80942/2012
Anno: XXV
N.: 2 (202)
EDB, Bologna
Data: marzo - aprile 2013
Pagina: 26
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RISPOSTE SENSAT ALLA DOMANDA D Quando bisogna annunciare ai figli la morte di una persona che hanno amato non ci si può presentare impreparati. Non sempre, però, i genitori sono attrezzati per l’arduo compito e la maggior parte confessa di affidarsi all’improvvisazione . Un libro di Francesco Campione, docente di psicologia clinica all’Università di Bologna, spiega come comportarsi di Vito Salinaro
«Chi educherà gli uomini a
morire li educherà a vivere». L’aforisma di Montaigne può suscitare indifferenza, timore o addirittura fastidio in una cultura che tende a rimuovere il tema della morte. Ma è centrale per declinare le problematiche legate all’educazione al distacco, specie quando a elaborare un lutto per la perdita di una persona cara è un bambino. Nei confronti del quale i genitori hanno un compito più o meno arduo, che può essere portato avanti con successo oppure interferire con i processi di sviluppo determinando disturbi affettivi, cognitivi e comportamentali. Va proprio nella direzione di offrire un aiuto ai genitori, in questo delicato compito, lo sforzo editoriale di Francesco Campione, docente di Psicologia clinica e psicodiagnostica alla facoltà di Medicina dell’Università di Bologna, autore del volume “La domanda che vola. Educare i bambini alla morte e al lutto” (Edizioni Dehoniane Bologna, collana “Persona e psiche”, 140 pagine, 9.90 euro). Perché, secondo l’autore, è fondamentale che per poter tentare di dare risposte ai bambini, i genitori rivolgano prima di tutto a loro stessi tante domande. Ausili importanti in questa ricerca che papà e mamme sono chiamati a fare, risultano le analisi della letteratura di
riferimento. L’autore indaga infatti la concezione scientifica dell’educazione alla morte a partire dalla posizione psicologica – tracciando varianti e limiti dell’impostazione «fiabesca» e di quella «razionalistica». L’indagine investe poi la sfera religiosa. Viene presentata la visione cristiana, fino a spaziare a quelle ebraica, musulmana, induista e buddista. Il testo di Campione, nella parte finale, formula un’«indicazione educativa con un certo carattere di universalità». «La consapevolezza di questa dimensione educativa – spiega l’autore non è molto spiccata. In occasione di un lutto da comunicare ai bambini, i genitori riferiscono spesso che se la cavano come possono: “ai nostri figli diciamo ciò che ci viene più spontaneo, per esempio, che il parente è volato in cielo”. È sorta dunque l’esigenza di riflettere su questo tema che poi influenza tutti gli altri aspetti del nostro rapporto con la morte e con il lutto di fronte ai quali noi ci porremo a seconda dell’educazione ricevuta da piccoli». Ma come si aiutano i genitori in questo percorso? «Prima di tutto abbiamo bisogno di una grande empatia – spiega Campione ; per poterli aiutare occorre mettersi nei loro panni, cogliendo aspetti fondamentali della loro impostazione esistenziale e capire qual è la loro posizione dal punto di vista
SENSO educativo. Poi bisogna conoscere la psicologia dell’età evolutiva». Ecco un esempio per capire meglio: «Se – continua Campione –, dopo la scomparsa di uno zio al quale era affezionato, un bambino di 3 anni chiede “dov’è andato?”, i genitori non possono rispondere: “purtroppo è morto e non torna più”. Questa impostazione è assolutamente inadeguata perché a 3 anni non si è ancora consapevoli che i morti non tornano, anzi, si pensa che tornino. È dunque indispensabile la conoscenza dello sviluppo infantile in modo tale da stare a quel livello». Ancora, «bisogna aiutare i nuclei a compiere scelte educative che di solito non si fanno consapevolmente. Per capirci, ci sono genitori non credenti che parlano di morti che vanno in cielo e genitori credenti che invece parlano di tutt’altro ai loro figli». L’ambizione del libro è quindi «mettere in piedi una proposta educativa articolata, una sorta di iniziazione che vuole essere inclusiva di tutte le posizioni, tracciando un contesto educativo universale basato sul fatto che il bambino va educato a intraprendere una ricerca senza fine sulle domande infinite che ci sono attorno alla morte. Se si fa questo tutte le opzioni educative possono essere incluse, perché nessuna di queste va intesa come esaustiva». ◆
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MERCOLEDÌ 30 GENNAIO 2013
ANNO VII - N. 25
PAGINA 12
80942/2012 Anno: LVII
Num: 20
Vol: 1133
Data: 15 novembre 2012
Pagina: 692
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Settimanale d’informazione della Diocesi di Chioggia
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Anno: XXXVI
Numero: 1-2 (153)
Mese: gennaio-marzo 2013
Pagine: 69-70
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Narrare la morte ai bambini I
