QUALCHE CONSIDERAZIONE IN MATERIA DI VIOLENZA DI GENERE A PARTIRE DAL DECRETO LEGGE 93/2013
A cura di Fabio TRAVERSO, V.COMM.P.M. TORTONA ( AL )
E’ stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 16 agosto 2013 ed è pertanto in vigore ,in quanto tale avente forza di legge, il decreto legge 93 in materia di sicurezza e violenza di genere, tale decreto sarà discusso alla Camera dei Deputati il 20 agosto p.v. . Aldilà del suo carattere effettivamente snello del provvedimento in oggetto (che si compone di soli 12 articoli) e aldilà del fatto che l’attenzione degli organi di informazione sia rimasta monopolizzata dal tema della violenza di genere (il c.d. “femminicidio” per usare un neologismo terribile dal punto di vista estetico ma che indubbiamente fotografa un problema reale) il decreto, come nella prassi normativa italiana, affronta invero una serie di tematiche tra le più eterogenee che vanno ben aldilà della violenza di genere e spaziano dalla riorganizzazione del sistema della protezione civile al c.d. “furto di rame” al fenomeno dei furti di identità, per arrivare alle notifiche previste dal codice di procedura penale ed al commissariamento delle Provincie. Tuttavia, nella modestia di questo approfondimento, ci concentreremo sui profili operativi in materia di violenza di genere, come sempre dal punto di vista dell’operatore su strada (magari suo malgrado) affamato di immediate soluzioni operative e non del giurista chiamato ad una approfondita riflessione post factum. Altri, più qualificati di noi, faranno questa riflessione . Nell’art. 1 del decreto (norme di materia di maltrattamenti, violenza sessuale e atti persecutori) non riteniamo di dilungarci sui primi tre commi , che riformulano i reati di maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale e atti persecutori ,una fondamentale revisione del precedente testo di legge è invece contenuto nel capo b del comma 3 (art. 612 bis c.d atti persecutori) laddove si afferma che “la querela proposta è irrevocabile”.
L’irrevocabilità della querela ,in deroga ai principi fondamentali dell’ordinamento penale che ne stabiliscono al contrario sanciscono la volontarietà e quindi la revocabilità ,è lungi dall’essere una novità nell’ordinamento italiano. Com’è noto la querela è irrevocabile anche nei casi di violenza sessuale ,con la finalità di evitare fenomeni di intimidazione o coazione sulla vittima per indurla a rimettere la querela . Il punto su cui focalizzarsi per la polizia operante, aldilà dell’obbligo di informazione per la persona offesa, è il fatto che il reato di atti persecutori resta tuttavia reato a perseguibilità di parte ,tranne che per i casi disciplinati dall’ultimo comma ossia essenzialmente quelli che vedono come parti offese i minori o i portatori di disabilità. La differenza con il reato di maltrattamenti in famiglia previsto dall’art. 572 non è di poco conto ,se si considera che quest’ultimo è e resta a perseguibilità d’ufficio. Su tale problematica si sono concentrate, in questa prima fase di avvio del Decreto, le critiche di avvocati, penalisti e di quanti da un lato hanno giudicato inopportuno sancire l’irrevocabilità della querela, dall’altro hanno evidenziato come sarebbe stato più opportuno determinare, anche per gli atti persecutori, la procedibilità d’ufficio . Questa differenza deve essere ben presente, aldilà di tali considerazioni critiche, all’operatore chiamato ad intervenire per “reati di genere” e a tutela delle fasce deboli: nel primo caso ,quello dell’art. 572 ,una volta circoscritto l’elemento oggettivo del reato (che resta come forse non è inutile ricordare una reiterazione di comportamenti e non singolo episodio) l’operatore deve essere consapevole di avere un preciso obbligo di legge ad inviare una notizia di reato anche senza o addirittura contro la volontà della vittima, nel secondo ,quello dell’art. 612 bis , deve sapere che la procedibilità è resta subordinata (a parte le eccezioni viste) ad una volontà di parte. Non sarebbe inopportuno che le modalità di intervento in casi simili (spesso derubricate come banali “liti in famiglia” e riassunte in frettolosi rapporti di servizio ) fossero compiutamente disciplinati da circolari operative da emanarsi da parte dei singoli Comandi.
