A CHRISTMAS CAROL
La mia prima esperienza da attore Lo scorso dicembre più precisamente giovedì 19 e sabato 20 l’associazione teatrale IMIUT (Il Mondo In Un Teatro, il cui presidente è Mauro Borra, docente nel nostro liceo), ha messo in scena “A Christmas Carol” con la collaborazione di circa cento ragazzi, quasi tutti allievi del nostro istituto. Quest’opera, scritta da Charles Dickens, narra la storia (ambientata nell’Ottocento) di Ebenezer Scrooge, che la notte della vigilia di Natale riceve la visita del suo socio d’affari ormai defunto, Jacob Marley. Egli lo avverte che la notte di Natale riceverà la visita di altri tre spiriti: rispettivamente, lo spirito del Natale passato, lo spirito del Natale presente e lo spirito del Natale futuro. Contemporaneamente vi è la storia di Bob (segretario di Ebenezer Scrooge) e la sua famiglia molto scossa dalla morte del giovane figliolo; queste vicende vengono seguite da altri aneddoti. A questa grande impresa ho partecipato anch’io nei panni di Jacob Marley; è stata una emozione grandissima ma soprattutto sono contento di essere stato ripagato per tutta la fatica che ho provato nei mesi precedenti memorizzando il copione. Con me c’erano molti altri compagni d’avventura e grazie a loro questo spettacolo è stato un grandissimo successo, grazie all’impegno di tutti. Un grande grazie al professor Mauro Borra, alla professoressa Mariella La Croce, e al nostro regista Samuel Ridoni perché grazie al loro contributo siamo riusciti ad ottenere una grandissima partecipazione. Ancora un grandissimo grazie a tutti sia gli attori che al pubblico!
Mattia Possetti (I Liceo B)
BARCELONA
Il reportage completo sulla gita Programmare è facile, vivere è ben altra faccenda: raramente i buoni propositi coincidono con l’effettiva realtà. E infatti, nonostante gli intenti, quasi nessuno domenica sera è andato a dormire. Così, lunedì alle 2 del mattino, sul pullman che ci porta verso l’aeroporto da dove partiremo per Barcellona, i più dormono. Anche il volo che segue è tranquillo; la fase di crociera è nuovamente occasione per riposarsi. Probabilmente la gita inizia in fase d’atterraggio, quando, squarciata la coltre delle nubi, ammiriamo la penisola iberica dall’alto. I Pirenei innevati sono il primo elemento geografico che riconosciamo, poi lentamente si delineano città delle quali ignoriamo il nome, infine prende forma quella Barcellona che in cinque giorni abbiamo imparato a conoscere ed apprezzare. Atterriamo e ad indicarci la via per l’uscita sono cartelli scritti in tre lingue diverse: catalano, inglese e spagnolo, rigorosamente in quest’ordine, a indicarci che prima di tutto siamo in Catalogna e solo in secondo luogo in Spagna. Infatti Barcellona è fiera della sua identità regionale; avremo modo di accertarcene notando che a quasi tutti i balconi delle sue vie è appesa la Senyera, la bandiera della Catalogna, alternata alle sue varianti Estelada blava (simbolo della forte tendenza nazionalistica, autonomistica e indipendentista) o roja (indipendentista socialista), mentre solo sui palazzi dove hanno sede organi amministrativi sventola la Rojigualda, la bandiera spagnola.
