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AO XLIII . 3-4/2008 Poste Italiane sped. in A.P. - Art. 2 comma 20/e legge 662/96 Aut n. DCO/DC-CS/220/2003 valida dal 29 maggio 2003 Direttore responsabile GIUSEPPE CATERII giornalista Segretario di redazione Ettore Merletti Selezione scritti, grafica e impaginazione Mario Caterini giornalista Comitato di corrispondenza Leonardo Ferraro Giovan Battista Galati Anselmo Papaleo Massimiliano Provenzano Antonio Sirianni
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SOMMARIO EDITORIALE 3 - Come tirare a campare oggi con un minimo di dignità, di Giuseppe Caterini ARTE E CULTURA 5 - Il manto ed il bastone, di Giulio Palange 12 - Storia e architettura nella provincia di Cosenza, di Fulvio Terzi 19 - A 30 anni dalla legge Basaglia, di Mario De Filippis 21 - Ritorno di in emigrante (Sandonatese), di Giuseppe Cordasco ASTERISCHI 22 - Prospero Parisio, di Gustavo Valente 22 - Succedeva anche tre secoli fa, di Cirio Autiero 23 - In Calabria l’albero della mitologia ebraica, di Tiziana Ruffo 24 - Consensi al Dizionario della Calabria di Gustavo Valente 25 - Divagazioni… filosofiche di Vito C. Rosa ATTIVITÀ DI CATEGORIA Dal Comitato Regionale Geometri di Calabria 26 - Deposito tipi di frazionamento in comune 27 - Università della Calabria: i laureati in Scienze Geo-Topo-Cartografiche, Estimative, Territoriali ed Edilizie, Seduta del 29 gennaio, 29 aprile, 29 luglio e 28 ottobre 2008 27 - Corso di laurea in Scienze Geo-Topo-Cartografiche, Estimative, Territoriali ed Edilizie: Immatricolazione A.A. 2008-2009 nell’Università della Calabria Dai Collegi di Calabria Catanzaro 28 - Iniziative e riunioni 29 - Corso in materia di sicurezza - D.Lgs. 195/2003 - Modulo B 30 - Seminario “La responsabilità dei tecnici nell’invio telematico” 30 - Corso in materia di sicurezza - Decreto 81/2008 31 - Corso sull’uso professionale del sistema G.P.S. 31 - Aggiornamento Albo 32 - Protocollo di intesa per l’evoluzione della figura del Geometra 34 - Richiesta incontro 34 - Avvisi 34 - Memorial “Mario Occhiato” Cosenza 35 - Una importante sentenza in materia di iscrizione dei geometri colpiti da fallimento 36 - Comunicazioni della presidenza 37 - Disfunzioni ufficio provinciale del territorio e nota di riscontro 38 - Chiusura dei corsi organizzati in collaborazione con la Proim srl 38 - Corso di Aggiornamento Professionale XXXII Edizione 39 - Esame di stato per l’abilitazione all’esercizio della libera professione di geometra - sessione 2008 - Le prove scrittografiche 40 - Esame di stato per l’abilitazione all’esercizio della libera professione di geometra - sessione 2008 - Elenco degli abilitati 40 - Aggiornamento Albo Professionale 41 - Aggiornamento Registro Praticanti 41 - Comunicazione inizio lavori 43 - Corso sull’uso del G.P.S 44 - Agenzia del Territorio - Convenzione per l’accesso ai servizi di consultazione telematica Crotone 46 - Aggiornamento Albo Professionale e Registro Praticanti 46 - Seminari e convegni 46 - Manifestazioni 46 - Corrispondenza con enti ed istituzioni 46 - Camera arbitrale di Crotone 47 - Affidamento incarico 47 - Esame di stato per l’abilitazione all’esercizio della libera professione di geometra - sessione 2008 - Elenco degli abilitati
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REGOLE DI COLLABORAZIOE CRITERI GEERALI 1) La rivista persegue lo scopo di allargare l'informazione tecnica nella regione. Si rivolge particolarmente ai geometri, ai tecnici, agli enti, agli uffici, alle organizzazioni e agli operatori del settore. 2) Per il tipo di utenza a cui la rivista si rivolge, i testi dovranno essere scritti in modo chiaro, comprensibile e stringato. Se la direzione ritenesse il testo non idoneo per la forma, può modificarlo dandone comunicazione all'autore. 3) Gli scritti, ovviamente originali, non devono superare le dieci cartelle al computer, comprese le illustrazioni, (piena pagina, corpo 10) e dovranno pervenire entro la fine dei mesi di marzo, giugno e novembre per una eventuale pubblicazione nel numero successivo. Pezzi più lunghi dovranno essere concordati con la Direzione della rivista. Tutti i testi e il materiale iconografico dovranno essere inviati in copia cartacea e floppy-disk al Direttore responsabile (via A. Serra n. 42/D - 87100 Cosenza) e non saranno retribuiti né restituiti. 4) Le bozze date agli autori per la correzione dovranno essere restituite entro 3 giorni dalla consegna; in mancanza, la direzione potrà procedere alla pubblicazione, secondo la propria impostazione. 5) A ciascun autore saranno date in omaggio 2 copie del numero della rivista col suo scritto. La restituzione del materiale fotografico avverrà entro 30 giorni dalla pubblicazione, solo se ne verrà fatta dall'autore esplicita richiesta. La segreteria di redazione non risponde di eventuali deterioramenti o smarrimenti. CRITERI REDAZIOALI Titoli e testi a) I titoli devono essere chiari e i più brevi possibili. La direzione, si riserva il diritto di modificarli a secondo le esigenze redazionali. b) I testi devono essere digitati in modo chiaro per un massimo di 10 cartelle, possono essere suddivisi in capitoli, e dovranno essere definitivi: non si apporteranno correzioni non previste dall'originale. c) Le parole singole in lingua straniera presenti nel testo vanno scritte in corsivo. d) Le citazioni di più righe si riportano in corpo minore rientrando di due spazi rispetto ai inargini del testo. e) Le note si collocano a fine testo. In esse i nomi degli autori si scrivono in maiuseoletto, i titoli delle opere e degli articoli in corsivo. Basta riportare il solo luogo di edizione, seguito dalla data e dagli eventuali numeri di pagina, senza l'indicazione dell'editore. In mancanza della data o dell'anno di pubblicazione riportare le sigle s.d. oppure sa. f) Le opere collettive si riportano soltanto con il titolo del volume aggiungendo l'eventuale nome del curatore preceduto dalla dicitura: a cura di non usando la sigla AA.VV. g) I titoli degli Atti dei convegni e delle Enciclopedie nonché degli articoli e dei saggi pubblicati in riviste vanno indicati in corsivo, il nome della rivista va posto tra virgolette riportando anche mese e anno, volume e numero del fascicolo, con eventuale modificazione di Nuova Serie. Tra il titolo dell'articolo e la sede della pubblicazione (anche nel caso di Atti di convegni ed Enciolepedie) porre la dicitura: in. h) Le collane di testi e le opere di consultazione devono essere riportate secondo le abbreviazioni in uso impiegando il corsivo. i) Il riferimento a fondi archivistici va riportato, nella prima citazione o in un apposito elenco delle abbreviazioni, con sigla affiancata dal significato per esteso, es.: ASCs=Archivio di Stato di Cosenza. 1) Nelle recensioni, prima del testo, indicare nell'ordine nome e cognome dell'autore per esteso, titolo completo del volume recensito, luogo di edizione, editore, anno di edizione, numero delle pagine, prezzo. Tabelle e Illustrazioni a) Le tabelle, ridotte al numero essenziale, dovranno essere separate dal testo e correttamente numerate. b) Le illustrazioni (fotografie in bianco e nero e diapositive a colori) non dovranno essere inserite nel testo, ma su fogli a parte e dovranno essere numerate e accompagnate dalle relative didascalie. c) I grafici citati nel testo con il termine «figura», dovranno essere molto chiari e numerati in modo progressivo con le relative didascalie (separate dal testo e recanti il numero di riferimenti) di facile ed immediata comprensione. d) l'inserimento delle illustrazioni, delle tabelle e dei grafici nel testo, sarà curato dalla direzione che si riserva il diritto di adeguarlo alle esigenze di impaginazione. La direzione ____________ La direzione de la Stadia chiede alla cortesia di tutti i lettori l'invio di foto e cartoline illustrate a colori di scorci panoramici, bellezze naturali e beni storici, artistici o architettonici del Sud Italia, da pubblicare, previa selezione, in copertina. La collaborazione qualificata e gratuita a la Stadia, segnatamente degli iscritti all'Albo, al Registro dei praticanti e all'Elenco speciale nonché di tecnici, studiosi e specialisti è richiesta, gradita e sollecitata Un giornale si fa non solo con l'impegno costante di pochi volontari, ma anche con l'apporto valido e serio di molti.
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Vibo Valentia 48 - Aggiornamento Albo e Registro Praticanti 49 - Memorial “Mario Occhiato” 50 - Approvazione bilancio 2008 51 - XV Anniversario dell’arrivo della statua del Cuore Immacolato di Maria rifugio delle Anime 52 - Esame di stato per l’abilitazione all’esercizio della libera professione di geometra - sessione 2008 - Elenco degli abilitati 52 - Dalla stampa CATASTO E TOPOGRAFIA 53 - Pregeo 10: l’approvazione automatica degli atti di aggiornamento, di Antonio Grambiale 56 - Il catasto nell’Unione Europea, di Roberto M. Brioli 58 - Catasto ai comuni: stop del Consiglio di Stato, di Franco Guazzone 60 - Ai fini catastali gli impianti solari sono opifìci, di Paolo Francesco Calmeria e Ornella Di Benedetto 61 - Si cambia la rendita solo in casi eccezionali, di Franco Guazzone 62 - Fabbricati non dichiarati COMPETEZE E PROFESSIOE 64 - Progettazione a forma congiunta 65 - Il valore della nuda proprietà, di Tarcisio Campana 66 - Valore di ricostruzione dei fabbricati, contratti assicurativi e stima, di Bruno Russo 68 - Ancora in tema di distanze, di Patrizia Pinciroli, Alessandro Colonna e Lorenzo egrini 70 - “Tutto sul C.T.U.”, di Paolo Frediani 70 - L’albo dei consulenti tecnici e loro responsabilità 72 - L’atto di nomina del consulente e suoi effetti 74 - L’udienza di conferimento di incarico 76 - Gli obblighi di protezione dei dati personali per CTU, periti e consulenti tecnici di parte CODOMIIO 80 - Obbligazioni condominiali, si ripartiscono in proporzione alle quote - Cass. civ. sez. unite 8 aprile 2008 85 - L’uso delle parti comuni, di Ivan Meo 87 - È ammessa la tettoia nel cortile, di Maurizio de Tilla 88 - I condizionatori di aria negli edifici in condominio, di Pier Paolo Capponi 90 - Riscaldamento: orari accensione e benefici per l’acquisto del gas 92 - Condomino moroso, è diffamante affiggere il nome in bacheca, di Ettore Ditta 94 - Il codice penale stringe sull‘amministratore, di Maurizio de Tilla 95 - I condomini sono «consumatori», di Matteo Rezzonico 95 - Più spazio alla web-cam nei condomini EDILIZIA E URBAISTICA 96 - La natura giuridica dei reati di cui agli artt. 93 e 94 t. u. edilizia, di Paolo Tanda FISCO 98 - Le ultime in materia di Ici, di Antonio Piccolo 100 - Ici: alcune fattispecie agricole di Antonio Piccolo 103 - Agenzia del Territorio: Risoluzione n. 2/2008 prot. n. 32237 105 - Ministero dell’Economia e delle Finanze: Risoluzione n.12/DF IDRAULICA E BOIFICA 109 - La depurazione dei liquami domestici nei piccoli centri abitati, di Giuseppe Raso e Angela Raso SICUREZZA SUL LAVORO 123 - Cantieri temporanei e mobili. L’organizzazione della sicurezza e della direzione lavori alla luce del d.lgs. 81/2008, di Leonardo Ferraro 132 - Due sentenze sulle responsabilità del coordinatore per la sicurezza, di Giuseppe Bertussi 134 - L’evoluzione della normativa sulla sicurezza, di Giuseppe Pagliuca 136 - Sicurezza sul lavoro, di Roberto Pirozzi 139 - Laterizi e sicurezza, di Tommaso Chiti 143 - Eventi infortunistici negli scavi, di Corrado Romagnoli e Piergiorgio Priori TECICA DELLE COSTRUZIOI 149 - Il tramezzo incannucciato, di Maria Gullì 152 - Gli intonaci di terra cruda, di Giuseppe Mori e Raffaella Annovazzi 155 - La protezione delle murature dall’umidità ascendente, di Oliviero Tronconi 157 - La progettazione dell’isolamento acustico negli edifici, di Oliviero Tronconi 160 - Isolamento termico in edilizia, di Claudia Chili 162 - Impianti gpl per uso civile 164 - “Nulla è stabile fuorché il provvisorio”, di Alessia Bianco 166 - La direttiva 89/10B/CEE, di Paolo Galletta
In prima di copertina: ANDREA CEFALY: a sx: Paesaggio a dx: Giardino del pittore
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Editoriale
COME TIRARE A CAMPARE OGGI CON UN MINIMO DI DIGNITÀ Riflessioni in libertà di un laico settantenne Più di qualcuno, in questi ultimi tempi, mi ha chiesto del perché continuo a rimanere convinto socialista, fuori da ogni partito, e laico agnostico, cioè di idee non fondate su una religione e indifferente specialmente riguardo ai problemi religiosi. La risposta non è affatto facile e dietro c’è tutta la mia non breve vita fatta di speranze, illusioni, amarezze, gioie effimere, tristezze infinite, crisi esistenziali, dispiaceri profondi che mi hanno lasciato attonito, stranito inebetito, sicché la sola cosa che mi viene naturale e mi sembra normale è restare con le mie convinzioni che ho coltivato negli anni migliori; e questo non già per caparbietà, ma perchè non riesco a vedere motivo per mutarle. Il mio agnosticismo parte dalla prima adolescenza, quando, ragazzo, dopo un percorso di fervente cattolico praticante anche da chierichetto, entrando una domenica dopo la messa in sacrestia per il tradizionale baciamano col prosit all’arciprete celebrante, a cui ero legato da affetto reverenziale, e per svestirmi della tonachetta, grande fu la mia sorpresa e forte l’imbarazzo di trovarlo avvinghiato ad una signorina, diciamo in breve: atti osceni in sacrestia: lascio immaginare l’impaccio e disagio di tutti e tre. Da allora ridussi le mie frequentazioni in chiesa, smisi di assistere la messa e dopo qualche anno, con la improvvisa scomparsa di mia madre nel pieno della vita, a sedici anni mi allontanai ancor più dalla religione, continuando a venerare la figura di Cristo-uomo e abbracciando i principi socialisti. Una militanza appassionata e intensa con frequentazioni di operai, lavoratori e anche qualche amicizia importante come Rocco Scotellaro, Pietro Mancini, Pietro Nenni, Sandro Pertini e Riccardo Lombardi, per citare solo quelli che hanno più influito nella mia formazione intelletuale. Fu un’esperienza esaltante che vissi con mia moglie e i miei figli, per lo più nel mio paese d’origine, ma con qualche incarico regionale e nazionale di prestigio, sempre a titolo gratuito, fino agli anni ’90. L’ideale ci accomunava e costruimmo su solidi valori una famiglia di sani principi e dalle buone letture. Assimilammo tutti i sacri testi e ci prodigammo per il prossimo da buoni socialisti e anche da buoni cristiani, se per cristiani si intende ispirati alla vita e alle azioni di Cristo. In quegli anni di passione ne ingoiammo pillole amare di ogni genere da quelli che si definivano democratici cristiani e, almeno quelli che abbiamo conosciuto io e la mia famiglia nel nostro ambiente certamente tali non erano, né democratici né tanto meno cristiani. Ad ogni elezione i lazzi, i frizzi gli improperi erano avvilenti e cattivi oltre misura. Perfino manciate di ghianda buttate davanti all’uscio di casa ad ogni elezione. Perché ghiande poi, non l’abbiamo mai capito. Forse perchè le danno ai porci! Telefonate anonime al referendum sul divorzio o altri sfottò non certo da cristiani. L’episodio che mi allontanò definitivamente dal cattolicesimo, il 13 settembre 1963, fu una piccola squallida storia che mi rimase fissa nella memoria per sempre. Un ex confinato politico, romano venuto al paese il 19 gennaio 1939, a 27 anni, perché a capodanno, alticcio, aveva gridato abbasso il fascismo, arrestato fu compagno di cella di Terracini. Poi spedito al confino in Calabria, era stato ospitato da una signora di una diecina d’anni più grande di lui che finì per sposare. Un bonaccione tranquillo che negli anni ’50 aprì un bar con i soldi che gli inviavano i familiari da Roma e ogni tanto parlava, a proposito e a sproposito, di fascismo, comunismo, religione, da quel pacioso che era che non sapeva far male a una mosca. Nel 1962 accadde che la moglie morì e lui si ammalò di cuore. Rimasto solo, l’anno dopo, si fidanzò con una donna di un paese vicino e quindi si recò dal parroco per rilasciargli le carte di prima richiesta, cosa che ebbe in giornata senza problemi di sorta. Al mattino verso le undici lo incontrai con amici e ci comunicò la lieta notizia facendoci vedere le carte e, invitandoci al matrimonio che si sarebbe celebrato nel comune della sposa, ci offrì da bere. Era contento. Lo stesso giorno, appunto il 13 settembre 1963 verso le tredici, mentre ero in studio, in attesa della chiamata per il pranzo, bussò all’uscio il mio barbiere sconvolto perché il comune amico, che era andato a farsi la barba per poi ripartire, sulla poltrona col viso insaponato non dava segni di vita. Corsi a vedere; lui non aveva nessuno in paese se non un fratello e una sorella della defunta prima moglie. Chiamammo il medico che constatò la morte e lo componemmo nella vicina casa del cognato. Poi con altri amici ci recammo dal parroco per comunicargli la notizia, che già si era sparsa in paese, e fissare l’ora del funerale per il giorno dopo. Ma con nostra grande sorpresa ci sentimmo dire che non si poteva celebrare il funerale religioso perché il defunto era comunista e quindi scomunicato. A nulla valsero le nostre insistenze, carte di prima richiesta alla mano fatte al mattino dallo stesso parroco per il matrimo-
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nio. Dopo un’accesa discussione in cui questi fu irremovibile decidemmo di fare il funerale civile, cosa molto inusuale per quei tempi e ancor più nel nostro paese. Veglia, quindi bandiere e ghirlande comunista e socialista in testa, brevi parole pronunciate dal segretario della sezione comunista e da me, e la tumulazione al cimitero, tra una buona partecipazione di popolo, più che altro indignato per il diniego dei funerali religiosi. Ma ancor più perché al passaggio del corteo alcune bigotte affacciate a loggette e finestre sorridevano sprezzanti. Fu allora che avvenne il mio distacco completo dal cattolicesimo che poi, pur restando sempre interessato e cultore di storia sacra, ho visto – fatte le debite numerose eccezioni – come il culto delle esteriorità, delle apparenze e della forma. Fino al ’92 del secolo passato nel nostro basso Mezzogiorno altro che don Camillo e Peppone! Il partito maggioritario la faceva da padrone e anche nel lavoro era così. Chi era di sinistra, ma anche di destra, non trovava occupazione. Poi quando la politica degenerò oltrepassando ogni limite etico e morale, pur restando fedele all’idea socialista, con mia moglie, i figli che crescevano, e un folto gruppo di amici, con una lettera aperta inviata ai vertici del partito, dopo 37 anni di militanza attiva, chiudemmo la sezione locale, non condividendo il degrado e la corruzione che di lì a qualche anno portarono ai guasti a tutti noti. Vivemmo il tempo di Mani Pulite: altra delusione! Subito dopo ripresero a rubare tutti imperterriti come se niente fosse avvenuto. Cosa che continuano a fare anche oggi. Ogni giorno arresti, suicidi, ruberie. Non si salva nessuno. Ognuno ne combina di tutto e di più. Le istituzioni sono decotte. La delinquenza organizzata prospera in Italia e nel mondo, facendo sempre nuovi affari e nuovi proseliti anche nelle istituzioni e nella politica. La corruzione dilaga, e la chiesa fa acqua anch’essa. Prelati e basso clero, giudici, generali, forze dell’ordine sono coinvolti tutti nelle più losche vicende e nei più lordi mercimoni. Gli ideali più sani sono stati e sono tuttora tutti messi sotto i piedi, e di volta in volta appaiono e scompaiono come meteore uomini, leader, funzionari, giudici, alti burocrati e militari che poi a distanza di qualche anno si rivelano fior di delinquenti. Grazie a costoro il partito socialista, ma anche gli altri partiti, sono stati cancellati dalla scena politica italiana o si riciclano in continuazione. Per tutti citiamo lo Ior, Marcingus, Sindona, Milingo, Tanzi e tutte le migliaia di scandali in ogni settore nella vita pubblica e privata, civile, religiosa e militare. Cambiano i costumi e si afferma l’era dei disvalori, che stiamo vivendo. Quali ideali prevalgono oggi? Moneta, feste, lusso e lussuria, giovanilismo, cura esasperata del corpo, esteriorità, pompa e quindi corruzione perversione e illeciti a non finire. E gli ideali del socialismo propugnano ancora, senza più seguaci, una organizzazione della società in cui ci sia l’uguaglianza politica, sociale ed economica di tutti gli uomini nella pace e nella giustizia: le stesse cose che diceva Cristo, Gandhi e tanti altri. Tutti idealisti utopisti acchiappanuvole che ci hanno rimesso la pelle, però hanno lasciato anche traccia indelebile del loro passaggio. Per me vale tuttora ciò che Gaetano Salvemini ha scritto nel suo testamento: «…Se ammirare e cercare di seguire gli insegnamenti morali di Gesù Cristo, senza curarsi se Gesù sia stato figlio di Dio o no, o abbia designato suoi successori, è essere cristiano, intendo morire da cristiano, come cercai di vivere senza purtroppo esserci riuscito. Ma cessai di essere cattolico quando avevo diciotto anni,…». Io ne avevo sedici! Mi piace riportare in queste mie riflessioni in libertà anche alcuni pensieri del Mahatma Gandhi: «Pensare con la propria testa, senza lasciarsi condizionare, è indice di coraggio…Chi non lavora eppure mangia è un ladro…Un tale commette un furto, un altro lo copre, un terzo accarezza l’idea. Tutti e tre sono ladri…». Io cerco di seguire questo insegnamento. Allora può essere questa mia riflessione una risposta e un messaggio. In questa società degradata e degradante, inquinata e inquinante, ammorbata e ammorbante, depravata e depravante, degenerata e degenerante, contaminata e contaminante, angosciata e angosciante, frustata e frustante, zeppa di disvalori, per i probi, cioè gli uomini di buona volontà che non riescono ad avere una fede ultraterrena a cui abbarbicarsi, ma anche per chi professa una religione, credo che l’unico ideale di vita valido ancorché un’utopia resta quella del socialismo, libero da ogni militanza e meschini interessi, che in qualche modo aiuta a tirare a campare con un minimo di dignità, aspettando che questa avventura terrena si concluda, andando – con François Rabelais, lo scrittore medico, monaco e poi curato di Meudon – a cercare “un gran forse”. giuseppe caterini
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IL MANTO ED IL BASTONE San Francesco di Paola nell’espressività popolare calabrese e nella letteratura “d’autore” di Giulio Palange
È
un dato di fatto: San Francesco di Paola è, almeno in Calabria, il santo più “popolare”; e intendasi per “santo più popolare” sia il santo più conosciuto e apprezzato e invocato e venerato e… – non per nulla, e a dirla con un titolo di Attilio Romano, egli è u santu nuostu per definizione –, sia il santo più impastato, a livello tanto di storia quanto di mito, di materia “bassa”, di materia, cioè, congrua ad uno che a piedi ignudi vien dal volgo e che, quindi, ha a che fare con l’anonima quotidianità dei senzavoce e senzavolto e senzaproprioniente se non le pezze al fondo delle brache, perché, insomma, egli è un santo coi calli alle mani anche se non ce li ha; uno che cammina a piedi e mai in carrozza non per snobberia ma perché per quelli della sua specie la fatica e la scomodità sono normali stati mentali prima che materiali condizioni di vita, pertanto non conoscono mezzo di trasporto, manco quando si tratta di portare una facìglia di speranza dalle contrade calabresi più sperdute e scusagne alle invellutate corti di Francia; uno che, pur esposto alla tempesta e allo stravento, non si sveste mai della ruvida scorza terragna, tanto meno quando tratta alla pari coi potenti della terra e guai a contrariarlo e non è mai lui ad abbassare per primo gli occhi, tutt’al contrario di quando tratta con gli umili; un santo che, non per nulla, ha le cifre della santità, invero affatto sui generis, in due dettagli, che poi dettagli non sono, della sua iconografia, e le cui proiezioni evocative, lievitando in virtù di cre-
scenza fatta in casa – quella che una volta, quando c’era da fare il pane, le famiglie del vicinanzo s’imprestavano l’un l’altra – si dilatano a tal punto da diventar metafore: il manto ed il bastone. Sul manto, si sa, egli traghetta da una sponda all’altra dello stretto di Messina, sponde che – guarda caso! – un tempo erano luoghi contrapposti del mito distruttivo e malefico e se sfuggivi a Scilla incappavi in Cariddi e viceversa e non c’eran santi, e dal cielo – chiunque vi dimorasse – era dato soltanto a pochi d’uscirne indenni e dovevano per forza essere persone speciali, perciò la loro saliva assumeva, ipso facto, prodigiosi poteri terapeutici. Ma, ciò a parte, col suo manto egli naturalmente si copre e protettivamente copre, tant’è che nel parlar comune si dice ad uno che è come il manto di san Francesco per riconoscergli, appunto, rassicurante capacità protettiva e puntuale soccorso nel bisogno. Col bastone, poi, egli si sorregge nel suo andare ovunque ci sia bisogno di lui; e se i regnanti hanno nello scettro in mano il segno visibile urbi et orbi del loro potere, egli ha nel bastone che stringe sempre fra le mani il segno, sempre urbi et orbi, della sua proverbiale “zirra”, che non è caratterale iracondia, ma ratto infumarsi di fronte all’ingiustizie, all’avidità, alla malvagità. E, in merito, cambia poco o nulla se la storia del bastone brandito come un’arma, a forza di girarci intorno e di ricamarci sopra, abbia finito per andare oltre il segno e sembra quasi che se l’altro Francesco, quello d’Assisi, ammansueta i lupi solo parlando loro, il Nostro ottenga lo stesso risultato prendendoli a bastonate, quand’invece nella realtà vera il “paolano” ha usato punto o poco lo stesso bastone, non foss’altro perché sapeva bene che charitas e bastonate, coniugati assieme, realizzano un ossimoro. Ma tant’è: lungo i percorsi “popolari” che portano al mito, il passo fra difesa dei deboli e degli oppressi, fra irriducibilità di fronte agli abusi, alle prepotenze, alle prevaricazioni, e, appunto, uso punitivo del bastone, il passo è assai breve, anzi siamo lì, anche perché in un contesto socio-culturale privo di anticorpi e che storicamente conosce, essendone in genere vittima, solo la legge del più forte – scritta o non scritta che sia –, dà più affidamento un’arma, anche impropria, in mano ad uno che ha la determinazione, la capacità e la forza d’usarla che non mille prediche sulla fratellanza. Per cui, se sotto-sotto, ma poi non tanto, il popolo ama lo stesso “paolano” e lo sente dalla sua e se ne fida toto corde, è non solo per il suo manto, ma, anche, per il suo bastone che è tutto un programma e vuol dire che con lui gl’ingiusti, gli avidi, i malvagi, gl’impietosi, i prepotenti etc. non se la passano mica tanto franca, e se il Signore non paga mai di sabato, egli paga puntuale, puntualissimo, e in gravosi contanti, mica spiccioli. Sicché ti aspetteresti nel patrimonio orale calabrese – in cui i “senzavoce” eccetera di cui sopra hanno puntualmente scaricato e documentato, per lo più in cifra, tensioni e aspettative e bisogni – ti aspetteresti una produzione comunque corposa su San Francesco di Paola, e, invece, le di lui tracce son rade e rare, in ogni caso manco lontanamente proporzionabili
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alla di lui “popolarità”. Sì, qualche raccontino che, fra l’altro, non sai mai – perché i processi corruttivi non consentono di appurarlo – se sia solo frammento d’una propaganda agiografica invero imponente ma spesso indotta e meccanicamente assimilata; sì, qualche strofetta per lo più usata come rudimentale preghiera o come invocazione o come canto processionale, e di cui non riesci mai a intendere se il fideistico abbandono col quale, alle viste, ci si rivolge e ci si affida a lui, sia la proiezione d’un speranza che affiora dal profondo, oppure formalizzazione d’un protocollo celebrativo sbiaditosi col tempo; come nel caso delle alcune strofe che si riportano, e che, a naso, hanno sentor di sacrestia, e in cui certi segnali corruttivi insiti, appunto, nella fenomenologia della tradizione orale, son pure loro lì, a faccia-vista, a rendere tutto opinabile: San Franciscu miu de Paula mantu miu de carità ajutane e prutéggene alle nostre necessità. San Franciscu è nu gran santu r’è ’mpiegatu de Gesù e n’accoglie ccu’ lu suu mantu e n’impara le virtù. San Franciscu iu ti priegu ccu’ granne devozione chilli trìrici rijuni chi facisti orazioni. … Viatu Paula ’sa bella citate c’avimu su gran santu gloriusu avimu a San Franciscu buonu statu davanti li piedi de nostru Signore. Cu’ lacrime de sangu l’ho pregatu guardame Paula mia de terremotu. E va Franciscu miu ca l’ura la grazia te sia fatta e cunceduta L’Angelu santu e supra cherubini de la grannizza tua Franciscu santu che de li santi tu fuosti primu chi cuncedisti grazie a tutti quanti. Apri la porta e m’insegni la via fammi la grazia San Franciscu miu fammi la grazia che me la pu’ fare ca sî gran santu che ne pu’ aiutare. E, allora, come conciliare l’indubbia “popolarità” di San Francesco con la quasi-assenza, di sue tracce nel patrimonio espressivo popolare? Ché, forse, e a differenza di quanto è accaduto per altri santi, sopra ’u santu nuostu non ci si è sbizzarriti creativamente per paura giusto del suo nodoso bastone, ovvero per timore di “oltraggiarlo”, offenderlo, urtarlo in qualche modo, o per reverenziale e attonito rispetto, o per altro del genere? Il percorso per arrivare ad una probabile risposta è apparentemente più tortuoso, ma, allo stato dell’opra non se ne
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intuisce altro lungo il quale potersi avventurare. Considerato che in ambito di creatività popolare – creatività, beninteso, che è sempre relativa, perché in ogni caso è reinvenzione o, secondo i casi, adattamento nel tempo di forme e dati o provenienti dall’esterno, da culture più evolute, o forniti da elementi comunque differenziati dalla collettività, tanto che in materia si potrebbe applicare la legge del nulla si crea e nulla si distrugge ma tutto si trasforma – considerato che, si diceva, in ambito di creatività popolare nulla è prodotto per puro estro o per “ispirazione” del momento o per simìlia, ma solo per la soddisfazione d’un bisogno, e considerato che, sempre nello stesso ambito, si parla e si riparla d’un evento, d’un personaggio, d’un fenomeno, non per farne oggetto di qualsispecie e multispecie comunicazione ma per prenderne completo possesso, per farlo e sentirlo proprio, per ridurlo alla propria portata – tant’è che, ad esempio, la sconfinata produzione su Maria-madre, in ambito di sacre rappresentazioni, è anche (e si sottolinea più volte “anche”) il riflesso dell’ostinata determinazione a scalare il mistero d’una maternità “innaturale” da parte di una cultura totalmente partecipe della “naturalezza” dei processi riproduttivi, e, quindi, cultura lontana anni luce da certi nodi dogmatici –, considerato tutto ciò viene automatico rispondere al quesito in questione con una domanda ovviamente retorica: quale bisogno avrebbe dovuto esserci di far proprio, riducendolo culturalmente alla propria portata, San Francesco di Paola dal momento che, senza bisogno di chissà quali procedimenti mentali collettivi, lo si è sentito sempre proprio, appartenente al proprio mondo, e, perciò, sempre schierato dalla propria parte, nelle piccole e nelle grandi cose, e, per dirne solo una a mo’ d’esempio, quando Ferrante d’Aragona, a Napoli, gli offre un tesoro in monete
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n. 3-4/2008 d’oro, egli ne prende una e la spezza, facendone stillar sangue e dicendo al re: «Maestà, quest’oro è fatto del sangue del popolo che voi opprimete»?! E quale altro santo – santo, beninteso, che fosse santo per davvero e non santo capitato per caso nel Martirologio – s’è mai espresso così papale-papale in difesa del popolo!? Solo uno come lui che, popolano per nascita, per vocazione e per scelta, ha provato sulla propria pelle, nonché sulla pelle dei padri, dei nonni e dei catanonni, che cosa significhino il bisogno, la fatica, lo sfruttamento, che significhi sopravvivere affidando il campare proprio e dei propri cari ad uno scroscio di pioggia o ad un raggio di sole, peraltro costretti a recitare l’implacabile rosario di flagelli biblici periodicamente ritornanti: carestie, terremoti, epidemie, e poi frane, alluvioni, siccità, e un-due-tre, un-due-tre, un-due-tre…! Non a caso, le sue tracce più relativamente consistenti e significative – a parte quelle devozionali a cui s’è accennato – si rinvengono nell’ambito epico-narrativo, che è quello in cui
Arte e Cultura e quando c’è da punire un avido profittatore egli, San Francesco, per l’appunto non ci pensa su due volte: Azzoppàu a ’na forgia ’na matina: «Mastru ’ssu ciucciu vienimi a firrari» lu mastru l’ha circatu tri carrini ca fierri e posti s’hanno de pagari. Allura San Franciscu si fici currìvu: «Ciucciu, li fierri jéttali a ’ssu chianu», lu ciucciariellu scotulàu li piedi e jettàu li fierri a lu forgiaru. Miraculu chi fu chilla matina lu mastru de paura strangugliàu…; e se si tratta di punire gli abitanti infedeli di Corigliano egli si rivolge al cielo e all’istante ’na negliuzza ’e grùculi scinnìu e tutti i simminati si mangiàu…; e allor che, per come già accennato, il re gli offre un tesoro di monete d’oro egli, fermo e guardando dritto negli occhi sua maestà, scandisce: «Chisti dinari nun fanu ppe’ mia chisti su’ sangu di l’affritti e Diu su suduri di genti morti ’i fami»…; e se A apuli ’na fìmmina: «Patri miu nu stuozzu ’i carni iu l’érrama figliavi. Mo chi ni fazzu? Lu purtai a tia Chi tanti morti ’mmita fa turnari». Miraculu chi fo chilla matina lu Santu nu bombinu ti ’mpastau chiù biellu de na rosa dommaschina ed alla mamma ’mbrazza lu dunau…;
si realizza il procedimento mediante il quale il sempre cosiddetto popolo, per sue tutte particolari necessità, trasforma in mito un personaggio, un evento, un fenomeno che per la sua grandiosità o eccezionalità o straordinarietà, o tutt’e tre le cose assieme, sta assai stretto nella qualunquità del quotidiano; processo che, nel caso specifico di San Francesco, consente di intramare coi suoi miracoli una casereccia chançon des gestes: O san Franciscu ccu’ ’ssa varva fina intra li santi nun ci n’è lu gualu tu de Paula facesti ’na rigina s’avanza ppe’ lu munnu paru paru, miraculi n’ha fattu de contìnu ppe’ quanti stilli ’n celu e a mari rina…;
e quando in un bosco s’imbatte nel cadavere d’un afforcato, pendente da un albero, che comincia a puzzare, dice al fraticello che l’accompagna «È carni vattìata, è figliu ’e Diu priestu, compagnu miu, scìnnilu ccadi» pua l’abbrazzau ccu’ nu gran suspiru e chillu muortu si risuscitau…; e allorché nu paisi ca ’i siddi murìa l’acqua a San Franciscu ci cercau illu fa signu all’acqua ca si susìu ed appresso de illu si mmiàu illu ppe’ valli e ppe’ muntagni jia e l’acqua appriessu scinnìa e ’nchianava e allu paìsi ca ’e siddi murìa nu jumi d’acqua frisca ci purtau…; e, infine, quannu Franciscu ppe’ Francia partìu a nu munti àvutu ’nchianàu mmenzu la sua terra lu sguardu girìa e de lacrime spanna due jumare pue la sua terra arriccumanna a Diu e ppe’ la benedìri aza la manu e supra lu munti duvi si posau
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Arte e Cultura li sua pedati santi ci lassau. Ed è, in fondo, conferma indiretta di quanto fin qui detto anche il fatto che cospicue e qualificate sono, al contrario, le tracce di San Francesco di Paola nell’altra letteratura calabrese, quella, per così dire, “colta”, d’autore, quella comunque espressione d’una cultura ben più consapevole e più evoluta e più elaborata e meno “bisognosa” di quella popolare ma non per questo migliore o peggiore di essa, soltanto diversa perché diversa è la realtà complessiva di cui è proiezione esemplare nel bene e nel male, e, di conseguenza, diversi debbono diventare l’approccio ed i criteri di giudizio. Tracce che si rinvengono in poesia, dialettale e in lingua, nello scrivere e far teatro, nelle opere in prosa (storie, biografie, racconti, etc.) che sono innumerevoli, fra cui, per citare solo un titolo “a campione”, il San Francesco di Paola di Nicola Misasi (in Femminilità, C.E.A.L., Napoli 1887); mentre nel genere poetico, ovviamente il più gremito, opportunità e necessità vogliono che, a puro titolo di esemplificazione inventariale, ci si limiti a citare a memoria – ergo, come vengono-vengono – i poemi cinquecenteschi degli umanisti Giulio Cavalcanti (Cosenza, XVI sec.) e Francesco Franchini (Scigliano 1500 – Roma 1559), l’inno San Franciscu de Paula di Ilario Muscari Tomajoli (Stalettì 1810 – Gerace 1868), San Francesco di Paola di Vincenzo Padula (Acri 1819 – 1893), San Franciscu ’e Paula di Francesco Maria De Simone (Acri 1837 – 1897), la copiosa produzione (Lettere paolane, Francesco di Paola, San Franciscu a Catuna) di Nicola Giunta (Reggio Calabria 1895 – 1968), fino ad arrivare ai giorni nostri, al già citato ’U santu nuostu di Attilio Romano da Paola, che, però, è opera che tiene un piede anche sul tavolato del palcoscenico, poiché è, per come recita il sottotitolo, La vita di San Francesco in un recital in lingua, poesie e canti in dialetto calabrese, su musiche di Vincenzo Perugini. E visto che si giunti in prossimità delle scene, è il caso di aggiungere anche qualche titolo più propriamente “teatrale”: Trionfo di San Francesco di Paola, sacra rappresentazione, pubblicata a Monteleone nel 1642, di Domenico Tranquillo (Pizzo, XVII sec.), l’opera scenica La Calabria felice per San Francesco di Paola (Napoli 1718) di Giovanni Raimondi (Cosenza XVII/XVIII sec.), Il Taumaturgo di Brezia S. Francesco di Paola – Jerodramma di Tommaso Aceti posto in musica dal Sig. D. Domenico Antonio Berti (Roma 1731), la farsa in dialetto di Vincenzo Scervini (Acri 1847 – 1925) I diavuli pe’ la terra e Sampranciscu, e, infine, per mano di autori viventi, Francesco e il re di Vincenzo Ziccarelli, e Il mistero delle sacre impronte di San Francesco sul monte Sant’Angelo di Giuseppe Maradei. A ben vedere, il campionario complessivo, anche ristretto ai soli titoli e autori che son sovvenuti a mente, è abbastanza cospicuo ed altrettanto assortito; epperò non bisogna farsi trarre in inganno né dalla oggettiva quantità né dalla varietà di forme, ché le suddette opere o hanno carattere genericamente celebrativo e laudativo, o si limitano, certo con varietà di toni, a raccontar vita e miracoli del santo, quasi che la vicenda esistenziale di San Francesco, con relative “gesta”, abbia in sé tale e tanto coinvolgente spessore da esprimere capacità addirittura ambivalente, ovvero da esercitare irresistibile fascinazione su un autore e, nello stesso tempo, da ingabbiargli l’inventiva, da recintargli la vena poetica con paletti ineludibili, precludendogli ogni proiezione immaginaria o speculativa o
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n. 3-4/ 2008 d’altro genere, e costringendolo a muoversi comunque e sempre entro i percorsi consolidati dall’agiografia e segnati dal-
l’aura di mistica umiltà che tradizionalmente soffonde le “gesta” del Nostro. Forse le uniche, sostanziali novità d’inquadratura, vengono, e non poteva essere altrimenti, dallo specifico teatrale, ove la necessità “tecnica” di organizzare la rappresentazione attorno ad un qualchessia nucleo drammaturgico, non ha potuto non spingere gli autori a cercare spunti e soluzioni originali. Così è nell’opera di Maradei che, riesumando modi e forme e ritmi delle sacre rappresentazioni medievali, si sofferma sull’ultimo prodigio di San Francesco in terra calabra: E la terra alla terra sua ritorna e alla terra sua dà grazia e luce. Il gran morbo della peste scorna e in un sospiro al nulla lo riduce. Ogni inferno guarì da quel gran male ed ognuno riprese la sua strada. Il miracolo fu grande, tanto e tale che del suo eco risuonò ogni contrada. Questa pietra reca impresso il segno di un atto di amore e di passione Per questa terra, lasciato un giorno in pegno dal gran Santo, qua, per devozione. Così è pure nel dramma in due atti Francesco e il re di Vincenzo Ziccarelli: anch’esso giocato sulla compresenza di più luoghi scenici peculiare delle medievali rappresentazioni en plein air, e messo in scena dal Consorzio Teatrale Calabrese con, fra gli altri, Nando Gazzolo nella parte di Luigi XI di
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n. 3-4/2008 Francia, e Salvatore Puntillo in quella di Francesco da Paola, per più stagioni ha portato pei palcoscenici d’Italia il viaggio del Santo verso la Francia e l’incontro con Luigi XI morente, incontro che diventa urto fra disarmante charitas e potere che si presume eterno e onnipotente: Luigi – Il buio mi avvolge, Francesco. Il buio. Forse sarà la pace per me. Ma quando io non ci sarò più, ci sarà ancora il re, colui che tu hai pensato di uccidere. Francesco – Ci sarà un altro uomo, che si porrà al di sopra delle leggi di Dio, fino a quando non si accorgerà che deve morire: allora comprenderà la vanità della sua potenza, la miseria della sua gloria. Luigi – Il re non può ricordarsi che deve morire, perché egli è l’incarnazione della volontà, dell’autorità, dell’ordine. È l’immortalità del potere, che di se stesso e dei suoi effetti si alimenta e vive. Fra poco, annunciando la mia morte, grideranno: viva il re! Francesco – Quale terribile veleno è dunque il potere, se deve nutrirsi di morte e di rassegnazione? Se deve governare la paura, generando altra paura? Luigi – Iddio stesso governa il mondo con la paura dell’inferno. Francesco – Iddio è speranza di libertà, anche se del suo nome ci si serve per impaurire i popoli e per commettere i più orrendi delitti. Ma il potere dei pochi non può distruggere l’attesa delle moltitudini. Così è, in particolare e singolar modo, anche nella farsa dialettale di Salvatore Scervini – il cui manoscritto, insieme a quello di un’altra farsa, L’avucatu Rapasana, è stato trovato fra le carte dell’autore dopo la di lui morte – in cui San Francesco, pienamente e popolarescamente recuperato alla sua proverbiale “zirra”, e richiesto d’intervento da un gruppo di donne umiliate ed oltraggiate, scende sulla terra per una “ispezione” e ovunque giri lo sguardo, ivi compresi conventi e chiese – anzi, soprattutto conventi e chiese, sentìne di brutture d’ogni genere – non vede altro che sconcezze, contrasti, approfittamenti; e, allora, per chiedere e ottenere ragione di ciò, si reca all’inferno dal demonio, certamente ispiratore di tanto liquame, ma, quando l’altro si dimostra irriducibile, finisce per perdere la pazienza e per ricorrere al suo “classico”, infallibile sistema, almeno secundum plebem, per raddrizzar la schiena a uomini, a demoni ed a uomini-demoni: A musca mi è passata ppe llu nasu provàti eccumu sa llu miu bastunu. Così è, infine, ne ’U santu nuostu di Attilio Romano, opera che ha girato e gira assai per le “piazze” calabresi, e che in un intrigante gioco di narrazioni, canti, poesie che si avvicendano, si intersecano, si combinano, ripercorre la vita del Santo nei suoi momenti ed eventi più significativi, fra l’altro con efficaci squarci d’ambiente: Dint’a nu vuosc-chu, tuttu virdi virdi, na pirréra ch’u tiempu avia ’ncavata vicini a chiddu jhumu, sutt’i stiddi, mò c’è nna grutticedda addissulàta. Dinta c’è san’Mpranciscu, fatt’i peta, chi prega ‘ncinucchjunu ’mpacci ’a luna, e ll’acqua di lu jhumu, queta queta,
canta, scurriennu, l’urtima canzona… … Muntagni: cielu cielu vua saglìti ’nzin’a lli stiddi, quannu c’è lla luna, e quannu c’è llu suli pu’ scinnìti cum’è ca saglia e scinna la fortuna. Cuòzzi ’mparinati di la niva, abbannunati di li piecurari, duve nunn’arda cchiù la jhamma viva ca sû sciuddat’i zimmi e lli pagliari e dduvi li sc-carazzi chjn’i cruopu sû ddivintàti cìbbij di suonni duvi un’annasca mancu chjù llu lupu e lli ricordi sû uorvicati funni… Ma qualcosa va detta anche in merito alle opere di alcuni dei poeti prima citati. Anzitutto Vincenzo Padula ed il suo poemetto San Francesco di Paola, scritto all’età di soli quindici anni per ingraziarsi, si dice, il vescovo di San Marco Argentano ed i professori del locale seminario, ove fa qualche anno di studio; poemetto che degli stessi quindici anni ha tutta la freschezza, l’ingenuità, e in certo senso anche l’improntitudine nel mischiare sacro e profano in soluzioni poetiche ancora piuttosto lontane da quelle d’un capo d’arte assoluto quale La notte di atale, epperò che fanno intravedere in filigrana quella che sarà la grande capacità del prete intellettuale “acritano” dal pelo certamente ed esemplarmente bizzarro (si Gesù Cristu fussi acritanu puru illu averra lu vizzarru pilu, recita, difatti, una sentenza paremiologica), la capacità di Padula, si diceva, di coniugare assieme “colto” e “popolare”, di percepire all’unisono le intime vibrazioni che all’orecchio del suo indiscutibile talento poetico arrivano sia dai libri su cui s’indottrina, sia dalla strada e dalle campagne che fanno da scenario alla sua insazia curiosità. Il che, peraltro, ripropone il mistero del perché, dopo aver scritto prima San Francesco di Paola e, poi, a ventisette anni, La notte di atale, egli, in versi e in dialetto, non metta mai più nero su bianco. Comunque, quel che nel San Francesco di Paola c’è di veramente originale e, in certo senso, di sofisticato, almeno per un autore della sua età e dei suoi tempi, è l’artifizio su cui si regge tutto il poemetto e che consiste nel ribaltamento della prospettiva narrativa, nel senso che è l’autore a rendere edotto il Santo della sua stessa storia tramite “canzunella” appresa dalla bocca della nonna che, in una sera d’inverno, gliel’ha raccontata al focolare. San Franciscu, mari mia, sienti mo ’ssa canzuncella, chi mi dissi nanna mia, ’n tiempu ’e viernu, alla furnella. Mamma tua stava sdingata ch’era senza ’na speranza, de chi s’era maritata, ’e ’ngrossare cchiù la panza. ’U maritu alla mugliera l’afferrava pe’ li trizzi:
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Arte e Cultura li facìa ’na sonagliera ’e patati e cipullizzi. E pe’ tuttu chissà affannu, senza scarpi e bantisinu, mamma tua jia pregannu alla ghiesia ugne matinu: e dicìa «Madonna mia, chi cunsùli l’orfanielli, tutt’ ’u jornu ’mmienzu ’a via, ’ncudinudi e povarielli; fammi a mia puru ’na grazia, ca marìtuma è sdingatu, ca tant’anni, (è ’na disgrazia!), iu ’nu figliu nu l’aju datu». ’A Madonna, povarella, ni sintìu compassioni; e ’na notti, tutta bella ni cumparvi ’mmissïoni, e li misi intra lu piettu, friscu e brùnnulu ’nu jìgliu e li dissi: «Stammi aspiettu, ca cussì tieni nu figliu».…
Ma la capacità di fascinazione esercitata da San Francesco è evidente specie in Nicola Giunta il quale, pur laico irriducibile, sornione e gaudente, risulta essere l’autore che più e in vario modo, ma pur sempre con rispettoso sentire, ha scritto
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n. 3-4/ 2008 sullo stesso santo, dedicandogli, oltre a saggi, conferenze e discorsi, un poema in lingua (Lettere paolane), un altro poema pure in lingua ma con corpose e “curiose” tarsìe dialettali (Francesco di Paola), un poemetto interamente in dialetto (San Franciscu a Catuna) e poesie sparse, fra cui, in particolare, una che, per il suo ritmo serrato, per le sue cadenze aggraziate, dà quasi l’idea d’una tarantella votiva, di quelle che, ad esempio, dalle sue parti – egli è di Reggio Calabria – si ballano in onore della Madonna di Polsi, o come certe filastrocche infantili, sul tipo, ad esempio, di esci nesci suli / pe’ lu Santu Sarvaturi / pe’ la luna e pe’ li stiddi / pe’ li pòvari picciriddi…, che, in chiave ludica, puntano a intramare rassicuranti, protettivi manti. San Franciscu, nostru Santu, grandi Santu paulanu: barba janca, niru mantu e ’nu gran bastoni a mmanu… Grandi Santu, muntanaru, a ’n Calabria viniratu, e ppu’ mundu, supr’artaru, tu si’ un Santu assai priatu. «Carità» hai scrittu a ’mpettu, «Carità» hai scrittu ’n cori ; e campasti di ’st’affettu finu ’o jornu chi ssi mori. E ’sta vuci, chistu gridu si sintìu pi lu mundu: ’sta parola fici nidu ’nta lu bbonu cori, a ’n fundu… Ma lu mundu, angustiatu, sempri è a mmanu a ll’omu malu: pi ddispettu ’o sbinturatu, li marbagi fannu scialu… E ttu pìgghia lu bastuni, e ttu scindi di li celi, e ttra musichi e ccanzuni va cu tutti li fideli, chi tt’aspettanu priandu (e ntr’a casa non fann’atru…) chi mmi nesci caminandu vivu ancora di lu quatru,… chi mmi nesci e cchi mmi gridi pi lu mundu, ccà e ddà, cchiù chi ppò, cchiù cchi ti fidi: «Ggenti, aviti carità!». Necessariamente più distesa è, invece, Francesco di Paola, una narrazione per successivi quadri, come quelli dei cantastorie di strada, e che se qua e là non spunta all’aulicità è solo in virtù d’una trovata priva di motivazione funzionale eppure efficacissima nel dar suggestivi echi e rifrangenze al dipanarsi del gomitolo narrativo: in un contesto che, sebbene punteggiato da battute in francese e in napoletano, si sostiene comunque sull’impianto d’una lingua alta, elegante, sorvegliata, il verbo del Santo a tratti, e senza alcun preavviso, tramuta in un dialetto che si sforza d’esser quanto più contiguo a quello paolano, e che, sul piano strettamente formale, non è giustificato nemmeno dalla volontà di dare un’identità espressiva allo stesso Santo, il quale, quasi a caso o come gli viene, parla ora in lingua ornata ora, e per l’appunto, in stretto dialetto:
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n. 3-4/2008 Ed al novizio che gli stava accanto in gran premura e che gli chiede cosa sia necessario al mondo, dice il Santo: «Carità…», «E cos’altro…», «Una sol cosa: carità…», «E poi, che più, che, dopo tanto…», «Carità, carità, non altra cosa», «Carità, sempre?», «Verità e… poi carità ancora e sempre, più che puoi…». «E come, come, San Francesco mio, com’è che si diventa Santo?…», «Oh, chistu, figlio, ’un lu sacciu io, ’un lu sacciu io, u sapi sulamenti Giesu Cristu… Priega e fa’ sempri ’a vuluntà de Dio, chi non c’è bene ’nta su munnu triste: la genti, tra li sua ’mpacci e strapazzi, ne piglia a nnua ppe strolaghi o ppe pazzi»… «O Francesco da Paola, gran santo» disse il novizio e cadde ginocchioni «o Francesco da Paola, gran santo, vi avremo nelle nostre orazioni, nei nostri sogni, dentro il nostro canto luce di nostre sante passioni…». L’altro rispose, a tanto sacro ardore: «Portimi cittu cittu intra û tuo core…»… Tutto aggrumato, infine, attorno all’episodio dell’attraversamento sul manto dello stretto di Messina, è il poemetto dialettale (questa volta in dialetto di puro conio reggino) S. Franciscu a Catuna che, senza molto tradire l’approccio “letterario” a materia “popolare” ad opera di autore “colto”, insegue, e spesso quaglia, stilemi compiutamente popolareggianti: Franciscu va’ pill’unda di lu mari e l’unda a li so’ pedi non si viri; e ppi’ lu strittu ora lu fa passari Ddiu pi la forza di la Santa Firi, ch’iddhu camina e vva’ chi non ti pari chi ‘an fundu di lu mari avissi a gghhiri, quasi quasi chi, a chiddhu gran chiarori, a’ porta supr’a manu lu Signori…
Arte e Cultura chi lu mari undi passa ora lu Santu pari tutta na’ lastra d’oru e argentu; e na gran vvila ddivintàu lu mantu, e lu bastoni ’ntinna i bastimentu e dintra all’aria ’nc’è comu nu cantu e u’ mari cu ddha luci soi sprindenti pariva diri: curri alleramenti!… Si dirà: tirando le somme, non risulta forse vero che, al di là della diversità di funzioni che sono chiamate ad assolvere, al di là della maggiore o minore compiutezza formale, al di là della più e meno matura visione di uomini ed eventi, e, infine, al di là di tante altre cose, non risulta forse vero che letteratura tradizionale e letteratura d’autore rivelano, alla base, uno stesso modo di rapportarsi a San Francesco di Paola, un modo intessuto soprattutto di fiduciosa familiarità, come se lo stesso San Francesco fosse, più che il soggetto di un poema o di un dramma o di un racconto, l’abituale compagno di strada che si vuol raccontare e che, si può star tranquilli, cammina sempre al fianco, e se a volte non si vede è sol perché il suo passo diventa lieve come quello di chiunque voglia star vicino e proteggere senza, però, far pesare la propria presenza? Sicché, in definitiva, la rarefazione di tracce di San Francesco di Paola in ambito “popolare” vale quanto l’abbondanza delle stesse tracce in ambito “colto”, insomma, esse son dritto e verso d’una stessa realtà, facce differenti d’un vitale bisogno di scalare il mito filtrandolo sempre attraverso il religioso sentire, oltre che vivendolo sostanzialmente all’interno di sé nel primo ambito, e, nel secondo, mettendolo in forma. Per cui valga come chiusa a tutto quanto s’è fin qui detto proprio l’ultima strofa di San Franciscu a Catuna, che quale beneaugurate congedo ha una sua esemplarità dal sapore antico, tanto-quanto, se non di più, un tradizionale «ogni cosa è stata ditta / levàmundi ’a barritta» ovviamente adeguato alla circostanza: Chistu vi dissi e cchistu rricurdati o ggenti chi cca’ siti ricugghiuti… e’ vi priài chi vvui m’ascurtati, e vvui non siti già di mia pintuti, si, a quantu dissi, bbeni nci pinzati… Ma Ddiu v’assisti e dduna la saluti: cent’anni e ccentu, si ccuntenti siti, Ddiu di lu celu e San Franciscu aviti…
E ffila san Franciscu e non c’è vventu
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STORIA E ARCHITETTURA NELLA PROVINCIA DI COSENZA di Fulvio Terzi
L
a provincia di Cosenza, la più estesa delle province calabresi, costituisce un sistema territoriale dalle enormi risorse culturali, in cui sono maturati processi di antropizzazione che hanno segnato di ingenti valori l’evoluzione della Calabria nel corso dei processi storici e antecedenti. Evoluzione lenta ma continua, che ha comportato lo stabilimento di ambiti e siti sempre più intensamenti fruiti e riconfermati, fino a determinare il paesaggio del costruito attraverso tracce, segni e presenze di indiscutibile importanza nel panorama dell’arte e dell’architettura europea. Ruolo, quest’ultimo, in fase di affermazione i cui presupposti e contenuti sono, comunque, avviati al recupero di una identità che il passato ha concretamente stabilito e che continua a testimoniare, attraverso la voce dei suoi monumenti storici e dei suoi monumenti antropologici “viventi” rappresentati dalle culture occitana (Guardia Piemontese) e albanese (Lungro, San Dementrio Corone, Santa Sofia d’Epiro, Spezzano Albanese, Civita e altri).
dell’ambiente originario nelle connotazioni morfologiche e alla attuale ricerca archeologica ancora in fase di sviluppo, hanno consentito di individuare interessanti siti conservatisi per la permanenza delle caratteristiche ambientali intrinseche. Tortora, Praia a Mare e Scalea rappresentano siti importanti del Paleolitico che, unitamente ad altri individuati nel territorio della regione e con significativi rilevamenti anche sul versante ionico, evidenziano localizzazioni comprese tra la fascia tirrenica e quella pedemontana, lungo i rilievi collinari o le vie d’acqua interne. I corsi vallivi del Fiume Noce e del Lao appaiono indicativi di tale condizione che racchiudono interessanti insediamenti umani in tale area della Calabria nord-occidentale, quale il sito paleo-mesolitico del Romito di Papasidero, posto a oltre 20 km. nell’entroterra e caratterizzato dalle straordinarie incisioni lapidee dei bovidi; oltre la zona di Praia Mare ove si è riscontrata una continuità di presenza antropica dal Paleolitico fino all’intero periodo del Neolitico.
Il passato Gli eventi che caratterizzano la provincia cosentina partono da un lontano passato che ha inizio dalla formazione delle prime manifatture litiche e dalla applicazione di rudimentali, ma nel contempo efficaci e funzionali, tecniche metallurgiche. Come si desume dalla scoperte paletnologiche e dal relativo esame dei materiali rinvenuti e identificati, rapportato alle diverse culture di produzione e ancora in fase di sistematizzazione, in ragione dei sempre nuovi ritrovamenti che ne ampliano il quadro di studio. Il periodo preistorico in Calabria e nella provincia di Cosenza, la cui datazione risulta necessariamente approssimata per i diversi metodi applicati, per la diversa intepretazione, per l’attribuzione cronologica dei reperti e per le diverse manifestazioni culturali di gruppi coevi in aree geografiche diverse, è inquadrabile nelle seguenti fasi : Paleolitico inferiore (produzione di manifatture) è generalmente compreso tra 2.000.000 di anni a circa 80.000 anni fa; il Paleolitico medio attribuito alla presenza dell’ Uomo Neanderthaliano, con ritrovamento di sepolture identificative di uno sviluppo definibile del tipo socio-culturale, giunge sino a 35.000 anni fa circa; il paleolitico superiore (uomo di CroMagnon e prime espressioni considerate artistiche) riduce a oltre 12-10.000 anni addietro il campo di riferimento a cui segue il periodo detto Mesolitico-Epipaleolitico, comunemente assegnato al periodo di transizione tra l’età della pietra scheggiata e quella della pietra levigata, fino agli ultimi ritrovamenti riferiti a gruppi culturali precedenti l’avvento del Neolitico. Gruppi di popolazione nomade, con attività preminente dedita alla caccia, hanno lasciato tracce di manufatti in pietra e resti dei loro insediamenti. I siti molto limitati, dovuti in gran parte alle trasformazioni
Il Neolitico, classificato cronologicamente in periodi Inferiore, Medio, Superiore, datato intorno al 7.000 a.C. nel Medio Oriente e in Grecia nel 6.000 a.C., in Italia meridionale manifesta le sue espressioni a partire dal 7.000 a.C. con prevalenza nell’ intervallo temporale compreso tra il 5.500/5.000 a.C.Le comunità umane utilizzano la pietra levigata dopo l’uso della pietra grezza e scheggiata; da nomadi e raccoglitori di cibo diventano produttori di alimenti con l’avvio dei primi processi agricoli. Nascono gli insediamenti stabili, si producono manufatti in ceramica e si utilizzano gli animali per le esigenze del lavoro e del consumo. In Calabria i siti Neolitici si sovrappongono, spesso, a quelli precedenti di età Paleolitica:
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n. 3-4/2008 Aiello, Amantea - Campora S. Giovanni, Belvedere Marittimo, Montalto Uffugo, Castiglione di Paludi, Papasidero-Grotta della Manca e Romito, Praia a mare-Grotta della Madonna, Roggiano Gravina-Castiglione, S. Maria del Cedro, Marcellina, Tarsia–Mazzolini, rappresentano gli insediamenti principali e riconosciuti del Neolitico in provincia di Cosenza. In particolare nel Neolitico inferiore, si ritrova la ceramica decorata con motivi impressi prima della cottura, come in loc. Favella di Sibari, nel mentre nel Neolitico medio e superiore è presente la ceramica dipinta, di cui si hanno esempi a Cassano Ionio (Grotta di Sant’Angelo III), Papasidero (Grotta o Riparo del Romito), Praia a Mare, Sibari ecc.Il commercio principale, in rapporto alla sua diffusione, ha determinato l’utilizzo delle vie interne di comunicazione seguite già con una certa regolarità. Durante il Neolitico un maggior numero di località interessate da resti fornisce il quadro di una più consistente presenza umana. La notevole concentrazione di ossidiana sotto forma di strumenti lavorati, schegge e scarti di produzione la si ritrova nelle località già indicate e inoltre nelle Grotte Pavolella di Cassano Ionio, a Corigliano C.- loc. Favella, Roggiano Gravina nei siti di Castiglione e Larderia. La diffusione degli scambi, avviatasi a superare i confini territoriali della provincia per confrontarsi con altre culture, determinarono la formazione di collegamenti anche con aree geografiche poste nell’entroterra o lungo i versanti costieri, collegando le valli dei fiumi Coscile ed Esaro fino alla pianura jonica di Sibari. In tale periodo gli insediamenti antropici presero consistenza e avviarono scambi e attività commerciali, impostando e infittendo le vie di percorrenza e i relativi collegamenti territoriali. Successiva alla preistoria vi é una fase di transizione definita convenzionalmente Protostoria, comprendente l’ età eneolitica o del Rame periodo tra il tardo neolitico e gli albori dell’età del bronzo (3.500 – 2.300 a.C.), l’età del Bronzo (2300 – 1000 a.C. circa ) e la prima Età del ferro (IX°-VIII° sec. a.C.): La capacità di lavorare il metallo rappresentò un progresso tecnico di notevole portata che indusse a modificare la vita delle comunità presenti in Calabria, soprattutto in termini di confronto tra i diversi insediamenti e nella gestione del territorio. In Italia meridionale il passaggio dal Neolitico all’Eneolitico avviene durante il terzo millennio a.C. e in maniera non omogenea, per la difficoltà di reperimento e approvvigionamento della materia prima oltre alla difficoltosa lavorazione del medesimo. La cultura del rame proviene in Calabria soprattutto dalla Campania e dalla Puglia, dalle quali si ricevono la materia prima e gli stessi prodotti. Risulta carente un processo di produzione autonomo che si avvale prinicpalmente di apporti esterni, con scarsa presenza di reperti del tipo, comunque individuati a Cassano Ionio in località Grotta della Pavolella e S. Angelo III, a Cleto, Dipignano, Morano loc. Marsilia, Praia a Mare presso le Grotte Cardini e Madonna, Roggiano Gravina in frazione Manche di Mormanno; sito quest’ultimo in cui sono stati rinvenuti ‘l’alabarda’ e il ‘pugnale’ di rame triangolare. Se l’età eneolitica, allo stato attuale dei rinvenimenti risulta incompleta nell’inquadramenti complessivo dei siti, l’età del bronzo appare molto più ricca e documentata con estensione
Arte e Cultura dal nord del Tirreno fino alla attuale provincia di Catanzaro. L’Età del ferro propone interessanti insediamenti nel versante ionico attestate dalle necropoli di Spezzano Albanese e di San Lorenzo e nel territorio Castiglione di Paludi, che si estesero nell’intera area della provincia cosentina e, secondo quanto riportato dalla letteratura antica, attribuiti alla popolazioni preelleniche, cioè preesistenti all’arrivo dei Greci: Bruzi o Brutti (di probabile discendenza lucana), Choni, Enotri, Itali e Tirreni.
Le colonie greche Nel secolo VIII° a.C. si avviò il processo di colonizzazione greca della Calabria da parte dell’etnia dorica. Gli Ioni fondarono la prima colonia a Reggio C. nel 744 a.C., gli Achei impiantarono gli insediamenti di Sibari e Crotone nei primi anni dell’ VIII sec. a.C. e I Locresi Opunzii fondarono Locri tra il 680 e il 670 a.C. Da tali centri posizionati lungo la costa jonica si estese poi il controllo sul territorio calabrese che vide la presenza greca spostarsi lungo la costa occidentale attraverso le vie d’acqua, inserita in un contesto di scambi commerciali con le popolazioni indigene e con le aree a nord della Calabria. Sybaris si estese lungo la costa tirrenica, controllando in pratica l’intera provincia cosentina attraverso la costituzione di nuovi centri : Clampetia nel territorio di Amantea, Laos alla foce del Fiume Lao, Pandosia in diretta vicinanza alla capitale Bruzia, all’estremità interna della Valle del Crati e Scidros, nelle adiacenze di Belvedere Marittimo. La presenza di tale grande colonia ebbe vita per circa sei secoli, nel corso dei quali le lotte tra le stesse colonie greche, dettate da evidenti interessi economici, la presenza delle popolazioni indigene attestate all’interno del territorio e i mutati equilibri politico-economici nel mediterraneo, portarono alla scomparsa del ruolo della presenza e dell’influsso greco, definitivamente conclusosi con la presenza romana, vanamente ostacolata dagli stessi Bruzi per limiti organizzativi, strutturali e di alleanze rivelatesi inidonee. I resti della città magno-greca di Sibari, scoperti nel 1932 e i cui scavi sono stati avviati a partire dal 1969 hanno consentito di riscoprire vari settori della città sviluppati secondo uno schema urbanistico a maglie ortogonali attribuito a Ippodamo di Mileto. L’area di scavo della “Casa Bianca” conserva una zona edificata nel IV sec. a.C.; l’area degli “Stombi” consiste in un’area urbana, riedificata in parte dopo il 510 a.C. in cui sono
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Arte e Cultura visibili edifici e strutture della città di età arcaica. Nel settore di scavo del “Parco del Cavallo” appaiono evidenti i resti di età romana con la presenza del teatro e di un quartiere urbano lungo due grandi arterie principali. L’età romana I Romani inviarono una spedizione contro i Bruzi nel 282 a. C. i quali chiesero il sostegno di Pirro, re dell’Epiro, sconfitto nel 275 a.C.- In tal modo Roma entrò in maniera determinante nel panorama storico della Calabria, la quale tentò di respingerne la occupazione alleandosi con I Cartaginesi. Anche tale condizione si rivelò inutile, in quanto con la conclusione delle guerre puniche nel 202 a.C. i Romani esercitarono un controllo stringente e diretto sui centri Bruzi in primo luogo e sulle colonie greche, per limitarne ogni possibilità di ripresa e rafforzamento. Si diede l’avvio a un processo di romanizzazione con la formazione di nuove colonie romane e altre in affiancamento o sovrapposizione ai preesistenti insediamenti greci. La cultura Bruzia in pratica si estinse, quella greca fu assimilata; l’economia e la gestione del territorio subirono una completa trasformazione fondata sul recupero delle risorse esistenti da parte dei Romani. L’uso dei suoli e la degenerazione del territorio dovuto alla assenza di un disegno economico e produttivo da parte dei romani, condussero alla distruzione della economia agricola, delle strutture portuali e alla complessa rete delle percorrenze necessaria agli scambi interni, ai quali si sostituì un sistema viario sostenuto dalla via Annia-Popillia, via interna di preminente interesse militare (132 a.C.), direttamente rapportata al trasferimento delle risorse tratte dai territori occupati e al collegamento degli insediamenti di nuova formazione. Il degrado del territorio e conseguente crisi economica, spinse all’esodo le popolazioni che iniziarono a creare nuovi insediamenti a mezza costa annullando in tal modo l’economia costiera, fondata sugli scambi via mare a favore delle produzioni agricole e manufatturiere proprie delle attività collinari e montane. La presenza romana, oltre alle tracce evidenti nell’area ionica delle colonie greche, la si ritrova lungo la Valle del Crati e le zone costiere tirreniche, su cui affiorano tracce significative di insediamenti agricoli e officine di trasformazione. Altri evidenti testimoni della presenza istituzionale romana sono presenti in Cosenza, quali le strutture ad ‘opus reticulatum’ della cinta muraria, resti di edifici pubblici nelle aree a monte e valle del Corso Telesio, negli interrati dei grandi palazzi storici, oltre all’affioramento di resti provenienti da necropoli nell’area dei quartieri suburbani della ‘città nuova’, oltre il Busento. La dimensione ‘romana’ della antica Consentia è ancora tutta da scoprire. Il medioevo Con la caduta dell’impero romano d’Occidente nel 476 d.C. (quello d’Oriente, con capitale Bisanzio durerà per altri mille anni circa, sostituito poi dall’impero Ottomano) l’Italia e la Calabria divennero luogo di scontri e, nel contempo, di interessi politici a seguito delle invasioni barbariche, tra l’impero di Bisanzio e i popoli esterni, quali i Goti, i cui confronti nell’area Jonica della provincia di Cosenza hanno lasciato tracce storiche consistenti.
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n. 3-4/ 2008 La Calabria in tale periodo passò sotto il dominio bizantino, se si eccettua l’intervallo insediativo in Cosenza e nell’area nord occidentale della provincia da parte dei Longobardi fino al secolo IX°, e le continue penetrazioni offensive di gruppi saraceni che occuparono temporaneamente, e a fasi alterne, zone relativamente ampie della provincia, condizionando anche lo sviluppo degli insediamenti sempre più costretti a ritirarsi all’interno del territorio, lontano dalle aree costiere. La riconquista del territorio calabrese fu operata da Niceforo Foca, inviato nell’885 dall’imperatore bizantino Basilio I, al quale si deve anche la ricostituzione di importanti centri quali Corigliano e Rossano. Quest’ultimo ospitò uno dei più insigni personaggi del tempo: S. Nilo. Si assiste, nel frattempo, alla penetrazione in Calabria del cristianesimo di tradizione orientale, a seguito del movimento iconoclasta che determinò, fin dal secolo VIII° d.C., l’arrivo in Calabria di monaci provenienti dalle aree nord-africane e mediorientale, con ‘importazione’ delle proprie componenti rituali e linguistiche e conseguente separazione dalla chiesa di Roma. Tale tradizione orientale apportò anche benefici all’ economia del territorio con l’introduzione di tecniche di conduzione agricola, produzione sericola e, soprattutto, favorì l’aggregazione sociale e comunitaria delle popolazioni presenti in area greca o greco-bruzia, già fortemente frammentate per le condizioni storiche del tempo. Tra il bacino del Mercure e la media e bassa valle del fiume Lao, Orsomarso- Aieta, troviamo l’eparchia del Mercurion costituita da un sistema di luoghi di culto, propri del monachesimo di tradizione orientale, con presenza di modeste costruzioni per lo più a unica navata e con abside centrale semicircolare, di cui costituisce un tipico esempio la chiesa di S. Maria di Mercuri. Altre tipologie, comunque affini, con variazioni nella aggiunta di absidi o nella configurazione planimetrica, ritenuti di attribuzione stilistica proto-normanna si individuano nella chiesetta sul Monte Marco a Cassano allo Ionio, nella Panaghía di Rossano e nella chiesetta dell’Ospedale a Scalea. L’architettura è permeata della cultura bizantina, raffinata ed elegante, che continuerà a manifestare tale apporto anche durante il periodo normanno con manifestazioni significative fino a tutto il XIV° secolo. Tra i monumenti più noti della bizantinizzazione si ritrovano in provincia di Cosenza riferimenti unici di d’ispirazione orientale, quale la chiesetta di S. Marco a Rossano. A San Demetrio Corone, nel 905 d. C., S. Nilo fondò una comunità monastica sulla base di un preesistente oratorio. L’impianto urbano, nella condizione attuale, è ben distinto dalla Chiesa di S. Adriano (XII°-XIII° sec.) che, pur incompleto nella composizione architettonica originaria, costituisce un esempio di architettura romanico-latina ancora permeato dalla tradizione orientale che evidenzia significativamente il passaggio tra le due diverse culture a confronto nella provincia di Cosenza. Il faticoso recupero della Calabria, seguito alle vicende varie e complesse nell’arco di cinque secoli dopo la caduta dell’impero romano d’Occidente, continuò col subentrare dei Normanni i quali, a partire dal 1052 si avviarono alla conquista della regione con Roberto il Guiscardo, completata poi dal fratello Ruggero. Con il subentrare della dinastia normanna fu avviato il processo di latinizzazione dell’intero territorio cala-
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n. 3-4/2008 brese con la presenza, voluta e sostenuta, dei pricipali ordini religiosi (Benedettini, Certosini e Cistercensi). S. Maria della Matina, nel territorio di S. Marco Argentano, è considerata la più antica fondazione benedettina in Calabria. Il monastero benedettino di S. Maria Requisita presso Luzzi, denominato “la Sambucina”, fondato intorno al 1140, divenne in seguito il primo impianto dei Cistercensi in Calabria, giunti nel 1160 dall’abbazia di Casamari. Dai cistercensi si staccò il ramo della riforma Florense, attuato da Gioacchino da Fiore, nato a Celico tra il 1130 e il 1135, fondatore dell’Abbazia di S. Giovanni in Fiore e del Monastero di Fonte Laurato, posto in territorio di Fiumefreddo Bruzio. Esempi significativi della architettura normanna, oltre ai riferimenti sopra riportati e relativi agli impianti religiosi, sono ben presenti a S. Marco Argentano in cui si ammira la Torre detta di ‘Drogone’, tra le primissime testimonianze della presenza normanna in Calabria, dopo la ‘motta’ di Scribla. Fatta innalzare da Roberto il Guiscardo nell’anno 1048, secondo alcuni costruita dai fratelli Drogone dai quali prende il nome, l’opera è caratterizzata da un alta torre cilindrica che riflette ristrutturazioni e rifacimenti tardo-svevi o proto-angioini e successivi completamenti aragonesi. Al di sotto della Cattedrale di S. Marco Argentano si sviluppa la cripta in cui si individuano elementi di varie culture (bizantina e arabo-normanna). Realizzata in pietra e laterizi, é impostata su dodici pilastri a sostegno delle arcate a sesto acuto con crociere laterizie. L’ architettura di periodo normanno costituisce una sintesi tra l’architettura romanica con componenti di derivazione orientale, che manifestano il processo di lenta ma continua assimilazione e occidentalizzazione dell’area meridionale di cultura bizantina. In provincia di Cosenza sono presenti dei risultati estremamente interessanti, in cui è possibile osservare elementi di unicità intepretativa che manifestano tale processo, soprattutto nell’area ionica della Calabria. Bartolomeo di Símeri (1050 ?) impiantò a Rossano uno dei più rinomati monasteri della Calabria, S. Maria del Patir, caratterizzato dalla imponente chiesa a tre navate e triabsidata, che costituisce il momento di rinnovamento dell’architettura normanna pur in presenza di un linguaggio decorativo di evidente ispirazione orientale. La politica operata dai normanni in Calabria attraverso consistenti concessioni, la rivalutazione della economia agricola e il sostegno degli scambi commerciali fu seguita anche dalla casa di Svevia, la quale continuò a sostenere l’economia della regione attuando anche l’ integrazione con la componente sociale ebraica, al fine di favorire il commercio e le iniziative finanziarie.
Arte e Cultura Interessanti le testimonianza del periodo svevo simbolicamente racchiuse nella architettura del Castello di Cosenza, di cui Federico II curò la ricostruzione, essendo stata, probabilmente, la fortezza preesistente distrutta o danneggiata dal terremoto del 1184. Il castello ancora conserva una delle due torri ottagone poste lungo il lato sud e le imponenti sale a crociere costolonate. Altri impianti federiciani sono attribuibili alla fortezza di Rocca Imperiale, variamente modificata nei secoli successivi e il suggestivo sistema fortificato di Roseto Capo Spulico (Petrae Roseti), anch’esso trasformato nel corso del tempo. Anche la Cattedrale di Cosenza venne ricostruita dopo il terremoto del 1184 e inaugurata il 1222, alla presenza dell’imperatore. All’interno, nell’area absidale, si conserva e si rivela il linguaggio artistico di produzione cistercense, semplice ed essenziale, alla cui definizione partecipò l’arcivescovo Luca Campano, monaco cistercense di Casamari. Altrettanto preziosa la sala capitolare dell’ Abbazia cistercense (1222), già benedettina e di fondazione normanna, del citato Monastero di S. Maria della Matina, ricostruita in seguito al terremoto del 1184. Si presenta suddivisa con due colonne centrali a fascio e capitelli a fogliame, su cui si innestano le volte a crociera costolonate. Nell’ambito dell’architettura cistercense rientra anche l’Abbazia di San Giovanni in Fiore, iniziata da S. Gioacchino da Fiore, fondatore della regola florense, derivata da quella cistercense, altro insigne monumento della cultura e della spiritualità calabrese, in cui si rileva la ricercata espressività architettonica manifestata nel sistema della struttura absidale e sottostanti cripte. Non altrettanto positiva fu la presenza della dinastia degli Angiò, dal XIII° sec. in poi, in cui si assistette al declino economico e sociale della regione condizionata da guerre dinastiche, dal prevalere del potere feudale e delle divisioni interne, che causarono un periodo di depressione economica per la consistente diffusione del latifondo delle baronie locali e per l’esoso fiscalismo imposto. Tale gestione arrecò notevoli danni alla Calabria. La città di Cosenza riuscì a conservare una certa autonomia per la condizione di demanialità, la quale consentiva ai sovrani di sfruttare i benefici finanziari dei ricchi commercianti locali e i prestiti concessi dai banchieri. Il periodo angioino non ha lasciato grandi impianti nel contesto della provincia; semmai ha concorso con interventi limitati a fornire testimonianze della propria presenza nel contesto delle opere preesistenti. Nella cattedrale di Rossano si notano alcuni elementi architettonici, quali i portali ogivali, le tre absidi, le semicrociere a costoloni e il sistema dei contrafforti esterni che propongono temi e linguaggi propri dell’architettura angioina di Napoli.