L’art. 2 del decreto è quello in cui si concentrano le maggiori novità legislative ed anche ,ci si consenta, le maggiori criticità. Il comma 1 delinea una riscrittura dell’art. 282 bis del codice di procedura penale (quello che norma l’allontanamento dalla casa familiare, la misura cautelare più incisiva tra quelle che riguardano le violenze di genere) aggiungendo all’elenco dei delitti per cui si può procedere al di fuori dei limiti di pena previsti dall’art. 280 anche l’art. 582 del c.p. ovvero le lesioni e l’art. 612 secondo comma ovvero la minaccia grave . Ora, se consideriamo che entrambi i reati su cui ci stiamo focalizzando ,i maltrattamenti in famiglia e gli atti persecutori, rientrano entrambi nei citati limiti di pena (pena maggiore di tre anni) per cui risultano già applicabili le misure cautelari la norma in oggetto sembrerebbe ad una prima analisi ridondante e priva di immediati effetti operativi ,così non è come si vedrà ,tra breve, parlando del capo d) del Decreto in esame. Il successivo capo c) sancisce che c) all'articolo 380, comma 2, dopo la lettera l-bis) e'
aggiunta
la seguente: "l-ter) delitti di
familiari
conviventi e
di
atti
maltrattamenti
persecutori,
previsti
contro
dall'articolo
572
e e
dall'articolo 612-bis del codice penale;";
In questo caso la novità è tale da meritare un approfondimento. Nella flagranza di reato la misura precautelare dell’arresto diventa ,per l’endiade di delitti su cui ci stiamo concentrando, da facoltativo ad obbligatorio . La differenza non è di poco contro se si pensa al depotenziamento subito dal concetto stesso di arresto facoltativo in flagranza (laddove la facoltatività è stata spesso letta ed interpretata come derubricazione ipso facto in denuncia a piede libero) nonché alla richiamata difficoltà di circoscrivere il reato di maltrattamenti e di distinguerlo da ipotesi meno gravi di lesioni, minaccie, ingiurie o addirittura di comportamenti penalmente non rilevanti. Ma c’è di più, la nuova maggiore severità della norma in esame ripropone il problema del rapporto tra l’obbligatorietà della misura precautelare nel caso di
delitto soggetto a procedibilità di parte di cui ci siamo già occupati in un nostro precedente articolo sul “falso problema dell’arresto obbligatorio nel caso di violenza sessuale”. Tuttavia in questo caso , se ci si consente, il problema è ancor più “falso” in quanto non ci sono dubbi che la sussistenza del reato e quindi la possibilità di arresto siano subordinate entrambe ad una pregressa querela della parte offesa. Il problema operativo di intervento in flagranza riguarda invece il reato di maltrattamenti in famiglia : in questo caso l’operatore è chiamato ad arrestare obbligatoriamente per un comportamento che non incide immediatamente sulla sua scienza ma deriva da pregressi episodi spesso da lui non conosciuti; si pensi al caso dell’operatore intervenuto dopo pregressi interventi di altre FFOO da lui non conosciuti e rubricati in meri rapporti di servizio non presenti in alcuna banca dati, l”obbligatorietà” dell’arresto si riduce a mera grida manzoniana. Spieghiamoci meglio: come ricordato sia il delitto di maltrattamenti in famiglia che quello di atti persecutori sono reati a condotta multipla necessaria (il che è peraltro insito nel nome stesso, si confronti invece il caso del “maltrattamento” nei confronti di animali ): un unico episodio, ancorchè grave e ancorchè tale da determinare una singola autonoma condotta penale, non è in se tale da determinare il reato de quo . Quindi, per tornare all’esempio standard dell’autopattuglia chiamata ad intervenire in un potenziale caso di maltrattamenti o gli operatori ricostruiscono il delitto post factum con un processo induttiva a ritroso (acquisendo referti medici, pregressi rapporti di servizio, informazioni di persone informate sui fatti, ect) o sono già edotti (magari per essere già intervenuti essi stessi in circostanze analoghe) di un’antecedente condotta criminale tale da integrare il reato; solo in questo secondo caso l’arresto in flagranza è possibile e doveroso ma questo espone ,vista l’esposizione mediatica di questo tipo di delitti, a sempre possibili e strumentali accuse di comportamenti omissivi o comunque contra legem. Ben si farebbe ,onde evitare queste problematiche, in un dipartimento giudiziario, ad istituire una banca data di tutti gli interventi suscettibili di un potenziale sviluppo penale, del resto un richiamo dell’art. 6 del decreto in questione relativo al potenziamento delle banche dati previsto dal “piano di contrasto alle violenze” sembrerebbe andare in questa direzione.
