ACCORDI DI RISTRUTTURAZIONE DEI DEBITI (di Gianluca Tarantino)
La legge fallimentare è stata negli ultimi anni oggetto di diversi interventi legislativi (si fa riferimento ai vari interventi operati dalla legge n. 80/2005, dal d.lgs. 5/2006, dal d.lgs. 169/2007 alla più recedente legge 134/2012), per cercare di rendere la disciplina prevista per la crisi dell’impresa – pensata e codificata nel 1942 – più attuale ed in linea con l’attuale sistema economico, anche con l’introduzione di nuovi istituti e con la profonda rivisitazione da altri già esistenti. Si è cercato, in particolare, di fornire all’imprenditore una serie di strumenti per far sì che in presenza di una crisi dell’impresa sia possibile rivitalizzare, in qualche modo, le sorti dell’attività, cercando di favorire la composizione giudiziale o stragiudiziale del contenzioso in essere con i creditori ed evitare di giungere ad una soluzione che comporti la mera dissoluzione dell’impresa per ripianare i debiti contratti; in altri termini, si è cercato di rendere più facile, da un lato, la prosecuzione dell’attività di impresa, favorendo contestualmente la soddisfazione dei creditori, anche con una riduzione dell’importo agli stessi riconosciuti.
In tale prospettiva, si inserisce l’art. 182-bis (Accordi di ristrutturazione dei debiti) della legge fallimentare: tale disposizione, in estrema sintesi, prevede che l’imprenditore in stato di crisi possa domandare al tribunale l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti stipulato con i creditori che rappresentano almeno il sessanta per cento dei crediti; unitamente alla domanda, deve essere depositata una dettagliata relazione redatta da un professionista sulla fattibilità o meno dell’accordo stesso, con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare il regolare pagamento dei creditori.
Il tribunale, nella fase di omologazione, non entra nel merito del giudizio espresso dal professionista che ha redatto la relazione, ma si limiterà a valutare la coerenza e completezza dell’iter procedimentale ed argomentativo del professionista, con la conseguenza che l’omologazione dell’accordo non implicherà l’accertamento giudiziale della sua fattibilità. In altri termini, il controllo del tribunale sarà di minore intensità in assenza di opposizioni – che possono essere proposti da creditori che non si ritengono soddisfatti della percentuale loro riconosciuta - sul presupposto che, trattandosi un accordo tra privati, il tribunale debba soltanto verificare la fattibilità giuridica dell’accordo siglato; qualora, invece, siano presentate opposizioni, il tribunale, senza entrare nel merito delle scelte, dovrà anche verificare la attendibilità sul piano fattuale del programma concordato, con particolare attenzione a quanto illustrato nella relazione.
L'accordo di ristrutturazione dei debiti, nella sua versione originaria poi modificata, prevedeva due precisi requisiti senza i quali non sarebbe stato possibile ottenere l'omologazione del tribunale: l’accordo deve approvato dai creditori che rappresentino almeno il 60% dei debiti complessivi dell'azienda e deve assicurare il pagamento degli altri creditori che non hanno preso parte o non hanno accettato l'accordo. L’accordo è pubblicato nel registro delle imprese e acquista efficacia dal giorno della sua pubblicazione. Le eventuali modifiche all’accordo di ristrutturazione dei debiti successive all’omologazione che, sulla base di una relazione integrativa dell’attestatore ai sensi dell’art. 182 bis, 7º comma, l.fall., non pregiudichino né l’attuabilità dell’accordo omologato, né il regolare pagamento dei creditori estranei, non richiedono una nuova omologazione da parte del tribunale.
Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, quindi, sono caratterizzati da due fasi: quella propriamente stragiudiziale, nella quale il debitore negozia con i creditori la propria
situazione debitoria e nella quale, in sostanzia, è rimesso all’autonomia delle parti trovare, qualora sia possibile, un accordo; e quella giudiziale, in cui l'accordo necessita dell'omologazione dell'autorità giudiziaria per essere produttivo di ulteriori effetti legali: omologa che, come visto sopra, può essere concessa sulla base di una valutazione discrezionale di attendibilità del piano di riorganizzazione dell’impresa come illustrato nell’apposita relazione.
Per quanto riguarda i debiti oggetto dell'accordo di ristrutturazione, l'azienda ed i creditori hanno la più ampia discrezionalità nello stabilire nel dettaglio le modalità di accordo, potendo prevedere, ad esempio, nuovi piani di rimborso o differimento delle scadenze. Non è certamente possibile ipotizzare un contenuto tipico di tali accordo, che non è precisato dalla
legge
fallimentare
ma,
normalmente,
esso può
avere ad oggetto dilazioni di pagamento; riduzione o eliminazione degli interessi; cessione di una parte dei beni dell’imprenditore ai creditori; remissione di alcuni debiti in cambio di nuovi accordi commerciali; acquisizione di nuove garanzie in favore dei creditori.