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Arte e Cultura Altrettanto interessante le connotazioni stilistiche della Chiesa di S. Maria della Consolazione, avviata dal Filippo Sangineto nel 1342 con l’ampliamento della chiesetta di Santa Maria dei Franchi (1052), terminata il 1380, i cui tipi decorativi evidenti nel rosone, nel portale e nell’area presbiteriale, evidenziano stretta aderenza con il gotico francese. Il sarcofago marmoreo del Sangineto è stilisticamente affine alle regie tombe angioine di Napoli (S. Chiara - S. Giovanni a Carbonara). Altre presenze della architettura francese sono individuabili nei rifacimenti e ristrutturazioni del Castello (passaggio angioino con crociere costolonate su mensole) e della Cattedrale di Cosenza (Cappella della Regina), quali esempi significativi ma episodici nella storia del panorama architettonico calabrese. L’età moderna Le condizioni di incertezza sociale ed economica continuarono con l’avvento della dinastia aragonese, avviata da Alfonso il Magnanimo (V° d’Aragona, I° di Napoli e di Sicilia), che subentrò agli Angioini nel 1442 e mantenne la sovranità sul Regno di Napoli fino al 1504. Durante il breve ma intenso intervallo temporale si verificarono le rivolte dei contadini, fra cui fu famosa quella guidata da Antonio Centelles (1458-59) ferocemente repressa da Ferdinando I d’Aragona anche in provincia di Cosenza, a cui seguirono altri interventi militari per domare la congiura del baroni (1485), con le comprensibili evidenti conseguenze sociali. Furono eseguiti tentativi atti a sostenne i diritti delle categorie meno privilegiate, con modesti sostegni alle iniziative economiche. La condizione non mutò in senso positivo, né ebbe il sostegno necessario ad attivare quei processi economici avviati in età sveva, stante la componente politica feudale, peraltro sostenuta da influenze francesi, sempre contraria a operare in senso di partecipazione sociale, in quanto protesa alla salvaguardia dei propri diritti. Si registra in tale intervallo temporale la presenza dei profughi albanesi, sfuggiti alla invasione ottomana e accolti da Alfonso I d’Aragona, ai quali furono concesse delle terre, soprattutto in provincia di Cosenza, in cambio della loro fedeltà al sovrano e con l’impegno di difendere la ‘corona’ dalle mire espansionistiche dell’impero turco. Le architettura di tale periodo sono rivolte soprattutto alle strutture fortificate, per evidenti necessità di difesa esterna e interna per sostenere i possibili contrasti delle popolazioni sottomesse. In provincia di Cosenza furono stabiliti i castelli di Castrovillari, Corigliano Calabro, Belvedere, gli ampliamenti del Castello di Rocca Imperiale e l’avvio della costruzioni costiere; poi completate e rinnovate in periodo spagnolo a difesa dagli assalti provenienti dal mediterraneo. Tale indirizzo fa intuire la costante preoccupazione degli Aragonesi di difendere il regno già conteso dai Francesi, minato all’interno dalle baronie feudali, minacciato dalla potenza ottomana e dalla pirateria. Tale periodo è caratterizzato dall’espressività stilistica definita come tardo-gotica, ben individuabile nelle fase finale della presenza aragonese con l’abbandono degli schemi strutturali e formali propri del linguaggio architettonico espresso tra i secoli XII° e XIV°. La produzione edilizia si conformò agli stilemi dell’archi-
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n. 3-4/ 2008 tettura di ispirazione napoletana, con la proposizione delle tipologie durazzesche e catalane, visibili soprattutto nei palazzi privati delle famiglie nobili con gli scaloni aperti, i portali ad arcate ribassate e la ripresa delle maglie regolari costolonate dei prospetti (Palazzo Falvo, Sersale e altri in Cosenza). Altre esperienze furono proposte dalla committenza impegnata quale l’Ordine Domenicano, che nel convento di Cosenza propone il sistema del chiostro a pilastri ottagoni e il portale ribassato dell’ aula capitolare, adeguandosi ai temi già sapientemente sviluppati nella capitale del regno, Napoli. Esempi che denunciano l’abbandono definitivo dello stile gotico, ormai superato dal processo di rinnovamento complessivo in atto e dal procedere degli eventi che coinvolsero, indirettamente, la Calabria in un vasto sistema di interessi a livello europeo. A seguito dei conflitti tra francesi e spagnoli, provocato dai sovrani francesi Carlo VIII (1495) e Luigi XII (1499/1500), che si conclusero nel 1504 con la vittoria di Ferdinando il Cattolico, re di Spagna e l’estinzione politica della casa aragonese, Napoli divenne sede del Vicereame spagnolo e la Calabria una provincia meridionale del regno. La presenza della dominazione spagnola, ovvero di un potere governativo centrale, più saldo militarmente e politicamente non produsse mutamenti positivi nella gestione del territorio calabrese, per la politica accentratrice dei Vicerè spagnoli che indirizzavano gli interventi alla sola regione napoletana. Le province erano poste sotto dominio dei baroni che operavano tramite agenti feudali, ai quali delegavano la gestione diretta della giustizia e l’amministrazione finanziaria, con conseguenti abusi e l’imposizione di tassazioni comprendenti anche i donativi alla corte madrilena. Gran parte del territorio calabrese subì 1’infeudamento delle terre, a cui sfuggirono le città demaniali solo per i consistenti riscatti pagati a favore della Corona. La condizione causò il depauperamento delle campagne ridotte a una condizione di sola sussistenza. Si registra in tale periodo storico anche l’abbattimento dell’industria serica, costituente un patrimonio secolare molto rinomato, dovuto all’eccessivo peso delle imposizioni fiscali e al mancato investimento di capitali in grado di sostenere adeguatamente il confronto con i mercati esterni. A tutto ciò si aggiunge il costante pericolo delle scorrerie saracene e turchesche, sempre incombente, che imponeva la costruzione di una rete di controllo lungo il territorio meridionale del regno. L’origine di tale sistema risale al XI° XII° sec., per arginare le frequenti incursioni saracene e corsare. Furono gli Angioini, più tardi, a progettare un piano completo di difesa realizzato solo in misura limitata e soprattutto nel territorio pugliese e Jonico, a causa dei contrasti politici e delle guerre sostenute durante il loro dominio. Il progetto del controllo costiero del territorio, la costruzione e il completamento delle strutture fortificate fu ripreso in maniera organica durante il periodo spagnolo, in quanto alle scorrerie saracene si unì la presenza nemica della flotta turca nel mediterraneo. Pertanto, il vicerè don Pietro di Toledo nel 1532 emanò le prime ordinanze rivolte alla costruzione di torri di avvistamento marittimo contro gli attacchi dal mare. Si avviò un vasto programma difensivo in tutto il Regno e la Regia Corte dispose che le ‘Università’ si fortificassero a proprio spese, puntando sulla costruzione di un numero considere-
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n. 3-4/2008 vole di torri di guardia, da erigersi lungo tutto il litorale del regno. Fabrizio Pignatelli nella metà del XVI° sec. avviò l’opera di ricognizione e tracciamento del sistema difensivo, stabilì le norme costruttive e architettoniche delle torri a tipologia quadra e cilindriche, suddivise funzionalmente in ‘cavallare’, di allarme o di difesa. Disposizioni continuate nel 1563 sotto il vicerè Afan de Ribera, fino al completamento del sistema difensivo del regno avvenuto soltanto nel XVII° sec., che incluse anche l’assimilazione delle strutture difensive preesistenti. In Calabria Citra (Provincia di Cosenza) nella metà del XVIII° sec. esistevano 36 torri di guardia e numerosi castelli e fortezze in gran parte oggi conservati e in cui si evidenziano i riattamenti cinquecenteschi: Torre San Giovanni - Amantea, Torre ‘Spaccata’ di Amendolara e Torre di Albidona, dal caratteristico impianto circolare e sviluppo cilindrico su base tronco conica; La Torre di Fiuzzi a Praia, Torre Talao a Scalea dalla tipologia a pianta quadrangolare con sviluppo in elevato ‘a scarpa’ segnata da caditoie rastremate lungo il coronamento in aggetto; infine le fortezze ampliate e riattate quali il Castello di Belmonte Calabro, Castello della Valle a Fiumefreddo Bruzio, Castello Ruffo a San Lucido e i poderosi Castelli di Amantea e Rocca Imperiale vere e proprie cittadelle fortificate. Tale sistema di controllo e fortificazioni non valse a scongiurare le aggressioni dei turchi (il Barbarossa nel 1545, Mustafà nel 1550, Dragut nel 1565) anche dopo la battaglia di Lepanto (1571), in quanto il territorio costiero subì gli attacchi ad opera dell’ Ammiraglio della flotta turca Scipione Cicala, conosciuto col nome di Sinan Bassà (1593). Nato a Messina da famiglia di origine genovese e passato nelle fila ottomane al pari di altri ‘cristiani rinnegati’, come i calabresi Euldi Alì, Grande Ammiraglio, e Uluccialy Gran Capitano della flotta turca prima di Sinan. Altri fattori negativi, oltre le continue contese nel mediterraneo, furono la cacciata degli Ebrei dal regno (1540), lo sterminio delle popolazioni valdesi di Guardia Piemontese (156061), le scorrerie di ‘banditi’, spesso con ambizioni di coinvolgimento politico delle masse contadine, come quelle organizzate da Marco Berardi (1560-63) detto «re Marcone» (sepolto in Cosenza nella cripta della chiesa di S.Francesco di Assisi), le avversità naturali (terremoti del 1658 e del 1659), le carestie e le pestilenze che provarono ancora di più la popolazione calabrese, alla quale i tentativi insurrezionale di Tommaso Campanella (1599) e la rivolta di Masaniello (1647) tentarono di offrire un riscatto, negato dalla repressione spagnola. Di contro, la cultura umanistica e scientifica in Calabria registrò uno sviluppo considerevole per la presenza e l’attività di personaggi di profonda cultura e di riconosciuta valenza europea quali Bernardino Telesio, lo stesso Tommaso Campanella e mumerosi di letterati, filosofi e scienzati che contribuirono alla formazione in Cosenza di cenacoli accademici ben rappresentati dall’Accademia dei Costanti, dall’Accademia dei Pescatori Cratilidi (entrambe ospitate nel Duomo della città) e dall’ Accademia Cosentina, ancora vitale e attiva nel tessuto sociale e culturale della provincia. Tale forte tensione culturale non si riversò nella struttura sociale e produttiva della Calabria, che ne rimase separata e lontana per gli evidenti problemi di fondo legati ai sostanziali
Arte e Cultura limiti dettati dalla necessità della mera sopravvivenza. A fronte della condizione sopra descritta occorre evidenziare che nel campo della produzione architettonica i segni del potere dominante, sia per motivi di rappresentatività propria e sia nel tentativo di indurre le masse ad una accettazione del termini del sistema imposto, risultano comunque validi e qualitativamente elevati. Lo stato complessivo dell’architettura propone, soprattutto, interessanti esempi di impianti religiosi, strutture di natura pubblica in misura limitata e consistenti edifici privati, indicativi della presenza feudale in tutti i centri calabresi. I capomastri architetti calabresi nel prima metà del cinquecento recuperarono il linguaggio dell’architettura rinascimentale in maniera limitata ma nel contempo ben misurata, proponendo espressioni sobrie e compiute. I chiostri dei complessi conventuali delle Vergini e di S Francesco di Paola, sempre in Cosenza, sono indicativi di una nuova ricerca con risultati di notevole qualità formale. Il Palazzo Spinelli, già Cosentino ad Aieta, esprime una interessante facciata con finestre decorate in pietra e una loggia centrale a cinque arcate poggianti su colonne toscane con balaustra. Anche l’edilizia pubblica, come nel caso del Palazzo dei Prèsidi nel capoluogo bruzio, si adatta al nuovo linguaggio rinascimentale in maniera essenziale, ma nel contempo indicativa di una diversa e rinnovata cultura espressiva. Il processo evolutivo nell’architettura continua. Sul finire del cinquecento Il recupero delle forme classiche si carica di contenuti che propongono, soprattutto nell’edilizia religiosa, una sintesi tra partiture geometriche e interpretazioni decorative, come si osserva in molte chiese della provincia datate alla fine del XVI° sec., ove compaiono bellissimi portali con arcate a tutto sesto inquadrati da colonne o semicolonne scanalate, oppure a disegno tortile, con trabeazioni impostate su cornici plurime e decori scolpiti in pietra caratterizzano la fase del tardo-rinascimaneto che prelude già alla evoluzione del primitivo barocco. Nel secolo successivo (XVII°) si completò il processo di evoluzione plastica della nuova stagione del barocco, ben visibile nella produzione del complesso monumentale di San Francesco di Paola e nella facciata della chiesa della Madonna di Monte Vergine, nel centro tirrenico di Paola. Altrettanto indicativo della influenza spagnola lo sfarzoso prospetto, incompiuto, della chiesa di S. Maria della Serra a Montalto Uffugo, il sistema delle chiese con relativi portali e scenografie prospettiche in Rogliano, importante centro della presila. Ivi, una scuola di maestranze, operose e rinomate in tutta la provincia cosentina, ha lasciato con estrema evidenza l’esperienza e la valentia realizzativa di abili maestri lapicidi. Altri aspetti delle capacità espressive del barocco, rivolte agli interni, sono visibili nelle mirabili configurazioni spaziali offerte dalle cappelle del SS. Rosario, nella chiesa conventuale dei Domenicani e della Confraternita di S. Caterina d’Alessandria nella chiesa di S. Francesco d’Assisi, entrambi in Cosenza. Dopo il seicento, i temi ben sviluppati della cultura barocca si avviarono a un mutamento che, similmente, trovò concorso nelle vicende storiche che videro altri interpreti nello sviluppo degli eventi della Calabria. Neanche la breve dominazione austriaca (1707/1734), che subentrò a quella spagnola, a seguito della guerra di successio-
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Arte e Cultura ne di Spagna, determinò cambiamenti nelle vicende sociali ed economiche della Calabria. L’età contemporanea Carlo di Borbone III di Spagna, salito al trono nel 1734 e poi divenuto Re di Napoli, tentò di promuovere il miglioramento delle risorse dell’agricoltura e il risanamento delle finanze nel meridione. Condizione perseguita da Ferdinando IV, il quale avviò elementi di rinnovamento nella gestione del regno. Il governo, al fine di restituire nuova produttività alle terre utilizzò il ricco patrimonio della Chiesa di Calabria, mediante l’incameramento dei beni di proprietà ecclesiastica attuato attraverso una serie di provvedimenti che sfociarono nella istituzione della Cassa Sacra (1784-96), in occasione del tragico evento connesso al terremoto del 1783. Il tutto con l’intento di risanare l’economia calabrese e procedere a una più equa distribuzione della proprietà fondiaria. Ma la riforma non ottenne gli effetti sperati e, inoltre, la regione subì la reazione sanfedista antigiacobina dopo la momentanea proclamazione della repubblica partenopea del 1799. L’architettura settecentesca del periodo iniziò a perdere la ricchezza, la grandiosità e plasticità dell’ornato proprie del secolo precedente. Restò l’apparato della partitura secentesca, semplificata nei contenuti e reso più rigida dall’avvento di una revisione classica, che rielaborò le originarie espressioni confinandole, alla fine del settecento, in una essenziale e scontata complementarietà decorativa. Gran parte delle chiese e degli edifici privati nella provincia di Cosenza subirono un processo di revisione e di adeguamento alla nuova visione, ispirata da fermenti illuministici, che appiatti, modificò e trasformò gli organismi architettonici limitandone e in molti casi trasformando integralmente i singoli e originari valori espressivi. Una sostanziale modifica dell’assetto della Calabria si ebbe con la occupazione francese di Giuseppe Bonaparte (1806/1808) e l’abolizione della feudalità, a cui seguì, sotto il regno di Gioacchino Murat (1808/1815), la riorganizzazione complessiva dell’ordinamento civile con l’estinzione degli abusi giurisdizionali dei feudatari, ma non certo con la fine del potere economico della nobiltà. Inoltre, contro il governo francese, divampò in Calabria una lunga drammatica guerriglia (brigantaggio meridionale), sostenuta dalla corte borbonica rifugiatasi in Sicilia, a cui si contrappose una ferocissima repressione militare. Il ritorno dei Borboni (seconda restaurazione) limitò il sistema della riorganizzazione e le riforme avviate nel decennio francese, alimentando un continuo stato di tensione sociale e politica. Ma gli eventi a livello europeo e le nuove istanze liberali che ebbero molti calabresi, provenienti da più diversi ceti sociali, tra i protagonisti dei moti liberali del Regno verificatisi dal 1815 al 1860, avviarono il nuovo processo che nell’arco di
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n. 3-4/ 2008 qualche decennio modificò il quadro politico nazionale. Nel luglio del 1860, con lo sbarco di Garibaldi, la Calabria si univa al generale movimento di assimilazione degli stati nazionali della penisola con la proclamazione dell’Unità d’Italia. Ma non terminò il periodo oscuro, in quanto l’intero territorio calabrese fu teatro della spietata repressione del brigantaggio (1861-66) e non mutò, dopo l’Unità, la condizione di arretratezza e di povertà che, stante la molteplicità dei fattori e la complessità delle cause, manifesta ancora dei limiti strutturali e di gestione. Con l’arrivo dei francesi e nel successivo periodo della seconda restaurazione borbonica, l’architettura nell’8oo subisce ancor più una trasformazione nei contenuti espressivi. Il neoclassicismo diventa il modello di riferimento per la semplicità realizzativa, non disgiunta da fattori economici. Operazione di rivisitazione architettonica già preparata dalla visone settecentesca illuminista che aveva avviato il processo di schematizzazione dei modelli tardo barocchi con la proposizione di architetture di ispirazione classica, svuotate ormai di contenuti e motivazioni, soprattutto nel campo degli impianti religiosi. I modelli di riferimento sono fondati sugli ordini classici (tuscanico sorpattutto nel meridione): ampi cornicioni, timpani regolari, elementi decorativi essenziali, facciate piane con aperture riquadrate e ingressi preceduti da balconate di aggetto su colonne, costituirono il motivo dominante che accomunò le costruzioni del periodo. Un esempio canonico è rappresentato dalla sede del Liceo Ginnasio, ex Teatro S. Ferdinando, in Cosenza. Poi, col passare del tempo e dopo l’Unità d’Italia i modelli si diversificarono, assimilando recuperi neo-gotici e neo-rinascimantali i quali, aggiunti al classicismo interpretativo di fondo, produssero una edilizia appariscente e composita e, nel contempo, gravida nella enunciazione espressiva. La condizione predetta accomunò gli edifici da realizzare, da ristrutturare o da ricomporre e ampliare secondo i termini stilistici accennati, proponendo un lascito edilizio indifferenziato e anonimo nel contesto degli abitati storici della Calabria, teso a rappresentare un sistema di potere incapace di adeguarsi alle esigenze di fondo di una società fortemente compromessa e alla ricerca di nuovi contenuti, basata sulla sola esigenza di riflettere il nuovo stato sociale post-unitario. La breve rassegna esposta, che può intendersi come un momento di riflessione sugli eventi secolari della Calabria e della provincia di Cosenza in particolare, ha tentato di mettere in luce l’enorme patrimonio di valori accmulato dal territorio nel corso di secoli di storia. Patrimonio di esperienze, di intelligenza, di operosità, di profonda religiosità e di cultura, vissute e maturate attraverso sacrifici ed eventi, spesso drammatici, ma innegabilmente validi, indiscutibili e significativi nella definizione delle qualità assunte nel corso dei secoli dalla nostra provincia.
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A 30 ANNI DALLA LEGGE BASAGLIA Un documento sull’ospedale psichiatrico di ocera di Mario De Filippis
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a 30 anni è operante la cosiddetta legge Basaglia, la legge 180 del 1978, che ha rivoluzionato l’assistenza e il concetto stesso di malato mentale. Molti interventi hanno rivisitato il mondo degli ospedali psichiatrici prima che se ne disponesse la progressiva chiusura. Oggi negli ex manicomi si organizzano musei e vengono allestite mostre, che trasformano questi luoghi angosciosi in isole di memoria, di storia, in itinerari nella storia della medicina e del costume. Com’era l’assistenza psichiatrica in Calabria, in passato? Negli anni Sessanta del secolo scorso, durante la prima esperienza di centro sinistra alla provincia di Cosenza la giunta con a capo Antonio Guarisci si interessò del problema dei malati di mente, che venivano internati addirittura fuori regione, in provincia di Salerno, a Nocera Inferiore. Fu decisa una visita presso questa struttura per verificare le condizioni dei ricoverati. Il resoconto fu redatto da Giovanni Conforti, consigliere provinciale e assessore per il PSI, medico condotto di Marano Marchesato: L’Ospedale psichiatrico consortile di Nocera Inferiore. Relazione presentata al Consiglio provinciale di Cosenza nella seduta del 16/1/1964. Eccone alcuni passaggi: “Nei giorni 28 e 29 novembre 1963, il Presidente Guarasci, assieme ai rappresentanti della Giunta (assessori Liguori, Marinaro, Conforti) e dei gruppi (consiglieri Calvosa, Cozza, De Paola, Lamenza, Martorelli) - nove componenti, fra i quali sei medici - portatisi sul posto, iniziavano una serie di accurate visite in tutti i reparti …il complesso edilizio è costituito in gran parte da un vecchio Convento adattato alla meno peggio ad Ospedale, affiancato da due grossi fabbricati altrettanto antichi, da qualche altro padiglione di remotissima costruzione e da tre soli nuovi padiglioni (due per uomini ed uno per donne T.B.C.), oltre alla cappella ed alla cucina, sorte di recente. Nessun segno di rinnovamento va rilevato a carico delle vecchie strutture. Tutto il complesso edilizio è inquadrato in uno spazio di circa 800 metri di lunghezza per circa 400 di larghezza, ove sono attualmente ricoverati, anzi rinchiusi, 2.600 malati di mente delle tre Provincie Consorziate (Cosenza, Campobasso e Salerno), dei quali 850 della Provincia di Cosenza. La Commissione era già spiritualmente preparata ad assistere - almeno sulla scorta delle informazioni in suo possesso - ad uno spettacolo di arretratezza e di abbandono, ma bisogna dire subito, senza tèma di essere trasportati dall’esagerazione, che il contatto diretto ha superato inaspettatamente le più pessimistiche previsioni! Reparto Ummini: al reparto “osservazione” si accede attraverso scalinate grezze, semi-corrose dal tempo. I corridoi sono tetri; squallidi i locali arredati soltanto con qualche panca sullo sfondo di muri poco puliti. Nei dormitori e nei refettori, dove spesso gli ammalati soggiornano, un’esalazione poco gradevole da sovraffollamento assale immediatamente chi entra, respingendolo istintivamente indietro. I lettini sono scadenti; i materassi in buona percentuale di gommapiuma in molte camerate, ma in altre di vecchia fattura; i cuscini mostrano il più delle volte al centro un alone scuro. Macchie di umidità si notano sul soffitto di alcune corsie. Le sale di trattenimento o di soggiorno
sono buie e poco aerate. Le mura sporche, imbrattate, scalfite, decorate da geroglifici, da arabeschi d’ogni genere, da firme, da disegni poco ornamentali. Al centro delle sale, una o due vecchie panche. In queste sale (incapaci a contenerlo) si muove con difficoltà un gran numero di malati tranquilli che hanno limitate possibilità di godersi l’aria libera e la luce del sole, sia perché il clima di Nocera, assai umido d’inverno e pesantemente afoso d’estate, non consente il loro assiduo trasferimento all’esterno e sia perché i cortili sono per giunta inadeguati ed angusti. Il vestiario è scadente. La pulizia personale lascia molto a desiderare. Nel reparto “sorveglianza” sono ricoverati gli agitati, gli irrequieti, i “fissati” (cioè legati al proprio letto o imprigionati nella cosiddetta camicia di forza). Essi sono in gran parte giovani, giovanissimi malati di mente. I letti sono per lo più costituiti da brande senza materasso, con una coperta ed un cuscino senza federa. Su queste brande si agitano, fra riso e pianto, uomini a volte completamente nudi, alquanto denutriti. Sotto qualche letto, si intravede la scodella piena di cibo, probabilmente appartenente a coloro che si trovano nella impossibilità fisica di cibarsi da soli ed in tal caso può sorgere il dubbio dello scarso interessamento del personale preposto a tale specifico servizio. Gli altri malati sono mediocremente vestiti ma sempre in soprannumero. In fondo al viale centrale sorge il Padiglione del Lavoro, così chiamato perché, in locali appositamente attrezzati, vi si svolgeva un tempo e non più oggi il lavoro dei ricoverati idonei alle varie attività artigianali. Si tratta di una grossa costruzione isolata, dalle ampie finestre protette da robuste sbarre di ferro. L’ingresso si apre su larghe scalinate sostenute da colonne. Qui sono alloggiati (dovremmo dire ammassati) da 800 a 900 ammalati. Il solito lezzo investe il visitatore, il solito quadro offrono i refettori: locali poco puliti, inadeguatamente arredati con vecchie panche. Nei dormitori i lettini sono quasi addossati l’uno all’altro e molti materassi sono di scadente fattura. Le latrine non mostrano il minimo segno d’igiene. In un apposito reparto dello stesso padiglione, sono ricoverati 70 malati di mente colpiti da tubercolosi. Sono annesse al reparto: una “sala chirurgica” scarsamente attrezzata ed una stanza con apparecchio R.X. Alla Commissione sono state rivolte, in ogni istante, lagnanze, richieste di dimissioni, rilievi in ordine al vitto, al trattamento, alla lunga degenza, alle cure. Reparto Donne: il reparto “donne tranquille” si presenta con camerate e locali più puliti e ciò è dovuto certamente al personale assistente femminile Il vestiario delle ricoverate è in gran parte logoro. Notiamo frequentemente una scarpa diversa dall’altra, una calza diversa dall’altra. Qualche porta e qualche finestra è senza vetri. I lettini sono in ferro scuro di modello antiquato; la biancheria da letto è malandata e scadente. Anche qui voci concitate di donne e grida di invocazione d’aiuto si sono levate all’indirizzo della Commissione. Entrare poi e soffermarsi nel reparto “donne agitate”, significa assistere ad uno spettacolo veramente pietoso ed altamente drammatico. Donne senza scarpe, senza calze, con i piedi nudi,
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malvestite, sono legate in fila con grosse corde su lunghe panche di legno. I loro corpi, attorcigliati alle corde ed alle panche assumono le più impensate posizioni ed i più strani atteggiamenti! Siamo accolti da grida strazianti, alle quali è difficile poter resistere a lungo! Nello stesso edificio si trova il reparto “celle di isolamento” delle donne agitate: una teoria di piccole stanze buie, allineate in uno stretto corridoio e sbarrate da cancelli di ferro, dove su miseri lettini giace qualche donna semiaddormentata per l’effetto dei narcotici. Un disgustoso puzzo di muffa proviene da queste celle. La visita ai “refettori donne” nell’ora di pranzo, offre lo spunto per rievocare nella nostra mente l’inquietante visione dantesca della bolgia infernale! Una quantità enorme di ricoverate è raggruppata attorno a tavoli disuguali sui quali è riposta, in direzione di ogni ammalata, una scodella di alluminio o di plastica e una pagnotta di media grandezza. Fra i tavoli corre appena lo spazio per passare. Abbiamo potuto accertare che 110 donne consumano il pranzo in un buio refettorio che misura appena metri 20x5, fra esalazioni disgustose che possono compromettere seriamente l’appetito delle ammalate. I servizi igienici di questo reparto consistono, come altrove, in vecchie latrine, poco curate nella pulizia! Dobbiamo aggiungere a questo punto che in tutto il complesso manca una efficiente rete di fognature interne ed esterne, capaci di smaltire rifiuti d’ogni genere…. La “Farmacia” di un grande Ospedale dovrebbe essere il deposito di tutti i farmaci, o per lo meno dei tanti farmaci moderni, indispensabili alla cura delle varie forme di malattie nervose e mentali, anche perché non è inesatto affermare che dalla quantità, dalla qualità, dalla varietà dei preparati terapeutici tenuti a disposizione, si può almeno apparentemente avere l’indicazione della portata della terapia che si attua su 2.600 malati. Per conto nostro siamo certi che le cure vengono praticate, anche se non proprio su larga scala. Ma dobbiamo pur riferire che la Farmacia dell’Ospedale di Nocera, la quale è diretta peraltro da un farmacista, è uno sgabuzzino o meglio un piccolo scantinato, dove sono collocate poche scatole contenenti comuni sedativi, cardiotonici, vitaminici, antibiotici (questi in gran parte campioni gratuiti per medici), un centinaio di
pezzi di “Vesprin”, materiale vario di medicazione (garza, cotone, acqua ossigenata, ecc.) e null’altro! Per quanto riguarda il “casermaggio” abbiamo potuto constatare che esiste un discreto deposito di letti, stoffe per vestiario, coperte, lenzuola, materassi, scarpe, ecc. Ma tanto nuovo materiale anziché rimanere in giacenza, dovrebbe essere immediatamente utilizzato e distribuito, per migliorare e rinnovare, almeno in parte, quanto di logorato, di vecchio e di irrazionale è stato osservato”. La relazione di Conforti (il testo completo in Giovanni Conforti. Democrazie e impegno amministrativo nel Cosentino. Cosenza, 1998. Quaderni dell’Istituto Calabrese per la Storia dell’Antifascismo e dell’Italia Contemporanea, di Mario De Filippis) si sofferma poi sull’organico insufficiente del personale, soprattutto quello medico, e confronta la situazione di Nocera con quella di altre strutture più avanzate, presenti in altre regioni italiane. Le conclusioni sono drastiche, l’Ospedale Consortile non è migliorabile per evidenti carenze strutturali, di organico e organizzative: mancano gli spazi verdi né è possibile crearne, dato che il complesso sorge in un centro abitato. Costa molto alla Provincia di Cosenza e allontana dalla famiglia i malati, aggravandone la situazione. Conforti, a nome della giunta, propone che il Consiglio deliberi per la costruzione di un moderno ospedale psichiatrico. Come sede, in un primo momento, viene indicata la zona di Cancello Mgdalone, in comune di Rende. Negli anni successivi alla visita sorgeranno contrasti proprio sull’ubicazione dell’ospedale, che Guarisci vorrebbe spostare nei pressi di Rogliano, suo collegio elettorale. I veti incrociati tra le forze politiche ritardano il progetto, che sarà poi abbandonato con la progressiva messa in discussione dell’idea stessa di ospedale psichiatrico. Per molti anni ancora, intanto, il vecchio manicomio continuerà ad ospitare centinaia di ricoverati da tutta la provincia di Cosenza. Forse prima o poi qualcuno cercherà i documenti e ne racconterà almeno una parte. La storia del manicomio Vittorio Emanuele II di Nocera Inferiore, istituito tra il 1880 e il 1890, si può leggere in rete: http://www.istitutoricci.it/nocera_inferiore.htm.
Palizzi (da “La Calabria” - Editalia - Edizioni di Italia)
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DA “LE MIE MEMORIE” RITORNO DI UN EMIGRANTE (Sandonatese) di Giuseppe Cordasco Il core gli bruciava, ma era un desio: ripercorrere del vecchio borgo le sue vie, pestar le valli e pei pendìi, dove fanciulletto scorazzando andava con due fichi secchi tra le mani. Ed è tornato, lindo ed adornato, coi segni delle fatiche e dell’etate: lento e greve il passo, dorsale curvato, il capo imbiancato, il volto da rughe solcato. È tornato! e quando da lontano, un barlume quel mattino rendeva alcune case tra le rocce incastonate e la potenza della Chiesa Madre, dal fuoco e dalle fiamme il cor suo si è liberato.
È tornato! ma al limitar del luogo ricordato, da rivisitar sempre agognato, scorge sol due muri di pietra denudata contornati da case abbandonate e muto il vicinato. Eran le mura della casa ov’era nato, era il vicinato tanto amato. quello dei giochi e delle serenate, erano le cose un dì lasciate, senza canto e con gli occhi da lacrime gonfiati. È tornato, ma nulla di allora ei ha ritrovato, neanche quella pietra dalle sue lacrime bagnata! Tempo crudele, tu corri sempre, non ti fermi mai, e per le segrete vie vai lontano! Non odi il pianto sfuggi ai richiami, uccidi il corpo, ma non la sua anima!
Resti archeologici nella Piana di Sibari (da “La Calabria” - Editalia - Edizioni di Italia)
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PROSPERO PARISIO Illustre geografo cosentino di Gustavo Valente
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rcheologo, geografo e numismatico. Patrizio casentino per nascita e romano per privilegio, visse nel XVI secolo quasi continuamente in Roma, dove aveva compiuto gli studi di filosofia e matematica, e ricevuto il dottorato in giurisprudenza. Fu governatore di molte città dello Stato Pontificio e del Regno di Napoli, ed ebbe l’incarico di cooperare all’estirpazione dei fuoriusciti e, d’impedire la propagazione del brigantaggio. Ma le funzioni della toga non gli impedirono di mostrare anche le sue doti guerriere, combattendo valorosamente, sotto Marcantonio Colonna, nel 1571, nella battaglia di Lepanto contro i turchi. Nel 1591 elaborò e pubblicò una carta generale del Regno di Napoli, contornata delle sue armi e dell’elenco dei Santi uomini illustri, famiglie nobili, re e titolati; e nel 1592 una carte delle sole Calabrie, contornata dalle monete della Magna Grecia, di alcune antiche iscrizioni e di un catalogo dei Santi, Pontefici, Cardinali ed altri uomini calabro-greci, illustri per dottrina , armi e mestieri. Ora essendo queste cartte finite in mano di Giovan Giorgio Volkamero di Norimberga allor che questi era presso Marco Aurelio Severino (di cui esso Volkamero scrisse la vita) furono dallo stesso portati nella sua patria e ridotti in forma di libro e pubblicati con il titolo: “Prosperi Parisii, Romani Praticii, V. J. D. RazioraMagnae Erae ciae numismata”. Prospero Parisio morì in Roma , e fu seppellito nella chiesa
Parisio, Prosperio. “Calabriae descriptio” (1589)
di S. Maria degli Angeli dei Certosini, con epitaffio senza alcuna data. «Il Dizionario bibliografico biografico geografico storico della Calabria»
SUCCEDEVA ANCHE TRE SECOLI FA di Cirio Autiero
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uesta lettera è stata scritta tre secoli fa dall’Architetto Sébastien Le Preste; da quel tempo la letteratura e la tecnologia hanno avuto una grande evoluzione, così pure i rapporti tra gli uomini: sono nate le pubbliche relazioni e in omaggio ad esse dichiariamo che ogni analogia della vita attuale con i fatti e i costumi citati dal Marchese di Vauban è da ritenersi puramente casuale. Eccellenza Ministro della Guerra Abbiamo opere di costruzione che trasciniamo da anni non mai terminate e che forse terminate non saranno mai. Questi succede, Eccellenza, per la confusione causata dai frequenti ribassi che si apportano nelle opere Vostre, poiché va certo che tutte le rotture di contratti, così come i mancamenti di parola ed il ripetersi degli appalti, ad altro non servono che ad attirarvi quali impresari tutti i miserabili che non sanno dove batter del capo ed i bricconi e gli ignoranti, facendo al tempo medesimo fuggire da Voi quanti hanno i mezzi e la capacità per condurre un’impresa. E dirò inoltre che tali ribassi ritardano e rincarano considerevolmente i lavori, i quali ognora più scadenti diverranno. E dirò pure che le economie realizzate con tali ribassi e sconti cotanto accanitamente ricercati, saranno immaginarie, giacché similmente avviene per un impresario che perde quanto per un individuo che si annoia: s’attacca egli a tutto ciò che può, ed attaccarsi a tutto quello che si può, in materia di
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costruzioni, significa non pagare i mercanti che fornirono i materiali, compensare malamente i propri operai, imbrogliare quanta più gente si può, avere la manodopera più scadente, come quello che a minor prezzo si dona, adoperare i materiali peggiori, trovare cavilli in ogni cosa e spettegolare ora di questo e ora di quello. Ecco allora quanto basta, Eccellenza, perché vediate l’errore di questo Vostro sistema; abbandonatelo quindi in nome di Dio; ristabilite la fiducia, pagate Il ritratto di Sébastien Le Preste Marchese di Vaubon il giusto prezzo dei lavori, non rifiutate un onesto compenso ad un imprenditore che compirà il suo dovere. Sarà sempre questo l’affare migliore che voi potrete fare. Architetto Marchese di Vaubon
Parigi, il 17 luglio del 1683 «Geometra Notizie»
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IN CALABRIA L’ALBERO DELLA MITOLOGIA EBRAICA di Tiziana Ruffo
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l cedro è un prodotto tipico della Calabria che merita la necessaria valorizzazione anche ai fini del rilancio dell’agricoltura d’eccellenza del territorio, con riflessi scontati sul piano turistico, data l’eccezionalità del frutto, la cui pianta vegeta magnificamente sull’alto Tirreno cosentino, con punta d’eccellenza a Santa Maria del Cedro che non a caso ne porta il nome. Un contributo significativo in questa direzione viene fornito da due istituti di rilevanza internazionale: l’Accademia Internazionale del Cedro e il Consorzio “Cedro di Calabria” che ne curano e diffondono le virtù. L’Accademia è un’associazione no profit, con presidente Franco Galiano, sorta alla fine del 1999 per diffondere la cultura del sacro agrume. Da qui la promozione di congressi, sagre, manifestazioni, dibattiti, contatti con le Università e con associazioni culturali, festival, concorsi, premi letterali, pubblicazioni; rapporti con il mondo ebraico, che utilizza il cedro in riti e funzioni religiose. Molte sono già le visite, da tutta Italia, alla sede dell’Accademia, una cui folta delegazione, allargata a scuole di Santa Maria e di Scalea, da tre anni viene ricevuta presso la Sinagoga di Roma dal Rabbino capo Riccardo Di Segni, a simboleggiare lo stesso vincolo esistente tra il patrimonio culturale mediterraneo della Calabria e quello biblico di Israele, lì l’Accademia offre un dono floreale: foglie e fiori di cedro, steli di palma, fronde di salici e ramoscelli d’ulivo, le quattro piante sacre della festa ebraica del Sukkoth. Sullo sfondo la lettura, da parte degli studenti ammessi alla delegazione, di alcuni brani tratti da “Alla ricerca del cedro perduto, tra sacro e profano” del presidente Galiano. Una lettura intensa ed espressiva tutta tesa a sottolineare quanto il verde agrume trovi nobile e religiosa interpretazione nel frate calabrese Gioacchino Da Fiore e in alcuni passi del Pentateuco della Bibbia. Il cedro ha dunque un valore sacrale: il professor Elio Toaff, rabbino capo della Comunità Israeliana di Roma lo definisce “il frutto dell’albero più bello della mitologia ebraica”, richiesto dagli Israeliani per la festa dei Tabernacoli e per le celebrazioni religiose: i Rabbini, sacerdoti di comunità ebraiche, vengono ogni anno sulla riviera, nel mese di luglio e agosto, per raccogliere e controllare di persona i piccoli cedri, indispensabili per la “festa delle capanne”, la sukkoth, che cade nel mese di settembre e che è per gli Ebrei di tutto il mondo l’avvenimento religioso più importante.
Una nuova fase di rilancio del frutto è stata avviata anche dal “Consorzio Cedro di Calabria”, nato nel novembre del 2000 ad opera del presidente Angelo Adduci, e dell’Assessore Provinciale al Bilancio, Rachele Grosso Ciponte, Direttore Generale del Consorzio. Grazie soprattutto all’impegno di tale Consorzio il cedro oggi è supportato da una legge regionale di tutela che lo accomuna al solo bergamotto e che gli fornisce l’opportunità di costituire una filiera allargata, creando interazioni tra produttori, trasformatori del prodotto, commercianti, albergatori, proprietari di strutture ricettive e operatori turistici in genere. L’agrume è da considerare un prodotto che rappresenta non solo la riviera omonima, ma anche l’intera Calabria, con un’identità precisa che le fornisce la possibilità di essere immediatamente individuata e riconosciuta per ciò che la caratterizza. A tal proposito va segnalata la proposta del presidente Adduci di fondare a Santa Maria del Cedro una “cittadella del cedro” che permetta di trasformare il frutto in tutti i suoi derivati (liquori, creme, canditi, olio, marmellate, confetture, granite, pasticcini e dolci...), fruendo nel contempo delle ricerche e degli studi realizzati in collaborazione con l’Università della Calabria sulle proprietà organolettiche, specialmente antiobesità e antiAlzheimer, riguardo alle quali saranno avviate nuove forme di sperimentazione in modo da fornire a questo prodotto di nicchia una sua visibilità all’esterno, resa solida da una certificazione di qualità come la DOP, altro importante traguardo al fine di rendere l’agrume più competitivo. Il Sindaco di S. Maria del Cedro, Francesco Maria Fazio, ha posto all’attenzione dei circuiti culturali nazionali la tipicità del territorio -anche sul piano turistico- costituita appunto dal cedro e dal valore sacro di questo frutto. L’occasione è stata data dalla Fiera Internazionale del Libro di Torino svolta dall’8 al 12 maggio scorsi. Il cedro assurge, dunque, a vero e proprio “pomo della concordia” come simbolo del raccordo di culture diverse, candidando il territorio dov’esso è coltivato anche quale luogo di incontro di diverse etnie, comprese quelle islamiche, per la forte presenza di emigrati, ormai integrati col territorio. «Gazzetta del Sud»
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CONSENSI AL DIZIOARIO DELLA CALABRIA di Gustavo Valente, edito dal Centro Studi Geo-Metra Araldica Calabrese Collana di cultura araldica calabrese Rende
29 settembre 2008 Ill.mo Presidente Collegio Provinciale Geometri Via A. Serra 42/d Cosenza
Come convenuto nel ns. incontro a Celico il 26.9 u.s. durante la manifestazione svoltasi in onore del Prof. Gustavo Valente, io sottoscritto Dott. Mario Perfetti, in qualità di curatore della Collana di cui in epigrafe, Le faccio richiesta di n° 1 copia dell'opera di GUSTAVO VALENTE: Dizionario bibliografico biografico geografico storico della Calabria. Dichiaro la mia disponibilità a provvedere personalmente al ritiro della suddetta opera presso la sede dell'Ordine nella data che la S.V avrà l'amabilità di fissare. Ringraziando per l'accoglimento della richiesta, porgo distinti saluti Dott. Mario Perfetti
Arch. Fulvio Terzi Cosenza
21 ottobre 2008 Gent. Uff. Dott. Caterini Presidente Collegio Provinciale Geometri Via A. Serra 42/d Cosenza
Gent.mo Sig. Presidente, nel rinnovarLe la mia più profonda stima e partecipazione per il suo colto ed intelligente impegno sociale e professionale, plaudo altresì alle iniziative da Lei condotte per la pubblicazione del lavoro svolto dal compianto Gustavo Valente, storico insigne della Calabria. Purtroppo non mi è stato possibile fruire dell’opera in quanto mi sono giunti, via posta, il III volume il VI ed il VII con le integrazioni documentarie. Le sarei grato se volesse e potesse consentirmi di completare i volumi mancanti per azioni dovute alla spedizione. Grazie. Con sincero affetto e gratitudine Arch. Fulvio Terzi
Università Della Calabria C.I.D.D “R. Lombardi Satriani” Rende
28 novembre 2008 Egr. Sig. Presidente Collegio Provinciale Geometri Cosenza
Facendo seguito a contatti telefonici, reitero la richiesta di copia del "Dizionario dei luoghi della Calabria" per la Biblioteca del Centro in epigrafe, Per l’occasione avverto l'esigenza di complimentarmi per l'opera di diffusione culturale portata avanti negli anni, anche mediante la riedizione di testi introvabili, come il numero monografico de "li Ponte" sulla Calabria, il cui successo è dimostrato dal rapido esaurimento. La pubblicazione dell'opera di Gustavo Valente si presta, ora, a varie considerazioni, non ultima quella dell’omaggio postumo a un benemerito della ricerca sulla cultura calabrese, in prospettiva storica. Il suo inserimento tra i volumi della nostra Biblioteca sarebbe di grande rilievo per i suoi frequentatori: studiosi e studenti. Ringraziando per l'attenzione, porgo distinti saluti. Il Direttore Prof. Ottavio Cavalcanti
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La critica - condivisa o non - in democrazia è un diritto inalienabile di ogni cittadino che caratterizza la vera libertà di opinione e di stampa. on per niente Voltaire affermava: «Disapprovo quello che dite, ma difenderò fino alla morte il vostro diritto di dirlo» g. c. OPINIONI
DIVAGAZIONI… FILOSOFICHE di Vito C. Rosa Sui rapporti tra scienza e filosofia, nel secolo appena trascorso e nel primo scorcio di quello attuale, si è discusso molto e si continua a discutere. Talvolta capita che la discussione investa anche la corrispondenza fra i lettori di un giornale o di un periodico e la sua redazione. Personalmente seguo da molti anni la rivista “COELUM”, dedicata all’ astronomia e, circa due mesi orsono, mi è capitato di leggere un’ interessante disputa fra un lettore che sosteneva l’attualità della filosofia ed il direttore del mensile che sosteneva, a mio parere giustamente, il primato della scienza e della ricerca scientifica. Sono intervenuto anche io nella polemica, riferendo di avere letto sull’ultimo libro di Piergiorgio Odifreddi (Il Matematico Impenitente – pag. 198) uno sferzante giudizio del grande fisico Max Born, premio Nobel 1954, a proposito di certa filosofia e di certi filosofi contemporanei. Giudizio che, di seguito, trascrivo. I filosofi, muovendosi in mezzo al concetto di infinito senza l’esperienza e le precauzioni dei matematici, sono come navi immerse nella nebbia in un mare pieno di scogli pericolosi, e ciononostante felicemente ignari del pericolo. Nel mio piccolo, condividendo il giudizio poco lusinghiero che l’autore manifesta nei confronti di Massimo Cacciari e Giovani Reale, i quali, anche dal mio punto di vista, fanno parte di diritto delle navi di cui parla Max Born, sono perfettamente d’accordo con quanto riportato nel libro di Odifreddi. Di mia iniziativa, ai due nomi appena citati, volevo aggiungere anche quello di Buttiglione, ma poi mi sono detto che non ne valeva la pena. Ad onor del vero, la polemica è di vecchia data se è vero, come è vero, che già il grande Galileo (1564-1642), nell’ opera sua più famosa, “Il Saggiatore” che vide la luce nel 1623, così si esprimeva. La filosofia è scritta in questo grandissimo libro, che continuamente ci sta aperto davanti agli occhi, ma non si può intendere se prima non si impara ad intendere la lingua e conoscere i caratteri ne’ quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri sono triangoli, cerchi ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro labirinto. E’ fin troppo facile appurare come il labirinto di cui scrive Galileo sia assimilabile al mare pieno di scogli di cui riferisce Max Born. Molto più recentemente, nell’ultimo decennio del ventesimo secolo, Stephen Hawking, certamente il più grande
cosmologo vivente, che, a Cambridge, occupa la cattedra che fu di Isaak Newton (1642-1727), nel suo libro più famoso, “Dal Big Bang ai buchi neri”, scrive quanto mi accingo a riportare. Prima, però, invito chi legge a notare come la data di morte di Galileo coincida con la nascita di Newton, quasi a testimoniare il passaggio di consegne fra questi due colossi del pensiero umano. Altra curiosa coincidenza è la data di nascita di Hawking: il 1942, trecento anni esatti dopo la morte di Galileo e la nascita di Newton. Lo stesso cosmologo inglese ama sottolineare questa circostanza. E’ giunto il momento di riportare, alla lettera, quanto si trova scritto a pag. 197 del libro di Hawking (edizione Rizzoli del 1998). Fino ad oggi la maggior parte degli scienziati è stata troppo occupata nello sviluppo di nuove teorie che descrivono che cosa sia l’universo prima di porsi la domanda perché? D’altra parte, gli individui professionalmente qualificati a chiedersi sempre perché, essendo filosofi, non sono riusciti a tenere il passo col progresso delle teorie scientifiche. Nel settecento i filosofi consideravano di propria competenza l’intero sapere umano, compresa la scienza, e discutevano problemi come: l’universo ha avuto inizio? Nell’ ottocento e nel novecento la scienza divenne troppo tecnica e matematica per i filosofi e per chiunque altro tranne pochi specialisti. I filosofi ridussero a tal punto l’ambito delle loro investigazioni che Wittgenstein, il più famoso filosofo di questo secolo, disse: “L’unico compito restante per la filosofia è l’analisi del linguaggio.” Quale caduta della grande filosofia da Aristotele a Kant. Come a dire che certi filosofi contemporanei, alla stregua dei teologi, pontificano e discettano intorno al nulla. Mi viene in mente Benedetto Croce che, per dimostrare la sua ottusa avversione nei confronti della matematica, diceva che era tutt’al più utile (bontà sua!) alla sua domestica per fare i conti della spesa. Che ferrea argomentazione! Che pensiero sublime! Che dire poi del prof. Zecchi che, in una trasmissione televisiva di qualche anno fa, mi pare il Maurizio Costanzo Show, ebbe la luminosa idea di dichiarare che, per almeno mille anni, era necessario impedire l’insegnamento della matematica e della fisica nelle scuole? Qui, evidentemente, siamo di fronte al pregiudizio allo stato puro. Avigliano, 11 dicembre 2008
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comitato regionale geometri di calabria DEPOSITO TIPI DI FRAZIONAMENTO IN COMUNE Dal Consiglio azionale Geometri e Geometri Laureati Da più parti viene segnalata l’applicazione di disparate e pretenziose procedure, attivate a vari titoli dagli Uffici Tecnici Comunali, per ottemperare al dettato di legge che impone il deposito preventivo in Comune degli aggiornamenti catastali, comprendenti il frazionamento di terreni. E’ appena il caso di sottolineare quale sia la “ratio” della norma in parola, istituita per la prima volta nella legge 47/85 (Condono Edilizio) e poi confermata, ripresa ed integrata anche da norme successive, ma mai modificata nei contenuti essenziali. Detti contenuti sono inequivocabili e non si prestano ad interpretazioni, come invece pare facciano inopinatamente, alcuni Comuni. La norma è contenuta nell’articolo 18, comma 5 della legge 47/85, che recita testualmente: “ I frazionamenti catastali dei terreni non possono essere approvati dall’Ufficio tecnico erariale se non è allegata copia del tipo dal quale risulti, per attestazione degli uffici comunali, che il tipo medesimo è stato depositato presso il comune”. Con detta norma, si intendeva scoraggiare la realizzazione di lottizzazioni abusive, che erano avvenute un po’ ovunque, prima dell’entrata in vigore della legge sul condono edilizio, anche soltanto attraverso il semplice frazionamento del terreno e la vendita dei lotti, formati esclusivamente a livello catastale. Accadeva infatti che nella realtà, la formazione di lotti di terreno, appariva come una sorta di assenso e di legittimazione (seppur soltanto catastale) a proseguire con le attività edilizie successive, anche in luoghi privi di specifiche e puntuali prescrizioni urbanistiche, che per altro, all’epoca spesso erano assenti o non erano puntualmente definiti. Quindi la norma, intendeva rendere edotti anche i Comuni di un fatto che prima, appariva meramente di rilevanza catastale, fornendo così un’ulteriore opportunità di poter intervenire amministrativamente, contrastando sul nascere eventuali attività urbanistiche ed edilizie illecite ed abusive, prima del loro compimento. L’articolo 18, comma 5 delle legge 47/85, impone che l’Amministrazione Catastale non possa approvare un atto tecnico di aggiornamento del Catasto dei Terreni che preveda il frazionamento di una o più particelle catastali, quindi ne modifichi la consistenza, in assenza della certezza che l’elaborato relativo sia stato preventivamente depositato presso il Comune. La dimostrazione che l’elaborato sia stato depositato in Comune, ha la funzione di tranquillizzare il Catasto (per nulla competente nel settore dell’urbanistica) facendogli acquisire la consapevolezza che, comunque e quantunque debba per altro, eseguire puntualmente gli aggiornamenti di mappa e dei dati amministrativo/censuari di cui all’atto di aggiornamento presentato per l’approvazione, la vigilanza ed il controllo della legittimità urbanistica ed edilizia, deputate per legge all’Amministrazione Comunale, sono comunque garantite. Dunque il deposito in Comune, consente che l’atto di aggiornamento sia approvato dal Catasto e contemporaneamente, mette il Comune nelle condizioni di essere a conoscenza dell’aggiornamento in corso e se del caso, gli consente di poter intervenire con i mezzi indicati dalla stessa legge, per scongiurare la costituzione di una lottizzazione abusiva. Questo però non consente al Comune di trattenere preventivamente l’elaborato di aggiornamento, né per verifiche preventive, né per autorizzazioni o pareri, in quanto la norma in parola richiede soltanto il “deposito” e non anche altre incombenze, al fine dell’approvazione catastale. Il Comune non può richiedere al depositante, la presentazione di ulteriori dati tecnici o metrici, il pagamento di diritti, la presentazione di istanze, né tantomeno trattenere per un tempo indefinito o discrezionalmente prefissato, la copia presentata per l’apposizione della prova dell’avvenuto deposito (di solito data, timbro e firma del funzionario preposto), con la pretesa di consentire la preventiva verifica dell’Ufficio Tecnico, o del Sindaco o del Funzionario. La possibilità consentita al Comune, di accertare e verificare la presenza nell’atto tecnico di aggiornamento che viene presentato per il deposito, di elementi che possano configurarsi come illegittima attivazione di una lottizzazione abusiva, è una procedura che deve essere del tutto interna all’Ufficio Comunale e non deve assolutamente essere pregiudizievole del corretto deposito, previsto dalla legge. Quindi è evidente che il Comune, non deve frapporre alcun indugio od ostacolo alla dinamica tempistica del deposito, il quale non può essere condizionato da elementi diversi dal semplice “prendere in custodia ciò che per legge viene affidato”. Pertanto risulta senza dubbio indispensabile, che il Comune rilasci immediatamente ed in tempo reale al richiedente, l’attestazione che l’atto tecnico di aggiornamento è stato depositato, trattenendosi la copia di pertinenza e riservandosi contemporaneamente, ogni facoltà di intervento in seguito.
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comitato regionale geometri di calabria UNIVERSITÀ DELLA CALABRIA I LAUREATI IN SCIEZE GEO-TOPO-CARTOGRAFICHE, ESTIMATIVE, TERRITORIALI ED EDILIZIE Sedute del 29 gennaio, 29 aprile, 29 luglio e 28 ottobre 2008 Studente
Indirizzo
Data
Dipartimento / Stage
Tutor Universitario
Mancuso Carlo Ugo Leo Valentino Rino Simona Zanfini Daniele Salerni Francesco Soverina Gianfrano Vomero Luana Forte Antonio Giuseppe Imbrogno Fabio Tiano Arturo Sposato Luciano Vincenzo
ECO GEO ECO GEO GEO GEO GEO GEO GEO GEO GEO
29.1.2008 29.1.2008 29.4.2008 29.4.2008 29.7.2008 29.7.2008 29.7.2008 28.10.2008 28.10.2008 28.10.2008 28.10.2008
Strutture Pianificazione Territoriale Ecologia/Orto Botanico Pianificazione Territoriale INGV - Roma Fisica INGV - Roma Pianificazione Territoriale Pianificazione Territoriale Scienze Aziendali INGV - Roma
Vincenzo Maria Mattanò Rosolino Vaiana D. Gargano-L. Bernardo Giuseppe Artese Ignazio Guerra Ignazio Guerra Ignazio Guerra Rosolino Vaiana Giuseppe Artese Graziella Sicoli Ignazio Guerra
Paparazzo Paolo
ECO
28.10.1008
Kosmos - Reggio Calabria
Ignazio Guerra
CORSO DI LAUREA IN SCIENZE GEO-TOPO-CARTOGRAFICHE, ESTIMATIVE, TERRITORIALI ED EDILIZIE Immatricolazione A.A. 2008-2009 nell’Università della Calabria Tabella 1: Diploma di maturità conseguito dagli studenti immatricolati
Tabella 3: Provincia di residenza degli studenti immatricolati
Istituto Ist. Tecn. Geometri Ist. Tecn. Industriale Ist. Tecn. Commerciale Ist. Prof. servizi comm. Liceo Classico Liceo Scientifico Liceo Magistrale Maturità artistica Altra Maturità Tecnica Altra Maturità Totale
Provincia Numero Catanzaro 16 Cosenza 74 Crotone 4 Reggio Calabria 1 Vibo Valentia 6 Alte provincia Totale 101
Numero 40 1 9 9 2 21 1 2 15 1 101
Perc. 39,6% 0,9% 8,9% 8,9% 1,9% 20,0% 0,9% 1,9% 15,0% 1,0% 100,0%
Tabella 2: Sesso degli studenti immat. Sesso Numero Perc. Maschi 78 77,2% Femmine 23 22,8% Totale 101 100,0%
Tabella 4: Voto Maturità in 100esimi Numero 60 - < 70 25 70 - < 80 15 80 - < 90 25 90 - 100 36 Titolo studio Straniero
Totale
101
Perc. 16,0% 73,0% 4,0% 1,0% 6,0% 0,0% 100,0%
% 24,7% 14,8% 24,7% 35,8% 0,0% 100,0%
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collegio di catanzaro INIZIATIVE E RIUNIONI maggio 2008 21 Corso in Materia di Sicurezza ai sensi del D. Lgs. 195/2003 - modulo A 22 Corso in Materia di Sicurezza ai sensi del D. Lgs. 195/2003 - modulo A 23 Corso in Materia di Sicurezza ai sensi del D. Lgs. 195/2003 - modulo A ” Partecipazione a presentazione volume "Viaggio nella storia della città" 24 Corso in Materia di Sicurezza ai sensi del D. Lgs. 195/2003 - modulo A ” Assemblea annuale ordinaria per gli iscritti all'albo -1a convocazione - sede Collegio 28 Esami di idoneità Corso in Materia di Sicurezza ai sensi del D. Lgs. 195/2003 - modulo B 29 Corso in Materia di Sicurezza ai sensi del D. Lgs. 195/2003 - modulo C 30 Corso in Materia di Sicurezza ai sensi del D. Lgs. 195/2003 - modulo C ” Assemblea annuale ordinaria per gli iscritti all'albo - 2a convocazione - sede Collegio giugno 5 Corso "La riqualificazione energetica negli edifici" - sede Collegio 6 Partecipazione incontro P.S.C. Comune di Falerna ” Corso "La riqualificazione energetica negli edifici" - sede Collegio 7 Corso "La riqualificazione energetica negli edifici" - sede Collegio 9 Corso di preparazione agli esami di abilitazione alla libera professione di geometra 10 Corso di preparazione agli esami di abilitazione alla libera professione di geometra 11 Corso in Materia di Sicurezza ai sensi del D. Lgs. 195/2003 - modulo C 12 Corso in Materia di Sicurezza ai sensi del D. Lgs. 195/2003 - modulo C 13 Corso in Materia di Sicurezza ai sensi del D. Lgs. 195/2003 - modulo C 14 Incontro di categoria - sede Laino Borgo 16 Corso di preparazione agli esami di abilitazione alla libera professione di geometra 17 Corso di preparazione agli esami di abilitazione alla libera professione di geometra 18 Corso in Materia di Sicurezza ai sensi del D. Lgs. 195/2003 - modulo C 20 Consiglio Direttivo 23 Corso di preparazione agli esami di abilitazione alla libera professione di geometra 24 Corso di preparazione agli esami di abilitazione alla libera professione di geometra ” Partecipazione a Seminario "Testo unici sicurezza: obblighi e responsabilità'" - sede Lamezia Terme 27 Partecipazione a memorial "Mario Occhiato" Torneo di calcio a 5 - sede Costa degli Dei 28 Partecipazione a memorial "Mario Occhiato" Torneo di calcio a 5 - sede Costa degli Dei 29 Partecipazione a memorial "Mario Occhiato" Torneo di calcio a 5 - sede Costa degli Dei 30 Corso di preparazione agli esami di abilitazione alla libera professione di geometra luglio 2 Corso di preparazione agli esami di abilitazione alla libera professione di geometra 7 Corso di preparazione agli esami di abilitazione alla libera professione di geometra 9 Esami di idoneità Corso in Materia di Sicurezza ai sensi del D. Lgs. 195/2003 - modulo C 10 Partecipazione Forum regionale per la costruzione Q.T.R. paesaggistico - sede Bagnara Calabra (RC) 21 Convegno "La responsabilità' dei Tecnici nell'invio telematico" 22 Partecipazione a workshop Cassa Italiana Geometri - sede Roma (nuovo applicativo di "modulistica on-line" ed emissione MAV on-line) 23 Partecipazione a workshop Cassa Italiana Geometri - sede Roma (estratti conto contributivi cartacei e informatizzati) 25 Consiglio Direttivo settembre 8 Corso di preparazione agli esami di abilitazione alla libera professione di geometra 9 Corso di preparazione agli esami di abilitazione alla libera professione di geometra 15 Corso di preparazione agli esami di abilitazione alla libera professione di geometra 19 Consiglio Direttivo 22 Corso di preparazione agli esami di abilitazione alla libera professione di geometra 23 Corso di preparazione agli esami di abilitazione alla libera professione di geometra 29 Corso di preparazione agli esami di abilitazione alla libera professione di geometra ” Incontro con il Comune di Davoli per problematiche categoria
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collegio di catanzaro 30 Partecipazione Convegno "Linee Guida per la redazione di capitolato per l'impiego di rete metallica a doppia torsione" - sede Catanzaro ottobre 4 Partecipazione ad inaugurazione sede I.T.G. Catanzaro Lido 10 Consiglio Direttivo 21 Incontro con l'Agenzia del territorio - Direzione Provinciale della Calabria 23 Incontro con l'Agenzia del territorio - Direzione Provinciale della Calabria 24 Partecipazione a tavolo di lavoto per Piano territoriale di coordinamento provinciale novembre 4 Esami di abilitazione alla libera professione di geometra - sessione 2008 - prima prova scrittografica 5 Esami di abilitazione alla libera professione di geometra - sessione 2008 - seconda prova crittografica 13 Corso in Materia di Sicurezza ai sensi del D. Lgs. 81/2008 della durata di 120 ore ” Corso in Materia di Sicurezza ai sensi del D. Lgs. 81/2008 della durata di 120 ore 15 Corso in Materia di Sicurezza ai sensi del D. Lgs. 81/2008 della durata di 120 ore 15 Corso in Materia di Sicurezza ai sensi del D. Lgs. 81/2008 della durata di 120 ore 20 Corso in Materia di Sicurezza ai sensi del D. Lgs. 81/2008 della durata di 120 ore 21 Consiglio Direttivo 22 Corso in Materia di Sicurezza ai sensi del D. Lgs. 81/2008 della durata di 120 ore 24 Esami di abilitazione alla libera professione di geometra - sessione 2008 - inizio prove orali 25 Corso in Materia di Sicurezza ai sensi del D. Lgs. 81/2008 della durata di 120 ore 27 Corso in Materia di Sicurezza ai sensi del D. Lgs. 81/2008 della durata di 120 ore ” Consiglio Direttivo 29 Corso in Materia di Sicurezza ai sensi del D. Lgs. 81/2008 della durata di 120 ore
CORSO IN MATERIA DI SICUREZZA - D.LGS. 195/2003 - MODULO B Esami di idoneità - 28 maggio 2008
Giuseppe Donati (docente corso)
Da sx: Orlando Faenza e Vitaliano Marino
Da sx: Francesco Grillo e Giovanni Basile
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collegio di catanzaro SEMINARIO “LA RESPONSABILITÀ DEI TECNICI NELL’INVIO TELEMATICO” 21 luglio 2008
Un aspetto della sala
Da sx: Ferndinado Chillà, Giorgio Cipolla, Massimo Gironda Veraldi, Nicola Santopolo e Francesco D’Amico
CORSO IN MATERIA DI SICUREZZA - DECRETO 81/2008 13 novembre 2008
Un aspetto della sala
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Da dx: Luigi Rotundo e Nicola Santopolo
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collegio di catanzaro
AGGIORNAMENTO ALBO Iscrizioni Emiliano Foligno nato il 05/07/1979 a Lamezia Terme residente in Lamezia Terme iscritto al n° 3053; Patrizia Pettè nata il 27/10/1983 a Toronto (Canada) residente in San Vito Jonio iscritta al n° 3054; Attilio Lepore nato il 25/01/1986 a Catanzaro residente in Catanzaro iscritto al n° 3055; Carmine Passafaro nato il 26/12/1981 a Catanzaro residente in Petronà iscritto al n° 3056. Cancellazioni per dimissioni Raffaele Clericò con decorrerza 20/6/2008; Giuseppe Capellupo con decorrerza 20/6/2008; Salvatore Fodaro con decorrerza 20/6/2008; Antonio Corasaniti con decorrerza 25/7/2008; Giuseppe Mantella con decorrerza 10/10/2008. Revoca sospensione dall’Albo Professionale per morosità Vincenzo Sanfrancesco nato il 24/9/1971 (Consiglio Direttivo 20/06/2008) Cancellazioni per decesso Salvatore Mellace, deceduto il 19/7/2008.
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collegio di catanzaro PROTOCOLLO DI INTESA PER L’EVOLUZIONE DELLA FIGURA DEL GEOMETRA Tra Istituto di Istruzione Superiore “ G. Malafarina” di Soverato, Istituto Tecnico per Geometri di Soverato e il Collegio dei Geometri e Geometri Laureati della Provincia di Catanzaro Premesso che: - L’Istituto Tecnico per Geometri di Soverato da tempo cerca di sperimentare nuovi approcci curriculari al fine di valorizzare l’azione di formazione delle discipline professionalizzanti e di rendere la formazione più aderente ai nuovi settori professionali, alle nuove tecnologie e alla realtà territoriale; - L’Istituto Tecnico per Geometri di Soverato può avvalersi di un corpo docente pienamente consapevole dei bisogni formativi dei propri allievi, che conosce gli aspetti ed i contenuti tecnologici più avanzati delle professionalità dei nuovi settori di lavoro, esperto del mondo delle professioni e del lavoro, capace di impostare piani di studio che siano in grado di coniugare conoscenze teoriche con applicazioni ed approcci operativi che si avvalgano di mezzi strumentali e di software d’avanguardia; - L’Istituto Tecnico per Geometri di Soverato in questi ultimi anni ha portato avanti iniziative innovative nel campo della formazione integrata, tra le quali si ricordano: Corsi di Istruzione e Formazione Tecnica Superiore per “Tecnico specializzato in interventi di recupero edilizio”; Corso di Istruzione e Formazione Tecnica Superiore per “Tecnico di cantiere per il recupero dei centri storici”; Percorsi di formazione in alternanza scuola-lavoro in rete con l’Ente Scuola per le Industrie edilizie ed affini di Catanzaro; - L’Istituto Tecnico per Geometri di Soverato in questi ultimi anni ha in più occasioni formalizzato rapporti con Enti Pubblici Territoriali e Collegio dei Geometri al fine di far svolgere ai propri allievi attività di stage e di progettazione assistita. - La Legge n. 53/2003 “Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale” propone una riorganizzazione complessiva del sistema scolastico nazionale che per la scuola secondaria superiore prevede: l’istruzione liceale con un ruolo fondamentale di preparazione propedeutica agli studi universitari affiancata allo sviluppo operativo di tematiche professionali e l’istruzione e formazione professionale preposta prevalentemente alla preparazione di base dei quadri tecnici esecutivi mediante corsi brevi, corsi triennali per la qualifica, corsi di istruzione professionale quadriennali per il conseguimento del diploma professionale, corsi di formazione professionale superiore annuali o biennali e formazione integrata superiore. - Il Collegio dei Geometri e Geometri Laureati della Provincia di Catanzaro, che ha come obiettivo primario la promozione dell’evoluzione della figura del geometra attraverso un percorso continuo e serrato di formazione scolastica prima e percorsi formativi permanenti di aggiornamento poi, intende coadiuvare, interagire e supportare il corpo docenti con esperienze di tipo professionalizzanti e con interventi su tematiche operative altamente professionalizzanti al fine di approfondire, implementare, aggiornare il percorso didattico curricolare dei futuri geometri e prepararli quindi, in modo più adeguato, al tirocinio professionalizzante prima che alla professione poi. - Il Collegio dei Geometri e Geometri Laureati della Provincia di Catanzaro, per perseguire gli obiettivi di cui al punto precedente, ritiene necessario confrontarsi con le istituzioni scolastiche e mettere a disposizione le proprie risorse umane, professionali, operative ed economiche al fine di individuare, organizzare ed espletare gli interventi reputati utili agli obiettivi prefissati. Tenuto conto che : i contenuti della riforma del sistema della pubblica istruzione e dei documenti di programmazione nazionale e regionale, considerano la collaborazione elemento fondamentale per la sperimentazione di nuove metodologie e valido strumento culturale e formativo a disposizione per lo sviluppo territoriale Tutto ciò premesso e considerato 1) Istituto di istruzione Superiore “ G. Malafarina” C.F. 94001310799, con sede in Soverato via Trento e Trieste, rappresentato dal Dirigente Scolastico prof. Domenico Agazio Servello, nato a Palermiti il 5/5/1953, domiciliato per il presente atto presso la sede dell’Istituto “G. Malafarina”, 2) Istituto Tecnico Statale per Geometri di Soverato, con sede in Soverato, via Trento e Trieste rappresentato dal Vice Preside prof. Romualdo Procopio, nato a Sant’Andrea il 14/2/1952, domiciliato per il presente atto presso la sede dell’Istituto per Geometri di Soverato; di seguito indicati Istituti e il Collegio dei Geometri e Geometri Laureati della Provincia di Catanzaro , c.f. 8004280790 con sede in Catanzaro, viale dei Normanni 45, rappresentato dal Presidente Dott. Geom. Nicola Santopolo nato a Catanzaro il 14/7/1944 e domiciliato per il presente atto presso la sede del Collegio dei Geometri e Geometri Laureati della provincia di Catanzaro di seguito indicato Collegio Stipulano e convengono quanto segue: Art. 1. Oggetto dell’attività di collaborazione Le parti concordano nel voler mettere in atto tutte le strategie al fine di promuovere l’evoluzione della figura del geometra in base alla richiesta di conoscenze che vengono dal mondo del lavoro e nell’avviare una collaborazione nel campo della formazione e della ricerca educativa con l’obiettivo di legare sempre più la figura professionale del Geometra in uscita dagli Istituti alle esigenze del mondo del lavoro e quindi del territorio. Per ottenere tali scopi s’intende operare congiuntamente per promuovere: l’adeguamento dei piani di studio alle esigenze di cui
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collegio di catanzaro sopra, la proposizione di stage e di interventi di integrazione all’attività didattica, la progettazione ed erogazione di formazione integrata e continua, l’aggiornamento professionale e l’inserimento degli Istituti nella rete GPS. Art. 2. Realizzazione delle attività Gli Istituti ed il Collegio si impegnano a coordinare tra loro le proprie attività didattiche innovative e a programmare per quanto sia possibile interventi didattici e iniziative di formazione, a mettere a disposizione, nell’ambito delle disponibilità esistenti, propri spazi e mezzi strumentali, ritenuti necessari per le attività concordate. La collaborazione tra gli Istituti ed il Collegio non esclude l’estensione del rapporto ad altri organismi pubblici o privati. Art. 3. Coordinamento delle attività Comitato tecnico scientifico Gli Istituti provvederanno a nominare un Referente per scuola che sarà il responsabile del coordinamento del rapporto di collaborazione tra le due istituzioni. Tali Referenti costituiranno un comitato tecnico scientifico paritetico composto da rappresentanti dell’Istituto e del Collegio, con il compito di: - redigere un piano comune (annuale o poliennale) di attività e di strategia operativa; - verificare l’opportunità di corsi di formazione integrata da svolgere nelle classi IV e V utilizzando a tale fine la quota oraria del 20% del monte ore complessivo; - individuare le risorse utilizzabili nelle varie azioni previste; - supervisionare e valutare l’andamento e risultati delle azioni intraprese. Il Comitato, si riunirà di norma tre volte l’anno. Il Comitato per l’attuazione delle iniziative approvate si avvarrà di uno Staff Dirigenziale e Operativo che avrà il compito di interagire fra i diversi Istituti e organizzare e programmare interventi didattici (se questi comportino uso di strumentazione e/o software disponibile in modo limitato) decisi dal Comitato. Il Comitato, avrà anche il compito di promuovere accordi e contatti necessari alle attività di formazione e ricerca con altre Istituzioni operanti a livello provinciale, regionale, nazionale ed internazionale. Art. 4. Sede dell’attività di Coordinamento La sede operativa delle attività viene individuata presso il Collegio dei Geometri e Geometri Laureati di viale dei Normanni 45, Catanzaro Art. 5. Durata Il presente protocollo ha validità triennale, a partire dalla data della firma, e si intende tacitamente rinnovato per pari periodo salvo disdetta da trasmettere per iscritto. Al termine di ogni anno sarà effettuata una verifica congiunta anche al fine di apportare eventuali integrazioni o miglioramenti al protocollo stesso. Art. 6. Finanziamento Il Collegio e l’Istituto, previa deliberazione degli organi competenti, si impegnano a finanziare le attività che il Comitato individuerà nel piano annuale o poliennale e ritenute oggetto di finanziamento. Le parti si riservano di comune accordo, in forza del presente protocollo, di presentare, sotto forma di Associazione temporanea di scopo, progetti a valere su bandi provinciali, regionali, nazionali e comunitari o altro. Ruoli e compiti relativi ai progetti saranno definiti dal protocollo della Associazione temporanea. Si assume inoltre che la collaborazione potrà anche avere forma consortile e sarà definita secondo una piattaforma annuale o poliennale specificata in appositi protocolli aggiuntivi relativi alle singole iniziative concordate. Art. 7. Risultati delle attività e pubblicazioni L’elaborazione e redazione di elaborati, documenti od altri materiali di tipo relazionale, prodotto o frutto delle iniziative o attività di cui al presente protocollo, verrà coordinata dal Comitato di cui all’art. 3. Fatti salvi gli specifici diritti di proprietà intellettuale scaturiti nel corso della collaborazione, le parti si impegnano alla pubblicazione e diffusione dei documenti e materiali suddetti secondo quanto verrà stabilito nei protocolli relativi alle singole iniziative concordate. Art. 8. Riservatezza Gli Istituti ed il Collegio si impegnano a pretendere che i delegati allo svolgimento degli studi e delle azioni congiuntamente intraprese mantengano, nei confronti di qualsiasi persona non autorizzata, riservatezza per quanto concerne informazioni e documenti considerati riservati, dei quali siano venuti a conoscenza nell’ambito del presente accordo. Catanzaro, 6/11/2008 per l’I.I.S. “G. Malafarina” di Soverato Prof. Domenico A. Servello
per il Collegio dei Geometri e Geometri Laureati di Catanzaro Dott. Geom. icola Santopolo
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collegio di catanzaro RICHISTA INCONTRO Prot. 1660
Catanzaro, 13 novembre 2008 Spett.le Agenzia del Territorio Direzione Regionale CZ
A seguito di numerose lamentele da parte dei geometri iscritti a questo albo professionale relativamente al Rilascio Wegis, e, nonostante gli incontri avuti con la Direzione Provinciale in cui la stessa si impegnava ad implementare tale servizio, allo stato attuale si registra il perdurare di una situazione insostenibile e precaria per i professionisti. A tal fine, con la presente, si chiede di voler fissare un incontro, nel più breve tempo possibile, alfine di risolvere le problematiche evidenziate. Si resta in attesa e si porgono distinti saluti. Il Presidente geom. icola Santopolo
AVVISI Si comunica che, in linea con il processo di informatizzazione generale, peraltro già' attuato dal Consiglio Nazionale e dalla Cassa Italiana di Previdenza ed Assistenza, a partire dal mese di gennaio 2008, tutte le informazioni sono inviate per posta elettronica. Si invitano, pertanto, coloro i quali non l'abbiano ancora fatto, a voler comunicare il proprio indirizzo e-mail alla Segreteria del Collegio.
Questo Collegio ha attivato la Convenzione per l'accesso al sistema telematico dell'Agenzia del Territorio per la consultazione delle banche dati catastali - SISTER -. Tale Convenzione consentirà' a tutti gli iscritti, di poter effettuare dal proprio studio le visure catastali e gli estratti di mappa in tutto il territorio nazionale, al solo costo annuale del canone di abbonamento di euro 32,00 (N.B. la chiave d'accesso scade il 31 gennaio di ogni anno). Chiunque fosse interessato, pertanto, si può' recare presso la sede del Collegio. N.B. Solo coloro che sono in regola con il versamento annuale della quota del Collegio potranno accedere alla stipula della convenzione. Il Vice-Presidente dott. geom. Ferdinando Chillà
Si comunica che sono in fase di organizzazione i corsi di aggiornamento riservati ai coordinatori per la progettazione e l'esecuzione dei lavori come prescritto dal D.Lgs. 81/2008 (T.U. sulla Sicurezza) della durata di 40 ore. Essendo il numero massimo di partecipanti fissato in 30 unità dal suddetto decreto, al raggiungimento di tale numero sarà attivato il primo corso. Chiunque fosse interessato e' pregato di mettersi in contatto con la Segreteria del Collegio. Il Presidente dott. geom. icola Santopolo
MEMORIAL “MARIO OCCHIATO” Torneo di calcio a 5 - 27/28/29 giugno 2008
Da sx in piedi: Giacinto Torchia, Francesco Pellegrino, Massimo Scorza, Francesco Squillace, Vincenzo Scumaci, Ferdinando Chillà Da sx in basso: Claudio Marino, Nicola Melina, Massimiliano Alfieri
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collegio di cosenza UNA IMPORTANTE SENTENZA IN MATERIA DI ISCRIZIONE DEI GEOMETRI COLPITI DA FALLIMENTO Repubblica Italiana In nome del popolo italiano Il Giudice di Pace di Cosenza, nella persona della dott.ssa Lucia Panzera ha pronunciato la seguente Sentenza nella causa civile, iscritta al n° l 379/07 R.G.A.C., avente ad oggetto: Pagamento tra Collegio Provinciale Geometri in persona del suo Presidente p.t., Geom Giuseppe Caterini, elettivamente domiciliato in Cosenza via G. Gravina, 6 presso Io studio dell’Avv. Pietro Romano che lo rappresenta e difende attore e G. M., elettivamente domiciliato in C. presso lo studio dell’Avv. G. V. che lo rappresenta e difende convenuto CONCLUSIONE DELLE PARTI Come da rispettivi atti SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione notificato il 20/12/2006, il Collegio Provinciale Geometri in persona del suo Presidente p.t., conveniva in giudizio il sig. G. M. dinanzi al Giudice di Pace per ivi sentire accogliere la domanda proposta e per l’effetto condannare il convenuto al pagamento, in favore dell’attore, della somma di Euro 710,00 relativo alla tassa d’iscrizione all’Albo per gli anni 2002/2003/2004/2005/2006, oltre l’ulteriore somma di Euro 250,00 in ragione delle sanzioni per la scadenza dell’obbligo di pagamento entro il giorno 28 febbraio di ogni anno solare unitamente alle spese sostenute dall’Ente per i solleciti effettuati, per una complessiva somma di Euro 976,04, con vittoria di spese e competenze. Si costituiva tardivamente il convenuto che preliminarmente eccepiva la carenza di legittimazione, passiva, per mancanza di capacità processuale a seguito di dichiarazione di fallimento con sentenza del Tribunale Civile di Cosenza del …. Nel merito il convenuto eccepiva che “in presenza di sentenza di fallimento la iscrizione al Collegio doveva ritenersi non operante ovvero risolta, quale conseguenza legale dell’intervenuta pronuncia .... “ e pertanto “... non risultava dovuta alcuna iscrizione.” Eccepiva, infine, la vessatorietà del provvedimento emesso dal Collegio Provinciale Geometri contro il Geom. G.M. in ragione dell’obbligo di pagamento entro il giorno 28 febbraio di ogni anno solare. All’udienza del 17/09/2008, il Giudice di Pace ritenuta la causa sufficientemente istruita la tratteneva a sentenza. MOTIVI DELLA DECISIONE La domanda proposta è fondata e come tale merita di essere accolta. La domanda è improntata ad ottenere il pagamento in favore dell’attore della somma di Euro 710,00 relativo alla tassa d’iscrizione all’Albo per gli anni 2002/2003/2004/2005/2006, oltre l’ulteriore somma di Euro 250,00 in ragione delle sanzioni per la scadenza dell’obbligo di pagamento entro il giorno 28 febbraio di ogni anno solare unitamente alle spese sostenute dall’Ente per i solleciti effettuati, per complessiva somma di Euro 976,04. Preliminarmente va disattesa l’eccezione di carenza di legittimazione passiva eccepita dal convenuto. Invero, l’art. 47 del Decreto Legislativo n. 5 del 09/01/2006 - Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali - in vigore dopo il 16/07/2006, ha espressamente abrogato l’art. 50 del regio decreto 16/03/1942 n. 267 che si riferiva alla tenuta del registro dei falliti presso la Cancelleria del Tribunale. Scomparendo tale norma, viene meno anche il regime delle incapacità ad esso collegate (e con essa anche la perdita della capacità di esercitare alcune professioni con relativa cancellazione dall’Albo): tali incapacità personali, in virtù del loro carattere affittivo, e nel rispetto del principio di legalità fatto proprio dall’art. 25 della Carta Costituzionale, non possono valere in assenza di una norma espressa che le prescriva. Con l’abolizione del Pubblico registro è venuto meno l’intero sistema delle incapacità personali del fallito (cfr. trib. di Alba 15/12/2006), cadendo il presupposto che era precedentemente alla base dell’impossibilità di essere iscritto ad un albo professionale (Min. della Giustizia - Parere del 03/07/2006). Alla soppressione del registro dei falliti è seguita la sostituzione dell’istituto “propedeutico” della riabilitazione “formale e condizionata” con quello della esdebitazione; in buona sostanza alla chiusura del fallimento si riallaccia, automaticamente, di diritto, il riacquisto della piena capacità. Né, dagli atti di causa, risulta che, instaurato l’odierno contraddittorio, il convenuto si trovava più in stato di fallimento, essendosi conclusa la relativa procedura con decreto motivato del Tribunale di Cosenza, sezione fallimentare, in data …, per come documentato dalla stessa parte convenuta. In virtù, quindi, della riformata normativa in materia fallimentare, l’odierno convenuto deve di diritto considerarsi “riabilitato” dal giorno della dichiarazione di chiusura del fallimento, essendo stata eliminata dall’ordinamento giuridico l’istanza di riabilitazione. Ai sensi dell’art. 120 come riformato dal D. Lgs. n. 5/2006 “Con la chiusura cessano gli effetti del fallimento sul patrimonio del fallito”, i creditori rimasti insoddisfatti riacquistano di conseguenza il libero esercizio delle azioni verso il debitore. Cosicché, per l’odierno convenuto, nel presente giudizio, non vigevano più quegli effetti sfavorevoli che la disciplina fallimentare fa conseguire allo status di fallito, essendo cessata la relativa procedura. Deve rilevarsi, inoltre, che i richiesti importi annuali per cui è causa, sono stati oggetto di una formale promessa di pagamento sotto-
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collegio di cosenza scritta dal convenuto, Geom. M. G., in data …, con la quale lo stesso si obbligava “sotto comminatoria di sanzioni disciplinari in caso di inottemperanza, a corrispondere al Collegio Provinciale dei Geometri di Cosenza entro la data del 31 gennaio 2007, da considerarsi a tutti gli effetti quale termine essenziale, la complessiva somma di Euro 1.100,96 (millecento/96) a totale soddisfo di quanto dovuto a titolo di tasse annuali di iscrizioni all’Albo arretrate, sanzioni per il ritardato pagamento ed il rimborso delle spese postali e legali sostenute per i tentativi di riscossione.’”, (cfr. dichiarazione in atti depositata). Senza dubbio, detta dichiarazione unilaterale è da considerare una formale ricognizione di debito, poiché non solo con essa l’odierno convenuto si è impegnato nell’adempimento, ma ha altresì riconosciuto di avere un debito nei confronti del Collegio Provinciale dei Geometri di Cosenza. Di conseguenza, ai sensi dell’art. 1988 c.c., il creditore è dispensato, all’atto della richiesta di esecuzione della prestazione, dal provare l’esistenza del credito, con consequenziale inversione dell’onere della prova ,a carico del debitore. Nessuna prova in ordine all’inesistenza del credito è stata fornita nel presente del giudizio da parte del convenuto. Per quanto riguarda, infine la lamentata ed improvata vessatorietà ed unilaterale predeterminazione delle sanzioni per il ritardato pagamento deve osservarsi che nell’ordinamento giuridico vigente gli Ordini ed i Collegi professionali rivestono la qualità di enti pubblici e pertanto il potere esercitato dal Collegio di Cosenza di imporre la tassa d’iscrizione non può considerarsi unilaterale, o vessatorio, tantomeno le relative sanzioni per il ritardato o, omesso pagamento, che, per il principio generale dell’ordinamento, conseguono al potere di autodeterminazione della Pubblica Amministrazione. Infine, esula dal presente giudizio, proposto dinanzi il Giudice Ordinario, ogni argomentazione relativa ai criteri di determinazione adottati per la liquidazione del quantum dovuto dal convenuto al Collegio Provinciale dei Geometri di Cosenza, atteso che trattasi di materia relativa la giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo, e che in questa sede non può trovare accoglimento, (cfr. Cass. Sez. Unite sent. n. 371 del 23/01/1990; Cass. Sez. Unite sent. n. 8641 del 08/08/1991). In definitiva, per quanto sopra detto, il convenuto deve essere condannato a pagare in favore del Collegio Provinciale dei Geometri di Cosenza la somma di Euro 710,00 relativo alla tassa d’iscrizione all’Albo per gli anni 2002/2003/2004/2005/2006, oltre l’ulteriore somma di Euro 250,00 in ragione delle sanzioni per la scadenza dell’obbligo di pagamento entro il giorno 28 febbraio di ogni anno solare unitamente alle spese sostenute dall’Ente per i solleciti effettuati, per una complessiva somma di Euro 976,04. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo. P.Q.M. Il Giudice di Pace di Cosenza, definitivamente pronunciando, cosi provvede: Accoglie la domanda e per l’effetto: Rigetta l’eccezione di carenza di legittimazione passiva eccepita dal convenuto; Condanna G. M. a pagare in favore del Collegio Provinciale dei Geometri di Cosenza la somma complessiva di Euro 976,04; Condanna, inoltre, il, convenuto, G. M., al pagamento delle spese e competenze di lite che si liquidano in complessive Euro 600,00 di cui Euro 50,00 per spese Euro 250,00 per diritti ed Euro 300,00 per onorari oltre Iva e Cap e spese generali al 12,50%. Così deciso in Cosenza il 20 settembre 2008 Il Giudice di Pace dott.ssa Lucia Panzera
COMUNICAZIONI DELLA PRESIDENZA TASSE ISCRIZIONE ALBO, REGISTRO DEI PRATICANTI ED ELENCO SPECIALE ANNO 2009 La tassa d'iscrizione all'Albo, al Registro dei Praticanti e all'Elenco Speciale per l'anno 2009 è rimasta invariata rispetto all'anno precedente. L'importo è pari ad €. 150 con riduzioni a €. 140 per gli iscritti all'Albo dei Geometri e ad altri Albi, €. 130 per gli iscritti al solo Albo dei geometri, €. 110 per gli iscritti al solo Albo dei geometri con età inferiore a 25 anni. Tutti gli iscritti all'Albo dovranno, entro il 28 febbraio, far pervenire una dichiarazione sostitutiva redatta ex D.P.R. n. 445/2000 dalla quale si evinca il diritto ad una delle riduzioni sopra indicate. In caso di mancata presentazione della dichiarazione annuale si applicherà all'iscritto la tassa nella misura massima. Per gli iscritti al Registro dei Praticanti l'importo è di €. 500 per il biennio con riduzione a €. 350 per gli iscritti di età inferiore a 25 anni. Per i praticanti è prescritto l'obbligo di frequentare il corso propedeutico agli esami di abilitazione organizzato dal Collegio. Per gli iscritti all'Elenco Speciale la tassa annuale è di €. 75 senza alcuna riduzione. Per tutti gli iscritti all'Albo, al Registro dei Praticanti e all'Elenco Speciale resta ferma la data del 28-29 febbraio quale termine di scadenza del pagamento, prevedendo la sanzione di €. 5 per ogni mese di ritardo. Decorso il termine del 31 dicembre dell'anno in corso si procederà nella prima riunione del Consiglio Direttivo alla sospensione per morosità con contestuale obbligo, per gli iscritti all'Albo, di restituzione del timbro professionale (di proprietà del Collegio) e con la comunicazione prescritta per legge del provvedimento con raccomandata A.R. a tutti gli Enti interessati. Si specifica che al fine d'ottenere la revoca l'iscritto dovrà sanare la propria morosità, oltre alle sanzioni maturate, e rimborsare le spese di comunicazione (a magistratura, autorità, comuni ed enti vari), ivi comprese quelle riguardanti la revoca del provvedimento per un importo di quasi €. 1.280. AGGIORNAMENTO DATI PERSONALI Per i necessari aggiornamenti tutti gli iscritti del Collegio sono obbligati per legge a far pervenire tempestivamente -e comunque entro e non oltre 15 giorni dall'eventuale variazione - alla Segreteria ogni variazione dei dati personali (residenza, domicilio di studio, partita iva, codice fiscale, telefono, indirizzo e-mail ecc.) riportati nell'Albo e/o negli atti del Collegio nonché i settori professionali di specifica competenza, dichiarati con autocertificazione. La mancata comunicazione può comportare l'apertura di procedimento, segnatamente se il Collegio fornisce a richiesta di enti o privati dati non coerenti.
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collegio di cosenza DISFUNZIONI UFFICIO PROVINCIALE DEL TERRITORIO Raccomandata fax 0984/481546 Prot. 121468
Cosenza, 5 settembre 2008 Al Direttore Ufficio Provinciale del Territorio Ing. Cristiano Costantino Cosenza
Da più parti e da più professionisti giungono quotidiane vibrate proteste a questo Collegio relative al rigetto di richieste di approvazione di atti di aggiornamento, da parte di codesta Agenzia, eseguiti con metodologia GPS. Al fine di evitare inutili e sterili polemiche su un argomento cha sta molto a cuore a tutta la categoria dei geometri, La invito a verificare il reale stato dei fatti e di fornire, in tempi brevi, dettagliati chiarimenti sulla posizione assunta dall'Ufficio, ove i fatti in narrativa trovino oggettivo e positivo riscontro. In difetto, mio malgrado, sarò costretto ad intraprendere tutte le iniziative, nessuna esclusa od eccettuata, a difesa dei legittimi interessi dei geometri liberi professionisti. Con i migliori saluti. Il Presidente Giuseppe Caterini
La nota di riscontro
Agenzia del Territorio Ufficio Provinciale di Cosenza
Cosenza, 13 ottobre 2008 Al Collegio Provinciale dei Geometri Cosenza
Prot. 14080 Oggetto: Approvazione atti di aggiornamento CT eseguiti con metodologia GPS. In relazione alla richiesta relativa all'oggetto, si comunica che non sono intervenute variazioni o deroghe particolari alla normativa vigente per i rilievi eseguiti con strumentazione GPS. Pertanto, a prescindere dalle tecniche utilizzate, restano ferme le disposizioni impartite dalla circolare 2/88 che prevedono di inquadrare l'oggetto del rilievo all'interno in un triangolo fiduciale di primo perimetro. Qualora si dovessero utilizzare triangoli non di primo perimetro, è previsto comunque l'obbligo di rilevare tutti i PF esistenti e ricadenti all'interno del triangolo fiduciale utilizzato; in caso contrario il tecnico deve evidenziare, dettagliatamente nella relazione tecnica, le motivazioni di impedimento riscontrate. La suddetta circostanza è stata confermata anche dall'autorevole parere del responsabile della Direzione Centrale Cartografia Catasto e Pubblicità Immobiliare. Distinti saluti, Il Direttore Cristiano Costantini
NUOVO ORARIO DI APERTURA AL PUBBLICO DEGLI SPORTELLI CATASTALI Si comunica che da giorno 2 gennaio 2009 gli sportelli catastali resteranno aperti al pubblico da lunedì a venerdì dalle ore 8,00 alle ore 12,30 e chiusi nelle ore pomeridiane. Per esigenze contabili nell’ultima giornata lavorativa di ogni mese, la chiusura è prevista per le ore 11,00.