l mese di novembre è quello tradizionalmente dedicato al culto dei defunti, con la visita ai cimiteri e l’ornamento delle tombe, un’occasione per ricordare i propri cari ma anche per riflettere sul mistero della morte e del suo inscindibile legame con la vita. La visita ai defunti diventa così una sorta di risarcimento di una tendenza, tipica della società contemporanea, a nascondere la morte, a considerarla un evento che va vissuto esclusivamente in privato, qualcosa di cui non è opportuno parlare perché in totale contrasto con la logica efficientistica e utilitaristica che regola la nostra società. In questo contesto culturale si pone una questione ulteriore, quella di come parlare della morte ai bambini, ai propri figli, domanda che spesso mette in forte difficoltà genitori ed educatori, facendoli sentire inadeguati a tale compito. Un’interessante e originale prospettiva è quella che propone in un volume di recente pubblicazione uno dei principali esperti italiani di elaborazione del lutto. Si tratta del direttore del primo master italiano di specializzazione in tanatologia e fondatore dell’Istituto di tanatologia e medicina psicologica, il prof. Francesco Campione, docente di psicologia clinica presso l’università di Bologna, autore di una quindicina di pubblicazioni sul tema. La domanda che vola. Educare i bambini alla morte e al lutto è il titolo della sua ultima fatica editoriale (EDB, Bologna 2012, pp. 140, Ä 9,90) dedicato a come trattare il tema della morte con i bambini quando essa si presenta nella loro vita. L’idea del docente, piuttosto rivoluzionaria, è che alla morte, come a qualsiasi evento umano, sia possibile educare i più piccoli che troppo spesso vengono trattati in maniera inadeguata, non sufficientemente ascoltati e, soprattutto, spesso liquidati nelle loro domande con risposte evasive e non all’altezza della situazione.
Le «quote di verità» Sostanzialmente – afferma il docente – oggi si tende a presentare la morte in maniera tale da rimuoverla il più e prima possibile dalla vita del bambino, cercando di minimizzarla. È quella che l’autore definisce «la strategia della distrazione». «Nella nostra epoca l’educazione alla morte tende a non far parte dell’educazione alla vita, e
l’educazione alla vita di oggi si basa proprio sul tentativo di far scomparire i sentimenti che accompagnano la morte – si legge nell’introduzione –. I bambini sperimentano abbastanza presto la paura di morire, ma non li si educa a considerare questi sentimenti come “normali” e inevitabili, imparando a gestirli e a superarli crescendo: si fa, anzi, sempre di tutto perché i bambini li cancellino, come se tali sentimenti fossero inadatti al fatto stesso di essere bambini». Ne deriva la modalità più diffusa di affrontare la questione da parte dei genitori o anche degli educatori, la distrazione, appunto, per cui si invitano i bambini a sostituire le paure, le angosce o anche il desiderio di morire (che può scattare quando si perde, per esempio, un genitore) a «sostituirli» con sentimenti più positivi e gratificanti, con frasi del tipo «non pensarci e divertiti», oppure «queste non sono cose per bambini» (nel caso si tratti di perdita di persone conosciute ma non troppo legate alla vita del bambino). La strategia della distrazione diviene, secondo questa logica, strategia della sostituzione nel caso della perdita di figure fondamentali e come quelle genitoriali, per cui si tende a non far pensare il bambino alla mancanza di quella figura dirottando la sua attenzione sulle persone che invece ci sono e che si prenderanno cura di lui (l’altro genitore, fratellini, parenti ecc.). Se poi il bambino manifesta una domanda tipo «papà è morto, voglio morire anch’io», si risponde «e come farai dopo a fare tutto quello che vuoi fare?». Sostanzialmente, si invita a distrarsi dall’idea della morte con qualcosa di gratificante. I limiti di una tale impostazione, che ben rispecchia la logica della nostra epoca per cui tutto ciò che si fa deve essere gratificante per l’individuo, ha grossi limiti nel fatto che ci saranno bambini a cui tale gratificazione non basterà, o altri a cui basterà per un po’ ma poi risulterà pure inutile, con la conseguenza di frustrazioni e l’insorgere di sentimenti di rabbia e di aggressività per il «soffocamento» che si è fatto dei loro inevitabili sentimenti. L’educazione alla morte tende così a diventare apprendimento dei modi per non pensarci. Più complessa e articolata è invece la premessa culturale su cui ci si basa quando si sceglie di educare i bambini a non allontanare il pen-
Uno dei maggiore esperti del lutto e della sua elaborazione descrive in queste pagine quali parole e immagini è bene proporre ai piccoli rispondendo alle loro domande dirette sulla morte e su dopo la morte. Non si può far finta di niente.