Volendo concludere l’approfondimento in tema di arresto va ricordato che le norme in oggetto vanno comunque raccordate con quanto precedentemente disposto dalla legge c.d. “svuotacarceri” del 2012: ricordiamo che tale disposizione di legge sancisce ,per arrestati e fermati, un ricorso alla carcerazione come extrema ratio prevedendo, come soluzione di massima, il ricorso agli arresti domiciliari, in seconda battuta ,in caso di indisponibilità dei luoghi previsti per la detenzione domiciliare, il trattenimento presso le camere di sicurezza della polizia giudiziaria e solo in ultima analisi ,in caso di indisponibilità di tali camere nonché di pericolosità dell’arrestato e per altri casi di necessità ed urgenza, la detenzione in carcere. Non c’è dubbio che tra i motivi di necessità ed urgenza tali da inibire il ricorso agli arresti domiciliari ci sia la convivenza con la persona offesa del reato, l’indisponibilità presso molti Comandi di Polizia Locale di camere di sicurezza non resta che rendere necessaria la detenzione in carcere che, da eccezione ,diventa quindi la regola ,disattendendo lo spirito del legislatore del 2012 : è doveroso ricordare come appaia imprescindibile che tutti i comandi siano dotati di idonee strutture per il trattenimento di arrestati e fermati, problema su cui le amministrazioni, perlopiù si sono disinteressate. Il comma d) è quello in assoluto di più rilevante importanza e novità: vi si stabilisce che d) dopo l'articolo 384, e' inserito il seguente: "Art. 384-bis (Allontanamento d'urgenza dalla casa familiare) - 1. Gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria
hanno
facolta'
di
disporre,
previa
autorizzazione del pubblico ministero, l'allontanamento urgente dalla casa familiare con il divieto di avvicinarsi ai
luoghi
frequentati dalla persona offesa, nei confronti di chi flagranza dei delitti di
cui
sussistano fondati motivi per
all'articolo ritenere
che
282-bis, le
abitualmente e'
colto
comma
condotte
6,
in ove
criminose
possano essere reiterate ponendo in grave ed attuale pericolo la vita o l'integrita' fisica della persona offesa.