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collegio di cosenza CHIUSURA DEI CORSI ORGANIZZATI IN COLLABORAZIONE CON LA PROIM SRL Cosenza, 28.7.2008 - 21.11.2008
Un aspetto della sala alla chiusura dei corsi
Foto di gruppo dei partecipanti al corso di Topografia e Geodesia
Foto di gruppo dei partecipanti al corso di Energy Manager
Foto di gruppo dei partecipanti al corso di Bioedilizia
CORSO DI AGGIORNAMENTO PROFESSIONALE XXXII EDIZIONE Cosenza, 9.9.2008 - 18.10.2008
Un aspetto della sala
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Mario Reda, docente emerito di estimo all’I.T.G. di Castrolibero
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collegio di cosenza ESAME DI STATO PER L’ABILITAZIONE ALL’ESERCIZIO DELLA LIBERA PROFESSIONE DI GEOMETRA - SESSIONE 2008 Prima prova scrittografica Su un adeguato lotto di terreno prospiciente la strada, si vuole costruire un salone di esposizione per auto delle dimensioni di 400 m circa con annessa officina di riparazioni. Oltre al salone di esposizione farà parte dell'edificio: • un locale per l'attesa e le riparazioni delle auto; • un box per il lavaggio rapido; • uffici; • un magazzino pezzi di ricambio; • spogliatoi e servizi igienici. Il candidato opererà le scelte da lui ritenute utili o necessarie per la redazione del progetto fra le quali la copertura a tetto o a terrazza del fabbricato in muratura. Lasciando libera la scala di rappresentazione, il candidato, esponga la sua proposta progettuale con la pianta, un prospetto e una sezione significativa del manufatto. In una breve relazione il candidato motiverà le scelte effettuate ed eseguirà il calcolo del volume progettato completato da uno dei seguenti argomenti: • calcolo dell'isolamento termico; • redazione del computo metrico di parte dell'opera; • particolare costruttivo in scala 1:20 della muratura o della copertura. __________ Durata massima della prova: 8 ore Durante la prova sono consentiti l'uso di strumenti di calcolo non programmabili e non stampanti e la consultazione di manuali tecnici e di raccolte di leggi non commentate.
Seconda prova scrittografica Un alloggio è gravato da un diritto di usufrutto vita natural durante per Vi. Di fronte alla possibilità di una vendita il nudo proprietario incarica un tecnico di determinare il valore della nuda proprietà. Sono stati accertati i seguenti dati: • la superficie commerciale dell'alloggio è di 140 m ; • il canone mensile medio ordinario di locazione nella zona è pari a € 8 al metro quadrato di superficie commerciale; • la vita probabile residua del titolare del diritto di usufrutto, secondo le tavole di mortalità e sopravvivenza della popolazione, è di 12 anni; - l'immobile ha una rendita catastale di € 2.540; - l'alloggio fa parte di uno stabile dotato di portineria le cui spese annue per la quota di competenza ammontano a € 1.200. L'usufruttuario ha sostenuto spese straordinarie di ristrutturazione per un ammontare di € 6.000. Assumendo opportunamente tutti i dati necessari a determinare il reddito della piena proprietà e il reddito dell'usufruttuario, il candidato proceda alla stima del valore richiesto. Se l'usufruttuario accetta di estinguere subito il suo diritto in cambio di un equo corrispettivo e il proprietario, riacquistata la piena proprietà, decide di frazionare l'alloggio in due unità prima della vendita, esponga il candidato quali pratiche edilizie e catastali sono necessarie. __________ Durata massima della prova: 8 ore Durante la prova sono consentiti l'uso di strumenti di calcolo non programmabili e non stampanti e la consultazione di manuali tecnici e di raccolte di leggi non commentate.
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Attività di categoria
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collegio di cosenza ESAME DI STATO PER L’ABILITAZIONE ALL’ESERCIZIO DELLA LIBERA PROFESSIONE DI GEOMETRA SESSIONE 2008 ELECO DEGLI ABILITATI Commissione 132 N.
Candidato
Luogo di nascita
Data Votazione di nascita compl.
N.
Candidato
Luogo di nascita
Data Votazione di nascita compl.
1
Abbruzzese Francesco
Acri
9.5.1986
64/100
37
Giglio Dino
Belvedere M.
26.4.1981
62/100
2
Acquaviva Gian Battista
Hagen
3.7.1985
79/100
38
Giovane Sandro
Cosenza
2.9.1981
64/100
3
Amendola Alessandro V.
Paola
15.12.1978
61/100
38
Grieco antonio
Ivrea
28.8.1976
62/100
4
Astorino Carmelo
Soveria M.
23.1.1984
62/100
40
Guido Luigi
Cariati
22.6.1987
62/100
5
Audia Salvatore
Crotone
23.2.1978
64/100
41
Guido Salvatore
Cosenza
23.2.1985
62/100
6
Augello Santo
Colosimi
22.6.1953
85/100
42
Imperio Giuseppe
Praia a M.
18.3.1981
61/100
7
Baffa Damiano
S. Cosmo A.
19.8.1975
60/100
43
Iorio Nicola
Praia a M.
2.1.1987
60/100
8
Bomentre Gaetano
Cosenza
12.12.1979
69/100
9
Bria Luigi
Cosenza
21.7.1983
67/100
10
Bruno Angelo
Tuttlingen
13.7.1984
60/100
11
Calipari Umberto
La Metia T.
30.1.1975
60/100
12
Capalbo Andrea
Cosenza
2.3.1976
63/100
13
Capua Domenico
Arsberg
22.4.1979
63/100
Commissione 133 N.
Candidato
Luogo di nascita
1
Lanuara Eugenio
Cetraro
2
Laratta Andrea
S.Giovanni in F.
3
Lepera Domenico
4
Data Votazione di nascita compl. 9.2.1986
68/100
23.10.1987
60/100
Cosenza
3.1.1986
62/100
Lia Marco
Rossano
27.10.1986
62/100
14
Carlino Roberto
Cosenza
2.5.1960
81/100
15
Caruso Antonio
Vibo V.
8.4.1977
62/100
5
Limongi Pietro
Praia a M.
23.6.1985
63/100
16
Caruso Biagio
Rossano
3.1.1988
61/100
6
Lirangi Giuseppe
Cosenza
14.12.1982
60/100
17
Casella Alberto
Belbedere M.
23.8.1985
60/100
7
Lucarelli Alberto
Cetraro
14.5.1984
60/100
18
Casella Maurizio
Belvedere M.
22.8.1980
60/100
8
Magliarella Franco
Boblingen
22.8.1972
61/100
19
Cavallo Vincenzo
Belvedere M.
12.8.1981
62/100
9
Maiorana Eugenio
Praia a M.
15.1.1979
61/100
10
Nigro Giuseppe
Cosenza
18.11.1987
62/100
11
Noceti Francesco
Castrovillari
28.12.1979
78/100
12
Oppedisano Francesco
Acri
26.10.1982
61/100
24.10.1984
68/100
9.6.1986
60/100
20
Celsi Antonio
Cosenza
19.3.1977
74/100
21
Cerchiara Bonifacio
Castrovillari
1.10.1980
76/100
22
Contatore Mirco
Belvedere M.
16.1.1987
64/100
13
Palmieri Alessandro
Castrovillari
23
Cosenza Umile
Cosenza
9.11.1984
65/100
14
Pasqua Angelo
Acri
24
Covello Gianpiero
Cosenza
25.7.1979
60/100
15
Perri Egidio
Bergamo
16.08.1975
60/100
25
D’Atri Vincenzo
Castrovillari
22.11.1986
66/100
16
Pignanelli Salvatore
S.Giovanni in F.
24.6.1987
61/100
26
De Marco Marco
Cosenza
18.6.1976
70/100
17
Pingitore Maria A.
Cosenza
2.12.1985
62/100
18
Porco Antonio
Paola
11.2.1982
67/100
19
Roma Pilerio E.
Rossano
13.9.1986
60/100
27
Di Grazia Francesco
Belvedere M.
2.4.1966
88/100
28
Dodaro Giuseppe
Cosenza
19.3.1984
67/100
20
Sacchetti Domenico
Corigliano C.
27.10.1984
62/100
29
Esposito Attilio
Cosenza
17.12.1983
60/100
21
Saluce Andrea
Praia M.
28.2.1987
61/100
30
Falcone Diego
Cassano
15.1.1986
64/100
22
Scigliano Francesco
Cosenza
11.10.1974
65/100
31
Felice Vincenzo
Praia a M.
11.10.1982
61/100
23
Tasso Giuseppe
Castrovillari
7.7.1982
61/100
67/100
24
Todaro Domenico
Mandatoriccio
29.3.1970
62/100
25
Valentino Antonio
Cosenza
26.6.1987
71/100
26
Vitale Fabio
Cariati
29.9.1985
60/100
27
Vommaro Alfredo
Treviglio
18.2.1987
60/100
32
Felicetti Tommaso
Corigliano C.
33
Ferrari Francesco
Paola
34
Fondacaro Pietro
35 36
21.4.1981 16.10.1962
60/100
Praia a M.
3.1.1983
60/100
Grabriele Graziano
Maratea
8.7.1987
61/100
28
Zanfini Daniela
Cosenza
15.1.1976
62/100
Giampietro Agostino
Taranto
27.3.1977
63/100
29
Zucco Emanuele
Lungro
24.6.1985
64/100
AGGIORNAMENTO ALBO PROFESSIONALE Iscrizioni Giuseppe Bruni nato a Cosenza il 22.11.1980, residente in Lago, via arte Sacra, n. 8 Albo n. 2829 Danilo F. D’Andrea. nato a Cosenza il 7.9.1983, residente in Luzzi, via .S. Francesco, n. 24/bis Albo n. 2828 Fabio Longo nato a Cosenza il 14.9.1983, residente in Luzzi , via Crucivia lupinella, n. 7 Albo n. 2826 Sandro Pascuzzo nato a Rogliano il 16.1.1986, residente in Marzi, via stazione, n 4Albo n.2827 Adelaide Sancineto nata a Castrovillari il 16.12.1983, residente in Saracena via S. Maria Maddalena, n. 4 Albo n. 2830 40
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Attività di categoria
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collegio di cosenza Cancellazioni Rocco Aloisio, Giuseppe Caputo, Aldo Iorio, Dante Vicchio.
AGGIORNAMENTO REGISTRO PRATICANTI Iscrizioni Mario Arlia Ciombo nato a Rogliano il 19.6.1989 , residente in Dipingano, via Irto n. 19 Reg. Prat. N. 2543 Mario Bardo nato a Cosenza il 18.8.1986, residente in Amantea, via Baldacchini, n. 70 Reg. Prat. N. 2544 Michele Bernardo Ciddio nato a Paola il 14.6.1989, residente in Amantea, via Molise, n. 37 Reg.. prat. N. 2552 Cesare Bonaiuti nato a Paola il 5.1.1989 ed ivi residente, via Deuda, n. 7 Reg. Prat. N. 2549 Zouhra Bouthar nata a Casablanca il 30.9.1984, residente in Castrovillari, via N. De Cardona, n.38 Reg. Prat. N.2547 Angelo Brunetti nato a S. Giovanni in Fiore il 3.8.1989 ed ivi residente, via Poliziano, n. 49 Reg. Prat. N. 2548 Giovanni A. Casella nato a Belvedere M. l’1.2.1972 e residente in Cetraro Terza Trav. Stazione n, 48 Reg. Prat. N. 2545 Fabio Cesario nato a Cosenza il 30.7.1988 e residente in S. Lucido, via C.da S. Giovanni, n. 58 Reg. Prat. N.2557 Francesco Costante nato a S. Giovanni in Fiore il 26.1.1990 ed ivi residente, via A. Usodimare, n. 17 Reg. Prat. N. 2559 Maria D’Ingianni nata a Belvedere Marittimo il 17.3.1990 e residente in Scalea, via del Mare, n. 9 Reg. Prat. N. 2553 Gianluca Di Cunto nato a Castrovillari il 27.12.1988 e residente in Frascineto, via F.lli Cervi, n. 15 Reg. Prat. N. 2546 Antonio Di Puppo nato a Cosenza il 14.4.1986 ed ivi residente, via F. Fellini, n. 1 Reg. Prat. N. 2554 Fabrizio Falbo nato a Cosenza il 4.3.1989 e residente in Luzzi, C.da Valle Ceraso, n. 14 Reg. Prot. N. 2558 Marco Giglio nato a Belvedere M. l’11.5.1989, residente in Sangineto, via S. Francesco, n. 59 Reg. Prat.N. 2561 Battista Guzzo nato a S. Giovanni in Fiore il 4.10.1989 ed ivi residente in via Monte Cervino, n. 34 Reg. Prat. N. 2560 Antonio Iunti nato a Belvedere Marittimo l’1.2.1989 ed ivi residente, via della Repubblica, n. 115/B Reg. Prat. N. 2556 Damiano Lavorato nato a Cariati il 21.3.1987 , residente in S. Demetrio Corone, C.da S. Nicola n. 6,Reg. Prat. N. 2551 Biagio Lombardo nato a Lungro il 15.11.1984 e residente in Acquaformosa, via Spela, n. 160 Reg. Prat. N. 2550 Francesco Santoro nato a Castrovillari il 29.7.1988 e residente in Civita, Vico III A. Diaz, n. 8 Reg. Prat. N. 2555 Cancellazioni Francesco Baffa, Filippo Barberio, Gaetano Bometre, Marco S. De Marco, Francesco Ferrari, Valentino Gencarelli, Luigi Metallo, Luca Montalto, Giuseppe igro, Maria A Pingitore , Armando V. M Rabissoni., Andrea Saluce.
COMUNICAZIONE INIZIO LAVORI Cosenza, 24/11/2008 Regione Calabria Dipartimento Lavori Pubblici Servizio Tecnico Regionale, Vigilanza Controllo OO.PP., orme Sismiche Servizio n° 7 Prot. 21391
Agli Ordini e Collegi Professionali Tecnici della Provincia di Cosenza e all’Ordine dei Geologi della Calabria Catanzaro
Pervengono sovente a questo Servizio comunicazioni di inizio lavori, ai sensi dell’art. 2, comma 7 della L.R. 7/1998, incomplete e prive dei riferimenti necessari per l’abbinamento alla relativa pratica a suo tempo depositata. Ciò produce un aggravio di istruttoria da parte del personale che gestisce il Sistema Informativo interno per la registrazione delle pratiche depositate. Tanto premesso, al fine di velocizzare e ottimizzare i procedimenti di registrazione è stato predisposto un modello base, da utilizzare per le finalità in oggetto, completo di tutti i dati e le informazioni minime necessarie per una corretta e rapida registrazione nel sistema informativo interno. Tale modello si invia a codesti spettabili ordini professionali affinché ne diano ampia diffusione ai propri iscritti. Ringraziando per la collaborazione si inviano i più cordiali saluti. Allegato 1 Il Dirigente Ing. Pietro Cerchiara segue modello >>
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collegio di cosenza Spett.le
REGIONE CALABRIA SERVIZIO TECNICO REGIONALE
VIGILANZA E CONTROLLO OO.PP. NORME SISMICHE (già Ufficio del Genio Civile)
COSENZA PROT . N° ………………………..……..DEL ………………….
RIFERIMENTO ALL’ATTESTAZIONE DI DEPOSITO
.
PRATICA N° .......................………………............................
CLASSE .........………
OGGETTO
: .................................……............................…................................................................................................................. ...........................................................................……....................................................................…...............................
COMMITTENTE:
DITTA ................................................…………………………………….…………………............................................ DOMICILIO ..............……………………………………………………….…………………………................................. VIA ................................................................…............................... Nº .......... TEL ............................................... LOCALIZZAZIONE DELLE OPERE:
COMUNE: ……………………………………………………………………………….………………………………..…… LOCALITÀ: ………………….………..…………………..VIA ……............................................................…………...
....l... sottoscritt... .................................................................... nato a ………………………...………………….... il ............................ domiciliato a ........................................................................ via …….…………………….…………………….. ..............................………………....................
a)
nella qualità di ......................……………………….................................................…
comunica IMPRESA ESECUTRICE: ……………………………………..……….…………….…………………………….……………. COLLAUDATORE DELLE STRUTTURE: ………...………………………………..………………………….…………….
b)
avendo già comunicato in data …………………. IMPRESA ESECUTRICE: ……………………………………..……….……………….………………………….……………. COLLAUDATORE DELLE STRUTTURE: ………...………………………………..………………………….…………….
INFORMA ai sensi e per gli effetti dell'art. 2 comma 7° della L.R. n. 7/1998, che i lavori indicati in oggetto avranno inizio in data .......................………........….. ........................................................ lì .........................................
IL COMMITTENTE
Visto: IL DIRETTORE DEI LAVORI ........................…..………................................
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..................……………................................………….....
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collegio di cosenza CORSO SULL’USO DEL G.P.S. Cosenza, 2-11 dicembre 2008
VARIAZIONE NUOVO SITO WEB DEL COLLEGIO DI COSENZA www.collegiogeometrics.com 43
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collegio di cosenza AGENZIA DEL TERRITORIO CONVENZIONE PER L’ACCESSO AI SERVIZI DI CONSULTAZIONE TELEMATICA Decorrenza gennaio 2009 Tra l’AGEZIA DEL TERRITORIO, con sede in Roma - Largo Leopardi n. 5, in persona del legale rappresentante, di seguito denominata ‘Agenzia’ e il COLLEGIO GEOMETRI E GEOMETRI LAUREATI DELLA PROVICIA DI COSEZA Codice Fiscale/Partita Iva 80005550787 Sede Legale via Alberto Serra 42/D Cap 87100 COSENZA (CS) Telefono 0984393646 Fax 0984393647 E-mail
[email protected], Legale Rappresentante FRANCESCO DI LEO nato/a a Rocca Imperiale (CS) il 26/10/1953 Sesso M Codice Fiscale DLIFNC53R26H416H, Responsabile della Gestione del Collegamento FERNANDO SALERNO nato/a a Fagnano Castello (CS) il 30/5/1957 Sesso M Codice Fiscale SLRFNN57E30D464Z Telefono 0984393646 E-mail
[email protected] NORMATIVA DI ESENZIONE: Nessun diritto all’esenzione dal versamento delle tasse ipotecarie. Premesso a) che l’art. 1, comma 5, del decreto legge 10 gennaio 2006, n. 2, stabilisce che “l’accesso ai servizi di consultazione telematica ipotecaria e catastale è consentito a chiunque in rispetto della normativa vigente in tema di riutilizzazione commerciale dei dati ipotecari e catastali, su base convenzionale...”, rinviando ad appositi decreti del Direttore dell’Agenzia del territorio la definizione delle modalità attuative dell’accesso medesimo; b) che con decreto del Direttore dell’Agenzia del territorio 4 maggio 2007 sono state stabilite le modalità di accesso al sistema telematico dell’Agenzia del territorio per la consultazione delle banche dati ipotecaria e catastale; c) che l’Utente ha richiesto di essere abilitato a collegarsi al sistema informativo dell’Agenzia per l’accesso al servizio di consultazione telematica della banca dati ipotecaria e/o catastale. Tutto ciò premesso, si conviene e si stipula quanto segue: Art. 1 (Oggetto) L’Utente è abilitato a collegarsi al sistema elettronico dell’Agenzia al fine di accedere al servizio di consultazione telematica della banca dati ipotecaria e/o della banca dati catastale. Art. 2 (Importi dovuti) L’attivazione del servizio è subordinata al versamento una tantum, a titolo di rimborso delle spese amministrative connesse alla convenzione, dell’importo di Euro 200,00 (duecento//00), nonché dell’importo di Euro 30 (trenta//00), per ogni password resa disponibile in ogni anno solare a titolo di contributo annuale relativo ai costi di gestione dei sistemi informatici. L’Utente potrà, comunque, richiedere l’ampliamento del numero delle password durante il periodo di vigenza della Convenzione versando il contributo annuale di cui al comma precedente. Per ogni anno successivo all’anno di stipula della convenzione, l’Utente dovrà corrispondere, entro il 31 gennaio, l’importo di Euro 30,00 (trenta//00) per ogni password resa disponibile nell’anno solare precedente e che voglia mantenere attiva. Gli importi di cui ai commi precedenti, che potranno essere oggetto di aggiornamento periodico ai sensi dell’art. 7, comma 2, del decreto del Direttore dell’Agenzia del territorio 4 maggio 2007, sono versati dall’Utente su apposito conto corrente intestato all’Agenzia del territorio con modalità telematiche, attraverso il Portale dell’Agenzia. L’Utente del servizio di consultazione della banca dati ipotecaria, se non esente ai sensi della normativa vigente, si impegna a versare preventivamente, con modalità telematiche sul conto corrente postale unico a livello nazionale intestato all’Agenzia, ai sensi del provvedimento del Direttore dell’Agenzia del territorio 2 marzo 2007, le somme per il pagamento anticipato delle tasse ipotecarie dovute. Sulle somme versate non sono dovuti interessi. Al momento della richiesta di erogazione del servizio, la somma dovuta per il pagamento dei relativi tributi viene detratta dall’importo versato preventivamente dall’Utente ai sensi del comma precedente del presente articolo. Qualora l’importo reso disponibile all’Utente non sia sufficiente ad effettuare il pagamento dei tributi dovuti, l’Agenzia non procede all’erogazione del servizio. L’Agenzia abiliterà l’Utente ad una funzione di consultazione telematica mediante la quale potrà prendere visione dei versamenti effettuati. Art. 3 (Utilizzazione dei dati ed obblighi di tutela dei dati personali) L’Utente s’impegna ad utilizzare le informazioni assunte e i documenti ottenuti per fini consentiti dalla Legge, nel rispetto di quanto previsto dalla normativa vigente in materia di protezione dei dati personali ed in tema di riutilizzazione commerciale dei dati ipotecari e catastali. In particolare l’Utente si impegna ad adottare le misure organizzative, fisiche e logiche di cui al decreto legislativo n. 196/2003 e del relativo Disciplinare Tecnico, necessarie ad assicurare il corretto trattamento dei dati acquisiti in ragione della presente convenzione rispondendo dell’operato dei propri dipendenti, incaricati e collaboratori. L’inosservanza degli obblighi di cui al comma precedente, accertata, nell’ambito di competenza dall’Agenzia o da altre autorità, determinerà, in relazione alla gravità dell’inadempimento stesso, la sospensione del collegamento telematico ovvero la risoluzione della convenzione ai sensi e per gli effetti dell’art. 1456 c.c., comunicata mediante raccomandata con avviso di ricevimento. Art. 4 (Gestione dei sistemi informativi) L’Agenzia ha l’esclusiva competenza a definire o modificare i sistemi di elaborazione, ricerca, rappresentazione ed orga-
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collegio di cosenza nizzazione dei dati, nonché di gestire le informazioni memorizzate, ferma restando la piena titolarità delle informazioni stesse in capo all’amministrazione finanziaria. Ha, altresì, l’assoluta facoltà di variare la base informativa in relazione alle proprie esigenze istituzionali e strutturali ed alle innovazioni tecniche relative al proprio sistema informatico. L’Agenzia fornirà agli utenti adeguata notizia delle eventuali modifiche introdotte nei sistemi di elaborazione, ricerca, rappresentazione ed organizzazione dei dati, mediante preventiva pubblicazione, con congruo preavviso, di apposita comunicazione sul sito dell’Agenzia. Nessuna responsabilità potrà gravare sull’Agenzia per danni di qualsiasi natura, diretti ed indiretti, per le suddette variazioni, né per eventuali sospensioni od interruzioni del servizio. L’Utente prende atto che, al fine di garantire la fruibilità del servizio a tutti gli utenti, qualora si verificassero picchi anomali ed imprevedibili delle richieste, anche in relazione alla capacità elaborativa del sistema ed alle esigenze del servizio, l’Agenzia potrà introdurre limiti al numero di interrogazioni giornaliere per ogni singolo utente. Art. 5 (Livelli di Servizio) L’Agenzia, nell’esecuzione del servizio di accesso telematico alla banca dati catastale ed ipotecaria, s’impegna al pieno rispetto dei livelli di servizio indicati nella Carta della Qualità pubblicata sul sito dell’Agenzia stessa. Art. 6 (Durata) La convenzione ha durata triennale, con tacito rinnovo alla scadenza, salvo disdetta da comunicarsi con lettera raccomandata con avviso di ricevimento entro 60 giorni dalla scadenza. Art. 7 (Restituzione di somme depositate e non utilizzate) A seguito di risoluzione della convenzione ovvero in caso di disdetta di cui all’art. 6, l’Utente può richiedere all’Agenzia la restituzione delle somme versate per il pagamento anticipato delle tasse ipotecarie, rese disponibili sul sistema telematico, ma ancora non utilizzate. Art. 8 (Clausola di salvaguardia) Per quanto non previsto dalla presente convenzione si applicano le disposizioni di cui al decreto del Direttore dell’Agenzia del territorio 4 maggio 2007. Art. 9 (Foro competente) Il Foro competente a risolvere qualsiasi controversia che possa sorgere tra l’Agenzia e l’Utente direttamente od indirettamente connessa alla convenzione stessa, è quello di Roma. Art. 10 (Tutela dei dati personali) Ai sensi dell’art. 13 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (“Codice in materia di protezione dei dati personali”), i dati comunicati dall’Utente in sede di registrazione formano oggetto di trattamento da parte dell’Agenzia, nel rispetto della normativa citata. I dati verranno trattati in adempimento degli obblighi legali ed il trattamento è effettuato, anche attraverso l’ausilio di strumenti elettronici. Ai sensi dell’art. 13, comma 1, lett. b) e c), del decreto legislativo n. 196/2003, si evidenzia che il trattamento dei dati da parte dell’Agenzia è essenziale per l’adempimento degli obblighi di legge e per l’esecuzione del servizio e che, pertanto, il mancato consenso al trattamento dei dati impedisce l’instaurazione o la prosecuzione del rapporto con l’Agenzia stessa. I dati verranno comunicati a terzi esclusivamente in adempimento di specifici obblighi di legge, ovvero qualora tale comunicazione risulti necessaria o funzionale alla gestione del servizio. Art. 11 (Comunicazioni) Tutte le comunicazioni e notifiche all’Agenzia connesse all’esecuzione della presente convenzione dovranno essere eseguite esclusivamente con lettera raccomandata con avviso di ricevimento al seguente indirizzo: Agenzia del Territorio - Direzione Centrale Organizzazione e Sistemi Informativi - Ufficio gestione contratti e convenzioni – Viale Antonio Ciamarra n. 144, 00173 Roma, ovvero, mediante posta elettronica certificata, all’indirizzo reso noto dall’Agenzia del Territorio. Per l’Agenzia del Territorio Il Direttore dell’Agenzia pro tempore.* * Firma autografa sostituita a mezzo stampa ai sensi dell’art.3,comma 2, D.lgs n. 39/93. Ai sensi e per gli effetti dell’art. 1341 c.c. l’Utente approva specificamente i seguenti articoli 4, 6 e 9.
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collegio di crotone AGGIORNAMENTO ALBO PROFESSIONALE Iscrizioni Giuseppe Leone; Luca Poerio Cancellazioni Giuseppe Strirparo , Antonio Lombardo, Domenico Donato Trasferimenti Gaetano Oppido , Salvatore Domenico Oppido
AGGIORNAMENTO REGISTRO PRATICANTI Iscrizioni Costantino Capizzano, Salvatore G Toscano, Antonio Bagnato, Domenico Vallone, Antonio Mancuso, Giovanni Scandale, Antonio Sulla, Francesco Mattace, Pasquale Battaglia, Dario Crugliano, Andrea Crudo, Giuseppe De Pasquale, Giuseppe Scarfone, Salvatore Caccia, Dario Sorrentino, Orlando Appigliano.
SEMINARI E CONVEGNI Si sono tenuti nei giorni 8 e 20 novembre due giornate di incontri in collaborazione con l’Agenzia del Territorio di Crotone sulle problematiche inerenti le procedure DOCFA e PREGEO , ed invio telematico degli stessi.
MANIFESTAZIONI Torneo di calcio a 5 - ITERORDIES 2008 - “Memorial A.Calabrese” Si è svolto nei giorni scorsi l’annuale torneo di calcio a 5 organizzato dal C.U.P. di Crotone . La manifestazione ha riscosso , come sempre un ampio successo di pubblico , ed ha visto primeggiare il Collegio dei Geometri sull’Ordine degli Avvocati in una combattuta ma leale finale . Terzi classificati l’Ordine dei Dott. Commercialisti . Un sentito ringraziamento da parte di tutti i partecipanti al Presidente del CUP Avv. S. Mastroianni ed al Segretario del CUP Dott. Com. D. Arcuri , per l’ottima organizzazione. I geometri componenti la squadra sono: Bagnato G. (portiere) , Castagnino M., Castagnino V., Devona A., Fuoco G., Frijo E., Lazzaro D., Marino C., Nardo F., Rocca F. e Ammerata L. (Dir. Tec.).
CORRISPONDENZA CON ENTI ED ISTITUZIONI Il Consiglio Direttivo del Collegio ha inoltrato all’Autorità di Vigilanza, nota affinché alcuni bandi pubblici vengano annullati , ritenendoli lesivi per la figura del geometra, figura professionale non contemplata nei bandi impugnati. I comuni interessati dai ricorsi sono: Crotone , Strongoli e Verzino. Si invitano i Colleghi a vigilare e comunicare tempestivamente il verificarsi o ripetersi di tali eventi.
CAMERA ARBITRALE DI CROTONE In data 20 novembre 2008 si è proceduto all’insediamento del nuovo Consiglio di Amministrazione che risulta così composto: Armando Riganello, Presidente; Oscar Baucknet, Vice Presidente; Gennaro Bagnato, Tesoriere; Enzo Talotta, Componente Gaetano Potenzone, Componente; Riccardo Proto, Componente; Giuseppe Romita, Componente; Luigi Domenico Arcuri, Componente con funzioni di Revisore; Rosa Sabrina Carvelli, Segretario Generale; Rosanna Bennardo, Vice Segretario Generale.
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collegio di crotone AFFIDAMENTO INCARICO Prot. n.463
Crotone, 20 novembre 2008 Ai Sig.ri Sindaci dei Comuni di Carfizzi, Pallagorio, San icola dell’Alto Loro Sedi
OGGETTO: Affidamento Incarico per redazione PSA e REU – Rif. Protocollo d’intesa del 28.4.08. Con riferimento all’avviso pubblico di cui in oggetto, si prende atto che lo stesso non si estende alla figura professionale del geometra seppure, come già evidenziato con precedente nota che per comodità si allega alla presente, la Legge Urbanistica Regionale n. 19/2002 e sue Linee Guida lo prevedano chiaramente. In tal senso, rammaricandosi per l’ingiustificata esclusione, che siamo certi si tratti di una involontaria ma erronea valutazione di circostanza, verificato che i contenuti del bando si prestano ad interpretazioni che potrebbero essere oggetto di ricorsi da risolversi nelle sedi opportune, consci che tale eventualità potrebbe intralciare la regolare attività di pianificazione dell’Amministrazione, considerato che i tempi di redazione consentono la possibilità di integrare il gruppo di lavoro multi disciplinare, preso atto che il bando oggetto della presente è stato impugnato e per quanto di ns. conoscenza sarà “ nuovamente pubblicato” , si invita a tenere conto della presente con l’inserimento fra i tecnici destinatari del bando, della figura professionale del geometra . In attesa di una Vs., porgiamo deferenti saluti. Il Consigliere Responsabile geom. Anselmo Papaleo
Il Presidente del Collegio geom. Gennaro Bagnato
ESAME DI STATO PER L’ABILITAZIONE ALL’ESERCIZIO DELLA LIBERA PROFESSIONE DI GEOMETRA SESSIONE 2008 Commissione n. 134 Canditi n. 46; Abilitati n. 33; Commissione: Presidente Prof. R. Bono; Docenti: ing. A. Fazzolari, geomm. W. Rizzo, C. Parise, A. Lombardo ELECO DEGLI ABILITATI Arcuri Mario, Arnoni Piero, Buanaccorso Arturo, Capalbo Giuseppe, Cavallaro Margherita, Comberiati Salvatore, Costanzo Pasqualino, Costanzo Salvatore, Daniele Salvatore, Diaco Filippo, Doria Ivan, Giangotti Carmine, Grisi Luigi, Iiovane Pasquale, Le Rose Gaetano, Liberti Giovanni, Malena Carmine, Masdea Filomena, Mele Donato, Menzà Francesco, ero Angelo, Pedace Saverio, Rizzo Luigi, Rizzo Vincenzo, Rocca Roberto, Rossi Luca, Rosso Antonio, Scala Francesco, Scalise Vincenzo, Simonetta Francesco, Summa Salvatore, Villirillo Giuseppina, Vozzo Nicola.
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collegio di vibo valentia AGGIORNAMENTO ALBO PROFESSIONALE Iscrizioni Sergio Damiano Franzè nato a Locri (Rc) l’11.8.1983 residente in ardodipace, Albo n. 392; Vincenzo Fazzari nato a Vibo Valentia il 15.3.1981 residente in Troppa, albo n. 393; Domenico Calogero nato a Vibo Valentia l’8.1.1978 residente in Nicotera fraz. Badia, Albo n. 394; Vincenzo Albanese nato a Tropea il 17.5.1984 residente in Briatico, Albo n. 395; Giuseppe Brusio nato a Vibo Valentia il 13.1.1975, residente in San Calogero Albo n. 396; Enzo Marturano nato a Vibo Valentia l’8.6.1979 residente in Rombiolo, Albo n. 397; Maria Antonietta Iacopetta nata a Chiaravalle C.le l’1.6.1984 residente in Frabrizia Albo n. 398; Alessandro Albanese nato a Serra San Bruno l’11.9.1986 residente in Serra San Bruno Albo n. 399; Cancellazioni per decesso Vincenzo Barbuto nato a Vibo Valentia il 6.6.1942 residente in Vibo Valentia albo n. 23 decorrenza 20.8.2008 Cancellazioni per dimissioni Luigi esci nato a Santa Marie (Aq) il 15.5.1943 residente in Limbadi albo n. 54 decorrenza 20.6.2008 Iscrizione sezione non esercenti la professione (privi di timbro, tesserino, P.I. e immatricolazione cassa) Antonio Restuccia nato a Nicotera il 25.2.1933 residente in Ricadi Albo n. 87 decorrenza 8.6.2008
AGGIORNAMENTO REGISTRO PRATICANTI Iscrizioni Massimo Casati, residente a Vibo Valentia; Domenico Grillo, residente in Soriano; Nicolò Colloca residente in Vibo Valentia; Antonino Gentile, residente in Gerocarne; Eugenio Crudo residente in Mileto; Romanico Matina, residente in Stefanaconi; Domenico Staropoli, residente in Drapia; Giuseppe Perfidio residente in Nicotera; Pierpasquale Schiariti, residente in Troppa; Leoluca Belsito, residente in Pizzo; Giuseppe Russo, residente in Vibo Valentia; Antonino Lentini, residente in Limbadi; Giuseppe Zungri, residente in Ricadi, Domenico Sarica, residente in Francavilla A.; Giuseppe Tassone, residente in Mongiana; Vincenzo Varì, residente in Soriano; Giuseppe Martino, residente in San Nicola da C.; Alessandro Bartucca, residente in Filadelfia,; Giovanni Anello, residente in Polia; Mario Riccio, residente in San Nicola da C.; Assuntina De Raffele, residente in Serra San Bruno, Natascia Rocca, redidente in Serra San Bruno; Giuseppe Rettura, residente in Mileto; Domenico Pugliese, residente in Vibo Valentia; Nicola Pasceri, residente in San Nicola da C; Fabio Primerano, residente in Vibo Valentia; Mariano Tassone, residente in Simbario; Bruno Brusio, residente in Limbadi; Francesco Pugliese, residente in Vibo Valentia; Sabrina Battaglia,m residente in Brognaturo; Francesco Bertucci, residente in Simbario.
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Il Quotidiano della Calabria venerdì 11 luglio 2008
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collegio di vibo valentia MEMORIAL “MARIO OCCHIATO” Torneo di calcio a 5
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Il Quotidiano della Calabria sabato 27 settembre 2008
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collegio di vibo valentia APPROVAZIONE BILANCIO 2008
Un aspetto della sala
Foto di gruppo
Il presidente G. Preiti (a dx) consegna il timbro a Vincenzo Albanese
Il presidente G. Preiti (a dx) consegna il timbro a Sergio Franzè
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Il Quotidiano della Calabria sabato 11 ottobre 2008
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collegio di vibo valentia XV ANNIVERSARIO DELL’ARRIVO DELLA STATUA DEL CUORE IMMACOLATO DI MARIA RIFUGIO DELLE ANIME Paravati, 9 novembre 2008
A dx in primo piano: Giuseppe Preiti, presidente del Collegio di Vibo Valentia e Antonio Misefari, presidente del Collegio di Reggio Calabria
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collegio di vibo valentia ESAME DI STATO PER L’ABILITAZIONE ALL’ESERCIZIO DELLA LIBERA PROFESSIONE DI GEOMETRA SESSIONE 2008 ELECO DEGLI ABILITATI Domenico Artusa, da Mileto; Luciano Marino Artusa, da Filandari; Francesca Aversa, da Pizzoni; Dante Bagnato, da Messina; Domenico Barbalaco, da Cessaniti; Gaspare Barbara, da Vallelonga; Emanuele Barbieri, da Cessaniti; Vincenzo Battaglia, da Brognaturo; Francesco Calfapietra, da Pizzo; Giuseppe Carullo da Stefanaconi; Massimiliano Cocciolo, da Ricadi; Giovanni Colica, da Briatico; Marco Congiustì, da Vibo Valentia; Gaetano Costa da Drapia: Rocco Crupi, da Mileto; Giuseppe Currà, da Rombiolo; Giuseppe Custureri, da Vibo Valentia; Guglielmo De Caria, da Vallelonga; Concetto Giorgio De Luca da Tropea; Bruno Franzè da Serra San Brunio; Raffaele Galati, da San Costantino C.; Gino Galloro, da Vallelonga; Arturo Gasparro da Francica; Angela Grillo, da Brogliaturo; Salvatore Iannelo, da Cessaniti; Francesco Ielati da Filadelfia; Francesco Iennarella, da Brognaturo; Francesco Iennarella da Brognaturo; Gregorio Iori, da San Nicola da C.; Emanuele La Malfa da Limbadi; Antonio Latassa, da Frabrizia; Innocenzo Lazzaro, da Francavilla A.; Smeraldo Messina, da Vibo Valentia; Vincenzo Morelli, da San Gregorio d’Ippona; Michele Piperno, da Vibo Valentia; Domenico Polito, da Mileto; Federico Antonio Polito, da Nicotera; Andrea Rocco Pugliese, da Praia a Mare; Nicola Pugliese da Zungri; Pier Giuseppe Raffaele, da Ionadi; Francesco Rotiroti, da Prognaturo; Fortunato Soriano, da Ricadi; Salvatore Sorrenti, da Brognaturo; Giuseppe Tamburo, da Stefanaconi; Luigi Tassone, da Serra San Bruno; Massimiliano Bruno Tassone, da Brognatuno; Mario Vallelunga, da Serra San Bruno.
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Il Quotidiano della Calabria giovedì 4 dicembre 2008
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Catasto e topografia
PREGEO 10: L’APPROVAZIONE AUTOMATICA DEGLI ATTI DI AGGIORNAMENTO di Antonio Grambiale
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a nuova versione di Pregeo (ver. 10.01), da utilizzare da gennaio 2009 facoltativamente e da giugno 2009 in modo obbligatorio, consente la completa dematerializzazione degli atti per l’invio telematico effettuando un maggiore numero di controlli sui dati contenuti nella proposta di aggiornamento e la valutazione ed approvazione automatica dal sistema, senza intervento di alcun operatore. Il tecnico redattore infatti potrà controllare in modo automatico e soprattutto prima della consegna del documento di aggiornamento, la qualità dei dati che verranno introdotti negli archivi catastali al momento dell’approvazione dell’atto predisposto con Pregeo 10, avendo a disposizione il medesimo programma gestito dagli Uffici dell’Agenzia. L’approvazione senza intervento da parte del tecnico dell’Ufficio è condizionata all’utilizzazione di un Estratto di mappa di nuova concezione rilasciato dall’Ufficio poiché solo questo, per le particelle interessate dall’aggiornamento, comprenderà tutte le informazioni cartografiche, topografiche e censuarie presenti nella Banca Dati catastale, in modo da permettere i controlli automatici per definire l’approvabilità dell’atto già con l’applicativo stand-alone. Naturalmente, poiché la procedura lavorerà in automatico, ha necessità di conoscere attraverso una specifica codifica, la tipologia dell’atto di aggiornamento da trattare
La verifica automatica avverrà quindi eseguendo i controlli formali e di merito definiti per ciascuna tipologia di atto di aggiornamento, che con la nuova versione di Pregeo diventano diciotto.
La procedura attuale non consente però di trattare in modo automatico: - gli atti non predisposti su estratto di mappa rilasciato dall’Ufficio - gli atti che si riferiscono a più particelle originarie - atti con PF appartenenti a più comuni - atti con poligonali vincolate a Punti di coordinate note - atti misti (ampliamento della corte e del fabbricato, demolizione e ricostruzione ecc) - atti relativi ad acque e strade e quelli con doppia dimostrazione I controlli che la procedura Pregeo 10 è predisposta per eseguire sono i seguenti: Conformità: codice di riscontro, autocertificazioni, autodichiarazioni Completezza: presenza di tutti gli elaborati Consistenza: controllo sulla registrabilità dell’atto Controlli tecnici: Metodologia operativa topografica (schema del rilievo, GPS, collegamento delle stazioni ecc.) Controlli di coerenza : confronto tra dati dell’atto e banca dati catastale, cartografia, censuario. Infatti sono anche definiti e codificati i dati censuari per ciascuna tipologia di atto di aggiornamento per permettere l’effettuazione dei controlli di congruenza fra i dati che aggiorneranno l’archivio censuario catastale e la tipologia dell’atto di aggiornamento. Controllo delle distanze tra PF . Confronto con analoghe
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Catasto e topografia distanze desunte dagli atti di aggiornamento e verifica della tolleranza: - se minore: il rilievo rispetta le norme - se maggiore: il rilievo sarà inserito in banca dati con apposita dichiarazione esplicita - se maggiore: l’atto non sarà trattato senza dichiarazione esplicita. Il controllo potrà essere fatto anche con confronto con analoghe distanze ricavate da collaudi o calcoli dell’Ufficio dell’Agenzia del Territorio. Scarto quadratico: Viene normato a valori non superiori a 15 cm. Valori superiori escludono l’approvazione automatica e rimandano ad una verifica puntuale da parte di personale dell’Ufficio. Controlli topografici : I controlli sono finalizzati all’aggiornamento cartografico con procedura automatica (ex proposta di aggiornamento). La procedura, con una rototraslazione rigida - mantenendo cioè le mutue relazioni tra i punti, circa il miglior adattamento del rilievo sulla mappa (principio dei minimi quadrati).
n. 3-4/ 2008 sentirà di discriminare il trattamento automatico o analogico degli atti di aggiornamento. Ulteriore novità è la relazione tecnica strutturata, necessaria per segnalare dichiarazioni, previste dalla normativa, che consentono l’approvazione in deroga ai controlli di merito. Essa consente la verifica automatica delle autocertificazioni (deposito atto presso il Comune) e delle autodichiarazioni (completo rispetto delle norme).
Le dichiarazioni predefinite, che sono necessarie per stabilire l’approvabilità dell’atto di aggiornamento sono meglio evidenziate negli schemi sotto riportati: Trovato il migliore adattamento, la procedura è in grado di stabilire la posizione dei punti rilevati rispetto a quelli presenti in mappa, calcola lo scarto massimo dei tre punti fiduciali e li mette a confronto con il valore di soglia attribuito a ciascun foglio di mappa. Quest’ultimo valore è stato attribuito in relazione al grado di accuratezza della mappa (metodo di rilievo e rapporto di scala), e rappresenta la stima del valore di affidabilità metrica di ciascuna mappa. Sarà un valore dinamico perché , in relazione alla presentazione di nuovi atti di aggiornamento relativi a ciascun foglio , sarà ricalcolato in continuo e rilasciato dall’Ufficio unitamente all’estratto di mappa che sarà oggetto di aggiornamento e con-
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Catasto e topografia
Grazie ad opportuni messaggi diagnostici, Pregeo 10 permette al tecnico redattore di sapere già nella fase di predisposizione se l’atto di aggiornamento verrà sottoposto presso l’ufficio di destinazione al processo di approvazione automatica oppure se verrà trattato nella consueta modalità interattiva da parte degli operatori dell’Uffici Provinciali.
Nel caso di esisto negativo l’atto viene respinto dalla procedura e viene riportato in chiaro il messaggio con i motivi di non registrabilità Nella maschera della procedura stand-alone il messaggio è: Esito negativo Poiché ogni tipologia di atto di aggiornamento è stata descritta in modo chiaro l’operazione catastale che dovrà essere effettuata con l’assegnazione di un opportuno codice per essere interpretata dalla procedura, ad ogni tipologia è stato associato un modello integrato. Il tecnico libero professionista dovrà perciò compilare il modello censuario secondo uno schema rigido predefinito per quella tipologia per cui i relativi modelli censuari risulteranno “blindati”. D’altra parte la procedura verifica la corrispondenza del modello censuario alla tipologia di atto di aggiornamento. La non utilizzazione dei modelli prestabiliti predispone l’atto all’approvazione manuale. Esempio di atto di aggiornamento e relativo modello censuario
Queste tipologie di atti di aggiornamento presenti in Pregeo - allo stato attuale diciotto - saranno implementate a trentaquattro e certamente comprenderanno il 90% degli atti , che così saranno trattati con procedura automatica. Si sta realizzando quindi con questa versione di Pregeo la completa responsabilizzazione del libero professionista nell’aggiornamento degli atti catastali a fronte di una approvazione totalmente automatica che esclude l’intervento manuale di tecnici dell’Ufficio, responsabili spesso di discutibili interpretazioni delle norme, da oggi verificate in modo coerente da una procedura informatica.
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IL CATASTO NELL’UNIONE EUROPEA Alcuni sistemi di valutazione catastale di Roberto M. Brioli
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’etimologia del termine catasto è antica e non del tutto certa, anche se in genere si ritiene che derivi dal greco bizantino katàstikon e dal corrispondente termine romano catasticum, termini che stanno ad indicare gli inventari dei beni fondiari. Sono comunque molto simili i termini con cui si indica il catasto sia nelle lingue neolatine (cadastare encadastar in provenzale, catastro in spagnolo, catasto in italiano, cadastre in francese) che germaniche {katasterìn tedesco, cadaster in inglese). In genere parlando di catasto ci si riferisce in senso lato ad una rassegna qualsiasi di beni immobili e dei relativi possessori, utilizzata per stabilire il carico fiscale. Più precisamente, ora per catasto si intende “il complesso di documenti con cui si accertano, per scopi fiscali, civili ed eventualmente giuridici, alcune caratteristiche tecnico-eco nomiche dei beni immobili di un territorio e se ne registrano tutte le mutazioni”. Da questa definizione, si può immediatamente comprendere che un catasto può avere tre finalità fondamentali: fiscale, legale e civile. La finalità fiscale è quella prioritaria, che ha portato alla istituzione dei primi catasti (si ha notizia di catasti nell’antico Egitto, in cui ogni anno venivano rideterminati gli estimi e quindi i tributi dovuti al Faraone in funzione della quantità e qualità del limo depositato sui terreni dalla piena annuale del Nilo) in ogni caso, la necessità di determinare il reddito imponibile (e in taluni casi, anche il valore) dei fondi rustici e dei fabbricati urbani richiede che tutte le proprietà immo biliari soggette ad imposta vengano inventariate - con le caratteristiche sia relative all’oggetto dell’accertamento che ai soggetti titolare di diritti - e appositamente catalogate e che le relative mutazioni vengano tenute in evidenza. La finalità legale consiste nella possibilità di dotare i documenti catastali anche di valore giuridico (probatorietà), ossia della possibilità che con i documenti catastali possano essere giuridicamente comprovati i diritti registrati nel catasto. La finalità legale non è comune a tutti i catasti attualmente in vigore in Europa e nel mondo: ad esempio i catasti italiani, francesi e spagnoli, che derivano dal catasto Napoleonico, non hanno finalità giuridica, per cui per la verifica delle proprietà di un immobile è necessario consultare anche le iscri zioni e le trascrizioni presentate alla “conservatoria dei regi stri immobiliari”, mentre altri catasti hanno finalità giuridica, per cui le registrazioni del catasto sono sufficienti a provare i diritti spettanti sull’immobile in capo ai soggetti iscritti in catasto. In altri casi, la finalità giuridica è associata al catasto mediante altre istituzioni, come per esempio il Libro Tavolare vigente nelle province italiane ex austriache. Le finalità civili del catasto sono infine conseguenti al pos sibile utilizzo ai fini civili (es. di pianificazione urbanistica, di studio economico del territorio ...) di tutte quelle
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ulteriori informazioni che sono contenute nei documenti catastali: la planimetria dettagliata e a grande scala di tutto il territorio nazionale, l’analisi del reddito delle particelle, la descrizione dell’aspetto della proprietà fondiaria e di quella urbana. Attualmente negli stati dell’Unione europea vi sono diversi sistemi di registrazione delle informazione sui beni immobili, ed anche i contenuti non sono omogenei: in molti paesi il catasto si occupa solo delle proprietà fondiarie (e cioè viene gestito a livello centrale solo quello che in Italia è il catasto terreni) mentre dei fabbricati si occupano direttamente le “municipalità”, anche se ai fini della tassazione dei fabbri cati sono generalmente dettate regole di valutazione valide per tutto il territorio nazionale (o del singolo stato nel caso di stati federali). Vi sono poi differenze marcate tra gli stati che hanno il loro sistema giuridico basato sul diritto romano, in cui il catasto dispone di una mappa particellare, e gli stati che hanno il sistema giuridico anglosassone basato sulla “common law” in cui non esiste una vera e propria mappa catastale, ma ci si riferisce alle mappe dell’Ordnance Survey (che non riportano necessariamente i confini delle particelle) e possono coesistere più catasti gestiti rispettivamente dagli equivalenti dei ministeri delle finanze (evaluation office), della pianificazione urbanistica (planningoffice), dell’agricoltura ... In Inghilterra vige un sistema in cui si prevede l’iscrizione per la prima volta di un immobile nei libri fondiari se negoziato dopo l’istituzione dei libri stessi: sono presenti tre registri fondiari, il primo relativo agli immobili e ai diritti gravanti sugli stessi, il secondo relativo ai soggetti titolari dei diritti di proprietà ed il terzo relativo ai diritti dei terzi. In sintesi, si distinguono catasti fiscali, la cui finalità principale è la tassazione dei redditi o dei valori immobiliari men tre per quanto riguarda la proprietà o degli altri diritti sugli immobili, occorre fare il collegamento con il Registro della proprietà (o analogo istituto, in Italia ad esempio la Conser vatoria dei registri immobiliari), e catasti legali, in cui cioè le risultanze dei documenti catastali sono, oltre che di tipo fiscale, anche probatorie dei diritti degli intestati, e l’ammi nistrazione dello Stato interviene direttamente nella determinazione della prova del diritto di proprietà. Per quanto riguarda la gestione del catasto, si può affermare che quella del catasto dei terreni cui è associata la cartografia catastale, che in genere ha valore di cartografia ufficiale dello Stato, è centralizzata, mentre non tutti gli stati dispongono di un catasto dei fabbricati a livello centrale, per cui in alcuni casi le singole municipalità provvedono alla gestione dei tributi sui fabbricati (normalmente però il sistema di va lutazione viene definito a livello centrale). Questo dipende anche dal tipo di tassazione sui fabbricati, che spesso è de mandata agli enti locali ed in molti casi è di tipo patrimoniale e non reddituale. Per quanto riguarda i metodi principali di valutazione, in ge nerale sono utilizzabili il metodo della capitalizzazione
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n. 3-4/2008 dei redditi (soprattutto per edifici produttivi e commerciali), il metodo di comparazione (poco usato nella pratica per la scarsa disponibilità di un numero sufficiente di contratti di compravendita di beni comparabili) ed il metodo del costo. Il metodo della capitalizzazione dei redditi si basa fondamentalmente nel convertire in capitale una rendita netta: il progressivo venir meno del mercato degli affitti per la destinazione residenziale ha reso meno importante tale metodo che viene però ancora utilizzato per immobili ad uso diverso dall’abitazione, in cui l’affitto è ancora molto praticato. Il metodo di comparazione è basato sulla ricerca di un numero sufficientemente ampio e rappresentativo di compravendite, e alla creazione di modelli che consentano di estendere i risultati a tutto il parco immobiliare. Per utilizzare tale metodo con successo, è necessario disporre di una banca dati georeferenziata delle compravendite e delle locazioni. Il metodo che nelle più recenti esperienze appare più utilizzato (ad esempio nel catasto spagnolo, oggetto di riforma di fresca data) è quello del costo di riproduzione considerando il costo di tutti i fattori produttivi (in estrema sintesi, terre no, urbanizzazioni, costruzione), in cui il costo di costru zione viene decurtato in funzione del livello di vetustà, ed il valore del terreno viene determinato tenendo conto della ubicazione, della dotazione di infrastrutture, della situazio ne urbanistica sia attuale che di previsione futura (in pra tica, utilizzando delle microzone catastali come era stato previsto per la revisione degli estimi del catasto italiano nel d.P.R. 138/1998). Per quanto riguarda il controllo dei sistemi di valutazione del catasto, si è già detto che in genere la gestione è demandata all’amministrazione centrale per motivi di perequazione (si tratta in pratica degli stessi motivi per cui il T.A.R. del Lazio ha “stoppato” il passaggio del catasto ai comuni, in quanto l’ente locale che avesse optato per il livello e) di decentramento poteva determinare in modo autonomo la rendita catastale di un immobile senza alcuna possibilità di controllo di merito a livello centrale). Peraltro, per quanto riguarda i fabbricati, i sistemi di valutazione sono alimentati dai dati che provengono dagli uffici degli enti locali sia di tipo urbanistico (uso del suolo, pianificazioni, sviluppo urbano) che di tipo edilizio (nuovi permessi di costruire o ristrutturazioni). Ad esempio in Danimarca, che ha recentemente riformato il suo sistema catastale, le valutazioni sono normalmente effettuate con sistemi di valutazione computerizzati, in cui si fa riferimento al valore del suolo, alla tipologia dell’edificio del suo complesso, alla tipologia e consistenza della singola unità immobiliare, ai canoni di locazione. Circa la destinazione d’uso, si fa in genere riferimento non a quella effettiva, ma a quella “ordinaria” per quel tipo di unità immobiliare, così come nel catasto terreni si fa riferimento non alla coltura in atto ma alla potenzialità produttiva del suolo. Fondamentale, in tutti i sistemi catastali moderni, è il ruolo della mappa catastale e la georeferenziazione dei dati, sia per le valutazioni (un sistema che fornisca i valori ed i canoni di riferimento localizzati sulla mappa consente valutazioni più precise e quindi più eque) sia per lo scambio di informazioni tra i diversi utilizzatori dei dati contenuti nel sistema informativo.
Catasto e topografia Sempre prendendo ad esempio il catasto danese, oltre agli uffici catastali ed ipotecari, gli uffici coinvolti nel sistema informativo catastale sono quelli che si occupano di: • pianificazione urbanistica; • pianificazione ambientale (e controllo dell’inquinamento); • edilizia e relativi permessi; • pianificazione commerciale; • gestione di strade e traffico; • gestione di servizi di utilità; • gestione dell’anagrafe. I dati sono condivisi dagli utenti per la rispettive necessità, ed ogni utente è responsabile dei dati che fornisce o gestisce in via prioritaria. In Germania, essendo uno stato federale, ogni Lander ha il suo catasto ed in alcuni casi, come Monaco di Baviera, Berli no, Amburgo, Dresda, l’amministrazione catastale è gestita a livello comunale, tramite “consigli di valutazione” che si avvalgono della collaborazione di esperti indipendenti. Questi Consigli hanno sede nel dipartimento di cartografia (department of surveying) ed i loro membri (da 10 a 20) sono responsabili di dipartimenti pubblici di “surveying” ed esperti qualificati di economia. A seguito del lavoro dei consigli di valutazione, viene pub blicato ogni anno il “rapporto sul valore del mercato locale”, dove vengono analizzati e pubblicati i valori immobiliari, e da cui è possibile conoscere gli indici di rivalutazione per ogni categoria di beni, i coefficienti da utilizzare per vetustà, superficie, localizzazione, i coefficienti da applicare per il cal colo del valore e del reddito lordo tassabile, i costi di affitto di aree agricole, edifici residenziali, produttivi e commerciali. Vengono inoltre prodotte delle mappe con riportati i confini di microzona, con indicati i valori standard del terreno della microzona. Per gli immobili non residenziali si utilizzano ancora comunque metodologie di tipo reddituale. Infine, si fa presente che - allo scopo di promuovere la piena conoscenza delle attività sviluppate dall’Unione europea e dagli Stati membri in materia di Catasto e, tramite tale informazione, sviluppare strategie e proporre iniziative comu ni volte ad ottenere un maggiore coordinamento tra i diversi sistemi catastali europei ed i loro utenti - è stato creato un apposito “Comitato permanente del catasto nell’Unione europea”. Una delle principali funzioni del Comitato è quella di studiare e presentare agli organi dell’Unione europea proposte coordinate su diversi aspetti coinvolgenti le banche dati di informazione territoriale. È ovvio che in proposito si cerca di favorire la armonizzazione dei sistemi catastali, anche se non è pensabile una imposizione di un nuovo sistema unico europeo: in proposito, certamente lo sviluppo tec nologico rende sempre più accessibili e interscambiabili i dati contenuti nei sistemi informativi territoriali dei diversi paesi membri. In conclusione, i sistemi di valutazione catastale dei paesi dell’Unione europea sono molto diversi, in conseguenza an che dei diversi obiettivi (tassazione patrimoniale o tassazione dei redditi, fiscalità locale o fiscalità centrale). Ogni sistema possiede vantaggi e svantaggi, ma è eviden-
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Catasto e topografia te che i sistemi di impianto più recente e che hanno ben de finito l’obiettivo fiscale da raggiungere sono quelli che più facilmente possono raggiungere risultati di attualità e pere quazione dei valori (o dei redditi) imponibili. Il sistema italiano, nato per una fiscalità centrale con tassa zione del reddito, è tra i più antichi, e va riprogettato tenendo presenti anche le più recenti iniziative di riforma dei sistemi catastali attuate in altri paesi dell’Unione europea. Va però considerato che un catasto “reddituale”, basato cioè su
n. 3-4/ 2008 valo ri di locazione, è molto più stabile di un catasto “patrimoniale”, basato cioè su valori di compravendita, che come noto hanno oscillazioni molto rapide e spesso imprevedibili. Un fenomeno di recessione del mercato immobiliare, come ad esempio è accaduto con la recentissima crisi del merca to immobiliare americano in cui si sono registrati dei veri e propri crolli dei valori immobiliari, sarebbe molto difficile da gestire con un catasto di valori. «L’ufficio Tecnico»
CATASTO AI COMUNI: STOP DEL CONSIGLIO DI STATO di Franco Guazzone
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on l’ordinanza n. 4474 del 26 agosto 2008, il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso con cui l’ANCI, insieme con 300 comuni, chiedeva l’annullamento della sent n. 4259/2008 del Tar Lazio relativa al decentramento delle funzioni catastali ai comuni.
La sentenza del TAR Lazio n. 4259 del 15 maggio scorso ha annullato il D.P.C.M. 14 giugno 2007, che definiva le modalità di decentramento delle funzioni catastali ai comuni, verdetto che l’ANCI (Associazione nazionale dei comuni italiani) e circa 300 grandi comuni hanno impugnato al Consiglio di Stato chiedendo, in via preliminare, la sospensiva della sentenza, per evitare il blocco delle operazioni di decentramento già in corso. Il Consiglio di Stato, con ordinanza n. 4474 del 26 agosto 2008, ha respinto la richiesta di sospensiva, riservandosi di entrare nel merito del ricorso successivamente, caso che di fatto costituisce un parziale successo dell’ANCI, per due motivi. Il primo è che, di fatto, l’alto consesso ha riconosciuto l’ente come parte processua le, condizione nient’affatto certa in precedenza, in quanto più esperti legali avevano ritenuto che non esistessero i presupposti per l’impugnazione della sentenza del TAR da parte dell’ANCI, ente non direttamente coinvolto nella stesura del D.P.C.M. 14 giugno 2006. Il secondo è che, in teoria, dall’esame di merito del ricorso non è escluso che gran parte del decreto venga riconosciuta coerente con la prescrizione normativa degli artt. 65 e 66 del D.Lgs. 112/1998, come modificati dall’art. 1, comma 197 della legge 296/2006, in quanto, come avevamo a suo tempo affermato, solo le funzioni più evolute di terzo livello, affidate ai comuni dotati di adeguata attrezzatura e organizzazione, avevano travalicato il confi ne della liceità, là dove veniva riconosciuta agli enti locali la facoltà di modificare autonomamente gli atti di aggiornamento del Catasto terreni e fabbricati, prescin dendo dall’autorizzazione dell’Agenzia del territorio.
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Le funzioni catastali decentrabili previste dal decreto Ricordiamo che, a seguito del protocollo d’intesa sottoscritto dall’Agenzia del terri torio e dall’ANCI il 4 giugno 2006, i comuni erano stati autorizzati a richiedere la gestione del servizio, articolato su 3 livelli di funzioni, graduate in base al tipo e alla complessità delle operazioni da effettuare. Il primo livello consentiva: a. l’espletamento del servizio di consultazione della banca dati catastale, su richiesta dell’utenza, per rilasciare visure gratuite e certificati a pagamento; b. l’aggiornamento della banca dati con va riazione di intestazioni e rettifiche di dati amministrativi e toponomastici; c. la riscossione dei tributi per i servizi prestati. Il secondo livello permetteva in aggiunta alle voci precedenti: d. di accettare, verificare formalmente e registrare gli atti di aggiornamento del Catasto fabbricati e terreni, nonché il confronto delle dichiarazioni tecniche con gli atti urbanistici di pertinenza del comune. Il terzo livello, infine, alle funzioni precedenti aggiungeva anche: e. la definizione e registrazione degli atti di aggiornamento proposti dalla parte, “ovve ro sulla base di adempimenti d’ufficio”. Quest’ultimo punto, secondo l’interpretazione dell’ANCI, confermata dal sottose gretario dell’epoca, Altiero Grandi, avreb be consentito ai comuni di effettuare an che eventuali rettifiche nel merito degli atti di aggiornamento proposti dai professionisti escludendo di fatto ogni ingerenza dell’Agenzia del territorio. Tale interpretazione aveva già consentito ad alcuni comuni di modificare non solo gli atti di aggiornamento, ma anche i classamenti e le rendite di fabbricati esistenti, in assenza di modificazioni intervenute nelle unità immobiliari, circostanza che ha provocato la reazione di varie associazioni dei pro-
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n. 3-4/2008 prietari di case (in primis, di Confedilizia), che hanno impugnato il D.P.C.M. al TAR del Lazio. I probabili sviluppi della vertenza Pertanto, allo stato degli atti, la prossima mossa spetterà al Consiglio di Stato, che dovrà esaminare nel merito la fondatezza dei rilievi esposti nel ricorso dell’ANCI, in rapporto alla normativa prevista dal D.Lgs. 112/1998, per verificare se la sentenza del Tribunale amministrativo abbia correttamente ritenuto illegittimo l’intero impianto del D.P.C.M. o se, invece, avrebbe dovuto invalidare solo la parte relativa alle funzioni più elevate del terzo livello, conferibili ai comuni, circostanza che avevamo già rite nuto auspicabile in quanto, escludendo le funzioni del terzo livello, le restanti sono assolutamente compatibili con la normativa vigente sotto il profilo strettamente tecnico, soprattutto a beneficio della popolazione che potrebbe fruire dei servizi catastali, recandosi allo sportello municipale anziché all’Ufficio provinciale dell’Agenzia del territorio. Infatti, attualmente, gli sportelli catastali funzionanti sono circa 300, al servizio di circa 2.200 comuni, con una popolazione servita di circa 28 milioni di cittadini (fon te: Agenzia del territorio). Il “convitato di pietra” Non sfugge all’attenzione degli esperti il fatto che, nel contenzioso in atto, esiste un “convitato di pietra”, il Governo attuale, che ha brillato per l’assenza di qualunque com mento in meri to, circostanza che evidenzia una sensibile divergenza di opinioni nel merito degli ultimi più avanza ti sviluppi nella vicenda del decentramento, di cui si era fatto merito il sottosegretario Grandi, nella precedente legislatura. Invece, l’impianto iniziale del D.Lgs. 112/1998, che si era tradotto nel D.P.C.M. 19 dicembre 2000, delineando tutte le fasi del decentramento, era stato a suo tempo condiviso dal Ministro Tremonti, che con il comunicato stampa del 21 febbraio 2002 aveva invitato i sindaci ad aderire al programma
Catasto e topografia di attuazione del collegamento con la rete catastale, per l’avvio delle operazioni di decentramento a titolo sperimentale. In effetti, negli ambienti ministeriali si sta facendo largo l’intenzione di rivisitare l’intero impianto dello stesso D.Lgs. 112/ 1998, non solo per gli aspetti prettamente tecnici di conservazione, ma anche per quelli di tipo organizzativo e amministrativo, in prospettiva della prossima riforma dei criteri di determinazione della redditività immobiliare, che ha finora bloccato la revisione generale degli esti mi, disposta con la legge 75/1993. Infatti, nel quadro dei compiti attribuiti all’Agenzia del territorio, inerenti la monitorazione dei valori di mercato, a beneficio dell’Osservatorio del mercato immobiliare (OMI), i cui listini costituiscono il valore “normale” di riferimento, ai fini fiscali (art. 1, comma 307 della legge 296/2006), da utilizzare anche nella revisione generale degli estimi, sarà necessario per l’Istituto catastale disporre della maggior parte dei tecnici in servizio, (per cui il loro eventuale decentramento ai comuni) andrebbe a ridurre la potenzialità operativa degli uffici, già oggi deficitari nell’organico, specie nel le regioni del centro nord. Del resto, se il controllo di merito degli atti di aggiornamento, che saranno prossimamente presentati dai professionisti esclusivamente per via telematica, dovrà essere effettuato dagli Uffici provinciali dell’Agenzia, non si vede quali sarebbero i compiti che potrebbero svolgere i tecnici nelle strutture comunali, verso le quali invece potrebbe essere decentrata buona parte del personale addetto agli sportelli, stante che dette operazioni sarebbero svolte presso quelli degli uffici decentrati, o via Internet direttamente dagli utenti. In definitiva, sono numerosi e rilevanti i problemi che riguardano il delicato compito di conservazione degli archivi catastali, che forniscono i dati di rendita e valore de gli immobili agli effetti fiscali, per cui sem bra indispensabile una profonda riflessione sulle modalità di gestione degli stessi, da parte del Ministero dell’economia, con l’indispensabile apporto di tutti gli operatori professionali del settore.
La normativa - Decentramento delle funzioni catastali ai comuni - Rigetto del ricorso proposto dall’ANCI per l’annullamento della sent. n. 4259/2008 del TAR Lazio - Roma, Sez. II. Consiglio di Stato, ord. n. 4474, 26.8.2008 - Ricorso di Confedilizia contro il D.P.C.M. 14 giugno 2007 concernente il decentramento delle funzioni catastali ai comuni Accoglimento. TAR Lazio, Sez. II, sent. n. 4259, 15.5.2008 - Decentramento delle funzioni catastali ai comuni, ai sensi dell’art. 1, comma 197, della legge 296 del 27 dicembre 2006 D.P.C.M. 14.6.2007 - Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007) Legge 296, 27.12.2006
«Consulente immobiliare»
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AI FINI CATASTALI GLI IMPIANTI SOLARI SONO OPIFÌCI di Paolo Francesco Calmeria e Ornella Di Benedetto
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li impianti fotovoltaici vanno accatastati. È quanto ha stabilito una nota della Direzione centrale cartografia, catasto e pubblicità dell’agenzia del Territorio, emessa il 26 settembre scorso. Gli impianti - si legge nella nota - si accertano nella categoria D/1 Opifici e nella determinazione della relativa rendita catastale devono essere inclusi i pannelli fotovoltaici. La presa di posizione della Direzione fa chiarezza su un aspetto rilevante per un numero crescente di operatori. Grazie soprattutto al meccanismo di incentivazione della produzione di elettricità da fonte solare, si stima che in Italia negli ultimi anni siano stati installati circa 8.030 impianti di produzione di energia, per una potenza complessiva di oltre 83 megawatt. La natura giuridica degli impianti non è mai stata precisamente individuata dal legislatore, mentre nella prassi si è diffusa una molteplicità di contratti per disciplinare costruzione, installazione e utilizzo delle strutture. Questo vuoto legislativo determina rischi rilevanti di “lacunosità” e “impertinenza” delle regolamentazioni negoziali e una possibile erronea implementazione dei percorsi autorizzativi in sede amministrativa. La classificazione giuridica degli impianti fotovoltaici è sempre stata complessa, in considerazione di diversi aspetti: 1. la nozione di “bene immobile” formulata dal Codice civile definisce come tale, oltre al suolo, «gli edifici e le altre costruzioni - anche se unite transitoriamente al suolo - e in genere tutto ciò che è artificialmente incorporato al suolo»;
2. la Circolare 14/2007 della Direzione centrale catasto e pubblicità immobiliare dell’agenzia del Territorio classifica le centrali eoliche - strutturalmente affini ad alcuni tipi di impianti fotovoltaici e accomunate a questi ultimi dalla produzione di energia - quali “opifici”, ovvero unità immobiliari; 3. la sentenza della Corte di cassazione 16824/2006 imponeva di tenere conto delle turbine ai fini della determinazione della rendita catastale delle centrali elettriche (si veda la scheda). Con la nota del 26 settembre, la Direzione centrale cartografia, catasto e pubblicità dell‘agenzia del Territorio ha ufficializzato così il proprio orientamento: «I pannelli fotovoltaici possono essere assimilati per evidente analogia alle turbine delle centrali idroelettriche». La stessa nota fa propria la posizione della sentenza 16824 con riferimento alle turbine delle centrali elettriche ribadendo che «...non rileva il mezzo di unione tra “mobile” ed “immobile” per considerare il primo (turbina) incorporato al secondo (centrale elettrica), quel che conta è l’impossibilità di separarli senza sostanziale alterazione del bene complesso (che non sarebbe più una centrale elettrica)». Logica conseguenza di questo inquadramento dell’impianto fotovoltaico quale opificio e della classificazione dei pannelli solari alla stregua di una “turbina” è la loro necessaria individuazione e dichiarazione catastale, nonché la costituzione di diritti su di essi che tengano conto della loro peculiare natura.
Il precedente La sentenza della Corte di cassazione n. 16824 del 21 luglio 2006, in relazione alle centrali elettriche, aveva precisato che «i relativi fabbricati e costruzioni stabili sono costituiti: dal suolo e dalle parti strutturalmente connesse - anche invia transitoria cui possono accedere mediante qualsiasi mezzo di unione parti mobili allo scopo di realizzare un unico bene complesso». Di conseguenza, secondo i giudici, «la rendita catastale di una centrale elettrica deve essere attribuita tenendo conto delle turbine ed in genere delle parti strutturalmente connesse, anche se fisicamente non incorporate al suolo».
Il promontorio di Scilla (da “La Calabria” - Editalia - Edizioni di Italia)
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SI CAMBIA LA RENDITA SOLO IN CASI ECCEZIONALI di Franco Guazzone
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a rendita si ritocca. Ma solo in linea teorica. Con la circolare che viene diffusa oggi, l’agenzia del Territorio torna sulla sentenza 22557/2008 della Cassazione, che aveva aperto la via alla possibilità di ottenere revisioni della rendita catastale in caso di «mutate condizioni» o vetustà dell’edificio. Principio pericoloso per il Fisco, dato che quasi tutte le imposte sono basate sulla rendita e non sono pochi gli immobili che potrebbero ottenerne una revisione al ribasso. La circolare richiama però gli uffici all’osservanza delle disposizioni in materia di contenzioso, mirate a impostare correttamente la difesa dell’amministrazione quando i possessori si costituiscano in giudizio per contestare le rendite catastali dei fabbricati, a seguito di istanze di rettifica in autotutela, respinte dagli uffici in maniera esplicita o per silenzio. Il problema nasce proprio dal fatto che la difesa dell’ufficio, nel caso della sentenza 22557/2008, non aveva ricordato che la rettifica della rendita può essere richiesta solo per l’eliminazione di incongruenze, cioè: - errori materiali di inserimento o impostazione estimale; - sopravvenienza di elementi oggettivi nuovi, non presenti al momento del primo accertamento; - il verificarsi delle condizioni previste dall’articolo 38 del Tuir (Dpr 917/86), cioè quando il reddito lordo dell’unità immobiliare risulti per tre anni inferiore del 50% rispetto alla rendita catastale, ricordando che il reddito effettivo deve costituito dai canoni di locazione riferiti al biennio censuario del 1988-89, dell’unità o di altre similari presenti nelle zona. Dando per scontato la liceità delle richieste nei primi due casi, la circolare si sofferma sulla terza tipologia di motivazioni, che devono essere presenti quando la richiesta riguardasse unità nelle quali gli elementi «intrinseci ed estrinseci» di riferimento risultassero già presenti all’epoca del classamento (la vetustà, da sola, non basta cioè per chiedere la revisione). In tali fattispecie, precisa la nota, nelle azioni di difesa l’ufficio deve sempre far presente, fin dal primo grado di giudizio, l’eventuale mancata osservazione, nel ricorso, dei presupposti previsti dall’articolo 38 del Tuir, unica condizione che consente di avvalersene anche in sede di legittimità. In definitiva, la giusta preoccupazione dell’Agenzia è quella di scongiurare illegittime aspettative nei contribuenti, in base all’esito controversie nelle quali l’esito sfavorevole all’amministrazione è stato determinato solo dall’insufficiente motivazione della difesa dell’ufficio, per la mancata osservanza delle disposizioni in materia, del resto già chiarite conia circolare 11/2005. Infatti, nella recentissima sentenza 22557/08, la Cassazione (Sezione tributaria) ha trattato il caso del possessore di un appartamento, censito in categoria A/1, che richiedeva il declassamento in A/2, stante che «il tempo trascorso dal primo classamento (1965), le caratteristiche dell’immobile erano scadute rispetto alla più moderne filosofie e tecniche costruttive determinante la classificazione degli immobili». Secondo la
Corte può accadere che un’abitazione in passato ritenuta di pregio, possa perdere la qualifica superiore. La Cassazione aveva osservato che la questione doveva incentrarsi sulla congruità delle motivazioni, osservando però che, sotto tale profilo, nel processo d’appello l’amministrazione aveva addotto solo considerazioni di carattere generale, senza entrare in quelle di merito esposte dal giudice e senza citare l’articolo 38. E secondo l’Agenzia, l’ufficio aveva perso, in sostanza, solo per essersi dimenticato di citare le leggi giuste. Va anche chiarito che l’articolo 38 del, Tuir, invocato dall’Agenzia come il solo idoneo a modificare un classamento, di fatto è inapplicabile, stante eh e la rendita catastale riferita al biennio ‘88-89, in assenza di errori, non è mai superiore alla redditività degli immobili che, rilevata all’attualità, deve comunque essere riportata all’epoca censuaria predetta, attraverso i coefficienti Istat. E per il contribuente la strada del ricorso sarà sempre meno percorribile se la difesa dell’Agenzia non farà errori nel giudizio di merito. «Il Sole 24Ore»
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FABBRICATI NON DICHIARATI La recente normativa finalizzata al completo censimento dei fabbricati ha stabilito, tra l’altro, che l’Agenzia del Territorio, anche sulla base delle informazioni fornite dall’Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA), proceda all’individuazione dei fabbricati non dichiarati in Catasto richiedendo “ai titolari di diritti reali la presentazione degli atti di aggiornamento catastale redatti ai sensi del regolamento di cui al decreto del Ministro delle finanze 19 aprile 1994, n. 701”, La suddetta normativa prevede, in particolare, che l’Agenzia pubblichi nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, un comunicato con l’elenco dei Comuni nei quali è stata accertata la presenza di fabbricati o di ampliamenti di costruzioni che non risultano dichiarati in catasto. Si specifica che l’identificazione dei fabbricati è avvenuta attraverso un’attività di foto-identificazione da immagini territoriali, condotta in collaborazione con AGEA, e successivi processi “automatici” di incrocio con le banche-dati catastali. Trattandosi di elaborazioni massive è possibile che si presentino delle incoerenze nei risultati delle verifiche, con inclusione, in qualche caso, di immobili già censiti in catasto. Tali incoerenze vanno segnalate inviando l’apposito modulo di segnalazione. Le liste delle particelle di terreno sulle quali risultano fabbricati non dichiarati in catasto sono consultabili: • su questo sito internet attraverso un apposito sistema per la ricerca dei fabbricati non dichiarati; • presso la sede di ciascun Comune interessato; • presso le sedi degli Uffici provinciali dell’Agenzia del Territorio territorialmente competenti sui Comuni interessati. Quali informazioni occorrono per effettuare la ricerca? Quali sono gli adempimenti richiesti? Cosa avviene in caso di mancato adempimento? Vantaggi dell’adempimento spontaneo anche dopo la scadenza dei termini. Particolari situazioni che non comportano adempimenti di parte. Segnalare eventuali incoerenze riscontrate: modello autotutela. ormativa di riferimento e proroga dei termini. Ricerca dei fabbricati non dichiarati in catasto: informazioni necessarie Per consultare su questo sito internet le liste delle particelle sulle quali risultano fabbricati non dichiarati è necessario accedere all’apposita pagina per la ricerca e indicare: • la Provincia di interesse; • il Comune catastale. Una volta impostata e avviata la ricerca si ottiene l’elenco di tutte le particelle del Comune che rientrano nella situazione indicata. È possibile limitare il numero dei risultati della ricerca indicando anche i dati censuari quali foglio, sezione, numero e denominatore (dati non obbligatori da fornire). Per stampare i risultati utilizzare la funzione di stampa del proprio browser. Adempimenti di parte richiesti I soggetti titolari di diritti reali sulle particelle iscritte al
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Catasto terreni presenti nelle liste pubblicate devono provvedere a dichiarare i fabbricati presenti su esse al Catasto Edilizio Urbano entro sette mesi dalla data di pubblicazione del comunicato nella G.U. riportala in corrispondenza della particella interessata. Si precisa, infatti, che a seguito di cambiamenti nello stato di terreni, avvenuti per edificazione di una stabile costruzione da considerarsi immobile urbano i possessori dell’immobile hanno l’obbligo di presentare denuncia di edificazione di nuova costruzione urbana in catasto. La denuncia deve essere predisposta a firma di un tecnico abilitato alla redazione degli elaborati tecnici occorrenti. Il mancato adempimento Qualora i soggetti interessati non presentino le dichiarazioni al catasto edilizio urbano entro la scadenza prevista, gli Uffici Provinciali dell’Agenzia del Territorio provvedono, in surroga del soggetto obbligato inadempiente e con oneri a carico dello stesso, all’accatastamento attraverso la predisposizione delle dichiarazioni redatte ai sensi del regolamento di cui al decreto del Ministro delle Finanze 19 aprile 1994, n. 701 e a notificare i relativi esiti. Vantaggi dell’adempimento spontaneo anche dopo la scadenza dei termini È possibile provvedere all’iscrizione in catasto dei fabbricati che risultano non dichiarati anche una volta scaduti i 7 mesi (a decorrere dalla data di pubblicazione in G.U. del comunicato con l’elenco nel quale è indicata la particella di terreno in cui ricade il proprio fabbricato) concessi dalla normativa per provvedere all’adempimento spontaneo. I soggetti che, scaduti i termini, si attivino per mettersi in regola, dovranno informare l’Agenzia (inviando una comunicazione formale all’indirizzo dell’Ufficio Provinciale) competente, specificando che si è già provveduto ad incaricare un tecnico abilitato all’iscrizione in catasto. Ciò al fine di evitare che, nel frattempo, gli Uffici Provinciali dell’Agenzia provvedano all’accatastamento in surroga dei soggetti obbligati ancora inadempienti dopo la scadenza dei termini, come previsto dalla normativa. Mettersi in regola spontaneamente conviene anche dopo la decorrenza dei 7 mesi. Si evita, infatti, la maggiorazioni dei costi per l’inasprimento delle sanzioni dovute all’attività di regolarizzazione d’ufficio da parte dell’Agenzia. Particolari situazioni che non comportano adempimenti di parte I soggetti titolari di diritti reali sui terreni nei quali risultano presenti fabbricati o ampliamenti di costruzioni non dichiarati in Catasto non sono tenuti ad alcun adempimento nei casi in cui: • il fabbricato/ampliamento sia già censito al catasto edilizio urbano; • l’accatastamento dell’immobile sia avvenuto successivamente alla pubblicazione del comunicato in G.U.; • il fabbricato fotoidentificato è stato demolito; • la tipologia di fabbricato non richieda accatastamento; • non esista alcun fabbricato sul terreno indicato.