siero della morte e i sentimenti che la accompagnano, ma imparare a potervi convivere. In questo caso, si educa a pensare che alla morte vi è un rimedio, elaborando un’idea della morte tale da «contenerne» la tragicità, oppure trasmettendo l’idea religiosa che la morte colpisce solo il corpo ma non l’anima che vi sopravvive, oppure considerando la morte in senso positivo in quanto ci aiuta a vivere meglio la vita e ogni suo attimo. In questa seconda modalità rientrano tutte le spiegazioni secondo le varie fedi religiose cui i genitori appartengono, anche se occorre evidenziare come presentare la morte come qualcosa che pone termine a questa vita per un’altra, in cielo, come accade in abito cristiano, pone nuove domande (dov’è il cielo? cosa si fa in cielo?) che presuppongono, da parte dell’adulto, la capacità di dare risposte adeguate a seconda dell’età e dello sviluppo cognitivo del bambino. Entra in campo quella che Campione definisce «la narrazione dell’eternità», la capacità di narrare un concetto così estraneo alla natura umana cui gli adulti, spesso, anche i più credenti, sono impreparati o si trovano loro stessi a crederci con poca convinzione. Fondamentale, sia nella prima modalità che nella seconda, appare il contributo della psicologia evolutiva, che ci aiuta a capire lo sviluppo psichico del bambino, per cui dai 0 ai 3 anni il bambino è convinto che la morte sia reversibile e non universale, dai 4 ai 6 anni comprende che la morte è irreversibile e universale ma la sua causa può essere anche non naturale o biologica (per es. una magia), tra i 6 e i 9 anni comprende che la morte è una cessazione irreversibile delle funzioni vitali, che avviene per ragioni biologiche e che riguarda tutti, compreso se stesso. L’educazione alla morte come elaborazione positiva del pensiero di essa nel processo di maturazione del bambino porta ad un’altra impostazione, quella di dare ascolto, da una parte, al bisogno dei bambini, anch’esso evolutivo, di esprimere i loro sentimenti, per cui è importante dir loro la verità sulla morte e, dall’altra, il bisogno di essere protetti da traumi che farebbero perdere loro il controllo alimentando angosce inutili. Un tale equilibrio si costruisce nel tempo sia comunicando una verità parziale che gradualmente diviene to-
tale, sia tacendo la verità in attesa che il bambino stesso ci mandi segnali di cambiamento e di crescita da cui capiamo che è pronto ad affrontarla; in entrambi i casi si educa il bambino attraverso «quote di verità» che gli adulti devono saper gestire. Tale modalità viene portata all’estremo quando il cosiddetto «esame di realtà», certamente utile per aiutare il bambino a rendersi consapevole dei limiti ontologici della natura umana, diviene educazione al «diritto alla verità» dove la razionalità predomina e pretende di adeguare ad essa i sentimenti.