La misura cautelare dell’allontanamento è,in quanto tale , disposta dal Giudice per le Indagini Preliminari, è pertanto misura sottratta ad ogni contingenza ma lasciata
ad un prudente, ponderato ed in quanto tale necessariamente tardivo intervento del Giudice. Al contrario la norma in oggetto introduce una fattispecie urgente di allontanamento disposta non dal GIP né dal PM ma addirittura direttamente dalla Polizia Giudiziaria (la norma parla indifferentemente di “ufficiali ed agenti” delineando per la PG un quadro di intervento amplissimo) d’iniziativa, subordinandolo alla sola “autorizzazione” da parte del PM (autorizzazione che a questo punto non si capisce se debba essere necessariamente scritta o, vista l’urgenza, orale). Tale allontanamento rientra nella discrezionalità della polizia giudiziaria i cui ufficiali ed agenti “hanno facoltà” e non obbligo di disporre. Nel commentare l’introduzione di questa misura il ministro dell’interno ha commentato che servirebbe a “sbattere fuori” i violenti e i persecutori: adeguandosi al principio di legalità che contraddistingue il nostro ordinamento penale non sembrerebbero sussistere dubbi sul fatto che lo “sbatter fuori” dovrebbe tradursi in un verbale di polizia giudiziaria e che, trattandosi di provvedimenti limitativi della libertà individuale, tale verbale andrebbe non semplicemente “autorizzato”, ma convalidato dall’Autorità Giudiziaria, il richiamo ,da parte del DM in oggetto, agli artt. 383 e ss del codice di procedura penale va d’altra parte in questa direzione. La completa assenza di indicazioni operativi da parte di Procure e ministeri farà verosimilmente sì che, aldilà di ogni entusiasmo, la polizia giudiziaria farà necessariamente un utilizzo parco e prudente di tale “facoltà”. Ma ,ahimè,le criticità non si esauriscono qui. I presupposti per l’adozione di tale ,del tutto inedito, allontanamento sono, oltre alla flagranza ,il fatto di rientrare nel comma 6 dell’art. 282 bis, su cui ci si è precedentemente soffermati ovvero come si ricorderà tutti quei delitti per i quali ci si può avvalere della misura cautelare dell’allontanamento in deroga ai limiti di pena previsti. Questo limitare la facoltà di allontanamento all’eccezione (il comma 6) e non alla regola conduce all’assurdo per cui la polizia potrebbe avvalersi dei poteri previsti dall’art. 384 bis in caso di lesioni (reato demandato alla competenza del giudice di pace) ma non nei più gravi delitti di maltrattamenti in famiglia e atti persecutori.
E’ oltremodo opportuno che il legislatore scelga di rivedere questa, incomprensibile e paradossale ,”svista” Altrimenti ci si rassegni ad una schizofrenia in cui si vuole tutto ed il contrario di tutto : “svuotare “ le carceri per poi tornare a riempirle con stalker e stupratori, combattere le violenze di genere senza dare a quanti sono in prima lina per contrastarle i necessari strumenti giuridici e operativi. Ad abundantiam dobbiamo ricordare ,nel parlare di reati contro la persona e la famiglia, che al Cassazione Penale ha stabilito per l’ennesima volta la piena competenza in materia della Polizia Locale ,come ben dimostra l’eccellente lavoro sul campo effettuata, per citare un rilevante esempio, dall’Unità Specialistica della Polizia Locale di Milano .
che “la querela proposta è irrevocabile”. L’irrevocabilità della querela ,in deroga ai principi fondamentali dell’ordinamento penale che sanciscono la volontarietà e quindi la revocabilità delle condizioni di procedibilità ,è lungi dall’essere una novità nell’ordinamento italiano. Com’è noto la querela è irrevocabile anche nei casi di violenza sessuale ,con la finalità di evitare fenomeni di intimidazione o coazione sulla vittima per indurla a rimettere la querela . Il punto su cui focalizzarsi per la polizia operante, aldilà dell’obbligo di informazione per la persona offesa, è il fatto che il reato di atti persecutori resta tuttavia reato a perseguibilità di parte ,tranne che per i casi disciplinati dall’ultimo comma ossia essenzialmente quelli che vedono come parti offese i minori o i portatori di disabilità. La differenza con il reato di maltrattamenti in famiglia previsto dall’art. 572 non è di poco conto ,se si considera che quest’ultimo è e resta a perseguibilità d’ufficio. Su tale problematica si sono concentrate, in questa prima fase di avvio del Decreto, le critiche di avvocati,penalisti e di quanti hanno giudicato inopportuno sancire l’irrevocabilità della querela. Questa differenza deve essere ben presente all’operatore chiamato ad intervenire per “reati di genere” e a tutela delle fasce deboli: nel primo caso ,quello dell’art. 572 ,una volta circoscritto l’elemento oggettivo del reato (che resta come forse non è inutile ricordare una reiterazione di comportamenti e non singolo episodio) l’operatore deve essere consapevole di avere un preciso obbligo di legge ad inviare una notizia di reato anche senza o addirittura contro la volontà della vittima, nel secondo ,quello dell’art. 612 bis , deve sapere che la procedibilità è resta subordinata (a parte le eccezioni viste) ad una volontà di parte.