Un breve tragitto in bus ci fa raggiungere l’hotel, dove sostiamo giusto il tempo di depositare le valigie. Poi ci dirigiamo nella zona del Port Olìmpic, passeggiando fino a giungere al Port Vell. Presa la metro, poche fermate e ci troviamo in Plaça de Catalunya, il punto che unisce la città vecchia con l’Eixample, l’ampliamento ottocentesco di Barcellona. Tra le banche e i grandi magazzini di questa assolata piazza spiccano due case neogotiche, mentre i giardini al centro sono ornati da due fontane e un gruppo scultoreo. Nel pomeriggio, l’itinerario che seguiamo ci consente di farci una prima opinione sulla città e constatare come Barcellona sia innegabilmente poliedrica: gran parte del suo fascino infatti risiede nell’indovinata commistione tra le antiche rovine romane - visibili solo in parte-, gli austeri edifici gotici -come le chiese-, i
grattacieli, i ristoranti tipici affiancati a quelli internazionali e le ardite architetture moderniste. Percorriamo la Rambla -una via ricavata dal letto di un corso d’acqua oramai asciutto-, ovvero l’unica strada al mondo che il poeta e drammaturgo spagnolo Federico García Lorca avrebbe voluto non finisse mai. È tutto un susseguirsi di caffè, pub, locali, negozi frequentato da una variegata folla di persone, come turisti, passanti, artisti di strada, venditori ambulanti. Il punto centrale della Rambla è Plaça de la Boqueria, segnata da un mosaico pavimentale di Joan Mirò, cui accanto sorge l’affollatissimo mercat de Sant Josep, o de la Boqueria, frequentatissimo e coloratissimo mercato di prodotti alimentari. La Rambla termina presso il Port Vell in uno spiazzo dove svetta su un’imponente colonna la statua dell’ammiraglio genovese Cristoforo Colombo, che fiero punta il dito verso il mare. Proseguiamo addentrandoci nel Barri Gòtic, il quartiere gotico, un fitto intrico di strade e di piazze su cui si affacciano i palazzi e le chiese che incarnano la storia medievale della città. Il quartiere si articola in un nucleo religioso, formato dagli edifici attorno al duomo, e nel centro civile, presso Plaça del Rei. Nel passato, importante nella zona è stata anche la presenza ebraica. Proseguiamo e piazza San Filippo Neri, fievole spiraglio di luce nel buio dedalo di stradine, si mostra ai nostri occhi come una quieta piazzetta che racchiude in sé una certa malinconia, ma è a suo modo affascinante. Qui nel gennaio ’38 scoppiò una granata che fece una quarantina vittime, perlopiù bambini. A rivelarcelo, la spiegazione del prof. Meotto. A testimoniarlo, una targhetta commemorativa. A riecheggiarlo, i solchi nelle facciate degli edifici. È abbastanza silenziosamente che lasciamo la piazza; peraltro è quasi ora di tornare in albergo, dove ci aspetta la cena con servizio di ristorazione in self service. Benché inizialmente non propriamente entusiasti, in una decina di studenti ci adoperiamo per apparecchiare i tavoli, sistemando forchette, coltelli, bicchieri, cucchiaini. Ad impiattare ci pensano i prof, in un clima da Saturnali romani che fa presagire che il sovvertimento dell’ordine sociale non può durare a lungo. Il cibo non è dei migliori, ma è sufficiente fare propria l’arte di accontentarsi; personalmente mi piange il cuore solo quando ci portano della pasta che alla vera pasta, quella cucinata per bene, ha tutto da invidiare. Ma quella la fanno solo in Italia, e non ci interessa ritrovare gusti di casa nostra, tant’è che durante i pranzi assaggiamo le specialità tipi- che, in primis l’immancabile paella. Supplisce alla cena non pienamente soddisfacente la colazione degna di questo nome che ci attende la mattina di martedì, giorno dedicato alla visita alla città con guide locali, che si presentano come Marina (per IV e V) ed Emilio (per I, II e III). Mentre raggiungiamo i luoghi di interesse, ci è illustrata la storia della città. Di fondazione verosimilmente cartaginese, Barcellona dopo la seconda guerra punica passò ai Romani, che ne fecero un capoluogo di provincia marginale per importanza ed estensione. Di