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n. 3-4/2008 In questi casi è, comunque, opportuno inviare una specifica segnalazione, che può essere compilata secondo il modello scaricabile dal sito, all’Ufficio provinciale competente dell’Agenzia del Territorio (anche attraverso il servizio postale). Il “modello di segnalazione anomalie” è disponibile altresì presso l’Ufficio Provinciale competente dell’Agenzia del Territorio e presso il Comune di competenza. Gli indirizzi completi degli Uffici Provinciali sono disponibili su questo sito internet. Con lo stesso modello possono essere fornite eventuali ulteriori informazioni utili all’attività degli Uffici. ormativa di riferimento e proroga dei termini • Legge n. 31 del 28 febbraio 2008 - Conversione in legge, con modificazioni, del d.l. n. 248 del 2007 “Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria”. Con le modi fiche all’articolo 26 bis viene prorogata con la scadenza prevista per l’adempimento spontaneo. Non più 90 giorni ma sette mesi di tempo a partire dalla data di pubblicazione dei comunicati nella G.U. Dopo l’articolo 26 è inserito il seguente: «Art. 26-bis. - (Proroghe in materia di presentazione degli atti di aggiornamento catastale). All’articolo 2, comma 36, terzo periodo, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, n. 286, e successive modificazioni, le parole: “novanta giorni” sono sostituite dalle seguenti: “sette mesi”. All’articolo 2, comma 38, primo periodo, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n, 262, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, n. 286, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni: le parole: “30 novembre 2007” sono sostituite dalle seguenti: “31 ottobre 2008”; sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: “fermo restando che gli effetti fiscali decorrono dal 1° gennaio 2007”. 3. Le modifiche apportate dal comma 2 non danno luogo ad alcun diritto al rimborso di somme eventualmente già riscosse a titolo di sanzione». • Decreto legge n, 262 del 3 ottobre 2006 - comma 36 art. 2 - convertito con modificazioni dalla legge 24 novembre 2006, n. 286, come sostituito dal comma 339 dell’articolo 1 della legge del 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007) • D.M. 2 gennaio 1998 n. 28, articolo 3 del Regolamento recante norme in tema di costituzione del catasto dei fabbricati e modalità di produzione ed adeguamento della nuova cartografia catastale: 1. Art. 3. - Immobili oggetto di censimento. 1. Costituiscono oggetto dell’inventario tutte le unità immobiliari, come definite all’articolo 2. 2. Ai soli fini della identificazione, ai sensi dell’articolo 4, possono formare oggetto di iscrizione in catasto, senza attribuzione di rendita catastale, ma con descrizione dei caratteri specifici e della destinazione d’uso,
Catasto e topografia i seguenti immobili: 1. fabbricati o loro porzioni in corso di costruzione o di definizione; 2. costruzioni inidonee ad utilizzazioni produttive di reddito, a causa dell’accentuato livello di degrado; 3. lastrici solari; 4. aree urbane. 3. A meno di una ordinaria autonoma suscettibilità reddituale, non costituiscono oggetto di inventariazione i seguenti immobili: 1. manufatti con superficie coperta inferiore a 8 m2; 2. serre adibite alla coltivazione e protezione delle piante sul suolo naturale; 3. vasche per l’acquacoltura o di accumulo per l’irrigazione dei terreni; 4. manufatti isolati privi di copertura; 5. tettoie, porcili, pollai, casotti, concimaie, pozzi e simili, di altezza utile inferiore a 1,80 m, purché di volumetria inferiore a 150 m3; 6. manufatti precari, privi di fondazione, non stabilmente infissi al suolo. 4. Le opere di cui al comma 3, lettere a) ed e), nonché quelle di cui alla lettera c) rivestite con paramento murario, qualora accessori a servizio di una o più unità immobiliari ordinarie, sono oggetto di iscrizione in catasto contestualmente alle predette unità. Si riporta a seguire l’elenco dei comunicati dell’Agenzia del Territorio pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana: • Comunicato “Pubblicazione dell’elenco dei comuni nei quali è stata accertata la presenza di fabbricati non dichiarati in catasto”, Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 10 agosto 2007. • Comunicato “Pubblicazione dell’elenco dei comuni nei quali è stata accertata la presenza di fabbricati non dichiarati in catasto”, Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 26 ottobre 2007 • Comunicato “Pubblicazione dell’elenco dei comuni nei quali è stata accertata la presenza di fabbricati non dichiarati in catasto”, Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 7 dicembre 2007 • “Pubblicazione dell’elenco dei comuni nei quali è stata accertata la presenza di fabbricati non dichiarati in catasto”, Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 28 dicembre 2007 • Avviso di rettifica dell’elenco dei comuni nei quali è stata accertata la presenza di fabbricati non dichiarati in catasto pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 28 dicembre 2007, Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 19 gennaio 2008 «sito www.agenziaterritorio.it»
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PROGETTAZIONE A FIRMA CONGIUNTA Repubblica Italiana In nome del Popolo Italiano Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche (Sezione Prima) ha pronunciato la presente Sentenza sul ricorso n. 684 del 1990 proposto dall’Ordine degli Ingeneri di xyz, in persona del Presidente e legale rappresentante, Ing. xyz, rappresentato e difeso dall’vv. xyz ed elettivamente domiciliati in xyz, presso l’Ordine degli Ingegneri di xyz; contro il Comune di xyz, in persona del Sindaco pro-tempore, non costituito in giudizio; nei confronti di xyz e xyz, non costituiti in giudizio; Geom. xyz, rappresentato e difeso dall’avv. xyz, presso il cui studio è elettivamente domiciliato in xyz, xyz; per l’annullamento della concessione edilizia 6.4.1990. n. 78, rilasciata dal Sindaco di xyz a xyz per la costruzione di un edificio industriale. Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l’atto di costituzione in giudizio e la memoria difensiva del Geom. xyz; Visti gli atti tutti della causa; Relatore, alla pubblica udienza del 20 febbraio 2008, il Cons. xyz ed udito l’avv, xyz per il Geom. xyz, nessuno comparso per l’Ordine ricorrente; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue: Fatto e Diritto I.- Il 6.4.1990 il Sindaco di xyz ha rilasciato al sig. xyz la concessione edilizia n. 78 per la costruzione di un edificio industriale in località Quazzetti, su progetto redatto sia dal Geom. xyz, indicato anche come direttore dei lavori, sia dall’ing. xyz, indicato quale progettista e direttore delle opere in conglomerato cementizio. La concessione edilizia è stata impugnata dall’Ordine degli Ingegneri di xyz con il ricorso in epigrafe indicato, notificato il 2.6.1990 e depositato 12 successivo, deducendosene l’illegittimità per violazione delle norme che disciplinano la competenza professionale dei geometri, in quanto la progettazione dell’opera assentita, per la sua consistenza, destinazione, ubicazione in zona sismica ed impiego di strutture in cemento armato, è da annoverarsi tra quelle riservate alla competenza professionale degli ingegneri. Nelle more del deposito del ricorso, il titolare della concessione, con nota inviata al Comune di xyz il 21.6.1990 e con riferimento a quanto già comunicato il 27.4.1990 nella denuncia depositata presso il Servizio regionale decentrato oo.pp. di xyz (ex Genio civile) ai sensi dell’art. 17 della legge n. 64/1974, ha però, indicato il Geom. xyz come progettista e direttore dei lavori non strutturali, l’ing. xyz come progettista delle strutture prefabbricate, l’ing. xyz come progettista del tegolo prefabbricato “Ondal“, l’ing.xyz come progettista e
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direttore dei lavori delle strutture in opera, ring, xyz come direttore delle strutture prefabbricate, l’Arch. xyz come direttore di montaggio delle strutture prefabbricate ed il Geom. xyz come capo cantiere delle strutture prefabbricate. Il 23.7.1990 si è costituito in giudizio il Geom. xyz, il cui difensore ha depositato il 18.1.2008 la sua dichiarazione dell’11.4.1991 in merito all’attività professionale effettivamente svolta (rilievi e pratiche catastali, stesura grafica del progetto sulla base delle bozze dell’Ing. xyz, progettazione sistemazione area di pertinenza, compilazione ed inoltro pratica edilizia, rapporti con il cliente e con la società fornitrice dei prefabbricati, operazioni topografiche di cantiere, misura e contabilità dei lavori) nonché copia della relazione di collaudo dell’Ing. xyz, depositata il 9.8.1991 presso il Servizio regionale decentrato oo.pp. di xyz: con memoria depositata l’8.2.2008 ha, quindi, replicato ai dedotti gravami, chiedendo che il ricorso sia respinto in quanto infondato. Le altre parti intimate non si sono costituite in giudizio. II. -Tanto premesso, il Collegio considera il ricorso infondato perché, come risulta dagli atti sopra indicati, la progettazione e la realizzazione dell’edificio industriale assentito con l’impugnata concessione edilizia, non è imputabile unicamente - o comunque, in modo prevalente - al Geom. xyz, ma anche ad altri professionisti laureati, e, soprattutto, proprio per le opere in conglomerato cementizio, circostanza peraltro già evidente prima del rilascio della concessione stessa. Del resto, in materia di progettazione di opere private, deve ritenersi senz’altro consentito l’intervento di un ingegnere (o di un architetto) ad integrazione dei limiti della competenza dei geometri, dal momento che la finalità delle norme a disciplina delle competenze professionali degli ingegneri è quella di assicurare l’incolumità delle persone e ciò ben può ravvisarsi nei casi in cui essi provvedano ai calcoli statici delle strutture ed alla verifica della loro idoneità, anziché alla redazione integrale del progetto ed alla direzione altrettanto integrale dei relativi lavori. Il ricorso va, dunque, respinto. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate nell’importo in dispositivo indicato. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale delle Marche respinge il ricorso in epigrafe indicato. Condanna il ricorrente Ordine degli Ingegneri della Provincia di xyz al pagamento della somma di Euro 1.500,00 (millecinquecento/00) a favore del Geom. xyz per spese di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa. Così deciso in xyz, nella camera di consiglio del 20 febbraio 2008. L’Estensore Il Presidente Depositata in Segreteria il 13.3.2008 (art. 55, L. 27.4.1982, n. 186) Il Segretario
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IL VALORE DELLA NUDA PROPRIETÀ di Tarcisio Campana
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a piena proprietà di un immobile è suddivisa in due parti distinte: nuda proprietà ed usufrutto, ognuna delle quali può essere oggetto di distinti accordi contrattuali o valutazioni. Vendere la nuda proprietà della propria casa per assicurarsi un introito, mantenendo il godimento dell’abitazione. Oppure acquistare la nuda proprietà per concludere un buon investimento immobiliare di medio-lungo periodo con un esborso inferiore rispetto a quello per l’acquisto completo. Sono queste la due facce contrapposte che concorrono alla definizione del valore di un fabbricato e rappresentano il punto d’incontro tra le diverse esigenze dell’investitore rispetto a quelle del proprietario. Da qualche anno questa possibilità di vendita e di acquisto della sola nuda proprietà sta gradualmente prendendo piede anche in Italia. Sempre più spesso si concretizzano vendite che lasciano la disponibilità del bene all’usufruttuario. Come funziona il meccanismo della cessione della sola nuda proprietà dell’immobile? Esso si basa sul presupposto che la piena proprietà si suddivide, come dianzi accennato, in due parti distinte; nuda proprietà ed usufrutto, ognuna delle quali può essere oggetto di distinti accordi contrattuali. In sostanza, chi compra la nuda proprietà lascia l’immobile nella disponibilità di chi lo vende per tutta la vita (concedendo un diritto di usufrutto) in cambio di una riduzione del prezzo di vendita. L’operazione diventa un buon punto di incontro tra la esigenze di un investitore a medio-lungo termine e le persone di una certa età che possono, in tal modo, assicurarsi una certa somma di denaro per il resto della vita pur senza privarsi del godimento dell’immobile in cui vivono. La riunione tra l’usufrutto e la nuda proprietà avviene poi automaticamente alla scadenza del diritto che coincide con il decesso dell‘usufruttuario. In quel momento l’immobile passa nella completa disponibilità di chi
aveva acquistato la nuda proprietà con un trattamento fiscale molto favorevole per il proprietario della nuda proprietà, in quanto esso avviene senza necessità di atto notarile ma solo di una istanza catastale esente da tasse. Per calcolare il valore dell’usufrutto infatti si parte dal valore complessivo del bene, moltiplicato per il tasso legale (ora pari al 3%) e per un coefficiente variabile in relazione all’età del soggetto cui è riservato l’usufrutto. Più cresce l’età dell’usufruttuario più diminuisce il valore dell’usufrutto e conseguentemente aumenta il valore della nuda proprietà, come bene si evidenzia dall‘esempio e dalle due tabelle allegate.
Si deve considerare che questo tipo di vendita concede all’acquirente della nuda proprietà di godere degli sconti previsti per l’acquisto “prima casa”. Come avviene la ripartizione delle spese di gestione dell’immobile in caso di vendita della sola nuda proprietà? Restano a carico dell’usufruttuario (che ha l’obbligo di mantenerlo con diligenza senza danneggiarlo o modificarlo) l’Irpef, l’Ici relative all’immobile stesso nonché le spese di manutenzione ordinaria, mentre restano a carico del nudo proprietario le sole spese di manutenzione straordinaria. All’usufruttuario resta inoltre il diritto di concedere in locazione l’immobile ed in tal caso può capitare che il nudo proprietario diventi, alla conclusione dell’usufrutto, pieno proprietario di un immobile occupato regolarmente da un altro soggetto non però usufruttuario. Per evitare di trovarsi in questa situazione l’acquirente della nuda proprietà può concordare con il venditore usufruttuario al momento dell’acquisto un diritto di prelazione a suo favore nel caso in cui l’usufruttuario intenda dare in affitto l’immobile. «Il geometra bresciano»
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VALORE DI RICOSTRUZIONE DEI FABBRICATI, CONTRATTI ASSICURATIVI E STIMA di Bruno Russo
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a stima teorica del valore di ricostruzione a nuovo dei fabbricati in riferimento ai contratti assicurativi: il concetto assicurativo e la metodologia di stima.
Concetto assicurativo Le clausole della polizza incendio - globale fabbricati - prevedono che, in caso di sinistro, l’assicurato riceva un indennizzo1 determinato sulla base del valore che la cosa danneggiata aveva al momento del sinistro. Questo principio è sancito dall’art. 1908 cod. civ. Il diritto all’intero indennizzo si ha solo nel caso in cui la somma assicurata (SA) per il fabbricato è pari o maggiore al valore di ricostruzione a nuovo (VRN)2, stimato al momento del sinistro (VRN <=> SA). Se la somma assicurata è inferiore viene applicata la “regola proporzionale”, di cui all’art. 1907 cod. civ., detraendo dall’importo del danno reale (DR) la percentuale di scopertura, ovvero: (SA) x DR = indennizzo (al lordo delle eventuali franchigie) (VRN) Anche con le diverse clausole, che si possono riscontrare nelle polizze di assicurazione globale fabbricati esistenti sul mercato, il valore di ricostruzione a nuovo rimane un “dato di riferimento”, necessario e indispensabile: al momento della stipulazione della polizza (SA) per gli aggiornamenti periodici della stessa e, al momento del sinistro, per la verifica di copertura. Questo “riferimento”, infatti, coinvolge l’attività di intermediazione assicurativa, alla quale il Codice delle assicurazioni e il suo regolamento indica delle regole comportamentali, basate sull’analisi dei bisogni, affinché la copertura offerta sia adeguata alle esigenze dell’assicurato. La Direttiva, anticipata dalla Circolare ISVAP 533/d, in vigore dal 1° ottobre 2004, impone per i soggetti iscritti al relativo registro - degli obblighi di professionalità, correttezza, trasparenza e diligenza, verso gli assicurati. È quindi importante che l’aggiornamento delle somme assicurate al valore di ricostruzione a nuovo del fabbricato non sia lasciato alla frequente e gratuita “discrezionalità” dell’assicurato o dell’intermediario, ma ricercato in conformità a valutazioni effettuate da esperti del settore, per evitare spiacevoli situazioni che si concretizzano, purtroppo, all’atto del sinistro. La metodologia di stima Con la finalità di individuare un congruo importo monetario di questo “dato di riferimento”, la presente metodologia è stata elaborata con la consapevolezza di compiere un’indagine estimativa “teorica” che, in relazione al concetto assicurativo succitato, sia riferita all’ipotesi di ricostruire idealmente la “copia” di un immobile già esistente. Pertanto, a tale “esistenza” debbono essere riferite tutte le condizioni che, in quel momento, possono influire. La metodologia si basa sui costi unitari a
metro cubo, che possono essere considerati certi, esposti nel Prezzario regionale opere edili, edito dalla Unione Regionale di Camere di Commercio della Liguria, che ogni anno ne indica la media regionale, per le volumetrie abitabili e per quelle non abitabili (negozi, magazzini, box ecc.), riferiti alla costruzione ex novo, edificato con tecniche attuali, di un edificio civile, di tipo medio, di circa 10.000 metri cubi, con accessi carrabili al cantiere, idonei ad automezzi pesanti. Questi costi unitari sono ricavati da attente indagini e analisi effettuate da competenti commissioni di studio che individuano, periodicamente, le “percentuali d’incidenza” dei costi materiali e noli e della manodopera. Quest’ultima ha delle sensibili “variabili” tra le province della stessa regione, per il rinnovo (semestrale) dei contratti. È impostata sul concetto fondamentale che il costo unitario di un “metro cubo” di fabbricato è costituito dal costo dei materiali e dal costo di manodopera. Rilevando l’importo monetario di costo a metro cubo delle volumetrie abitabili e di quelle non abitabili e le relative percentuali d’incidenza della manodopera, riferite alla media regione Liguria del costo della squadra tipo, Costo della squadra tipo per l’edilizia ore 1 di un operaio specializzato + ore 2 di un operaio qualificato + ore 3 di operaio comune, ovvero la sommatoria dei costi orari, aumentata dell’1,265 per spese generali e utile d’impresa è possibile individuare - al momento della stima - gli importi monetari del costo base in euro/mc dei materiali e noli (euro/mc MTN) e della manodopera (€/mc MOP) ovvero: Imp-mo costo base €/mc = (€/mc MT) + (€/mc MOP) L’importo monetario a mc delle volumetrie abitabili = (Imp/m-Ab-€/mc) la percentuale d’incidenza della manodopera (% MOP-Ab) detraendo dal costo unitario la percentuale della MOP si ottiene: il costo a mc dei materiali e noli = (Imp/m-Ab-MAT-€/mc), quindi il costo a mc della manodopera = (Imp/m-Ab-MOP€/mc)
L’importo monetario a mc delle volumetrie non abitabili = (Imp/m-No-ab-€/mc) la percentuale d’incidenza della manodopera (% MOP-No-ab) detraendo dal costo unitario la percentuale della MOP si ottiene: il costo a mc dei materiali e noli = (Imp/m-No-ab-MAT€/mc), quindi il costo a mc della manodopera = (Imp/m-Noab-MOP-€/mc )
1. L’indennizzo consiste nell’importo monetario del danno reale al netto delle eventuali detrazioni per proporzionali, franchigie, massimali e limiti al risarcimento, contrattualmente esposti in polizza. 2. Il valore a nuovo del fabbricato si ottiene stimando i costi necessari per l’integrale ricostruzione a nuovo di tutto il fabbricato medesimo, escludendo solo il valore dell’area.
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n. 3-4/2008 Per aggiornare questi “costi base” e riferirli a tutti i “mercati di produzione edilizia” siti nel territorio nazionale, è necessario recepire, da quanto pubblicato dalle Camere di Commercio, Osservatorio costi M.O., ANCE, Magistrato delle acque, Provv. OO.PP (e altri enti preposti), il variare dei costi orari della manodopera e computare - per ogni provincia - il costo della squadra tipo. Tenendo presente che il costo medio a metro cubo dei materiali e noli è stato individuato dal succitato Prezzario eseguendo analisi e medie di prezzi e trasporti a livello nazionale, possono essere considerati invariabili per tutte le province. Per contro, il costo della manodopera si diversifica sensibilmente. La presente metodologia, dunque, consente l’elaborazione di una procedura di stima teorica, in grado di individuare e attualizzare periodicamente i “costi base unitari” a metro cubo di tutti i “mercati di produzione edilizia” d’ogni provincia. Come anzidetto, la procedura di stima si riferisce ai costi base unitari a metro cubo, certi e verificati, di un fabbricato di tipo civile medio, con una determinata volumetria. Pertanto, gli stessi possono diversificarsi, caso per caso, in funzione: - del tipo della struttura portante; - della tipologia edilizia, ovvero: economica, civile-media, o signorile; - dell’entità volumetrica e del numero dei piani del fabbricato in esame; - della sua destinazione d’uso: residenziale, commerciale,
Competenze e professione alberghiera, direzionale, oppure industriale e/o agricola; - della giacitura altimetrica e dell’ubicazione rispetto alla viabilità e agli accessi carrabili ecc. È quindi necessario, seguendo i criteri dell’estimo civile, elaborare e computare successivamente tutte le variabili da applicare, caso per caso, alle costruzioni che s’intende prendere in esame. Con la sola esclusione per le costruzioni edilizie: per le costruzioni civili industriali/agricole infatti, che hanno singolari e particolari caratteristiche volumetriche, architettoniche e strutturali, la presente metodologia consente di eseguire la stima teorica ricostruzione a nuovo aggiornata del più probabile valore di ricostruzione a nuovo, della quasi totalità dei fabbricati siti nel territorio nazionale. Il sistema matematico adottato può essere informatizzato, rendendo rapida l’elaborazione delle stime. I risultati possono essere considerati validi e ottimali e contenuti nei limiti delle percentuali di “tolleranza” esposte nelle polizze L’indagine estimativa, eseguita seguendo la logica e criteri dell’estimo, può garantire valide quantificazioni del VRN, individuando quei “riferimenti” che consentono all’intermediazione di ottemperare a quanto disposto dal Codice delle assicurazioni e dal suo regolamento. Può altresì guidare il perito nel “momento” della verifica del contratto assicurativo, che frequentemente solleva problematiche rimaste latenti per mancanza degli aggiornamenti della SA. «Consulente Immobiliare»
Veduta di Cosenza nell’Ottocento (da “La Calabria” - Editalia - Edizioni di Italia)
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ANCORA IN TEMA DI DISTANZE di Patrizia Pinciroli, Alessandro Colonna e Lorenzo egrini
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na recente sen tenza del Tribu nale di Lodi (1° settembre 2005), ha disposto la demolizione di un edificio plurifamiliare perché costruito in violazione delle distanze legali. Il provvedimento del Giudice dà occasione per ricordare le gravi conseguenze che possono derivare dall’inadempimento della normativa sul tema e le pesanti ripercussioni che vengono a porsi in capo al progettista e al direttore dei lavori, ogni qual volta venga trascurato questo aspetto. La disciplina delle distanze tra fabbricati o da questi rispetto al confine è tra quelle di primaria importanza per coloro che come geometri, ingegneri ed architetti - operano nel campo immobiliare.
re e non radiale, come avviene per le distanze rispetto alle vedute. Ciò trova conferma nella regola geometrica secondo la quale la distanza tra due rette o piani paralleli è la lunghezza del segmento perpendicolare che congiunge le rette (o i piani). Cfr. figura 2. Sono esclusi dal rispetto della distanza minima prevista
Distanze rispetto al confine La misurazione deve essere fatta perpendicolarmente al confine stesso (cfr. figura 1). La distanza risulta verificata allorquando lo spigolo più vicino al confine (distanza “a”) o la
dagli strumenti urbanistici (o dal Codice civile in mancanza di regolamentazione) i soli edifici completamente interrati. Una minima sporgenza rispetto al piano di campagna - senza eccezioni - obbliga il rispetto delle distanze regolamentari (Cassazione 4 ottobre 2005 n. 19350).
facciata del fabbricato (distanza “b”) - secondo i casi - rispetta la distanza minima prevista dagli strumenti urbanistici. In presenza di sporti - salvo il caso di elementi ornamentali di piccola entità - la verifica deve essere fatta da questi e non dal muro perimetrale (distanze “c“ e “d”). Salvo divieto previsto dagli strumenti urbanistici, è possibile ridurre la distanza del fabbricato dal confine con un atto di vincolo a condizione che venga rispettata la distanza prescritta tra edifici. Distanze tra edifici La distanza minima richiesta dal codice civile - (quando non sono costruiti in aderenza) è di 3 m (art.873), salvo una maggior distanza prevista dagli strumenti urbanistici. La Cassazione, con sentenza 25 giugno 1993 n. 7048, ha precisato che le distanze tra edifici si misurano in modo linea-
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Verifica tra pareti finestrate L’art. 9 del D.M. 2 aprile 1968 n. 1444 dispone una distanza minima, tra le facciate finestrate di edifici posti in zona urbanistica B, di 10 m. La distanza va rispettata anche quando una sola delle due facciate è dotata di finestre. Per la zona C fermo restando il limite dì 10 m - la distanza è commisurata all‘altezza del fabbricato più alto, qualora gli edifici si fronteggino per uno sviluppo superiore a 12 m (cfr. figura 3). La misurazione deve essere fatta perpendicolarmente alle
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Distanze tra vedute e fabbricati La distanza minima è di 3 m, sia per la veduta diretta che per quella laterale. La medesima distanza deve osservarsi anche in senso verticale (art. 907) e si misura in modo radiale (Cassazione 25giugno 1993 n. 7048). Cfr. figura 7. Distanze dei tubi dal confine
Verifica tra vedute e confine La distanza minima prescritta dal codice civile (salvo diversa prescrizione da parte degli strumenti urbanistici) è di 1,50 m per le vedute dirette (art. 905) e 0,75 per quelle laterali od oblique (art. 906). Si hanno vedute dirette quando sono parallele al confine o formano con questi un angolo acuto. La distanza deve essere misurata perpendicolarmente alla linea di confine, con riferimento al punto più vicino della veduta dal medesimo (cfr. figura 4), Si hanno vedute oblique quando formano, con il confine, un
La breve carrellata fatta nei paragrafi precedenti è ben lungi dall’esaurire l’ampia materia delle distanze. Si ritiene peraltro di sottolineare ancora un punto in tema di distanze, a volte trascurato e, come tale, fonte anch’esso di non poco contenzioso. Più precisamente, la distanza dei tubi dalla linea di confine, che deve essere di 1 metro, sia che scorrano in senso verticale piuttosto che orizzontale e indifferentemente dal fatto che servano al trasporto di sostanze liquide o gassose. La angolo retto oppure ottuso. La distanza deve essere misurata dal confine al più vicino lato della finestra o dal più vicino sporto (cfr. figura 5). Si hanno vedute-laterali quando il muro nel quale sono poste è il prolungamento del confine. La distan-
za deve essere misurata dal confine al più vicino lato della finestra o dello sporto (cfr. figura 6)
misura va fatta perpendicolarmente alla linea di confine e tra questa ed il punto più vicino del tubo (art. 889 codice civile). Cfr. figure 8 e 9 «Il geometra bresciano»
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“TUTTO SUL C.T.U.” di Paolo Frediani
L’albo dei consulenti tecnici e loro responsabilità
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consulenti tecnici di ufficio, per lo svolgimento degli incarichi, vengono scelti normalmente tra quelli iscritti negli appositi albi conservati presso ogni tribunale e rispondono a precise responsabilità. L’albo, regolamentato dalle disposizioni attuative del codice di procedura civile, è tenuto dal presidente del tribunale ed è costituito da un comitato presieduto dal medesimo e formato dal procuratore della Repubblica e da delegati degli ordini e collegi professionali. In questo contributo analizziamo la norma concernente l’albo dei consulenti nonché i profili di responsabilità disciplinare, penale e civile a cui sono assoggettati gli ausiliari giudiziari nelle diverse fattispecie e casistiche.
L’albo degli esperti e relative disposizioni. L’art. 13 disp. att. cod. proc. civ. stabilisce che presso ogni tribunale è istituito un albo dei consulenti tecnici. Art. 13 – Albo dei consulenti tecnici Presso ogni tribunale è istituito un albo dei consulenti tecnici. L’albo è diviso in categorie. L’albo è suddiviso, per lo meno, nelle seguenti categorie ancorché possa contenere ulteriori sottocategorie corrispondenti a diverse specializzazioni: - medico/chirurgica; - industriale; - commerciale; - agricola; - bancaria; - assicurativa. L’art. 14 disp. att. cod. proc. civ. statui sce che l’albo è tenuto dal presidente del tribunale ed è istituito da un comitato presieduto dal medesimo e formato dal procuratore della Repubblica e da un professionista, iscritto nell’albo professionale nominato dal consiglio dell’ordine o dal collegio della categoria a cui appartiene il richiedente l’iscrizione all’albo. Art. 14 - Formazione dell’albo L’albo è tenuto dal presidente del tribunale ed è formato da un comitato da lui presieduto e composto dal procuratore della Repubblica e da un professionista iscritto nell’albo professionale, designato dal consiglio dell’ordine o dal collegio della categoria a cui appartiene il richiedente l’iscrizione nell’albo dei consulenti tecnici. Il consiglio predetto ha facoltà di designare, quando lo ritenga opportuno, un professionista iscritto nell’albo di altro ordine o collegio previa comunicazione al consiglio che tiene l’albo a cui appartiene il professionista stesso. Quando trattasi di domande presentate da periti estimatori, la designazione è fatta dalla camera di commercio, industria e agricoltura. Il comitato, come riconosciuto dalla Su prema Corte di Cassazione, pur operando in ambito giurisdizionale, ha funzioni meramente amministrative (i comitati previsti dagli artt.
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14 e 15 disp. att. cod. proc. civ. hanno natura di organi ammini strativi e non giurisdizionali e, pertanto, avverso le loro deliberazioni non è proponibile il ricorso per Cassazione ex art. 111 Cost. - Cass., Sez. Unite, sent. n. 460 del 21 maggio 1998). È consentito ottenere l’iscrizione all’albo a tutti coloro che posseggono competen za tecnica in particolari materie, hanno una specchiata condotta morale e risultano iscritti nei rispettivi ordini e collegi professionali. Art. 15 - Iscrizione nell‘albo Possono ottenere l’iscrizione nell’albo coloro che sono forniti di speciale competenza tecnica in una determinata materia, sono di condotta morale specchiata e sono iscritti nelle rispettive associazioni professionali. essuno può essere iscritto in più di un albo. Sulle domande di iscrizione decide il comitato indicato nell’articolo precedente. Contro il provvedimento del comitato è ammesso reclamo entro 15 giorni dalla notificazione al comitato. Sui requisiti sanciti dalla norma è possibile individuare la volontà di riconoscere al consulente un ruolo di non secondaria importanza. In ordine alla competenza tecnica, da considerarsi “speciale”, deve non solo trovare spiegazione dal titolo di studio acquisito, dall’appartenenza a una categoria professionale o ancora dallo svol gimento di un’attività professionale, ma soprattutto dall’acquisizione di titoli, di specializzazione specifiche, da percorsi di formazione particolari, dall’aver svolto pubblicazioni o attività di insegna mento. È, nella sostanza, non sufficiente all’autorità giurisdizionale dimostrare il “poter fare” ma occorre esprimere il “sa per fare”, in quel determinato settore. Relativamente alla condotta morale, il riferimento della norma è da leggersi come generale condotta morale e quindi, in concreto, formano condizioni limitanti non solo i casi di condanne penali e civili, ma anche l’irrogazione di sanzioni di sciplinari e amministrative per fatti non inerenti l’incarico di CTU, ma che possono incidere sull’esercizio della professione o che comunque denotano, in chi le ha subite, spregio della legalità o mancanza di senso civico. È da precisare in ogni ca so che è precipuo compito del comitato, in ordine all’esito della domanda, valutare la situazione particolare in relazione alle singole circostanze. L’iscrizione nell’ordine professionale vale per quelle categorie professionali organizzate in ordini e collegi (architetti, ingegneri, commercialisti, geometri, pe riti industriali ecc.) non potendosi richiedere a coloro che non sono dotati di ordini e albi professionali evidentemente di farne parte. Nella specie, gli esperti vari debbono essere iscritti negli appositi elenchi conser vati presso la camera di commercio, industria, agricoltura e artigianato della provincia nella quale ricade la circoscrizione giudiziaria. In ogni caso, il soggetto qualificato in una materia ha diritto a essere iscritto all’albo dei consulenti tecnici (per esempio: grafologi, antiquari ecc.).
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n. 3-4/2008 Al consulente non è consentito essere iscritto a più di un albo; ne consegue che nell’ipotesi di un professionista residente in una circoscrizione giudiziaria con studio professionale in altra, questi deve operare una scelta in riferimento all’albo in cui iscriversi, non potendosi iscrivere all’albo di entrambi i tribunali. Per richiedere l’iscrizione è necessario presentare domanda al presidente del tribunale corredata da alcuni documenti che, a titolo esemplificativo, sono: - estratto dell’atto di nascita; - certificato generale del casellario giudiziario; - certificato di residenza; - certificato di iscrizione all’ordine; - titoli e/o documenti che il richiedente intende esibire per dimostrare la sua competenza nella materia. Alcuni di questi, tuttavia, sono stati superati dalla normativa in materia di au tocertificazione (D.P.R. 445 del 28 di cembre 2000, “Testo unico delle disposi zioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa”) anche se alcune cancellerie ne continuano a richiedere la produzione. L’art. 18 disp. att. cod. proc. civ. stabili sce che l’albo è permanente. Alla sua re visione si provvede ogni 4 anni in funzione di cancellare i soggetti che abbiano perduto i requisiti previsti dalla norma o per inserire i nuovi iscritti, anche se la pratica esperienza ci indica come tale arco temporale sia nella generalità pressoché inattuato. Art. 18 - Revisione dell’albo L’albo è permanente. Ogni 4 anni il comitato di cui all’art. 14 deve provvedere alla revisione dell’albo per eliminare i consulenti per i quali è venuto meno alcuno dei requisiti previsti nell’art. 15 o è sorto un impedimento a esercitare l’ufficio. Le responsabilità. Sui consulenti tecnici e periti nell’adempimento delle proprie funzioni incombono tre fattispecie di responsabilità: la responsabilità disciplinare, la responsabilità penale e la responsabilità civile. La responsabilità disciplinare L’attività dei consulenti tecnici e periti è soggetta alla vigilanza esercitata dal presidente del tribunale sui seguenti aspetti: - non aver tenuto una “condotta morale specchiata”; - non aver ottemperato agli obblighi derivanti dagli incarichi ricevuti. Nella prima fattispecie, come già accen nato, rientrano i casi di condanne penali, civili nonché l’irrogazione di sanzioni disciplinari e amministrative per fatti non inerenti l’incarico di CTU, ma che possono incidere sull’esercizio della professione o che comunque denotano in chi le ha subite spregio della legalità o mancanza di senso civico. La seconda fattispecie riguarda, invece, la condotta del consulente successiva all‘incarico conferito dal giudice, come per esempio: - rifiuto ingiustificato di prestare il proprio ufficio; - mancata comparizione all’udienza per il giuramento senza giustificato motivo; - mancato deposito della relazione nel termine assegnato, senza giustificato motivo;
Competenze e professione - mancato avviso alle parti dell’inizio delle operazioni peritali, aggravato dalla necessità dei rinnovo della consulenza; - negligenza o imperizia nell’espletamento dell’incarico. La parte o il giudice della causa possono presentare istanza motivata al presidente del tribunale; lo stesso d’ufficio, o su istanza del procuratore della Repubblica o del presidente dell’ordine professiona le di appartenenza, può promuovere procedimento disciplinare per il quale è competente la stessa commissione formante gli albi. Art. 19 – Disciplina La vigilanza sui consulenti tecnici è esercitata dal presidente del tribunale, il quale d’ufficio o su istanza del procuratore della Repubblica o del presidente dell’associazione professionale può promuovere procedimento disciplinare contro i consulenti che non hanno tenuto una condotta morale specchiata o non hanno ottemperato agli obblighi derivanti dagli incarichi ricevuti. Le sanzioni disciplinari (art. 20) che possono essere comminate ai consulenti si distinguono in: - avvertimento; - sospensione dall’albo per un tempo non superiore a un anno; - cancellazione dall’albo. Prima di promuovere il procedimento di sciplinare (art. 21) a carico del consulente, il presidente del tribunale comunica formalmente al medesimo ausiliario quanto contestato per riceverne relazione scritta e, nel caso che questa non risolva la questione, procede alla convocazione del soggetto dinnanzi al comitato discipli nare, fase alla quale segue la decisione. Avverso al provvedimento può essere proposto reclamo entro 15 giorni dalla notifica, ricorso sul quale decide una commissione della Corte di appello nel cui distretto ha sede il comitato, composta dal procuratore generale della Repubblica presso la Corte medesima, dal presidente dell’ordine forense e dal presidente dell’ordine professionale a cui l’interessato appartiene. La responsabilità penale I profili di responsabilità penale del CTU sono regolati dagli artt. 64 cod. proc. civ., 314 e segg., 366, 373 e segg. cod. pen. L’esperto, in quanto ausiliario del giudice, riveste la qualifica di pubblico ufficiale ai sensi dell’art. 357 cod. pen. Al CTU si applicano le fattispecie di rea to collegate a questa peculiare qualifica (per esempio: peculato, concussione, corruzione, abuso d’ufficio) e la fattispecie criminosa che viene considerata in questi casi è quella prevista dall’art. 366 cod. pen. (rifiuto di uffici legalmente dovuti), specificamente riferita agli ausiliari del giudice. Una pratica esemplificazione, riportata nel riquadro 1, può rendere più chiare le fattispecie a cui ci si riferisce. La responsabilità civile Si tratta della responsabilità che obbliga il CTU a risarcire i danni arrecati alle parti a causa della propria condotta re golata dall’art. 64 cod. proc. civ. e dagli artt. 1218, 1176, 2043 e segg. cod. civ. La natura della responsabilità, ancorché vi sia una diversa lettura delle norme, dà la prevalenza
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Riquadro 1 - Fattispecie di reato Il CTU che non si presenta all’udienza per assumere l’incarico e prestare il giuramento di rito oppure che fornisce false giustificazioni per essere sostituito - rifiuto di uffici legalmente dovuti (art. 366 cod. pen.): reclusione fino a 6 mesi oppure multa da 30,00 a 516,00 euro. La condanna importa l’interdizione dall’esercizio della professione (da 1 mese a 5 anni ex art. 30 cod. pen.). Il CTU che ritarda il deposito della relazione pur reiteratamente sollecitato dalla cancelleria, senza addurre alcuna valida giustificazione; oppure, più in generale, si rifiuta di adempiere all’incarico assunto o di compiere qualcuno degli atti inerenti al suo ufficio senza giustificato motivo omissione di atti d’ufficio (art. 328 cod. pen.): reclusione fino a 1 anno o multa fino a 1.032,00 euro. Il CTU che fornisce un parere falso o afferma l’esistenza di fatti non veri - falsa perizia (art. 373 cod. pen.) cosiddetto reato di evento (sussiste solo se la falsità ha determinato una condanna nei confronti della parte che subisce la falsità) e occorre poi la consapevolezza del falso da parte del CTU ovvero i cosiddetti delitti dolosi: reclusione da 2 a 6 anni. La condanna comporta l’interdizione dall’esercizio della professione (da 1 mese a 5 anni ex art. 30 cod. pen.). Il CTU che modifica artificiosamente lo stato dei luoghi o delle cose su cui si deve svolgere la consulenza - frode processuale (art. 374 cod. pen.) il cosiddetto reato di mero pericolo (sussiste ancorché la frode non abbia portato a una sentenza di condanna della parte contro la quale ha agito il CTU): reclusione da 6 mesi a 3 anni. Casi di colpa grave Questi sono regolati dall’art. 64, cod. proc. civ. “Si applicano al consulente tecnico le disposizioni del codice penale relative ai periti. In ogni caso, il consulente che incorre in colpa grave nell’esecuzione degli atti che gli sono richiesti è punito con l’arresto fino a un anno o con l’ammenda fino a € 10.329,00. Si applica l’art. 35 del c.p. In ogni caso è dovuto il risarcimento dei danni causati alle parti”. I casi ricorrenti possono essere i seguenti. II CTU che non avvisa della data di inizio delle operazioni peritali ed esegue una consulenza poi annullata su istanza di parte. Il CTU che redige una relazione palesemente incompleta - e quindi inutile - che impone la rinnovazione della consulenza. Il CTU che redige una relazione viziata da grossolani errori materiali e di concetto che viene a costituire il presupposto della decisione del magistrato (può essere, per esempio, una conseguenza dell’aver assunto l’incarico senza avere l’adeguata specializzazione nel settore oggetto della consulenza richiesta). Il CTU che omette di eseguire accertamenti irripetibili. Il CTU che smarrisce documenti originali e non più riproducibili contenuti nei fascicoli di parte - specifica previsione di cui all’art. 64, comma 2, cod. proc. civ. (come modificato dalla legge 281 del 4 giugno 1985) peculiarità della “nuova” fattispecie: arresto fino a 1 anno oppure ammenda fino a 10.329,00 euro oltre alla pena accessoria della sospensione dall’esercizio della professione da 15 giorni a 2 anni (art. 35 cod. pen.).
alla responsabilità di natu ra extracontrattuale (artt. 2043 e segg. cod. civ.). Nel riquadro 2 si possono riconoscere al cuni esempi di condotte colpose che so no suscettibili di arrecare un danno alle parti del processo. Alcune fattispecie di danno conseguenti alla condotta del consulente tecnico di ufficio possono rilevarsi per: - eccessiva durata del processo; - soccombenza di una delle parti (in questi casi non è agevole
per il danneggiato dimostrare il nesso causale tra l’esito della CTU e la sentenza sfavorevole); - spese sostenute da una parte per ottemperare a un provvedimento del giudice basato su una consulenza rivelatasi errata; - spese sostenute da una parte per dimostrare l’erroneità delle conclusioni a cui perviene la consulenza; - corrispettivo percepito dal consulente per una prestazione rivelatasi inutile (in questi casi le parti possono legittimamente richiedere dal CTU il compenso percepito).
Riquadro 2 - Esempi di condotte colpose Il CTU che, seppur involontariamente, perde o distrugge la cosa controversa e i documenti affidatigli. Il CTU che omette di eseguire accertamenti irripetibili. Il CTU che senza giustificato motivo rifiuta o ritarda il deposito della relazione. Le ipotesi di sostituzione del CTU e di rinnovo della consulenza dovute a imperizia di quest’ultimo che rendono inutile l’attività espletata.
L’atto di nomina del consulente e suoi effetti
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l primo atto con il quale il consulente prende coscienza di dover svolgere un incarico per l’autorità giudiziaria è l’atto della nomina che viene formalizzato mediante un’ordinanza trasmessa al consulente prescelto attraverso notifica giudiziaria. Con la nomina possono presentarsi le fattispecie dell’astensione e della ricusazione che ricorrono per le analoghe motivazioni incombenti per il giudice. Nel presente contributo analizziamo questa fase.
omina. Il giudice ha, tra i suoi poteri, quello di nominare il consulente tecnico di ufficio. La nomina, che è un’attività istruttoria demandata al potere discrezionale del giudice, cui è rimessa la facoltà di valutarne la necessità, è utilizzabile per la soluzione di questioni relative a
fatti accertabili mediante il ricorso a cognizioni di ordine tecnico e comunque specialistico che non consentono un’espressione diretta da parte del magistrato. Art. 61 - Consulente tecnico: Quando è necessario il giudice può farsi assistere, per il compimento di singoli atti o per tutto il processo, da uno o più consulenti di particolare competenza tecnica. La scelta dei consulenti deve essere normalmente fatta tra le persone iscritte in albi speciali a norma delle disposizioni di attuazione al presente codice. Quindi, anche quando la nomina viene sollecitata dalle parti (come solitamente accade negli atti introduttivi del giudizio) rimane sottoposta alla valutazione discrezionale del giudice di merito che, nel provvedimento di ammissione, deve sinteticamente riferire le motivazioni che hanno ispirato il ricorso a tale mezzo istruttorio1.
1. Il giudice del merito, nell’esercizio del proprio potere discrezionale di accoglimento o rigetto, anche implicitamente, di un’istanza di consulenza tecnica avanzata da una delle parti del processo, è tenuto unicamente a evidenziare in sede di motivazione, nella propria decisione, l’esaustività delle altre prove acquisite o prodotte nel corso dell’istruttoria, ai fini della pronuncia definitiva della controversia (Cass., Sez. Lavoro, sent. n. 12418, 11 ottobre 2001).
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n. 3-4/2008 Il giudice opera la scelta dell’ausiliario normalmente attraverso l’albo dei consulenti tecnici conservato presso ogni tribunale anche se il potere discrezionale del giudice, supportato da consolidati pronunciamenti della Suprema Corte di Cassazione, è tale da poter praticare l’individuazione del soggetto prescelto anche tra quelli non iscritti negli albi di quel tribunale2 o addirittura in alcun albo3. In tali fattispecie è da negarsi la possibilità che possano sussistere ipotesi di nullità della consulenza, prevalendo il riconoscimento della facoltà discrezionale del magistrato nello scegliere il consulente più adatto e competente nella particolare materia. Vi è tuttavia da precisare che in tali casi la scelta deve essere accompagnata da un preventivo parere al presidente del tribunale con relativa motivazione della scelta, ancorché l’assenza di detto parere non invalida la nomina4. D’altra parte il consulente, o i consulenti prescelti, qualora le indagini e le valutazioni richiedano distinte conoscenze di differenti discipline, deve possedere non una qualsiasi e generica competenza tecnica ma una “particolare” competenza, cosicché la prevalenza non è nel riconoscere semplicemente il titolo di studio posseduto o l’iscrizione all’albo o collegio professionale ma quanto piuttosto l’esperienza, la formazione, la specializzazione nello specifico settore o ambito in cui si forma l’oggetto della controversia. Da ciò ne discende che, nel caso di una causa avente a oggetto problemi statici a un edificio, la scelta ricadrà non semplicemente su un ingegnere iscritto all’albo ma su un ingegnere che, iscritto all’albo, possegga specializzazione e competenza nei calcoli statici e verifiche strutturali. Da tale concetto ne consegue che la norma suggerisce per la scelta del consulente l’indirizzo del “saper fare” piuttosto che del “poter fare”. La nomina del consulente tecnico di ufficio è fatta dal giudice procedente ovvero il giudice di pace, il giudice monocratico nei procedimenti di cui è competente, il giudice istruttore nei relativi procedimenti di competenza in sede collegiale. La consulenza tecnica, nel rito ordinario, viene formalizzata a mezzo di ordinanza che contiene, in estrema sintesi: - il tribunale e l’ufficio del giudice procedente; - il ruolo del procedimento, il nome delle parti e i loro difensori; - il nome, cognome e recapito del consulente prescelto; - la data e l’ora di convocazione del consulente; - la data dell’ordinanza. L’ordinanza viene notificata a cura della cancelleria al consulente prescelto a mezzo di ufficiale giudiziario così come ai difensori delle parti. Astensione e ricusazione. Una particolare condizione di vincolo che discende dall’essere iscritti all’albo dei consulenti tecnici è quella di dover obbligatoriamente prestare il proprio ufficio, laddove, naturalmente, non sussistano motivi di astensione che vedremo appresso. Il consulente iscritto all’albo dei consulenti tecnici, infatti, in assenza di impedimenti stabiliti
Competenze e professione dalla norma, non può rifiutarsi di adempiere al mandato assegnato poiché con la presentazione della domanda egli ha preventivamente manifestato il proprio consenso a esercitare tali funzioni. Detto vincolo non incombe, invece, su coloro che non hanno presentato la suddetta domanda e non risultano iscritti negli albi speciali dei tribunale che quindi possono - senza dover necessariamente addurre particolari giustificazioni - rinunciare all’incarico.
Art. 63 - Obbligo di assumere l’incarico e ricusazione del consulente: Il consulente scelto tra gli iscritti in un albo ha l’obbligo di prestare il suo ufficio, tranne che il giudice riconosca che ricorre un giusto motivo di astensione. Il consulente può essere ricusato dalle parti per i motivi indicati nell’articolo 51. Della ricusazione del consulente conosce il giudice che l’ha nominato. In ogni caso, ancorché per gli iscritti all’albo non sussistano le condizioni dell’astensione ma vi siano oggettive problematiche nello svolgimento dell’incarico, tali da poter costituire ostacolo ovvero limitazione per lo stesso, è opportuno segnalare ciò al magistrato al quale prudente apprezzamento sono rimessi. I motivi di astensione dall’incarico ricevuto per il consulente tecnico di ufficio sono i medesimi del giudice: «Art. 51 - Astensione del giudice - Il giudice ha l’obbligo di astenersi: 1) Se ha interesse nella causa o in altra vertente su identica questione di diritto; 2) Se egli stesso o la moglie (ora il coniuge) è parente fino al quarto grado o legato da vincoli di affiliazione, o è convivente o commensale abituale di una delle parti o di alcuno dei difen-
2. Pur contrastando con il primo comma dell’art. 22 disp. att. cod. proc. civ, la nomina di professionista iscritto in albo di altro tribunale non integra alcuna ipotesi di nullità e non determina violazione del diritto di difesa (Cass., Sez. Lavoro, sent. n. 4714, 12 luglio 1983). 3. Il conferimento d’ufficio dell’incarico di consulente tecnico a un professionista non iscritto negli albi dei periti non spiega di per sé effetti invalidanti dato che l’art. 61, comma 2, cod. proc. civ. nel disporre che la scelta del consulente va fatta normalmente fra le persone iscritte nei suddetti Albi non esclude il potere discrezionale del giudice di avvalersi dell’ausilio di soggetti diversi (Corte Cost., sent. n. 149, 8 giugno 1983). 4. La norma contenuta nell’art. 22, comma 2, disp. att. cod. proc. civ., per cui il giudice istruttore che conferisce un incarico a un consulente tecnico iscritto in albo di altro tribunale, o a persona non iscritta in nessun albo, deve sentire il presidente del tribunale e indicare nel provvedimento i motivi della scelta, non ha carattere cogente, non essendo culminata nullità della sua inosservanza (Cass., Sez II., sent. n. 1054, 9 aprile 1971).
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Competenze e professione sori; 3) Se egli stesso o la moglie (ora il coniuge) ha causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito con una delle parti o alcuno dei suoi difensori; 4) Se ha dato consiglio o prestato patrocinio nella causa, o ha deposto in essa come testimone, oppure ne ha conosciuto come magistrato in altro grado del processo o come arbitro (810) o vi ha prestato assistenza come consulente tecnico; 5) Se è tutore, curatore, procuratore, agente o datore di lavoro di una delle parti; se, inoltre, è amministratore o gerente di un ente, di una associazione anche non riconosciuta, di un comitato, di una società, o stabilimento che ha interesse nella causa. In ogni altro caso in cui esistano gravi ragioni di convenienza, il giudice può richiedere al capo dell’ufficio l’autorizzazione ad astenersi; quando l’astensione riguarda il capo dell’ufficio, l’autorizzazione è chiesta al capo dell’ufficio superiore» . Il consulente che ritiene di non accettare l’incarico deve presentare opportuna e motivata istanza al giudice almeno 3 giorni prima dell’udienza di comparizione (riquadro 1). Un suggerimento per coloro che sono poco pratici in detti incarichi e che possono evitare perdite di tempo, ma soprattutto
n. 3-4/ 2008 evidenti imbarazzi in sede di udienza nel caso di ricorrenza dei motivi di astensione, è quello di leggere attentamente i nominativi delle parti contenute nella ordinanza di nomina in modo tale da verificare sin dal momento della notifica dell’atto di nomina la possibile ricorrenza dei presupposti di astensione. Tale verifica può, nel caso di dubbi, essere integrata con una semplice telefonata al difensore della parte o anche una verifica presso la cancelleria del tribunale stesso. Con le medesime motivazioni e ragioni dell’art. 51 cod. proc. civ., le parti possono proporre ricusazione nei confronti del consulente prescelto. Anche per l’istanza di ricusazione, come l’astensione del consulente, valgono i medesimi termini dei 3 giorni prima della udienza di conferimento d’incarico. Il termine è perentorio. Difatti, dopo tale termine non è più possibile proporre la ricusazione del consulente ma possono essere segnalati al giudice, al fine di una valutazione, a norma dell’art. 196 cod. proc. civ., le ragioni (di evidente gravità) che giustifichino un provvedimento di sostituzione del consulente stesso5. Anche l’eventuale anticipazione della semplice opinione del consulente tecnico prescelto non implica motivi di nullità della consulenza6.
5. I motivi di ricusazione del consulente tecnico conosciuti dalla parte dopo la scadenza del termine per proporre l’istanza di ricusazione prevista dall’art. 192 cod. proc. civ. o sopravvenuti al suindicato termine, non possono di per se stessi giustificare una pronuncia di nullità della relazione o di sostituzione del consulente, ma possono soltanto essere prospettati al giudice al fine di una valutazione, a norma dell’art. 196 cod. proc. civ. dell’esistenza di gravi ragioni che giustifichino un provvedimento di sostituzione; tale valutazione va compiuta in concreto con riferimento alla relazione del consulente e in quanto rientra nell’apprezzamento del giudice di merito, è insindacabile in Cassazione (Cass., Sez. Lavoro, sent. n. 2125, 26 marzo 1985). 6. L’anticipata manifestazione del parere del consulente, pur costituendo un’irregolarità, non dà luogo a nullità della consulenza, neppure nel caso in cui il consulente concluda in senso difforme dal parere originariamente espresso (Cass., Sez. III, sent. n. 3691, 16 dicembre 1971).
L’udienza di conferimento d’incarico
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’udienza di conferimento di incarico configura il vero e proprio inizio del mandato del consulente prescelto; in questa fase si concretano aspetti che soventemente finiscono per condizionare, anche in modo sostanziale, l’attività del consulente, uno su tutti il quesito. L’importanza di questo momento, pertanto, richiede una dinamica proattiva affinché si possano realizzare le migliori condizioni di assolvimento dell’incarico e minimizzare le problematiche che potrebbero condurre, in estremo, fino all’annullamento della consulenza. L’udienza, inoltre, prevede obbligazioni importanti per l’intera attività dell’esperto e diverse assunzioni da evidenziarsi per il ruolo che è chiamato a ricoprire l’ausiliario. In questo contributo, e nel prossimo, passeremo in rassegna ogni momento dell’udienza sottolineandone i rilievi formali e sostanziali.
Con l’udienza di conferimento d’incarico inizia l’attività formale del consulente prescelto; invero l’incombenza di fronte al giudice e ai legali delle parti (talvolta delle parti stesse e dei loro consulenti tecnici) si evidenzia per la sua importanza poiché in questa fase si concretano taluni aspetti che soventemente finiscono per condizionare l’attività del consulente nel prosieguo della sua attività, uno su tutti il quesito formulato dal giudice. L’importanza di questa fase richiede, pertanto, una dinamica proattiva del consulente designato nell’indirizzo di collaborare con il giudice, che spesso, sotto il peso dei numerosi procedimenti in trattazione della giornata non sempre ha il modo di approfondire tutti i risvolti del procedimento.
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Difatti, sin da questa fase possono determinarsi le condizioni per l’eventuale annullamento della consulenza tecnica con i conseguenti effetti in ordine alle responsabilità del consulente. Nell’udienza l’atto formale con il quale l’ausiliario assume l’impegno ad assolvere pienamente, onestamente, consapevolmente, con l’impegno delle sue capacità professionali e intellettuali, il proprio incarico è quella del giuramento. Art. 193 cod. proc. civ. - Giuramento del con sulente: All’udienza di comparizione il giudice istruttore ricorda al consulente l’importanza delle funzioni che è chiamato ad adempiere, e ne riceve il giuramento di bene e fedelmente adempiere alle funzioni affidategli al solo scopo di far conoscere al giudice la verità. L’art. 193 riporta, tra l’altro, letteralmente la formula del giuramento che re cita «Giuro di bene e fedelmente adem piere alle funzioni affidatemi al solo scopo di far conoscere al giudice la verità». Si può osservare che allo stato i consulenti tecnici di ufficio sono rimasti gli unici soggetti a formulare il giuramento (i testimoni si “limitano”, infatti, a recitare una dichiarazione d’impegno); Il giuramento è comunque un atto che racchiude in sé l’importanza del ruolo e dell’impegno e responsabilità che il consulente assume con il conferimento dell’incarico. Nonostante ciò, l’even tuale omissione del giuramento non forma motivo di nullità della consulenza tecnica1. Ma se il giuramento è un aspetto importante in relazione alla consapevolezza dell’assunzione delle responsabilità per il
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n. 3-4/2008 consulente, rimane sempre atto formale tale da non incidere sulla sostanza del mandato del lavoro del consulente, rile vanza che invece possono assumere altri aspetti e condizioni che si originano nell’udienza di cui trattiamo, come per esempio il quesito. Per esemplificare possiamo riferire, in un quadro sinottico, l’insieme delle disposizioni e assunzioni che si originano nella udienza e che vengono riportate nel rela tivo processo verbale che, solitamente, viene trascritto dal giudice direttamente o da uno dei legali a fronte dell’assoluta carenza di personale di cancelleria che dovrebbe essere preposto all’incombenza. Le diverse assunzioni che vengono svolte in udienza e che esamineremo appresso e nel prossimo contributo sono: - registrazioni presenze; - dichiarazione di accettazione d’incarico del consulente prescelto; - giuramento del consulente con dichiarazione delle proprie generalità e domicilio; - formulazione del quesito; - dichiarazione di inizio delle operazioni peritali o rinvio; - autorizzazione accesso ai pubblici uffici (eventuale); - autorizzazione all’uso del mezzo proprio e/o di viaggio; - autorizzazione accesso ai luoghi (eventuale); - autorizzazione ad avvalersi di esperti ausiliari (eventuale); - nomina dei consulenti tecnici di parte o rinvio; - termine di deposito della relazione; - termine di rinvio del procedimento; - disposizione del fondo spese. Con l’apertura del verbale di udienza si riporta, oltre alla data, l’indicazione dell’ufficio giudiziario, del giudice delle presenze dei procuratori delle parti e del consulente prescelto. Talvolta, in calce al verbale, quando vi è la presenza di praticanti degli studi legali, si riportano le generalità di questi al fine di dare atto della loro partecipazione ai fini della pratica legale. Il giudice, poi, chiede al consulente pre scelto se intende assumere l’incarico ovvero se, eventualmente, vi siano motivi idonei per dover dichiarare l’astensione. In verità, se cosi fosse, il consulente avrebbe dovuto presentare apposita istanza al giudice che lo aveva nominato almeno tre giorni prima. Dopodiché, il consulente presta il giuramento di rito recitando la formula anzi vi sta e declina le proprie generalità che sa ranno trascritte a verbale. Le generalità si configurano in nome, cognome, data di nascita e residenza. Talvolta possono essere anche aggiunti la qualifica (per esempio, geometra libero professionista) e il termine “indifferente”, con ciò a ribadire la totale estraneità con le parti e le questioni in contesa giudiziaria. Il quesito. Il giudice a questo punto formula il quesito al consulente. Questo - in alcuni casi - è suggerito dai legali che propongono una loro indicazione. Invero, in questo momento emerge con tutta evidenza la reale portata della consulenza nell’attuale processo civile che, come in altre occasioni in questa pubblicazione abbiamo avuto modo di sottolineare, è centrale rispetto alla decisione che assumerà il giudice. Sempre di più nell’odierno processo civi-
Competenze e professione le, quando le questioni controverse si risolvono in aspetti di natura tecnica, il CTU decide l’esito della causa. Pertanto il contenuto e la finalità del quesito diventano essenziali per il perseguimento degli obiettivi delle parti. E per questo, talvolta le parti, attraverso i loro difensori, si confrontano in modo deciso sulla formulazione e portata delle domande da porre all’esperto. È proprio nel quesito che si comincia a concretizzare per il consulente la possi bilità di svolgere correttamente ed efficacemente l’incarico. Il quesito, infatti, è lo strumento che accompagna l’intero svolgimento del mandato del consulente, è quello che ne determina le finalità e i li miti delle attività, è l’alveo entro il quale egli deve basare la formulazione della relativa risposta. Un buon quesito dovrebbe: - indicare il compito del consulente; - essere comprensibile, di chiara lettura; - individuare l’oggetto dell’indagine e la valutazione richiesta; - comprendere gli accertamenti nel limite delle domande delle parti; - non richiedere accertamenti dei fatti il cui onere incombe sulla parte; - non richiedere valutazioni giuridiche. La formulazione del quesito è compito eminente del giudice che nella sua ampia autonomia decide, sulle istanze proposte dalle parti, il contenuto dello stesso. La realtà è, invece, spesso discordante da tali precetti; infatti si registra con una certa frequenza la partecipazione dei legali delle parti alla definizione del quesito o addirittura, nei casi più estremi, la dettatura dei quesiti da questi già predi sposti. Tale fatto risulta difforme e non regolare a un corretto svolgimento del compito dell’esperto. Più il quesito sarà generico, omnicomprensivo, poco chiaro e dettagliato tanto maggiore sarà la possibilità, nel corso dell’attività del consulente, dell’insorgere di contrasti, dispute, pressioni delle parti, dei legali e dei con sulenti tecnici. Per questo appare essen ziale che l’esperto partecipi in modo attivo alla formulazione del quesito facendo rilevare puntualmente eventuali difformità o carenze, ricordando, ove occorra, che a quel quesito egli dovrà rispondere mediante motivazioni chiare, oggettive e, possibilmente, incontrovertibili. Un esempio tratto dalla pratica ci aiuta a rendere più concreto questo concetto. Era stata richiesta, e autorizzata dal giudice, una consulenza tecnica nel corso di un processo di cognizione promosso per risarcimento danni a seguito di lavori eseguiti in subappalto da una ditta. Il quesito era stato proposto dal legale della ditta attrice, ovvero il soggetto che richiedeva la quantificazione del danno. Questa era la formulazione originaria del quesito: «Il CTU, visto il contratto, esaminati gli atti di causa e i lavori eseguiti, accerti se gli stessi sono eseguiti a regola d’arte, quan tificandoli; in caso negativo rappresenti i costi per il ripristino e il danno conseguente al ritardo di consegna dei lavori». La letterale formulazione del quesito sot tintendeva che vi era già stato l’accertamento del ritardo della consegna dei lavori. Alla puntuale domanda formulata dal consulente tecnico incaricato al magistrato, su tale aspetto, questi rispose che in realtà nulla era stato ancora accertato.
1. Poiché la legge non commina la nullità della consulenza tecnica d’ufficio in caso di mancata prestazione del giuramento da parte del consulente, ben può il giudice utilizzarne i risultati - pur in presenza di siffatta omissione - ai fini del suo convincimento (Cass., Sez. III, sent. n. 5737, 24 settembre 1986).
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Competenze e professione Dunque il quesito non poteva essere formulato in quel modo poiché assumeva co me condizione accertata e assodata la sussistenza del ritardo che invece doveva essere ancora provato dalla parte. Difatti fu riformulato nel modo seguente: «Il CTU, visto il contratto, esaminati gli atti di causa e i lavori eseguiti, accerti se gli stessi sono eseguiti a regola d’arte, quantificandoli; in caso negativo rappre senti i costi per il ripristino; stabilisca, ove possibile, se vi è stato ritardo nella consegna dei lavori determinandone l’eventuale danno». Alcuni quesiti inammissibili sono: - stabilire l’esatto ammontare del rapporto dare/avere tra due soggetti quan do uno di questi non abbia documenta to l’entità dei pagamenti effettuati; - accertare la sussistenza dei requisiti richiesti per l’acquisto per usucapione di una servitù; - stabilire l’esatto ammontare delle opere eseguite dall’appaltatore quando quest’ultimo non abbia fornito dati precisi che consentano il riscontro dei va lori risultanti dallo stato finale. Nell’ipotesi che il consulente, nel corso dello studio degli atti che segue la parte cipazione all’udienza, si renda conto che il quesito non risulti coerente alle richieste formulate dalle parti ovvero parziale, omnicomprensivo o comunque soggetto a interpretazione, è tenuto a fare presente ciò al giudice mediante una specifica istanza. A questo punto il giudice chiede al consulente incaricato se desidera sin d’adesso indicare la data d’inizio delle operazioni. Il consulente, infatti, può scegliere due soluzioni: indicare la data in sede di udienza facendo quindi riportare a verbale ora, data e luogo, ovvero riservarsi e indicarla in un momento successivo. L’argomento della comunicazione delle operazioni peritali riveste estrema importanza poiché, come quello della nomina dei consulenti tecnici di parte e della produzione documentale può intervenire sull’efficacia del lavoro del consulente potendolo invalidare; perciò all’argomento
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sarà dedicato un adeguato spazio nei prossimi contributi quando analizzeremo l’attività dell’esperto nei profili pratici. In questa parte ci limitiamo a osservare che, nella prima ipotesi, non incombe sul consulente alcun ulteriore obbligo di comunicazione spettando ai difensori l’onere di comunicare ai propri assistiti e consulenti di parte, qualora nominati, ciò che è necessario; mentre nella seconda tutte le responsabilità derivanti dalla corretta comunicazione riguardano il consulente. In ultimo si può sottolineare, inoltre, che nella prima ipotesi il consulente, avendo provveduto ad adempiere alla comunicazione in modo rituale, non deve rinnovare l’avviso d’inizio delle operazioni.
Gli obblighi di protezione dei dati personali per CTU, periti e consulenti tecnici di parte
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on la delib. n. 46/2008, il Garante per la protezione dei dati personali ha emesso le “Linee guida in materia di trattamento di dati personali da parte dei consulenti tecnici e dei periti ausiliari del giudice e del pubblico ministero”. La disposizione coinvolge pienamente i professionisti incaricati dai giudici nel settore civile, quelli che svolgono il mandato di consulente tecnico e perito per i giudici e pubblici ministeri in quello penale nonché la numerosa comunità dei consulenti di parte. La decisione è nata dalla necessità di provvedere della tutela dei rischi connessi al trattamento di dati personali effettuato da consulenti tecnici e periti nell’ambito di procedimenti in sede civile, penale e amministrativa nella constatazione che nell’espletamento dei mandati il consulente e il perito vengono a conoscenza e devono custodire anche dati personali di soggetti coinvolti a diverso titolo nelle vicende
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giudiziarie. Diventa pertanto essenziale per ogni ausiliario giudiziario porre in essere tutte le cautele e le attenzioni necessarie per non esporsi alle pesanti sanzioni, tenendo conto del particolare e delicato ruolo in indirizzo alle responsabilità nei confronti della autorità giudiziaria e delle parti e anche, - atteso l’ambito di svolgimento del mandato e la cresciuta conflittualità nel particolare settore - delle possibili ritorsioni messe in essere da queste laddove non “soddisfatte” dei risultati dell’opera del consulente o perito. Con la deliberazione n. 46 del 26 giugno 2008 (pubblicata sulla G.U. n. 178 del 31 luglio 2008), il Garante per la protezione dei dati personali ha emesso le “Linee guida in materia di trattamento di dati personali da parte dei consulenti tecnici e dei periti ausiliari del giudice e del pubblico ministero” rivolte ai consulenti tecnici incaricati dai giudici nel settore civile e ai
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n. 3-4/2008 consulenti tecnici e periti per i giudici e pubblici ministeri in quello penale. Le Linee guida mirano a fornire indicazioni di natura generale ai professionisti nominati consulenti tecnici e periti dall’autorità giudiziaria nell’ambito di procedimenti civili, penali e amministrativi e ai soggetti nominati consulenti tecnici di parte al fine esclusivo di garantire il rispetto dei principi in materia di protezione dei dati personali ai sensi del Codice in materia di protezione dei dati personali nella constatazione che nell’espletamento delle relative incombenze, il consulente, il perito e il tecnico di parte di regola vengono a conoscenza e devono custodire, contenuti nella documentazione consegnata dall’ufficio giudiziario, anche dati personali di soggetti coinvolti a diverso titolo nelle vicende giudiziarie. Naturalmente le indicazioni non incidono sulle forme processuali che gli ausiliari devono rispettare nello svolgimento delle attività e nell’adempimento degli obblighi derivanti dall’incarico e dalle istruzioni ricevuti dall’ autorità giudiziaria. È utile, infatti, ricordare che già il Codice (al titolo I - Trattamenti in ambito giudiziario), all’art. 47 (trattamento per ragioni di giustizia), escludeva alcune disposizioni in materia di protezione di dati personali che, adesso, sono confermate anche dalle Linee guida in trattazione. Le finalità delle attività del consulente tecnico e perito rientrano in pieno infatti nelle previsioni dell’art. 8 (esercizio dei diritti) comma 2, punto g). La peculiare disciplina posta dal Codice con riguardo ai trattamenti svolti per ragioni di giustizia (art. 47)1 rende inapplicabili alcune disposizioni del medesimo Codice. In particolare le Linee guida precisano che non possono essere applicate ai consulenti tecnici e periti le disposizioni contenute agli: art. 9 (Modalità di esercizio); art. 10 (Riscontro all’interessato); art. 12 (Codici di deontologia e di buona condotta); art. 13 (Informativa); art. 16 (Cessazione del trattamento); art. 18 (Principi applicabili a tutti i trattamenti effettuati da soggetti pubblici) art. 19 (Principi applicabili al trattamento di dati diversi da quelli sensibili e giudiziari); art. 20 (Principi applicabili al trattamento di dati sensibili); art. 21 (Principi applicabili al trattamento di dati giudiziari); art. 22 (Principi applicabili al trattamento di dati sensibili e giudiziari). Inoltre, sono inapplicabili le disposizioni relative alla notificazione al Garante (artt. 37 e 38, commi da 1 a 5), a determinati obblighi di comunicazione all’Autorità, alle autorizzazioni e al trasferimento dei dati all’estero (artt. da 39 a 45), nonché ai ricorsi al Garante (artt. da 145 a 151). Sul punto vale la pena di ricordare che il Garante, con provv. n. 39608 del 31 dicembre 1998, precisava tra l’altro che «…L’attività del consulente d’ufficio è, quindi, strettamente connessa e logicamente integrata con l’attività giurisdizionale in senso proprio e ad essa non si applicano le disposizioni di legge in ordine ai dati sensibili» come pure, con provv. n. 1063421 del
Competenze e professione 27 marzo 2002, che l’ausiliario incaricato dal CTU su autorizzazione del giudice è equiparato al CTU medesimo. Pertanto il consulente tecnico e perito non deve informare l’interessato circa il trattamento dei dati personali né tantomeno ottenere da quest’ultimo alcun consenso, come pure l’interessato non può richiedere la conferma dell’esistenza o meno di dati personali che lo riguardano. Parimenti inapplicabile risulta la disposizione relativa alla comunicazione di cessazione, del trattamento dei dati. È esclusa nelle attività rese dal consulente e perito anche l’adesione ai codici di deontologia e buona condotta promosse dal Garante nell’ambito delle diverse categorie interessate. Pure inapplicabili, per le evidenti ragioni legate al soggetto che opera il trattamento, sono le norme relative ai Principi applicabili a tutti i trattamenti effettuati da soggetti pubblici, quelle concernenti i Principi applicabili al trattamento di dati diversi da quelli sensibili e giudiziari come pure le norme poste a definizione dei Principi applicabili al trattamento di dati sensibili, quelle applicabili al trattamento di dati giudiziari, nonché quelle inerenti i Principi applicabili al trattamento di dati sensibili e giudiziari non trovano applicazione agli incarichi di consulente tecnico di ufficio e perito. La notificazione del trattamento dei dati al Garante, attesa la natura degli incarichi, non ricade tra gli obblighi previsti per gli ausiliari giudiziari (peraltro dalla stessa notificazione sono pure escluse le attività dei liberi professionisti). In ultimo sono pure inibiti le possibilità da parte dell’interessato di ricorso al Garante e dell’interpello preventivo. Risultano, invece, pienamente applicabili, e in tal senso operano le Linee guida, le altre disposizioni contenute nel “Codice in materia di protezione dei dati personali” di cui al D.Lgs. 196/2003. Come avviene il trattamento dei dati. In particolare, il trattamento dei dati effettuato a cura di consulenti tecnici e periti deve avvenire: nel rispetto dei principi di liceità e che riguardano la qualità dei dati di cui all’art. 11; adottando le misure di sicurezza idonee a preservare i dati da alcuni eventi, tra i quali accessi e utilizzazioni indebite di cui agli artt. 31 e segg. e disciplinare tecnico allegato B al Codice. Come detto, il consulente e il perito possono trattare lecitamente dati personali, nei limiti in cui ciò è reso necessario per il corretto, compiuto ed esauriente adempimento dell’incarico ricevuto e solo, evidentemente, con riferimento all’ambito dell’accertamento demandato dall’autorità giudiziaria. Se da una parte non esistono limiti prescritti nella trattazione del dato personale per le attività del consulente e perito, dall’altra questi debbono fare molta attenzione alle forme di comunicazione utilizzate nello svolgimento del proprio mandato. Difatti, queste possono integrare violazione della norma ove possano, anche se involontariamente, rendere edotti di informazioni di carattere personale soggetti estranei. Analogo discorso deve farsi per le eventuali informazioni di carattere personale che il consulente tecnico di ufficio
1. Art. 47: (Trattamenti per ragioni di giustizia) 1. In caso di trattamento di dati personali effettuato presso uffici giudiziari di ogni ordine e grado, presso il Consiglio superiore della magistratura, gli altri organi di autogoverno e il Ministero della giustizia, non si applicano, se il trattamento è effettuato per ragioni di giustizia, le seguenti disposizioni del codice: a) articoli 9, 10, 12, 13 e 16, da 18 a 22, 37, 38, commi da 1 a 5, e da 39 a 45; b) articoli da 145 a 151. 2. Agli effetti del presente codice si intendono effettuati per ragioni di giustizia i trattamenti di dati personali direttamente correlati alla trattazione giudiziaria di affari e di controversie, o che, in materia di trattamento giuridico ed economico del personale di magistratura, hanno una diretta incidenza sulla funzione giurisdizionale, nonché le attività ispettive su uffici giudiziari. Le medesime ragioni di giustizia non ricorrono per l’ordinaria attività amministrativo-gestionale di personale, mezzi o strutture, quando non è pregiudicata la segretezza di atti direttamente connessi alla predetta trattazione.