Non sarebbe inopportuno che le modalità di intervento in casi simili (spesso derubricate come banali “liti in famiglia” e riassunte in frettolosi rapporti di servizio ) fossero compiutamente disciplinati da circolari operative da emanarsi da parte dei singoli Comandi. L’art. 2 del decreto è quello in cui si concentrano le maggiori novità legislative ed anche ,ci si consenta, le maggiori criticità. Il comma 1 delinea una riscrittura dell’art. 282 bis del codice di procedura penale (quello che norma l’allontanamento dalla casa familiare,la misura più incisiva tra quelle che riguardano le violenze di genere) aggiungendo all’elenco dei delitti per cui si può procedere al di fuori dei limiti di pena previsti dall’art. 280 anche l’art. 582 del c.p. ovvero le lesioni e l’art. 612 secondo comma ovvero la minaccia grave . Ora,se consideriamo che entrambi i reati su cui ci stiamo focalizzando ,i maltrattamenti in famiglia e gli atti persecutori, rientrano entrambi nei citati limiti di pena (pena maggiore di tre anni) per cui risultano applicabili le misure cautelari la norma in oggetto sembrerebbe ad una prima analisi ridondante e priva di immediati effetti operativi ,così non è come si vedrà ,tra breve, parlando del capo d) del Decreto in esame. Il successivo capo c) sancisce che c) all'articolo 380, comma 2, dopo la lettera l-bis) e'
aggiunta
la seguente: "l-ter) delitti di
familiari
conviventi e
di
atti
maltrattamenti
persecutori,
previsti
contro
dall'articolo
572
e e
dall'articolo 612-bis del codice penale;";
In questo caso la novità è tale da meritare un approfondimento. Nella flagranza di reato la misura precautelare dell’arresto diventa ,per l’endiade di delitti su cui ci stiamo concentrando, da facoltativo ad obbligatorio . La differenza non è di poco contro se si pensa al depotenziamento subito dal concetto stesso di arresto facoltativo in flagranza (laddove la facoltatività è stata spesso letta ed interpretata come derubricazione ipso facto in denuncia a piede libero) nonché alla richiamata difficoltà di circoscrivere il reato di maltrattamenti e
di distinguerlo da ipotesi meno gravi di lesioni,minaccie,ingiurie o addirittura di comportamenti penalmente non rilevanti. Ma c’è di più, la nuova maggiore severità della norma in esame ripropone il problema del rapporto tra l’obbligatorietà della misura precautelare nel caso di delitto soggetto a procedibilità di parte di cui ci siamo già occupati in un nostro precedente articolo sul “falso problema dell’arresto obbligatorio nel caso di violenza sessuale”. Tuttavia in questo caso , se ci si consente, il problema è ancor più “falso” in quanto non ci sono dubbi che la sussistenza del reato e quindi la possibilità di arresto siano subordinate entrambe ad una pregressa querela della parte offesa. Il problema operativo di intervento in flagranza riguarda invece il reato di maltrattamenti in famiglia : in questo caso l’operatore è chiamato ad arrestate obbligatoriamente per un comportamento che non incide immediatamente sulla sua scienza ma deriva da pregressi episodi spesso da lui non conosciuti; si pensi al caso dell’operatore intervenuto dopo pregressi interventi di altre FFOO da lui non conosciuti e rubricati in meri rapporti di servizio non presenti in alcuna banca dati,l”obbligatorietà” dell’arresto si riduce a mera grida manzoniana. Ben si farebbe ,in un dipartimento giudiziario, ad istituire una banca data di tutti gli interventi suscettibili di un potenziale sviluppo penale. Il comma d) è quello in assoluto di più rilevante importanza e novità: vi si stabilisce che d) dopo l'articolo 384, e' inserito il seguente: "Art. 384-bis (Allontanamento d'urgenza dalla casa familiare) - 1. Gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria
hanno
facolta'
di
disporre,
previa
autorizzazione del pubblico ministero, l'allontanamento urgente dalla casa familiare con il divieto di avvicinarsi ai
luoghi
frequentati dalla persona offesa, nei confronti di chi flagranza dei delitti di
cui
sussistano fondati motivi per
all'articolo ritenere
che
282-bis, le
abitualmente e'
colto
comma
condotte
6,
in ove
criminose
possano essere reiterate ponendo in grave ed attuale pericolo la vita o l'integrita' fisica della persona offesa.