quel periodo però sopravvissero per circa un millennio le mura difensive e la struttura urbana riconoscibile tuttora. Visigota nel periodo delle invasioni barbariche, poi araba per circa un secolo, la città fu riconquistata da Carlo Magno e inclusa nella Marca Hispanica. Risale al X secolo la prima dinastia catalana autonoma, che fece di Barcellona la capitale di un regno autonomo; per quattro secoli la potenza marittima catalano-aragonese dominò il Mediterraneo. Poi la scoperta dell’America trasferì gli interessi commerciali sull’Atlantico; il neonato regno di Spagna la declassò a provincia e Filippo V le impose pesanti sanzioni a seguito della guerra di successione spagnola (1714). Occorrerà aspettare il XVIII e il XIX secolo per assistere alla lenta rimessa in moto economica ed urbanistica, con l’affermazione del modernismo come corrente architettonica. Seguirono momenti di riqualificazione urbana e rivolte civili, con una parentesi di indipendenza prima della dittatura franchista. Dopo gli anni ’70 del 1900, Barcellona con la sua regione si è posta al centro dello sviluppo della nuova Spagna democratica. Durante il tour passiamo in rassegna i luoghi di maggiore interesse della città: l’imponente cattedrale dedicata a Santa Eulalia, l’impressionante basilica di Santa Maria del Mar, la medievale Plaça del Rei, il neoclassico Ajuntament, lo spettacolare e in un certo senso irriverente Palau de la Música Catalana o la provocatoria Pedrera - sfortunatamente ricoperta da impalcature che solo lasciano immaginare la facciata- per citarne alcuni. Dopo la visita, prima di rientrare in albergo, siamo lasciati liberi per un po’, sia per visitare i luoghi di inte resse non precipuamente formativo -come negozi, bancarelle e bar- sia, forse, per avere modo di tracciare un bilancio della città, dopo averla conosciuta meglio. Barcellona ha un animo complesso e sfaccettato che si può intuire solo guardandola nella sua totalità, facendo tappa sia nei luoghi turistici sia in quelli meno noti e leggermente più fatiscenti, come il quartiere Raval, per vedere le due facce della medaglia e coglierla nella sua totalità. La sera usciamo, e andiamo sul lungomare, che già avevamo potuto apprezzare il giorno prima con il favore del sole mattutino. Di notte ha tutto un altro fascino; per di più non
nuvole e le stelle brillano indisturbate insieme alla Luna. Poi ci sono le luci dei locali, che occhieggiano ma non sono considerati: vaghiamo un bel po’ ma non ci è consentito entrare in nessuno di essi. Certo, non è il massimo errare senza mèta: non mancano lamentele e rimostranze. Ma bisognerebbe evitare di volere a tutti i costi quello che non si ha avuto, trascurando così quello che si è ottenuto: è stata comunque una bella serata di chiacchiere e divertimento tra amici. Il mercoledì lo iniziamo recandoci in metro presso la Sagrada Família, probabilmente il monumento più conosciuto della città. Salendo le scale per uscire in superficie, siamo colpiti dalla grandiosità della concezione di questa imponente chiesa, che ancora si trova incompiuta. Vederla in fieri, con le gru che la sovrastano e gli operai che la costruiscono, è un’esperienza quanto- meno singolare, che se da un lato infonde una certa malinconia per ciò che ancora non è, dall’altro consente di vagheggiare la grandezza di ciò che sarà. L’interno è progettato a emulazione di una selva -non oscura come quella di Dante grazie alle numerose e colorate vetrate-, con colonne che rappresentano alberi che si ramificano a sostenere la volta. Contrariamente alle tipiche chiese medievali, la maestosità dell’edificio non crea l’effetto di annientamento dell’individuo, ma sembra semplicemente invitare a tendere verso l’alto. Usciamo dall’edificio e ci accoglie una lieve pioggia. Pochi minuti e il sole già splende di nuovo, così come ha fatto e farà per l’intera durata della nostra permanenza in Spagna. Nel pomeriggio percorriamo una parte del passeig de Gracia -la strada più famosa dell’Eixample, ombreggiata da una quadruplice fila di platani- per raggiungere la manzana de