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Competenze e professione abbia acquisito nel corso delle proprie operazioni peritali che debbono essere comunicate alle parti o ai loro rappresentanti in sede giudiziale (legali e consulenti tecnici), con le modalità e nel rispetto dei limiti posti a tutela della segretezza e riservatezza degli atti processuali e comunque in modo rituale. Resta fermo l’obbligo per l’ausiliare di mantenere il segreto sulle operazioni compiute (art. 226 c.p.p.; cfr. anche art. 379-bis cod. pen.), eventuali comunicazioni di dati a terzi, ove ritenute indispensabili in funzione del perseguimento delle finalità dell’indagine, restano subordinate a quanto eventualmente direttamente stabilito per legge o, comunque, a preventive e specifiche autorizzazioni rilasciate dalla competente autorità giudiziaria. Il C.T.U. inoltre deve prestare adeguata attenzione a non inserire in relazione notizie e dati di natura personale che possono esulare dallo scopo e natura dell’incarico conferito dall’autorità giudiziaria o che comunque non ne rappresentano rilevanza ai fini del mandato. Le informazioni personali e le modalità di trattamento quindi debbono necessariamente essere proporzionate allo scopo perseguito avvalendosi in particolare di informazioni (art. 11, comma 1, lett. a) e b), nel rispetto delle istruzioni e del mandato impartito dall’autorità giudiziaria. In tale quadro, l’eventuale utilizzo incrociato di dati può ritenersi consentito se è chiaramente collegato alle indagini delegate ed è stato autorizzato dalle singole autorità giudiziarie dinanzi alle quali pendono i procedimenti o, se questi si sono conclusi, che ebbero a conferire l’incarico o da altra autorità giudiziaria competente. Come detto, l’ausiliario giudiziario - dinnanzi a dati di carattere personale - deve porre estrema attenzione a utilizzare informazioni corrette e aggiornate. Infatti, il consulente e il perito sono tenuti ad acquisire, utilizzare e porre a fondamento delle proprie operazioni e valutazioni informazioni personali che, con riguardo all’oggetto dell’indagine da svolgere, siano idonee a fornire una rappresentazione (finanziaria, sanitaria, patrimoniale, relazionale ecc.) corretta, completa e corrispondente ai dati di fatto. Ciò, non solo allo scopo di fornire un riscontro esauriente in relazione al compito assegnato, ma anche al fine di evitare che da un quadro inesatto o comunque inidoneo di informazioni possa derivare nocumento all’interessato, anche nell’ottica di una non fedele rappresentazione della sua identità (art. 11, comma 1, lett. c). In tal senso appare indispensabile valutare non solo l’attendibilità delle informazioni in possesso ma anche la loro attualità con riferimento a possibili variazioni e/o mutazioni intercorse nel tempo. Tale circostanza appare importante in particolare negli incarichi di natura civile ove a fronte della diversificata natura della controversia vi sono numerosissime informazioni e notizie, anche di carattere rilevante sotto il profilo probatorio, che il consulente tecnico si trova a trattare e a porre a fondamento delle proprie assunzioni e motivazioni in risposta ai quesiti. Le relazioni peritali e le informative fornite al magistrato ed eventualmente - ove previsto - alle parti, non devono né riportare dati, specie se di natura sensibile o di carattere giudiziario o comunque di particolare delicatezza, chiaramente non pertinenti all’oggetto dell’accertamento peritale, né contenere ingiustificatamente e in modo non pertinente informazioni personali relative a soggetti estranei al procedimento (art. 11, comma 1, lett. d). È evidente l’attinenza del punto - con espressa esclusione delle informazioni che trovano fondamento negli scopi stessi dell’incarico (per esempio del soggetto esecutato nel procedimento di esecuzione immobiliare) - del riferimento ai dati ine-
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n. 3-4/ 2008 renti l’origine razziale ed etnica, delle convinzioni religiose, filosofiche, delle opinioni politiche, l’adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonché i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale e relative preferenza o ancora notizie rivelanti aspetti legati a procedimenti giudiziari dei soggetti coinvolti o anche di coloro che in vario modo ne possano essere interessati come coniugi e parenti. Le relazioni e le informative debbono poi astenersi dal riferire notizie e dati relativi a soggetti terzi del procedimento anche se soggetti facenti parte del nucleo familiare del soggetto interessato ossia coinvolto nel procedimento. Inoltre appare utile precisare, laddove il consulente debba far ricorso ad ausiliari esperti per la conduzione di accertamenti di natura specialistica, ricorrere sempre all’autorizzazione del giudice poiché in tal caso - come dettato dal provv. n. 1063421 del 27 marzo 2002 del Garante - l’attività di detti soggetti si inquadra infatti, al pari di quella curata dal consulente tecnico d’ufficio. In relazione alla conservazione e cancellazione dei dati, con riferimento ai trattamenti di dati svolti per ragioni di giustizia, non è applicabile la disposizione contenuta dall’art. 16 del Codice relativa alla cessazione del trattamento di dati personali. Ciò è conseguenza del mancato obbligo per il consulente e perito di dover informare, ed essere conseguentemente autorizzato, al trattamento dei dati degli interessati. Peraltro, la suddetta circostanza, nella fattispecie del consulente e dal perito, di regola coincide con l’espletamento dell’incarico. In ordine a tale punto - tuttavia - trova applicazione anche ai trattamenti di dati personali effettuati per ragioni di giustizia il dettato dell’art. 11, comma 1, lett. e), del Codice, il quale prevede che i dati non possono essere conservati per un periodo di tempo superiore a quello necessario al perseguimento degli scopi per i quali essi sono stati raccolti e trattati. Da ciò ne consegue che, espletato l’incarico, l’ausiliario deve consegnare per il deposito agli atti del procedimento non solo la propria relazione, ma anche la documentazione consegnatagli dal magistrato e quella ulteriore da lui acquisita nel corso dell’attività svolta, salvo quanto eventualmente stabilito da disposizioni normative o da specifiche autorizzazioni dell’autorità giudiziaria che dispongano espressamente in senso contrario. Sul punto appare importante precisare che la deliberazione del Garante prevedendo che la consegna sia fatta “agli atti del procedimento” lascia intendere che la documentazione dovrebbe essere contenuta in un separato fascicolo da depositare in cancelleria e richiamata, in forma generica, nella relazione peritale o perizia al fine di attestare, da parte del consulente tecnico di ufficio e perito, il rispetto alla disposizione in specie. Nella ipotesi che non vi siano disposizioni normative o specifiche autorizzazioni dell’autorità giudiziaria che dispongano diversamente, il consulente e il perito non possono conservare, in originale o in copia, in formato elettronico o su supporto cartaceo, informazioni personali acquisite nel corso dell’incarico concernenti i soggetti, persone fisiche o giuridiche, nei cui confronti hanno svolto accertamenti. Analogamente, in caso di revoca o di rinuncia all’incarico da parte dell’ausiliario, la documentazione acquisita nel corso delle operazioni peritali deve essere restituita integralmente al magistrato. Qualora sia prevista una conservazione per adempiere a uno specifico obbligo normativo (per esempio, in materia fiscale o contabile), possono essere custoditi i soli dati personali effettivamente neces-
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n. 3-4/2008 sari per adempiere tale obbligo. Pertanto ogni informazione conservata in forma cartacea deve essere distrutta e quelle su supporto informatico eliminate o trasformate in forma anonima pena la possibilità di irrogazioni delle previste sanzioni. Tenuto conto che l’attività dell’ausiliare è connotata da caratteri di autonomia, in relazione alla natura squisitamente tecnica delle indagini che si svolgono, solitamente, senza l’intervento del magistrato, ricevuto l’incarico e sino al momento della consegna al giudice della relazione peritale o al pubblico ministero delle risultanze dell’attività svolta, incombono concretamente al consulente tecnico e al perito, riguardo ai dati personali acquisiti all’atto dell’incarico e alle ulteriori informazioni raccolte nel corso delle operazioni, le responsabilità e gli obblighi relativi al profilo della sicurezza prescritti dal Codice. L’ausiliare è tenuto, quindi, a impiegare tutti gli accorgimenti idonei a evitare un’indebita divulgazione delle informazioni e, al contempo, la loro perdita o distruzione, adottando, a tal fine, le misure atte a garantire la sicurezza dei dati e dei sistemi eventualmente utilizzati. Egli deve curare personalmente, con il grado di autonomia riconosciuto per legge o con l’incarico ricevuto, sia le «misure idonee e preventive» cui fa riferimento l’art. 31 del Codice, sia le «misure minime» specificamente indicate negli artt. da 33 a 35 e nel disciplinare tecnico allegato B) al Codice, la cui mancata adozione costituisce fattispecie penalmente sanzionata (art. 169 del Codice). Ove tale trattamento sia svolto con l’ausilio di strumenti elettronici, nell’ambito delle misure minime (art. 33, comma 1, lett. g), deve essere redatto il documento programmatico sulla sicurezza, (da redigersi entro il 31 marzo di ogni anno) con le modalità e i contenuti previsti al punto 19 del disciplinare tecnico. Anche nella ipotesi che il consulente e il perito si avvalgano dell’opera di collaboratori, anche se addetti a compiti di amministrazione (art. 30 del Codice), vige l’obbligo di preporre alla custodia e al trattamento dei dati personali raccolti nel corso dell’accertamento solo il personale specificamente incaricato per iscritto. L’attività di tali incaricati deve essere oggetto di precise istruzioni. Il consulente di parte. Gli obblighi di cui alle linee guida incombono anche sui consulenti di parte in ordine all’applicazione dei principi di liceità e che riguardano la qualità dei dati (art. 11 del Codice) e le disposizioni in materia di misure di sicurezza volte alla protezione dei dati stessi (artt. 31 e segg. e disciplinare tecnico allegato B al Codice). Il consulente di parte relativamente ai dati personali acquisiti e trattati nell’espletamento dell’incarico ricevuto da una parte, assume personalmente le responsabilità e gli obblighi relativi al profilo della sicurezza prescritti dal Codice, è tenuto a redigere il documento programmatico sulla sicurezza (art. 33, comma 1, lett. g) e punto 19, del disciplinare tecnico allegato B), ove l’incarico comporti il trattamento con strumenti elettronici di dati sensibili o giudiziari, e parimenti al CTU e perito deve incaricare per iscritto gli eventuali collaboratori, anche se adibiti a mansioni di carattere amministrativo, che siano addetti alla custodia e al trattamento, in qualsiasi forma, dei dati personali (art. 30 del Codice), impartendo loro precise istruzioni sulle modalità e l’ambito del trattamento loro consentito e sulla scrupolosa osservanza della riservatezza dei dati di cui vengono a conoscenza. Il consulente di parte:
Competenze e professione - può trattare lecitamente i dati personali nei limiti in cui ciò è necessario per il corretto adempimento dell’incarico ricevuto dalla parte o dal suo difensore ai fini dello svolgimento delle indagini difensive; i dati sensibili o giudiziari possono essere utilizzati solo se ciò è indispensabile; - può acquisire e utilizzare solo i dati personali comunque pertinenti e non eccedenti rispetto alle finalità perseguite con l’incarico ricevuto, avvalendosi di informazioni personali e di modalità di trattamento proporzionate allo scopo perseguito (art. 11, comma 1, lett. d); Sono fatti salvi i divieti di legge posti a tutela della segretezza e riservatezza delle informazioni acquisite nel corso di un procedimento giudiziario (cfr., per esempio, l’art. 379-bis cod. proc. pen.) e i limiti e i doveri derivanti dal segreto professionale e dal fedele espletamento dell’incarico ricevuto (cfr. artt. 380 e 381 cod. pen.), può comunicare a terzi dati personali solo ove ciò risulti necessario per finalità di tutela dell’assistito, limitatamente ai dati strettamente funzionali all’esercizio del diritto di difesa della parte e nel rispetto dei diritti e della dignità dell’interessato e di terzi. In ultimo occorre ricordare che al consulente tecnico di parte, alla stregua degli altri liberi professionisti, è consentita l’omissione della richiesta dell’autorizzazione al Garante per il trattamento dei dati sensibili. Per quanto attiene il quadro sanzionatorio sono previste sanzioni di carattere amministrativo e penali in relazione alle diverse omissioni o carenze registrate. Le sanzioni pecuniarie vanno da un minimo di 3 mila euro per l’omessa o inidonea informativa fino a un massimo di 50 mila euro per omessa adozione di misure minime di sicurezza. Sotto il profilo penale, è punito con l’arresto da sei mesi a tre anni il trattamento illecito di dati personali mentre con la reclusione fino a due anni la omessa adozione delle misure minime di sicurezza. L’art. 169 del Codice prevede la prescrizione con conseguente estinzione del reato nelle ipotesi che vi sia una regolarizzazione entro un termine non superiore ai sei mesi, pagamento di sanzione ridotta pari al quarto del massimo dell’ammenda stabilita. I controlli sono esercitati dalla Guardia di finanza. In conclusione si può rilevare come la deliberazione contenga regole di condotta importanti per i consulenti tecnici e periti, con riferimento anche al delicato compito che svolgono per l’autorità giudiziaria. Ma, mi si consenta, ancora di più per l’estrema conflittualità tra le parti che, oramai sempre più, contraddistingue gli incarichi di consulenza, coinvolgendo frequentemente anche i soggetti che si trovano a operare nella procedura. Ciò può determinare condizioni di minaccia per il consulente provenienti dalla parte che magari auspicava risultati diversi del lavoro peritale o nutriva aspettative in ordine all’esito della CTU e che può trovare nell’odierno provvedimento argomento di rivalsa nei confronti di quel consulente che, pur attento a svolgere correttamente il suo incarico giudiziario, non sia stato altrettanto diligente nell’applicazione delle disposizioni contenute nelle Linee Guida. In tal senso è da richiamare l’attenzione di tutti i professionisti alla corretta applicazione delle disposizioni contenute nelle Linee guida e gli ordini e collegi professionali a rendersi attivi nell’organizzare e offrire agli iscritti occasioni di studio e formazione per approfondirne adeguatamente i contenuti. «Consulente Immobiliare»
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OBBLIGAZIONI CONDOMINIALI Si ripartiscono in proporzione alle quote - Cass. civ. Sez. unite 8 aprile 2008 La massima Cass. civ. sez. unite 8 aprile 2008 Ogni condomino risponde soltanto prò quota nei confronti del terzo creditore per le obbligazioni contratte in nome e per conto del condominio, per cui, ottenuto il decreto ingiuntivo nei confronti dell’amministratore del condominio per l’intero credito, l’esecuzione dovrà essere promossa individualmente nei confronti dei singoli condomini nei limiti della rispettiva quota, anticipando così la ripartizione del debito, rispetto alla rivalsa, in quanto la solidarietà del condominio non è prevista espressamente da alcuna norma e manca, comunque, il requisito della indivisibilità della prestazione comune necessaria per la sussistenza della solidarietà, con la conseguenza che prevale l’intrinseca parziarietà dell’obbligazione che, pur essendo comune, è, tuttavia, divisibile poiché trattasi di somma di danaro. Il criterio della parziarietà appare preferibile perché la solidarietà avvantaggerebbe il creditore che, contrattando con l’amministratore conosce la situazione della parte debitrice e può cautelarsi in vari modi. Il commento Le Sezioni Unite della Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza 8.4.2008, n. 9148, hanno risolto il contrasto di giurisprudenza in ordine alla natura, solidale o parziaria, delle obbligazioni contratte dall’amministratore nell’interesse del condominio, aderendo alla tesi minoritaria secondo la quale le obbligazioni si ripartiscono tra i condomini in proporzione alle relative quote. A fronte di un decreto ingiuntivo che imponeva in solido, ai condomini ed all’amministratore, di pagare il saldo di alcuni lavori condominiali, alcuni condomini proponevano opposizione, affermando la natura non solidale ma parziaria dell’obbligazione, e chiedendo la revoca del decreto nei propri confronti, avendo ciascuno di essi già provveduto a pagare la quota di rispettiva competenza. Il decreto veniva revocato, con sentenza confermata in appello. Proponeva ricorso per cassazione la società appaltatrice dei lavori e la questione veniva rimessa alle Sezioni Unite, esistendo un contrasto tra un indirizzo maggioritario, secondo cui la responsabilità dei singoli condomini per le obbligazioni assunte dal condominio verso terzi avrebbe natura solidale, ed un indirizzo nettamente minoritario, secondo cui avrebbe vigore l’opposto principio della parziarietà. La Corte ricostruisce la giurisprudenza in materia e, secondo l’orientamento assolutamente prevalente, la responsabilità dei partecipanti al condominio per le obbligazioni assunte dallo stesso verso terzi avrebbe natura solidale, ex art. 1294 c.c., mentre - secondo un orientamento finora nettamente minoritario - le obbligazioni per la conservazione dei servizi nell’interesse comune e per le innovazioni approvate dalla maggioranza si ripartirebbero in proporzione delle rispettive quote. Dalla disamina delle norme in materia di obbligazioni, in particolare quelle ereditarie, emerge, ad avviso della Suprema Corte, che in quelle contratte nell’interesse del condominio esi-
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ste la pluralità dei debitori (i condomini), l’unicità della causa (il contratto) mentre non si rinviene l’unicità della prestazione, in quanto essa è unica ed indivisibile dalla parte del creditore, ma non altrettanto dalla parte del debitore, consistendo nel pagamento di una somma di denaro. La Corte ritiene che l’operato dell’amministratore del condominio sia assimilabile alla figura del mandato con rappresentanza, il cui potere è circoscritto alle attribuzioni previste dall’art. 1130 c.c., tra le quali è previsto che l’amministratore agisca in giudizio per la tutela dei diritti dei condomini, pur sempre, però, nei limiti della quota di ciascuno, e solo entro questi limiti ciascuno dei condomini così rappresentati può rispondere delle conseguenze pregiudizievoli. Pertanto, le Sezioni Unite concludono ritenendo che l’amministratore di condominio può obbligare i condomini solo nei limiti della rispettiva quota, secondo il criterio della parziarietà e non già della solidarietà passiva. Ne consegue che il creditore, che abbia conseguito in giudizio la condanna dell’amministratore quale rappresentante dei condomini, potrà poi procedere all’esecuzione giudiziale nei confronti dei singoli condomini, non per l’intero debito condominiale, ma solo in proporzione della quota di ciascuno. avv. Pietro Romano La sentenza Repubblica Italiana In nome del Popolo Italiano La Corte Suprema di Cassazione - Sezioni Unite Civili Composto dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott Carboni Vincenzo - Primo Presidente Dott. Corona Raffaele - rel. Presidente di sezione Dott Miani Canevari Fabrizio - Consigliere Dott Vitroni Ugo - Consigliere Dott Vidiri Guido - Consigliere Dott. Settimi Giovanni - Consigliere Dott. Finocchiaro Mario - Consigliere Dott. Salmè Giuseppe - Consigliere Dott. Segreto Antonio - Consigliere ha pronuncialo la seguente: sentenza sul ricorso proposto da: Società Edilfast s.r.l., in persona del legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Sardegna 29. presso lo studio dell’avvocato Vasi Giorgio, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Pierluigi Coliva, giusta delega in calce al ricorso; - ricorrente contro R.A, RA.AD., RA.AL, elettivamente domiciliali in Roma, Via G. Scarabelli 21, presso lo studio dell’avvocato Ruperto Tommaso, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato Claudio Chiurazzi, giuste deleghe a margine dei controricorsi; - controricorrenti e contro Condominio Via (Omissis): - intimato -
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n. 3-4/2008 avverso la sentenza n. 305/03 della Corte d’Appello di Bologna, depositata il 19/2/03; - udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 4/3/08 dal Presidente Dott. Raffaele CORONA; - uditi gli avvocati Pierluigi Coliva, Claudio Chiurazzi; - udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. Cannelli Domenico, che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo, assorbili gli altri motivi. Svolgimento del processo Con Decreto 24 marzo 1984. il Presidente del Tribunale di Bologna ingiunse al Condominio di via (Omissis). (Omissis), ed ai condomini A., Ad. e Ra.Al., C.U., B.G., M.D., T.A. ed alla società I.B.O. s.r.l. di pagare alla Edilfasl s.r.l. £. 66.800.276, quale residuo del corrispettivo per i lavori eseguiti nell’edificio condominiale. Proposero opposizione con distinti atti di citazione A. e Ra.Ad., le quali dedussero l’inammissibilità della duplice condanna emessa sia a carico del condominio, sia nei loro confronti in via solidale, posto che avevano adempiuto prò quota alle obbligazioni assunte nei confronti della società Edilfasl; R. A. asserì di aver acquistato il solo diritto di usufrutto di una unità immobiliare, in data 2 giugno 1993, quando i lavori commessi alla società Edilfasl erano stati già ultimali: in ogni caso, trattandosi di spese riguardanti opere di manutenzione straordinaria, esse erano a carico del nudo proprietario. Riuniti i giudizi e chiamati in causa il Condominio, i condomini Q.I., B.T. e la società I.B.O. s.r.l.. i quali chiesero il rigetto della domanda proposta con il ricorso per ingiunzione, con sentenza 28 aprile 2000 il Tribunale di Bologna revocò il decreto; con sentenza 19 febbraio 2003, la Corte d’Appello di Bologna respinse l’impugnazione proposta dalla società Edilfast. Ha proposto ricorso per Cassazione con sei motivi la società Edilfasl; hanno resistito con controricorso A., Ad. e Ra.Al.. Non ha svolto attività difensiva l’intimato Condominio via (Omissis), in persona dell’amministratore incarica. La Seconda Sezione civile, con ordinanza 7 febbraio 2007. n. 2621, ha rimesso gli atti al Primo Presidente, avendo ritenuto la sussistenza di un contrasto all’interno della sezione, posto che per un primo indirizzo (maggioritario) la responsabilità dei singoli condomini per le obbligazioni assunte dal condominio verso terzi avrebbe natura solidale, mentre per un secondo orientamento, decisamente minoritario, avrebbe vigore il principio della parziarietà, ovverosia dalla ripartizione tra i condomini delle obbligazioni assunte nell’interesse del condominio in proporzione alle rispettive quote. Per la risoluzione del contrasto la causa viene alle Sezioni Unite civili. Motivi della decisione La società ricorrente lamenta: 1.1 con il primo motivo, violazione e falsa applicazione degli artt. 1115 e 1139 cod. civ., in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3. La giurisprudenza dominante, anche successivamente all’isolata sentenza n. 11530 del 1996, che aveva affermalo la parziarietà, ha sempre sostenuto e continua a sostenere la natura solidale delle obbligazioni dei condomini; 1.2 con il secondo motivo, falsa applicazione degli artt. 1004 e 1005 cod. civ., ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, posto che la ripartizione delle spese fra nudo proprietario usufruttuario operano nei rapporti interni e non sono opponibili al terzo creditore;
Condominio 1.3 con il terzo motivo, violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, poiché la sentenza di primo grado aveva posto a fondamento della decisione ragioni diverse da quelle dedotte nell’opposizione al decreto ingiuntivo; 1.4 con il quarto motivo, omessa compensazione delle spese processuali con riferimento ad Ra.Al.; Con il quinto motivo, violazione dell’art. 91 cod. proc. civ., ai sensi degli arti. 360 cod. proc. civ., mi. 3 e 5 non sussistendo soccombenza nei confronti del Condominio, che era stato chiamato in giudizio da Ra.Al.; Con il sesto motivo, violazione dell’art. 63 disp. att. in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, non aveva tenuto conto dell’orientamento della Suprema Corte, secondo cui l’acquirente di una unità immobiliare doveva essere temilo alle spese solidalmente al suo dante causa. 2.1 La questione di diritto, che la Suprema Corte deve risolvere per decidere la controversia, riguarda la natura delle obbligazioni dei condomini. Secondo l’orientamento maggioritario della giurisprudenza, la responsabilità dei singoli partecipanti per le obbligazioni assunte dal “condominio” verso i terzi ha natura solidale, avuto riguardo al principio generale stabilito dall’art. 1294 cod. civ. per l’ipotesi in cui più soggetti siano obbligali per la medesima prestazione: principio non derogato dall’art. 1123 cod. civ., che si limita a ripartire gli oneri all’interno del condominio (Cass., Sez. 2’, 5 aprile 1982, n. 2085; Cass., Sez. 2’, 17 aprile 1993, n. 4558; Cass., Sez. 2’, 30 luglio 2004, n. 14593; Cass., Sez. 2’, 31 agosto 2005, n. 17563). Per l’indirizzo decisamente minoritario, la responsabilità dei condomini è retta dal criterio dalla parziarietà: in proporzione alle rispettive quote, ai singoli partecipanti si imputano le obbligazioni assunte nell’interesse del “condominio”, relativamente alle spese per la conservazione e per il godimento delle cose comuni dell’edificio, per la prestazione dei servizi nell’interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza. Pertanto, le obbligazioni dei condomini sono regolale da criteri consimili a quelli clonali dagli arti. 752 e 1295 cod. civ. per le obbligazioni ereditarie, secondo cui al pagamento dei debiti ereditati i coeredi concorrono in proporzione alle loro quote e l’obbligazione in solido di uno dei condebitori si ripartisce tra gli eredi in proporzione alle quote ereditarie (Cass., Sez. 2’, 27 settembre 1996, n. 8530). 2.2 Per determinare i principi di diritto, che regolano le obbligazioni (contrattuali) unitarie le quali vincolano la pluralità di soggetti passivi - i condomini - occorre muovere dal fondamento della solidarietà. L’assunto è che la solidarietà passiva scaturisca dalla contestuale presenza di diversi requisiti, in difetto dei quali - e di una precisa disposizione di legge - il criterio non si applica, non essendo sufficiente la comunanza del debito tra la pluralità dei debitori e l’identica causa dell’obbligazione; che nessuna specifica disposizione contempli la solidarietà tra i condomini, cui osta la parziarietà intrinseca della prestazione; che la solidarietà non possa ricondursi alla asserita unitarietà del gruppo, in quanto il condominio non raffigura un “ente di gestione”, ma una organizzazione pluralistica e l’amministratore rappresenta immediatamente i singoli partecipanti, nei limiti del mandalo conferito secondo le quote di ciascuno. La disposizione dell’art. 1292 cod. civ. - è noto - si limita a descrivere il fenomeno e le sue conseguenze. Invero, sotto la
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Condominio rubrica “nozione della solidarietà”, definisce l’obbligazione in solido quella in cui “più debitori sono obbligati tutti per la medesima prestazione” e aggiunge che ciascuno può essere costretto all’adempimento per la totalità (con liberazione degli altri). L’art. 1294 cod. civ. stabilisce che “i condebitori sono tenuti in solido, se dalla legge o dal titolo non risulta diversamente”. Nessuna delle norme, tuttavia, precisa la ratio della solidarietà, ovverosia ne chiarisce il fondamento (che risulta necessario, quanto meno, per risolvere i casi dubbi). Stando all’interpretazione più accreditala, le obbligazioni solidali, indivisibili e parziarie raffigurano le risposte dell’ordinamento ai problemi derivanti dalla presenza di più debitori (o creditori), dalla unicità della causa dell’obbligazione (eadem causa obbligandi) e dalla unicità della prestazione (eadem res debita). Mentre dalla pluralità dei debitori e dalla unicità della causa dell’obbligazione scaturiscono questioni che, nella specie, non rilevano, la categoria dell’idem debitum propone problemi tecnici considerevoli: in particolare, la unicità della prestazione che, per natura, è suscettibile di divisione, e la individuazione del vincolo della solidarietà rispetto alla prestazione la quale, nel suosostrato di fallo, è naturalisticamente parziaria. Semplificando categorie complesse ed assai elaborate, l’indivisibilità consiste nel modo di essere della prestazione: nel suo elemento oggettivo, specie laddove la insussistenza naturalistica della indivisibilità non è accompagnata dall’obbligo specifico imposto per legge a ciascun debitore di adempiere per l’intero. Quando la prestazione per natura non è indivisibile, la solidarietà dipende dalle norme e dai principi. La solidarietà raffigura un particolare atteggiamento nei rapporti esterni di una obbligazione intrinsecamente parziaria quando la legge privilegia la comunanza della prestazione. Altrimenti, la struttura parziaria dell’obbligazione ha il sopravvento e insorge una pluralità di obbligazioni tra loro connesse. È pur vero che la solidarietà raffigura un principio riguardante i condebitori in genere. Ma il principio generale è valido laddove, inconcreto, sussistono tutti i presupposti previsti dalla legge per la attuazione congiunta del «indebito. Sicuramente, quando la prestazione comune a ciascuno dei debitori è. allo stesso tempo, indivisibile. Se invece l’obbligazione è divisibile, salvo che dalla legge (espressamente) sia considerata solidale, il principio della solidarietà (passiva) va contemperato con quello della divisibilità stabilito dall’art. 1314 cod. civ., secondo cui se più sono i debitori ed è la stessa la causa dell’obbligazione, ciascuno dei debitori non è tenuto a pagare il debito che per la sua parte. Poiché la solidarietà, spesso, viene ad essere la configurazione ex lege, nei rapporti esterni, di una obbligazione intrinsecamente parziaria, in difetto di configurazione normativa dell’obbligazione come solidale e, contemporaneamente, in presenza di una obbligazione comune, ma naturalisticamente, divisibile viene meno uno dei requisiti della solidarietà e la struttura parziaria dell’obbligazione private. Del resto, la solidarietà viene meno ogni qual volta la fonte dell’obbligazione comune è intimamente collegata con la titolarità delle res. Le disposizioni di cui agli arti. 752, 754 e 1295 cod. civ. -
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n. 3-4/ 2008 che prevedono la parziarietà delle obbligazioni dei coeredi e la sostituzione, per effetto dell’apertura della successione, di una obbligazione nata unitaria con una pluralità di obbligazioni parziarie - esprimono il criterio di ordine generale del collegamento tra le obbligazioni e le res. Per la verità, si tratta di obbligazioni immediatamente connesse con l’attribuzione ereditaria dei beni: di obbligazioni ricondotte alla titolarità dei beni ereditali in ragione dell’appartenenza della quota. Ciascun erede risponde soltanto della sua quota, in quanto è titolare di una quote di beni ereditari. Più in generale, laddove si riscontra lo stesso vincolo tra l’obbligazione e la quota e nella struttura dell’obbligazione, originata dalla medesima causa per una pluralità di obbligati, non sussiste il carattere della indivisibilità della prestazione, è ragionevole inferire che rispetto alla solidarietà non contemplata (espressamente) prevalga la struttura parziaria del vincolo. 2.3 Le direttive ermeneutiche esposte valgono per le obbligazioni facenti capo ai gruppi organizzati, ma non personificati. Per ciò che concerne la struttura delle obbligazioni assunte nel cosiddetto interesse del “condominio” - in realtà, ascritte ai singoli condomini - si riscontrano certamente la pluralità dei debitori (i condomini) e la eadem causa obbligandi la unicità della causa: il contratto da cui l’obbligazione ha origine. E’ discutibile,invece, la unicità della prestazione (idem debitum), che certamente è unica ed indivisibile per il creditore, il quale effettua una prestazione nell’interesse e in favore di tutti condomini (il rifacimento della facciata, l’impermeabilizzazione del tetto, la fornitura del carburante per il riscaldamento etc). L’obbligazione dei condomini (condebitori), invece, consistendo in una somma di danaro, raffigura una prestazione comune, ma naturalisticamente divisibile. Orbene, nessuna norma di legge espressamente dispone che il criterio della solidarietà si applichi alle obbligazioni dei condomini. Non certo l’art. 1115 cod. civ., comma 1. Sotto la rubrica “obbligazioni solidali dei partecipanti”, la norma stabilisce che ciascun partecipante può esigere che siano estinte le obbligazioni contratte, in solido per la cosa comune e che la somma per estinguerle sia ricavata dal prezzo di vendita della stessa cosa. La disposizione, in quanto si riferisce alle obbligazioni contratte in solido dai comunisti per la cosa comune, ha valore meramente descrittivo, non prescrittivo: non stabilisce che le obbligazioni debbano essere contratte in solido, ma regola le obbligazioni che, concretamente, sono contratte in solido. A parte ciò la disposizione non riguarda il condominio negli edifici e non si applica al condominio, in quante regola l’ipotesi di vendita della cosa comune. La disposizione, infatti, contempla la cosa comune soggetta a divisione e non le cose, gli impianti ed i servizi comuni del fabbricato, i quali sono contrassegnati dalla normale indivisibilità ai sensi dell’art. 1119 cod. civ. e, comunque, dalla assoluta inespropriabilità. D’altra parte, nelle obbligazioni dei condomini la parziarietà si riconduce all’art. 1123 cod. civ., interpretato valorizzando la relazione tra la titolarità della obbligazione e quella della cosa. Si tratta di obbligazioni propter rem, che nascono come conseguenza dell’appartenenza in comune, in ragione della quota, delle cose, degli impianti e dei servizi e, solo in ragione della quota, a norma dell’ari. 1123 cit., i condomini sono tenuti a contribuire alle spese per le parti comuni. Per la verità, la
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n. 3-4/2008 mera valenza interna del criterio di ripartizione raffigura un espediente elegante, ma privo di riscontro nei dati formali. Se l’argomento che la ripartizione delle spese regolata dall’art. 1123 cod. civ., comma 1, riguardi il mero profilo interno non persuade, non convince neppure l’asserto che lo stesso art. 1223 c.c., comma 2 - concernente la ripartizione delle spese per l’uso delle parti comuni destinate a servire i condomini in misura diversa, in proporzione all’uso che ciascuno può farne renda impossibile l’attuazione parziaria all’esterno: con la conseguenza che, quanto all’attuazione, tutte le spese disciplinate dall’art. 1223 cit. devono essere regolate allo stesso modo. Entrambe le ipotesi hanno in comune il collegamento con la res. Il primo comma riguarda le spese per la conservazione delle cose comuni, rispetto alle quali l’inerenza ai beni è immediata; il secondo comma concerne le spese per l’uso, in cui sussiste comunque il collegamento con le cose: l’obbligazione, ancorché influenzata nel quantum dalla misura dell’uso diverso, non prescinde dalla contitolarità delle parti comuni, che ne costituisce il fondamento. In ultima analisi, configurandosi entrambe le obbligazioni come obligationes propter rem, in quanto connesse con la titolarità del diritto reale sulle parti comuni, ed essendo queste obbligazioni comuni naturalisticamente divisibili ex parte debitoris. il vincolo solidale risulta inapplicabile e prevale la struttura intrinsecamente parziaria delle obbligazioni. D’altra parte, per la loro ripartizione in pratica si può sempre fare riferimento alle diverse tabelle millesimali relative alla proprietà ed alla misura dell’uso. 2.5 Né la solidarietà può ricondursi alla asserita unitarietà del gruppo dei condomini. Dalla giurisprudenza, il condominio si definisce come “ente di gestione”, per dare conto del fatto che la legittimazione dell’amministratore non priva i singoli partecipanti della loro legittimazione ad agire in giudizio in difesa dei diritti relativi alle parti comuni; di avvalersi autonomamente dei mezzi di impugnazione; di intervenire nei giudizi intrapresi dall’amministratore, etc. Ma la figura dell’ente, ancorché di mera gestione, suppone che coloro i quali ne hanno la rappresentanza non vengano surrogati dai partecipanti. D’altra parte, gli enti di gestione in senso tecnico raffigurano una categoria definita ancorché non unitaria, ai quali dalle leggi sono assegnati compiti e responsabilità differenti e la disciplina eterogenea si adegua alle disparate finalità perseguite (L. 22 dicembre 1956, n. 1589, art. 3). Gli enti di gestione operano in concreto attraverso le società per azioni di diritto comune, delle quali detengono le partecipazioni azionarie e che organizzano nei modi più opportuni: in attuazione delle direttive governative, razionalizzano le attività controllate, coordinano i programmi e assicurano l’assistenza finanziaria mediante i fondi di dotazione. Per la struttura, gli enti di gestione si contrassegnano in ragione della soggettività (personalità giuridica pubblica) e, dell’autonomia patrimoniale (la titolarità delle partecipazioni azionarie e del fondo di dotazione). Orbene, nonostante l’opinabile rassomiglianza della funzione - il fatto che l’amministratore e l’assemblea gestiscano le parti comuni per conto dei condomini, ai quali le parti comuni appartengono - le ragguardevoli diversità della struttura dimostrano la inconsistenza del ripetuto e acrilico riferimento dell’ente di gestione al condominio negli edifici. Il condominio, infatti, non è titolare di un patrimonio autonomo, né di diritti e di obbligazioni: la titolarità dei diritti sulle
Condominio cose, gli impianti e i servizi di uso comune, in effetti, fa capo ai singoli condomini; agli stessi condomini sono ascritte le obbligazioni per le cose, gli impianti ed i servizi comuni e la relativa responsabilità; le obbligazioni contratte nel cosiddetto interesse del condominio non si contraggono in favore di un ente, ma nell’interesse dei singoli partecipanti. Secondo la giurisprudenza consolidata, poi. l’amministratore del condominio raffigura un ufficio di diritto privato assimilabile al mandato con rappresentanza: con la conseguente applicazione, nei rapporti tra l’amministratore e ciascuno dei condomini, delle disposizioni sul mandalo. Orbene, la rappresentanza, non soltanto processuale, dell’amministratore del condominio è circoscritta alle attribuzioni - ai compiti ed ai poteri - stabilite dall’art. 1130 cod. civili giudizio l’amministratore rappresenta i singoli condomini, i quali sono parti in causa nei limiti della loro quota (art. 1118 e 1123 cod. civ.). L’amministratore agisce, in giudizio per la tutela dei diritti di ciascuno dei condomini, nei limiti della loro quota, e solo in questa misura ognuno dei condomini rappresentati deve rispondere delle conseguenze negative. Del resto, l’amministratore non ha certo il potere di impegnare i condomini al di là del diritto, che ciascuno di essi ha nella comunione, in virtù della legge, degli alti d’acquisto e delle convenzioni. In proporzione a tale diritto ogni partecipante concorre alla nomina dell’amministratore e in proporzione a tale diritto deve ritenersi che gli conferisca la rappresentanza in giudizio. Basti pensare che, nel caso in cui l’amministratore agisca o sia convenuto in giudizio per la tutela di un diritto, il quale fa capo solo a determinati condomini, soltanto i condomini interessati partecipano al giudizio ed essi soltanto rispondono delle conseguenze della lite. Pertanto, l’amministratore - in quanto non può obbligare i singoli condomini se non nei limiti dei suoi poteri, che non contemplano la modifica dei criteri di imputazione e di ripartizione delle spese stabiliti dall’ari. 1123 c.c. - non può obbligare i singoli condomini se non nei limiti della rispettiva quota. 2.5 Riepilogando, ritenuto che, la solidarietà passiva, in linea di principio, esige la sussistenza non soltanto della pluralità dei debitori e della identica causa dell’obbligazione, ma altresì della indivisibilità della prestazione comune; che in mancanza di quest’ultimo requisito e in difetto di una espressa disposizione di legge, la intrinseca parziarietà della obbligazione prevale; considerato che l’obbligazione ascritta a tutti i condomini, ancorché comune, é divisibile, trattandosi di somma di danaro; che la solidarietà nel condominio non è contemplala da nessuna disposizione di legge e che l’art. 1123 cit, interpretato secondo il significato letterale e secondo il sistema in cui si inserisce, non distingue il profilo esterno e quello interno: rilevato, infine, che - in conformità con il difetto di struttura unitaria del condominio, la cui organizzazione non incide sulla titolarità individuale dei diritti, delle obbligazioni e della relativa responsabilità - l’amministratore vincola i singoli nei limiti delle sue attribuzioni e del mandato conferitogli in ragione delle quote: tutto ciò premesso, le obbligazioni e la susseguente responsabilità dei condomini sono governate dal criterio dalla parziarietà. Ai singoli si imputano, in proporzione alle rispettive quote, le obbligazioni assunte nel cosiddetto “interesse del condominio”, in relazione alle spese per la conservazione e per il godimento delle cose comuni dell’edificio, per la prestazione dei servizi nell’interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza.
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Pertanto, le obbligazioni dei condomini sono regolate da criteri consimili a quelli dettati dagli artt. 752 e 1295 cod. civ., per le obbligazioni ereditarie, secondo cui i coeredi concorrono al pagamento dei debiti ereditati in proporzione alle loro quote e l’obbligazione in solido di uno dei condebitori tra gli eredi si ripartisce in proporzione alle quote ereditarie. 2.6 Il contratto, stipulato dall’amministratore rappresentante, in nome e nell’interesse dei condomini rappresentati e nei limiti delle facoltà conferitegli, produce direttamente effetti nei confronti dei rappresentati. Conseguita nel processo la condanna dell’amministratore, quale rappresentante dei condomini, il creditore può procedere all’esecuzione individualmente nei confronti dei singoli, secondo la quota di ciascuno. Per concludere, la soluzione, prescelta secondo i rigorosi principi di diritto che regolano le obbligazioni contrattuali comuni con pluralità di soggetti passivi, appare adeguata alle esigenze di giustizia sostanziale emergenti dalla realtà economica e sociale del condominio negli edifici. Per la verità, la solidarietà avvantaggerebbe il creditore il quale, contrattando con l’amministratore del condominio, conosce la situazione della parte debitrice e può cautelarsi in vari modi; ma appare preferibile il criterio della parziarietà, che non costringe i debitori ad anticipare somme a volte rilevantissime in seguito alla scelta (inattesa) operata unilateralmente dal creditore. Allo stesso tempo, non si riscontrano ragioni di opportunità per posticipare la ripartizione del debito tra i condomini al tempo della rivalsa, piuttosto che attuarla al momento dell’adempimento.
Respinto il motivo principale, non merita accoglimento nessuno degli altri motivi di ricorso. Non il secondo ed il sesto. Stando alle disposizioni sul condominio (art. 67 disp. att. del resto in conformità con quanto stabilito per le spese gravanti sull’usufrutto dagli arti. 1004 e 1005 cod. civ.), fanno carico all’usufruttuario le spese attinenti all’ordinaria amministrazione ed al semplice godimento delle cose e dei servizi comuni, mentre le innovazioni, le ricostruzioni e le spese di manutenzione straordinaria competono al proprietario: ma le spese fanno capo all’usufruttuario limitatamente al tempo in cui egli è titolare del diritto reale su cosa altrui. Correttamente, perciò, la Corte d’Appello non ha considerato responsabile Ra.Al., in quanto l’usufrutto da lui era stato acquistato in epoca successiva alla data, in cui l’esecuzione dei lavori era stata commissionata ed eseguita. Non il terzo motivo, posto che il giudice del merito ha preso in esame la questione di diritto inerente alla controversia e ritenuta indispensabile per la decisione. Non il quarto ed il quinto motivo, in quanto la decisione sulle spese processuali è rimessa al giudice del merito, con il solo limite di non condannare la parte interamente vittoriosa. Avuto riguardo alla difficoltà della materia ed al contrasto esistente in giurisprudenza, si ravvisano i giusti motivi per compensare interamente tra le parti le spese processuali. P.Q.M. la Corte rigetta il ricorso e compensa le spese. Così deciso in Roma, il 4 marzo 2008. Depositato in Cancelleria l’8 aprile 2008
La foresta di Pietrapennata (da “La Calabria” - Editalia - Edizioni di Italia)
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L’USO DELLE PARTI COMUNI Identificazione e tipologie di Ivan Meo
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n corretto e rispettoso utilizzo delle parti comuni condominiali è sicuramente il presupposto essenziale per una corretta e pacifica convivenza. L’approfondita e circostanziata conoscenza delle norme del codice civile, inerenti l’utilizzo dei beni comuni, potrebbe evitare inutili e dispendiose controversie dinanzi il Tribunale. I principi regolatori della materia L’edificio condominiale si fonda essenzialmente sulla obiettiva situazione di fatto che alcune parti dell’edificio siano necessarie per l’esistenza o per l’uso di esso, ovvero siano destinate all’uso o al godimento comune da parte dei proprietari dei piani o delle porzioni di piano. L’art. 1117 cod. civ. fa una elencazione delle cose, degli impianti e dei servizi comuni, con un criterio unitario di classificazione. La norma del codice, contenendo una elencazione esemplificatoria, conferma che la proprietà comune sussiste ogni qualvolta tra le cose, gli impianti e i servizi comuni e le unità immobiliari in proprietà solitaria si rinviene il collegamento, materiale, funzionale contrassegnato dalla relazione di accessorietà (Cass., sent. n. 4350/2000). In questo senso, la sussistenza di un condominio deriva da due presupposti: - uno strutturale, per cui delle parti comuni che servano tutti i diversi piani o porzione di piano; - e un altro soggettivo, per cui vi sia più di un titolare.1 Quindi uno degli elementi connotativi del condominio è costituito dal rapporto tra proprietà individuale e proprietà comune. Infatti, i condomini sono contestualmente proprietari sia delle singole unità abitative allocate all’interno dell’edificio condominiale sia di tutte quelle parti dell’edificio nelle quali si concretizza l’essenza dello stesso condominio. Il legislatore ha identificato ed elencato espressamente nell’art. 1117 cod. civ. le parti comuni dell’edificio che possono essere oggetto di proprietà comune dei diversi condomini salvo che non risultino una loro proprietà esclusiva. Il condomino ha diritto di usare le cose comuni in quanto è proprietario esclusivo di un piano o di una porzione di piano. Esiste, dunque, una stretta connessione tra la proprietà singola e il diritto di partecipare al godimento dei beni comuni. Tale rapporto di accessorietà tra beni comuni e beni in proprietà singola risulta rafforzato dalla espressa previsione della irrilevanza della rinunzia al diritto sulle cose comuni ai fini della partecipazione alle spese (art. 1118, comma 2, cod. civ.) nonché della normale indivisibilità della cosa comune. Dalla lettura del disposto codicistico possiamo suddividere le parti comuni in quattro sottocategorie:
1. le parti necessarie alle sussistenze dell‘edificio, denominate anche beni comuni necessari, parti comuni interne o parti strutturali (suolo, muri, fondazioni): 2. le parti strumentali all’utilizzo del condominio, denominate anche beni comuni di pertinenza (locali per la portineria, lavanderia, di installazioni di impianti comuni); 3. opere e impianti che servono all’uso o al godimento delle parti comuni, denominati anche beni comuni accessori (ascensori, fognature, pozzi); 4. le cosiddette parti accessorie eventuali che sono tutte quelle facenti parte dell’edificio non tassativamente elencate nell’elencazione dell’art 1117 cod civ., che partecipano al regime di condominialità purché siano destinate all’uso o al godimento di tutti i condomini.2 Passando all’analisi del successivo art. 1118 cod. civ., si nota come dal contenuto della norma nulla si prevede circa l’uso delle cose comuni da parte del condomino. Tale problematica si può invece rinvenire dall‘art. 1102 cod. civ., il quale opera il rinvio dell’art. 1139 cod. civ., che prevede che ciascun partecipante alla comunione può servirsi della cosa purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri di farne uso secondo il loro diritto. Egli può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il maggior godimento della cosa.3 L’uso della cosa comune da parte di ciascun partecipante è sottoposto, dall’art. 1102 cod. civ., a due limiti fondamentali: divieto di alterare la destinazione della cosa comune - ricorre tale situazione quando il condomino modifica le cose comuni in modo tale da rendere impossibile o, comunque, pregiudicare in modo apprezzabile la funzione originaria delle parti comuni. In questo caso è un limite che agisce direttamente sulla cosa e per tali motivi riguarda un aspetto esclusivamente oggettivo in quanto il suddetto divieto mira a evitare che il bene venga distolto dalla sua funzione concreta e originaria; divieto di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto4 - tale situazione si verifica nel caso in cui il singolo condomino, con determinati atti, compromette e impedisce agli altri di trarre la stessa utilità dal bene comune. In questo caso il limite ha natura soggettiva in quanto si impedisce ai comproprietari di servirsi della cosa comune. Con questi due divieti il legislatore ha inteso tutelare le esigenze di vita dei condomini correlando il più ampio uso della cosa comune a un rapporto di equilibrio con i diritti dei singoli condomini. L’articolo in esame, inoltre, prevede due tipologie di limiti: - limiti interni - il condomino può trarre dalla cosa comune
1. In argomento si vedano tra gli altri: S. Miranda, / beni in comune. Regime giuridico delle partì comuni in condominio, Napoli, 2004, pag. 48. C. Bisogni G. Sabeone, / beni comuni e il toro utilizzo, in collana “Condominio”, diretta da R. Redivo, Padova, 1993, pagg. 101 e segg.; P.C. Misto (a cura di), Le parti comuni, l’utilizzo, le tabella millesimali, Vo. I, // condominio - Casi e questioni, Torino, 2005, pagg. 117 e segg. 2. In questa categoria rientrano gli spiazzi, le strisce di terreno, le rampe di accesso, i portici e i marciapiedi, gli spazi verdi, ovvero tutte quelle parti in cui viene costruito il fabbricato condominiale. Rispetto a esse sono sorte delle problematiche sul principio di identificazioni giuridica che è stato autorevolmente risolto dalla dottrina: cfr. in tal senso Visco A., Problemi giuridici attuali sul condominio degli edifici, Milano, 1966, pag. 3, secondo cui in base al principio della pertinenza si verifica una relazione fra le due cose, una delle quali, pur conservando la propria individualità, ha un carattere di accessorietà rispetto all’altra, che assume posizione principale. In giurisprudenza nella stessa ottica interpretativa si veda Cass. n. 1406/1960 3. Branca, “Comunione, condominio negli edifici”, in Commentario del codice civile Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1982, p. 398. 4. La valutazione della legittimità di un uso particolare va verificato dal giudice in base al confronto tra uso diverso e destinazione possibile della cosa (Cass. n. 4135/2001; Cass. n. 8886/2000; Cass. n. 11520/1999).
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Condominio tutte le utilità che la stessa è in grado di fornire e apportarvi a sue spese quelle modificazioni suscettibili del migliore godimento di essa (Cass., sent. n. 172/1993; Trib. Milano, sent. n. 9456/1996); - limiti esterni - l’uso della cosa comune trova la sua giustificazione nell’ambito della proprietà condominiale, al di fuori del quale non ha più ragione d’essere (Cass., sent. n. 11138/1994 e n. 15390/2000). Le diverse tipologie di uso del bene comune A seconda della conformazione e strutturazione architettonica dei singoli beni comuni all’interno dei diversi edifici condominiali, si possono verificare diverse tipologie di uso di seguito elencate. Uso normale, promiscuo o collettivo Caratteristica principale del bene comune è quello del godimento collettivo qualora le caratteristiche lo consentano. In tale senso si parla di cd. “uso promiscuo” in quanto il condomino usa una parte comune in condizioni di parità con gli altri partecipanti, senza l’esecuzione di alcun intervento modificativo del bene e tramite facoltà conformi alla sua destinazione attuale (per esempio, transito pedonale e con mezzi nel piazzale condominiale, uso delle scale, utilizzo del giardino ecc.). Uso più intenso L’uso più intenso può consistere nell’esercizio di facoltà più ampie nel contenuto o con un loro esercizio più frequente rispetto al godimento degli altri condomini, oppure può consistere in
n. 3-4/ 2008 una modificazione della consistenza del bene comune o la realizzazione di un passo carraio tra un fondo di proprietà esclusiva e la strada comune. Uso frazionato I condomini procedono a un frazionamento del bene comune attribuendo a ciascuno una parte su cui esercitare il proprio godimento. Attraverso tale soluzione, ferma restando la comproprietà da parte del singolo su tutto il bene comune, quest’ultimo viene diviso materialmente, assegnando a ciascuno il godimento di una parte soltanto, per esempio, delimitando con apposite strisce le aree di parcheggio del cortile. Uso turnario I condomini possono servirsi del bene anche a turnazione, cioè solo per un periodo determinato di tempo, in quanto idoneo a consentire il godimento diretto di tutti i condomini in caso d’incapienza dei beni. I turni possono essere fissati dal regolamento o dall’assemblea. La suddivisione viene effettuata in base ai limiti temporali del godimento della cosa comune solo nella ipotesi in cui essa non sia idonea a soddisfare contemporaneamente, per le sue caratteristiche funzionali, le esigenze di tutti i condomini. Uso indiretto Rappresenta un’alternativa all’uso promiscuo della cosa comune. Presupposto essenziale per l’applicazione di tale uso indiretto è l’indivisibilità della cosa comune da cui scaturisce il potere dell’assemblea a deliberare su tale utilizzo. La forma più frequente di uso indiretto è la locazione della cosa (vedasi locali, box ecc.)
La giurisprudenza Uso più intenso Cass. n. 8830/2003: “l’apertura di due porte su muri comuni per mettere in comunicazione l’unità immobiliare in proprietà esclusiva di un condomino con il garage comune rientra pur sempre nell’ambito del concetto di uso più intenso del bene comune”. Trib. Nocera Inferiore 7.11.1996: “L’utilizzo di un canale di scolo comune da parte di uno dei comunisti, per effetto dell’incremento del deflusso delle acque piovane provenienti dalla copertura di una serra, aveva provocato l’allagamento dei fondi degli altri partecipanti”. Cass. n. 1529/1977: “L’allacciamento di nuovi scarichi, che venga eseguito dal singolo partecipante, nella colonna condominiale di smaltimento delle acque luride configura un uso più intenso”. Uso frazionato Cass. n. 5085/2006: “L’utilizzazione della cosa comune o di una sua porzione da parte di uno o di alcuni dei partecipanti deve ritenersi legittima solo nel caso in cui sia attuata in esecuzione di uno specifico accordo concluso tra tutti i titolari del diritto”. Cass. n. 8429/2006: “L’uso frazionato della cosa a favore di uno dei comproprietari intanto può essere consentito per accordo fra i partecipanti in quanto l’utilizzazione, concessa nel rispetto dei limiti stabiliti dall’art. 1102 cc, rientri tra quelle cui è destinato il bene e non alteri od ostacoli il godimento degli altri comunisti, trovando l’utilizzazione da parte di ciascun comproprietario un limite nella concorrente ed analoga facoltà degli altri. Pertanto, qualora la cosa comune sia alterata o addirittura sottratta definitivamente alla possibilità di godimento collettivo, nei termini funzionali originariamente praticati, non si rientra più nell‘ambito dell’uso frazionato consentito ma nell’appropriazione di parte della cosa comune, per legittimare la quale è necessario il consenso negoziale di tutti i partecipanti che -trattandosi di beni immobili - deve essere espresso in forma scritta ad substantiam”. Uso Turnario Cass. n. 13036/1991: “Se la natura del bene di proprietà comune non ne permette un simultaneo godi mento da parte di tutti i comproprietari, l’uso comune può realizzarsi o in maniera indiretta oppure mediante avvicendamento, ma fino a quando non vi sia richiesta di un uso ternario da parte degli altri comproprietari, il semplice godimento esclusivo ad opera di taluni non può assumere la idoneità a produrre un qualche pregiudizio in danno di coloro che abbiano mostrato acquiescenza all’altrui uso esclusivo, salvo che non risulti provato che i comproprietari che hanno avuto l’uso esclusivo del bene ne abbiano tratto anche un vantaggio patrimoniale”. Cass. n. 243/1981: “Nell’ipotesi di comunione dell’acqua di un pozzo la cui distribuzione ai comproprietari avvenga per turni distinti, al fine della configurabilità dell’abuso della cosa comune non si richiede che, per effetto dell’impiego di specifici mezzi da parte di un comunista, vi sia un effettivo aumento del flusso d’acqua a suo vantaggio e una corrispondente riduzione della disponibilità dell’acqua da parte degli altri partecipanti alla comunione durante i loro turni. Infatti, l’essenza stessa del turno richiede che nel corso del suo svolgimento il comunista che ne beneficia abbia l’esclusività del potere di disposizione della cosa, senza che vi sia sostanziale interferenza degli altri compartecipi con mezzi e strumenti che ne facciano venire meno l’avvicendamento nel godimento o indicano alla incertezza del suo avverarsi”.
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Uso indiretto Trib. Napoli 22.11.2002: “Qualora non sia possibile l’uso diretto della cosa comune da parte di tutti i partecipanti alla comunione proporzionalmente alla quota di ciascuno, ovvero promiscuamente, oppure con sistemi di turni temporali o frazionamenti degli spazi, l’uso indiretto della cosa comune (nella specie, mediante locazione in favore degli stessi comproprietari o solo ove residuati a terzi dimoranti) può essere deliberato dall’assemblea dei condomini a maggioranza (ovvero disposto dal giudice ex art. 1105 comma ultimo c.c.), costituendo l’indivisibilità del godimento o l’impossibilità dell’uso diretto il presupposto per l’insorgenza del potere assembleare circa l’uso indiretto”. Cass. n. 312/1982: “L’uso indiretto della cosa comune (nella specie mediante locazione) incidendo sulla estensione del diritto reale che ciascun comunista possiede sull’intero bene indiviso, può essere disposto dal giudice o deliberato dall’assemblea dei condomini a maggioranza, soltanto quando non sia possibile o ragionevole l’uso promiscuo, sempre-ché la cosa comune non consenta una divisione, sia pure approssimativa, del godimento. L’indivisibilità del godimento costituisce il presupposto per l’insorgenza del potere assembleare circa l’uso indiretto onde la deliberazione che adotta l’uso indiretto senza che ne ricorrano le condizioni è nulla, quale che sia la maggioranza, salvo che ricorra l’unanimità”. «Consulente Immobiliare»
È AMMESSA LA TETTOIA NEL CORTILE di Maurizio de Tilla
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a costruzione da parte di uno dei condomini di una tettoia a copertura di alcuni posti auto collocati all’interno della sua proprietà non contraddice le norme che regolamentano l’uso delle cose comuni. E questo neppure se la tettoia è ancorata al muro perimetrale comune, a patto che la costruzione non contrasti con la destinazione del muro e non impedisca agli altri condomini di utilizzarlo secondo la sua destinazione. In questo senso si e pronunciata la Corte di cassazione con la sentenza n. 7143 del 17 marzo 2008. Poco dopo è seguita una pronuncia del Tribunale di Bologna (n. 1386 del 9 giugno 2008), che ha fissato un principio analogo: il diritto dei condomini di appoggiare al muro perimetrale condominiale una tettoia e i supporti per tenda è compatibile con il loro obbligo di arrestare il nuovo manufatto ad almeno tre metri dalla soglia. I principi Le due decisioni vanno inquadrate nell’ambito dei principi generali che riguardano l’uso dei beni comuni. In linea generale, ciascun condomino ha diritto di trarre dal bene comune un’utilità maggiore e più intensa di quella che ne viene tratta dagli altri condomini, purché non venga alterata la destinazione del bene o compromesso il “diritto al pari uso” da parte di questi ultimi (diritto che va misurato in base all’uso potenziale e non all’uso concreto che gli altri condomini ne facciano in un certo momento). L’articolo 1102 del Codice civile - che regola l’uso delle cose comuni - ha l’obiettivo di assicurare al singolo partecipante le maggiori possibilità di godimento della cosa. E, di conseguenza, legittima ogni singolo proprietario a servirsi delle cose comuni anche per fini esclusivamente propri. Di qui la legitti-
mità dell’installazione di una tettoia o di una tenda parasole. Le modifiche Quanto all’alterazione o modifica della destinazione, che costituisce un limite all’uso delle cose comuni, la Cassazione ha stabilito un principio generale con la sentenza n. 1072 del 19 gennaio 2005: la cosa comune può essere utilizzata dal condomino anche in modo particolare, se ciò non altera l’equilibrio tra i possibili usi concorrenti - attuali o potenziali - degli altri comproprietari e non determina invasione nell’ambito dei loro diritti di utilizzo. In sintesi, si può affermare che in relazione alla normativa condominiale il termine “godimento” designa due differenti realtà: quella dell’utilizzazione oggettiva della cosa comune e quella del suo godimento soggettivo in senso proprio. Con la prima si intende l’utilità prodotta in favore delle unità immobiliari dall’unione materiale 0 dalla destinazione funzionale delle cose, degli impianti, dei servizi (suolo, fondazioni, muri maestri, tetti, lastrici solari, cortili). La seconda si concreta, invece, nell’uso delle parti comuni quale effetto dell’attività personale dei titolari dei piani o porzioni di piano (utilizzazione di anditi, stenditoi, ascensori, impianti centralizzati di riscaldamento e condizionamento). Sicurezza e decoro Per completare il quadro di applicazione della normativa civilistica va chiarito che gli interventi dei condomini, che rientrano nel normale uso della cosa comune, sono vietati se arrecano pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato o ne alterano il decoro architettonico. «Il Sole 24Ore»
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I CONDIZIONATORI DI ARIA NEGLI EDIFICI IN CONDOMINIO di Pier Paolo Capponi
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’esame della disciplina da applicarsi ai condi zionatori di aria negli edifici in condominio può prendere inizio dalle previsioni contenute nel nuovo Regolamento Edilizio del Comune di Genova, entrato in vigore dal 23/4/2007, il quale all’art. 56 (intitolato “Aggetti e sporgenze fisse”) prevede, nel suo 6° comma, che “on è consentita la posa a sporgere o pensile al di fuori del filo del perimetro del muro di facciata su strade pubbliche, di apparecchiature di condizionamento ..omissis., salvo il caso di progettazione architettonica inserita nel prospetto, preventivamente approvata dal competente Ufficio comunale”. Nel comma successivo, il 7°, è scritto che “In caso di inottemperanza, sarà provveduto nei confronti dei proprietari a norma dell’art. 65, previa ingiunzione al ripristino “. Anche gli artt. 49 e 50 dello stesso Regolamento contengono previsioni in qualche modo riconducibili, seppure implicitamente, ai condizionatori di aria. L’ art. 49 (intitolato “Decoro degli spazi liberi”) prevede infatti, nel suo 1° comma, che “Le fronti degli edifici ..omissis., prospettanti su strade e spazi pubblici o aperti all’uso pubblico, devono essere sistemati e mantenuti decorosamente. Deve in particolare essere preservato il carattere unitario delle facciate ..omissis.. . Ogni modifica ed ogni aggiunta ..omissis.. di altri elementi ..omissis., deve rispettare l’unità e l’armonia delle fronti e del contesto, senza provocare alterazioni antiestetiche”. L’art. 50 (intitolato “Conservazione e decoro degli edifici”) prevede ancora, nel suo 3° comma, che “I proprietari degli immobili devono rimuovere nel più breve tempo possibile tutti gli impianti ..omissis., che risultino in disuso o di cui comunque sia accertalo lo stato di abbando-
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no”; nel suo 4° comma che “Gli impianti tecnici ..omissis., da posizionare sui fronti degli edifici, sia pubblici che privati, devono essere posizionati nel rispetto delle linee architettoniche delle facciate, per quanto possibile sotto traccia, o sui fronti meno in vista dalle pubbliche visuali; nel suo 5° comma che “In occasione di interventi di manutenzione o di restauro delle facciate gli impianti tecnici esterni devono essere obbligatoriamente riordinati seguendo le disposizioni di cui ai precedenti commi 3 e 4; nel suo 6° comma che “In caso di inottemperanza, sarà provveduto nei confronti dei proprietari a norma dell’ art. 65, previa apposita ingiunzione a provvedere ..omissis.. L’ art. 65 (intitolato “Contravvenzione ad alcune disposizioni regolamentari”) nel suo 1 ° comma lettera u), prevede che “Sono soggette, ai sensi della legge 24/11/1981, n° 689 e successive modificazioni, alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro ..omissis., gli interventi non conformi al disposto regolamentare di cui ai commi ..omissis.. 6 dell’ art. 56 del presente Regolamento (n.d.r.: quello che vieta la posa in opera di condizionatori sporgenti rispetto al filo del perimetro dei muro di facciata su strade pubbliche) minimo Euro 170,00 massimo Euro 500,00”. Fatta sempre salva l’ingiunzione al ripristino. Quindi, riassumendo, può dirsi vietata ai sensi del Regolamento Edilizio del Comune di Genova l’installazione di impianti di condizionamento in aggetto rispetto al filo del perimetro del muro delle facciate che danno sulle strade pubbliche. Questa previsione fa riferimento all’installazione dei nuovi impianti di condizionamento. Per i vecchi impianti valgono le norme sul decoro degli edifici previste nel previgente regolamento, che sono poi le stesse previste da quello odierno (artt. 49 e 50 precitati) e che si riassumono nel rispetto delle lince architettoniche delle facciate degli edifici, soprattutto di quelle che danno sulle pubbliche vie. La disciplina codicistica, così come interpretata dalla giurisprudenza, è per certi versi più rigida, visto che si disinteressa del fatto che i condizionatori siano visibili dalla strada pubblica, vietandone P installazione anche nelle facciate non visibili dalle pubbliche visuali, purché essi però - come si vedrà - siano di dimensioni tali da alterare palesemente il decoro dell’ edificio. Il Tribunale di Milano, con la commentatissima - n.d.r.: a sproposito, come si vedrà qui di seguito - sentenza n° 179/2004, ha disposto la rimozione di un condizionatore installato su una facciata non esposta al pubblico “in quanto la legge tutela il diritto dei condomini a non dover subire alterazioni antiestetiche del proprio bene comune”. Commentata a sproposito - si è detto - perchè la stampa, evidentemente alla ricerca dell’articolo “ad effetto”, ha dedotto da questa sentenza il divieto, sempre e comunque, di installare condizionatoli in facciata, quand’anche essa non sia visibile dalla pubblica visuale, sottacendo che nella fattispecie si trattava in realtà di “un grosso compressore” collocato imme-
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n. 3-4/2008 diatamente sotto la finestra di un appartamento e sopra l’ingresso dell’edificio. Anche la Cassazione (sentenza n° 12343/2003) ha disposto la rimozione di un condizionatore collocato su una facciata non prospettante su strada pubblica, ma anche hi questo caso si trattava di un “mastodontico condizionatore”, installato nelle immediate vicinanze di alcune finestre. Non bisogna quindi generalizzare, ma esaminare il caso concreto, con la conseguenza che, a contrariis, un condizionatore di dimensioni comuni, lontano da finestre od altre aperture, può normalmente installarsi sulla facciata non visibile dalla pubblica via: specie quando non esistano altre possibilità di installazione. Vi sono però altre previsioni che potrebbero impedire l’installazione dei condizionatori anche sulla facciata non visibile dalla pubblica visuale: in particolare le previsioni che riguardano i rapporti di vicinato. La Cassazione (sentenza n° 12927/1991) ha ritenuto, in termini generali, che “la distanza di un metro dal confine che l’art. 889, secondo comma, ce. prescrive per l’installazione dei tubi dell’acqua, del gas e simili, si riferisce alle condutture che abbiano un flusso costante di sostanze liquide o gassose e, conseguentemente, comportino un permanente pericolo per il fondo del vicino, in relazione alla naturale possibilità di infiltrazioni. Detta norma - n.d.r.: in linea di massima più rigorosa - pertanto non è applicabile ..omissis., agli impianti di condizionamento d ‘ aria, che vanno soggetti alla regolamentazione di cui ali ‘ art. 890 ce. e quindi posti alla distanza che nel caso concreto risulti necessaria a preservare da pregiudizi il fondo vicino”‘. Accanto a tale previsione - si ripete - in linea di massima favorevole ai fini dell’ installazione, è però pacifico in giurisprudenza, a rendere la stessa più problematica, che gli impianti di condizionamento dell’ aria non devono essere rumorosi: in particolare il rumore che essi emettono non deve superare di tre decibel quello del cosiddetto rumore di fondo della zona, e cioè quel complesso di suoni, di origine varia e spesso non identificabile, continui e caratteristici della zona medesima (Trib. Como, sent. ir 871/1996; Pret. Taranto, ord. 19/11/1993; Pret. Taranto, sent. n° 327/1988, etc). Così come gli stessi condizionatori non devono provocare immissioni di calore, che superino la normale tollerabilità, negli immobili,
Condominio ivi compresi i balconi (normalmente negli immobili e balconi soprastanti, visto che il calore “sale”) o nei cortili e cavedi normalmente accessibili. I condomini, in questi casi, possono rivolgersi al giudice per ottenere la cessazione immediata delle immissioni ed il risarcimento del danno. L intollerabilità del rumore e del calore viene accertata da un consulente tecnico nominato dal giudice.
Le azioni possibili per ottenere la tutela dalle immissioni moleste sono di due tipi: quella risarcito-ria e quella inibitoria. La prima è ricondotta dalla giurisprudenza più recente (Cass. n° 8999/2005, Cass. n° 11915/2002, etc.) allo schema generale dell’art. 2043 ce. Quando si chiede il risarcimento del danno biologico e/o esistenziale, bisogna comunque darne la prova (sia del nesso causale - che il danno, cioè, derivi dalle immissioni, sia dell’ entità del danno stesso) non essendo quest’ ultimo dimostrabile come in re ipsa, e cioè come collegato in via presuntiva ad ogni forma di immissione illegittima (Corte di appello di Milano sent. del 29/1/2007; Corte di appello di Milano sent. n° 688/2003). L’azione inibitoria, secondo la prevalente giurisprudenza della Corte di Cassazione (criticata da una parte della dottrina), ha carattere di natura reale e rientra nel paradigma delle azioni negatone, predisposte a tutela della proprietà, le quali tendono a far dichiarare e sanzionare non soltanto la inesistenza di vere e proprie servitù vantate sul fondo dell’attore, ma anche a far accertare, in senso più ampio l’inesistenza di qualsiasi diritto nonché l’illegittimità di turbative o molestie in danno del fondo stesso. Al fine di ottenere la cessazione di queste ultime, l’azione deve ritenersi esperibile non soltanto nei confronti del proprietario dell’immobile da cui le immissioni derivano ma anche nei confronti dell‘autore delle stesse, e quindi anche del conduttore dell’ immobile. La presenza in causa del proprietario è necessaria quando non ci si limiti a chiedere la cessazione delle immissioni, ma l’adozione delle misure necessarie ad eliminarle, con la richiesta di adottare accorgimenti tecnici idonei ad impedire la prosecuzione dell’ illecito, se trattasi di modifiche strutturali di competenza esclusiva del proprietario. «Il geometra ligure»
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RISCALDAMENTO: ORARI ACCENSIONE E BENEFICI PER L’ACQUISTO DEL GAS
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li orari di accensione, i benefici per l’acquisto di gasolio e gas per il riscaldamento, le speciali aliquote d’accisa sul gas metano, i libretti di impianto e di cen-
trale. La progettazione, l’installazione, il periodo di esercizio e la manutenzione degli impianti termici degli edifici trovano la loro disciplina nel D.P.R. 412 del 26 agosto 1993 e successive modifiche e integrazioni. Il territorio nazionale è stato suddiviso in sei zone climatiche, con indicazione nella tabella A, allegata al D.P.R. di cui sopra, della zona alla quale appartiene ogni singolo comune. I comuni che non sono stati inseriti nella tabella anzidetta o nelle sue successive modificazioni e integrazioni sono disciplinati da apposito provvedimento del sindaco. La zona climatica di appartenenza indica in quale periodo e per quante ore è possibile accendere il riscaldamento negli edifici (tabella 1). I sindaci dei comuni possono ampliare, a fronte di comprovate esigenze, i periodi annuali di esercizio e la durata giornaliera di accensione dei riscaldamenti, dandone immediata notizia alla popolazione. Al di fuori di tali periodi, gli impianti termici possono essere attivati solo in presenza di situazioni climatiche che ne giustifichino l’esercizio e, comunque, con durata giornaliera non superiore alla metà di quella prevista a pieno regime. È, inoltre, consentito il frazionamento dell’orario giornaliero in due o più sezioni, con attivazione dell’impianto compresa tra le ore 5 e le ore 23. È essenziale conoscere la zona climatica di appartenenza del proprio comune, anche perché la legge dispone che l’amministratore o, in mancanza, il proprietario (o i proprietari) debba esporre presso ogni impianto centralizzato di riscaldamento al servizio di una pluralità di utenti una tabella dalla quale risultino il periodo annuale di esercizio, l’orario di attivazione giornaliera prescelto, le generalità e il domicilio del soggetto responsabile dell’impianto. Negli edifici adibiti a residenza e assimilabili, il limite della durata giornaliera di esercizio dell’impianto termico non si applica nei seguenti casi: 1. impianti termici che utilizzano calore proveniente da centrali di cogenerazione con produzione combinata di elettricità e calore;
2. impianti termici che utilizzano sistemi di riscaldamento di tipo a pannelli radianti incassati nell’opera muraria; 3. impianti termici centralizzati di qualsivoglia potenza, dotati di apparecchi per la produzione di calore aventi valori minimi di rendimento non inferiori a quelli richiesti per i generatori di calore installati dopo l’entrata in vigore del D.P.R. 412/1993 e dotati di gruppo termoregolatore pilotato da una sonda di rilevamento della temperatura esterna con programmatore che consenta la regolazione almeno su due livelli della temperatura ambientale nell’arco delle 24 ore, con taratura secondo i valori di legge; 4. impianti termici centralizzati di qualsivoglia potenza, dotati di apparecchi per la produzione di calore aventi valori minimi di rendimento non inferiori a quelli richiesti per i generatori di calore installati dopo l’entrata in vigore D.P.R. 412/1993 e nei quali sia installato e funzionante, in ogni singola unità immobiliare, un sistema di contabilizzazione del calore e un sistema di termoregolazione della temperatura ambiente dell’unità immobiliare stessa dotato di un programmatore che consenta la regolazione almeno su due livelli di detta temperatura nell’arco delle 24 ore; 5. impianti termici per singole unità immobiliari dotati di apparecchi per la produzione di calore aventi valori minimi di rendimento non inferiori a quelli richiesti per i generatori di calore installati dopo l’entrata in vigore del D.P.R. 412/1993 e dotati di un sistema di termoregolazione della temperatura ambiente con programmatore giornaliero che consenta la regolazione di detta temperatura almeno su due livelli nell’arco delle 24 ore nonché lo spegnimento del generatore di calore sulla base delle necessità dell’utente; 6. impianti termici condotti mediante “contratti di servizio energia” i cui corrispettivi siano essenzialmente correlati al raggiungimento del comfort ambientale nei limiti consentiti dal D.P.R. 412/1993, purché si provveda, durante le ore al di fuori della durata di attivazione degli impianti consentita dal decreto, ad attenuare la potenza erogata dall’impianto nei limiti indicati dallo stesso provvedimento. Benefici per l’acquisto di gasolio e gas Gli abitanti di determinate zone d’Italia (tabella 2) godono, in virtù di quanto stabilito dalla legge 448/1998, di una ridu-
Tab. 1 - Zone climatiche
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Tab. 2 - Elenco tipologie territori
zione (non inferiore alle vecchie 200 lire per litro, a cui si deve aggiungere - anche per l’anno 2007 - un’ulteriore riduzione minima di 50 lire) nell’acquisto di gasolio o di GPL destinato all’utilizzo dell’impianto di riscaldamento. Nelle isole minori e nella Sardegna la riduzione spetta anche per l’acquisto di GPL contenuto in bombole, sempre utilizzato esclusivamente per il riscaldamento. La riduzione del prezzo viene praticata direttamente dai fornitori di combustibile al momento della fatturazione, previa presentazione da parte degli aventi diritto di un’apposita dichiarazione sostituiva dell’atto di notorietà (l’Agenzia delle dogane ha specificato che i consumatori finali di GPL della Sardegna e delle isole minori non devono presentare alcun atto di notorietà) dalla quale si deve evincere anche l’ubicazione dell’impianto per il quale si acquista il gasolio o il GPL. Dal 1999 a oggi, il legislatore ha ampliato la categoria dei soggetti ammessi al beneficio anzidetto e lo ha anche esteso all’acquisto dei combustibili nelle frazioni parzialmente non metanizzate di comuni ricadenti nella zona climatica E, limitatamente a quelle parti individuate da apposita delibera del Consiglio comunale (beneficio concesso prima per gli anni 2002 e 2003 e poi di volta in volta prorogato fino al 31 dicembre 2007). Libretti di impianto e di centrale Dal 1° settembre 2003 sono cambiati i libretti di impianto e di centrale, vale a dire i documenti che tutti i proprietari di casa e i condomini sono tenuti ad avere con riferimento, rispettivamente, alle caldaie singole e centralizzate. Per gli impianti termici attivati prima del 1° settembre 2003, i libretti conformi ai precedenti modelli e già in uso devono essere conservati assieme ai nuovi libretti (previsti dal D.M. del 17 marzo 2003). Il libretto di impianto è previsto per gli impianti termici con potenza nominale inferiore a 35 kW e deve essere conservato presso l’unità immobiliare in cui è collocato l’impianto; il libretto di centrale riguarda gli impianti
termici con potenza nominale superiore o uguale a 35 kW e deve essere conservato presso l’edificio in cui è collocato l’impianto. Ambedue i libretti possono essere compilati e aggiornati anche tramite supporto informatico, ferma restando la necessità che ogni singolo libretto sia stampabile su carta. L’inosservanza dell’adempimento anzidetto comporta l’applicazione di una sanzione da un minimo di 516 euro a un massimo di 2.582 euro. I libretti di impianto e di centrale - che recano anche la normativa in materia da osservare e le istruzioni per la compilazione - sono reperibili presso le Associazioni territoriali della Confedilizia, presenti in tutti i capoluoghi di provincia e nei maggiori centri. Aggiornamento agli allegati F e G del D.P.R. 412 del 26 agosto 1993, recante norme per la progettazione, l’installazione, l’esercizio e la manutenzione degli impianti termici degli edifici, ai fini del contenimento dei consumi di energia D.M. attività produttive 17.3.2003 Art. 1 - Modelli di libretto di centrale e di libretto di impianto A partire dal 1° settembre 2003 gli impianti termici con potenza nominale superiore o uguale a 35 kW e gli impianti termici con potenza nominale inferiore a 35 kW devono essere muniti rispettivamente di un “libretto di centrale” conforme all’allegato I del presente decreto e di un “libretto di impianto” conforme all’allegato II al presente decreto. Per gli impianti esistenti alla data del 1° settembre 2003 i “libretti di centrale” ed i “libretti di impianto”, già compilati e conformi rispettivamente ai modelli riportati negli allegati F e G del decreto del Presidente della Repubblica 26 agosto 1993, n. 412, devono essere allegati ai libretti di impianto ed ai libretti di centrale di cui al comma 1 del presente articolo. (Omissis) «Consulente Immobiliare»
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CONDOMINO MOROSO, È DIFFAMANTE AFFIGGERE IL NOME IN BACHECA di Ettore Ditta
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on la sent. n. 13540/2008, la Corte di Cassazione penale ha deciso che sussiste il reato di diffamazione nel caso in cui un condomino affigga nella bacheca comune un cartello contenente l’informazione che un altro condomino non paga le spese per un servizio condominiale.
Con una recente sentenza la Corte di Cassazione penale (Sez. V, n. 13540, 31 marzo 2008) ha affrontato un aspetto particolare delle comunicazioni fra i condomini che non devono mai essere effettuate con modalità tali da poter pervenire a soggetti estranei al condominio, qualora siano anche solo potenzialmente offensive verso qualche condomino. Nel caso specifico un condomino aveva affisso all’interno della bacheca comune un cartello con il quale informava gli altri condomini di una condomina che si rifiutava di pagare la quota di sua pertinenza dell’acqua, specificando nome e cognome della persona in questione. Si deve tenere presente che il delitto di diffamazione è previsto, ai sensi dell’art. 595 cod. pen. in tutti i casi nei quali qualcuno offende l’altrui reputazione comunicando con più persone. L’interessata, ritenendo offesa la propria reputazione, aveva quindi presentato querela per diffamazione; ma il condomino imputato era stato assolto dal Giudice di pace. A seguito di appello presentato dalla parte civile, l’imputato era invece stato condannato dal Tribunale al risarcimento dei danni. Quindi il condomino condannato in appello aveva presentato ricorso per Cassazione, rilevando che era stato ritenuto sussistente il delitto pur mancando la prova certa che terzi potessero avere preso conoscenza della comunicazione affissa in bacheca. Ma la Corte ha respinto il ricorso, rilevando che sussiste la diffamazione nel caso in cui un comunicato, redatto all’esito di un’assemblea condominiale, col quale un condomino venga indicato come moroso nel pagamento delle spese, sia affisso in un luogo accessibile a un numero indeterminato di soggetti e non solo ai condomini dell’edificio per i quali può sussistere un interesse giuridicamente apprezzabile alla conoscenza dei fatti; infatti in tal caso il requisito della comunicazione con più persone si può ritenere presente automaticamente. La Corte, in proposito, ha specificamente richiamato una propria precedente sentenza emessa nell’anno 2007 sullo stesso argomento (Cass. pen., Sez. V, n. 35543, 18 settembre 2007) con la quale era stato deciso che la semplice affissione del contenuto del deliberato assembleare nella bacheca dell’immobile integra comunque - anche senza l’aggiunta di particolari commenti - l’elemento oggettivo del delitto di diffamazione, qualora nel verbale dell’assemblea siano contenute espressioni di forte censura nei confronti dei morosi; infatti la verità del fatto denigratorio non ne legittima sempre la diffusione nei confronti di terzi, dato che il requisito della rilevanza sociale - che, insieme con quello della continenza e della verità della notizia viene ritenuto dalla giurisprudenza indispensabile affinché la condotta denigratoria sia scriminata ai sensi dell’art. 51 cod. pen. (che prevede che l’esercizio di un diritto esclude la punibi-
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lità di un fatto) - deve essere parametrato all’ambito di un oggettivo e potenziale interesse della notizia stessa. Per questo motivo una notizia relativa alle vicende condominiali non deve fuoriuscire oltre il ristretto perimetro rappresentato dalla cerchia dei condomini ed, eventualmente, dei terzi che con il condominio sono in rapporti. Di conseguenza, se la censura relativa alla condotta dei condomini morosi e ai conseguenti provvedimenti assunti e da assumere rimane confinata nell’ambito condominiale (per esempio, mediante l’invio del verbale agli aventi diritto assenti oppure mediante l’affissione del comunicato in un ambiente accessibile solo ai condomini e non a terzi), la diffusione della relativa informazione è esclusa; ma nel caso in cui una simile notizia venga portata - mediante affissione nella bacheca collocata in luogo aperto a un numero indeterminato di persone - potenzialmente a conoscenza anche di soggetti nei cui confronti nessun valore funzionale essa può avere, sussiste l’elemento oggettivo del delitto di diffamazione, dal momento che non ricorre alcuna ragione socialmente valida per considerare scriminato il comportamento diffamatorio. In questo modo la Suprema Corte ha confermato il principio contenuto nella propria precedente decisione dell’anno scorso. Conviene notare che anche il Garante della riservatezza, ovviamente soltanto ai fini della tutela di quest’ultima, ha risolto la questione della liceità della diffusione di dati personali mediante l’affissione in una bacheca. Diffusione di dati relativi ai condomini Al di là dei profili meramente penali, infatti, anche il Garante della riservatezza - da ultimo con il provvedimento generale datato 18 giugno 2006 - si è occupato della corretta diffusione dei dati relativi ai condomini e ha riassunto come segue le regole previste dal nuovo Codice sulla protezione dei dati personali (D.Lgs. 96 del 30 giugno 2003, che ha preso il posto della precedente legge 675/1996). Con esclusione del caso in cui sia presente una causa giustificatrice (come il consenso dell’interessato o uno degli altri presupposti previsti all’art. 24 del Codice sulla protezione dei dati personali), è illecita la comunicazione a terzi di dati personali riferiti ai condomini, comunicazione che può avvenire mettendo a disposizione di terzi dati personali riportati nei prospetti contabili o dei verbali assembleari oppure consentendo la presenza nell’assemblea (il cui svolgimento può anche essere videoregistrato, ma soltanto previo consenso informato dei partecipanti) di soggetti che non sono legittimati a parteciparvi. È però ammessa la partecipazione all’assemblea di soggetti terzi (come tecnici o consulenti) al fine di trattare gli argomenti all’ordine del giorno per i quali i condomini ne ritengano necessaria la presenza, come è stato stabilito col provvedimento 19 maggio 2000. Può inoltre partecipare all’assemblea anche il conduttore di un immobile che si trova nel condominio, purché vi sia l’assenso dei condomini oppure siano presenti le condizioni previste da specifiche disposizioni normative (come avviene nel caso dell’art. 10 della legge 392 del 27 luglio 1978, sulla disciplina delle locazioni di immobili
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n. 3-4/2008 urbani, che ammette il conduttore a partecipare all’assemblea condominiale per quanto riguarda le sole decisioni sul condizionamento e sul riscaldamento dell’aria). Al contrario è illecito (perché viola anche il principio di proporzionalità) il trattamento che consiste nella diffusione di dati personali mediante l’affissione di avvisi di mora (o di solleciti di pagamento) in spazi condominiali accessibili al pubblico, perché tali informazioni possono venire a conoscenza di una serie indeterminata di soggetti durante tutto il tempo in cui l’avviso è visibile; l’esposizione di informazioni in luoghi simili deve contenere solo avvisi di carattere generale utili per una più efficace comunicazione di eventi di interesse comune, come avviene per le comunicazioni relative allo svolgimento dell’assemblea condominiale o per le comunicazioni urgenti aventi per oggetto anomalie nel funzionamento degli impianti; invece la trattazione di affari che comporti il trattamento di dati personali riferiti a condomini individuati specificatamente deve essere sempre rimessa a forme di comunicazione individualizzata oppure alla discussione nell’assemblea, come è stato affermato anche nella decisione 12 dicembre 2001. Infine si deve sempre tenere presente che devono essere adottate, eventualmente anche a cura dell’amministratore condominiale, idonee misure di sicurezza secondo quanto disposto dagli artt. 31 e segg. del Codice sulla protezione dei dati personali, al fine di prevenire comunicazioni e diffusioni illecite di dati personali. Le decisioni del Garante della riservatezza Per quanto riguarda le “decisioni” vere e proprie emesse dal Garante in relazione alla liceità dell’affissione di dati relativi ai condomini nell’androne condominiale oppure in una bacheca condominiale si devono ricordare due pronunzie. La prima, decisione del 23 ottobre 2000, riguarda l’affissione nell’androne condominiale di posizioni debitorie ed era stata originata dal ricorso presentato da un condomino nei confronti dell’ammini-
Le disposizioni del codice penale
stratore condominiale, il quale non aveva riscontrato l’istanza formulata ai sensi dell’art. 13 della legge 675/1996, volta a porre fine all’affissione nella bacheca situata nell’androne del palazzo di alcuni dati, di non dimostrata esattezza, relativi ad asserite posizioni debitorie del ricorrente nei confronti del condominio. Il Garante aveva quindi invitato l’amministratore, ai sensi dell’art. 20, comma 1, del D.P.R. 501/1998, ad aderire spontaneamente alle richieste dell’interessato e, dopo avere ricevuto la risposta dell’amministratore che comunicava che avrebbe rimosso subito l’elenco dei morosi che aveva affisso in bacheca per ricordare ai condomini la scadenza delle rate con il relativo importo, aveva dichiarato di non dare ulteriore corso al procedimento, senza entrare neppure nel merito della questione della liceità e della correttezza della divulgazione dei dati condominiali nella bacheca condominiale con riferimento alle attribuzioni dell’amministratore di condominio (art. 1130 cod. civ.) e al regolamento di condominio eventualmente esistente. La seconda pronunzia del Garante, decisione del 12 dicembre 2001, invece si riferisce proprio all’esposizione di dati personali esposti nella bacheca condominiale dall’amministratore condominiale; e il Garante ha affermato che «l’esposizione, in una bacheca condominiale posta in luogo accessibile anche ad estranei al condominio, dell’ordine del giorno di un’assemblea che riporti anche la situazione debitoria di singoli condomini», viola i principi di pertinenza e non eccedenza nella diffusione dei dati personali; e quindi il condomino interessato può agire per ottenere la rimozione dalla bacheca dei dati relativi alla propria morosità. Il Garante ha spiegato che l’esposizione dell’ordine del giorno dell’assemblea del condominio (in cui vengono riportati dati personali del condomino indicato come moroso) in un luogo dove può avere accesso un numero indeterminato di soggetti estranei al condominio realizza, ai sensi della legge 675/1996, una diffusione di dati personali; che il trattamento di simili dati da parte del condominio è, sul piano generale, lecito e può comportare anche una giustificata comunicazione di essi tra i soggetti interessati nell’ambito del condominio; che invece lo specifico trattamento di dati realizzato mediante un’esposizione in bacheca, relativamente a una presunta situazione di morosità, si pone in contrasto con i principi di pertinenza e di non eccedenza affermati dall’art. 9 della legge 675/1996; e che infatti l’esposizione di dati personali che riguardano i singoli condomini in luoghi aperti al passaggio di soggetti estranei deve essere limitata predisponendo gli avvisi, le convocazioni e gli ordini del giorno di cui si ritenga necessaria l’inserzione in bacheche condominiali in modo da inserirvi le sole informazioni necessarie per una più efficace comunicazione dell’evento, indicando eventuali dati personali relativi al merito delle singole questioni solo nell’ambito di documenti inviati ai singoli aventi diritto oppure all’interno della discussione comune. «Consulente Immobiliare»
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IL CODICE PENALE STRINGE SULL’AMMINISTRATORE di Maurizio de Tilla
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a caduta di tegole su un passante, la caduta di calcinacci dalle facciate, l’uso di combustibili privi di idonee caratteristiche, la tutela della salute e la sicurezza dei lavoratori, gli inadempimenti degli oneri contributivi. In tutti questi casi l’amministratore è penalmente responsabile. Dai compiti e dagli obblighi speciali degli amministratori, infatti, conseguono responsabilità anche di natura penale che si aggiungono alle responsabilità civili individuate dalla legge. Si va quindi sempre più delineando una figura di amministratore di condominio non più come semplice mandatario, bensì come esercente un ufficio di diritto privato, con compiti e responsabilità di natura pubblica, che travalicano la natura contrattuale del rapporto con i condomini. Nella decisione n. 25251/08 la Cassazione indica alcune disposizioni delle leggi speciali che impongono doveri e compiti all’amministratore: il decreto legislativo n. 112/2008 in materia di certificazione energetica; il Dlgs 37/1998 in tema di coibentazione; il Dpr 37/1998 sul certificato di prevenzione incendi e manutenzione degli impianti; il Dpr 162/1999 sulla manutenzione degli ascensori e sulle relative verifiche, certificazione Ce e tenuta del libretto di impianto; il Dlgs 81/2008 sulla durata dei lavori, rischiosità e idoneità delle imprese e verifica della redazione del piano di sicurezza. Quando è responsabile Alcune sentenze di Cassazione chiariscono quali siano gli obblighi giuridici dell’amministratore, come quello di rimuovere pericoli derivanti dalla minacciante rovina di parti comuni della costruzione o di altro tipo. L’amministratore è titolare ope legis, salvo diverse disposizioni statutarie o regolamentari, non solo del dovere di erogazione delle spese attinenti alla manutenzione ordinaria e alla conservazione delle parti e servizi comuni dell’edificio ma anche del potere di «ordinare lavori di manutenzione straordinaria che rivestano carattere urgente» con l’obbligo di «riferirne nella prima assemblea dei condomini» ai sensi dell’articolo 1135 comma 2 Codice civile. Viceversa, in caso di annegamento di un bimbo nella piscina condominiale in cui non era previsto il servizio di salvataggio, la piscina medesima integra comunque gli estremi della cosa peri-
colosa di cui all’articolo 2051 del Codice, la cui custodia deve espletarsi da parte di colui che abbia l’effettivo potere materiale sulla cosa che, nel caso del condominio, è il condominio medesimo e non l’amministratore condominiale. La sicurezza In tema di sicurezza nei luoghi di lavoro l’articolo 1,3° comma, Dlgs 19 settembre 1994, n. 626, integrato dal successivo Dlgs 19 marzo 1996, n. 242, interviene nell’ambito condominiale in modo diretto e differenziato. Si dice infatti che, nei riguardi dei lavoratori con rapporto contrattuale privato di portierato le norme si applicano nei casi espressamente previsti. Ai fini dell’assolvimento degli obblighi di informazione e formazione nei confronti dei lavoratori con rapporto contrattuale privato di portierato il datore di lavoro nei condomini va individuato nella persona dell’amministratore condominiale pro-tempore, mentre con la legge 27 febbraio 1998, n. 30 si sostiene, relativamente al condominio che la «locuzione portierato» oltre che ai portieri, si deve far riferimento anche a tutti i lavoratori subordinati che prestino la loro attività nell’ambito di un condominio, con mansioni affini a quelle dei portieri. Il riscaldamento In tema di riscaldamento si è ritenuto che fa capo all’amministratore del condominio l’obbligo, sanzionato penalmente, di denunciare al Comando provinciale dei vigili del fuoco il collaudo dell’impianto. Spetta all’amministratore del condominio provvedere a tutte le incombenze amministrative relative ai servizi comuni, compreso il riscaldamento centrale: sussiste dunque responsabilità penale dell’amministratore ove un impianto di riscaldamento di potenzialità superiore alle 30 mila Kcl/h non venga denunciato al Comando provinciale superiore dei vigili del fuoco e, anzi, venga posto in funzione senza che i vigili del fuoco abbiano provveduto al necessario collaudo. Sempre in tema di riscaldamento si è rilevata la responsabilità penale dell’amministratore di condominio che non abbia osservato il provvedimento con il quale il sindaco gli aveva ordinato, nell’interesse specifico di un condomino, di adottare gli opportuni accorgimenti al fine di ridurre l’intensità dei rumori dovuti all’impianto di riscaldamento.
Parti comuni Un caso di responsabilità dell’amministratore di condominio Può accadere che l’assemblea del condominio abbia deciso - con una delibera - l’effettuazione di un determinato intervento su alcune delle parti comuni dell’edificio condominiale che, però, l’amministratore per negligenza non provvede a effettuare. Si pone allora il problema se a tale inadempimento dell’amministratore (verso il gruppo dei condomini) possa essere ricollegata una responsabilità personale dell’amministratore verso il terzo che, a cagione di ciò, abbia subito un danno. A tale problema la giurisprudenza dà una risposta affermativa, qualificandosi la responsabilità come extracontrattuale. Da ciò l’affermazione che ben può configurarsi una responsabilità aquiliana dell’amministratore del condominio in relazione ai danni derivati dall’avere egli omesso di far riparare un bene dell’edificio condominiale così com’era previsto da una delibera dell’assemblea dei condomini. «Il Sole 24Ore»
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I CONDOMINI SONO «CONSUMATORI» Forniture. ei rapporti con le imprese è applicabile il Codice di tutela di Matteo Rezzonico
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l condominio - per quanto assimilato al consumatore nei rapporti con i fornitori per l’acquisto di beni o servizi - non può chiedere la risoluzione di un contratto se non come ultima spiaggia, se sono possibili altri rimedi (riparazione oppure sostituzione). Questo in sintesi il contenuto della sentenza n. 10854, emessa dal Tribunale di Milano lo scorso 7 agosto. Nel caso esaminato dal tribunale meneghino, un condominio aveva citato in giudizio un’impresa con cui aveva stipulato un contratto di fornitura di vetri per la facciata dell’edificio condominiale. Lamentava che, mentre nel contratto era stabilito che i vetri dovessero essere identici a quelli precedentemente forniti dalla stessa ditta al condominio, nella fase di montaggio ci si era accorti che i vetri erario diversi per qualità e spessore rispetto ai precedenti. Il condominio aveva pertanto chiesto la risoluzione del contratto per inadempimento della ditta fornitrice. Quest’ultima aveva però eccepito in causa la decadenza del condominio dall‘azione a norma dell’articolo 1495 del Codice civile, osservando che - dalla data di consegna dei vetri - era passato più di un anno senza che il condominio avanzasse alcuna critica sulla non conformità della merce. Il Tribunale, prima di entrare nel merito, ha voluto ribadire una volta di più che il condominio può essere qualificato come “consumatore”, richiamando le pronunce del Tribunale di Bologna (3 ottobre 2000) e del Giudice di pace di Genova (7 aprile 2006), cui si aggiunge anche la sentenza 10086/2001 della Cassazione 24 luglio 2001. Secondo questo orientamento giurisprudenziale, infatti, l’amministratore condominiale non agisce in qualità di organo del condominio, ma di mandatario con rappresentanza dei singoli condomini. Ed è in capo a questi ultimi che si consolidano le obbligazioni assunte dall’amministratore: ragione per cui, nei contratti tra fornitori e condominio, trova applicazione il Codice del consumo (Dlgs 206/2005). Ma essere consumatori non significa avere diritto al rimedio che più si preferisce (ad esempio alla risoluzione del contratto): infatti l’articolo 130 del Codice del consumo prevede -
in caso di non conformità del bene - una serie di rimedi elencati in ordine gerarchico. In particolare, ci sono i rimedi di carattere primario, che consistono nella riparazione (ripristino del bene di consumo per renderlo conforme al contratto) e nella sostituzione del bene (quando la riparazione non sia possibile). E poi ci sono rimedi di carattere secondario, che consistono nella riduzione del prezzo e nella risoluzione del contratto. Rimedi, questi ultimi due, invocabili soltanto se quelli di rango superiore sono impossibili o eccessivamente costosi, oppure il venditore non ha a provveduto alla riparazione o alla sostituzione entro un congruo termine, oppure ancora se la sostituzione o la riparazione effettuata hanno prodotto notevoli inconvenienti al consumatore. Nel caso specifico, il Tribunale ha rilevato che il condominio ha preteso di ottenere la risoluzione del contratto senza prima chiedere al venditore l’eventuale sostituzione del bene. E tutto questo solo molto tempo dopo la consegna e senza nemmeno offrire alla parte venditrice la restituzione del bene del quale la medesima parte acquirente assume la non conformità al contratto. Quindi la domanda di risoluzione proposta dal condominio è stata respinta. Sentenza n. 10854/2008 dei Tribunale di Milano La giurisprudenza di merito ha qualificato consumatore anche il condominio che stipula con una società di servizi attraverso l’amministratore condominiale, sulla scorta del rilievo perii quale quest’ultimo agisce come mero mandatario dei singoli e non quale organo del condominio. (...) Tra i rimedi concessi al consumatore, esiste un vero e proprio rapporto di gerarchia. Ci sono, infatti, i rimedi di carattere primario che consistono, appunto, nella riparazione e nella sostituzione e ci sono rimedi di carattere secondario che consistono nella riduzione del prezzo e nella risoluzione del contratto. Questi ultimi sono esperibili soltanto sei rimedi di rango superiore sono impossibili o eccessivamente onerosi.
PIÙ SPAZIO ALLA WEB-CAM NEI CONDOMINI La telecamera in cortile non è reato. Le zone condominiali non sono tutelate dalla privacy e chiunque può installare la propria webcam per difendersi dai ladri A patto che non vada a sbirciare oltre gli ingressi e le finestre degli appartamenti. Smentendo le conclusioni dei giudici del tribunale e della Corte d’appello, la V Sezione penale della Cassazione - con sentenza 44156/2008 - ha limitato l’applicazione delle norme sulla privacy, cancellando la condanna a nove mesi di reclusione e al risarcimento dei danni che era stata inflitta ad una famiglia di Rovereto che per difendersi dagli intrusi aveva installato due webcam sul balcone di casa propria e su un albero nel cortile. Le immagini potevano essere controllate via computer wi-fi o sul televisore. Ma l’iniziativa non era piaciuta ai vicini, che
avevano denunciato la famiglia per «illecita interferenza nella vita privata». Il tribunale di Rovereto prima e la Corte d’appello di Trento poi, nel maggio del 2007, avevano condannato la famiglia. Ma la Cassazione ha ribaltato le conclusioni dei giudici, evidenziando che le zone condominiali sono sostanzialmente aperte al pubblico. E anche le “pertinenze del domicilio” (vialetto d’accesso e porta dell’abitazione), se non sono protette dall’accesso del pubblico, non possono essere sotto la tutela del diritto alla riservatezza. Anzi, eventuali «manifestazioni di vita privata» in quelle aree sarebbero «realizzate inopinatamente». Ovvero, se si vogliono evitare sguardi (elettronici o meno) indiscreti, non ci si ferma nel cortile. «Il Sole 24Ore»
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LA NATURA GIURIDICA DEI REATI DI CUI AGLI ARTT. 93 E 94 T. U. EDILIZIA di Paolo Tanda
È
pacifico l’orientamento secondo cui il reato di violazione delle norme tecniche in materia di costruzioni in zone sismiche ha natura permanente e, ai fini della prescrizione, tale permanenza ha termine con la cessazione dei lavori di costruzione del manufatto: Cass., Sez. Un., 27 febbraio 2002 n. 17178, C. Diversa, invece, è la soluzione adottata per « reati di costruzione in zona sismica senza presentazione della denuncia dei lavori: tali reati, infatti, hanno natura istantanea ed il termine di prescrizione decorre dalla data di inizio dei lavori. Qualificare il reato come istantaneo o permanente è importante ai fini della prescrizione. In merito le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno risolto il contrasto in ordine alla natura delle contravvenzioni previste dagli artt. 83, 93, 94 e 95 t. u. n. 380 del 2001, riconoscendo la natura di reato istantaneo alle cc.dd. violazioni formali e la natura di reato permanente alle cc.dd. violazioni sostanziali, identificabili in quelle attività edificatorie non autorizzate e destinate a protrarsi nel tempo: Cass., Sez. Un., 14 luglio 1999, L., in Foro it., 79. Anche la Corte costituzionale è intervenuta in merito alla natura del reato di cui agli artt. 3 e 20 l. n. 64 del 1974, essendo stata sollevata questione di legittimità dell’art. 20 1. cit. in relazione agli artt. 2 e 32 Cost. da Pret. Messina, 15 gennaio 1981, in Foro it., 1982, II, 174, secondo cui la mancata prensione da parte del legislatore della natura permanente del reato determinerebbe di fatto l’impunità dell’illecito in esime. La Consulta (sent. 17 dicembre 1987 n. 520, 1988, in Giur. it., 1, 1270) ha dichiarato inammissibile la questione evidenziando che la definizione del carattere permanente o istantaneo del reato non può dipendere da una espressa qualificazione del legislatore, ma deve discendere dall’interpretazione del giudice il quale, solo se accerta che la lesione dell’interesse protetto è collegata ad una condotta perdurante nel tempo nella sua tipicità, può attribuire natura permanente al reato. Come detto, è stato sancito che il reato di violazione delle norme tecniche in materia di costruzioni in zone sismiche (artt. 83 e 95 t. u.) ha natura permanente e, ai fini della prescrizione, la permanenza deve intendersi terminata con la cessazione dell’offesa all’interesse protetto e, quindi, col termine dei lavori del manufatto: Cass., Sez. Un., 14 luglio 1999, L., in Foro it., 73 ss. Il problema più delicato risolto dalle Sezioni unite è quello relativo al dies a quo della cessazione della permanenza e, quindi, all’inizio della decorrenza del termine di prescrizione. Secondo l’orientamento maggioritario la permanenza del reato cessa quando il soggetto agente porta a termine l’attività di costruzione o, comunque, la sospende per decisione autonoma o per l’intervento dell’autorità: conseguentemente, ogni eventuale ripresa dell’attività deve essere autonomamente contestata all’agente: Cass. pen., Sez. III, 22 aprile 1998, G., in Foro it. Rep. 1998, voce Edilizia e urbanistica, n. 908; Cass. pen., Sez. III, 22 settembre 1995, D., in Foro it. Rep. 1996, n. 622; Cass. pen., Sez. III, 12 ottobre 1995, B., ibid., n. 783. Invece, un orientamento minoritario ritiene che la permanenza si protragga nel tempo fino a che la difformità della costruzione
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rispetto alla normativa non venga rimossa: infatti, solo con la rimozione di tale difformità si porrebbe termine all’offesa recata all’interesse tutelato, identificato nella pubblica e privata incolumità: Cass. pen., Sez. III, 27 maggio 1998, D.; Cass. pen., Sez. III, 21 febbraio 1997, V. La sopraindicata pronuncia delle Sezioni Unite aderisce apertamente al primo dei due succitati orientamenti, in quanto, ritenere che la trasgressione si protragga indefinitamente nel tempo finché l’agente non si decida — a lavori già iniziati — ad adempiere l’obbligo impostogli, significa violare il principio di legalità di cui all’art. 25, comma 2, Cost. in particolare, secondo le Sezioni Unite l’orientamento minoritario sia nell’ipotesi dell’art. 83 sia in quelle degli artt. 93 e 94 « richiede all’agente un “controagire”, ovvero di rimuovere la situazione antigiuridica provocata dal suo agire: affermazione questa che evoca la concezione ed. bifasica del reato permanente. La nozione « bifasica », difatti, imposta la condotta del reato permanente su due tempi: il primo di aggressione dell’interesse tutelato, ed il secondo di rimozione di tale illiceità. Il giudizio di riprovevolezza, per la violazione della norma incriminatrice, concerne, perciò, entrambe le fasi della condotta. Come è noto, detta concezione « bifasica », al pari di quella « pluralista », è stata da tempo abbandonata in dottrina ed in giurisprudenza, essendo stata privilegiata la nozione unitaria del reato permanente»: così Cass., Sez. Un., 14 luglio 1999, L., in Foro it., 78. Nello stesso senso Cass., Sez. Un., 13 luglio 1998, M.; Cass., Sez. Un., 28 aprile 1999, P. Anche la dottrina più moderna e la giurisprudenza della Corte costituzionale (26 novembre 1987 n. 520, in Cons. St., 1987, II, 1846) sono nel senso di ritenere che il reato permanente trova caratterizzazione nel tipo di condotta e nella correlazione di questa con l’offesa all’interesse protetto: la durata, cioè, dell’offesa è espressa da una contestuale duratura condotta colpevole dell’agente. E ciò sempre sulla base della precisa descrizione che fa di entrambe la norma. Va detto, inoltre, che non esiste, una volta esaurita l’attività costruttiva, alcun obbligo sanzionato penalmente di eliminare l’irregolarità: la normativa antisismica consente, infatti, al giudice o alla p.a. di ordinare la demolizione del manufatto: Cass. pen., Sez. III, 25 maggio 1994, R., in Foro it. Rep. 1995, voce Prescrizione penale, n. 14. Contro Cass. pen., Sez. III, 27 maggio 1998, D., id., Rep. 1998, voce Edilizia urbanistica, n. 907. La sentenza CORTE DI CASSAZIONE, Sez. III, 21 gennaio 2008, n. 3069 — Pres. PAPA — Est. ONORATO — P.M. (ill.) — M. Abusi edilizi - Reati -Tipologia - Costruzioni in zona sismica - Reati previsti dagli artt. 93 e 94 del d.p.r. n. 380 del 2001 - Natura - Reati permanenti. Le fattispecie di cui agli artt. 93 e 94 d.p.r. n. 380 del 2001 configurano dei reati «permanenti»: tale permanenza sussiste, per il primo (art. 93), sino a quando chi intraprende un lavoro edile in zona sismica non presenta la relativa denuncia con l’allegato progetto ovvero non termina il lavoro medesimo e, per il secondo (art. 94), sino a quando chi intraprende il lavoro edile in zona sismica lo termina ovvero ottiene la relativa autorizzazione.