Nella formulazione originaria, uno dei principali punti di debolezza degli accordi di ristrutturazione dei debiti – tale da renderne l’applicazione assai sporadica - era la necessità di pagare regolarmente i creditori estranei all’accordo: regolarità da intendersi sia come pagamento integrale sia nel pieno rispetto delle scadenze già programmate. Tale vincolo condizionava pesantemente l’imprenditore in difficoltà che, seppur desideroso di riorganizzare i propri debiti, si trovava costretto a destinare una parte importante delle proprie risorse al soddisfacimento dei creditori non aderenti, a discapito di quelli che, invece, avessero accettato la ristrutturazione del debito. Del resto, ai creditori conveniva non aderire al piano di ristrutturazione, in quanto così essi mantenevano ferma la totalità del proprio credito, senza concedere dilazioni o sconti.
L’art. 182-bis, nella sua nuova formulazione come risultante dalla modifiche introdotte dalla legge n. 134/2012, ha ora rimosso questi vincoli, introducendo una moratoria coattiva per i creditori che non aderiscano all’accordo di ristrutturazione dei debiti. Dalla data della pubblicazione e per sessanta giorni i creditori per titolo e causa anteriore a tale data, infatti, non possono iniziare o proseguire azioni cautelari o esecutive sul patrimonio del debitore
Sempre con finalità di rendere maggiormente appetibile l’istituto in questione, il legislatore ha da ultimo previsto una regime particolare per i crediti degli istituti che finanziano la realizzazione dell’accordo. In forza di tale previsione, in caso di fallimento del debitore che ha presentato il piano di ristrutturazione dei debiti, il finanziatore che ha elargito la “nuova” liquidità a sostegno del piano finanziario, sarà rimborsato anticipatamente rispetto a tutti gli altri creditori facenti parte della massa fallimentare, sia creditori chirografari che privilegiati. Questo mette, dunque, il credito dei finanziatori sullo stesso piano dei crediti che spettano ai professionisti che si occupano di gestire la procedura e permette ai finanziatori di avere maggiori garanzie sul recupero del proprio credito.
L’accordo di ristrutturazione dei debiti presenta alcune affinità con il concordato preventivo, tanto più che, oltre ad essere inseriti entrambi del titolo terzo della legge fallimentare - titolo terzo intitolato, appunto, “Del Concordato preventivo e degli accordi di
ristrutturazione”
–
alcuni
autori
hanno
prospettato
il
dubbio se
gli accordi di ristrutturazione costituiscano una semplice modalità dei realizzazione del concordato preventivo una semplice modalità di realizzazione del concordato preventivo, quasi una sorta di concordato “minore”, oppure un istituto autonomo, caratterizzato da
maggiore elasticità nella fase dei contenuti e da un controllo non particolarmente approfondito, in punto sostanziale, da parte dell’autorità giudiziaria nella sua esecuzione.
Secondo la prevalente giurisprudenza, l’accordo di ristrutturazione dei debiti di cui all’art. 182 bis ha natura esclusivamente privatistica e non può essere assimilato a nessuna delle procedure che regolano la soluzione dei conflitti aperti dal concorso dei creditori; l’istituto in questione, pertanto, non solo è del tutto indipendente dal concordato preventivo ma neppure può essere inquadrato nel genus delle procedure concorsuali in quanto: i) non prevede una fase di ammissibilità e, dunque, la pronuncia di un provvedimento di apertura di una procedura o la nomina di organi concorsuali; ii) non realizza alcuna forma di spossessamento e di limitazione dei poteri di direzione e gestione dell’attività dell’impresa, i quali rimangono sottratti anche ad un regime meramente autorizzatorio, così come rimane libera anche la fase esecutiva; iii) vincola, in applicazione di principi di natura contrattuale, soltanto i creditori aderenti e non comporta l’applicazione del principio di concorsualità sistemizzata tipico delle procedure concorsuali vere e proprie, con la conseguenza che i creditori non aderenti sono comunque liberi di aggredire ed escutere il patrimonio del debitore anche dopo l’omologazione dell’accordo e le parti contraenti sono libere di prevedere trattamenti diversificati tra creditori di pari rango anche in assenza di omogeneità giuridica e di interessi economici; iiii) può comportare le alterazione delle cause legittime di prelazione con l’ulteriore conseguenza che ai crediti che nascono dopo l’omologazione degli accordi di ristrutturazione non è di regola applicabile il regime della prededuzione.
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