la discordia, l’isolato della discordia, così chiamato per la compresenza di edifici progettati dai grandi del Modernismo: casa Morera, casa Mulleras, casa Amatller e casa Batlló. Quest’ultima, realizzata da Gaudí, possiede una facciata rallegrata da decorazioni multicolori in ceramiche spezzate che rappresenta la vicenda di San Giorgio e il drago. Qui ci divi- diamo: qualcuno di noi si reca all’interno di casa Battló, dove può notare l’assoluta sovranità delle linee curve, visitare l’appartamento del piano nobile, esplorare la soffitta ad archi catenari, godere della vista dalla terrazza e ammirare il cavedio a guisa di cascata. A chi decide di non entrare è proposta una visita di parc de la Ciutadella, dove c’è un laghetto ed è possibile affittare canoe. Quando ci ricongiungiamo, ci è concesso del tempo libero, durante il quale di solito non disdegniamo sfoggiare le nostre virtuosità oratorie in una lingua che non ci appartiene. Cimentarsi con lo spagnolo ha infatti una sua attrattiva, e non risulta nemmeno così arduo, dati gli innumerevoli vocaboli che -senza curarci se correttamente o meno- importiamo dal nostro dia- letto regionale. L’indomani ci aspetta l’escursione al monastero che sorge sulla rocca del Montserrat, la “mon- tagna segata”, con le strane forme scolpite nel granito e l’incombente vetta del Sant Jeroni. Sul pullman ritroviamo Marina, la guida, che ci tratteggia la storia del Monastero, il quale fu fondato nel lontano XI secolo ma la cui attuale veste è perlopiù opera di artisti modernisti dell’Ottocento. Dal piazzale prospiciente il com
plesso possiamo ammirare il chiostro gotico, quindi entriamo nel cortile interno, ma dobbiamo attendere la fine della Messa per visitare la chiesa e vedere così la statua romanica della Mare de Déu de Montserrat, detta la Moreneta per il suo colore nero. Nel frattempo, abbiamo visitato il Museu de Montserrat o goduto della spettacolare vista sul piazzale. Approfittiamo del pullman per farci portare davanti all’ingresso di Parc Güell. Il parco è quanto resta di un ambizioso progetto di Gaudí mai realizzato: una città-giardino a lotti triangolari su livelli diversi e collegati da percorsi a serpentina. Lo stile ipnotico delle forme sinuose utilizzate dall’artista permea l’intero parco, creando un’atmosfera particolare. Degna di nota sicuramente la celebre terrazza, sia per il bellissimo panorama che da lì si può ammirare sia per la contorta panchina con decorazioni in ceramica e pezzi di vetro che la avvolge. Pranziamo a un’ora desueta perfino per la gente del posto, abituata a consumare i pasti più tardi rispetto agli italiani. La sera ci è proposta un’uscita lungo una via non troppo lontana dall’albergo, dove si affacciano bar e locali. Convenuto un punto e un’ora di ritrovo, ci dividiamo. Un sostanzioso gruppo di noi si lascia attirare da un locale che espone un cartello con su scritto “karaoke”. Entriamo. Da Baglioni a Celentano, passando per Vasco e Ligabue, passiamo in rassegna tutti i grandi della musica italiana, cantando in coro. Probabilmente siamo più stonati di una campana, ma ci importa assai poco, e continuiamo a rovinare delle bellissime canzoni finché il tempo a disposizione ce lo permette: a mezzanotte salutiamo una stupita barista che non concepisce il fatto che ce ne an- diamo così presto e, ricongiuntici agli altri, torniamo in albergo. L’indomani prima di lasciare Barcellona andiamo sulla spiaggia. È l’occasione per fare qualche foto di gruppo e qualche meditazione fissando il mare; qualcuno si riempie le tasche di conchiglie, qualcun altro le scarpe di sabbia. Torniamo in albergo dove ci attende il pullman che ci riporterà in aeroporto: sembra incredibile, ma sono già passati 5 giorni dal nostro arrivo, ed è già tempo di andare. Le gite ben riuscite sono come dei bei libri: quando giungono all’epilogo, lasciano sempre un po’ di vuoto. Ma lasciano anche un consistente bagaglio di insegnamenti e ricordi difficili da dimenticare.