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n. 3-4/2008 (Omissis). — 5. Ma il problema più delicato sollevato nel ricorso attiene alla natura permanente o istantanea dei reati contestati, e quindi alla individuazione del momento da cui inizia a decorrere il tempo per la prescrizione dei reati stessi (v. n. 2.2). Nel caso di specie, se i reati avessero natura istantanea e si consumassero al momento di inizio dei lavori, essi sarebbero già prescritti solo se l’inizio dei lavori si potesse collocare prima del 5 dicembre 2004 (calcolando il termine prescrizionale massimo di tre anni ai sensi degli artt. 157 n. 6 e 160, ultimo comma c.p., nel testo previgente, non potendosi applicare il testo novellato dall’art. 6 della 1. 5 dicembre 2005 n. 251, che per le contravvenzioni punite con la sola ammenda prevede una disciplina più sfavorevole per l’imputato). Orbene, in linea di fatto, appare poco verosimile che lavori così modesti come la costruzione di tre muri di contenimento a gradoni (delle dimensioni di m 0,90 x 2,30 x 0,66; m 0,45 x 2,37 x 0,37; m 2,30 x 0,20 x 1,50), che erano ancora in corso alla data del 26 aprile 2005, fossero iniziati prima del dicembre 2004. Ma poiché non si può escludere il dubbio che i lavori fossero iniziati anche prima di questa data e fossero stati magari interrotti e poi ripresi in data prossima al 26 aprile 2005, diventa rilevante accertare se i reati avessero natura permanente e potessero così sfuggire alla estinzione per prescrizione. 6. Su questo punto — ad avviso del collegio — non può condividersi la pronuncia ormai risalente delle Sezioni Unite, la quale, risolvendo un contrasto giurisprudenziale esistente nella soggetta materia, ha statuito che « i reati previsti dagli artt. 17, 18 e 20 della l. n. 64 del 1974 (provvedimenti per le costruzioni con particolari prescrizioni per le zone sismiche) e consistenti nella omissione della presentazione della denuncia dei lavori e dell’avviso dell’inizio dei lavori, hanno natura istantanea» (Sez. Un. n. 18 del 14 luglio 1999, P.M. in proc. L., rv. 213933). Com’è noto, le norme degli artt. 17, 18 e 20 della 1. n. 64 del 1974 sono state trasfuse negli artt. 93, 94 e 95 del t. u. approvato con d.p.r. n. 380 del 2001, le quali prevedono che: a) nelle zone sismiche, chiunque intenda procedere a interventi edilizi è tenuto a darne preavviso scritto allo sportello unico (che provvede a trasmetterne copia al competente ufficio tecnico della Regione), presentando apposita domanda e allegando il progetto dei lavori con relazione tecnica (art. 93); b) nelle stesse zone sismiche, ad eccezione di quelle a bassa sismicità specificamente determinate, i lavori edilizi non possono essere iniziati senza preventiva autorizzazione scritta del competente ufficio tecnico della Regione (art. 94); c) chiunque non osserva le disposizioni precedenti è punito con l’ammenda da euro 206 a euro 10.329 (art. 95). Le Sezioni Unite mettono in evidenza che, in base all’art. 20 della 1. 10 dicembre 1981 n. 741 (snellimento di procedure di cui alla 1. 2 febbraio 1974 n. 64) le regioni italiane hanno generalmente sostituito la predetta autorizzazione con la denuncia di inizio attività, in tal modo passando da un sistema di controllo preventivo (permissivo) a un sistema di controllo successivo. 6.1. Occorre anzitutto precisare che il presupposto di questo ragiona mento non è dato per tutte le Regioni italiane. Ad esempio, per quanto riguarda la disciplina vigente nella Regione Calabria, che è quella applicabile al caso concreto, è vero che attualmente l’art. 5 della l.r. 27 aprile 1998 n. 7, come modificato dall’art. 30, comma 2, della l.r. 11 maggio 2007 n. 9, sostituisce l’autorizzazione con una semplice dichiarazione di inizio attività per tutte le opere che non siano di rilevante interesse pubblico. Ma è altrettanto vero che al tempo del fatto contestato all’imputato vigeva il testo non ancora novellato, che prevedeva solo controlli successivi col metodo a campione, ma non aboliva la necessità dell’autorizzazione preventiva: e ciò in perfetta continuità normativa con la precedente disciplina dettata dall’art. 5 della previgente l.r. 11 luglio 1994 n. 17. Peraltro, il passaggio da un sistema di autorizzazione preventiva a un si-
Edilizia e urbanistica stema di controllo successivo, attraverso l’istituto della dichiarazione o denuncia di inizio attività — ove realizzato — non sembra decisivo al fine di determinare la natura istantanea o permanente dei reati in oggetto. 6.2. Ciò che infatti non appare condivisibile nella sentenza Lauriola è la logica che sottende tutto il ragionamento e che è applicabile sia ai sistemi fondati sull’autorizzazione preventiva sia a quelli basati sul controllo successivo all‘inizio dei lavori. Questa logica finisce per confondere il criterio della persistenza dell’offesa del bene giuridico tutelato, connessa alla persistenza della condotta, che governa la distinzione tra reati permanenti e reati istantanei, col diverso criterio desunto dalla apertura formale di un procedimento amministrativo e comunque dalla possibilità di un controllo postumo, attivate dall’adempimento tardivo del contravventore. In realtà, la persistenza della condotta antigiuridica e la connessa protrazione della lesione all’interesse pubblico di vigilare sulla regolarità tecnica di ogni costruzione in zona sismica, sussistono anche se (anzi proprio perché) l’amministrazione competente non ha aperto un procedimento formale o non ha attivato alcun controllo. Più specificamente, il reato di cui agli artt. 93 e 95 d.p.r. n. 380 del 2001 permane sino a quando chi intraprende un lavoro edile in zona sismica non presenta la denuncia del lavoro con l’allegato progetto, ovvero non termina il lavoro medesimo. Sino a questo momento, infatti, persiste la lesione o l’offesa al bene giuridico protetto, perché il competente ufficio tecnico regionale — non essendo informato dei lavori — non è messo in grado di controllarne la conformità alle norme tecniche stabilite al riguardo. Per la stessa ragione, sino a questo momento persiste il carattere antigiuridico della condotta mista (commissiva/omissiva) del contravventore, il quale potrà farla cessare solo interrompendo i lavori o presentando la denuncia anche dopo l’inizio dei medesimi. In altri termini, secondo un argomento spesso utilizzato nella soggetta materia, attesa la ratio della norma, il dovere di agire imposto dall’art. 93 perdura nel tempo anche dopo l’inizio dei lavori, benché cominci a essere vincolante prima di tale inizio. Il reato di cui agli artt. 94 e 95 d.p.r. n. 380 del 2001, invece, permane sino a quando chi intraprende un lavoro edile in zona sismica (che non sia di bassa sismicità) termina il lavoro ovvero ottiene la relativa autorizzazione. Sino a questo momento, infatti, persiste il carattere antigiuridico della condotta commissiva del contravventore, che prosegue lavori non autorizzati. Così come perdura la lesione dell’interesse pubblico ad esercitare un preventivo controllo, perché il competente ufficio tecnico regionale non è messo in grado di verificare la conformità dei lavori alle norme tecniche di sicurezza stabilite per le zone sismiche di media o alta intensità. Ove poi la legislazione ragionale (ma non è il caso di specie) abbia sostituito la necessità dell’autorizzazione preventiva con l’obbligo della dichiarazione di inizio attività, la struttura del reato in parola viene a sovrapporsi perfettamente a quella del reato di cui all’art. 93, perché in entrambi i casi la condotta imposta è semplicemente quella di denunciare l’inizio dei lavori, che potranno essere continuati, anche senza una formale autorizzazione, sino a che non intervenga un provvedimento inibitorio o sospensorio dell’autorità amministrativa competente. In conclusione, atteso che sono istantanei solo quei reati in cui la condotta tipica esaurisce la lesione del bene tutelato, e sono permanenti quelli in cui la condotta volontaria del soggetto protrae nel tempo la lesione del bene, i reati di cui agli artt. 93, 94 e 95 d.p.r. n. 380 del 2001 devono ritenersi permanenti nel senso anzidetto. Il collegio aderisce così a un orientamento giurisprudenziale che è stato molto consistente sino all’intervento della sentenza Lauriola (v. da ultimo Cass., Sez. Ili, n. 7873 del 19 marzo 1999, P.M. inproc. Guerra, rv. 214501). (Omissis).
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LE ULTIME IN MATERIA DI ICI di Antonio Piccolo
L
’Ici sulle abitazioni principali è stata abolita definitivamente. Con la conversione del D.L. 93 del 27 maggio 2008, infatti, è legge dello Stato anche il regime di esenzione Ici previsto per l’unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto passivo.
L’art. 1 del D.L. 93/2008, recante “Disposizioni urgenti per salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie”, si occupa integralmente, anche nella versione modificata dalla legge di conversione (legge 126 del 24 luglio, pubblicata nella G.U. 174 del 26 luglio 2008), dell’esenzione Ici “prima casa”, nel senso di unità immobiliare adibita ad abitazione principale del contribuente. La nuova formulazione della norma si segnala per due rilevanti novità, la prima delle quali è l’introduzione, nel comma 2, della “delibera comunale”. In tal modo il legislatore ha inteso disporre (retroattivamente) l’estensione del regime di esenzione alle abitazioni assimilate a quella principale dal comune competente con deliberazione vigente alla data del 29 maggio 2008 (entrata in vigore del D.L. 93/2008). L’altra novità d’interesse per i soggetti passivi è rappresentata da una sorta di minisanatoria, prevista dal comma 6-bis. Con questa novella il legislatore, con esclusivo riferimento alle fattispecie d’individuazione dell’abitazione principale, ha concesso ai contribuenti un tempo supplementare (30 giorni) per regolarizzare l’omesso o insufficiente versamento della prima rata dell’imposta dovuta per l’anno in corso (acconto Ici 2008), senza applicazione di alcuna sanzione. Abitazioni esenti L’esenzione dal pagamento dell’imposta, disposta a decorrere dall’anno 2008 (comma 1), riguarda l’unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto passivo. A norma del successivo comma 2, per unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto passivo deve intendersi quella considerata tale ai sensi del vigente D.Lgs. 504/1992. Come si ricorderà, l’art. 8, comma 2, primo periodo, del D.Lgs. 504/1992 stabilisce, fra l’altro, che per l’unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto passivo s’intende, salvo prova contraria, quella di residenza anagrafica. Il contribuente interessato può, quindi, dimostrare che la sua abitazione principale è un’unità immobiliare diversa da quella in cui ha la residenza anagrafica (vedi ris. n. 12/DF del 5 giugno 2008, par. 2 e ris. n. 218/E del 30 maggio 2008). Per espressa previsione della seconda parte del medesimo comma 2, il nuovo beneficio si applica anche alle abitazioni assimilate o equiparate a quella principale dal comune competente con regolamento o deliberazione vigente alla data del 29 maggio 2008. In un altro scritto avevamo già evidenziato che la quasi totalità delle amministrazioni comunali non implementa tempestivamente le disposizioni deliberate nei propri regolamenti. Si pensi, per esempio, al comune di Milano che avrebbe un regolamento Ici, in vigore dal 1° gennaio 2006, aggiornato con la delib. n. 50 del 31 marzo 2006, mentre già con deliberazione n. 13 del 7 marzo 2007 avrebbe assimilato (implicitamente) all’abitazione principale l’unità immobiliare
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adibita ad abitazione concessa in uso gratuito (comodato) al coniuge o a parenti e affini entro il 2° grado che la utilizzano come abitazione principale. A nostro parere, infatti, non sarebbe necessaria alcuna esplicita dichiarazione di assimilazione da parte del comune competente, essendo sufficiente l’attuazione della disposizione di cui all’art. 59, comma 1, lett. e), del D.Lgs. 446/1997 che contempla il concetto di “assimilazione”. La norma stabilisce ora con maggiore completezza il limite ai fini del riconoscimento dell’esenzione per le unità immobiliari equiparate o assimilate all’abitazione principale. Al riguardo non possiamo fare a meno di rimarcare che la locuzione “assimilate dal comune con regolamento o delibera comunale” comporta l’estensione del beneficio alle unità immobiliari considerate assimilate all’abitazione principale solamente dalla norma regolamentare e/o dalla deliberazione comunale (vigenti alla data del 29 maggio 2008), senza quindi la sussistenza di un’apposita norma di legge. Trattasi di fattispecie atipiche di assimilazione come, per esempio, quella relativa alle abitazioni possedute dal personale in servizio permanente delle Forze Armate (vedi ris. n. 4/DPF del 18 ottobre 2007). L’esenzione si applica, quindi, anche alle abitazioni principali assimilate dalla norma di legge o dalle norme regolamentari o deliberazioni comunali. Nell’ambito delle disposizioni legislative (D.Lgs. 504/1992), il comma 3 dell’art. 1 in esame richiama espressamente: la casa o ex casa coniugale del soggetto passivo che, a seguito di provvedimento di separazione legale, annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, non ne risulta assegnatario, a condizione che questi non sia proprietario o titolare di diritto reale su un fabbricato destinato ad abitazione principale ubicato nel medesimo comune ove è situata la casa stessa (art. 6, comma 3-bis); le unità immobiliari appartenenti alle cooperative edilizie a proprietà indivisa, adibite ad abitazione principale dei soci assegnatari (art. 8, comma 4, prima parte); gli alloggi regolarmente assegnati dagli Iacp (art. 8, comma 4, seconda parte) e dagli enti di edilizia residenziale pubblica, comunque denominati, aventi le medesime finalità degli Iacp. Nell’ottica delle fattispecie tipiche di assimilazione, consentite però con norme regolamentari o deliberazioni comunali, si segnalano altresì: le unità immobiliari possedute, a titolo di proprietà o di usufrutto, da anziani o disabili che acquisiscono la residenza in istituti di ricovero o sanitari a seguito di ricovero permamente, a condizione che le stesse non risultino concesse in locazione (art. 3, comma 56, della legge 662/1996); le abitazioni concesse in uso gratuito (comodato) a parenti in linea retta o collaterale, stabilendo il grado di parentela (art. 59, comma 1, lett. e), del D.Lgs. 446/1997). Si ricorda infine che l’esenzione dal pagamento dell’Ici per l’abitazione principale produce effetti anche nell’ambito della disciplina dell’imposta di scopo (Iscop), eventualmente istitu-
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n. 3-4/2008 tita ai sensi dell’art. 1, comma 145, della legge 296/2006 (Finanziaria 2007). Abitazioni imponibili Per espressa previsione della terza parte del citato comma 2, l’esenzione non riguarda le abitazioni principali classificate alle categorie catastali A/1 (abitazioni di tipo signorile), A/8 (abitazioni in ville) e A/9 (castelli, palazzi di eminenti pregi artistici o storici). Per queste unità immobiliari, se costituenti abitazioni principali (anche per assimilazione) dei contribuenti, continuano ad applicarsi l’aliquota ridotta e la detrazione d’imposta, quella minima di legge (103,29 euro) o quella aggiuntiva e maggiorata eventualmente deliberata dal comune competente ai sensi dell’art. 8, comma 3, del D.Lgs. 504/1992 e dell’art. 58, comma 3, del D.Lgs. 446/1997 (riduzione dell’imposta fino al 50%, incremento della detrazione di base fino a 258,23 euro o azzeramento dell’imposta dovuta). Sull’esclusione dall’agevolazione di queste abitazioni principali nutriamo qualche perplessità in ordine alla legittimità costituzionale della norma, la cui disposizione non ci appare completamente ragionevole. Il regime di esenzione non si applica né alle abitazioni diverse da quelle principali dei soggetti passivi né alle unità immobiliari concesse in locazione «con contratto registrato ad un soggetto che le utilizzi come abitazione principale» (art. 4, comma 1, D.L. 437/1996; vedi ris. n. 12/DF del 5 giugno 2008, par. 10). In quest’ultimo caso il nuovo beneficio non trova applicazione poiché non si configura un’ipotesi di assimilazione, a meno che questa non sia stata stabilita esplicitamente dal comune competente con norma regolamentare o deliberazione vigente alla data del 29 maggio 2008. Pertinenze Le pertinenze dell’abitazione principale non sono state richiamate neanche con l’ulteriore intervento del legislatore. Tuttavia l’omesso richiamo non costituisce un problema, dato che - come noto - alle pertinenze deve essere riservato il medesimo trattamento fiscale dell’abitazione principale (vedi circ. min. n. 3/FL del 7 marzo 2001). Del resto, come ribadito anche dall’Agenzia delle entrate (ris. n. 265/E del 26 giugno 2008 e n. 149/E dell’11 aprile 2008; vedi Comm. trib. secondo grado di Bolzano, Sez. III, sent. n. 18 del 1° giugno 2006), la sussistenza del vincolo pertinenziale presuppone l’esistenza dei seguenti requisiti: elemento soggettivo, consistente nella volontà manifestata dal proprietario del bene principale (o da chi è titolare di un diritto reale di godimento sul bene stesso) di creare un vincolo di strumentalità e di complementarità funzionale fra detto bene e un altro bene; elemento oggettivo, consistente nel destinare in modo durevole e attuale un bene a servizio o a ornamento di un bene principale ai fini del migliore uso di quest’ultimo. Questo perché anche ai fini dell’Ici la nozione di “pertinenza” è mutuata da quella prevista dall’art. 817 cod. civ. L’esenzione dal pagamento dell’imposta si estende quindi pacificamente alle pertinenze, ancorché distintamente iscritte in catasto e munite di autonoma rendita. Meno pacifica è invece la tesi ministeriale, ribadita nella suddetta ris. n. 12/DF del 5 giugno 2008 (par. 3), secondo cui le pertinenze dell’abitazione principale sono quelle che il regolamento (o la deliberazio-
Fisco ne) comunale considera come tali ai fini dell’Ici, dato che ciascun comune ha la possibilità di derogare alla disposizione del citato art. 817 cod. civ. A nostro parere, non sarebbe possibile, in virtù proprio dell’applicazione della nozione civilistica di “pertinenza”, limitare il numero delle pertinenze neanche per la loro tipologia. Cittadini italiani residenti all’estero L’ulteriore intervento legislativo non ha preso in considerazione neanche le abitazioni dei cittadini italiani non residenti nel territorio dello Stato. La loro esclusione dal regime di esenzione Ici rischia di alimentare il contenzioso tributario, peraltro già copioso in materia di Ici. A nostro parere, desta infatti qualche perplessità l’opinione, avvalorata anche dal Ministero dell’economia e delle finanze nella citata ris. n. 12/DF del 5 giugno 2008 [par. 6, lett. B)], secondo cui le abitazioni possedute nel territorio dello Stato dai cittadini italiani residenti all’estero -a titolo di proprietà o di usufrutto e non concesse in locazione - non rientrano nell’agevolazione in esame. Questo perché, prosegue il Ministero, la norma di favore non avrebbe ricompreso le unità immobiliari possedute dai cittadini italiani non residenti nel territorio dello Stato e le norme agevolative sono di stretta interpretazione, avendo natura speciale e derogatoria delle norme generali. Tuttavia, conclude l’autorevole interprete, le unità immobiliari abitative possedute da questi soggetti passivi possono rientrare nel nuovo beneficio nel caso in cui i regolamenti (o le deliberazioni) comunali, vigenti alla data del 29 maggio 2008, ne abbiano espressamente previsto l’assimilazione all’abitazione principale. Con tutto il rispetto per l’autorevolezza della fonte, l’esegesi sull’inapplicabilità dell’esenzione non appare molto convincente per una serie di ragioni. In primo luogo perché tali unità immobiliari abitative sarebbero attratte dalla nozione di “abitazione principale” di cui al vigente D.Lgs. 504/1992. A nostro avviso, si tratterebbe dunque di un’assimilazione ope legis, dal momento che l’art. 1, comma 4-ter, del D.L. 16/1993 (convertito, con modificazioni, dalla legge 75/1993) ha stabilito fra l’altro che ai fini dell’applicazione dell’art. 8, comma 2, del D.Lgs. 504/1992 per i cittadini italiani non residenti nel territorio dello Stato «si considera direttamente adibita ad abitazione principale l’unità immobiliare posseduta a titolo di proprietà o di usufrutto in Italia, a condizione che non risulti locata». Come si può notare, il tenore delle espressioni utilizzate dal legislatore non lascia dubbi sul fatto che si tratti di una disposizione avente una specifica funzione, come tale di carattere eccezionale, che è quella di considerare ai fini dell’Ici “abitazione principale” anche le unità immobiliari possedute dai cittadini italiani non residenti nel territorio dello Stato. In secondo luogo perché il medesimo Ministero ha fornito, a nostro parere senza valide giustificazioni, un’interpretazione opposta a quella (di favore) delineata nella precedente ris. n. 5/DPF del 15 febbraio 2008, concernente un’analoga norma agevolativa (art. 8, commi 2-bis e 2-ter, del D.Lgs. 504/1992, come novellato dall’art. 1, comma 5, della legge 244/2007) che pure non richiamava le unità immobiliari possedute dai cittadini italiani non residenti nel territorio dello Stato ai fini dell’applicabilità dell’ulteriore detrazione. In terzo e ultimo luogo perché l’esenzione dal pagamento dell’Ici opererebbe indipendentemente dalla sussistenza di un’apposita norma
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regolamentare o deliberazione comunale. Peraltro, non vi sarebbe alcuna norma specifica che attribuisca ai comuni una potestà regolamentare in tal senso. A nostro parere, infatti, neanche il famigerato art. 52, comma 1, del D.Lgs. 446/1997 consentirebbe al riguardo una disciplina regolamentare, dal momento che il suo primo periodo esclude la possibilità di intervenire in ordine - fra l’altro - “alla individuazione e definizione delle fattispecie imponibili”. In conclusione, nel confidare in una soluzione meno discriminatoria, non possiamo che ritenere irragionevole l’esclusione dal regime di esenzione Ici per le unità immobiliari possedute dai cittadini italiani non residenti nel territorio dello Stato, tranne che si tratti di unità concesse in locazione o unità appartenenti alle categorie catastali A/1, A/8 e A/9. Sanatoria e rimborso L’altra rilevante novità, come s’è detto, è la mini-sanatoria per i soggetti che sono caduti in errore nell’applicare la norma di favore. Il comma 6-bis dispone infatti che in sede di prima applicazione delle disposizioni agevolative e “con esclusivo riferimento alle fattispecie di cui al comma 2”, non si applica
alcuna sanzione in caso di omesso o insufficiente versamento dell’acconto Ici 2008, a condizione che il contribuente provveda a effettuare il pagamento entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione (ossia entro il 26 agosto). Nella profonda sostanza, in virtù del concetto di “assimilazione” adottato dal comune competente con regolamento o deliberazione, i soggetti che avrebbe dovuto versare l’imposta hanno un tempo supplementare per farlo, mentre coloro che erano esclusi dal pagamento potranno presentare (consegna o spedizione a mezzo posta in plico raccomandato senza busta) un’apposita istanza di rimborso ai sensi dell’art. 1, comma 164, della Finanziaria 2007 (a meno che il comune competente non abbia disciplinato le modalità di compensazione, come sancito dal comma 167), corredata dalla fotocopia del modello di versamento (bollettino postale o F24). Come si può notare, la mini-sanatoria non è completamente a titolo gratuito, dovendo il contribuente interessato corrispondere gli interessi di mora nella misura stabilita da ciascun comune impositore, ai sensi del comma 165 della medesima Finanziaria 2007 (vedi art. 1, comma 150, della legge 244/2007).
ICI: ALCUNE FATTISPECIE AGRICOLE di Antonio Piccolo
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opo avere trattato le novità introdotte dall’art 1 del D.L. 93/2008 (convertito, con modificazioni, dalla legge 126/2008), il cui comma 1 ha disposto, come noto, l’eliminazione dell’ICI sulle “abitazioni principali” ed eventuali pertinenze a decorrere dall’anno 2008 - a eccezione delle abitazioni appartenenti alle categorie catastali A/1, A/8 e A/9 - segnaliamo, con il presente scritto, quattro rilevanti vicende giurisprudenziali che hanno riguardato il settore agricolo. Fabbricati rurali Tutti i fabbricati qualificati come “rurali”, abitativi o strumentali, compresi quelli posseduti e utilizzati dalle cooperative agricole, devono essere assoggettati all’ICI, dato che l’art. 9 del D.L. 557/1993 (convertito, con modificazioni, dalla legge 133/1994) e le successive disposizioni modificative e integrative (art. 2 del D.P.R. 139/1998 e art. 42-bis del D.L. 159/2007 convertito, con modificazioni, dalla legge 222/2007) hanno influito (“a monte”) sui criteri della determinazione catastale e dell’attribuzione della rendita, ma non hanno sancito alcuna esenzione o esclusione dal pagamento del tributo comunale. Questo l’importante principio desumibile da una serie di pronunce depositate recentemente dalla Corte di Cassazione (Sezione tributaria). Con sent. n. 23596 del 15 settembre 2008, n. 20633 del 30 luglio 2008 e n. 15321 del 10 giugno 2008 (vedi circ. ANCI Emilia Romagna del 24 settembre 2008), infatti, i giudici del Pa-lazzaccio hanno ritenuto che il riconoscimento del carattere rurale delle costruzioni, destinate a edilizia abitativa o strumentali all’esercizio delle attività agri-
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cole, non ha determinato nessuna automatica né necessaria esclusione delle costruzioni stesse dall’ICI, come invece affermato nelle precedenti sent. n. 18853 del 27 settembre 2005 e n. 6884 del 1° aprile 2005. Questo perché, proseguono i giudici “con l’ermellino”, l’iscrizione nel catasto dei fabbricati di un’unità immobiliare costituisce, alla luce della disposizione di cui all’art. 1, comma 2, del D.Lgs. 504/1992, presupposto (necessario ma anche) sufficiente per la qualifica di tale unità come fabbricato ai fini dell’ICI e, quindi, per l’assoggettamento a imposizione di quell’immobile. Nella profonda sostanza, dunque, la ruralità di un fabbricato iscritto in catasto con attribuzione di autonoma rendita non esclude affatto l’assoggettamento del fabbricato stesso all’ICI (e ad altri connessi tributi). Come si può notare, il principio giurisprudenziale è dirompente e si pone in netto contrasto anche con la posizione già assunta dall’autorevole interprete, secondo cui l’imposizione non riguarda i fabbricati rurali in quanto i loro valori catastali sono potenzialmente compresi nei redditi dominicali dei relativi terreni (ex multis, Ag. territorio, circ. n. 7/T del 15 giugno 2007, par. 6; circ. min. n. 2037 del 6 febbraio 2001 e n. 50/E del 20 marzo 2000; in senso conforme, Cass., Sez. trib., sent. n. 16701 del 27 luglio 2007 e n. 7445 del 14 maggio 2003; Comm. trib. reg. Lazio, Sez. XI, sent. n. 129 dell’8 gennaio 2007, Comm. trib. prov. Treviso, Sez. IV, sent. n. 86 del 20 agosto 2007). Nel rinviare a un prossimo scritto l’approfondimento del delicato tema, segnaliamo che le istituzioni si sono impegnate a fornire uno specifico chiarimento (vedi interrogazione a risposta immediata n. 3-00163 dell’8 ottobre 2008) e che i fabbricati per i quali siano venuti meno i requisiti
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n. 3-4/2008 per il riconoscimento della ruralità dovevano essere dichiarati al catasto entro il 31 ottobre 2008 (art. 2, comma 38, del vigente D.L. 262/2006 convertito, con modificazioni, dalla legge 286/2006). Franchigia e riduzioni d’imposta Le agevolazioni stabilite dall’art. 9 del D.Lgs. 504/1992 spettano esclusivamente e nella misura integrale ai soggetti aventi diritto, vale a dire alle persone coltivatori diretti o imprenditori agricoli professionali che possiedono i terreni agricoli e li conducono direttamente (vedi Cass., Sez. trib., sent. n. 214 del 7 gennaio 2005; Comm. trib. reg. Emilia Romagna, Sez. IX, sent. n. 75 del 5 settembre 2005; Comm. trib. reg. Lazio, Sez. XXXVIII, sent. n. 68 del 20 giugno 2005). Di conseguenza, nel caso in cui un terreno agricolo risulti in comproprietà con un soggetto che non è né coltivatore diretto (o imprenditore agricolo professionale) né conduttore, i benefici (franchigia e riduzioni d’imposta) devono essere applicati per intero al contribuente conduttore del terreno, anziché limitatamente alla sua quota di proprietà, mentre l’imponibile va determinato con riferimento alla porzione di proprietà del contribuente stesso. Lo ha ribadito la Comm. trib. reg. Emilia Romagna (Sez. XVI) che, con sent. n. 14 del 14 gennaio 2008, depositata il 10 marzo 2008, ha rafforzato l’indirizzo delineato già dai supremi giudici di legittimità (Cass., Sez. trib., sent. n. 18384 del 13 settembre 2004 e n. 18085 dell’8 settembre 2004). Quindi, dopo la presa di posizione del “diritto vivente”, seguito dal parere adesivo dell’autorevole interprete (Ministero dell’economia e delle finanze, Dipartimento per le politiche fiscali, Ufficio federalismo fiscale, nota del 15 aprile 2005 prot. 26262/2004), i giudici tributari di merito hanno ribadito la tesi secondo cui le agevolazioni in esame hanno natura soggettiva e vanno quindi applicate per intero sull’imponibile calcolato in riferimento alla corrispondente quota di proprietà del soggetto passivo che coltiva direttamente il fondo (in senso conforme, Comm. trib. reg. Liguria, Sez. XI, sent. n. 46 del 7 maggio 2005). A nostro parere, la pregevolezza dei suddetti principi giurisprudenziali consiste nell’avere individuato che la norma scrutinata (art. 9, comma 2, primo periodo, del D.Lgs. 504/1992) è finalizzata ad agevolare il soggetto che, oltre a essere proprietario o titolare di un diritto reale di godimento sul terreno agricolo, esercita il potere di fatto sul terreno stesso, ai sensi dell’art. 1140 cod. civ., che nella fattispecie si manifesta nell’attività di conduzione agricola diretta dell’immobile. Tale norma, come si ricorderà, stabilisce ex-pressis verbis che, agli effetti dell’operatività della franchigia e delle riduzioni d’imposta, si assume il valore complessivo dei terreni condotti dal soggetto passivo, anche se ubicati sul territorio di più comuni, e che l’importo della detrazione e quelli sui quali si applicano le riduzioni sono ripartiti proporzionalmente ai valori dei singoli terreni e sono rapportati al periodo dell’anno durante il quale sussistono le condizioni prescritte e alle quote di possesso. Al riguardo si rammenta che anche il Ministero dell’economia e delle finanze ha ritenuto, nella citata nota del 15 aprile 2005, che se un terreno agricolo è posseduto e condotto da più soggetti passivi, i benefici spettano a ciascuno di loro proporzionalmente alla quota di proprietà dell’immobile. Qualora invece i soggetti passivi non siano tutti conduttori del fondo, i medesimi benefici si applicano per intero soltanto a coloro che possiedono i requisiti richiesti dalla norma (possesso e con-
Fisco duzione diretta del terreno agricolo) e vanno ripartiti in relazione alle quote di proprietà dei singoli contribuenti che coltivano il terreno, così come ove il comproprietario che coltiva il fondo fosse uno soltanto, a questi spettano per intero i benefici in questione. In conclusione, la determinazione dell’imposta con riferimento non alla quota di proprietà del coltivatore diretto o imprenditore agricolo professionale (IAP), bensì sul valore totale del fondo e l’attribuzione del diritto alla franchigia (pari a 25.822,84 euro) e alle riduzioni d’imposta sulla base del numero dei comproprietari, come continuano a sostenere diversi comuni imposi-tori, possono ben dare luogo fra l’altro a una palese disparità di trattamento tra i soggetti passivi. on edificabilità dei suoli La disposizione di cui all’art. 58, comma 2, del D.Lgs. 446/1997, avente natura innovativa (Corte cost., ord. n. 87 del 2 marzo 2005 e n. 336 del 7 novembre 2003; Cass., Sez. trib., sent. n. 19375 del 17 dicembre 2003) e non interpretativa (ris. n. 139/E del 25 agosto 1999), vale agli effetti dell’applicazione sia delle agevolazioni previste dall’art. 9 del D.Lgs. 504/1992 che della “finzione giuridica” di non edificabilità dei terreni stabilita dall’art. 2, comma 1, lett. b), secondo periodo, del medesimo D.Lgs. 504/1992. Il principio è desumibile dalla sent. n. 59 del 10 dicembre 2007, depositata il 14 gennaio 2008, con la quale la Comm. trib. reg. Piemonte (Sez. XXX) ha riformato la decisione dei primi giudici vercellesi. A seguito di un’apposita variante al piano regolatore generale (PRG), approvata nel corso del 1999, il comune di Quarona notificava a un contribuente tre distinti avvisi di accertamento e liquidazione dell’imposta relativa alle annualità 1999, 2000 e 2004. Le violazioni accertate sono state l’omessa presentazione della denuncia e il mancato pagamento dell’imposta dovuta su un terreno che, per effetto della variante al PRG approvata su richiesta del medesimo contribuente, rientrava nella nozione di “area fabbricabile” di cui al primo periodo del citato art. 2 del D.Lgs. 504/1992, come interpretato dall’art. 11-quaterdecies, comma 16, del D.L. 203/2005 (convertito, con modificazioni, dalla legge 248/2005) e dall’art. 36, comma 2, del D.L. 223/2006 (convertito, con modificazioni, dalla legge 248/2006; vedi Corte cost., ord. n. 226 del 10 luglio 2008 e n. 41 del 27 febbraio 2008; Cass., Sez. unite civili, sent. n. 25506 del 30 novembre 2006; Sez. trib., ex pluribus, sent. n. 16858 del 20 giugno 2008, n. 14706 del 4 giugno 2008 e n. 9619 dell’11 aprile 2008). Tali avvisi sono stati impugnati davanti alla Commissione tributaria provinciale di Vercelli che, preso atto in particolare della sussistenza del verbale di accertamento dell’IN-PS attestante la cancellazione dagli elenchi dei coltivatori diretti, ha respinto il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio. Insistendo sul fatto che il contribuente era coltivatore diretto e conduttore del proprio terreno per tutte le annualità d’imposta accertate, la pronuncia dei primi giudici veniva impugnata davanti ai supremi giudici tributari di merito. L’appellante, oltre a ribadire la sussistenza dei requisiti previsti per l’esenzione dal pagamento dell’imposta, ai sensi dei combinati disposti degli artt. 2, comma 1, lett. b), secondo periodo, e 9 del D.Lgs. 504/1992, con apposita memoria depositata nel corso del 2007 produceva attestazione dell’INPS con la quale l’Istituto in via di autotutela convalidava l’iscrizione di titolare dell’azienda diretto-coltivatrice e ripristi-
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Fisco nava dalla data di sospensione cautelare la pensione di categoria VR. Il Collegio regionale ha ritenuto fondata la doglianza sollevata dall’appellante e, quindi, l’ha accolta. Secondo i giudici tributari piemontesi, infatti, ai sensi della suddetta lett. b) dell’art. 2 il terreno in questione non può che essere considerato agricolo e, come tale, va sottoposto a imposizione solamente nella misura consentita dal successivo art. 9 del medesimo D.Lgs. 504/1992 (franchigia e riduzioni d’imposta). Regime di esenzione Per accedere al regime di esenzione di cui all’art. 7, comma 1, lett. a), del D.Lgs. 504/1992 è necessario possedere sia il requisito soggettivo che quello oggettivo. Per il primo il soggetto passivo deve essere un ente pubblico, per l’altro l’immobile deve essere destinato esclusivamente allo svolgimento di com-
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n. 3-4/ 2008 piti istituzionali. Pertanto, i terreni agricoli posseduti dalla regione Puglia, già di proprietà degli Enti regionali di sviluppo agricolo (ERSAP), non possono rientrare nella disposizione esonerativa in quanto non è stato provato che i terreni stessi siano direttamente e immediatamente adibiti ai compiti istituzionali dell’Ente. Lo ha stabilito la Commissione tributaria regionale Puglia (Sez. VII) che, con sent. n. 62 del 24 ottobre 2007, depositata il 23 gennaio 2008, ha rigettato l’appello della contribuente confermando quindi la decisione dei primi giudici baresi. Con sent. n. 171 del 19 giugno 2006 la Comm. trib. prov. Bari (Sez. XVII) aveva respinto il ricorso della regione proposto contro un avviso di accertamento, relativo all’annualità d’imposta 2000 notificato dal Comune di Andria. Secondo i giudici di prime cure, non sono stati riscontrati elementi che possano fare rientrare i terreni in questione nel regime di esen-
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n. 3-4/2008 zione, né la ricorrente ha fornito alcuna prova o indicazione sull’effettiva destinazione degli immobili ai prescritti compiti istituzionali. La contribuente ha proposto appello rimarcando: la normativa istitutiva degli enti di sviluppo agricolo, aventi finalità di gestione dei terreni della riforma fondiaria, poi trasformati in enti regionali di sviluppo agricolo; la L.R. 32/1977 istitutiva degli ERSAP, secondo cui dalla data di acquisto dei terreni da parte degli ex enti regionali e fino alla stipula degli atti di assegnazione e rivendita, gli assegnatari pagavano prima l’aliquota di conduzione e successivamente le rate di ammortamento sui finanziamenti ricevuti per l’acquisto dei terreni stessi. Di conseguenza, conclude l’appellante, gli immobili oggetto dell’avviso di accertamento non possono che essere considerati esclusivamente destinati ai compiti istituzionali dell’ente regione. Dal canto suo il comune ha ribadito che la norma prevede la sussistenza di due requisiti, quello soggettivo e quello oggettivo, e che spetta alla contribuente dimostrare di non rien-
trare nel regime di tassazione ordinario e, quindi, di trovarsi nelle condizioni agevolative (vedi Cass., Sez. trib., ex pluribus, sent. n. 21420 dell’1 1 ottobre 2007, n. 661 del 14 gennaio 2005 e n. 12084 del 1° luglio 2004). Secondo i supremi giudici tributari di merito, l’agevolazione non compete solo per l’appartenenza dei beni immobili ai soggetti elencati nella norma, ma è necessario altresì che i beni stessi siano direttamente e immediatamente adibiti a compiti istituzionali dei medesimi soggetti. L’elencazione da parte dell’appellante della normativa nazionale e regionale emanata all’indomani dell’entrata in vigore della riforma fondiaria che successivamente ha condotto all’istituzione degli Enti regionali di sviluppo agricolo, con finalità di gestione dei terreni della riforma stessa, non è sufficiente a dimostrare la destinazione degli immobili oggetto di accertamento ai compiti istituzionali della regione Puglia, così come richiesto dal legislatore (art. 7, comma 1, lett. a), del D.Lgs. 504/1992; vedi circ. n. 14/438 del 5 luglio 1993). «Consulente Immobiliare»
AGENZIA DEL TERRITORIO Risoluzione n. 2/2008 prot. n. 32237
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ffrancazione di usi civici - trattamento tributario delle formalità ipotecarie e catastali - Tasse ipotecarie e tributi speciali catastali
Sono pervenute alla Scrivente, da parte di taluni Comuni, alcune richieste di chiarimenti in ordine al corretto trattamento tributario applicabile alle formalità ipotecarie e catastali relative ad atti di affrancazione dei canoni relativi a terreni gravati da usi civici. Le predette Amministrazioni comunali ritengono che le formalità di cui trattasi possano essere eseguite in esenzione dalle tasse ipotecarie e dai tributi speciali catastali, in base a quanto previsto dalla disciplina di cui all’articolo unico della legge 15 maggio 1954, n. 2281, nonché dalle disposizioni contenute in alcune leggi regionali. In particolare, proprio con riferimento a quanto disposto dal predetto articolo unico, le amministrazioni comunali interessate osservano che le formalità ipotecarie e catastali richieste dal comune in materia di usi civici, potrebbero usufruire del regime di esenzione appena richiamato, posto che le tasse ipotecarie e i tributi speciali catastali sarebbero riconducibili nell’accezione “diritti e compensi” di cui allo stesso articolo unico. Ciò premesso, si evidenzia, innanzitutto, che il richiamo operato al regime di esenzione disciplinato dal citato articolo unico della legge n. 228 del 1954, appare sostanzialmente inconferente al caso di specie. Ed invero, sotto il profilo fiscale, la fattispecie segnalata appare integralmente riconducibile nella previsione dell’arti-
colo 2 della legge 1 dicembre 1981, n. 692, il quale dispone che le “Sentenze ordinanze e decreti di restituzione delle terre a comuni o associazioni agrarie, scioglimenti di promiscuità tra i detti enti, liquidazione di usi civici, legittimazioni, assegnazioni di terre e atti dei procedimenti previsti dalla legge 16 giugno 1927, n. 1766, e relativo regolamento di esecuzione...sono esenti da tasse di bollo e registro e da altre imposte.”. Si rammenta, peraltro, che questa Agenzia è già intervenuta sulla tematica con la Circolare n. 2 del 26 febbraio 2004, avente ad oggetto le modalità di trascrizione e il trattamento fiscale degli atti di affrancazione in materia di usi civici. In tale occasione, dopo aver evidenziato che l’istituto dell’affrancazione dai canoni per le terre gravate da usi civici può farsi rientrare “...tra gli atti dei procedimenti previsti dalla legge 16 giugno 1927, n. 1766, nonché dal relativo regolamento di esecuzione...”, è stato chiarito - in conformità al parere reso dall’Avvocatura Generale dello Stato con consultiva CS 2749/02 del 2004 - che il regime tributario esentativo disciplinato dal citato articolo 2 della legge 692/81 può ritenersi applicabile anche ai predetti atti di affrancazione. La richiamata Circolare n. 2/2004, peraltro, nel fornire i chiarimenti generali in tema di trattamento tributario dell’atto di affrancazione, non ha specificatamente affrontato la problematica connessa alla debenza o meno delle tasse ipotecarie e dei tributi speciali catastali dovuti per le formalità di trascrizione e voltura dei suddetti atti. In passato, sulla specifico tema, si era già espressa, in senso restrittivo, la Direzione Generale delle Tasse e Imposte
1 “Gli enti Regione, anche se a statuto autonomo, a decorrere dal 1° gennaio 1953, le Province, i Comuni e gli Enti di beneficenza, a decorrere dalla entrata in vigore della presente legge, sono esenti dal pagamento dei diritti e compensi di cui alla legge 17 luglio 1951, n. 575, e successive disposizioni legislative di proroga”.
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Fisco Indirette sugli Affari, la quale, con Risoluzione n. 271275 del 9 gennaio 1984 - facendo leva proprio (ed esclusivamente) sul tenore letterale dell’art. 2 della legge 692/81 - aveva affermato che “...ciò che esclude la possibilità di concedere il beneficio di cui all’art. 2 della legge 692/1981 alle trascrizioni degli atti in oggetto è il testuale riferimento di tale norma alle «Imposte» e non già alle «Tasse» di cui si discute.” (vale a dire alle tasse ipotecarie dovute per l’esecuzione delle formalità ipotecarie). Secondo altra prospettazione, tuttavia, la genericità stessa della locuzione utilizzata dalla predetta disposizione (“altre imposte”) potrebbe essere sintomatica della volontà del legislatore di riferirsi al termine “imposta” non nella sua accezione tecnica che la distingue, nel genus tributi, dalle tasse, ma in senso atecnico per indicare generalmente ogni forma di imposizione fiscale, ivi compresi le tasse ipotecarie e i tributi speciali catastali dovuti per l’esecuzione delle rispettive formalità. Ora, in considerazione della peculiarità della questione, nonché della limitata significatività della prassi amministrativa - peraltro di epoca piuttosto risalente - sin qui intervenuta sulla specifica tematica si è ritenuto opportuno procedere ad un approfondimento della problematica con l’Avvocatura Generale dello Stato. Riesaminata la questione anche alla luce degli ulteriori contributi forniti, il predetto Organo Legale, con consultiva CS 2749/02 del 2007, ha espresso l’avviso che non possa essere ritenuta condivisibile un’interpretazione restrittiva della disciplina agevolativa di cui alla legge 692/81. Ciò, proprio facendo leva sulle argomentazioni già svolte nel precedente, citato, parere (CS 2749/02 del 2004), circa l’utilizzo, nell’art. 2 della stessa legge 692/81, del termine “imposte”, non nella sua accezione tecnica, ma in senso onnicomprensivo per indicare, in linea generale, ogni forma di imposizione fiscale. Del resto, ad avviso dell’Avvocatura Generale, “...solo in questa ottica si conferisce un significato all’aggettivo <
> riferito nella norma al termine <> che rende palese che con l’accezione «altre imposte» il legislato-
n. 3-4/ 2008 re, non facendo espresso riferimento, per quel che concerne l’esenzione, unicamente alle <>, non può che avere inteso ogni altro tributo, oltre a quelli specificamente indicati”. In tale prospettiva, la normativa introdotta dal richiamato articolo 2, nel prevedere “...anche l’esenzione da <>...” sembra aver voluto “...in modo inequivoco, estendere l’ambito dell’agevolazione già prevista in modo circoscritto nella disciplina dettata dall’art. 40...” della legge 16 giugno 1927, n. 1766, riguardante il riordinamento degli usi civici nel Regno2. L’Organo Legale, inoltre, sotto il profilo della coerenza di tale indirizzo con il sistema complessivamente delineato, ha richiamato le osservazioni già in precedenza formulate da questa Agenzia con la Circolare n. 12/20053, seppure con specifico riferimento all’ambito di operatività dell’art. 17, secondo comma, del D.Lgs. 347/1990: “In tale circolare «in ossequio all’ineludibile necessità di assicurare unicità e organicità alla disciplina complessiva riguardante uno stesso tributo», si è ritenuto ... che ... l’uso del termine generico «imposte» nella forma plurale...avesse lo scopo di «individuare non tanto una particolare tipologia del tributo, quanto l’insieme dei tributi da corrispondere all’Ufficio dei registri immobiliari in sede di esecuzione delle formalità ipotecarie».“ Tanto premesso, alla luce delle considerazioni che precedono, nell’ottica di assicurare la citata organicità della disciplina complessiva di tributi in esame - salvaguardando sia la specificità della disciplina stessa che la coerenza del sistema nel quale essa si inserisce - può concludersi che l’esenzione prevista dal richiamato art. 2 della legge 692/81 possa essere riconosciuta anche con riferimento alle tasse ipotecarie ed ai tributi speciali catastali dovuti per l’esecuzione delle formalità di trascrizione e voltura degli atti di affrancazione di terreni gravati da usi civici. Gli Uffici Provinciali sono invitati al puntuale rispetto delle presenti indicazioni e le Direzioni Regionali a verificarne l’applicazione. Il direttore Mario Picardi
2 L’art. 40 della legge 1766 del 1927 prevedeva che tutti gli atti di procedura eseguiti d’ufficio nelle materie regolate dalla legge medesima, fossero esenti da “tasse di bollo e di registro” ed inoltre che i decreti, le sentenze, o le ordinanze di divisione, legittimazione e assegnazioni di terre fossero soggetti alla “tassa minima di registro”. 3 Con la quale venivano forniti chiarimenti in ordine dell’applicabilità o meno alla riscossione dei tributi speciali catastali del termine triennale di decadenza previsto dall’art. 76 del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, in virtù del rinvio operato dall’art. 13 del D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 347.
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MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE Risoluzione n.12/DF
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mposta comunale sugli immobili (Ici). Art. 1, del D. L. 27 maggio 2008, n. 93. Esenzione dell’unità immobiliare adibita ad abitazione principale dal soggetto passivo. Con l’art. 1, del D. L. 27 maggio 2008, n. 93 è stata disposta, come si legge dalla rubrica della norma, “l’esenzione Ici prima casa”. Nonostante l’utilizzazione, nel comma 1 dell’art. 1 in esame, della locuzione “esclusa dall’imposta comunale sugli immobili”, dalla lettura dell’intero articolato si evince che il reale intento del legislatore è stato quello di introdurre, a decorrere dall’anno 2008, una norma di esenzione a favore dell’unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto passivo. In base a detta disposizione i contribuenti che si trovano nelle condizioni previste dalla norma di favore e che saranno di seguito illustrate non sono tenuti a corrispondere l’Ici sull’abitazione principale già a decorrere dal versamento in acconto per l’anno 2008 che, ai sensi dell’art. 10, comma 2, del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, deve essere effettuato entro il prossimo 16 giugno. Conseguentemente i contribuenti che godono dell’esenzione in questione non devono compilare né il bollettino di conto corrente postale, né il modello F24. 1. Le condizioni per il riconoscimento dell’esenzione. L’esenzione deve essere riconosciuta a tutte le tipologie di immobili destinati ad abitazioni principale, ad eccezione di quelli appartenenti alle seguenti categorie catastali: A/1: abitazioni di tipo signorile; A/8: ville; A/9: castelli e palazzi eminenti. Per il riconoscimento dell’esenzione è necessario, quindi, che ricorrano, in linea generale, le seguenti condizioni: - la sussistenza della soggettività passiva in capo ad una persona fisica che possiede un immobile a titolo di proprietà o altro diritto reale; - l’iscrizione dell’immobile in una categoria catastale diversa da A/1, A/8 ed A/9; - la concreta destinazione dell’unità immobiliare ad abitazione principale da parte dello stesso soggetto. Queste condizioni debbono coesistere, in quanto la norma richiede che un particolare immobile si collochi in una posizione che lo relazioni da un lato ad un determinato soggetto e dall’altro ad un particolare scopo. E’ opportuno, però, sottolineare che, in virtù di specifiche previsioni della norma in esame, il regime di favore è stato esteso anche a fattispecie che prescindono dalla sussistenza di alcune delle condizioni innanzi elencate, come verrà di seguito evidenziato. 2. La definizione di abitazione principale. Per la definizione di abitazione principale il comma 2 dell’art. 1 in esame rinvia a quella contenuta nel D. Lgs. n. 504 del 1992, che disciplina il tributo.
In particolare occorre fare riferimento all’art. 8, comma 2, del D. Lgs. n. 504 del 1992, il quale stabilisce che per abitazione principale si intende quella nella quale il contribuente, che la possiede a titolo di proprietà, usufrutto o altro diritto reale, ed i suoi familiari dimorano abitualmente e che, a seguito delle modifiche apportate dall’art. 1, comma 173, lettera b), della legge 27 dicembre 2006, n. 296, si identifica, salvo prova contraria, con quella di residenza anagrafica. Quest’ultima norma ha introdotto, infatti, una presunzione relativa che legittima l’equiparazione tra dimora abituale e residenza anagrafica, a condizione che venga dato spazio alla prova contraria, che deve essere fornita dallo stesso contribuente, il quale deve dimostrare di aver fissato la propria abitazione principale in un immobile diverso da quello di residenza anagrafica. E’ opportuno sottolineare che il rinvio alle disposizioni concernenti l’abitazione principale deve ritenersi effettuato all’intera disciplina di tali immobili, circostanza che induce ad affermare che l’esenzione deve essere riconosciuta nei limiti in cui l’unità immobiliare è effettivamente destinata ad abitazione principale. Ciò comporta che se l’immobile è: adibito ad abitazione principale da più soggetti passivi, l’esenzione spetta a ciascuno di essi; di proprietà di tre soggetti, ma solamente due di essi lo hanno adibito ad abitazione principale, l’Ici continua ad essere dovuta da colui che non lo ha destinato a tale uso. Pertanto, a mero titolo esemplificativo, se A è proprietario dell’immobile per il 50%; B per il 30% e C per il 20%, ma esso è stato adibito ad abitazione principale soltanto da B e C, solo questi ultimi hanno diritto all’esenzione disposta dalla norma in esame, mentre A deve versare l’Ici calcolata sulla base della propria quota di possesso. Naturalmente nel caso in cui il contribuente trasferisca la propria abitazione principale nel corso dell’anno in un altro immobile, l’esenzione deve essere riconosciuta a ciascuna unità immobiliare proporzionalmente al periodo dell’anno in cui si protrae tale destinazione. Detto principio regola, del resto, l’intera disciplina delle esenzioni dall’Ici racchiuse nell’art. 7 del D. Lgs. n. 504 del 1992, il cui comma 2 stabilisce espressamente che “l’esenzione spetta per il periodo dell’anno durante il quale sussistono le condizioni prescritte” dalla legge. 3. Le pertinenze dell’abitazione principale. La norma di esenzione non menziona le pertinenze dell’abitazione principale, vale a dire gli immobili che, a norma dell’art. 817 del codice civile, sono destinati, dal proprietario della cosa principale o da chi ha un diritto reale sulla stessa, in modo durevole a suo servizio od ornamento. Il silenzio della legge è significativo, in quanto legittima di per sé l’estensione dell’esenzione in esame alle eventuali pertinenze dell’abitazione principale, anche se distintamente iscritte in catasto, dal momento che, in base all’art. 818 del codice civile, “gli atti e i rapporti giuridici che hanno per
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Fisco oggetto la cosa principale comprendono anche le pertinenze, se non è diversamente disposto”. E’ opportuno chiarire che le pertinenze sono esenti nei limiti eventualmente stabiliti nel regolamento comunale, poiché, come affermato dal Consiglio di Stato nel parere n. 1279/98 del 24 novembre 1998, la possibilità per i comuni di introdurre norme integrative o anche eventualmente derogatorie rispetto alle disposizioni generali del codice civile non si pone affatto in contraddizione con le stesse. Occorre, difatti, rilevare che il citato art. 818 del codice civile, nello stabilire che le pertinenze sono assoggettate allo stesso trattamento della cosa principale, lascia spazio ad una specifica deroga al criterio generale fissato dal precedente art. 817 ad opera di una norma positiva. E’ appena il caso di precisare che quanto sostenuto a proposito di trasferimento dell’abitazione principale nel corso dell’anno vale anche per le pertinenze. 4. Gli immobili assimilati alle abitazioni principali. L’esenzione va, inoltre, riconosciuta, come si legge nel comma 2 dell’art. 1 del D.L. n. 93 del 2008, a tutte le unità immobiliari che il comune, con regolamento vigente alla data di entrata in vigore del decreto, ha assimilato alle abitazioni principali. Nel concetto di “assimilazione” vanno ricomprese tutte le ipotesi in cui il comune, indipendentemente dalla dizione utilizzata, ha inteso estendere i benefici previsti per le abitazioni principali. La disposizione di favore opera indipendentemente dalla circostanza che il comune abbia assimilato dette abitazioni ai soli fini della detrazione e/o dell’aliquota agevolata, poiché la norma non effettua alcuna distinzione al riguardo, ma si sofferma esclusivamente sulla scelta adottata dal comune in ordine all’equiparazione delle unità immobiliari in questione alle abitazioni principali. Occorre sottolineare che il comma 2 dell’art. 1 della disposizione in esame fissa un preciso limite ai fini del riconoscimento dell’esenzione, costituito dal fatto che l’assimilazione deve essere contenuta nel regolamento comunale vigente alla data di entrata in vigore del decreto-legge e cioè il 29 maggio 2008. Pertanto, sono esclusi dal beneficio in parola quegli immobili che sono stati oggetto di assimilazione all’abitazione principale con regolamento divenuto esecutivo, ai sensi dell’art. 134 del D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, successivamente a detta data, indipendentemente dal fatto che, in virtù di quanto stabilito dal combinato disposto del comma 16 dell’art. 53 della legge 23 dicembre 2000, n. 388 e del comma 169 dell’art. 1 della legge n. 296 del 2006, gli effetti di tali provvedimenti retroagiscono alla data del 1° gennaio dell’anno di riferimento. È necessario precisare che, data la chiara finalità della norma di esenzione in commento, i comuni con regolamenti successivi alla data del 29 maggio 2008, non possono restringere le fattispecie di assimilazione già riconosciute nei precedenti regolamenti, poiché ciò contrasterebbe con la lettera della norma e comporterebbe un’illegittima limitazione di un diritto ormai acquisito dai soggetti passivi delle unità immobiliari assimilate all’abitazione principale di cui al comma 2 dell’art. 1 in esame.
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n. 3-4/ 2008 5. Le altre fattispecie di esenzione . L’esenzione dall’Ici è espressamente riconosciuta dal comma 3 dell’art. 1 del D. L. n. 93 del 2008 anche nei casi previsti: - dall’art. 6, comma 3-bis, del D. Lgs. n. 504 del 1992, concernente la disciplina della ex casa coniugale; - dall’art. 8, comma 4, del D. Lgs. n. 504 del 1992, relativo agli immobili delle cooperative edilizie a proprietà indivisa e degli istituti autonomi per le case popolari - Iciap. A) l’esenzione della ex casa coniugale. Il comma 3-bis dell’art. 6 del D. Lgs. n. 504 del 1992 stabilisce che “il soggetto passivo che, a seguito di provvedimento di separazione legale, annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, non risulta assegnatario della casa coniugale, determina l’imposta dovuta applicando l’aliquota deliberata dal comune per l’abitazione principale e le detrazioni di cui all’articolo 8, commi 2 e 2-bis, calcolate in proporzione alla quota posseduta. Le disposizioni del presente comma si applicano a condizione che il soggetto passivo non sia titolare del diritto di proprietà o di altro diritto reale su un immobile destinato ad abitazione situato nello stesso comune ove è ubicata la casa coniugale”. Naturalmente detta disposizione deve essere inquadrata nel contesto del nuovo regime di favore recato dalla norma in oggetto che estende esplicitamente al coniuge non assegnatario della ex casa coniugale il medesimo beneficio previsto per l’abitazione principale. Si deve innanzitutto precisare che l’esenzione dall’Ici opera solo ove ricorrano le condizioni prescritte dal comma 3-bis dell’art. 6, del D. Lgs. n. 504 del 1992, e cioè che il coniuge non assegnatario della casa coniugale “non sia titolare del diritto di proprietà o di altro diritto reale su un immobile destinato ad abitazione situato nello stesso comune ove è ubicata la casa coniugale”. È necessario sottolineare che, da un’attenta lettura della norma e dall’analisi della sua ratio ispiratrice, risulta che, pur in assenza di un esplicito riferimento, il legislatore, nel parlare di “immobile destinato ad abitazione”, ha inteso richiamarsi esclusivamente a quello utilizzato dal soggetto passivo come abitazione principale. Pertanto, se il coniuge non assegnatario possiede nello stesso comune di ubicazione dell’ex casa coniugale un’altra abitazione che ha, ad esempio, locato, e non può, quindi, utilizzarla come abitazione principale, l’esenzione Ici per la ex casa coniugale si rende comunque applicabile. Si precisa, inoltre, che il coniuge non assegnatario dell’ex casa coniugale può godere dell’esenzione dall’Ici per detta unità immobiliare anche nel caso in cui adibisca ad abitazione principale un immobile di cui è proprietario o sul quale esercita un altro diritto reale situato in un comune diverso da quello in cui è ubicata l’ex casa coniugale, giacché l’unica condizione posta a suo carico per usufruire del beneficio in questione è che egli non possieda un’abitazione principale “nello stesso comune ove è ubicata la casa coniugale”. In sostanza, al coniuge non assegnatario dell’ex casa coniugale deve essere accordata l’esenzione sia per quest’ultima e sia per l’unità immobiliare dove ha la sua residenza anagrafica, situata in un comune diverso da quello in cui è ubicata la ex casa coniugale.
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n. 3-4/2008 L’esenzione deve essere riconosciuta anche nel caso in cui il soggetto non assegnatario della casa coniugale abbia la propria abitazione principale presso un immobile, ubicato nello stesso comune ove è situata l’ex casa coniugale, di proprietà esclusiva di un familiare che glielo ha concesso in uso gratuito. In siffatta ipotesi, invero, si delineano due distinte situazioni giuridico-soggettive rilevanti ai fini dell’applicazione dell’Ici che devono essere valutate attentamente ai fini del riconoscimento dell’esenzione. Infatti, il coniuge non assegnatario dell’ex casa coniugale si trova nelle condizioni richieste dall’art. 6, comma 3-bis, del D. Lgs. n. 504 del 1992, in quanto l’immobile adibito ad abitazione principale non è di sua proprietà, né su di esso vanta alcun diritto reale e può, pertanto, godere dell’esenzione dall’Ici per l’ex casa coniugale. Il familiare che gli ha concesso l’immobile in uso gratuito, invece, può a sua volta godere per detto immobile dell’esenzione dall’Ici ma soltanto nel caso in cui il comune, con regolamento vigente alla data del 29 maggio 2008, ha disposto l’assimilazione all’abitazione principale per gli immobili concessi in uso gratuito a parenti in linea retta o collaterale, ai sensi dell’art. 59, comma 1, lettera e), del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446; nel caso contrario è tenuto al pagamento del tributo. Vale la pena di precisare che l’esenzione dall’Ici non può essere riconosciuta nell’ipotesi in cui la ex casa coniugale appartenga ad una delle categorie catastali A1, A8 e A9. B) l’esenzione degli immobili delle cooperative edilizie e degli Iciap. L’art. 1, comma 3, del D. L. n. 93 del 2008, prevede espressamente che l’esenzione in questione si applica anche nei casi previsti dall’art. 8, comma 4, del D. Lgs. n. 504 del 1992, che disciplina le fattispecie relative: - alle unità immobiliari appartenenti alle cooperative edilizie a proprietà indivisa, adibite ad abitazione principale dei soci assegnatari; - agli alloggi regolarmente assegnati dagli istituti autonomi per le case popolari - Iciap. La disposizione deve intendersi applicabile anche agli enti di edilizia residenziale pubblica, comunque denominati, aventi le stesse finalità degli Iciap, istituiti in attuazione dell’art. 93 del d. P. R. 24 luglio 1977, n. 616. 6. I casi di esclusione dall’esenzione. L’esenzione dall’Ici non opera per le seguenti fattispecie: A) le abitazioni di categoria catastale A1, A8 e A9. Come già accennato, il comma 2 dell’art. 1 del D. L. n. 93 del 2008, nell’individuare la nozione di abitazione principale, ne esclude quelle appartenenti alle categorie catastali A1, A8 e A9. In realtà la lettura sistematica delle disposizioni esonerative porta a ritenere che detta eccezione vada riferita all’esenzione dall’Ici, in quanto la stessa norma precisa che a dette unità immobiliari continua, comunque, ad essere riconosciuta la detrazione di base di cui all’art. 8, commi 2 e 3 del D. Lgs. n. 504 del 1992. Ai fini dell’applicazione della disposizione in commento è sufficiente la semplice appartenenza dell’immobile ad una delle suddette categorie catastali, a nulla rilevando la sussistenza o meno delle “Caratteristiche delle abitazioni di lusso”
Fisco individuate con decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 agosto 1969, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 218 del 27 agosto 1969. B) i cittadini italiani non residenti nel territorio dello Stato. La norma ha espressamente individuato gli immobili a cui deve essere riconosciuta l’esenzione in discorso e tra questi non sono ricomprese le unità immobiliari possedute dai cittadini italiani non residenti nel territorio dello Stato, per cui si deve ritenere che detti immobili siano esclusi dal beneficio in questione. Le norme sulle esenzioni, infatti, hanno natura speciale e derogatoria della norma generale, e perciò - in base alle disposizioni dell’art. 12 delle preleggi - sono di stretta interpretazione e non possono, per questo motivo, essere applicate al di fuori delle ipotesi tipiche e tassative indicate, stante il divieto, da sempre ribadito dalla Corte di Cassazione (ex pluribus: sentenza n. 10646 del 20 maggio 2005), “non solo di applicazione analogica, ma anche d’interpretazione estensiva, posto in riferimento alla legge speciale dall’art. 14 delle disposizioni preliminari al codice civile” in base al quale le leggi penali e quelle che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non si applicano oltre i casi ed i tempi in esse considerati. E’ necessario, però, precisare che, a norma dell’art. 1, comma 4-bis del D.L. 23 gennaio 1993, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 1993, n. 75, alle unità immobiliari possedute in Italia a titolo di proprietà o di usufrutto, dai cittadini italiani non residenti nel territorio dello Stato, continua ad essere riconosciuta la detrazione di base di cui all’art. 8, comma 2, del D. Lgs. n. 504 del 1992, a condizione che non risultino locate, come si evince anche dalla relazione illustrativa al provvedimento in oggetto. Tuttavia, tali unità immobiliari possono godere dell’esenzione dall’Ici nel caso in cui i regolamenti comunali, vigenti alla data del 29 maggio 2008, ne abbiano espressamente previsto l’assimilazione all’abitazione principale. 7. Il rimborso ai comuni del mancato gettito. Il comma 4 dell’art. 1 del D.L. n. 93 del 2008, disciplina il rimborso del mancato gettito dell’imposta relativa all’esenzione disposta dal comma 1 della norma in esame e prevede a tal fine uno stanziamento, pari a 1.700 milioni di euro a decorrere dall’anno 2008. Tale somma si aggiunge a quella che sarebbe derivata dall’applicazione del comma 2-bis dell’art. 8 del D. Lgs. n. 504 del 1992, concernente l’ulteriore detrazione pari all’1,33 per mille della base imponibile relativa all’abitazione principale. I criteri e le modalità per l’erogazione del rimborso ai comuni dovranno essere stabiliti, in sede di Conferenza StatoCittà ed autonomie locali, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del D.L. n. 93 del 2008, ed è attribuito al Ministro dell’interno il compito di attuare tali determinazioni con proprio decreto. Il comma 5 dell’art. 1 in esame stabilisce che il Ministero dell’interno provvederà, inoltre, ad erogare direttamente all’Istituto per la finanza e l’economia locale – IFEL, vale a dire il soggetto di cui al D. M. 22 novembre 2005, lo 0,8 per mille dei rimborsi previsti dal comma 4. Tale percentuale, che deve essere calcolata sul gettito dell’Ici, è quella posta a carico dei soggetti che provvedono alla riscossione, a norma del
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Fisco comma 5 dell’art. 10 del D. Lgs. n. 504 del 1992. 8. I rimborsi ai contribuenti. contribuenti che hanno già provveduto ad effettuare il versamento dell’Ici relativa ad immobili per i quali il D. L. n. 93 del 2008 ha disposto l’esenzione dal tributo hanno diritto al rimborso dell’importo versato che deve essere disposto d’ufficio dai comuni, in applicazione dei principi di affidamento e di buona fede, contenuti nell’art. 10, della legge 27 luglio 2000, n. 212, recante lo Statuto dei diritti del contribuente. contribuente può, comunque, a norma del comma 164 dell’art. 1 della legge n. 296 del 2006, presentare l’istanza di rimborso al comune di ubicazione degli immobili entro cinque anni dal giorno del versamento, ovvero da quello in cui è stato accertato il diritto alla restituzione, a meno che il comune non abbia, ai sensi dell’art. 1, comma 167, della legge n. 296 del 2006, disciplinato le modalità di compensazione per i tributi di propria competenza. Lo stesso discorso vale anche per i contribuenti che, attraverso la compilazione del quadro I del modello 730/2008, hanno utilizzato il credito Irpef in compensazione dell’Ici dovuta per l’abitazione principale. 9. L’impatto dell’esenzione sull’imposta di scopo L’esenzione dall’Ici dell’abitazione principale produce effetti anche in merito all’applicazione dell’imposta di scopo – ISCOP – per i comuni che l’hanno istituita a norma dei commi da 145 a 151 dell’art. 1 della legge n. 296 del 2006, per la parziale copertura delle spese per la realizzazione di opere pubbliche individuate dal regolamento tra quelle indicate nel comma 149. Dal momento che il comma 148 del citato art. 1 della legge n. 296 del 2006 stabilisce espressamente che per la disciplina dell’imposta si applicano le disposizioni vigenti in materia di Ici, diviene automatica l’esenzione dall’imposta di scopo per le unità immobiliari destinate ad abitazione principale. 10. L’abrogazione di norme. I commi 3 e 6 dell’art. 1 del D. L. n. 93 del 2008, stabiliscono l’abrogazione delle disposizioni incompatibili con la nuova disciplina esonerativa delle abitazioni principali, vale a dire: - i commi 2-bis e 2-ter dell’art. 8 del D. Lgs. n. 504 del 1992. Si tratta delle disposizioni introdotte dalla legge finanziaria per l’anno 2008, relative all’ulteriore detrazione per l’abitazione principale, che è completamente assorbita dalla nuova disciplina esonerativa in commento; - il comma 4 dell’art. 6 del citato D. Lgs. n. 504 del 1992. Detta norma prevedeva che “restano ferme le disposizioni dell’articolo 4, comma 1, del decreto-legge 8 agosto 1996, n. 437, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 ottobre 1996, n. 556”. Le norme richiamate stabilivano che “ai fini dell’imposta comunale sugli immobili, i comuni possono deliberare, ai sensi dell’articolo 6 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 , una aliquota ridotta, comunque non inferiore al 4 per mille, in favore delle persone fisiche soggetti passivi e dei soci di cooperative edilizie a proprietà indivi-
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Idraulica e bonifica
LA DEPURAZIONE DEI LIQUAMI DOMESTICI NEI PICCOLI CENTRI ABITATI La normativa e le applicazioni pratiche nei casi più ricorrenti di Giuseppe Raso* e Angela Raso**
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li autori, dopo un fugace cenno storico sulla depurazione delle acque di rifiuto, affrontano l’evoluzione temporale di tutta la normativa di riferimento emanata in Italia, a partire dalla circolare del Ministero della Sanità n. 105 del 2.7.1973 fino al D. Lgs n. 4 del 16.1.2008 modificativo ed integrativo del D.Lgs 3.4.2006, n. 152, più noto come codice dell’ambiente. Nel ripercorrere le tematiche affrontate dalle varie norme che spesso si proponevano il raggiungimento di risultati pressochè “impossibili” senza provocare lo sconvolgimento economico dell’economia nazionale, gli stessi, sulla base di una approfondita disamina della vigente normativa, hanno affrontato lo spinoso problema delle numerose installazioni impiantistiche realizzate e puntualmente dimenticate. E tutto ciò in nome del principio che le nuove teorie sono sempre meglio di quelle vecchie; nel campo dei depuratori questo vuol dire che le nuove tecnologie funzionano meglio. I fautori di questo hanno sempre sfacciatamente dimenticato che l’efficacia di un istallazione tecnologica, sia essa semplice che complessa, è strettamente dipendente da una efficace progettazione e soprattutto da una approfondita conoscenza delle condizioni ambientali e territoriali in cui si calano dette opere. Alla luce di ciò gli autori ritengono che molte vecchie istallazioni possono essere economicamente restituite a nuova vita e concorrere efficacemente alla riduzione degli inquinamenti ambientali, specialmente se i ripristini vengono fatti con mentalità “ecologica”. In tali attività i geometri anche alla luca della loro formazione “rurale”, sono certamente i tecnici più indicati per affrontare le problematiche connesse con i recuperi e gli adeguamenti funzionali delle istallazioni “dimenticate”. Alla luce di tali prospettive questo studio si pone il fine di “volgarizzare” rendere facili alcune tematiche impiantistiche e normative che solitamente vengono disattese anche dai tecnici delle pubbliche amministrazioni perché non immediatamente comprensibili. g.c. 1. – Alcuni cenni storici sulla depurazione delle acque di rifiuto domestiche. Le norme fondamentali in materia di tutela delle acque hanno sostanzialmente trovato collocazione normativa apicale negli ultimi trent’anni con la finalità dichiarata di regolamentare tutta la materia e quindi anche l’installazione ed il funzionamento dei relativi impianti di depurazione. L’esigenza si era progressivamente sviluppata a partire dall’immediato dopoguerra, quando contestualmente agli edifici occorreva
ricostruire ed ampliare le reti idriche e fognanti ed i relativi impianti di depurazione. A sollecitare tali frenetici interventi sono state le esigenze sorte in seguito alla massiccia applicazione della legge 03/08/1949, n. 589, più nota come legge “Tupini”, la quale, sulla base di un contributo trentacinquennale erogato dal Ministero dei LL.PP., consentiva agli Enti locali territoriali l’accesso ai mutui della Cassa DD.PP. e la rapida ricostituzione del tessuto urbano. Quella normativa, tra l’altro, imponeva che già nel primo lotto di un progetto generale esecutivo di costruzione della rete fognaria urbana fosse prevista con priorità assoluta almeno la costruzione della sola fase di trattamento primario del depuratore (la cosiddetta fase fisica) unitamente a tutto il collettore finale ed all’emissario di scarico dell’effluente trattato. Era evidente che col rapido ampliamento dei centri urbani e della contemporanea diffusione dei servizi di acquedotto e fognatura le istituzioni pubbliche dovevano portare avanti anche un minimo di limitazione e di controllo dell’inquinamento delle acque superficiali ricettrici degli scarichi; questo, negli anni “50 e “60, poteva senz’altro bastare, anche perché la prevalente economia dei piccoli e medi centri era di tipo rurale ed a carattere familiare. A conferma di questo si ricorda in quegli anni, anche in perfetta aderenza ai suggerimenti di Karl Imhoff, l’inquinamento organico veniva quantificato in “ben” 54 gr/g di BOD5 per abitante servito, contro i 60¸ 65 gr/g attualmente adottati. Non solo, ma in quegli anni non si parlava nemmeno di “abitante equivalente” in quanto negli ambiti urbani erano scarsamente presenti le piccole attività industriali, artigianali e trasformative che in qualche misura, già fin dalla seconda metà degli anni “60, hanno avuto larga diffusione sia pure a carattere familiare. Pertanto le acque di rifiuto urbane potevano a pieno titolo definirsi di provenienza totalmente domestica e, quindi, con carico inquinante esclusivamente organico che ne assicurava la totale trattabilità con processi esclusivamente biologici. Le condizioni di vita delle popolazioni hanno progressivamente subito notevoli cambiamenti sia in termini qualitativi che in termini consumistici; nei centri urbani più consistenti le caratteristiche delle acque di rifiuto hanno contestualmente subito notevoli cambiamenti in termini di contenuti inquinanti, ma anche in termini di aumento del BOD 5 unitario e soprattutto in termini di più difficile trattabilità per la presenza di composti tossici, di idrocarburi, di metalli pesanti, ecc. Il fenomeno si è rivelato meno accentuato nei centri più piccoli a prevalente economia rurale o di tipo turistico-resi-
* - Giuseppe Raso – Geometra, dottore in scienze geo-topo-cartografiche, estimative, territoriali ed edilizie, già responsabile della seconda sezione (acquedotti e fognature) del Genio Civile di Cosenza, ora funzionario in servizio presso il Settore Protezione Civile e Difesa del Suolo della Provincia di Cosenza. ** - Angela Raso - Ingegnere civile ad indirizzo idraulico, libera professionista.
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denziale dove la trattabilità degli scarichi è ancora oggi elevatissima; in tale ambito possono senz’altro comprendersi tutti i centri abitati con scarichi fino a 2000 a.e. e la maggior parte di quelli fino a 10.000 a.e.
guatamente trattate prima dello scarico nell’ambiente, mentre quelle provenienti da attività agricole possono e devono essere riutilizzate nel rispetto della specifica normativa per usi irrigui e/o di fertilizzazione.
2. - Evoluzione cronologica della normativa di riferimento. Alla luce di quanto sopra commentato citiamo qui di seguito la cronologia delle norme che si sono succedute fin dai primi anni “70 nella materia della depurazione: * La circolare del Ministero della Sanità n. 105 del 2/7/1973, che, per quanto riguarda alcuni parametri di accettabilità delle acque scaricate dagli impianti di depurazione, per la prima volta fissava dei limiti per l’ammissibilità degli scarichi: (BOD 5 max 40 mg/lt, Solidi Sospesi Totali 80 mg/lt, pH fra 6 e 9 e cloro libero residuo 0,5 mg/lt); * Le istruzioni per la progettazione delle fognature e degli Impianti di trattamento delle acque di rifiuto contenute nella circolare n. 11633 del 7/1/1974 emanata dal Servizio Tecnico Centrale del Ministero dei Lavori Pubblici su conforme parere favorevole del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici espresso con voto n. 367 del 20/7/1973; * la legge n. 319 del 10/5/1976 e successive integrazioni e modifiche; * la Delibera del Comitato Interministeriale del 4/2/1977 (v. S.O.G.U. n. 48 del 21/2/1977); * il Piano regionale di risanamento delle acque approvato con D.C.R. n. 186 del 19/1/1982 pubblicato sul B.U.R.C. n. 16 del 16/03/1982; * la legge regionale n. 10 del 3/10/1997 contenente, tra l’altro, “Norme in materia di tutela delle acque dall’inquinamento”1; * il D.lgs 11/5/1999, n. 152, come modificato dal successivo n. 258 del 18/8/2000, contenente, tra l’altro, “Disposizioni sulla tutela delle acque dall’inquinamento”2; * il D.lgs 3/4/2006, n. 152, come modificato dal successivo n. 4 del 16/1/2008, più noto come “Codice dell’Ambiente” contenente “Norme in materia ambientale”3. Salvo che per l’ultima normativa, a tutt’oggi, bisogna ritenere scaduti tutti i termini temporali già fissati per il raggiungimento delle finalità previste dalle precedenti leggi; al momento tutti gli scarichi finali di reti fognanti e degli impianti di depurazione, a prescindere dall’entità del nucleo abitato servito e dalla sua preesistenza o meno alla data di entrata in vigore della vigente legge, devono rispettare gli standard di cui all’allegato 5 alla parte 3ª del D.lgs 152/06, a pena del rifiuto di autorizzazione allo scarico, oltre che di pesanti sanzioni e penalità a carico dei trasgressori. Come già in passato, è sempre vigente il principio che tutti gli scarichi di acque di rifiuto domestiche devono essere sempre ammessi nelle pubbliche fognature nel rispetto dei regolamenti locali, e questo anche nel caso estremo che la rete fosse sprovvista di depuratore finale. Le acque industriali, invece, devono essere sempre ade-
3. - La circolare del Ministero LL.PP. n. 11633 del 7/1/1974 e gli scarichi domestici relativi ai centri urbani. Tale circolare, a buona ragione, può essere ancora oggi ritenuta un piccolo e completo vademecum per la corretta progettazione degli impianti di fognatura e depurazione in quanto contiene regole chiare e dettagliate, note sulle modalità costruttive e gestionali e soprattutto ha introdotto e sostiene il principio di perseguire sempre semplicità e facilità costruttiva e gestionale per tali particolari e delicate installazioni. Più specificamente, per quanto riguarda gli impianti di depurazione, raccomanda di considerare sempre attentamente le condizioni socio-economiche ed ambientali locali, oltre che la morfologia dei luoghi al fine di individuare le soluzioni progettuali più adatte al caso specifico; in ogni caso le scelte finali, anche se ciò dovesse comportare variazioni ai piani regolatori, devono scaturire da un confronto ragionato fra due o più possibili soluzioni. 3.a. - La Delibera del Comitato Interministeriale del 4/2/1977 e sua validità attuale. Questa delibera era opportunamente strutturata su cinque allegati e, con evidente ispirazione ai contenuti della citata Circolare del Ministero dei LL.PP. n. 11633 del 7/1/1974, forniva ampi ed esaurienti elementi di indirizzo relativamente alla formazione del catasto degli scarichi, al corretto e razionale uso dell’acqua, agli impianti di acquedotto, agli impianti di fognatura e depurazione e, infine, allo smaltimento dei liquami di insediamenti civili di consistenza fino a 50 vani o 5000 mc. Circa l’attuale sopravvivenza dei contenuti di tale delibera occorre evidenziare che nel punto n. 7, art. 62, del d.lgs 152/99, è testualmente precisato che “…per quanto non espressamente disciplinato dal presente decreto, continuano ad applicarsi le norme tecniche di cui alla delibera del Comitato interministeriale per la tutela delle acque del 4 febbraio 1977 e successive modifiche ed integrazioni, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 48 del 21 febbraio 1977”, aggiungendo nel successivo punto 8 che “…le norme regolamentari e tecniche emanate ai sensi delle disposizioni abrogate con l’art. 63 restano in vigore, ove compatibili con gli allegati al presente decreto e fino all’adozione di specifiche normative in materia”. Anche il primo comma dell’art. 175 del d.lgs 152/06 ha confermato le abrogazioni delle norme contrarie o incompatibili col medesimo decreto, ivi compresa la predetta legge 10/5/1976, n. 319; tuttavia nel precedente art. 174 ha precisato che “…sino all’adozione da parte del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio di nuove disposizioni
1 - La L.R. 3/10/1997, n. 10, reca “Norme in materia di valorizzazione e razionale utilizzazione delle risorse idriche e di tutela delle acque dall’inquinamento. Delimitazione degli ambiti territoriali ottimali (A.T.O.) per la gestione del servizio idrico integrato.“ (Vedi supplemento straordinario B.U.R.C. n. 102 del 09/10/1997). 2 - Il D.lgs 11/5/1999, n. 152, successivamente integrato e modificato dal D.lgs 18/8/2000, n. 258 (vedi S.O. n. 172 alla G.U. n. 246 del 20 ottobre 2000), reca “Disposizioni sulla tutela delle acque dall’inquinamento e recepimento della direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane e della direttiva 91/676/CEE relativa alla protezione delle acque dall’inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole”. 3 - Il D.lgs 3/4/2006, n. 152, è stato pubblicato nella G.U. n. 88 del 14/4/2006, mentre il D.lgs 16/1/2008, n. 4, è stato pubblicato nel S.O.G.U. n. 24 del 29/1/2008.