Educare al mistero È qui che s’inserisce una terza via, una terza possibilità di approccio, che salvi gli elementi positivi di entrambe ma apra, al tempo stesso, una nuova prospettiva che coinvolge maggiormente il contributo del bambino stesso, così che egli la senta più sua e non di altri. È la proposta che l’autore intende trasmettere, e cioè educare il bambino a concepire la morte come in realtà è, un grande mistero, attraverso una ricerca paziente, e a non rinunciare a desiderare il bene nonostante la necessità della morte stessa. «La chiave di volta di questa educazione è suscitare nel bambino un desiderio infinito di svelare il mistero della morte che continuamente risorge, nonostante il fatto che non si riesca a svelarlo – scrive Campione –. Il bambino potrà così imparare a “prendere” il trauma della morte sia dalla parte dei sentimenti (con il cuore), sia dalla parte del sapere (con il cervello)». Si tratterà di insegnare al bambino a «ospitare il trauma», a prenderne coscienza in sé. Per questo occorre un tempo lungo e un linguaggio creativo adatto all’età e alle circostanze, cercando di trasmettere un messaggio basilare: «che sulla morte rimane sempre un margine di incertezza su “come andranno le cose” e che, comunque vadano, c’è sempre la possibilità che dal trauma della morte si possa trarre qualcosa di buono, dato che essa apre a “mondi misteriosi” dai quali potrebbe scaturire anche il bene, l’importante è non farsi scoraggiare dal continuare a desiderare il Bene». Sabrina Magnani
settimana 18 novembre 2012 | n° 42
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La domanda che vola Francesco Campione
Come educare i bambini alla morte e al lutto? Un nuovo libro di uno specialista in psicologia medica prova a esplorare strade nuove «La domanda che vola»: si intitola così un breve saggio appena pubblicato dall'editrice EdB in cui Francesco Campione, medico e fondatore dell'Istituto di Tanatologia e Medicina psicologica, affronta il tema delicato del rapporto tra i bambini e la morte. La particolarità dell'approccio di Campione è il tentativo di andare oltre sia al discorso «favolistico» sia a quello «scientifico» sulla morte, per provare a tracciare una strada in cui le domande sulla morte diventano anche nel bambino occasioni per incontrare il mistero della vita. Dal volume anticipiamo qui sotto un brano del primo capitolo. -----------------«Chi insegnerà agli uomini a morire, insegnerà loro a vivere»: questo aforisma di Montaigne afferma che è difficile imparare a vivere senza aver trovato qualche soluzione al problema della morte, cioè senza che qualcuno ci abbia insegnato a morire. La tesi è convincente. Basta considerare quale vita sono costretti a fare coloro che sono dominati dai sentimenti che può provocare negli esseri umani la coscienza di essere mortali, cioè, fondamentalmente, la paura, l'angoscia e il desiderio della morte. Chi ha tanta paura di morire tenderà ad aver «paura di tutto» - perché si può rischiare di morire anche inciampando su un gradino di casa -, o a sviluppare qualche paura «preventiva» (fobia), che consiste nell'evitare ciò che fa pensare al rischio di morire, come la fobia dell'aereo, dei luoghi affollati, del buio o della morte stessa. Chi teme che il nulla ci attenda dopo la morte, cioè chi pensa che si viva una volta sola e soffre di quella particolare sofferenza che i filosofi (come Heidegger) hanno chiamato «angoscia di morte», dovrà impegnarsi nella sempre incerta ricerca dell'eternità e dell'infinito, se vuole annullare il nulla dopo la morte, o dovrà trovare il coraggio di vivere come se ogni istante fosse l'ultimo, se vuole fare l'eroe di fronte al nulla. Chi desidera la morte ogni volta che non riesce a sopportare la vita avrà una vita precaria e la disprezzerà ogni volta che soffre troppo. Per non «rovinarsi» la vita in uno di questi tre modi sembrano esserci solo due possibilità: o eliminare i sentimenti che accompagnano la morte (paura, angoscia e desiderio) «separando» la morte dalla vita, oppure tenerseli ed «educarli», in modo da rendere vivibile la vita nonostante la morte. La prima alternativa è quella preferita dalla nostra cultura, la seconda è quella suggerita dall'aforisma di Montaigne. Ecco perché nella nostra epoca l'educazione alla morte tende a non far parte dell'educazione alla vita e l'educazione alla vita di oggi si basa proprio sul tentativo di far scomparire i sentimenti che accompagnano la morte. I bambini sperimentano abbastanza presto la paura di morire, sono talvolta sconvolti quando al posto di qualcuno c'è un'assenza o un vuoto e in rari casi possono arrivare a rifiutare di vivere quando non ce la fanno; ma non li si educa a considerare questi sentimenti come «normali» e inevitabili imparando a gestirli e a superarli crescendo: si fa, anzi, quasi sempre di tutto perché i bambini li cancellino, come se tali sentimenti fossero inadatti al fatto stesso di essere bambini. Quando un bambino intuisce che anche lui dovrà morire può fare la fatidica domanda: «Mamma, poi muoio, vero?». Nel nostro contesto culturale la risposta sarà quasi sempre una delle possibili varianti (in base al linguaggio di chi risponde) della seguente esclamazione: «Ma cosa dici, bambino mio! I bambini non devono interessarsi di queste cose!». Nell'ottica suggerita da Montaigne, bisognerebbe invece rispondere pressappoco così: «Tutti, prima o poi, dobbiamo morire e crescendo imparerai che, pur non volendolo, alla fine tutti riescono a morire».