Carlotta Favaro (IV Liceo B)
BARCELONA/2
Un altro sguardo sulla gita del Liceo Dal 3 febbraio al 7 febbraio, il nostro liceo scientifico, linguistico e delle scienze umane dalle classi prime alle classi quinte ha passato una settimana a Barcellona. I professori Manuel Pia, Marco Meotto, Anna D’Amico e Riccardo Rudiero, assieme alla dirigente Maria Magherita Caporgno, hanno deciso di farci visitare vari monumenti, paesaggi ed edifici storici e far provare un’esperienza nuova per alcuni alunni, ovvero spostarsi per la città con la metro. Le giornate incomiciavano con la colazione, presso l’Hotel Travelodge nella vecchia zona industriale di Barcellona; poi tutti i ragazzi, raggruppati per classi, hanno visitato per tutta la giornata le mete proposte, anche spostandosi in pullman per andare a visitare il Monastero di Monserrat. Durante la giornata noi ragazzi potevamo girare per la città per un totale di 2 ore circa e poi dovevamo ritrovarci nel punto di incontro o per andare a fare altre visite o per tornare in Hotel. Durante la gita ci sono state molte cose divertenti, è stata una bella occasione per conoscere gli alunni delle altre classi. Per quanto riguarda il viaggio, all’andata siamo partiti alle 2 di mattina dopo esserci ritrovati alle in Piazza Vittorio Veneto alle 1:30, dopo essere partiti col pullman siamo arrivati a Malpensa, l’aereporto di Milano, abbiamo eseguito il check-in e ci siamo imbarcati verso le 6:30. Dopo circa un’ora di viaggio siamo arrivati a destinazione, e tutti contenti siamo scesi, pronti a visitare questa stupenda città! Al ritorno siamo tornati a Milano all’aereoporto alle 14:45 e partiti sotto la pioggia verso le 16 per tornare, tristemente a Pinerolo.
Antonio Coda (I Liceo B)
UNA SETTIMANA IN COMPAGNIA Lo “scambio culturale” con i ragazzi di Annecy
Passare una settimana in una importante città storico-culturale del sud-est della Francia è un bel modo per staccarsi dalla routine quotidiana dello studio scolastico e divertirsi ampliando la propria capacita di parlare in una lingua straniera. Il 1° febbraio 2014 le classi III di indirizzo linguistico e scienze umane del nostro liceo sono partite dalla stazione Porta Susa di Torino per tuffarsi in questa meravigliosa avventura ed esperienza di vita. Nonostante il presto risveglio alle 5 in di mattina e il cambio bus/treno a Chambery, necessario per raggiungere Annecy, i giovani ragazzi hanno trovato una calorosa accoglienza da parte delle corrispondenti famiglie francesi. Neanche le sfortunate condizioni atmosferiche incontrate all’arrivo, e durante la maggior parte dei giorni, hanno guastato il loro soggiorno in Francia, poiché è bastata la sola compagnia dei ragazzi e delle relative famiglie a far sentire ben accolti e a proprio agio i giovani ospiti. Per capire meglio come si è svolta questa settimana ho intervistato alcuni compagni sulla loro esperienza: Ecco le loro risposte! 1) Come ti sei trovata/o ad essere ospite di una famiglia a te sconosciuta? Giulia: “Io mi sono trovata da subito molto bene nella famiglia”. Sofia: “All’inizio ero un po’ tesa, soprattutto perché non sapevo dove sarei finita ma poi è andata bene la famiglia era simpatica e disponibile”. 2) É la prima volta che fai parte ad uno scambio culturale? G.: “Si, era la prima volta che facevo uno scambio”. S.: “Si, per me è la prima volta”. 3) Hai legato abbastanza con la/il tua/o corrispondente? Se si, in cosa? Se no, quali sono state le problematiche? G.: “Io ho legato molto con la mia corrispondente! Clara è sempre stata gentile e simpatica con me e ha sempre cercato di mettermi a mio agio”. S.: “Non ho legato più di tanto con la mia corrispondente, forse perché lei studiava tutto il giorno e io ero sempre in stanza da sola”. 4) Quali attività tra quelle offerte dal Liceo “St. Michel” di Annecy hai preferito? Quali un po’ meno? S. e G.: “Mi è piaciuta la gita fatta a Ginevra peccato la pioggia; un pò meno mi i musei visitati ad Annecy”. 5) Quali sono le differenze tra le lezioni scolastiche tenute in Francia e quelle in Italia? G.: “Le lezioni sono più meno come quelle in Italia solo che loro vanno a scuola anche il pomeriggio”. S.: “Sono più o meno simili, ma loro hanno molte pause e le lezioni durano 60 minuti”. 6) É stata un’esperienza piacevole che rifaresti volentieri? G.: “Si, senza dubbio!”. S.: “Si, è stata una bellissima esperienza e la rifarei senz’altro”.