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n. 3-4/2008 attuative della sezione terza della parte terza del presente decreto, si applica il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 04 marzo 1996…”4. Quest’ultimo Decreto, già nelle premesse, dichiara che “… per la protezione delle acque dall’inquinamento, in attesa del recepimento delle direttive 91/271/CEE e 91/676/CEE e dell’emanazione delle relative norme tecniche di attuazione, continueranno ad applicarsi le norme tecniche della delibera del Comitato Interministeriale per la tutela delle acque 4 febbraio 1977, emanate ai sensi dell’art. 2, lettere b), d) ed e), della legge 10 maggio 1976, n. 319.”. Lo stesso Decreto stabilisce anche che “…nella revisione del P.R.G.A. si dovranno perseguire, in particolare, gli obiettivi di seguito esposti: a. progressivo miglioramento dell’impermeabilità dei sistemi fognanti; b. tendenza verso sistemi fognanti ragionevolmente estesi ed interconnessi, sviluppati, per quanto possibile, secondo le linee naturali di scorrimento delle acque di superficie; c. ottimizzazione della gestione degli impianti di depurazione anche attraverso la scelta di impianti consortili; d. tendenza alla centralizzazione dei relativi sistemi di controllo e di quelli di trattamento finale e smaltimento dei fanghi; e. adozione, nelle piccole comunità isolate, di sistemi di trattamento estremamente semplificati. f. eventuali riuso e riciclo delle acque trattate.” Infine, per quanto riguarda i servizi di depurazione, precisa che “…nella conduzione degli impianti, il gestore deve attenersi alle norme di esercizio riportate nella deliberazione del Comitato interministeriale per la tutela delle acque dall’inquinamento del 4 febbraio 1977 pubblicata sulla G.U. n. 48, supplemento del 21/02/1977 ed alle eventuali prescrizioni in materia di igiene e sicurezza del lavoro imposte dalla competente unità sanitaria locale e dalle leggi regionali”. Ai fini della nostra trattazione rivestono particolare interesse gli allegati n. 4 e 5 della delibera in parola in quanto, il primo contiene norme tecniche generali per l’installazione e l’esercizio degli impianti di fognatura e depurazione ed il secondo le norme per lo smaltimento dei liquami sul suolo e nel sottosuolo anche per insediamenti civili inferiori a 50 vani o 5000 mc. L’allegato n. 4, proseguendo sullo stesso stile espositivo della circolare LL.PP. n. 11633/74, fornisce un dettagliato insieme di regole, suggerimenti e tecniche progettuali costruttive e gestionali sia per le reti di adduzione che per i depuratori. Per questi ultimi in particolare, tra l’altro, vengono raccomandati criteri progettuali ispirati sulla sicurezza dell’efficienza del trattamento, sulla facilità di manutenzione, sulla riduzione dei consumi energetici e, quindi, sull’economicità del processo. L’allegato n. 5 è molto interessante dove, a proposito degli scarichi sul suolo e nei suoi strati superiori, raccomanda che siano limitati a quelli che per le loro caratteristiche sono suscettibili di depurazione naturale; tale tipo di scarico è tanto più ammissibile quanto più venga dimostrato che esso è utile alla produzione agricola senza determinare inconvenienti ambientali.
Idraulica e bonifica Nella suddetta ottica l’allegato 5 include gli scarichi di insediamenti civili di consistenza inferiore a 50 vani o 5000 mc. A questo scopo ritiene ammissibili i pozzi neri a tenuta stagna e meglio ancora le vasche Imhoff, specialmente se sono collegate ad apposita rete di sub-irrigazione disposta sotto aiuole o siepi di piante sempre verdi a grande apparato radicale. 3.b. - Il Piano Regionale di Risanamento delle acque approvato con D.C.R. n. 186 del 19/01/1982. Su questo piano c’è da porre in evidenza che, sulla base di approfondite indagini conoscitive condotte “a tappeto” sul territorio nel corso del 1981 ed in attuazione degli artt. 4 ed 8 della legge n. 319/76 e dell’art. 7 della legge n. 650/79, la Regione aveva formulato una dettagliata “disciplina degli scarichi delle pubbliche fognature e degli insediamenti civili che non recapitano in pubbliche fognature”. A questo fine individuava il fabbisogno di opere di acquedotto, fognatura e depurazione per ambiti territorialmente omogenei, definendone le priorità attuative ed i costi presunti e precorrendo così quelli che oggi sono i principi ispiratori degli A.T.O. In ossequio al principio dell’elevata capacità autodepurativa delle aste torrentizie calabresi nei riguardi delle acque di rifiuto di provenienza domestica, per gli scarichi di pubbliche fognature al servizio di centri abitati fino a 2000 a.e. localizzati oltre i 10 km dalla costa, per i seguenti parametri la tabella n. 1 di quel piano ammetteva valori abbastanza elevati, quali: per il BOD5 < 70 % del liquame bruto con limite massimo di 180 mg/lt, per l’SST < 200 mg/lt per l’NH 4 30 mg/l, per l’NO 2 0,6, per l’NO 3 30 mg/l, ecc. mentre la tabella 2, che riguardava gli scarichi in acque superficiali prodotti da centri abitati di oltre 2000 a.e., ammetteva: per il BOD5 < 10 % del liquame bruto con limite massimo di 40 mg/lt, per l’SST < 80 mg/lt per l’NH 4 20 mg/l, per l’NO 2 0,6, per l’NO 3 20 mg/l, ecc. 3.c. - La Legge Regionale 3/10/1997, n. 10. La successiva Legge Regionale n. 10/97, tuttora in vigore in quanto non risulta ancora adottato dalla Regione il piano di tutela delle acque previsto dagli artt. n. 44 del d.lgs 152/1999 e n. 121 del d.lgs 152/2006, detta norme di procedura pratica sufficientemente dettagliate per la corretta gestione del regime autorizzatorio degli scarichi. L’art. 3 della legge definisce le competenze delle Province e, tra l’altro, comprende le autorizzazioni e controllo degli scarichi di pubbliche fognature, di scarichi di insediamenti civili e di insediamenti produttivi nei corpi idrici, sul suolo, negli strati superficiali del suolo e direttamente nelle acque costiere marine. Per consentire alle Province il concreto ed autonomo esercizio delle competenze delegate, nello stesso articolo 3, comma e), è precisato che alle stesse è attribuita “…l’approvazione dei progetti degli impianti di depurazione a servizio
4 - Il DPCM del 04/03/1996 - Disposizioni in materia di risorse idriche – è stato pubblicato sulla G.U. n. 62 del 14/03/1996 e, fra l’altro, contiene “direttive generali e di settore per il censimento delle risorse idriche, per la disciplina dell’economia idrica e per la protezione delle acque dall’inquinamento”.
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Idraulica e bonifica delle pubbliche fognature e la relativa verifica della compatibilità ambientale per gli impianti di competenza regionale o statale e l’autorizzazione all’esercizio…”. Tuttavia nel successivo art. 18, comma 1, è meglio precisato che “…I progetti di nuovi impianti di depurazione degli scarichi nonché i progetti di modificazione o ampliamento di impianti esistenti sono preliminarmente approvati dalla Provincia competente ai fini dell’accertamento della conformità degli interventi alle norme tecniche di cui all’allegato 4 della deliberazione 4/2/1977 del Comitato dei Ministri per la tutela delle acque dall’inquinamento…”. Il contenuto dell’art. 18 è da ritenere una vera e propria rettifica di tiro rispetto all’art. 3, comma e), in quanto definisce la finalità dell’approvazione che è esclusivamente diretta ad individuare la conformità e la corrispondenza con le direttive della ripetuta delibera interministeriale. Si tratta, quindi, di una approvazione doverosamente parziale in quanto finalizzata ad accertare soltanto l’efficacia funzionale della soluzione progettuale adottata senza dovere entrare necessariamente nel merito amministrativo o delle procedure di proporzionamento fisico-idraulico delle unità di trattamento e nella congruenza dei calcoli di reattoristica biologica che restano sempre nella responsabilità del progettista. Del resto, se si dovesse considerare l’adozione di un provvedimento approvativo della fattispecie di progetto in parola, ai sensi e per gli effetti del d.lgs 12 aprile 2006, n. 163, e dell’art. 49 del DPR 21/12/1999, n. 554, da parte dalla Provincia, questo sarebbe sicuramente illegittimo in quanto l’unica amministrazione che può e deve esercitare tale potere su quel determinato progetto è soltanto l’Ente Locale Territoriale titolare dello specifico finanziamento. Non solo, ma l’art. 8 della legge regionale sui lavori pubblici n. 31 del 10/11/1975, come modificato dal DPGR 28/7/99, n. 373, stabilisce in modo categorico che la titolarità delle competenze approvative della Regione sotto l’aspetto tecnico-amministrativo sono attribuite ai Comuni relativamente “…alle opere ed agli interventi, senza limiti di importo, ricadenti interamente nel proprio territorio” ed alle Province relativamente “…alle opere ed agli interventi, senza limiti di importo, ricadenti in più territori comunali”.5 Per quanto attiene le autorizzazioni provinciali degli scarichi delle pubbliche fognature, degli insediamenti civili e degli insediamenti produttivi recapitanti “…nei corpi idrici e sul suolo..”, l’art. 3 della L.R. n. 10/97, precisa che detti scarichi devono rispettare i limiti e le norme che regolamentano lo smaltimento dei liquami e dei fanghi di cui all’art. 2, comma 1, della legge 319/76. In pratica tutti gli scarichi di cui sopra devono osservare i parametri di accettabilità della famosa tabella A) della legge 319/76 che, in generale, si riferisce a “…scarichi in corpi d’acqua pubblici”. E in effetti, con riguardo agli stessi parametri considerati dal Piano Regionale di Risanamento del 1982 per gli scarichi in acque superficiali siti a distanza maggiore di 10 km dalla
n. 3-4/ 2008 linea di costa, i corrispondenti valori di ammissibilità, indipendentemente dall’entità del centro servito, sono: BOD5 < 40 mg/lt, SST < 80 mg/lt NH4 15 mg/l, NO2 0,6, NO3 20 mg/l, ecc. Come si può notare, l’unica differenza, rispetto al piano regionale di risanamento del 1982, riguarda il limite di ammissibilità allo scarico dell’azoto ammoniacale che è di 15 anziché di 20 mg/l. 4. - I decreti legislativi: n. 152 del 11/5/1999 e n. 152 del 3/4/2006. Confronti fra alcune definizioni preliminari. Ai fini specifici della trattazione degli impianti per piccole comunità, occorre preliminarmente fare riferimento ad alcune definizioni contenute sia nell’art 2 del d.lgs n.152/99 che nell’art. 74 del d.lgs 152/06, e più in particolare a quelle seguenti che si riportano a reciproco confronto: È opportuno rilevare che, anche se, nella stragrande maggioranza, le piccole comunità presentano effluenti di provenienza esclusivamente domestica e del metabolismo umano (nuclei rurali, agriturismi, residenze turistiche, piccoli comuni, ecc.), è pure vero che in molti casi sono presenti anche scarichi derivati da piccole attività industriali ed artigianali. In questa seconda circostanza le acque di scarico sono da considerare acque reflue urbane a tutti gli effetti di legge, poiché trattasi di un vero e proprio miscuglio (vedi definizione più sopra), e per tale motivo sono soggette ad una disciplina più restrittiva volta a limitare il più possibile le interferenze negative determinate dalla componente industriale sulla qualità degli effluenti. Nel caso più diffuso, come già evidenziato, si tratta di acque di esclusiva provenienza domestica contenenti inquinanti di natura totalmente biologica e, pertanto, sono caratterizzate da un elevato grado di trattabilità del carico organico attraverso metodi naturali. In questa situazione, assolutamente naturale per una piccola comunità, l’art. 27, comma 4, del d.lgs n. 152/99, testualmente recita: “Per gli insediamenti, installazioni ed edifici isolati che scaricano acque reflue domestiche, le Regioni individuano sistemi individuali o altri sistemi pubblici o privati adeguati secondo i criteri di cui alla delibera indicata al comma 7 dell’art. 626, che raggiungano lo stesso livello di protezione ambientale, indicando i tempi di adeguamento”, tanto l’art. 100, comma 3, del d.lgs 152/06 trascrive lo stesso contenuto senza fare più alcun cenno alla famosa delibera e, per quanto riguarda i tempi di adeguamento ai predetti sistemi, attribuisce alle Regioni l’indicazione degli stessi. Il mancato nuovo rinvio alla famosa delibera del Comitato Interministeriale si spiega col fatto che i successivi articoli fanno riferimento ai cosiddetti “trattamenti appropriati” ed alle leggi regionali vigenti. Effettivamente, sia l’art. 31, comma 2, del d.lgs 152/99 che l’art. 105, comma 2, del d.lgs 152/06, stabiliscono che:
5 - Con D.P.G.R. n. 373 del 28 luglio 1999 sono state definite le competenze della Co.Te.R (Consulta Tecnica Regionale istituita con la L. R. n. 9 del 26 maggio 1997) per quanto attiene le “Opere di interesse regionale” e le “Materie di cui all’art. 3 della L. R. n. 18/1983”. Fra quelle di interesse regionale sono compresi i pareri tecnici ed amministrativi, vincolanti ai fini dell’approvazione, inerenti gli “impianti di depurazione con potenzialità superiore a 20.000 a.e” le cui approvazioni, pertanto, sono sottratte agli enti titolari del finanziamento ed all’Ente Provincia che rimane, però, titolare degli altri adempimenti di cui al d.lgs n. 152/06; 6 - Il comma 7 dell’art. 62 del d.lgs n. 152/99 precisa che: “…per quanto non espressamente disciplinato dal presente decreto, continuano ad applicarsi le norme tecniche di cui alla delibera del Comitato interministeriale del 4/2/1977 e successive modifiche ed integrazioni.”
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n. 3-4/2008 “gli scarichi di acque reflue urbane che confluiscono nelle reti fognarie, provenienti da agglomerati con meno di 2000 abitanti equivalenti e recapitanti in acque dolci ed in acque di transizione e gli scarichi provenienti da agglomerati con meno di 10.000 abitanti equivalenti, recapitanti in acque marino-costiere, sono sottoposti ad un trattamento appropriato, in conformità con le indicazioni dell’allegato 5…”. L’allegato 5 di entrambi i decreti legislativi, a proposito delle acque reflue urbane, nel comma 1.1, evidenzia che “…gli scarichi provenienti da impianti di trattamento delle acque reflue urbane devono conformarsi, secondo le cadenze temporali indicate, ai valori limiti definiti dalle Regioni in funzione degli obiettivi di qualità e, nelle more della suddetta disciplina, alle leggi regionali vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto.”
Da tutto quanto sopra esposto emerge che la regolamentazione della depurazione di tutte le acque reflue domestiche prodotte da insediamenti abitativi, installazioni turistico-artigianali e simili o edifici isolati e delle acque reflue urbane prodotte da agglomerati con meno di 2.000 a.e. che scarichino in acque superficiali, oppure prodotte da agglomerati con meno di 10.000 a.e. che scarichino in acque marino-costiere (vedere definizione nella precedente tabella comparativa), è di stretta competenza delle Regioni. Gli allegati n. 5 di entrambi i decreti legislativi non fanno cenno a limiti di emissione per gli scarichi relativi agli agglomerati fino a 2.000 abitanti equivalenti; invece, relati-
Idraulica e bonifica vamente agli scarichi di acque reflue urbane di agglomerati di consistenza da 2.000 a 10.000 abitanti equivalenti, per i tre principali parametri fissano nella tabella n. 1 i seguenti valori: BOD5 ≤ 25 mg/l, COD ≤ 125 mg/l e SS ≤ 35 mg/l. Inoltre nel secondo comma del paragrafo 3 viene precisato che in sede di approvazione del progetto, escluso il caso dello scarico in mare, “…l’autorità competente dovrà verificare che l’impianto sia in grado di garantire che la concentrazione media giornaliera dell’azoto ammoniacale in uscita dall’impianto di trattamento non superi il 30% del valore della concentrazione dell’azoto totale in uscita dall’impianto di trattamento” . Sulle competenze relative a tali verifiche progettuali discuteremo più avanti, mentre di seguito approfondiremo la tematica relativa ai “trattamenti appropriati” cui fa riferimento la normativa. 5. - I “trattamenti appropriati” menzionati nell’art. 31, c. 2, del d.lgs 152/99, nell’art. 105, c. 2, del d.lgs 152/06 e nel paragrafo 3 degli allegati n. 5 di entrambi i decreti. A tale riguardo proprio il paragrafo n. 3 sopra citato afferma che i trattamenti appropriati “…devono essere individuati (dalle Regioni, n.d.a.) con l’obiettivo di: a) rendere semplice la manutenzione e la gestione, b) essere in grado di sopportare adeguatamente forti variazioni orarie del carico idraulico ed organico, c) minimizzare i costi gestionali. Ad “abbundantiam” e per migliore chiarezza, il legislatore ha aggiunto quanto segue: “Questa tipologia di trattamento può equivalere ad un trattamento primario o ad un trattamento secondario, a seconda della soluzione tecnica adottata e dei risultati depurativi raggiunti.” “Per tutti gli agglomerati con popolazione equivalente compresa tra 50 e 2.000 a.e., si ritiene auspicabile il ricorso a tecnologie di depurazione naturale quali il lagunaggio o la fitodepurazione, o tecnologie come i filtri percolatori o impianti ad ossidazione totale7.” “Peraltro tali trattamenti possono essere considerati adatti, se opportunamente dimensionati al fine del raggiungimento dei limiti della tabella 1, anche per tutti gli agglomerati in cui la popolazione equivalente fluttuante sia superiore al 30% della popolazione residente e laddove le caratteristiche territoriali e climatiche lo consentono.” “Tali trattamenti si prestano, per gli agglomerati di maggiori dimensioni con popolazione equivalente compresa tra i
7 - Queste ultime due espressioni sono errate in quanto, semplicemente, non esistono ne i “filtri percolatori” e ne i trattamenti ad “ossidazione totale”; esistono, invece, i letti percolatori nei quali il liquame lambisce il film biologico sempre in presenza di aria alla pressione atmosferica ed esistono i bacini ad aerazione prolungata dove il lungo tempo di permanenza del fango attivo determina anche la mineralizzazione delle membrane dei batteri morti e le quantità di fanghi prodotti sono minime, ma mai assenti del tutto.
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Idraulica e bonifica 2.000 ed i 25.000 a.e., anche a soluzioni integrate con impianti a fanghi attivi o a biomassa adesa8, a valle del trattamento, con funzione di affinamento.” È evidente che il legislatore, come già per il d.lgs n. 152/99, anche col più recente decreto n. 152/06, ha inteso
Schema di uno stagno facoltativo
richiamare l’attenzione di progettisti, operatori ed amministratori pubblici, verso la depurazione con sistemi naturali e ciò in aderenza anche con la necessità di perseguire il risparmio energetico e la semplicità operativa delle installazioni. Questo orientamento di privilegio verso tali tecnologie emerge in tutta la sua evidenza anche nel contesto del 2° comma del paragrafo n. 3 dei due allegati n. 5 in parola, dove è stabilito che gli “…impianti di trattamento che applicano tecnologie depurative di tipo naturale quali la fitodepurazione ed il lagunaggio…”, non hanno l’obbligo di dotarsi di un trattamento di disinfezione da utilizzarsi in casi di emergenza. Relativamente agli impianti di acque reflue urbane di potenzialità compresa fra 2.000 e 10.000 a.e., scaricanti in acque superficiali (al proposito vedere la nota n. 1 della tabella 1 del d.lgs), si rileva lo stesso riguardo laddove è detto che “…le analisi degli scarichi provenienti da lagunaggio o fitodepurazione devono essere effettuate su campioni filtrati” e la concentrazione di SS è ammessa fino a 150 mg/l, evidente segno, questo, che non si deve tenere conto della presenza di alghe nel determinare il BOD 5 e le SS in uscita da tali impianti. Da tutto quanto sopra detto consegue che, sia per gli impianti fino a 2.000 a.e. che per quelli di potenzialità fra 2.000 e 10.000 a.e., che, poi, corrispondono a circa l’80 % dei comuni calabresi, è auspicabile una radicale inversione di tendenza nelle installazioni depurative, sia in termini di adozione di tecnologie più semplici, naturali ed affidabili e sia in termini di diffusione puntuale sul territorio, atteso che le reti di adduzione verso i grandi impianti centralizzati quasi sempre determinano maggiori danni ambientali. Di fatto le grandi reti di collettori consortili e intercomunali richiedono la presenza di molti sollevamenti di linea e favoriscono l’intercettazione di molte acque parassite ed immissioni anomale e/o abusive o addirittura prelievi di liquami bruti per uso irriguo e comportano notevoli costi di manutenzione e gestione, senza contare che in caso di guasti all’impianto centralizzato o lungo la stessa rete, si determinano sempre situazioni di grave inquinamento puntuale. I piccoli impianti localizzati nelle periferie degli abitati
n. 3-4/ 2008 collinari e montani e dei centri turistici stagionali, proprio perché sono distribuiti su tutto il territorio, non possono determinare tali inconvenienti e per di più hanno maggiore stabilità depurativa nel tempo. Infine, riprendendo il primo comma del paragrafo 3, occorre porre la massima attenzione nella localizzazione dei punti di scarico che, con riguardo anche all’entità delle portate, devono essere scelti “…in modo da ridurre al minimo gli effetti sulle acque ricettrici”. A proposito dei punti di scarico occorre precisare che non è una buona regola “accompagnare” gli scarichi trasversalmente alle golene fluviali fino ad immetterli direttamente nella savanella della piena ordinaria, sia perché, a norma del R.D. n. 523/1904, non è consentito realizzare canalizzazioni negli alvei attivi e sia perché si perderebbe l’effetto filtro determinato dalle formazioni alluvionali e quello di affinamento depurativo attribuibile all’apparato radicale della vegetazione spontanea presente nelle golene stesse. 6. Il principio di gradualità dell’adeguamento delle strutture esistenti come è desumibile dagli atti di indirizzo e dalle norme tecniche generali per la tutela delle acque. L’allegato 4 della Delibera del Comitato Interministeriale del 4/2/1977, nella parte relativa all’installazione ed all’esercizio degli impianti di fognatura e depurazione, precisava che quelli di nuova costruzione sarebbero dovuti essere immediatamente rispondenti alla normativa, mentre per quelli esistenti “…dovranno essere gradualmente adottate misure correttive, tendenti ad allinearli alla normativa richiesta per i nuovi impianti”. La definizione delle fasi temporali e, quindi, della gradualità degli interventi correttivi veniva espressamente riservata alle Regioni dall’art. 4 della legge 10/5/1976, n. 319, dove veniva pure ribadito che la stessa normativa doveva essere applicata anche nei casi di ampliamento degli impianti esistenti e durante l’esercizio degli stessi. In ogni caso ed in perfetta aderenza con la necessità di improntare ogni azione amministrativa a criteri di efficienza, efficacia ed economicità, anche la normativa attualmente in vigore non si irrigidisce su prescrizioni fisse e generalizzate, ma, come già 25 anni addietro aveva anticipato il piano regionale di risanamento delle acque, distingue le applicazioni per scarichi in tre classi fondamentali: fino a 2000 a.e., da 2.000 a 10.000 a.e. ed oltre i 10.000 a.e. Infatti il vigente d.lgs n. 152/06 ed il relativo allegato 5 che, sostanzialmente, riproduce lo stesso allegato 5 del cessato d.lgs n. 152/99, richiama la gradualità temporale degli adeguamenti degli impianti esistenti, mentre per quelli in progetto impone l’immediata conformità degli scarichi ai limiti indicati dalla legge. Sotto questo aspetto, infatti, viene imposto che gli scarichi di acque reflue urbane che devono recapitare in corpi d’acqua superficiali devono conformarsi ai valori limite definiti nelle leggi regionali vigenti e, nel caso della Calabria, in mancanza di una più recente normativa, a quelli di cui alla legge regionale 3/10/1997, n. 10, che, in pratica, richiama per intero la tabella A) della cessata legge n. 319/76, ma con
8 -Tipicamente i dispositivi di trattamento a biomassa adesa sono i letti percolatori nei quali il supporto inerte della biomassa è costituito da materiali litoidi o elementi plastici sui quali “percola” il liquame da ossidare, ma sono così definiti anche quelli a dischi rotanti sui quali aderisce lo strato della biomassa che, per effetto della rotazione, assorbe l’ossigeno gassoso, alternando le immersioni nei liquami presenti in vasca con le emersioni.
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n. 3-4/2008 le seguenti variazioni relativamente agli scarichi di potenzialità da 2.000 ad oltre 10.000 a.e.: BOD5 - ≤ 25 mg/l COD - ≤ 125 mg/l SST - ≤ 35 mg/l N NH4 15 mg/l, NO2 0,6, NO3 20 mg/l, Se poi gli scarichi di acque reflue urbane sono localizzati in corpi d’acqua di aree sensibili9 diventano particolarmente restrittivi i limiti del fosforo totale e dell’azoto totale ammissibili nel recapito finale. E tanto è in linea pure con quanto dichiarato dal d.lgs 152/99, all’art. 1, punto 2, comma 3, dove si afferma che fra le finalità principali della legge c’è anche “…l’individuazione di misure per la prevenzione e la riduzione dell’inquinamento nelle zone vulnerabili10 e nelle aree sensibili”.
Idraulica e bonifica ra del 4/2/1977, occorre fare riferimento alla L.R. 03/10/1997, n. 10, secondo la quale esse possono trovare le seguenti destinazioni: a) – accumulo e fermentazione in pozzi neri a tenuta stagna con estrazione periodica del materiale, suo interrimento o immissione in concimaia, o altro idoneo smaltimento11; b) - chiarificazione ed ossidazione: cioè con chiarificazione in vasca settica tradizionale o vasca plurifase tipo Imhoff, seguita da ossidazione attraverso la dispersione nel terreno mediante sub irrigazione e pozzi assorbenti o per
Schema di fertirrigazione in zona collinare
Piccola vasca Imhoff. Vasche settiche o pozzi neri
Sifone automatico di cacciata della acque sedimentate
7. - Il trattamento delle acque reflue urbane prodotte da agglomerati fino a 50 a.e., ovvero di quelle civili prodotte da insediamenti, installazioni ed edifici isolati. Si tratta di scarichi che, per entità e composizione, equivalgono a quelli che, ai sensi dell’allegato n. 5 della Delibera del Comitato Interministeriale del 4/2/1977, sono ritenuti ammissibili sul suolo e nel sottosuolo in quanto prodotti da insediamenti civili di consistenza inferiore a 50 vani od a 5.000 mc. In tali casi, più che di acque reflue urbane in senso stretto, nella gran parte dei casi, si tratta di acque di provenienza esclusivamente domestica e, quindi, caratterizzate da elevata trattabilità biologica. Per lo smaltimento di tali acque, nel silenzio dell’allegato 5 alla parte terza del d.lgs 152/06, oltre che alla citata delibe-
aspersione sul terreno agricolo o per percolazione nel terreno mediante sub irrigazione attraverso tubi drenanti disposti in apposite trincee assorbenti. Le acque già sottoposte a sedimentazione, prima di essere immesse nella rete di tubi drenanti per la fertirrigazione, devono affluire in un sifone automatico (vedi sopra) o in apposito pozzetto di pompaggio che ne assicura l’afflusso in pressione all’intera rete.
9 - L’art. 18 del d.lgs 152/99 conteneva i criteri generali per l’individuazione delle aree sensibili e, per maggiori dettagli, rimandava ai contenuti del relativo allegato 6; parimenti il corrispondente art. 91 del d.lgs 152/06, dopo averlo titolato “Aree richiedenti specifiche misure di prevenzione dall’inquinamento e di risanamento”, riproduce le medesime indicazioni e, per maggiori dettagli, rimanda pure al suo omonimo allegato 6. 10 - L’art. 2, comma ii), del d.lgs 152/99, definisce le zone vulnerabili “zone di territorio che scaricano direttamente o indirettamente composti azotati di origine agricola o zootecnica in acque già inquinate o che potrebbero esserlo in conseguenza di tali tipi di scarichi” e, per i criteri di individuazione, rimanda ai contenuti dell’allegato 7; la medesima definizione si trova nell’art. 73 del d.lgs 152/06 che rimanda pure all’allegato 7. 11 - Con DGR n. 2676 del 6/5/1991 concernente i “Criteri tecnici per lo smaltimento degli scarichi civili recapitanti in fosse a completa tenuta e disciplina autorizzatoria” la Regione Calabria regolamentò provvisoriamente l’installazione e l’esercizio dei pozzi neri a tenuta stagna, obbligando i titolari al corretto smaltimento delle materie settiche da essi accumulate e vietando categoricamente “l’immissione dei predetti liquami nelle reti di pubblica fognatura”.
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Idraulica e bonifica Il disegno che segue rappresenta il particolare costruttivo della rete drenante. Più specificamente, nei casi di piccoli insediamenti civili o abitazioni rurali o, comunque, di case isolate, giusto il disposto dell’art. 4 della legge n. 319 del 10/5/1976 e dell’art. 28 della citata L.R. n. 10/1997, lo smaltimento del liquame da essi prodotto, sia esso allo stato bruto che parzialmente trattato, può essere effettuato anche sul terreno agricolo a condizione che: 1) sia utile alle attività agricole normalmente svolte nell’azienda (questo è il caso della fertirrigazione con reti drenanti, ma anche della distribuzione a scorrimento); 2) non costituisca pericolo di natura sanitaria (eventuali contaminazioni patogene a carico di animali da cortile o di verdure da consumare crude); 3) sia esclusa ogni possibilità di inquinamento delle acque superficiali e di quelle di falda (occorre valutare la possibile profondità di percolazione in rapporto a quella della prima falda); 4) non costituisca causa di dissesto idrogeologico (eventuali liquefazioni di terre e limi conseguenti a saturazioni degli strati più superficiali). Pertanto, prima di prendere in seria considerazione questo tipo di smaltimento, che, comunque, è da ritenere sempre come “estrema ratio” e quale conseguenza dell’inapplicabilità di altre soluzioni alternative, è necessario verificare in via preliminare e dimostrare nella relazione di progetto la sussistenza di tutte le citate circostanze che ne giustificano l’adozione. Quando, invece, le predette condizioni di ammissibilità dello scarico sul suolo agricolo non sussistono, gli scarichi sopra detti possono essere effettuati in corsi d’acqua superficiali e per tale motivo le acque scaricate devono essere considerate del tutto uguali a quelle intercettate dalle pubbliche fognature. Tali acque, a norma dell’art. 22 della L.R. n. 10/1997, devono essere trattate in impianti che assicurino il rispetto dei limiti di cui alla tabella A) della legge n. 319/76 e, poiché sono ora vigenti dei criteri di ammissibilità degli scarichi più restrittivi di quelli della citata tabella A), occorre fare esclusivo riferimento alle tabelle 1 e 2 dell’allegato n. 5 al d.lgs 152/06. Tanto fino a quando le Regioni, giusto il disposto dell’art. 100, comma 3, del citato d.lgs 152/06, relativamente ad insediamenti, installazioni o edifici isolati che producono acque reflue domestiche, non avranno indicato nella propria normativa gli specifici “…sistemi individuali o altri sistemi pubblici o privati adeguati che raggiungano lo stesso livello di protezione ambientale, indicando i tempi di adeguamento degli scarichi a detti sistemi”. 8. – Il trattamento delle acque reflue domestiche ed assimilate12 prodotte da centri abitati di potenzialità da 50 a 2.000 a.e. Per tali tipi di insediamenti il d.lgs 152/06, come già il 152/99, non pone ancora l’obbligo di dotarsi di reti fognarie e di depuratori finali; conseguentemente la materia è pure rimessa alle specifiche normative che devono adottare le regioni.
n. 3-4/ 2008 Intanto occorre osservare che gli insediamenti abitativi che non sono dotati di reti fognarie, ai fini della regolamentazione degli scarichi, devono essere ritenuti come un insieme di tanti “insediamenti, installazioni ed edifici isolati” per ciascuno dei quali occorre prendere in considerazione l’impiego di pozzi neri a tenuta stagna oppure un trattamento Imhoff seguito da ossidazione ottenuta per distribuzione sul terreno agricolo da attuare, però, nel rispetto delle condizioni limitative di cui all’art. 28 della citata L.R. n. 10/1997 (al proposito vedere il precedente paragrafo n. 7). Talvolta alcune aree di tali agglomerati sono dotate di rete fognaria ed in tal caso il relativo scarico deve fare capo obbligatoriamente ad un impianto di depurazione il cui effluente, a secondo se lo scarico avviene in acque superficiali o sul suolo, dovrà rispettivamente essere conforme ai limiti di accettabilità delle tabelle 1, 2 o 3 per i primi e della tabella 4 dell’allegato 5 al d.lgs 152/06, per i secondi, o ai diversi più restrittivi limiti13 che le regioni possono stabilire nei rispettivi piani di tutela delle acque. Tuttavia occorre aggiungere che, sia l’art. 31, comma 2, del d.lgs 152/99 che l’art. 105, comma 2, del d.lgs 152/06, per quanto riguarda lo scarico fognario prodotto da un agglomerato civile con meno di 2000 a.e., se esso è convogliato da rete fognante e se è destinato al recapito in acque dolci o di transizione, stabiliscono che deve essere sottoposto ad un “trattamento appropriato” 14 in conformità alle indicazioni contenute nel paragrafo 3 dell’allegato 5 al d.lgs 152/06. 9. – Il trattamento di acque reflue prodotte da centri abitati da 2.000 a 10.000 a.e. A norma del punto 1, art. 100, del d.lgs 152/06, “…gli agglomerati con un numero di abitanti equivalenti superiore a 2.000 devono essere provvisti di reti fognarie per le acque reflue urbane”. Se detti scarichi sono prodotti da agglomerati con meno di 10.000 a.e. e recapitano in acque marino-costiere si applicano pure le direttive contenute nel paragrafo 3 per quanto attiene i “trattamenti appropriati”. Fermo restando l’obbligo di perseguire anche per questi le stesse finalità di facilità gestionale, elevata capacità di adeguamento depurativo orario e di economia gestionale, lo stesso paragrafo 3 stabilisce che in ogni caso i trattamenti possono essere considerati adatti se sono dimensionati in modo che siano rispettati i limiti di cui alla tabella 1 dell’allegato 5. In pratica i valori degli inquinanti in uscita dai relativi impianti, valutati come media giornaliera, non devono superare i 25 mg/lt per il BOD5 (senza nitrificazione), i 125 mg/lt per il COD ed i 35 mg/lt per i Solidi Sospesi. Quanto detto per i “trattamenti appropriati” a proposito dei valori inquinanti in uscita vale anche nel caso in cui la popolazione fluttuante sia superiore al 30% di quella residente, dove il territorio ed il clima lo consentono. Naturalmente, per gli scarichi relativi a più di 10.000 a.e., occorre procedere a trattamenti depurativi completi secondo i rigidi canoni di ammissibilità degli scarichi stabiliti dal d.lgs
12 - Le acque reflue assimilate a quelle domestiche sono individuate in n. 6 tipologie descritte nel punto 7, art, 101, del d.lgs 152/06. 13 - Per tali scarichi (acque reflue urbane ed industriali) le regioni devono stabilire specifici valori limite delle emissioni, ma non possono consentirne valori più permissivi di quelli riportati nelle tabelle 3 e 4 dell’allegato 5 al d.lgs 152/06. 14 - Per maggiore chiarezza rivedere quanto trattato nel precedente paragrafo n. 5.
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n. 3-4/2008 n. 152/06, fermo restando che il progettista deve sempre ispirarsi a criteri di efficienza, efficacia ed economicità sia per l’aspetto costruttivo che per quello gestionale degli impianti. Alla luce di ciò si aggiunge che è sempre sicuramente molto apprezzabile e perfettamente in linea con gli orientamenti legislativi sia nazionali che europei l’adozione di tecnologie e procedure semplici orientate al recupero energetico ed al riciclaggio dei fanghi e delle stesse acque reflue. Infine si ricorda che per l’approvazione dei progetti di impianti di depurazione aventi potenzialità superiore a 20.000 a.e. è competente la Regione attraverso il parere tecnico ed amministrativo riservato alla Co.Te.R. (vedi nota n. 5 nel paragrafo 3.c); ovviamente le competenze approvative per gli impianti di potenzialità minore di 20.000 a.e. restano a carico degli Enti Locali Territoriali in quanto titolari del relativo finanziamento e delle Province che, su richiesta dei predetti Enti, possono senz’altro effettuare anche l’istruttoria tecnico-amministrativa del progetto contestualmente alla verifica di cui alla parte 3ª, comma 2, paragrafo 3, allegato 5, del d.lgs 152/06. 10. - Le valutazioni di ammissibilità degli scarichi in fase di approvazione del progetto di impianti di depurazione di acque reflue urbane ed assimilate di qualsiasi potenzialità. Con riferimento e seguito a quanto già discusso nel precedente paragrafo 3/c circa le attribuzioni delle competenze e delle responsabilità per l’approvazione tecnica ed amministrativa dei progetti degli impianti di depurazione15, si precisa che resta comunque fermo l’obbligo preliminare per l’autorità competente al rilascio dell’autorizzazione provvisoria allo scarico di “…verificare che l’impianto sia in grado di garantire che la concentrazione media giornaliera dell’azoto ammoniacale in uscita dall’impianto di trattamento non superi il 30% del valore della concentrazione dell’azoto totale in uscita dall’impianto di trattamento”, Le Province, quali “autorità competenti”, potranno entrare nel merito tecnico progettuale solo ed esclusivamente ai fini dell’accertamento della suddetta condizione di efficienza e dare la provvisoria autorizzazione allo scarico in acque superficiali solo quando dagli elaborati si evince il soddisfacimento della condizione sopra richiamata (vedi comma 2, paragrafo 3, allegato 5 alla parte 3ª del d.lgs 152/06). Inoltre, a norma del comma 9, art. 124, del d.lgs 152/06, “per gli scarichi in un corso d’acqua nel quale sia accertata una portata naturale nulla per oltre centoventi giorni annui, oppure in un corpo idrico non significativo, l’autorizzazione tiene conto del periodo di portata nulla e della capacità di diluizione del corpo idrico negli altri periodi, e stabilisce prescrizioni e limiti al fine di garantire le capacità autodepurative del corpo ricettore e la difesa delle acque sotterranee”. La sussistenza oggettiva di questa seconda condizione deve potersi rilevare dagli atti tecnici progettuali che, pertanto, devono essere completi degli specifici elaborati che a loro
Idraulica e bonifica volta possono fare riferimento a indagini storiche e/o certificazioni rilasciate da altre autorità. I controlli progettuali da parte dei tecnici dell’autorità competente per le autorizzazioni degli scarichi sono strettamente connessi con le tipologie dei cicli di depurazione previsti e, ovviamente, anche con l’adozione di eventuali specifiche tecniche di abbattimento dell’azoto, se necessario. Le soluzioni progettuali, a loro volta, devono scaturire dalla realistica valutazione del patrimonio depurativo esistente sul territorio calabrese, sia che si tratti di impianti in funzione che di manufatti in disuso o addirittura abbandonati, ma suscettibili di adeguamento funzionale. 11. - La convenienza economica ed ambientale sta spesso nel ripristino dell’esistente. E’ notorio che su tutto il territorio calabrese esistono più di un migliaio di installazioni depurative al servizio di piccoli comuni o di insediamenti abitativi, per la maggior parte di potenzialità intorno ai 1000 ÷ 2000 a.e. e molte di tali strutture, pure se in apparente stato di operatività, spesso non danno luogo ad effluenti accettabili per carenze di varia natura, non esclusi i ripetuti fermi per guasti o mancanza di energia elettrica. Noi intendiamo aprire una finestra sulla moltitudine di piccole strutture che, molto spesso per amore del nuovo, sono state dimenticate ed abbandonate in balia della vegetazione; in tempi di costi energetici e manutentivi poco sopportabili, i piccoli comuni possono senz’altro considerare la riattivazione e l’adeguamento dell’esistente con riguardo al risparmio energetico e senza compromettere l’ambiente. Pertanto in questo lavoro intendiamo interessarci di piccoli impianti di potenzialità inferiore a 10.000 a.e. per i quali, secondo quanto detto a proposito dei “trattamenti appropriati”, possono essere adottate tecnologie che perseguano facilità ed economia gestionale nonché elevata capacità di adeguamento depurativo con frequenza oraria. Alla luce di ciò il nostro immediato interesse si rivolge verso installazioni del tipo Imhoff - percolatore, bacini di lagunaggio, sistemi di fitodepurazione o dispositivi opportunamente combinati fra tali tecniche, tralasciando, dove e quando possibile, la tecnologia a fanghi attivi o, comunque, altamente meccanizzata che, per il suo elevato costo energetico e gestionale, deve trovare impieghi nelle condizioni più estreme e/o con particolari localizzazioni sul territorio. 12. -Intanto cerchiamo di familiarizzare con la specifica terminologia inerente la depurazione dei liquami con riguardo all’abbattimento dell’azoto ammoniacale. Abitante equivalente (a.e.): l’equivalenza è riferita ai carichi derivanti dal soddisfacimento dei bisogni di un abitante medio di un medio centro e con comuni esigenze di vita. Di regola l’equivalenza è riferita al carico organico unitario espresso come BOD5 al giorno, ma può anche riferirsi al carico di azoto totale immesso nei liquami. Il concetto di a.e. è utile quando si deve tenere conto di diverse tipologie di
15 - La legge regionale sui lavori pubblici, 10/11/1975, n. 31, con l’art. 8, come modificato dall’art. 7 Ter della L.R. 24/5/1999, n. 14, ha attribuito ai Comuni le competenze approvative “…relative alle opere ed agli interventi, senza limiti di importo, ricadenti interamente nel proprio territorio”, riservandosi la Regione, con l’articolo 2 della L.R. 30/5/1983, n. 18, le competenze per le approvazioni dei progetti di tutte le “opere di interesse regionale”. Queste, ivi compresi i progetti relativi a “impianti di depurazione con potenzialità superiore a 20.000 a.e.”, con D.P.G.R. 28/7/1999, n. 373, sono state tutte individuate e riservate alla competenza della Co.Te.R. alla quale compete il parere per l’approvazione.
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Idraulica e bonifica utenze facenti capo ad uno stesso impianto di depurazione. Se, ad esempio, una piccola industria di lavorazione delle carni è autorizzata ad immettere le proprie acque di rifiuto nella fognatura comunale secondo le concentrazioni fissate nella specifica tabella ed è nota la sua “produttività” nella misura di 5 animali/giorno di media grandezza, sapendo anche che il BOD imputabile ad ogni “capo” non è minore di 300 gr/g, ne deriva che l’attività della predetta industria equivale a: (5 x 300) : 60 = 25 a.e./g. B.O.D.: (Biochemical Oxyigen Demand) è la sigla con la quale viene universalmente indicata la quantità di ossigeno richiesta dai batteri aerobici perché possano effettuare l’assimilazione e la degradazione delle sostanze organiche presenti nelle acque di rifiuto, alla temperatura di 20 °C. Tale richiesta è tanto più elevata quanto più è elevata la concentrazione di sostanze organiche presenti nei liquami e quanto maggiore è la velocità del metabolismo batterico; la misura del BOD rappresenta, pertanto, la “forza” inquinante di un liquame. Occorre tenere presente che, anche se il BOD totale si misura in 30 e più giorni, il BOD di 20 giorni, normalmente detto BOD 20 , nella pratica si ritiene rappresentativo di quello totale in quanto corrisponde a circa il 98% del BODtot. Il BOD5, invece, rappresenta la quantità di ossigeno biochimico richiesto in 5 giorni da un campione di liquame posto alla temperatura di 20 °C; il BOD5 corrisponde a circa il 68% del BOD 20 . Nella pratica quotidiana si adotta come parametro comune il BOD5 in quanto si presume che qualunque ricettore finale sia normalmente in grado di abbattere il rimanente BOD con la propria carica di O2, senza apprezzabili inconvenienti. E’ opinione consolidata che il BOD5 attribuibile ad ogni abitante varia da un minimo di 54 (K. Imhoff) a 60 gr/ab x g, tenendo conto che i valori tendenti a 60 vanno attribuiti alle utenze dei centri urbani a più elevato tenore di vita. C.O.D.: (Chemical Oxygen Demand, cioè COD), rappresenta la quantità di ossigeno chimico necessaria per ossidare chimicamente, secondo gli standard operativi descritti nel manuale dell’IRSA, le sostanze ossidabili, biodegradabili e non biodegradabili, presenti in un’acqua di rifiuto. In un liquame di natura domestica il rapporto COD/BOD5 è pari a 1,7 ÷ 2, ma in presenza di liquami di provenienza industriale possono registrarsi rapporti COD/BOD fino a 5 ÷ 6. E’ evidente che più alto è il rapporto COD/BOD minore è il contenuto organico e batterico di un liquame, per cui tale valore in pratica ne misura la trattabilità per via biologica. Infine c’è da osservare che se in un liquame sono presenti sostanze tossiche o inibitrici dell’attività batterica, quali possono essere quelle risultanti da alcuni scarichi industriali, la loro presenza può essere rilevata solo attraverso una prova del BOD che risulterà molto più basso di quello solitamente rilevabile in quel particolare liquame; in questo caso la prova del COD non segnalerebbe variazioni in quanto, come già detto sopra, ne misura l’ossidabilità chimica. Fango di ricircolo (Fr) e fango di supero (Fs): nel complesso di trattamento costituito dall’ossidazione e sedimentazione secondaria, rispettivamente si dice fango di ricircolo quello che viene ripompato nel bacino di ossidazione per mantenere alla voluta concentrazione batterica i liquami che vi si trovano, mentre si dice di supero la frazione di fango in eccesso al sedimentatore finale. Quest’ultimo fango viene
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n. 3-4/ 2008 inviato alla fase di digestione oppure direttamente all’essiccamento se proviene da una fase ossidativa prolungata. utrienti: sono così indicate le sostanze che sono indispensabili ai batteri per il loro metabolismo quali carbonio, azoto, fosforo, potassio, zolfo, calcio, zinco, ferro, ecc. Rivestono particolare importanza l’azoto ed il fosforo, le cui carenze, nel caso di liquami industriali, possono determinare gravi disturbi funzionali nei processi depurativi a fanghi attivi. Per una equilibrata attività batterica è importante che in un depuratore il rapporto BOD5/N/P si mantenga mediamente intorno a 100/5/1. Ossigeno disciolto (D.O. - Dissolved Oxygen): si misura in mg/l e rappresenta la concentrazione di ossigeno gassoso che si trova in soluzione nell’acqua. La vita di tutti i microrganismi presenti in un’acqua è condizionata dalla maggiore o minore presenza di OD che, come sappiamo, viene assunto proprio sotto forma disciolta. Con temperatura variabile fra 0 e 30 °C, la concentrazione di saturazione dell’O 2 disciolto varia fra 14,1 e 7,6 mg/l; come termini di confronto si consideri che la trota, per vivere, ha bisogno di una concentrazione minima di 6÷7 mg/l ed i batteri dei processi depurativi non meno di 1÷2 mg/l. Le varie forme di vita presenti in un corpo idrico superficiale, hanno, quindi, a disposizione quantità limitate di 0 2 per cui ogni immissione inquinante può compromettere la sopravvivenza degli organismi superiori; ciò conferma la grande vulnerabilità delle acque naturali. Sostenze organiche: vengono così indicati i composti con molecola generalmente complessa comprendente atomi di carbonio. I principali gruppi di sostanze organiche presenti nelle acque di rifiuto sono gli idrati di carbonio (25 ÷ 50 %), le proteine (40 ÷ 60 %), gli oli e grassi (10%). Sostanze secche (o contenuto di solidi del fango): sono indicate con la sigla SS seguita dal valore in %; in pratica è il rapporto percentuale fra il peso secco dei solidi contenuti nell’unità di volume di un’acqua di rifiuto ed il peso “tal quale” di quell’acqua allo stato bruto. Ne deriva che, aumentando o diminuendo il tenore di acqua di un fango, il peso dell’unità di volume di quel miscuglio varia nello stesso modo. Solidi sospesi (SS): sono tutte le sostanze presenti nell’acqua di rifiuto sotto forma di particelle in sospensione, comprese quelle colloidali; in pratica sono tutte le sostanze di dimensioni visibili che, per mezzo di una prova di laboratorio, possono essere intercettate con un filtro (a membrana o di amianto) avente porosità di 0,45 η. Le sostanze colloidali (10%) e quelle disciolte (90%) che riescono ad attraversare il predetto filtro sono normalmente indicate come “Solidi disciolti”. I solidi sospesi danno luogo alla “torbidità dell’acqua”, cioè al cosiddetto inquinamento visibile. I solidi sedimentabili, invece, sono tutte le sostanze solide in sospensione che sedimentano in cono Imhoff nel tempo convenzionale di due ore. Umidità del fango: è espressa in % ed indica il tenore di acqua di un fango, cioè il peso dell’acqua contenuta nell’unità di peso della miscela acqua/fango allo stato tal quale. Se indichiamo con: Pa = peso della sola acqua, Ps = peso dei solidi sospesi, cioè delle sostanze non filtrabili, Pf = peso del fango tal quale (inteso come somma fra il
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n. 3-4/2008 peso dei solidi sospesi ed il peso dell’acqua Pa), il tenore di umidità può essere espresso con la relazione:
cioè
Se, attraverso trattamenti di addensamento, riduciamo il contenuto di acqua di un fango, il rapporto (Pf - Ps) / Pf diminuirà proporzionalmente al volume totale. Passando, infatti, dal volume V1 a V2 la variazione di umidità si può rappresentare come segue:
ciò dimostra che il volume totale di un fango varia in modo inversamente proporzionale al suo contenuto di acqua. Il reciproco del tenore di umidità di un fango ne rappresenta, invece, il tenore di sostanze secche, ciò che comunemente si definisce pure “concentrazione di un fango”. -Totale o TK: normalmente espresso in kg/m3 g è l’acronimo dell’espressione “Total Kjeldhal Nitrogen” e rappresenta il contenuto totale di azoto presente in un liquame di provenienza domestica sia sotto la forma organica che sotto forma inorganica; trascurando eventuali immissioni di liquami fortemente azotati scaricati in fogna da attività aziendali, l’apporto unitario umano di azoto totale TKN è generalmente valutato in circa 12 gr/ab g; -organico: comprende l’azoto legato a composti di origine animale o vegetale quali gli amminoacidi, i polipeptidi, le proteine e l’urea; mediamente, in un liquame domestico entrante nell’impianto di depurazione questa forma di azoto è presente in ragione del 25% del TKN; a sua volta l’N-organico è distinguibile in una frazione solubile non biodegradabile pari al 3%, in una frazione particolata pure non biodegradabile pari al 10% ed in una frazione biodegradabile pari al 12%; -inorganico: si riferisce esclusivamente all’azoto ammoniacale che nei liquami di provenienza prettamente domestica deriva dalla decomposizione dell’urea e dalla decomposizione anaerobica delle proteine; tali liquami sono tanto più ricchi di ammoniaca quanto più lungo è il loro tempo di trasporto nell’ambito della rete di fognatura dove, per tempi di ritenzione superiori alle 12-18 ore, si verificano sempre fenomeni di setticità e, quindi, di acidificazione del liquame; l’azoto inorganico è comunemente espresso come N-NH3 (ammoniaca) o N-NH4+ (ione ammonio): nel liquame le due forme sono sempre tra loro in equilibrio chimico in quanto vicendevolmente condizionate dal pH e dalla temperatura; l’azoto ammoniacale è mediamente valutato in ragione del 75% del TKN e, diversamente dalla frazione organica, è da ritenere immediatamente e totalmente biodegradabile; itrificazione: è costituita dal processo o fase di trattamento dove in presenza di ossigeno atmosferico si verifica l’ossidazione biologica dei composti inorganici dell’azoto (N-NH4+ ed NO2), rispettivamente ione ammonio e nitrito, ad opera di batteri chemiolitotrofi che sono sempre presenti nei liquami di origine domestica. In particolare i batteri del genere Nitrosomonas ossidano l’ammonio e quelli del genere Nitrobacter ossidano il nitrito: entrambi utilizzano il carbonio inorganico (anidride carbonica o bicarbonato) pure libe-
Idraulica e bonifica ramente presente nei liquami e, rispettivamente, traggono energia per la loro crescita attraverso l’ossidazione dell’ammoniaca a nitrito (NO2 - azoto nitroso) e di questo a nitrato (NO3 - azoto nitrico) che è la fase stabile dell’azoto. I nitrati, quale prodotto finale, si ritrovano per la maggior parte nei fanghi di sedimentazione e ne seguono la sorte nella fase di smaltimento o di riutilizzazione agricola. Una parte di nitrati, sia pure modesta, resta disciolta nell’effluente finale dell’impianto ed è appunto questa che, per scarichi in acque sensibili, può determinarne il deterioramento biologico se non l’eutrofizzazione del bacino ricettore in quanto questa forma di sale è il principale nutriente per la microflora. Denitrificazione: è una fase di trattamento depurativo in cui viene specificamente provocata la riduzione biologica dell’azoto nitrico (NO3) e nitroso (NO2) con formazione di azoto gassoso che, ovviamente, si libera immediatamente nell’atmosfera. I batteri che svolgono tale attività appartengono al generi Acinetobacter, Gluconobacter, Pseudomonas, ecc. i quali, utilizzando come fonte di energia sempre il carbonio ceduto da substrati carboniosi di natura chimica (es. metanolo) o molecole organiche; in ambiente anossico, attraverso l’azione dell’enzima Nitratoriduttasi, gli stessi batteri provvedono alla riduzione biologica dei nitrati presenti in soluzione nei liquami ossidati. Abbattimenti di azoto totale: in un impianto per liquami urbani è possibile rimuovere da 1 a 2 gr/ab g di azoto attraverso la fase di sedimentazione primaria; in particolare negli impianti tradizionali a fanghi attivi a medio carico di fango (Cf compreso fra 1 e 2 kg BOD5/kg SSA g), dove la produzione specifica di fanghi biologici SSA è intorno a 35 gr/ab g, la corrispondente rimozione di azoto operata dalla frazione di biomassa in crescita varia da 2,5 a 4,2 gr/ab g. Ne consegue che la possibile rimozione totale di azoto in un impianto tradizionale come sopra ipotizzato ammonta complessivamente a circa 5 gr/ab g, per cui quello residuato nell’effluente sarà di circa 7 gr/ab g. 12.a – La riduzione dell’azoto in un impianto di depurazione. Le norme sottolineano sempre che sia gli effluenti degli impianti al servizio di scarichi stagionali che di quelli al servizio di scarichi permanenti devono osservare i criteri di ammissibilità previsti dal d.lgs 152/06 ed ampiamente evidenziati in tutta la precedente narrativa; in particolare i valori degli inquinanti scaricati con l’effluente finale, valutati come media giornaliera, non devono superare i 25 mg/lt per il BOD5 (se non è prevista la nitrificazione), i 125 mg/lt per il COD ed i 35 mg/lt per i Solidi Sospesi. Per verificare, poi, che “la concentrazione media giornaliera dell’azoto ammoniacale in uscita dall’impianto di trattamento non superi il 30% del valore della concentrazione dell’azoto totale in uscita dall’impianto di trattamento” è necessario procedere alla verifica di dimensionamento dell’impianto, se questo deve essere realizzato ex-novo o alla verifica funzionale dell’impianto esistente se ne è previsto l’adeguamento, provvedendo se e quando necessario, alla integrazione delle strutture e delle sue strutture ed apparecchiature elettromeccaniche. Ovviamente, sia la verifica che il dimensionamento saranno riferiti alla rimozione contemporanea del BOD 5 e dell’azoto ammoniacale espresso come frazione del TKN (N
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Idraulica e bonifica –Kjieldal) ed a tal fine evidenziamo la necessità che sussistano i seguenti elementi caratteristici: Inquinamento unitario del liquame bruto: . . . . . . . . . .BOD5/ab x g gr 60 Inquinamento ammissibile allo scarico (tab. 1, alleg. 5): . .mg/l BOD5 25 TKN (N –totale Kjieldal) per a.e. (entrante in vasca): . . . . . . . .gr/ab x g 12 N-NH3 (Azoto inorganico) entrante in vasca per a.e. = 75% del TKN:g r / a b x g 9,00 Azoto organico, biodegradabile e non . . . . . . . . . . . . . . . . . .gr/ab x g 3,00 O.D. (minima saturazione di ossigeno in ossidazione): . . . . . . . . .mg/lt ≥ 2 Rapporto ottimale BOD5/TKN = 60/12 =16 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .5
12.a.1 - Biomassa nitrificante nel bacino di ossidazione. Il rapporto fra il valore giornaliero del BOD5 pro-capite entrante all’impianto e quello del TKN contemporaneamente presente, ai fini dell’abbattimento della frazione organica dell’azoto, non deve superare il valore di 5 (al proposito vedere la nota n. 16 in calce). Se tale valore si mantiene intorno a 5 significa che nel bacino di ossidazione, sia esso a fanghi atttivi che a letti percolatori, si sviluppa un processo di rimozione combinata del carbonio organico e di nitrificazione dell’ammoniaca in quanto, in tali condizioni, la biomassa dominante nel bioreattore è quella eterotrofa generale. La biomassa nitrificante specifica, in via del tutto teorica, potrebbe anche non essere considerata in quanto compresa in quella totale presente nell’ambiente ossidativo (Ekama e Marais, 1984); tuttavia in presenza di elevati tempi di detenzione durante la fase ossidativa, è interessante valutarne la reale efficacia. A questo fine iniziamo col valutare la velocità di nitrificazione a 20 °C che, secondo la formula generale: Vn(20) = 120 * [1/(1+1)] * [2/(1+2)] * 1,12 = 0,044 Kg TKN / Kg SSN x h, ha la dimensione di: Vn(20) = 0,044 kg TKN / Kg SSN * h. Proseguiamo poi, determinando, pure secondo la relativa formula generale, la frazione dei batteri nitrificanti (nitrosomonas, ecc.) che, con impianto a regime, saranno presenti ed operativi nella biomassa sotto ossidazione: Fn = 1: {1+[(COe - COu) : (TKNe - TKNu) * (Y : YKu)]} = 0,045 kg TKN / Kg SSN * h. Questo significa che il 4,5% della biomassa in ossidazione è costituita da batteri nitrificanti specializzati per mezzo dei quali l’ammoniaca, in presenza di O 2 maggiore di 2 mg/lt, viene ossidata secondo la sequenza delle due seguenti reazioni semplificate: (produzione di nitriti) 2NH 3 + 3O 2 à 2NO 2 + 2H + 2H2O (produzione di nitrati) 2NO2 + O2 à 2NO3 I nitrati, quali prodotti finali dell’ossidazione dell’ammoniaca, per la maggior parte restano inglobati nei fiocchi di fango di supero da avviare alla stabilizzazione finale ed in minor parte rimangono in soluzione nella massa liquida presente nel bacino di ossidazione. 12.a.2 - Efficienza depurativa ed efficacia del ricircolo in un impianto a fanghi attivi. Nel diagramma dell’Imhoff al valore di Cf = 0,12 kg BOD5/kgSSa x g, relativamente ai bacini con aerazione pro-
n. 3-4/ 2008 lungata, corrisponde l’età del fango di 18 giorni, un tenore del fango di supero di 0,68 kgSSa/kgBOD5 x g ed un’efficacia depurativa totale intorno al 93%. Con riferimento ad una comune vasca di ossidazione avente il classico carico volumetrico (CV) di 0,36 kgBOD5/mc, la quantità giornaliera di fango di supero è: SSs = 1000 * 0,36 * 0,93 * 0,68 = 228 kg/g, il 0cui volume al 99% di acqua è di 22,8 mc/g La vasca di sedimentazione tipo Dortmund prevista come sedimentatore finale al servizio di quella di ossidazione è per sua natura idonea ad agglomerare i fiocchi fangosi della SSa fino a più che raddoppiarne la concentrazione nella sua tramoggia di fondo, ciò che giustifica l’adozione di una valore di 6 kg SSr/mc per il flusso del fango di ritorno verso l’ossidazione. In tali condizioni l’entità del ricircolo di tale fango vale: SSr = 3/(6 - 3) = 1; il che significa che la portata del fango di ricircolo sarà pari al 100% dell’intera portata entrante all’impianto in qualsiasi istante; pertanto nel bacino di ossidazione dovrà entrare costantemente una portata pari al doppio di quella determinata come Qm addotta dalla rete fognante. Ad assicurare questa continuità ed automaticità proporzionale fra le due portate è determinante la presenza di una pompa ad aria (idroeiettore) che per sua impostazione costruttiva è regolabile sul continuo dallo stesso misuratore della portata d’ingresso all’impianto. 12.a.3 - Denitrificazione. Affinché il fango di ritorno già ben nitrificato (cioè ricco di nitrati) possa subire il processo di denitrificazione, cioè la dispersione in atmosfera dell’azoto di NO3 in forma gassosa, è necessario che esso venga immesso in apposita vasca da mantenere in costante ambiente anossico dove, proprio per la carenza di ossigeno gassoso, i batteri denitrificanti (nitrobacter, ecc.), che in quell’ambiente sono prevalenti, metabolizzano il carbonio organico del liquame fresco utilizzando l’ossigeno presente nelle molecole dei nitrati. In pratica la molecola del nitrato contenuto nel fango di ritorno viene scomposta dalla massa batterica eterotrofa per metabolizzarne l’ossigeno assieme al carbonio del liquame fresco e l’azoto che si libera nella reazione si disperde nell’atmosfera nella forma gassosa, secondo la seguente formula semplificata che sintetizza la fase di denitrificazione: 2NO3 à 3O2 + N2 Nei piccoli impianti, data la modesta entità dei liquami e tenuto conto della necessità di non rendere eccessivamente complesso il processo depurativo, non appare necessario prevedere un apposito bacino di denitrificazione, ma si ritiene più che sufficiente assicurare l’ambiente anossico per una parte presso la stessa vasca di accumulo del sollevamento iniziale, dove c’è, e per il resto riducendo l’afflusso di aria nella prima parte della vasca di areazione che in questo caso deve essere a pianta rettangolare e con flusso “a pistone”. Pertanto quest’ultima, pur garantendo costantemente la miscelazione totale del liquame sotto areazione, presenterà la parte iniziale di ingresso del liquame fresco e del fango di ritorno con una concentrazione di O2 lievemente deficitaria;
16 - Nel caso in esempio, considerato che si tratta di liquami di provenienza esclusivamente umana, è stato evidenziato il rapporto dei valori relativi ad un abitante equivalente. Dove, però, particolari situazioni locali possono determinare valori fra loro “sbilanciati” è necessario determinare l’effettivo carico giornaliero del BOD5 e dell’azoto totale entranti nell’impianto. Tale verifica deve mirare ad accertare che il loro rapporto globale si mantenga pure intorno al valore 5 se si desiderano ottenere risultati accettabili in termini di rimozione dell’azoto.
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n. 3-4/2008 questa, però, man mano che il flusso progredisce, aumenta progressivamente fino a raggiungere, in prossimità del dispositivo di uscita, una concentrazione di O2 maggiore dei canonici 2 mg/l. Per agevolare il più rapido contatto fra il fango di ritorno ben nitrificato ed il liquame fresco ricco di carbonio organico, la miscelazione dovrà avvenire direttamente nella vasca di carico del sollevamento di testa dell’impianto che, pertanto, deve essere appositamente dimensionata per assicurare, in rapporto alla Qm oraria entrante, un tempo di contatto di almeno mezz’ora. Schema operativo di un impianto a fanghi attivi con denitrificazione nello stesso bacino di accumulo e sollevamento iniziale.
Idraulica e bonifica ritenere comune un’efficacia di abbattimento dell’azoto ammoniacale di almeno il 99%. A tale valore di efficacia corrisponde una concentrazione residua media giornaliera di ammoniaca espressa come NNH3 pari a 56,25 x (1 – 0,99) = 0,56 mg/l Il paragrafo 3 dell’allegato 5, per quanto attiene lo scarico in un corso d’acqua, prescrive che “…la concentrazione media giornaliera dell’azoto ammoniacale (espresso come ), in uscita dall’impianto di trattamento, non superi il 30% del valore della concentrazione dell’azoto totale (espresso come ) in uscita dall’impianto di trattamento”. La massima concentrazione di azoto totale (N-TKN) che, sulla base del fattore di efficacia complessiva dell’impianto del 93%, può ragionevolmente essere presente nell’effluente sotto forma di BOD5 residuo rilevabile nei microfiocchi fangosi “sfuggiti” alla sedimentazione finale, è valutabile nella misura massima di: 75 x (1 – 0,93) = 5,25 mg/l in quanto, essendo legati alla stessa percentuale di efficacia depurativa come composti organici, sussiste una sorta di reciproca dipendenza fra il BOD 5 rimosso e l’azoto totale (N-TKN) contestualmente abbattuto. Come abbiamo evidenziato più sopra, invece l’efficacia
Sezione tipo di un letto percolatore
12.a.4 - Efficacia di abbattimento dell’ammoniaca. Per un BOD uscente massimo ammissibile di 25 mg/l (vedi tab. 3, allegato 5 alla parte IIIª del D.lgs 03/04/06 n. 152) l’efficacia complessiva dell’impianto in termini di abbattimento del BOD5 deve essere intorno al 93%, ciò che nella pratica quotidiana rappresenta un valore di discreta elasticità per un impianto a tecnologia semplificata. Al TKN entrante di 12 gr/ab x g, per una dotazione idropotabile pro-capite di 200 lt/ab g corrisponde la concentrazione media di circa 75 mg/l, mentre alla sua sola frazione ammoniacale, che è di circa 9 gr/ab x g, corrisponde la concentrazione d’ingresso di 56,25 mg/lt. Considerato che il piccolo impianto ipotizzato è del tipo ad aerazione prolungata a medio carico organico ed i fanghi presentano un’età media di circa 18 giorni, l’abbattimento dell’azoto ammoniacale espresso come N-NH3 è da ritenere prossimo al 100%, atteso che nel caso in esame i fattori limitanti del processo possono essere costituiti soltanto dalla bassa temperatura d’esercizio e/o dalla scarsa efficienza del sedimentatore finale. Tuttavia, in linea anche con quanto espresso al proposito dell’elevatissima efficacia della nitrificazione negli impianti a fanghi attivi a basso carico ed in quelli a letti percolatori pure a basso carico da autori quali Masotti, Passino, Ribaldone e Bianucci, Vismara ed altri, in via cautelativa è possibile
Schema operativo di un impianto a percolatore con denitrificazione.
di abbattimento dell’azoto ammoniacale negli impianti correttamente dimensionati, raggiunge tranquillamente il 99% in quanto trattasi di un composto inorganico facilmente ossidabile in ambiente ricco di O2 (per maggior chiarimento vedere 121
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Idraulica e bonifica il paragrafo 12.a.4 relativo all’efficacia di abbattimento dell’ammoniaca). Conseguentemente, dal confronto fra la concentrazione dell’azoto ammoniacale e quella dell’azoto totale uscenti dall’impianto con l’effluente finale, si evince che la prima (0,56 mg/l) corrisponde a circa il 10 % della seconda (5,25 mg/l) e, cioè, a meno di 1/3 della concentrazione massima ritenuta ammissibile dalla norma sopra citata in ragione del 30%. In tali condizioni lo scarico di che trattasi è pienamente ammissibile in un corso d’acqua. 12.b - La riduzione dell’azoto con la tipologia impiantistica più economica e più “ecologica”: l’ossidazione a letto percolatore. Dal momento che in quasi tutti i piccoli comuni collinari della Calabria esistono vecchi impianti del tipo “Imhoff, Percolatore, Imhoff” che potrebbero essere facilmente ristrutturati e destinati almeno al servizio della popolazione gravitante nei centri storici o nuclei isolati, proviamo a valutarne gli elementi caratteristici e la corrispondente ammissibilità dello scarico a parità di caratteristiche del liquame da trattare rispetto a quelle considerate nell’impianto a fanghi attivi di cui al precedente esempio. La trattazione che segue si riferisce ad un impianto con fase ossidativa a letto percolatore esistente, da ristrutturare e/o integrare opportunamente. Elementi caratteristici di base. Inquinamento ammissibile allo scarico (tab. 1, alleg. 5): . .mg/l BOD5 25 Tipo di letto percolatore (inerti di pezzatura cm 4-6): . . . . . . .con ricircolo Tipologia di trattamento: . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .a medio carico idraulico Superficie specifica della massa biologica attiva: . . . . . . . . . . . .mq/mc 80 Densità massa biologica adesa agli inerti17: . . . . . . . . . . . .circa gr SS/lt 6 Massa di SS adesa su ogni mc di inerti18: . . . . . . . . . .circa gr SS/mc 1000 Carico organico medio gravante sulla massa adesa = Kg BOD5/mc g 0,175 TKN (N –totale Kjieldal) per a.e. (entrante in vasca): . . . . . . . .gr/ab x g 12 N-NH3 (Azoto ammoniacale) entrante per a.e. = 75% del TKN:gr/ab x g 9,00 Azoto organico, biodegradabile e non (entrante in vasca) . . . gr/ab x g 3,00 O.D. (la saturazione di ossigeno nel percolatore è sempre elevata):mg/lt ≥ 2 Rapporto BOD5/TKN per a.e.: 60/12 = . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .5
Come è noto un percolatore, similmente a quella di un bacino a fanghi attivi, presenta adesa sui suoi elementi inerti di riempimento una notevole biomassa sotto forma di film biologico dello spessore medio di mm 2 dove la parte batterica predominante è di tipo eterotrofo ed attua con continuità nei liquami percolanti un processo di rimozione del carbonio organico contestualmente al processo di nitrificazione. Al proposito ricordiamo che per nitrificazione si intende
n. 3-4/ 2008 sempre il processo di ossidazione biologica dei composti inorganici dell’azoto (cioè dell’ammoniaca NH4 e del nitrito NO2) i quali, per opera dei batteri specializzati (chemiolitotrofi), naturalmente presenti nella biomassa, vengono ossidati a nitrati, cioè trasformati in azoto nitrico N-NO3. Un percolatore deve naturalmente presentare una buona inerzia termica complessiva affinché la massa organica non subisca sbalzi termici che ne comprometterebbero l’efficacia. Tale bacino viene normalmente alimentato a basso carico organico (fra 150 e 200 gr SS/ mc di massa inerte) e la sua temperatura interna, che normalmente si mantiene intorno ai 20°, consente al processo di nitrificazione di svilupparsi con una velocità che non ha nulla da invidiare a quella che si riscontra nei bacini a fanghi attivi e cioè con un abbattimento di azoto pari a non meno di 0,040 kgTKN/kgSSN x h. I nitrati contenuti nell’effluente del percolatore, in parte restano in soluzione nell’acqua avviata allo scarico od al ricircolo ed in parte vengono inglobati nei fanghi che saranno intercettati nel sedimentatore finale e poi stabilizzati attraverso la successiva digestione. Anche per un impianto a percolatore l’autorità preposta all’autorizzazione dello scarico nei corsi d’acqua deve preliminarmente verificare gli atti progettuali ed accertare che “…la concentrazione media giornaliera dell’azoto ammoniacale (espresso come ), in uscita dall’impianto di trattamento, non superi il 30% del valore della concentrazione dell’azoto totale (espresso come ) in uscita dall’impianto di trattamento”. A tale fine ricordiamo che un impianto con schema funzionale “Imhoff - Percolatore”, se ben proporzionato e ben gestito, raggiunge e mantiene tranquillamente una percentuale di efficacia complessiva pari se non superiore a quella di uno a fanghi attivi e cioè di almeno il 93%, in termini di abbattimento del BOD5.19 Pertanto la massima concentrazione di azoto totale (NTKN) che può ragionevolmente essere presente nell’effluente scaricato sotto forma di BOD5 residuo dal sedimentazione finale, con riferimento all’efficienza globale del 93%, è valutabile nella misura massima di: 75 x (1 – 0,93) = 5,25 mg/l. La concentrazione residua dell’azoto ammoniacale, il cui abbattimento come già detto è maggiore del 99%, invece è valutabile in ragione di 56,25 x (1 – 0,99) = 0,56 mg/l. Dal confronto fra la concentrazione dell’azoto ammoniacale e quella dell’azoto totale uscenti dall’impianto con l’effluente finale, si evince che il primo corrisponde a circa il 10 % del secondo e, cioè, addirittura a circa 1/3 di quello massimo ritenuto ammissibile dalla norma sopra citata.
17 - Il tenore di sostanza secca del film biologico adeso sugli elementi inerti può valutarsi con buona approssimazione in misura di circa 6 kg/mc che corrisponde alla concentrazione dei fanghi attivi ottenibile in un efficiente sedimentatore tipo Dortmund. 18 - Questo valore corrisponde a circa 1/3 di quello che normalmente si considera per una vasca di ossidazione a fanghi attivi funzionante a pieno regime (circa 3 Kg SSa / mc). 19 - Ricordiamo che in un liquame urbano dove la dotazione idropotabile media pro-capite è di circa 200 lt/ab g, la concentrazione media del TKN entrante di 12 gr/ab x g corrisponde a (1000 * 12)/ 200 * 0,75 = 75 mg/l; alla sua frazione ammoniacale, che è di circa 9 gr/ab x g, corrisponde la concentrazione d’ingresso di (1000*9)/200 * 0,75 = 56,25 mg/lt. 20 - Per la sedimentazione primaria è ideale la vasca Imhoff, mentre per quella secondaria è necessaria una Dortmund per la necessità di riportare in continuo nella Imhoff sia il fango fresco concentrato che le acque da denitrificare.
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CANTIERI TEMPORANEI E MOBILI L’organizzazione della sicurezza e della direzione lavori alla luce del d.lgs. 81/2008 di Leonardo Ferraro* Premessa Dopo circa 30 anni da quando, per la prima volta, si manifestò la necessità di avere un testo unico che regolamentasse la difficile e complicata materia della sicurezza sui luoghi di lavoro e resasi ancora di più complessa con il successivo aggiungersi, a quanto già esistente, di decreti legislativi, decreti ministeriali, circolari e quant’altro, finalmente il 30 aprile 2008 è stato pubblicato il tanto atteso T.U. (in attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123) in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. Esso assume il nome di D.lgs. 81/2008 e con la sua emanazione vengono abrogati: - il decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547 - il decreto del Presidente della Repubblica 7 gennaio 1956, n.164 - il decreto del Presidente della Repubblica 19 marzo 1956, n.303, fatta eccezione per l‘articolo 64 (ispezioni) - il decreto legislativo 15 agosto 1991, n. 277 - il decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626 - il decreto legislativo 14 agosto 1996, n. 493 - il decreto legislativo 14 agosto 1996, n. 494 - il decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 187 - l’articolo 36-bis, commi 1 e 2 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248 - gli articoli: 2, 3, 5, 6 e 7 della legge 3 agosto 2007, n. 123 - ogni altra disposizione legislativa e regolamentare nella materia disciplinata dal decreto legislativo medesimo incompatibili con lo stesso. Voluto dalle organizzazioni sociali per snellire la materia, auspicato dal Presidente della Repubblica, resosi necessario per cercare di arginare il continuo succedersi di morti sul lavoro, criticato (ingiustamente) dalle confederazioni degli indu-
do di piena applicazione si rischia di non focalizzare bene e perdere di vista le eventuali lacune presenti. Il T.U. è composto da 306 articoli suddivisi in XIII Titoli e LI allegati i quali vanno a regolamentare l’intera materia (vedi tabella 1). Ad un primo impatto possono sembrare tanti, ma in realtà essi rendono l’argomento snello poiché con la emanazione del T.U. vengono soppresse leggi molto più copiose. Sono molte le disposizioni positive che mirano (almeno nelle intenzioni) ad agevolare i compiti di chi è preposto alla gestione delle attività. L’attenzione del presente scritto è comunque focalizzato su ciò che attiene le attività inerenti i cantieri temporanei e mobili. Alcune novità Le disposizioni riguardanti i cantieri temporanei e mobili sono riportate nel Titolo IV del T.U.. Esse sono comprese tra l’art. 88 e l’art. 160. Tale Titolo, però, non è ermetico come si potrebbe pensare ad una prima analisi, ma “interagisce” non solo con buona parte delle disposizioni contenute nell’intero testo1, ma anche con altre disposizioni legislative rimaste in vigore e collegate al T.U.. (vedi tabella 2). Inoltre, cosa importante, si intendono abrogate tutte quelle norme incompatibili con quanto disposto dal D.Lgs 81/2008.
Tabella 2
Tabella 1
striali, il T.U. ha come scopo quello di rendere “fruibile” la materia a tutti riunendola dai mille rivoli in cui era dispersa. Certo, come tutte le leggi anch’essa potrebbe essere soggetta ad alcuni miglioramenti ma, ritengo che, se non vi è un perio-
Di rilevante importanza, anche se poco dibattuto, riveste il disposto dell’art. 30 riguardante i modelli di organizzazione e gestione. Infatti il modello che le aziende dovranno adottare deve essere idoneo, nonché avere efficacia “esimente” delle responsabilità amministrative delle persone giuridiche, delle società e associazioni di cui al D.Lgs 231/2001. Il comma 1 dell’art. 30 riporta una serie di adempimenti giuridici che l’impresa deve svolgere e sono relativi: a) al rispetto degli standard tecnico-strutturali di legge relativi a attrezzature, impianti, luoghi di lavoro,agenti chimici,fisici e biologici; b) alle attività di valutazione dei rischi e di predisposizione delle misure di prevenzione e protezione conseguenti; c) alle attività di natura organizzativa, quali emergenze,
* Geometra dottore in Scienze geo-topo-cartografiche, estimative, territoriali ed edilizie 1 Come ad esempio si evince nell’art. 90 (obblighi del committente o del responsabile dei lavori) ove al comma 1 si rimanda all’art. 15 in merito alle scelte tecniche nell’esecuzione del progetto e nell’organizzazione delle operazioni di cantiere.
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Sicurezza sul lavoro primo soccorso, gestione degli appalti, riunioni periodiche di sicurezza, consultazioni dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza; d) alle attività di sorveglianza sanitaria; e) alle attività di informazione e formazione dei lavoratori; f) alle attività di vigilanza con riferimento al rispetto delle procedure e delle istruzioni di lavoro in sicurezza da parte dei lavoratori; g) alla acquisizione di documentazioni e certificazioni obbligatorie di legge; h) alle periodiche verifiche dell’applicazione e dell’efficacia delle procedure adottate Il modello organizzativo e gestionale di cui all’art. 30 deve programmare idonei sistemi di registrazione degli adempimenti e deve anche prevedere, per quanto richiesto dalla natura e dimensioni dell’organizzazione e del tipo di attività svolta, “un’articolazioni di funzioni che assicuri le competenze tecniche e i poteri necessari per la verifica, valutazione, gestione e controllo del rischio, nonché un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello”. Per un suo corretto processo applicativo il modello necessita di un adeguato sistema di controllo (audit) che miri anche ad un mantenimento nel tempo delle misure adottate e che andrà, ovviamente, modificato qualora vi siano variazioni dei processi produttivi, mutamenti organizzativi e/o vengano scoperte anomalie nel sistema stesso. In sede di prima applicazione, comunque, si potranno adottare (comma 5) “i modelli di organizzazione aziendale definiti conformemente alle Linee guida UI-IAIL per un sistema di gestione della salute e sicurezza sul lavoro (SGSL) del 28 settembre 20012 o al British Standard OHSAS 18001:2007” i quali si presumono essere conformi ai requisiti richiesti nell’articolo per le parti ad esso corrispondenti. Altre novità di rilievo sono: - le sanzioni (art. 59) per la genericità dei lavoratori per le violazioni degli obblighi di cui all’art. 20; - le sanzioni previste a carico dei lavoratori inadempienti di cui all’art. 160, sia essi autonomi (comma 13) che dipendenti (comma 44); - alla fine di ogni singolo Titolo del T.U. sono riportate le sanzioni previste per ognuna delle figure interessata alla prevenzione e tutela della salute e sicurezza.; - eliminazione del riferimento all’entità presunta nel cantiere degli u/g per la redazione del P.S.C. Ruolo del committente e responsabilità solidale Nell’ambito delle persone giuridiche il committente è il soggetto legittimato alla firma dei contratti d’appalto (circ. Minlavoro del 18 marzo 1997 n° 41). Da ciò ne deriva che deve coincidere con una persona fisica (con nome e cognome menzionato nel cartello di cantiere) in quanto è titolare di obblighi penalmente sanzionabili. Per quanto concerne la pubblica amministrazione egli viene individuato nella figura legittimata alla firma del contratto ovverosia con il responsabile
n.3-4/ 2008 del procedimento, mentre per le imprese private occorre far riferimento alle regole ordinarie in base alla legge oppure per atto di delega. Il D.Lgs.81/2008 assegna al committente un ruolo importante già al momento della progettazione dell’opera. In questa fase, ed in particolare “al momento delle scelte tecniche, nell’esecuzione del progetto e nell’organizzazione del cantiere”, deve attenersi alle misure generali di tutela contenute nell’art. 15 del T.U. Ciò evidenzia un fatto particolare: nelle sue scelte, non può non tenere conto della tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori che saranno chiamati a realizzare l’opera. Il committente, qualora non abbia i requisiti di legge, in fase di progettazione prima ed esecuzione poi, deve nominare il responsabile dei lavori. (vedi paragrafo seguente). Tuttavia il ricorso alla nomina del responsabile dei lavori esonera il committente soltanto dalle responsabilità connesse all’incarico conferito e contenute nell’atto di delega. In ogni caso non è esonerato dagli obblighi derivanti dagli articoli 90, 92 comma 1) e 99. In estrema sintesi possiamo dire che la nomina del responsabile lavori non esonera il committente dai doveri inerenti la sicurezza a suo carico così come la nomina dei coordinatori non esonera il responsabile lavori (o committente) delle responsabilità derivanti dagli articoli 91 comma 1 e 92 comma 1 lettere a), b), c) e d). Pertanto, in base a quanto riportato nell’art. 93 (responsabilità dei committenti e dei responsabili dei lavori) risulta necessario che i tecnici, dei quali il committente dovrà avvalersi, dovranno essere professionisti di elevate capacità tecniche e professionali poiché nelle attività inerenti la sicurezza, egli risulta essere coinvolto, nonostante le nomine, in prima persona. Da ciò potrebbe configurarsi una sua corresponsabilità anche per culpa in eligendo e culpa in vigilando.
Tabella 3
Per quanto concerne, invece, la responsabilità solidale, come certo si ricorderà il Decreto Legislativo n° 251 del 6 ottobre 2004 introdusse importanti disposizioni correttive al
2 vedi: www.uni.com/uni/controller/it/comunicare/articoli/2003/sgsl_guida_operativa.pdf 3 Art. 160 - Sanzioni per i lavoratori 1. I lavoratori autonomi sono puniti: a) con l’arresto da due a quattro mesi o con l’ammenda da 1.000 a 5.000 euro per la violazione dell’articolo 100, comma 3;b) con l’arresto fino a un mese o con l’ammenda da 500 a 2.000 euro per la violazione dell’articolo 94. 4 2. I lavoratori sono puniti con l’arresto fino a un mese o con l’ammenda da 150 a 600 euro per la violazione degli articoli 124, 138, commi 3 e 4, 152, comma 2.
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D.Lgs. 276 del 10 settembre 2003 in materia di “occupazione e mercato del lavoro” in particolare all’art. 29 (vedi tabella 3). Ad una prima, superficiale, analisi di questa legge, essa potrebbe sembrare distante dall’argomento esposto nel presente paragrafo ma, come si vedrà in seguito, non è così in quanto le materie trattate sono strettamente correlate. Infatti, l’art. 6 comma 1 del D.Lgs 251/2004 sancisce “una prima forma” di responsabilità solidale tra committente imprenditore o datore di lavoro e appaltatore in merito ai trattamenti retributivi e contributi previdenziali dovuti. Il lavoratore sottopagato, o al quale non vengono versati i contributi previdenziali può, rivalersi verso il committente imprenditore entro un anno dalla cessazione dell’appalto nel quale era stato impiegato. Ma chi è in realtà il committente imprenditore? Il committente imprenditore non è altro che una persona giuridica; può essere anche una persona fisica qualora egli esercita attività di impresa o professionale. Il comma 4 dell’art. 26 del T.U. oltre a far rimanere invariato quanto in precedenza disposto in tema di responsabilità solidale tra committente imprenditore e appaltatore per i mancati pagamenti di retribuzioni e contributi (Ferme restando le disposizioni di legge vigenti materia di responsabilità solidale […]) ha preso in considerazione anche problematiche riguardanti incidenti a lavoratori dipendenti dell’appaltatore o sub-appaltatore che non vengono indennizzati da INAIL o ISPEMA5 includendole nella responsabilità solidale del committente. Da tale casistica restano esclusi i danni conseguenti ai rischi specifici propri delle imprese di appartenenza.
degli obblighi ricadenti in capo ai coordinatori limitatamente al comma 1 dell’art. 91 (obblighi del coordinatore per la progettazione) e del comma 1 lettere a), b) c) e d), dell’art. 92 (obblighi del coordinatore per l’esecuzione dei lavori). Questo disposto normativo è di fondamentale importanza poiché così facendo si evita che, con la nomina del c.e.l., il responsabile dei lavori progettista o direttore dei lavori si senta esonerato dagli obblighi di cui la legge gli fa carico inducendolo, magari, a compiere “improprie pressioni” sul coordinatore. Si evidenzia, inoltre, che la designazione dei coordinatori non è più legata, come avveniva per la previgente normativa, all’entità presunta degli u/g presenti in cantiere (pari o superiori a 200) e alla presenza di rischi particolari. Ciò fa sì che anche per eseguire piccoli lavori vige l’obbligo di eseguire il P.S.C. e nominare i coordinatori.