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Quale delle due alternative è preferibile? Per rispondere a questa domanda, dobbiamo chiederci attraverso quali vie esse si possono attuare nell'iter educativo concreto di ciascun bambino, in che misura siano attuabili e con quali conseguenze. Nell'educazione dei bambini la prima alternativa, ossia eliminare i sentimenti che accompagnano la morte separando la morte dalla vita, si attua tutte le volte che di fronte a un bambino che esprime paura, angoscia o desiderio di morire, si pensa che nell'infanzia non si dovrebbero nutrire tali sentimenti e lo si aiuta a «distrarsi», «sostituendoli» con altri sentimenti più positivi e più «vitali». Quale genitore o educatore non l'ha fatto pensando di essere nel giusto? Le vie che si utilizzano per portare avanti questo tentativo sono vie di rassicurazione e di gratificazione che «cambiano» i sentimenti del bambino, ad esempio «Ho paura di morire» diventa «Ho voglia di giocare»; «Come faccio senza la mamma?» diventa «La mamma mi manca tanto ma io sto bene lo stesso»; «Papà è morto e voglio morire anch'io» diventa «Papà è morto, ma io posso fare lo stesso tutto quel che voglio!». Esempi 1. Dalla paura di morire alla voglia di giocare «Bob è morto e non torna più. Anche noi non torneremo più? Ho paura!». «Dai, non pensarci, prendi la bicicletta che andiamo al parco!». 2. Non pensare a chi hai perso, pensa a coloro che ci sono «Come faccio senza la mamma?». «C'è papà, ci sono i nonni, i fratellini e gli amici che ti vogliono tanto bene...». 3. Non voglio più morire se morire significa non poter fare più niente «Papà è morto e voglio morire anch'io». «E come fai dopo a fare tutto quello che vuoi?». Questi esempi sintetizzano l'indicazione dominante della nostra epoca che suona circa così: «Distraiti dall'idea della morte con qualcosa di gratificante; se perdi qualcuno, assicurati di poterlo sostituire con altre persone care e continua a vivere il meglio possibile; se non sei contento della vita e ti viene voglia di rifiutarla, pensa che qualsiasi cosa tu voglia fare lo puoi fare solo se resti vivo». Un numero sempre maggiore di genitori e di educatori segue l'indicazione dello «spirito dei tempi», cercando di attuare la conseguente strategia educativa. Ma in quale misura ci riescono? Ciò si verifica tanto più quanto meno forti sono la paura, l'angoscia e il desiderio di morte del bambino. Diversamente, non si riesce a distrarlo e i sentimenti di morte permangono dentro di lui. Si potrebbe allora dire che, se preferiscono, genitori ed educatori possono cercare di attuare questa alternativa finché non incontra il suo limite, cioè fino a quando i sentimenti di morte non si rafforzano a tal punto nella mente del bambino che diventa impossibile cancellarli. Infatti, come conferma tutta la letteratura sull'argomento, i problemi di questa strategia sorgono allorché chi dovrebbe rassicurare e gratificare il bambino, distraendolo così dalla morte, non riesce nel suo intento, perché la distrazione proposta della paura della morte non basta, perché la rassicurazione sulla possibilità di sostituire chi non c'è più non è abbastanza convincente, o perché di fronte alla morte il rifiuto della vita da parte del bambino è più forte di qualsiasi desiderio da realizzare. Le principali conseguenze di questa scelta educativa, quando essa ha successo, sono: 1. i bambini non pensano alla morte, non hanno più paura di tutto e non sviluppano fobie; 2. i bambini non hanno bisogno di annullare il nulla della morte né di trovare il coraggio di affrontarlo, e non sentono l'angoscia della morte perché riempiono il nulla della morte con altra vita (se, ad esempio, perdono la madre ne sostituiscono il bisogno con altre relazioni); 3. i bambini non sentiranno la precarietà della vita e non la disprezzeranno mai perché non soffriranno mai più di tanto. In sostanza, questa alternativa educativa si attuerà a condizione che si riesca ad aiutare il bambino a: non avere più paura della propria morte ignorandola in qualche modo; superare il lutto per la morte dei cari