7) Qualche episodio divertente che ti è capitato? S. e G.: “Un giorno pensavamo che non ci fossero in programma gite o visite nel pomeriggio, per cui molti di noi si erano vestiti “leggeri”, pronti per fare una passeggiata in città. Quando ci siamo incontrati con i professori verso le 14, ci è stato detto che saremo dovuti andare a visitare il Museo del Cartone animato di Annecy. Purtroppo era una giornata piovose e fredda e la maggior parte di noi ragazze aveva i piedi inzuppati… A quel punto è intervenuto il professor Mainero che ha prestato a chi ne aveva bisogno tutte le calze pulite che gli erano rimaste! In questo modo siamo riuscite a completare il programma della gita”.
Lisa Audisio (III Liceo A)
ADDIO TORRE DI BABELE
L’importanza di conoscere una lingua straniera
In tutta la penisola oramai non c’è scuola che non insegni almeno una lingua straniera, poiché lo stato italiano impone l’insegnamento di esse in ogni sede scolastica del proprio territorio. Questo fatto fa riflettere. Una volta, quando la mentalità degli italiani era del tutto differente, si considerava un obbiettivo secondario apprendere un’altra lingua, anche perché il mondo era basato sul lavoro fisico e l’imparare nuove lingue non era necessario. Bisogna specificare che spesso anche le materie basilari non venivano studiate da tutti, figurarsi una lingua straniera. Oggi tutto ciò è cambiato. La globalizzazione, fenomeno che coinvolge tutti gli stati su scala mondiale, è alla base della catena di eventi che implica l’utilizzo di seconde lingue straniere in ambito scolastico. La globalizzazione, originata dal progressivo sviluppo dei trasporti, delle comunicazioni e delle tematiche che hanno abbattuto la piaga del razzismo e delle discriminazioni, ha costretto la popolazione a spingersi verso un mondo più unito e alla base di tutto ciò c’è la proprio la volontà di comunicare. La necessità delle conoscenze riguardo altre lingue trova la sua matrice proprio qui. L’apprendimento di lingue straniere, ai giorni nostri, offre moltissimi sbocchi nel mondo lavorativo: il conoscere una o più lingue diverse dalla propria, e saperle utilizzare con destrezza, è un vantaggio significativo. Come la lingua latina dominava un vastissimo impero, proporzionato alle scoperte dell’epoca, oggi, l’inglese, domina sovrano dall’alto della sua universalità. Il fenomeno della diffusione di lingue, di conseguenza anche di culture esterne, sta omogeneizzando tutto il mondo, mettendo in rischio la diversità culturale delle singole popolazioni. Questo rischio, attualmente, è privo di risultati, però, con l’andare del tempo le differenze tra le varie culture possono assottigliarsi tanto da rendere il pianeta intero un unico grande paese. Al giorno d’oggi, sono poche le persone che si oppongono all’insegnamento delle lingue straniere delle scuole, anzi, possiamo considerarla una percentuale quasi nulla. Molti genitori spingono i propri figli ad vivere esperienze in luoghi dove la lingua non è quella madre ed attraverso esse migliorare la propria dimestichezza. Sicuramente l’obbiezione più forte viene dalle persone più anziane e dai nostri tanto amati nonni, i quali sembrano quasi irritati da questa voglia di conoscere il linguaggio “altrui”. Tuttavia non si è più dell’idea che conoscere una lingua diversa sia inutile e perfino sgradevole. Conoscere lingue diverse può anche essere motivo di vanto per molte persone e, come già citato, importante per la vita lavorativa.
Matisse Perotti (III Liceo B)
QUANDO ARRIVI 8 MARZO?
