col predecessore. Ricordo con piacere quando alcuni anni fa Poli si oppose alla decisione del sindaco di Santa Rosa, che voleva rimuovere la statua della Vergine di Luján. È un uomo dalla tempra forte». Padre Fabián, del barrio di Recoleta, descrive monsignor Poli come «un uomo molto religioso, un gran lavoratore, instancabile. Si curava
molto di noi sacerdoti, ci era sempre vicino. Se qualcuno di noi aveva un problema ci aiutava sempre, soprattutto ci dava un grande supporto spirituale». «Eravamo compagni — racconta padre Miguel — nello stesso seminario che frequentava anche Bergoglio. Ricordo che Poli era molto devoto della Vergine di Luján e di San José. È stato anche maestro scout e cappellano nazionale del movimento scout in Argentina». Marta lavora in un consultorio e conosce molto bene l’arcidiocesi di Buenos Aires, «Abbiamo accolto la notizia del nuovo vescovo — confida — con molta gioia. È un dottore in teologia ma con una spiritualità indirizzata in particolare ai poveri. Noi che eravamo abituati a Bergoglio non potevamo aspettarci di meglio. Ma comunque non ci attendevamo questa nomina. È stata una vera sorpresa. Tra noi si parlava piuttosto di monsignor José Maria Arancedo, presidente della Conferenza episcopale argentina. Ma è lo
Monsignor Mario Aurelio Poli
Spirito Santo che ci sta guidando in questo momento. E lo dico pensando anche a Bergoglio». Monsignor Enrique Eguía Seguí è dal 2008 vescovo ausiliare di Buenos Aires. È uno specialista nella formazione del clero. «Siamo tutti — afferma — molti contenti in Argentina. C’è molto entusiasmo per questa nomina, che darà forte impulso spirituale e avrà una grande ripercussione sulla gente. A dire il vero non me la aspettavo, esattamente come nessuno si aspettava che Bergoglio diventasse Papa. È stato proprio monsignor Poli a ordinarmi sacerdote in seminario. Ha una visione ecclesiale molto prossima a quella di Papa Francesco, anche se con una caratteristica personale distinta. I due sono stati insieme nel seminario di Villa Devoto, qui a Buenos Aires. Inoltre monsignor Poli è un grande studioso, un esperto di patristica e un grande conoscitore della storia della Chiesa argentina».