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sostituendoli; essere sempre abbastanza felice da amare la vita e da non desiderare la morte. Ed ecco perché i genitori e gli educatori tendono a preferirla: equivale al desiderio più profondo di chi ama un bambino, che consiste nel garantirgli una vita sicura e felice, senza la paura che essa finisca e senza l'angoscia di essere abbandonato. Purtroppo però ci sono bambini che hanno una paura di morire insuperabile, un'angoscia di abbandono senza rimedio o un profondissimo rifiuto della vita. Questo accade quando nessuna rassicurazione e gratificazione bastano a «eliminare» e/o «sostituire» i sentimenti di morte di un bambino, e distrarlo da questi sentimenti diventa impossibile. Ciò si verifica: quando gli adulti hanno più paura di morire dei bambini e non sono in grado di rassicurarli e distrarli; quando il bambino ha assistito alla morte violenta di un caro e diventa difficile distrarlo dal ricordo traumatico; quando coloro che restano non sono in grado di sostituire adeguatamente chi non c'è più e il bambino si sente irreparabilmente abbandonato; quando il bambino è malato o vive in condizioni che rendono la sua vita penosa. In questo caso non resta che la seconda alternativa, vale a dire tenersi i sentimenti della morte ed educarli, e bisogna chiedersi se paura, angoscia e desiderio di morire, non potendo essere superati, non possano invece essere «utilizzati» trasformandoli in «mezzi» per vivere meglio. «Mamma, poi muoio, vero?». «Tutti moriremo, ma tra tanto tempo. Nel frattempo troveremo un rimedio...». C'è quindi la seconda alternativa (educare i sentimenti della morte in modo che la mente possa «contenerli» e la vita sia vivibile nonostante si nutrano sentimenti come la paura, l'angoscia e il desiderio della morte). Per cui non si cerca più di distrarre il bambino dai sentimenti di morte, ma gli si indica la possibilità di tenerseli per farsi condurre da essi alla ricerca di un rimedio. In sostanza, la paura della morte non va contrastata ma «utilizzata» per trovare un modo per combatterne la causa, cioè la morte stessa. Così anche per l'angoscia e per il desiderio della morte. Esempi 1. Non ho paura della morte se morire significa acquisire qualcosa di buono «Bob è morto e non torna più. Anche noi non torneremo più? Ho paura!». «E se morendo andassimo in un bel posto?». 2. I morti non muoiono mai del tutto e ci possiamo sempre aiutare reciprocamente «Come faccio senza la mamma?». «Lo scopriremo insieme. O potremmo scoprire che dovunque sia la mamma ci può sempre aiutare e noi possiamo aiutare lei». 3. Non posso voler morire se non so cosa significa «Papà è morto e voglio morire anch'io». «Prima scopriamo se dove è andato è meglio o peggio di essere vivi». Sono ancora pochi i genitori di oggi che scelgono l'alternativa, ardua e complessa, di aiutare i bambini a educare i sentimenti di morte senza separarli dalla vita, ma anzi cercando di migliorarla proprio a partire dai sentimenti che la morte stessa determina. Eppure, si tratta di una via obbligata in tutti casi in cui la prima via non funziona o va in crisi. Le principali conseguenze di questa scelta educativa, quando ha successo, sono: 1. non si ha paura del fatto che i bambini pensino alla morte, che abbiano tante paure o sviluppino fobie, perché la morte si può imparare a tenerla nella mente, le paure si possono gestire e le fobie superare crescendo; 2. si può cercare insieme ai bambini di pensare al «nulla» della morte che l'abbandono dei propri cari lascia, perché questo nulla può trasformarsi in qualcosa di eterno e infinito, o cercare di sviluppare il coraggio di guardare in faccia la morte come mezzo per accrescere la dignità del vivere; 3. si potranno aiutare i bambini ad apprezzare la vita anche quando essa è precaria o segnata dalla sofferenza, scoprendo insieme a loro il suo senso e quello della morte.