Le trepidante attesa per il viaggio a Malta Già, appare ancora lontano quel giorno, ancora ricordiamo quando la preside entrò in classe con quella circolare: fu amore a prima vista! Da quel giorno freddo d’ottobre le giornate diventarono calde, piene d’entusiasmo, appena passò quel giorno tutti iniziarono a fare le domande seguenti: tu vai? Tu hai mai volato? Stiamo in camera assieme? Per alcuni ci sarà il battesimo del volo, per alcuni la prima “trasferta” lontana dalla famiglia, distante due ore di viaggio… in aereo! Al mattino, ahimè, ci saranno lezioni (e in lingua inglese, per giunta!), però nel pomeriggio invece ci divertiremo sul nostro pullman a visitare Malta. Siamo molto curiosi di conoscere la sua cultura, i suoi usi e costumi, la sua storia, così diverse da noi, chissà cosa ci aspetta. Quattro professori ci accompagneranno in questa fantastica avventura: Sara Bruno, Claudio Fanelli, Silvia Marras e Magda Velardi. Sarà l’esame di laurea per l’inglese, dato che alloggeremo al Savio College. Ah, un messaggio dagli allievi: cari professori/esse noi ci impegneremo a dare il massimo e faremo vedere a loro che siamo degli studenti bravissimi e potremo batterli in tutto, però non vi garantiamo l’assenza di uno scherzo in aereo e di qualcuno per i nostri “amatissimi” salesiani.
Saluti a Malta dall’Italia. Stiamo arrivando, state attenti!
Federico Bulla (III Media A) e Andrea Visentin (III Media B)
LA PAURA DEL DIVERSO
Un pomeriggio nella sede pinerolese dell’ANNFAS Dopo l’idea della professoressa Sara Bruno, il mio gruppo di 3 media B (Stefano Baruzzu, Mattia Benedetti ed io) ha lavorato sul tema dei ragazzi diversamente abili; ma cosa fare di concreto per loro? Col trascorrere dei giorni abbiamo avuto l’idea di visitare il centro Anffas (Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale) Valli Pinerolesi onlus insieme al gruppo della classe 3 media A per raccogliere informazioni interessanti e per poter fare qualcosa per loro; l’incontro è durato circa un’ora ed è stato molto piacevole. Abbiamo anche illustrato i cartelloni, frutto del nostro lavoro in classe, che sono piaciuti molto ed è stata una soddisfazione vedere le responsabili di quest’associazione felici del fatto che anche noi giovani ci occupiamo e ci impegniamo a capire i problemi legati alla disabilità. Si è parlato in merito alle iniziative create da loro: mercatini natalizi, piccole festicciole con i bambini e riunioni con persone adulte; ma un tema che mi ha toccato in modo particolare è la paura del diverso: questa frase mi fa riflettere molto sulla nostra paura o timidezza nei confronti delle persone appartenenti a un’altra razza, disabili e zingari. Molte persone sono così diffidenti nei confronti del “diverso”, tanto da isolarlo. In questo centro abbiamo conosciuto una ragazza che ha alcuni problemi legati al parlare e alla deambulazione però è una persona brillante, intelligente e attiva; frequenta Giurisprudenza all’Università, con risultati eccellenti! Questo esempio dimostra che la volontà è più forte di qualsiasi disabilità ed è un insegnamento per noi, che alcune volte ci scoraggiamo di fronte alle difficoltà. Come diceva il grande Napoleone: «La parola impossibile esiste solo nel dizionario degli idioti». Ma cosa ci rende diversi? Hanno i capelli come noi, hanno gli occhi come noi, un corpo come noi, hanno sentimenti come noi, hanno una dignità che bisogna rispettare come la nostra; la risposta penso ognuno l’abbia capita… Da sempre c’è questa “paura del diverso”: dai tempi del Medioevo al Rinascimento; bisogna sottolineare che oggi la situazione è migliorata e anche di molto, ma quante volte sentiamo individui che disprezzano o ancor peggio picchiano queste povere persone solo perché sono diverse da noi? Ci sentiamo superiori? Lascio a voi la risposta.
Andrea Visentin (III Media B)
CHI SARA’ IL MIGLIORE?
I pronostici e le regole del torneo di hit ball Vittoria! Questo è il sogno di ognuno, quello di urlare quella magica parola dopo la conquista del torneo, però solo una classe potrà farlo a scalpito delle altre: quale sarà? Pazientiamo un attimo e, prima di tuffarci sulle considerazioni sul torneo, riguardiamo le regole, essenziali per giocare correttamente.