La misura cautelare dell’allontanamento è,in quanto tale , disposta dal Giudice per le Indagini Preliminari, è pertanto misura sottratta ad ogni contingenza ma lasciata ad un prudente,ponderato ed in quanto tale necessariamente tardivo intervento del Giudice. Al contrario la norma in oggetto introduce una fattispecie urgente di allontanamento disposta non dal GIP né dal PM ma addirittura direttamente dalla Polizia Giudiziaria (la norma parla indifferentemente di “ufficiali ed agenti” delineando per la PG un quadro di intervento amplissimo) d’iniziativa, subordinandolo alla sola “autorizzazione” da parte del PM (autorizzazione che a questo punto non si capisce se debba essere necessariamente scritta o,vista l’urgenza, orale). Tale allontanamento rientra nella discrezionalità della polizia giudiziaria i cui ufficiali ed agenti “hanno facoltà” e non obbligo di disporre. I presupposti per l’adozione di tale ,del tutto inedito, allontanamento sono, oltre alla flagranza ,il fatto di rientrare nel comma 6 dell’art. 282 bis,su cui ci si è precedentemente soffermati . A tale punto è necessario ricordare che,in quest’elenco , non risultano tuttora ricompresi i delitti di cui agli artt. 572 e 612 bis del codice penale. Ci troviamo pertanto al paradosso di una polizia giudiziaria chiamata obbligatoriamente all’arresto obbligatorio se chiamata ad intervenire per questo tipo di delitti e priva di avvalersi del “potere speciale” derivante dal nuovo art. 384 bis per questi stessi reati con il conseguente,ancor più amaro paradosso, per cui un arrestato per il reato di maltrattamenti in famiglia rischia di vedersi assegnati gli arresti domiciliari prima del provvedimento di allontanamento del Giudice,con buona pace per gli sbandierati diritti delle vittime. Ben maggiore logicità avrebbe avuto l’ipotesi dell’allontanamento urgente della PG circoscritta ai casi di arresto obbligatorio, o almeno estesa ai due reati in questione. A questo punto si fa strada il fondato sospetto che quello del legislatore al comma 1 dell’art. 2 del decreto sia un banale ,ancorchè nocivo, refuso e che per “582 (lesioni)” il distratto legislatore abbia voluto intendere “572 (maltrattamenti) mentre per la voce 612 secondo comma altro non si debba intendere che la’rt. 612 bis.
Quindi,se il testo pubblicato sulla Gazzetta è effettivamente un refuso si ponga rimedio a ciò nella conversione alle Camere . Altrimenti ci si rassegni ad una schizofrenia in cui si vuole tutto ed il contrario di tutto : “svuotare “ le carceri per poi tornare a riempirle con stalker e stupratori,combattere le violenze di genere senza dare a quanti sono in prima lina per contrastarle i necessari strumenti giuridici e operativi. Ad abundantiam dobbiamo ricordare a chiunque,nel parlare di reati contro la persona e la famiglia, che al Cassazione Penale ha stabilito per l’ennesima volta la piena competenza in materia della Polizia Locale ,come ben dimostra l’eccellente lavoro sul campo effettuata, per citare un rilevante esempio,dall’Unità Specialistica della Polizia Locale di Milano .