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Mercoledì 30 gennaio 2013 Sei in: Repubblica Bologna / Cronaca / Gli appuntamenti di mercoledì…
Gli appuntamenti di mercoledì 30 INCONTRI Francesco Campione. Alle 18 alla libreria Rivivere (Torleone 5), Francesco Campione presenta il suo nuovo saggio «La domanda che vola. Educare i bambini alla morte e al lutto», nell’ambito di Educazione sentimentale alla morte ed al lutto.
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Eventi -> Culturali -> Emilia Romagna -> BO - > Bologna
Eventi Culturali Educazione Sentimentale
Ciclo di Incontri su Educazione Sentimentale alla Morte e al Lutto
dal 30/01/2013 ore 18.00 Dove: Via Torleone, 5 Libreria Rivivere Bologna (BO)
info su Bologna e mappa interattiva
Emilia Romagna - Italia Fonte: Ufficio Stampa de Salvador
Scheda Evento
Educazione Sentimentale
Ciclo di Incontri su Educazione Sentimentale alla Morte e al Lutto IV Edizione
Mercoledì 30 Gennaio 2013
Gli incontri sono condotti dal prof Francesco Campione Ha inizio mercoledì 30 gennaio, alle ore 18, – presso la Libreria Rivivere in via Torleone 5 a Bologna – la IV edizione dell'Educazione sentimentale, condotta dal Prof Francesco Campione, che quest'anno si snoda sul tema dell'"Educazione alla morte e al lutto". I successivi incontri, gratuiti, si terranno mercoledì 27 FEBBRAIO, mercoledì 20 MARZO, mercoledì 17 APRILE, mercoledì 22 MAGGIO ore 18. Spunto di discussione di questo primo incontro sarà l'ultimo saggio del Prof Campione La domanda che vola. Educare i bambini alla morte e al lutto (Ed. Dehoniane). La cultura contemporanea educa fondamentalmente a "distrarsi" dai sentimenti della morte e del lutto (paura, angoscia, desiderio, disperazione, rabbia, colpa, vergogna, etc...). Con la conseguenza che essi si "imbarbariscono" e tendono a diventare ingestibili determinando gravi situazioni di crisi tutte le volte che non è possibile distrarsi (morte traumatica, morte di un bambino o di un giovane, morte improvvisa, suicidio, morte dolorosa, etc...). Questi incontri vogliono contribuire ad aprire a rendere possibile un'alternativa: educare i sentimenti della morte per poterli gestire e superare utilizzandoli come fattori di crescita personale e sociale. Questa alternativa educativa riguarda innanzitutto i bambini (dato che l'educazione è tanto più efficace tanto più è precoce) ma anche gli adulti che per decidere come educare i loro bambini, hanno bisogno di acquisire la consapevolezza critica del modo in cui sono stati educati. Il riferimento teorico è il libro "La domanda che vola: educare i bambini alla morte ed al lutto" F. Campione, 2012, ed. Dehoniane. Il riferimento pratico è l'attività assistenziale del Progetto Rivivere (servizio di aiuto psico sociale gratuito per le famiglie e le persone in lutto) operante da alcuni anni nella nostra città.