Una partita di hit ball prevede due squadre da 6 giocatori. Tre di questi hanno il ruolo di proteggere la porta (larga 10 metri e alta 2,20), mentre gli altri tre si posizionano nella zona d’attacco. Le due squadre sono separate da una linea che divide il campo a metà; tale linea non può essere varcata da nessun giocatore. La regola principale dell’hit ball è che il pallone deve essere in continuo movimento, quindi mai trattenuto dai giocatori; esso può essere colpito con ogni parte del corpo, ma il tiro può essere effettuato solo con la parte superiore del corpo (non le gambe). Il pallone può rimbalzare sui muri, sul pavimento o sul soffitto o non rimbalzare affatto (non esiste il fuori). La partita si divide in tre tempi da 15 minuti ciascuno, durante i quali ogni squadra ha a disposizione cinque secondi per creare un’azione. Durante il gioco le squadre possono effettuare cambi senza interruzioni del gioco. Ora veniamo ai pronostici. Quest’anno, a differenza degli altri, la prima media ha una sola sezione, quindi nessun derby, che invece possono giocare le seconde e le terze. Seppur la 3B abbia in bacheca due coppe per la vittoria di pallavolo e una per il fair play, non notiamo nessuna vittoria a hit ball, sconfitta due anni fa in semifinale e l’anno scorso in finale. La 3A invece, lo scorso anno si è dimostrata una classe piena di rispetto per l’avversario con la vittoria del premio fair play: sarà questo a portarla alla vittoria? Le seconde l’anno scorso non si fecero molto vedere, ma potrebbero riservarci sorprese. La 1A potrebbe essere una rivelazione puntando subito al primo trofeo da sfavoriti, essendo i più piccoli. Questo torneo si prospetta davvero interessante e fare pronostici sembra veramente dura, con tutte le classi agguerrite per la vittoria. Chi sarà il migliore? Solo il campo saprà dircelo…
Andrea Visentin (III Media B)
UN RICORDO PESANTE
Lo sterminio degli ebrei e la giornata della memoria
Lunedì 27 gennaio, Giorno della Memoria (in ricordo delle persecuzioni subite dagli ebrei), i ragazzi delle due terze medie (insieme a quelli del nostro liceo) sono andati al Teatro Agnelli a Torino, accompagnati dalle professoresse Alessia Barral, Sara Bruno e MagdaVelardi. Prima dello spettacolo, le professorese avevano delle attese: la Barral si aspettava che i ragazzi capissero le cose sbagliate che si sono fatte nella storia e che non devono più succedere; invece la Velardi si aspettava una testimonianza di una ragazza che ha vissuto un periodo storico importante, ma brutto; la Bruno non aveva proprio una aspettativa precisa , ma che i ragazzi riflettessero sugli sbagli che hanno fatto gli uomini nella storia. Noi ragazzi di terza, per essere preparati per lo spettacolo, abbiamo letto il libro intitolato “Rifka va in America”: molto bello, ma peccato che non c’entrasse nulla con lo spettacolo! Lo spettacolo è stato un monologo che raccontava due storie: quella di Rifka e quella di sua figlia Sara . Sara era andata dal ginecologo ed aveva saputo che era incinta e in quel momento si è ricordata di una persona molto brava di nome Irene che salvava i bambini ebrei in Polonia. Sara scrisse a Irene e, quando le rispose, Sara era felice. Sara abitava con i suoi famigliari a Varsavia. Lei si è salvata dalle persecuzioni grazie a un articolo che diceva che un uomo cercava una donna ebrea. Allora Sara si presentò e con questo uomo si scrissero molte lettere. Dopo è scappata con lui per andare in Uruguay. Quando era in Uruguay, di notte aveva gli incubi perchè pensava che lei era al sicuro ma i suoi famigliari no! E poi sentiva sempre brutte notizie della Polonia. Sara inizia a cercare soldi per comprare i biglietti per l’Uruguay da mandare ai famigliari per portarli via dalla Polonia. Gli ultimi che ricevono i biglietti sono i suoi genitori che, per paura di salire sulla nave, non partono. Per fare soldi Sara costruisce oggetti vari. Poi inizia a parlare di sua madre Rifka e del suo unico ricordo di lei: il suo capotto. Lo spettacolo non é piaciuto a tutti; alla professoressa Bruno è piaciuto, ma non se lo immaginava così.
Alessia Robert (III Media A)