Francesco Campione La domanda che vola. Educare i bambini alla morte e al lutto (Ed. Dehoniane) I bambini sperimentano abbastanza presto la paura di morire, sono talvolta sconvolti quando al posto di qualcuno c'è un'assenza o un vuoto e, in rari casi, possono arrivare persino a rifiutare la vita. Elaborare il lutto per la perdita di una persona cara è un compito difficile che può essere realizzato in modo proficuo o interferire con i processi di sviluppo determinando disturbi affettivi, cognitivi e comportamentali. Nelle situazioni concrete c'è chi ritiene di dover preservare i bambini dalla «verità traumatica della morte» e chi, al contrario, difende il loro «diritto alla verità» anche su questo tema. Una terza possibilità è la proposta avanzata da questo libro: educare il bambino, attraverso una ricerca paziente sul mistero della morte, a non rinunciare a desiderare il bene della vita nonostante la necessità della morte. In questa ottica né le favole né il realismo dei «fatti» funzionano se si propongono separatamente. Insieme, invece, favole e «fatti» sono una miscela in grado di fornire materiali creativi per affrontare il futuro con il pessimismo della vera scienza, l'ottimismo delle narrazioni e la ricerca infinita del desiderio del bene. Francesco Campione insegna Psicologia Clinica alla Facoltà di Medicina dell'Università di Bologna. E' direttore del Master Universitario in «Tanatologia e Psicologia delle situazioni di crisi» e del Corso di Alta Formazione nell'assistenza psicologica di base al lutto traumatico e naturale. Ha fondato e dirige Zeta, la rivista italiana di Tanatologia, ha fondato l'Istituto di Tanatologia e Medicina Psicologica ed è tra i fondatori dell'International Association of Thanatology and Suicidology, di cui è presidente. Coordina inoltre il Servizio di Psicologia degli Hospices di Bologna e il Progetto Rivivere (Servizio di aiuto psico-sociale gratuito alle persone e alle famiglie in lutto). Campione è autore di oltre quindici volumi, tra cui : Dialoghi sulla morte (con Raimond Aron, Philippe Aries, L.V. Thomas, Renzo Canestrari, Franco Fornari, Enzo Meandri, Clueb Editore, Bologna 1996); Lutto e Desiderio (Teoria e clinica del lutto , Armando Editore, Roma 2012). ASSOCIAZIONE RIVIVERE Rivivere, presieduta dal prof. Francesco Campione, è un'associazione culturale, senza fini di lucro, che fornisce aiuto psicologico alle famiglie in difficoltà. Lo scopo è di promuovere la cultura dell'aiuto nei confronti di coloro che hanno subito di persona o in famiglia un colpo mortale (malattie fisiche e psichiche gravi, violenze, incidenti, separazioni, lutti, perdita del lavoro ecc.) e cercano vie per "rivivere". Il centro di irradiazione si è costituito all'Università di Bologna e si identifica nel Servizio di Aiuto Psicologico per le persone in crisi, separazione e lutto esistente presso il Dipartimento di Psicologia dell'Università di Bologna da ormai vent'anni. Attorno a questo nucleo centrale è già diventata operativa a Bologna la maglia matrice della rete costituita da tutti i servizi per le persone in situazioni di crisi, separazione e lutto operanti in collaborazione con l'Associazione Culturale Rivivere e con il sostegno della Fondazione Isabella Seragnoli. Presso l'associazione è possibile ricevere un supporto psicologico gratuito dando cosi alle famiglie la possibilità di ricevere un supporto nelle prime fasi della tragedia con l'aiuto di psicologi preparati ad hoc ed appartenenti all'associazione che partecipa al progetto. Presso l'Associazione Rivivere è inoltre possibile svolgere diverse attività di volontariato. Sul territorio nazionale esistono diverse sedi dell'Associazione a sesto Fiorentino, in Romagna, a Modena e provincia e altre ne nasceranno a breve.
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Gruppo Solidarietà
Via Fornace, 23 - 60030 Moie di Maiolati Sp. AN- ITALY tel/fax 0731703327
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Locazione
Area Titolo Sottotitolo Autore/i Responsabilità Editore-Città e-mail sito Internet Collana Numero pagine Costo Euro Edizione Data pubblicazione Data inserimento CARATTERI Approccio Tipologia Impostazione Parole chiave Abstract
11.13549
MINORI LA DOMANDA CHE VOLA EDUCARE I BAMBINI ALLA MORTE E AL LUTTO CAMPIONE FRANCESCO DEHONIANE-BOLOGNA
[email protected]
PERSONA E PSICHE 140 €. 9.50 (L. 18394) 1 30/11/12 23/01/13
ANALISI PSICOLOGICA MINORE-EDUCAZIONE-MORTE-DISAGIO-ETA'EVOLUTI-COMUNICAZION L'autore del libro vuole insegnare al bambino che la morte non è da temere perché è un fatto naturale che fa parte della vita. Occorre insegnare ai bambini ad evitare l'angoscia che il pensiero della morte suscita quando si pensa che morendo si entri nel nulla, dato che la morte biologicamente non è un annullamento del vivente, ma una sua trasformazione, che consente di continuare a partecipare, sebbene in forma anonima, al ciclo di vita.