Il responsabile dei lavori All’art. 89 al comma 1 lett. c) viene fatta l’importante unificazione del responsabile dei lavori (Re.L.) nella persona del progettista nella fase di progettazione, ed in quella del direttore dei lavori (D.L.) durante l’esecuzione dell’opera. Così, mentre secondo la normativa previgente il Re.L. “poteva essere nominato”, con l’attuale T.U. egli “deve essere incaricato”, e se nel passato il responsabile dei lavori non era obbligatoriamente un tecnico e, nell’ambito della normativa cantieri, vi potevano essere, contemporaneamente, sei distinte figure (committente, progettista, responsabile dei lavori, direttore dei lavori, coordinatore in fase di progettazione e coordinatore in fare si realizzazione), il T.U. ha ridotto a cinque i personaggi coinvolti ed ha: a) implicitamente riportato sotto la responsabilità di un tecnico abilitato le incombenze del Re.L.; b) di fatto diviso le attività del Re.L distribuendole a due distinte figure tecniche; il progettista ed il direttore dei lavori. Quest’obbligo vale per tutte le tipologie di contratti, sia pubblici che quelli di carattere privatistico. Uno degli obblighi che a loro volta il progettista/Re.L. e D.L./ Re.L. devono espletare (se sprovvisti di requisiti) è la nomina dei coordinatori per la sicurezza. La nomina, però non li esonera completamente dalle responsabilità, poiché restano, comunque, responsabili, ognuno per le proprie competenze,
Tabella 4
È senz’altro interessante rilevare ciò che Re.L. deve chiedere, come documentazione, sia alle imprese appaltatrici, sia a quelle esecutrici (sub-appaltatori), che ai lavoratori autonomi, qualora presenti in cantiere (art. 90 comma 9 lett a)). Questa documentazione fa parte di quella verifica “tecnico-professionale” che il responsabile dei lavori è tenuto, per legge, a svolgere. Pertanto le imprese dovranno esibire al Re.L. almeno i contenuti dell’allegato XVII del D.lgs 81/2008 ossia: a) iscrizione alla camera di commercio, industria ed artigianato con oggetto sociale inerente alla tipologia dell’appalto; b) documento di valutazione dei rischi di cui all’articolo 17, comma 1, lettera a) o autocertificazione di cui all’articolo 29, comma 56, del D.Lgs.81/2008; c) specifica documentazione attestante la conformità alle disposizioni di cui al decreto legislativo 81/2008, di macchine, attrezzature e opere provvisionali; d) elenco dei dispositivi di protezione individuali forniti ai lavoratori; e) nomina del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, degli incaricati dell’attuazione delle misure di prevenzione incendi e lotta antincendio, di evacuazione, di primo soccorso e gestione dell’emergenza, del medico competente quando necessario;
5 Istituto di previdenza per il settore marittimo 6 Art. 29 comma 5 « I datori di lavoro che occupano fino a 10 lavoratori effettuano la valutazione dei rischi di cui al presente articolo sulla base delle procedure standardizzate di cui all’articolo 6, comma 8, lettera f). Fino alla scadenza del diciottesimo mese successivo alla data di entrata in vigore del decreto interministeriale di cui all’articolo 6, comma 8, lettera f), e, comunque, non oltre il 30 giugno 2012, gli stessi datori di lavoro possono autocertificare l’effettuazione della valutazione dei rischi. Quanto previsto nel precedente periodo non si applica alle attività di cui all’articolo 31, comma 6, lettere a), b), c), d) nonché g) »
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Sicurezza sul lavoro f) nominativo (i) del (i) rappresentante (i) dei lavoratori per la sicurezza; g) attestati inerenti la formazione delle suddette figure e dei lavoratori prevista dal decreto legislativo 81/2008; h) elenco dei lavoratori risultanti dal libro matricola e relativa idoneità sanitaria prevista dal decreto legislativo 81/2008; i) documento unico di regolarità contributiva di cui al Decreto Ministeriale 24 ottobre 2007; l) dichiarazione di non essere oggetto di provvedimenti di sospensione o interdittivi di cui all’art. 14 del decreto legislativo 81/2008; il Re.L deve altresì richiedere quanto contenuto nel comma 9 lett b) dell’art. 90. Fatto ciò il Responsabile dei Lavori trasmette all’autorità competente, prima dell’inizio dei lavori, i nominativi delle imprese esecutrici unitamente ai documenti di cui sopra per ogni singola impresa. Il permesso di costruire e/o D.I.A. restano sospesi qualora non sia stato reso disponibile uno o più dei seguenti documenti: - Piano di sicurezza e Coordinamento (art. 100) - Fascicolo (art. 91 comma 1 lett b)) - Notifica preliminare (art. 99) - Assenza di D.U.R.C anche in caso di variazione dell’impresa esecutrice (art. 90 comma 9 lett. c) (documento da trasmettere a chi rilascia le autorizzazioni) In merito a quest’ ultimo punto si fa osservare che un ruolo di rilievo viene dato agli enti che rilasciano il permesso di costruire o destinatari di D.I.A. poiché vedendosi recapitare la comunicazione di inizio lavori senza D.U.R.C. essi potrebbero attivare, anche in maniera ufficiale, le procedure di sospensione dei titoli abilitativi. I Lavoratori autonomi, invece, sempre in base all’allegato XVII, dovranno esibire almeno: a) iscrizione alla camera di commercio, industria ed artigianato con oggetto sociale inerente alla tipologia dell’appalto; b) specifica documentazione attestante la conformità alle disposizioni di cui al presente decreto legislativo di macchine, attrezzature e opere provvisionali; c) elenco dei dispositivi di protezione individuali in dotazione; d) attestati inerenti la propria formazione e la relativa idoneità sanitaria previsti dal presente decreto legislativo; e) documento unico di regolarità contributiva di cui al Decreto Ministeriale 24 ottobre 2007. Si ricorda che la nomina del c.e.l. deve essere fatta con atto scritto, avente data certa, riportanti le incombenze che sono indicate all’art. 92, accettata dal nominato, trasmessa agli enti preposti e resa pubblica. La pubblicità è consequenziale al disposto dell’art. 90 comma 7. È senz’altro di dubbia legalità riportare nello stesso documento alcune delle attribuzioni ricadenti sul Re.L. e “girati”, furbescamente, per mera convenienza o per ignoranza al c.e.l.. Infatti le attività del coordinatore sono riportate nel già citato art. 92 e riguardano esclusivamente compiti per i quali, necessita un’appropriata formazione. La “furbata” che talvolta alcuni Re.L. tentano (o potrebbero tentare) di fare desta qualche perplessità e dal punto di vista procedurale che legale in quanto, in caso di gravi problematiche di cantiere, tale iniziativa potrebbe aggravare la loro stessa posizione (gli si potrebbe ritorcere contro) in quanto ha volutamente fatto pesare su una figura già carica di enormi respon-
n.3-4/ 2008 sabilità, altre incombenze che potrebbero essere svolte da altre persone all’interno del cantiere ed appartenenti al team di direzione lavori. In poche parole, talvolta, qualcuno, con dolo o per negligenza, tenta di scambiare il c.e.l. per il “parafulmine del cantiere”. In merito a quanto fin qui detto un interessante elemento è fornito dal fatto che il Re.L. muove le sue azioni attraverso un incarico avuto dal committente.
Tabella 5
In tale contesto è adeguato evidenziare che l’incarico contiene i compiti che al Re.L. vengono demandati dal T.U.; e lo stesso può contenere l’indicazione della nomina del c.e.l. Sicuramente, nel medesimo, non vi sarà scritto che può delegare attività proprie al c.e.l. (magari inserendole nella lettera di nomina) in quanto sarebbe come demandare compiti di D.L. visto che essi sono unificati nella stessa figura. In tal senso è utile ricordare che l’ordine legale delle competenze è inderogabile se non per espressa autorizzazione di legge.7 Il Re.L., però, può avvalersi di altre persone del team di direzione lavori. Si badi all’importante differenza che c’è tra l’avvalersi e il delegare. Con l’avvalersi, infatti, non vi è un trasferimento in capo ad altri delle sanzioni previste dalla legge per omissioni
7 V. Cerulli Irelli, Corso di Diritto Amministrativo, G. Giappichelli editore – Torino, 2002, pag 108
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in merito ai propri compiti, mentre con il delegare vi è una modifica nell’ordine legale delle competenze. Detto ciò è indispensabile che ognuno verifichi, con estrema attenzione, i documenti che andrà a firmare nonché abbia un’approfondita conoscenza della legislazione che regolamenta le attività. Qualora ci fossero dubbi, si consiglia di interpellare un legale per un parere “pro veritate”. Verifica dell’idoneità tecnico-amministrativa dell’impresa appaltatrice/esecutrice Affinché il Re.L. svolga appieno e correttamente il suo lavoro necessita che la sua nomina avvenga contestualmente al bando di gara o immediatamente prima della presentazione delle offerte, poiché dovrà verificare che le imprese presentino la documentazione indicata dalla legge e la cui mancanza potrebbe essere causa di esclusione. Considerato che il ruolo di Re.L è stato unificato, come già detto, nel D.L. è basilare il disposto dell’art. 147 (ex art.123 D.P.R. 554/99) del regolamento attuativo (ancora in bozza ma di prossima emanazione) del codice appalti il quale al comma 1 dispone che “…omissis… le stazioni appaltanti, prima della gara, istituiscono un ufficio di direzione lavori….omissis..” mentre il comma 2 assegna i compiti a tale ufficio “l’ufficio di direzione lavori è preposto alla direzione ed al controllo tecnico, contabile e amministrativo dell’esecuzione dell’intervento…omissis..” Pertanto si ribadisce, ancora una volta, della necessità che il D.L./ Re.l. sia nominato prima della gara in modo che possa espletare in toto il ruolo assegnato dalla legge. Qualora, invece, venga nominato successivamente all’aggiudicazione dei lavori ed alla stipula del contratto è evidente che le responsabilità restano in capo al committente per quanto fino a quel momento fatto. Per ciò che concerne i sub-appalti, anche in questo caso il Re.L. è chiamato a verificare la documentazione comprovante l’idoneità dell’impresa subappaltatrice con le stesse modalità con le quali si sono svolti i controlli dell’impresa affidataria dei lavori. In questi casi il Re.L./D.L. deve essere di supporto al committente in quanto, acquisito il suo parere, il committente può concedere o meno (nel caso riscontrasse rilevanti anomalie documentali) il sub-appalto. Ruolo e obblighi dell’appaltatore verso i sub-appaltatori Assume carattere innovativo quanto previsto in caso di sub-appalto. Infatti il T.U. impone un primo “screaning” di valutazione delle imprese sub-appaltatrici proprio dall’appaltatore che ne fa ricorso che, nei loro confronti, assume caratteristiche di committente. Pertanto egli è tenuto ad effettuare una verifica tecnico-professionale con i medesimi criteri e modalità con cui li esegue il Re.L. Gli obblighi ricadenti sul datore di lavoro dell’impresa affidataria (appaltatore) sono riportati all’art. 97 del T.U. il quale stabilisce qualcosa di veramente importante e non sempre attenzionato adeguatamente dagli addetti ai lavori, ossia: l’appaltatore deve verificare la congruità del P.O.S. del sub-appaltatore rispetto al proprio (art.101 comma 3). Dunque il P.O.S. del sub-appaltatore deve, necessariamente, far riferimento a quello dell’appaltatore e non essere due o più
Sicurezza sul lavoro distinte entità. Questa verifica deve essere fatta prima della trasmissione del P.O.S. del sub-appaltatore (da eseguirsi a cura dell’appaltatore) al C.E.L. (art. 101) la cui verifica deve essere effettuata tempestivamente e comunque non otre 15 giorni dall’avvenuta ricezione. A questo punto può, legittimamente, sorgere una domanda: in una struttura aziendale, anche complessa, in caso di sub-appalto, chi è la persona dell’impresa affidataria (committente), preposta che esplica i compiti riportati all’art. 101 comma 38 del T.U.? Si può rispondere affermando che colui il quale deve effettuare questa verifica è il datore di lavoro dell’impresa affidataria in quanto egli è responsabile della stesura del proprio P.O.S. e, pertanto, verifica la congruità del/dei POS dei subappaltatori rispetto al proprio. In merito ai suoi obblighi, il datore di lavoro dell’impresa affidataria deve anche coordinare gli interventi relativi all’ art. 95: a) il mantenimento del cantiere in condizioni ordinate e di soddisfacente salubrità’; b) la scelta dell’ubicazione di posti di lavoro tenendo conto delle condizioni di accesso a tali posti, definendo vie o zone di spostamento o di circolazione; c) le condizioni di movimentazione dei vari materiali; d) la manutenzione, il controllo prima dell’entrata in servizio e il controllo periodico degli impianti e dei dispositivi al fine di eliminare i difetti che possono pregiudicare la sicurezza e la salute dei lavoratori; e) la delimitazione e l’allestimento delle zone di stoccaggio e di deposito dei vari materiali, in particolare quando si tratta di materie e di sostanze pericolose; f) l’adeguamento, in funzione dell’evoluzione del cantiere, della durata effettiva da attribuire ai vari tipi di lavoro o fasi di lavoro; g) la cooperazione tra datori di lavoro e lavoratori autonomi; h) le interazioni con le attività che avvengono sul luogo, all’interno o in prossimità del cantiere. ed all’art. 96 1. I datori di lavoro delle imprese affidatarie e delle imprese esecutrici, anche nel caso in cui nel cantiere operi una unica impresa,anche familiare o con meno di dieci addetti: a) adottano le misure conformi alle prescrizioni di cui all’allegato XIII; b) predispongono l’accesso e la recinzione del cantiere con modalità chiaramente visibili e individuabili; c) curano la disposizione o l’accatastamento di materiali o attrezzature in modo da evitarne il crollo o il ribaltamento; d) curano la protezione dei lavoratori contro le influenze atmosferiche che possono compromettere la loro sicurezza e la loro salute; e) curano le condizioni di rimozione dei materiali pericolosi, previo, se del caso, coordinamento con il committente o il responsabile dei lavori; f) curano che lo stoccaggio e l’evacuazione dei detriti e delle macerie avvengano correttamente; g) redigono il piano operativo di sicurezza di cui all’articolo 89, comma 1, lettera h).
8Art. 101 comma 3: Prima dell’inizio dei rispettivi lavori ciascuna impresa esecutrice trasmette il proprio piano operativo di sicurezza all’impresa affidataria, la quale, previa verifica della congruenza rispetto al proprio, lo trasmette al coordinatore per l’esecuzione. I lavori hanno inizio dopo l’esito positivo delle suddette verifiche che sono effettuate tempestivamente e comunque non oltre 15 giorni dall’avvenuta ricezione.
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Sicurezza sul lavoro 2. L’accettazione da parte di ciascun datore di lavoro delle imprese esecutrici del piano di sicurezza e di coordinamento di cui all’articolo 100 e la redazione del piano operativo di sicurezza costituiscono, limitatamente al singolo cantiere interessato, adempimento alle disposizioni di cui all’articolo 17 comma 1, lettera a), all’articolo 18, comma 1, lettera z), e all’articolo 26, commi 1, lettera b), e 3. Per quanto concerne, invece la Responsabilità Solidale tra appaltatore e sub appaltatore si rimanda a quanto già detto in merito. L’ importanza del documento unico di regolarità contributiva (d.u.r.c.) È il documento con il quale viene attestato l’insussistenza di pendenze in ordine ai versamenti contributivi previdenziali ed assicurativi, pertanto si sottolinea che il D.U.R.C. non può essere sostituito né dal modello F24 (versamenti) né da autocertificazione che attesti la regolarità contributiva. In tal senso si è espresso anche il Consiglio di Stato nella sentenza n. 4035 del 25 agosto 2008 in merito ad un ricorso presentato da un’impresa vincitrice di un bando pubblico a cui era stata revocata tale aggiudicazione in quanto, in sede di verifica della produzione documentale a seguito della comunicazione di aggiudicazione della gara, quale attestazione della regolarità contributiva l’impresa aggiudicataria si era limitata a produrre copia dei mod. F24 di pagamento dei contributi previdenziali e i bollettini di versamento postale e che, contrariamente a quanto dichiarato, a carico del suo rappresentante legale era emerso, dalle indagini d’ufficio di verifica, che egli aveva pendenze penali per abusi edilizi e per bancarotta fraudolenta. Infatti la funzione del D.U.R.C. è quella di attestare la regolarità negli adempimenti circa i contributi previdenziali, assistenziali ed assicurativi rispetto a INPS, INAIL e Cassa Edile riguardo a tutti gli appalti pubblici e privati in edilizia, soggetti a titolo edilizio abilitativo espresso (D.I.A., Permesso di costruire). Mediante l’uso obbligatorio di tale documento si contrasta l’evasione contributiva previdenziale perché si pone a base della possibilità di contrarre un appalto pubblico la dimostrazione ufficiale della regolarità contributiva. Il D.U.R.C., quindi, non può essere surrogato da autocertificazione, ovvero dalla presentazione dei modelli F24 utilizzati per il pagamento dei contributi previdenziali. I modelli F24 attestano i versamenti non la correttezza contributiva. A seguito della revoca dell’aggiudicazione, la società vincitrice dell’appalto aveva fatto un primo ricorso al Tribunale amministrativo di Brescia, il quale lo riteneva infondato, ed un secondo ricorso al Consiglio di Stato, contro la sentenza di primo grado. Seguendo quanto già affermato in primo grado, i giudici di Palazzo Spada hanno anch’essi ritenuto infondato il ricorso, sentanziando appunto che il D.U.R.C possa essere sostituito dall’autocertificazione dell’interessato, o dalla presentazione dei modelli F24 utilizzati dall’imprenditore per il pagamento dei contributi previdenziali. Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (r.l.s.) Il D.Lgs. 81/2008 ha consolidato ed ampliato il ruolo del
n.3-4/ 2008 r.l.s. già introdotto con precedenti disposizioni. Nella definizione generale di questa figura, contenuta nell’art. 2 comma 1 lett. i), il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza è la “persona eletta o designata per rappresentare i lavoratori per quanto concerne gli aspetti della salute e della sicurezza durante il lavoro”, pertanto, nell’espletamento del mandato, egli ha un incarico piuttosto delicato nonché di “garanzia” verso i lavoratori dell’azienda/sito produttivo poiché visiona e commenta i documenti della sicurezza ed apporta il suo contributo di esperienza e capacità professionale affinché la sicurezza sia maggiormente garantita. Con il T.U. vengono istituite le figure di r.l.s. a livello territoriale o di comparto, aziendale e di sito produttivo. Dopo la sua elezione (il numero dei r.l.s. varia in relazione alla grandezza dell’azienda) vige l’obbligo da parte del datore di lavoro di comunicare il nominativo all’INAIL (art. 18 comma 1, lett. aa)9 e, come già in precedenza visto in merito ai “modelli organizzativi e gestione”, quello di consultazione (art. 30 comma 1 lett. c)). Comunque, per tutto ciò che riguarda l’elezione, le attribuzioni, la consultazione e partecipazione dei r.l.s. il testo unico è stato corredato con un’intera sezione (la VII) del Titolo I.. Il r.l.s. riceve dal datore di lavoro la seguente documentazione: - il documento di valutazione dei rischi (P.O.S. per i cantieri); - documenti riguardanti sostante e preparati pericolosi; - documenti riguardanti gli impianti e le macchine; - l’organizzazione e gli ambienti di lavoro; - informazione sugli infortuni e malattie professionali; - le informazioni provenienti dal servizio di vigilanza sanitario. Nell’ambito dei suoi poteri può accedere, nel caso lo richiede, anche ai dati inerenti gli oneri per la sicurezza di cui all’art. 26 comma 5. Per quanto concerne, invece, i cantieri temporanei e mobili la consultazione di cui all’art. 30 comma 1 lett. c) avviene con la messa a disposizione del P.S.C. e del P.O.S., almeno 10 gg. prima dell’inizio dei lavori, in modo che il r.l.s. possa visionarli ed esprimere pareri in merito al loro contenuto. In particolar modo la trasmissione (per consultazione) del P.S.C. al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza deve essere eseguita prima che il documento venga accettato dal datore di lavoro. Qualora il r.l.s. ha dubbi sul contenuto del P.S.C., il datore di lavoro è tenuto a fornirgli dei chiarimenti al riguardo (art. 102), il tutto al fine di poter chiedere eventuali integrazioni di cui all’art. 100 comma 5. Il P.O.S., come si sa, è il documento di valutazione rischi riguardo al singolo cantiere redatto in conformità all’art. 28 ed avente i contenuti dell’allegato XV. Anche nel caso di sorveglianza sanitaria di lavoratori esposti al rumore con valori eccedenti i limiti superiori di azione, la motivazione con la quale il medico competente stabilisce la periodicità di visita, oltre ad essere riportata nel documento di valutazione rischi, deve, anche, essere resa nota al/ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (art. 196 comma 1); stessa cosa dicasi per i rischi biologici (art. 229 comma 3).
9 il datore di lavoro inosservante a questa disposizione è punito con la sanzione amministrativa di 500 € (art.55 comma 4, lett. o).
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n. 3-4/2008 ullità dei contratti che non riportano gli oneri per la sicurezza Quanto contenuto nell’art. 26 comma 5 credo sia una disposizione senz’altro positiva nei confronti delle imprese. Infatti il testo dispone che, pena la nullità, i contratti di appalto, subappalto e di somministrazione, di cui agli articoli 1559, 1655, 1656, e 1677 del codice civile, devono riportare i costi relativi alla sicurezza con particolar riferimento a quelli riferiti al singolo appalto. La nullità, valevole sia per i contratti pubblici che privati, è determinata il base all’art. 1418 (cause di nullità del contratto) del codice civile, pertanto assume carattere imperativo. I contratti stipulati prima del 25 agosto 2007 (data di entrata in vigore della legge 123/2007) devono essere adeguati alle disposizioni di cui all’art. 26 comma 5 entro il 31 dicembre 2008 qualora gli stessi siano ancora in corso. Pertanto i costi della sicurezza devono essere, specificatamente, riportati nel contratto d’appalto e liquidati con appositi articoli contabili. Ciò vale anche per i contratti di subappalto e somministrazione ad esclusione per i contratti di somministrazione di beni e servizi essenziali. I dati relativi ai costi per la sicurezza devono essere resi accessibili sia al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza che agli organismi locali dei sindacati dei lavoratori più rappresentativi a livello nazionale, qualora questi ne facciano richiesta. Costituzione di parte civile e azione di rivalsa L’ art. 74 del c.p.p. stabilisce che chiunque abbia subito un danno derivato dall’azione criminosa dell’imputato può chiedere, in sede penale, il risarcimento danni all’imputato e/o al responsabile civile. Da ciò si evince che: oltre alla possibilità di chiedere la tutela per i danni subìti in sede civile, il danneggiato ha anche la possibilità di pretendere il risarcimento danni direttamente nel processo penale, con la costituzione di parte civile. In conseguenza di un infortunio sul lavoro anche l’INAIL, quale istituto di assicurazioni, risulta essere parte danneggiata in quanto erogatore di somme di danaro a ristoro dell’infortunato. Il T.U., all’art. 61 comma 1, dà importanti indicazioni in tal senso. Esse sono: quando l’accadimento scaturisce dalla violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni che causano la morte, l’infortunio o una malattia professionale del lavoratore colui il quale era preposto a mettere in atto tutte le misure che potevano evitare l’evento può essere perseguito per omicidio colposo o lesioni personali colpose. In questo caso, ovvero con preventivo accertamento giudiziario, il pubblico ministero ne dà immediata comunicazione all’INAIL o all’ISPEMA (per il settore marittimo) ai fini di una loro costituzione di parte civile e dell’azione di regresso. Risulta evidente che tale azione viene esercitata contro i responsabili civili dell’infortunio, al fine di recuperare le somme pagate per le indennità ed altre spese accessorie in relazione all’infortunio medesimo. A questo punto un ruolo importante potrebbe essere ricoperto, per stabilire eventuali
responsabili, dalle “deleghe di funzioni” di cui all’art. 16 del T.U.. In questo caso il condizionale è d’obbligo poiché all’art. 299 “esercizio di fatto dei poteri” viene sancito che ricadono anche sulle persone sprovviste di regolare investitura (delega) di cui all’art. 2 comma 1 lettere b), d), ed e)10 ma che, in concreto, esercitano poteri giuridici riferiti a tali figure, le posizioni di garanzia in merito alla salute e sicurezza dei lavoratori a loro sottoposti. Esempio: nel corso di lavorazioni stradali a seguito di un incidente con accertamento giudiziario è stato riscontrato che il capo squadra, ha omesso di allocare l’idonea segnaletica relativa ai lavori in essere la cui assenza è stata causa di infortunio dei lavoratori a lui sottoposti. La costituzione di parte civile dell’INAIL prevista al comma 1 dell’art. 61 comporta una prima forma risarcitoria verso gli infortunati e la successiva costituzione di parte civile per l’azione di rivalsa verso il capo squadra. Al secondo comma dell’art. 61, invece, e sempre in riferimento ai reati commessi in violazione delle norme antinfortunistiche o all’igiene del lavoro che abbiano anche determinato una malattia professionale, viene disposto che le organizzazioni sindacali e le associazioni delle vittime di infortuni sul lavoro hanno la facoltà di esercitare i diritti e la facoltà delle persone offese di cui agli articoli 91e 92 del codice di procedura penale.11 Da quanto fin qui detto possiamo senz’altro evidenziare una netta presa di posizione del legislatore verso coloro i quali vengono riconosciuti colpevoli di aver causato, con la loro condotta omissiva, infortuni sul lavoro, chiamandoli a risarcire, anche economicamente, coloro i quali hanno subito un danno dal loro comportamento. Primi differimenti di applicazione e modifiche Con il D.L. n. 97 del 3/6/2008 sono stati introdotti differimenti e proroghe di termini ad alcuni articoli del T.U.. In particolare all’art. 4 comma 2 si prevede che le disposizioni di cui all’articolo 18, comma 1, lettera r) (all’obbligo del datore di lavoro e del dirigente di comunicare all’IAIL/IPSEMA, a fini statistici e informativi, i dati relativi agli infortuni che comportino un’assenza di almeno un giorno e, a fini assicurativi, quelli relativi agli infortuni che comportino un’assenza superiore a tre giorni) e dall’articolo 41, comma 3, lettera a), (divieto di effettuare le visite mediche preventive in fase preassuntiva) si applicano a decorrere dal 1° gennaio 2009. Con DL n. 112 del 25/6/2008, invece, sono state introdotte modifiche al sistema sanzionatorio del T.U., lasciando invariati i relativi obblighi. In particolare: - essuna sospensione dell’attività per il datore di lavoro che commette reiterate violazioni della disciplina in materia di superamento dei tempi di lavoro, di riposo gior-
10 b) datore di lavoro, d) dirigente, e) preposto 11 «Art. 91 (Diritti e facoltà degli enti e delle associazioni rappresentativi di interessi lesi dal reato). Gli enti e le associazioni senza scopo di lucro ai quali, anteriormente alla commissione del fatto per cui si procede, sono state riconosciute,in forza di legge, finalità di tutela degli interessi lesi dal reato, possono esercitare, in ogni stato e grado del procedimento,i diritti e le facoltà attribuiti alla persona offesa dal reato.». «Art. 92 (Consenso della persona offesa). 1. L’esercizio dei diritti e delle facoltà spettanti agli enti e alle associazioni rappresentativi di interessi lesi dal reato e’ subordinato al consenso della persona 2. Il consenso deve risultare da atto pubblico o da scrittura privata autenticata e può essere prestato a non più di uno degli enti o delle associazioni. È inefficace il consenso prestato a più enti o associazioni. 3. Il consenso può’ essere revocato in qualsiasi momento con le forme previste dal comma 2. 4. La persona offesa che ha revocato il consenso non può prestarlo successivamente né allo stesso né ad altro ente o associazione.».
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Sicurezza sul lavoro naliero e settimanale (art. 41, commi 11 e 12 del DL 112/2008). - Cancellazione della sanzione amministrativa per l’omessa fornitura da parte del datore di lavoro che opera in appalto dell’apposito tesserino di riconoscimento ai lavoratori impiegati (art. 39, comma 12 del DL 112/2008). Il 30 luglio 2008 il Senato ha approvato definitivamente la legge di conversione del D.L. n. 97 del 3/6/2008 (L.129/2008), che prevede che all’articolo 306, comma 2, del D.lgs 9 aprile 2008, n. 81, avente ad oggetto la decorrenza degli obblighi in materia di valutazione dei rischi, le parole: “decorsi novanta giorni dalla pubblicazione del presente decreto nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana“ siano sostituite dall’espressione “a decorrere dal 1º gennaio 2009“. ote sulla figura del direttore dei lavori La figura del Direttore dei Lavori viene introdotta nell’ordinamento con il R.D. del 25.5.1895 riguardante il “Regolamento per la direzione, la contabilità e la collaudazione dei lavori dello Stato”. Le sue responsabilità venivano codificate all’art. 3 il quale indicava che rientrano nelle responsabilità del Direttore dei Lavori pubblici: - l’accettazione dei materiali - la verifica della buona e puntuale esecuzione dei lavori in conformità ai patti contrattuali ed agli ordini dell’Ingegnere capo; Successivamente, l’art. 31 della Legge urbanistica n. 1150 del 17.8.1942, al capo IV “Norme regolatrici dell’attività costruttiva edilizia”, disponeva che il Direttore dei lavori, assieme al Committente ed all’Assuntore dei lavori è responsabile “di ogni osservanza così delle norme generali di legge e di regolamento come delle modalità esecutive che siano fissate nella licenza edilizia”. Le norme inerenti la disciplina delle opere in c.a (Legge 1086 del 5.11.1971), disciplinano l’attività del Direttore dei Lavori nell’ambito delle strutture in c.a. e metalliche, mentre la successiva Circolare del Min. LL.PP. n. 11951 del 14.02.1974 collegata alla stessa legge precisa che, tra le altre
Lavori di messa in opera del manto di copertura ad un fabbricato – per gentile concessione dell’impresa Ghizzoni S.p.A.
n.3-4/ 2008 cose, il Direttore dei lavori è un ausiliario del committente e ne assume la rappresentanza in un ambito strettamente tecnico. La Legge n° 47 del 28.2.1985 “ Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia” all’art. 6 individua le responsabilità del Direttore dei lavori. In particolare egli è responsabile, se non contesta agli altri soggetti (committente e costruttore) della violazione delle prescrizioni contenute nella concessione edilizia, fornendo al Sindaco contemporanea e motivata comunicazione della violazione stessa e se, in casi di totale difformità, non rinuncia all’incarico. Il D.P.R.380 del 6.6.2001 “Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia” all’art. 29 comma 2 ribadisce i contenuti della L. 47/85 afferenti alle responsabilità del Direttore dei lavori. Ulteriori disposizioni le dà il Codice Appalti12 agli artt. 17 e 27 mentre il “Regolamento di Attuazione”, ancora in bozza, all’art. 148 riprende ed amplia alcuni punti dell’ex art. 124 del D.P.R. 554 del 21.12.1999. In ultimo troviamo disposto dal D.lgs 81/2008 T.U. sulla sicurezza. Da quanto esposto si deduce che il Direttore dei Lavori ricopre una duplice “veste” ossia: da una parte, è praticamente il fiduciario del Committente per gli aspetti di carattere prettamente tecnico e della sicurezza mentre, dall’altra parte è (o dovrebbe essere) il garante nei confronti del Comune dell’osservanza e del rispetto dei contenuti dei titoli abilitativi all’esecuzione dei lavori (Permesso di costruire, D.I.A., ecc.). Pertanto, per la complessità del lavoro e delle responsabilità in capo al D.L., è necessario che quest’ultimo sia, in egual modo, un profondo conoscitore sia degli aspetti tecnici che della normativa vigente, in cantieri di medie/grandi dimensioni, l’ufficio di direzione lavori sia composto da un adeguato staff di collaboratori che abbiano anch’essi profonde conoscenze della normativa oltre che del contratto. La direzione lavori in cantieri di medie-grandi dimensioni In una struttura complessa come è un cantiere di mediegrandi dimensioni risulta essere importante ed attuale la precisazione dei compiti stabiliti dall’ex D.P.R. 554/99 ed inserite nel decreto di attuazione del codice appalti. Assume in tal modo rilevanza l’“ufficio della direzione dei lavori” (art. 147). Esso ha compiti di coordinamento, direzione e controllo tecnico-contabile dell’esecuzione di ogni singolo intervento e sarà costituito da un direttore dei lavori ed eventualmente, in relazione alla dimensione ed alla tipologia e categoria dell’intervento, da uno o più assistenti con funzioni di direttore operativo o di ispettore di cantiere. L’ufficio di direzione lavori è preposto, come già detto, alla direzione ed al controllo tecnico, contabile e amministrativo dell’esecuzione dell’intervento secondo le disposizioni che seguono e nel rispetto degli impegni contrattuali. Compiti del Direttore dei Lavori sono quelli elencati all’art. 148 del regolamento cioè: - verifica che i lavori vengono eseguiti come da progetto, in conformità al contratto ed a regola d’arte; - coordina e supervisiona tutta l’attività dell’ufficio di direzione lavori;
12 Il Codice appalti a habrogato la Legge 109 dell’11.02.1994 “Legge Quadro in materia di Lavori pubblici”;
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n. 3-4/2008 - interloquisce in via esclusiva con l’appaltatore in merito agli aspetti tecnici ed economici del contratto; - si occupa dell’accettazione dei materiali e dei relativi controlli quantitativi e qualitativi; degli accertamenti ufficiali delle caratteristiche meccaniche di questi così come previsto dall’articolo 3, comma 2, della legge 5 novembre 1971, n. 1086, ed in aderenza alle disposizioni delle norme tecniche di cui all’articolo 21 della predetta legge; - verifica periodicamente il rispetto, da parte dell’appaltatore, della normativa vigente in materia di obblighi nei confronti dei dipendenti; - cura la costante verifica di validità del programma di manutenzione, dei manuali d’uso e dei manuali di manutenzione, modificandone e aggiornandone i contenuti a lavori ultimati. - provvede alla segnalazione al responsabile del procedimento, dell’inosservanza, da parte dell’affidatario, della disposizione di cui all’articolo 118, comma 4 del codice13. A questi, con il D.Lgs 81/2008, si aggiungono i compiti riportati nella tab. 3. Direttori Operativi (Art. 149) Essi collaborano con il direttore dei lavori nel verificare che lavorazioni di singole parti dei lavori da realizzare siano eseguite regolarmente e nell’osservanza delle clausole contrattuali; della loro attività rispondono direttamente al direttore dei lavori. Ai direttori operativi possono essere affidati dal direttore dei lavori, fra gli altri, i seguenti compiti: a) verificare che l’appaltatore svolga tutte le pratiche di legge relative alla denuncia dei calcoli delle strutture; b) programmare e coordinare le attività dell’ispettore dei lavori; c) curare l’aggiornamento del cronoprogramma generale e particolareggiato dei lavori e segnalare tempestivamente al direttore dei lavori le eventuali difformità rispetto alle previsioni contrattuali proponendo i necessari interventi correttivi; d) assistere il direttore dei lavori nell’identificare gli interventi necessari ad eliminare difetti progettuali o esecutivi; e) individuare ed analizzare le cause che influiscono negativamente sulla qualità dei lavori e proponendo al direttore dei lavori le adeguate azioni correttive; f) assistere i collaudatori nell’espletamento delle operazioni di collaudo; g) esaminare e approvare il programma delle prove di collaudo e messa in servizio degli impianti; h) controllare, quando svolge anche le funzioni di coordinatore per l’esecuzione dei lavori, il rispetto dei piani di sicurezza da parte dei direttore di cantiere; i) collaborare alla tenuta dei libri contabili. Ispettori di Cantiere (Art. 150) Gli ispettori di cantiere, sono sostanzialmente coloro che sono addetti alla sorveglianza del cantiere essi, inoltre, devono essere costantemente presenti durante lo svolgimento dei lavori che richiedono un capillare controllo e durante i collaudi.
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Figura 1 - Struttura organizzativa della Direzione Lavori in un cantiere di medie-grandi dimensioni
L’art. 150 individua alcuni che possono essere svolti dagli ispettori di cantiere: - la verifica dei documenti di accompagnamento delle forniture dei materiali per assicurare che siano conformi alle prescrizioni ed approvati dalle strutture di controllo di qualità del fornitore; - la verifica, prima della messa in opera, che materiali, apparecchiature, e impianti abbiano superato le fasi di collaudo prescritte dal controllo qualità e dalle normative vigenti o dalle prescrizioni contrattuali in base alle quali sono state costruite; - il controllo sulle attività dei subappaltatori; - il controllo sulla regolare esecuzione dei lavori con riguardo ai disegni ed alle specifiche tecniche contrattuali; - l’assistenza alle prove di laboratorio; - l’assistenza ai collaudi dei lavori ed alle prove di messa in esercizio ed accettazione degli impianti - la predisposizione degli atti contabili quando siano stati incaricati dal D.L. Conclusioni Con quanto fin qui esposto si è voluto sottolineare che la sicurezza, nel suo complesso, non è soltanto una serie di fredde norme da applicare e/o far applicare. Essa va ben oltre. La sicurezza è fatta da un insieme di azioni concomitanti di più persone che hanno come fine comune la salvaguardia dell’incolumità dei lavoratori e di quanti si trovano all’interno del cantiere. Pertanto, affinché questo risultato venga raggiunto necessita che, i datori di lavoro, dirigenti e preposti, ognuno per quanto di competenza, devono: - organizzare il lavoro attenzionando la sicurezza; - formare ed informare adeguatamente i lavoratori; - rispettare le procedure di lavoro; mentre i lavoratori, a loro volta, devono: - rispettare le disposizioni avute dal superiore gerarchico; - salvaguardare la propria incolumità e quella dei propri compagni di lavoro non mettendola a repentaglio con operazioni pericolose senza aver prima valutato gli aspetti della sicurezza.
13 “L’affidatario deve praticare, per le prestazioni affidate in subappalto, gli stessi prezzi unitari risultanti dall’aggiudicazione, con ribasso non superiore al venti per cento.”
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Sicurezza sul lavoro In tal senso, con l’emanazione del D.Lgs. 81/2008, l’organizzazione del cantiere e della sicurezza ne risultano profondamente trasformate. Tutti gli attori che in esso vi operano sono chiamati a garantire la sicurezza di coloro i quali vi lavorano e/o si trovano, ognuno per ciò che concerne la propria sfera di competenza nonché dalle derivanti responsabilità date dai disposti legislativi, indipendentemente dalle deleghe date e/o ricevute. Con questi nuovi assetti si è “azzerato” il fatidico motto che spesso si sentiva dire dai deleganti:“sono problemi della persona che ho delegato”. Purtroppo, però, sono ancora pochi coloro i quali si sono accorti di questo profondo, ma importante, cambiamento, vuoi per l’avversione che hanno verso il tema, vuoi per sottovalutazione della normativa emanata. Oggigiorno parlare di sicurezza
n.3-4/ 2008 significa, sempre di più, avere cognizione di causa della materia e profonda conoscenza della normativa; l’improvvisazione e/o parlarne “per sentito dire” porta la persona che si esercita pericolosamente in tal senso, in un argomento complesso com’é la sicurezza sui luoghi di lavoro, nella migliore delle ipotesi a non essere credibile se non, addirittura, ad essere grottesco. Si augura ai quanti, ancora oggi, vedono la sicurezza come un costo e non come un investimento, e glissano ad un approfondimento e studio della normativa, che la presa di coscienza verso tali tematiche non avvenga (quando oramai è troppo tardi) in aule di tribunali ove potranno essere chiamati in caso di incidenti, ma per un loro sincero, vivo e profondo interessamento quale importante strumento operativo del proprio lavoro.
DUE SENTENZE SULLE RESPONSABILITÀ DEL COORDINATORE PER LA SICUREZZA di Giuseppe Bertussi
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ono state recente mente pubblicate (vedi sito internet Puntosicuro - commenti a cura G. Porreca) due interes santi sentenze della Corte di Cassazione che riguardano l’attività del Coordinatore per la Sicurezza. La prima ( Corte Suprema di Cassazione - IV Sezione penale - sentenza n. 19372 del 18 maggio 2007) ha condannato un Coordinatore per la Sicurezza in fase di esecu zione a seguito di un infor tunio mortale. Secondo quanto riportato nella sen tenza, il Coordinatore avrebbe omesso, durante la sua attività di cantiere, i con trolli necessari per verificare l’attuazione di quanto era stato previsto nel Piano di Sicurezza e Coordinamento. In particolare, si imputa al Coordinatore un totale di sinteresse per le verifiche in fase esecutiva, che ha concorso a causare un incidente mortale occorso a un operaio impegnato nella costru zione di una scogliera. A nulla sono valse le tesi, a sostegno della difesa, secondo le quali, il Coordina tore, avrebbe impartito delle prescrizioni durante precedenti riunioni di coordinamento per la realizzazione in sicurezza delle sco gliere in progetto, invo cando inoltre la responsabi lità del lavoratore che avrebbe tenuto un comportamento imprudente. Il ricorso del Coordinatore è stato rigettato dalla Corte di Cassazione che ha ritenuto che lo stesso «fosse venuto meno ai propri doveri», non avendo fornito informazioni efficaci e non avendo prov veduto a controllare l’appli cazione delle stesse. Secondo la Corte di Cassa zione per escludere il Coor dinatore per l’esecuzione dalle responsabilità in una tale situazione, non «è suffi ciente che egli abbia impar tito le direttive da seguire a tale scopo, essendo comunque necessario che ne abbia controllato, con prudente e continua diligenza, la puntuale osservanza» in quanto egli «è corresponsabile
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quando abbia consen tito l’inizio dei lavori in pre senza di situazioni pericolose». Il giudizio conferma quanto già stabilito in altre prece denti sentenze, secondo le quali «la condotta del lavoratore, per giungere a inter rompere il nesso causale (tra condotta colposa del datore di lavoro o chi per esso, ed evento lesivo) e ad esclu dere, in definitiva, la re sponsabilità del garante, deve configurarsi come fatto assolutamente eccezionale, del tutto al di fuori della nor male prevedibilità ... il da tore di lavoro è esonerato da responsabilità soltanto quando il comportamento del dipendente sia abnorme». La Corte di Cassazione conclude affermando che «le norme in materia di preven zione degli infortuni sul la voro ... sono dirette a tutelare il lavoratore anche contro inci denti derivanti da un suo comportamento colposo ...». Dalla sen-
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n. 3-4/2008 tenza in esame emerge la responsabilità del Coordinatore chiamato in causa anche nel caso di un comportamento imprudente (reale o no) tenuto in cantiere da un lavoratore. Applicando il caso specifico alla nostra attività quoti diana, non possiamo non pensare (rabbrividendo) a quante volte, durante i nostri sopralluoghi in cantiere, abbiamo assistito a numeri acrobatici “da circo” con operai impegnati su ponteggi o in altre pericolose attività, malgrado tutte le raccomandazioni (rigorosamente riportate nel Psc e nei verbali)
e le indicazioni impartite durante le riunioni di coordi namento (accompagnate da preghiere, minacce ecc.). È vero che le norme di sicurezza servono (o dovrebbero servire) ad evitare anche situazioni di pericolo generate da comportamenti imprudenti dei lavoratori, ma è anche vero che l’obbligo continuo dell’attività di vigilanza richiederebbe una presenza costante e quotidiana in cantiere, e questo potrebbe anche non bastare. Ci vorrebbero infatti più persone per essere sicuri di vigilare su tutte le lavorazioni contemporaneamente distribuite in luoghi diversi del cantiere. Praticamente un impegno a tempo pieno di più persone per un solo cantiere. Senza tenere conto del fatto che noi Coordinatori non abbiamo adeguati mezzi per contrastare comportamenti pericolosi, risultando a volte del tutto inefficaci la sospensione dei lavori e/o le raccomandate spedite all‘impresa con la speranza (solo apparente) di metterci al riparo da responsabilità in caso di controlli dell’autorità di vigilanza. Forse “la sicurezza” nei luoghi di lavoro la si può ot tenere anche in altri modi: esempio, facendo tutti la no stra parte o più semplice mente ... il nostro lavoro. A cominciare dai datori di la voro, dai preposti, dai Coor dinatori, fino ad arrivare ai lavoratori che devono es sere si adeguatamente formati, ma anche responsabilizzati e nel contempo, in caso di comportamenti imprudenti (nati da loro iniziativa), anche sanzionati. Tutto serve a concorrere alla riduzione e/o elimi-
Sicurezza sul lavoro nazione degli incidenti tranne la presenza di uno “sceriffo di cantiere” che interviene, fermando i lavori, ogni qualvolta un lavoratore si renda protagonista di un compor tamento scorretto e pericoloso. La seconda sen tenza (Cassazione Penale - sezione III Sentenza n. 21002 del 26 maggio 2008) si occupa di una condanna inflitta a un Coordinatore per la Sicu rezza in fase di progettazione, ritenuto colpevole di avere redatto un Piano di Sicurezza inadeguato. Si legge che: «L’imputato ha completamente eluso di correlare il piano di sicu rezza delle indicazioni prescritte o per meglio dire ha proceduto, secondo l’espressione dell’impugnata sentenza al mero assemblamento informatico di astratte previsioni legislative con nessuna aderenza ai la vori svolti in concreto e quindi di nessuna utilità in materia di prevenzione infortuni ... la relazione tec nica de qua è solo un sofisticato stratagemma utile ad adempiere in modo burocra tico e formale agli obblighi di legge, però eludendoli in sostanza del tutto ... La rela zione tecnica (il PSC) che avrebbe dovuto avere un contenuto specifico, ade guato alle particolari carat teristiche del cantiere che si andava ad aprire, era in realtà una sorta di vastissima enciclopedia di tutti o quasi i rischi che si possono verificarsi in un qualsiasi cantiere edile, finendo con l’essere in sostanza del tutto inidonea a fronteggiare i rischi che nello specifico potevano presentarsi». Mentre la prima sentenza di fatto impone un “modello” per l’attività del Coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione difficilmente sostenibile nella realtà, la seconda non fa che ribadire la cattiva abitudine, da parte di alcuni colleghi, di redigere, mediante l’utilizzo di sistemi informatici, i Piani di sicurezza con il sistema “copia e incolla”. Oltre a essere un comporta mento eticamente discuti bile, si dimentica che gli articoli del Testo Unico dedicati ai contenuti minimi dei Piani di Sicurezza, sono chiari e non danno adito a dubbi interpretativi. Dipende solamente da noi Coordinatori svolgere l’incarico al meglio delle nostre possibilità, in maniera diligente, dedicando alla stesura dei Piani di Sicurezza tutto il tempo necessario, per ottenere un documento che possa veramente essere utile durante l’esecuzione dei lavori. L’incarico di Coordi natore non può essere considerato “riempitivo”, ma come tutte le attività specialistiche richiede competenza, capa cità e professionalità, anche in considerazione del fatto che la vasta produzione nor mativa, con le relative re sponsabilità, impone una sorta di “super” specializzazione da dedicare, per ovvi motivi di tempo, solo ad alcune materie. È finita l’epoca in cui il Tecnico sapeva fare (bene) di tutto. «Il geometra bresciano»
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L’EVOLUZIONE DELLA NORMATIVA SULLA SICUREZZA di Giuseppe Pagliuca
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on il decreto legislativo n. 81 dello scorso aprile è stato realizzato il riassetto normativo della prevenzione dei rischi lavorativi. È stata così data organicità a un quadro legislativo fortemente frammentato, con l’intento di garantire l’uniformità delle tutele e degli adempimenti, di riordinare le funzioni degli enti e degli organismi di studio, assistenza e controllo, di realizzare il coordinamento delle attività e degli indirizzi in materia di salute e sicurezza. Il provvedimento è sicuramente suscettibile di critiche, peraltro rappresentate da parte imprenditoriale nelle sedi istituzionali, soprattutto perché dall’impianto normativo non emergono logiche realmente innovative, semplificative e rispondenti alle esigenze delle imprese di poter fare affidamento su prescrizioni chiare e puntuali. Il profilo di maggior delicatezza attiene poi il piano sanzionatorio, poiché vengono colpite indiscriminatamente inadempienze formali e sostanziali, senza proporzione tra la gravità dell’inadempienza e l’entità della sanzione. Sono infine assolutamente deludenti le disposizioni che disciplinano il sostegno finanziario verso le piccole e medie imprese e gli organismi bilaterali di settore per le azioni di prevenzione. Sotto questo profilo il decreto ignora totalmente le risorse derivanti dai cospicui avanzi di gestione dell’Inail, mentre non aggiunge alcuna somma rispetto a quanto già dedicato alla prevenzione dalla legge finanziaria per il 2008, la modesta somma di 50 milioni di euro. Compete alla Commissione consultiva presso il Ministero del Lavoro di definire le attività intese a promuovere la cultura della prevenzione, consistenti, tra l’altro, nel finanziamento di progetti di investimento e di progetti formativi nelle piccole, medie e micro imprese, Ciò che comunque preme in questa sede è fornire un quadro illustrativo del provvedimento, che possa orientare gli operatori che dovranno d’ora in avanti confrontarsi con questo nuovo assetto normativo. Innanzitutto, per quanto attiene il campo di applicazione del decretò, sotto il profilo oggettivo è confermato che esso si rivolge a tutti i settori di attività privati e pubblici.
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Sotto il profilo soggettivo la normativa si rivolge al datore di lavoro o comunque al soggetto che abbia la responsabilità dell’organizzazione dell’unità produttiva nel cui ambito il lavoratore presti la propria attività, in quanto eserciti i poteri decisionali e di spesa; al lavoratore, inteso come persona che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolga un’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro. A nulla rileva che l’attività lavorativa sia resa con o senza retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere, un’arte o una professione, esclusi gli addetti ai servizi domestici e familiari. Stante la nuova definizione di lavoratore, il campo di applicazione viene riarticolato con l’espressa inclusione di soggetti in precedenza esclusi dalla tutela, quali i lavoratori autonomi, i lavoratori distaccati, rispetto all’impresa distaccataria, i lavoratori con contratto di somministrazione, a progetto, gli occasionali. La normativa in esame discrimina in ragione del numero dei lavoratori occupati gli obblighi particolari posti in capo al datore di lavoro (tra questi obblighi, la designazione ed elezione del Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza, la costituzione del Servizio di Protezione e Prevenzione, ecc.). A tali fini non si computano, tra gli altri, i tirocinanti, i volontari, gli autonomi, coordinati e continuativi, gli occasionali e quelli a tempo determinato che sostituiscono altri lavoratori assenti con diritto alla conservazione del posto di lavoro. Devono invece essere computati sulla base delle ore di lavoro effettivamente prestate nell’arco di un semestre i lavoratori in somministrazione e a tempo parziale. Nulla è stato innovato per le competenze istituzionali relative all’attività di vigilanza e controllo, anche se il legislatore si è riservato un successivo e complessivo riordino delle competenze in materia, mentre invece è stata estesa anche alla salute e alla sicurezza la possibilità, per le associazioni imprenditoriali, di inoltrare quesiti di ordine generale ad un’apposita Commissione che siede presso il Ministero del Lavoro. Le indicazioni da quest’ultima fornite a seguito dell’interpello vengono qualificate quali criteri interpretativi e direttivi per l’esercizio dell’attività di vigilanza. Trova nel decreto sostanziale conferma la disciplina in atto per il contrasto del lavoro irregolare e per la tutela della salute e sicurezza. Viene confermato per legge il criterio amministrativo in atto, che determina la gravità degli illeciti in materia, agli effetti della sospensione, non più in via astratta ma attraverso il riferimento ad un elenco tassativo di violazioni da individuare con apposito decreto ministeriale. Riguardo alla sanzione accessoria, il cui pagamento è condizione per la revoca della sospensione, viene abbandonato l’incerto criterio di determinazione percentuale del relativo importo in favore del riferimento ad una somma fissa di 2500,00 euro determinata per legge.
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n. 3-4/2008 È stata anche introdotta la possibilità di ricorrere in unico grado, entro 30 giorni, avverso il provvedimento di sospensione. Opera il meccanismo del silenzio - accoglimento qualora gli organi dirimenti non si pronuncino nel termine di 15 giorni dalla notifica del ricorso. Se non si ottempera al relativo provvedimento, alla sanzione della sospensione si aggiunge una grave sanzione detentiva. Una importante novità del provvedimento è costituita dalla disciplina della delega di funzioni. Viene data, in sostanza, evidenza al sistema di attribuzione dei poteri gerarchico funzionali e delle connesse responsabilità. Innanzitutto, le posizioni di garanzia relative al datore di lavoro, ai dirigenti e ai preposti gravano altresì su colui il quale, sprovvisto di regolare investitura, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti a ciascuno di questi soggetti. Viene quindi formalizzato il principio giurisprudenziale secondo cui l’individuazione dei soggetti destinatari della normativa in tema di infortuni sul lavoro deve essere operata sulla base dell’effettività e concretezza delle mansioni e dei ruoli svolti. Anche chi eserciti soltanto di fatto i poteri propri del datore di lavoro, del dirigente o del preposto è destinatario della relativa posizione di garanzia e, quindi, dei connessi obblighi e sanzioni. In connessione a questa previsione, viene per la prima volta disciplinato lo strumento della delega di funzioni. Fermo il dovere del datore di lavoro di vigilanza in ordine al corretto espletamento delle funzioni trasferite, in materia di violazione di norme antinfortunistiche la responsabilità del datore medesimo può essere esclusa in caso di delega delle relative funzioni ad altro soggetto, purché tale delega risulti da atto espresso, inequivoco e certo, che investa persona tecnicamente capace, dotata delle necessarie cognizioni tecniche e dei relativi poteri decisionali e di intervento, e che abbia accettato lo specifico incarico. Viene così recepito l’orientamento assunto nella materia dalla prevalente giurisprudenza della Cassazione. Non sono delegabili gli obblighi che afferiscono la valutazione dei rischi, unitamente alla elaborazione del relativo documento, e la nomina dei Rappresentanti del Servizio di Prevenzione e Protezione, ad eccezione della possibilità di autocertificazione della valutazione dei rischi da parte del datore di lavoro nelle aziende che occupano fino a dieci dipendenti. Nell’ambito degli obblighi del datore di lavoro e del dirigente, confermati rispetto alla precedente normativa, un punto di attenzione merita la disposizione che regola gli obblighi connessi ai contratti di appalto o d’opera o di somministrazione. Rispetto alla normativa previgente viene introdotta la possibilità di autocertificare, da parte dell’impresa appaltatrice, la propria iscrizione alla camera di Commercio,
Sicurezza sul lavoro in attesa dell’emanazione di nuove apposite norme. In sostanza è possibile autocertificare la propria idoneità tecnico-professionale. Allo stesso tempo, l’obbligo di coordinamento e cooperazione, già in atto per l’impresa appaltatrice e per i lavoratori autonomi, è esteso ai subappaltatori. Ma la previsione più importante attiene la responsabilità solidale, laddove si precisa che quella attinente i danni da infortunio o malattia professionale, per i quali il lavoratore dipendente dall’appaltatore o dal subappaltatore non risulti indennizzato, non riguarda i danni che costituiscono conseguenza dei rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatici o subappaltatrici. La normativa in atto estende la responsabilità amministrativa degli enti di cui al d.lgs. n. 231/2001 (enti forniti di personalità giuridica e società e associazioni anche prive di personalità giuridica), anche ai reati di omicidio colposo e lesioni colpose gravi o gravissime, commessi con violazione delle norme antinfortunistiche. Per queste fattispecie sono previste a carico dell’azienda sanzioni di importo significativo, unitamente alla previsione di interdizione dall’esercizio dell’attività e il divieto di contrattare con la Pubblica Amministrazione. Per ottenere l’esenzione dalla responsabilità amministrativa le imprese costituite in forma societaria devono dimostrare di aver adottato ed efficientemente attuato, prima della commissione del reato, un modello di organizzazione e di gestione idoneo a prevenirlo. Vengono ora definiti i requisiti che deve possedere tale modello perché possa avere efficacia esimente della responsabilità. Si tratta di assicurare un sistema aziendale per l’effettuazione delle attività inerenti l’adempimento degli obblighi di legge in materia di salute e sicurezza sul lavoro; di prevedere idonee modalità di registrazione di tale effettuazione; di prevedere che la verifica, la valutazione, la gestione e il controllo del rischio siano assicurati attraverso le competenze tecniche e i poteri necessari; di prevedere un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello; di prevedere infine un idoneo sistema di vigilanza sull’attuazione dello stesso modello e sul mantenimento nel tempo dei relativi requisiti. Non si ritiene di aver esaurito l’esame di un corpo giuridico tanto vasto, ma l’intento è stato quello di fornire una prima sintonia per l’operatore ad un complesso di norme che si prefiggono di affrontare in modo compiuto il tema della sicurezza e della prevenzione degli infortuni sui luoghi di lavoro. Si è ritenuto di tralasciare gli aspetti più squisitamente tecnici, i quali pure prospettano talune problematicità, in quanto si è voluto privilegiare una lettura del testo che rendesse il più possibile il senso e gli scopi che il legislatore ha ritenuto di perseguire. «In Concreto»
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SICUREZZA SUL LAVORO Definizione, ruolo e responsabilità del datore di lavoro D.Lgs. 81/2008 di Roberto Pirozzi Premessa Con l’emanazione del d.lgs. 81/2008 “Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro” (cd “Testo Unico”), si è inteso racchiudere in un unico testo i principali profili legati alla salute e sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro. Il Testo Unico abroga, tra gli altri, il d.lgs. 626 del 1994 e il d.lgs. 494/1996, ma ne riprende largamente la disciplina. La tutela della salute dei lavoratori rappresenta un momento della pianificazione aziendale ed è oggetto di scelte tecniche, economiche procedurali al pari di ogni altra scelta produttiva. Un elemento centrale di questo processo è la valutazione dei rischi che, insieme agli obblighi di informazione e formazione verso i lavoratori, rappresenta l’obbligo principale per il datore di lavoro. Fondamentale è anche il ruolo dei soggetti della prevenzione individuati dalla legge: il datore di lavoro, il servizio di prevenzione e protezione, il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, il medico competente e il lavoratore. Il datore di lavoro è una figura centrale del processo di prevenzione, alla quale il decreto affida un gran numero di compiti di natura strategica, talvolta non delegabili ad altre figure. In particolare, tra i compiti individuati dall’articolo 17 del Testo Unico, la valutazione di tutti i rischi con la conseguente elaborazione del documento di valutazione di cui all’art. 28, la designazione del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione dai rischi e l’adozione delle misure necessarie per la tutela della salute dei lavoratori. Datore di lavoro: definizione e ruolo Il Testo Unico amplia il concetto di datore di lavoro, il quale viene definito come il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore, o comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l’assetto dell’organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell’organizzazione stessa o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa (art. 2, lettera b). Per la verità il Testo Unico, nel fissare la definizione della figura in esame, ne “estende” il riconoscimento alla nozione di “datore di lavoro delegato”, già introdotta dal d.lgs. 626/1994. Trattasi di un aspetto di grande rilevanza pratica per molte aziende, in particolare ovviamente per quelle di non modestissime dimensioni, in quanto l’esistenza di un valido atto di delega costituisce al tempo stesso una condizione indispensabile al trasferimento soggettivo della responsabilità penale (che notoriamente è personale) e sufficiente a produrne l’effetto. La giurisprudenza ha fissato le condizioni alle quali la delega di funzioni può ritenersi capace di produrre l’effetto di trasferire la responsabilità sul delegato e, al contempo, esimere dalla stessa responsabilità il delegante: essa deve essere
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conferita per iscritto e quindi comprovata e non presunta (principio di certezza), debbono essere concretamente e dettagliatamente indicati i poteri delegati, deve essere esplicitamente accettata dal delegato, è valida solo se comprende le più ampie facoltà di iniziativa e di organizzazione, ivi compreso il potere di disporre autonomamente delle risorse economiche necessarie. Tali principi sono stati recepiti dall’art. 16 del Testo Unico, il quale, ha contribuito ad una più efficace attribuzione delle competenze dei singoli nella gestione delle problematiche connesse alla tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori e ad un uso meno discrezionale della delega. Obblighi del datore di lavoro: delegabili e non delegabili Visto che il datore di lavoro è individuato quale soggetto promotore e supervisore della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, il Testo Unico stabilisce che alcune attività, data la loro assoluta centralità, non possono essere delegate (art. 17). Tutti gli altri obblighi che incombono sul datore di lavoro (art. 18) possono invece essere delegati, nel rispetto di quanto previsto dall’art. 16 in tema di delega. In particolare, il datore di lavoro non può delegare le seguenti attività: 1. la valutazione di tutti i rischi con la conseguente elaborazione del documento previsto dall’articolo 28. Anche se tale adempimento era già previsto nella normativa previgente, il Testo Unico ha modificato criteri e modalità da seguire per la stesura del documento finale (tali previsioni entreranno in vigore il 1 gennaio 2009; fino a tale data resteranno in vigore le pertinenti disposizioni (e sanzioni) di cui al d.lgs. 626/1994. Tra i criteri da seguire nella valutazione dei rischi, va segnalata la necessità di tenere in considerazione, tra l’altro, l’esposizione a rischi specifici (es., stress lavoro-correlato, rischi delle lavoratrici in stato di gravidanza, connessi alle differenze di genere, all’età, alla provenienza da altri Paesi); 2. la designazione del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione dai rischi. Il documento, redatto a conclusione della valutazione, deve avere data certa e contenere: a) una relazione sulla valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e la salute durante l’attività lavorativa, nella quale siano specificati i criteri adottati per la valutazione stessa; b) l’indicazione delle misure di prevenzione e di protezione attuate e dei dispositivi di protezione individuali adottati, a seguito della valutazione; c) il programma delle misure ritenute opportune; d) l’individuazione delle procedure e dei soggetti idonei all’attuazione delle misure da realizzare; e) l’indicazione del nominativo del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione, del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza o di quello territoriale e del medico competente che ha partecipato alla valutazione del rischio;
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n. 3-4/2008 f) l’individuazione delle mansioni che eventualmente espongono i lavoratori a rischi specifici che richiedono una riconosciuta capacità professionale, specifica esperienza, adeguata formazione e addestramento. Occorre inoltre precisare che la valutazione dei rischi e il relativo documento debbono essere rielaborati in occasione di modifiche del processo produttivo o dell’organizzazione del lavoro che possano incidere sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori, o di evoluzioni della tecnica di prevenzione e protezione o a seguito di infortuni significativi o quando i risultati della sorveglianza sanitaria ne evidenzino la necessità. Tale documento, unitamente al DUVRI (documento unico di valutazione dei rischi da interferenza), deve essere custodito presso l’unità produttiva alla quale si riferisce la valutazione dei rischi. In merito agli altri e numerosi obblighi del datore di lavoro (cfr. art. 18 del Testo Unico) risulta assolutamente consigliabile e, in vari casi, essenziale predisporre una delega di compiti e di funzioni nei confronti dei collaboratori del datore di lavoro. Modalità di delega di funzioni È noto come, in materia di salute e sicurezza dei lavoratori, la delega di funzioni fosse già applicata, sulla base dei principi elaborati dalla giurisprudenza. Peraltro, in mancanza di una espressa previsione di legge, i datori di lavoro, nel ricorrere a tale strumento, si sono comportati fino ad oggi secondo il proprio prudente apprezzamento e spesso con un certo grado di approssimazione. Con l’articolo 16 del Testo Unico tale lacuna è stata colmata. La norma, infatti, prevede chiaramente che, per aversi una delega di funzioni giuridicamente efficace, devono essere rispettate alcune condizioni: 1. la delega deve risultare da atto scritto recante data certa. La delega quindi è un accordo bilaterale avente la necessità della forma scritta, la cui efficacia è condizionata dalla accettazione del delegato; 2. il delegato, ovvero colui al quale vengono delegati compiti e funzioni in materia di salute e sicurezza, deve possedere tutti i requisiti di professionalità ed esperienza richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate; 3. la delega deve attribuire al delegato tutti i poteri di organizzazione, gestione e controllo richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate; 4. essa deve attribuire al delegato l’autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle funzioni delegate; 5. la delega deve essere accettata dal delegato per iscritto. Alla delega deve essere inoltre data adeguata e tempestiva pubblicità. Sebbene il Testo Unico non specifichi le modalità di pubblicità, sembra al riguardo sufficiente la mera affissione dell’atto di delega nei locali dell’azienda. Il comma 3 del richiamato articolo 16, peraltro, non esclude l’obbligo di vigilanza in capo al datore di lavoro delegante in ordine al corretto espletamento, da parte del delegato, delle funzioni trasferite. Dunque, il mancato esercizio, da parte del delegante, del controllo delle attività delegate potrebbe vanificare l’esonero da responsabilità penale connesso alla operatività delle delega. Ciò detto, vale la pena osservare che la delega assolve ad
Sicurezza sul lavoro una funzione esimente per il delegante (datore di lavoro) solo sul piano della responsabilità penale, mentre dal punto di vista civilistico la responsabilità diretta del soggetto delegato, autore dell’illecito non esclude la concorrente responsabilità oggettiva del datore di lavoro delegante, ai sensi dell’art. 2049 del codice civile. Pertanto, la delega di funzioni, pur rappresentando uno strumento capace di escludere la responsabilità penale in capo al datore di lavoro delegante, non mette quest’ultimo completamente al riparo dal rischio di essere chiamato a rispondere, sul piano civilistico, dei danni patiti dal dipendente danneggiato a causa della violazione, da parte del soggetto delegato, della normativa in tema di salute e sicurezza. ecessità del modello organizzativo e gestionale di cui al d.lgs. 231/2001 Il Testo Unico ha altresì disciplinato la materia della responsabilità cd. amministrativa degli enti (regolata dal d.lgs. n. 231/2001)1, con specifico riferimento ai reati di cui agli articoli 589 (omicidio colposo) e 590, terzo comma (lesioni personali gravi o gravissime) del codice penale, commessi con violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela della salute sul lavoro (artt. 30 e 300). In sostanza, il Testo Unico dispone che, nel caso in cui venga accertato uno dei delitti previsti dall’art. 589 e dall’art. 590, comma 3 del codice penale, commessi con violazioni di norme antinfortunistiche e sulla tutela dell’igiene e salute sul lavoro, si applica nei confronti della società una sanzione pecuniaria in misura non inferiore a 1000 quote (ordinariamente l’importo di una quota varia da un minimo di 258 euro ad un massimo di 1549 euro) e delle seguenti sanzioni interdittive per la durata da tre mesi ad un anno: a) l’interdizione dall’esercizio dell’attività; b) la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito; c) il divieto di contrattare con la Pubblica Amministra-zione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio; d) l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi; e) il divieto di pubblicizzare beni o servizi. Tali gravi sanzioni possono essere evitate dall’impresa nel caso in cui quest’ultima dimostri di aver adottato ed efficacemente attuato un modello di gestione ex d.lgs. 231/2001 che preveda anche uno specifico capitolo dedicato alla sicurezza idoneo a prevenire i reati di cui agli articoli 589 e 590, terzo comma del codice penale, commessi con violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela della salute sul lavoro. L’impresa, in altre parole, deve essere organizzata in modo da poter garantire un sistema aziendale che sia in grado di adempiere tutte le obbligazioni relative: 1. al rispetto degli standard tecnico-strutturali di legge relativi ad attrezzature, impianti, luoghi di lavoro, agenti chimici, fisici, biologici; 2. alle attività di valutazione dei rischi e predisposizione delle misure di prevenzione e protezione; 3. alle attività di natura organizzativa relativa alle emergenze, primo soccorso, gestione appalti, riunioni periodiche sulla sicurezza;
1. Decreto legislativo 237 del 2001 recante Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell’articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300.
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Sicurezza sul lavoro 4. alle attività di sorveglianza sanitaria, informazione e formazione dei lavoratori e vigilanza con riferimento al rispetto delle procedure di lavoro in sicurezza da parte dei lavoratori; 5. all’acquisizione di documentazione e certificazione obbligatorie; 6. alle periodiche verifiche relative al monitoraggio sulle procedure adottate. Inoltre, il modello organizzativo e gestionale dovrà prevedere: idonei sistemi di registrazione dell’avvenuta effettuazione di tali attività; - un’articolazione di funzioni idonea a verificare, gestire e controllare i rischi; - un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello. Infine, devono essere previsti idonei sistemi di controllo e monitoraggio sulla corretta attuazione delle misure (c.d. compliance) e, all’occorrenza, l’organizzazione dell’azienda deve essere riesaminata e modificata. Tale organizzazione dell’azienda, concretamente, dipenderà dalla natura, dimensione e tipologia della medesima ma, come prevede l’art. 30 del Testo Unico, deve in ogni caso prevedere (i) un’articolazione di funzioni in grado di assicurare la presenza di soggetti in possesso delle competenze tecniche e dotati dei poteri necessari per verificare, valutare, gestire e controllare i rischi relativi alla sicurezza, nonché (ii) un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello. L’organizzazione e tutte le procedure adottate dall’impresa, ed è questo l’aspetto rilevante del d.lgs. 231/2001, devono essere dettagliatamente descritte nel c.d. modello di organizzazione e di gestione: si tratta, in buona sostanza, di un documento programmatico che dia conto di tutti gli aspetti dell’organizzazione del sistema aziendale dal punto di vista della sicurezza sul lavoro, in particolare delle verifiche procedurali. Sanzioni Premesso che le sanzioni sono state fortemente inasprite, concentrando nel datore di lavoro la responsabilità principale nell’adempimento degli obblighi in tema di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, appare fondamentale inquadrare e individuare le principali sanzioni disposte dal Testo Unico: • sanzioni amministrative in caso di (i) reiterate violazioni della normativa sulla sicurezza e di (ii) lavoro nero, senza dubbio molto gravose per la società in quanto possono portare a: 1. sospensione dell’attività imprenditoriale; 2. provvedimenti interditevi alla contrattazione con la Pubblica Amministrazione; 3. provvedimenti interdittivi alla partecipazione a gare pubbliche per la durata pari alla sospensione, nonché per un eventuale periodo di tempo non inferiore al doppio della durata della sospensione; • sanzioni penali per violazione degli obblighi previsti dal Testo Unico;
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n.3-4/ 2008 • sanzioni di cui al d.lgs. 231/2001 connesse ai reati di lesioni e omicidio colposo commessi in violazione della normativa in materia di sicurezza sul lavoro, descritte al paragrafo precedente. In particolare, quanto alle sanzioni penali, è punito con l’arresto da quattro a otto mesi o con l’ammenda da 5.000 a 15.000 euro il datore di lavoro: a) che omette la valutazione dei rischi e l’adozione del documento di valutazione dei rischi ovvero che lo adotta in assenza: - della nomina del medico competente per l’effettuazione della sorveglianza sanitaria nei casi previsti dal Testo Unico; - della designazione preventiva dei lavoratori incaricati delle misure di prevenzione incendi e lotta antincendio, di evacuazione dei luoghi di lavoro in caso di pericolo grave e immediato, di salvataggio, di primo soccorso e, comunque, di gestione dell’emergenza: - dei necessari dispositivi di protezione individuali per i lavoratori; - della richiesta dell’osservanza da parte dei lavoratori delle norme vigenti, compreso l’uso dei dispositivi di protezione individuali e collettivi; o in violazione delle disposizioni relative all’obbligo di: - assumere appropriati provvedimenti per evitare che le misure tecniche adottate possano causare rischi per la salute della popolazione o deteriorare l’ambiente esterno verificando periodicamente la perdurante assenza di rischio; - aggiornare le misure di prevenzione in relazione ai mutamenti organizzativi e produttivi che hanno rilevanza ai fini della salute e sicurezza del lavoro o in relazione al grado di evoluzione della tecnica della prevenzione e della protezione; b) che non provvede alla nomina del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione salvo che, avendone i requisiti, ne svolga lui stesso il ruolo. È inoltre punito con l’ammenda da 3.000 a 9.000 euro il datore di lavoro che redige il documento di valutazione dei rischi: - non avvalendosi della collaborazione con il Responsabile del Servizio di i Prevenzione e Protezione (RSPP), - senza previa consultazione del Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza, - senza una rielaborazione del documento in caso di modifiche produttive e/o organizzative. Come precisato al secondo paragrafo, le disposizioni in merito alla nuova procedura di valutazione del rischio e, conseguentemente, le relative sanzioni entreranno in vigore a partire dal 1 gennaio 2009. Fino a tale data, saranno pertanto in vigore le analoghe disposizioni previste dal d.lgs. 626/1994, le quali prevedono sanzioni quali l’arresto da 3 a 6 mesi o ammenda da 1.549 a 4.131 euro. Le ipotesi sopra delineate non esauriscono il lunghissimo elenco delle sanzioni previste nell’art. 55 del Testo Unico al quale si rimanda per una più dettagliata e completa panoramica. «In Concreto»
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LATERIZI E SICUREZZA Prevenire gli infortuni di Tommaso Chiti
È
oramai assodato come adottare scelte tecnologiche e di gestione adeguate, fin dalle prime fasi del processo progettuale, rappresenti un passo fondamentale per rispondere in maniera efficace ai requisiti di sicurezza richiesti per i lavoratori. La ricerca da parte delle aziende nella produzione di componenti edilizi, materiali, attrezzature e dispositivi di protezione, abbinata ad un quadro normativo esauriente, rappresenta per il progettista uno strumento irrinunciabile a supporto delle sue decisioni. Analizzando i dati degli infortuni sul lavoro,si scopre che quelli del settore edile sono circa l’11%: ciò vuol dire che dei circa 3.500 incidenti registrati nello scorso anno, ben 350 sono avvenuti nel mondo delle costruzioni. Tutto ciò anche se, attualmente, le disposizioni normative in materia di sicurezza nei cantieri si presentano molteplici e ben strutturate. Tutti gli operatori del processo edilizio dispongono oggi di un insieme di leggi e decreti a cui sono obbligati ad attenersi per ridurre al minimo il rischio di infortunio nei cantieri edili. I piani di sicurezza e coordinamento (D.Lgs. 494/96 e s.m.i.), tuttavia, non vengono ancora concepiti come lo strumento utile a prevenire gli infortuni ed eliminare alla fonte i fattori di rischio (così come auspicato dalla direttiva comunitaria 92/57/CEE di riferimento), quanto piuttosto come un insieme di misure antinfortunistiche che hanno come obiettivo quello di proteggere i lavoratori dai rischi derivanti dalle operazioni di cantiere, da marginalizzare al massimo. Adottare scelte tecnologiche e di gestione adeguate, fin dalle prime fasi del processo, rappresenta il primo passo fondamen tale per rispondere in maniera esauriente ai requisiti di sicu rezza richiesti per i lavoratori. A supporto della fase proget tuale, risultano fondamentali le attività di ricerca da parte delle aziende nella produzione di componenti edilizi, materiali, attrezzature e dispositivi di protezione. Limitatamente ai prodotti in laterizio, che comunque rappresentano una delle categorie prevalenti per diffusione e presenza a scala nazionale, analizzando le differenti fasi che caratterizzano le operazioni in cantiere possono emergere interessanti spunti di riflessione.
Scarico e Stoccaggio Lo scarico e lo stoccaggio rappresentano due momenti tra i più importanti per la prevenzione degli infortuni nei cantieri edili. Al direttore dei lavori spetta, infatti, il compito di ridurre al minimo il rischio che si verifichino incidenti. Chi dirige il cantiere, infatti, deve conoscere le dimensioni e il peso complessivo del mezzo di trasporto e del materiale,in modo da potere preventivamente individuare la zona di accesso e il percorso da seguire per raggiungere l’arca di stoccaggio, nonché l’esatta zona di stazionamento del mezzo durante lo scarico del materiale. I pacchi di laterizi devono essere prelevati uno per volta, nel rispetto della portata delle attrezzature, con l’ausilio di una persona a terra che aiuti il gruista ad infilare la forca nei pallet, facendo uso di un’asta rigida distanziatrice. Se i pacchi sono ad una altezza superiore a 2 metri, è necessario che il lavoratore si imbraghi ad una parte resistente e stabile, e che sia previsto l’uso di un’attrezzatura dotata di pioli antisdrucciolo e piede reclinabile. Nel caso in cui, per mancanza di spazio, il mezzo debba sostare su di un’area esterna al cantiere, al fine di non trasferire rischi a persone e cose estranee all’operazione, è indispensa bile transennare l’area di scarico per tutta la durata della fase lavorativa e porre in opera la segnaletica richiesta dal codice della strada. Prima di effettuare il sollevamento con autogrù o con gru di cantiere, è necessario controllare lo stato di conservazione dei pacchi, con particolare attenzione al pallet e all’imballo (in termoretraibile, estensibile o con reggiatura), che potrebbe essere stato danneggiato nelle precedenti fasi di carico e trasporto. Poiché l’involucro in termoretraibile può essere soggetto a deterioramento con l’esposizione ai raggi ultravioletti, sull’imballo deve essere riportata la data del confezionamento e la sca denza prevista, in modo da consentire una verifica immediata. Anche se lo scarico avviene all’interno del cantiere, l’area di lavoro deve essere opportunamente delimitata (con transenne metalliche, oppure con semplici cavalletti e nastro bianco-rosso) al fine di impedire che, nel raggio di azione dei mezzi di sollevamento, siano presenti operai non addetti alla specifica operazione.
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Le forche per lo scarico dei laterizi (UNI EN 13155), usate senza protezioni, sono ammesse soltanto per lo scarico dal mezzo di trasporto e comunque senza mai superare, con il carico, un’altezza superiore ai 2 metri dal piano stabile. Vale infatti il D.P.R. 164/56 che, all’articolo 58, comma 4, cita: “... il sollevamento dei laterizi, pietrame, ghiaia e di altri ma teriali minuti deve essere effettuato esclusivamente a mezzo di benne o cassoni metallici; non sono ammesse le piattaforme semplici o le imbracature”. Per operare in sicurezza, si possono utilizzare cestoni metallici (che però rallentano le operazioni di carico e scarico ai piani) o speciali sacelli, realizzati in materiale tessile particolarmente resistente. Approvvigionamento dei laterizi sul luogo di lavoro La movimentazione dei pacchi viene fatta generalmente
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con la gru di cantiere; i transpallet vengono utilizzati quando è necessario portare i laterizi in ambienti interni dell’edificio, non raggiungibili altrimenti. La fase di verifica dello stato di conservazione dei pianali e il livellamento del piano di appoggio rappresentano passaggi molto importanti in quanto i pallet sono dimensionati per li mitate movimentazioni e per sopportare il peso del pacco appoggiato in modo corretto. Quando il materiale deve essere scaricato direttamente su so lai già realizzati, è indispensabile consultare preventivamente la direzione lavori, che autorizzerà l’operatore in funzione del sovraccarico ammissibile (il peso di un pacco di laterizi varia mediamente tra 600 e 800 kg, e insiste su circa 1 metro quadrato di superficie), stabilirà il luogo di posizionamento e pre scriverà gli eventuali puntellamenti suppletivi
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n. 3-4/2008 ritenuti necessari. È comunque buona norma disporre i pacchi di laterizio in prossimità dei punti di forza della struttura (pilastri o elementi di irrigidimento). Si ricorda, inoltre, che l’art. 67 del D.P.R. 164/56 prevede il “... divieto di disarmare qualsiasi tipo di armatura di sostegno quando sulle strutture insistano carichi accidentali e temporanei”. La disposizione casuale dei pacchi, oltre a generare sollecitazioni strutturali non previste, può essere d’ostacolo per i lavori in corso e per quelli successivi, aumentando i rischi di infortuni. La movimentazione manuale L’aspetto ergonomico riveste una particolare importanza per la salute degli addetti alla esecuzione delle murature. Trattandosi di un’attività con movimenti ripetitivi (sollevamento e messa in opera di elementi di laterizio, che possono raggiungere anche un peso di 22÷24 kg), è importante che questi movimenti non causino inconvenienti al lavoratore. Per evitare danni alla colonna vertebrale, alle articolazioni e alla muscolatura, è buona norma attenersi ad alcune semplici regole di carattere generale. Vanno innanzitutto verificati i pesi e le dimensioni dei carichi da trasportare, che non devono essere superiori ai 25 kg (il D.Lgs. 626 /94, e successive modifiche e integrazioni, segnala che la movimentazione manuale di un carico può costituire un rischio dorso-lombare in diversi situazioni). Gli elementi con peso di lavorazione (tenendo conto della maggiorazione dovuta alla bagnatura prima della posa) superiore a 25 kg vanno movimentati e posizionati da due addetti o, in alternativa, con l’ausilio di apparecchiature o macchine per la posa. I pacchi composti da elementi di laterizio con peso unitario superiore a 25 kg devono essere opportunamente contrassegnati. Nel sollevamento e movimentazione manuale dei carichi, è inoltre necessario distribuire il peso su entrambi i lati del corpo; piegare le gambe e non la schiena; tenere il carico il più vicino possibile al corpo ed evitare torsioni del tronco. E anche importante la possibilità di impugnare correttamente gli elementi da movimentare. Nel rispetto di tali indicazioni normative, da diversi anni si possono trovare sul mercato, ad esempio, blocchi per muratura con uno o due fori di presa, in base alle loro dimensioni, o con scanalature laterali per facilitarne il sollevamento. Riconoscibilità degli operatori Per quanto esuli dai conte nuti di questa breve nota, è importante ricordare che il De creto Legge 4 luglio 2006 n. 223 ha introdotto una impor tante novità, ovvero l’introduzione del “tesserino di ricono scimento”. In particolare, si dispone che, nell’ambito dei cantieri edili, i datori di lavoro debbano munire, a decorrere dal 1 ° ottobre 2006, tutto il personale occupato di apposita tes sera di riconoscimento, corredata di fotografia, contenente la generalità del lavoratore e l’indicazione del datore di lavoro; naturalmente i lavoratori sono tenuti ad esporre detta tessera di riconoscimento. L’obiettivo di tale imposizione, com’è intuibile, è quello di contribuire alla riduzione del lavoro irregolare, estendendo tale obbligo anche ai singoli lavoratori autonomi presenti in cantiere, i quali sono tenuti a provvedervi per proprio conto.
Sicurezza sul lavoro Conclusioni Tra la prima metà degli anni Cinquanta e la seconda metà degli anni Settanta si sono registrati ogni anno ol tre 3.000 morti per infortuni sul lavoro. Dopo il 1975, il fenomeno è cominciato lentamente ma progressivamente a decrescere, pur mantenendosi generalmente al di sopra dei 2.000 casi per tutti gli anni Ottanta e Novanta: ancora nel 1990 i morti erano oltre 2.400. A partire dal decennio successivo, si riscontra un decremento del fenomeno piuttosto significativo: nel 2000 si contano 1.400 vittime del lavoro; nel 2005 gli infortuni mortali scen dono a 1.206; nel 2006 le vittime sono 1.305. Oggi si registrano meno vittime e conseguentemente meno drammi umani e sociali, e minori costi economici per il Paese. In un confronto con l’Europa, si evince come negli ultimi anni l’Italia si sia collocata sotto le medie europee, quanto ad infortuni con assenza dal lavoro superiore a 3 giorni e ad infortuni indennizzati, mentre i casi mortali sono 2,8 ogni 100.000 occupati in Italia, contro 2,9 della media nella cosiddetta Eurozona. Tuttavia, a seguito dei gravi incidenti luttuosi verificatisi negli ultimi mesi, il tema della sicurezza è tornato ad essere di assoluta attualità, come dimostrano anche le numerose iniziative a riguardo, in particolare quelle di carattere normativo. Tra queste, si segnala lo schema di Decreto Legislativo approvato dal Consiglio dei Ministri il 1° aprile 2008 in attuazione della delega conferita al governo dalla L. 123/07, che mira a: • istituire organismi interministeriali di indirizzo politico, consultivi e di coordinamento con enti pubblici che hanno compiti di prevenzione, formazione, vigilanza, salute e sicurezza del lavoro; • individuare gli obblighi dei datori di lavoro e dirigenti, nonché di requisiti della delega di funzioni; • individuare gli obblighi e le responsabilità che gravano sui vari soggetti coinvolti nel processo produttivo; • definire l’oggetto e le modalità di valutazione del rischio; • regolamentare la protezione e la prevenzione del rischio: • obbligare il datore di lavoro alla formazione, informazione e addestramento del lavoratore; • stabilire titoli e requisiti del medico competente alla sorveglianza sanitaria; • disporre in materia di intervento per emergenza, pronto soccorso, prevenzione degli incendi; • stabilire le modalità di consultazione e partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori; • approvare un nuovo apparato sanzionatorio. A questo si aggiunge la volontà di inserire la materia “Salute e sicurezza sul lavoro” nei programmi scolastici ed universitari e nei percorsi di formazione finalizzata alla sensibilizzazione e all’informazione dei giovani. Tutto questo perché, indipendentemente dal rapporto che lega i lavoratori all’imprenditore, è sempre più necessario semplificare gli adempimenti in materia (consentendo misure che favoriscano, con particolare riferimento alle piccole e medie imprese, la garanzia della sicurezza) ed estendere la formazione intesa come essenziale strumento di prevenzione e tutela. Come ha ricordato recentemente lo stesso Presidente della Repubblica, “una media di tre-quattro vittime al giorno è un numero non sopportabile e non da Paese civile”.
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Sicurezza sul lavoro Riferimenti normativi D.P.R. 27 aprile 1955 n. 547,“Norme per la prevenzione degli infortuni sul lavori”. D.P.R. 7 gennaio 1956 n. 164, “Norme per In prevenzione degli infortuni sul lavoro nelle costruzioni”. D.P.R. 19 marzo 1956 n. 303,“Norme generali per l’igiene del lavoro”. D.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124, “Testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali”. D.Lgs. 15 agosto 1991 n. 277,“Attuazione delle, direttive, n. 80/188/CEE, n. 82/605/CEE, n. 83/447/CEE, n. 86/188/CEE e n. 88/642/CEE, in materia di protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da esposizione ad agenti chimici,fisici e biologici durante il lavoro, a norma dell’art. 7 della legge 30 luglio 1990, n. 212”. D.Lgs. 19 settembre 1994 n. 626, D.Lgs. 19 marzo 1996 n. 242, D.Lgs. 4 agosto 1999 n. 359, “Attuazione delle direttive. 89/391/CEE, 89/654/CEE, 89/655/CEE, 89/656/CEE, 90/269/CEE, 90/270/CEE, 90/394/CEE e 90/679/CEE, riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro”. D.Lgs. 14 agosto 1996 n. 493, “Attuazione della direttiva 92/58/CEE concernente le. prescrizioni minime per la segnaletica di sicurezza e/o di salute sul luogo di lavoro”. D.Lgs. 14 agosto 1996 n. 494, D.Lgs. 19 novembre 1999 n. 528,“Attuazione della direttiva 92/51’/CEE concernente le prescrizioni minime di sicu rezza e di salute da attuare nei cantieri temporanei o mobili”. D.P.R. 25 luglio 1996 n. 459. “Regolamento per l’attuazione delle direttive 89/392/CEE, 91/368/CEE e 93/68/CEE concernenti il riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alle macchine”. DM. 3 dicembre 1985,“Classificazione e disciplina dell’imballaggio e dell’etichettatura delle sostanze pericolose, in attuazione delle direttive emanate dal Consiglio della Commissione delle Comunità europee (e successive modifiche ed integrazioni)”.
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n.3-4/ 2008 D.Lgs. 4 dicembre 1992 n. 475, “Attuazione della direttiva 89/686/CEE del Consiglio del 21 dicembre 1989, in materia di riavvicinamento delle legisla zioni degli Stati membri relative ai dispositivi di protezione individuale”. Legge 5 marzo 1990 n. 46, “Norme per la sicurezza degli impianti (e relativo regolamento di applicazione)”. D.P.R. 3 luglio 2003, n. 222,“Regolamento sui contenuti minimi dei piani di sicurezza nei cantieri temporanei o mobili, in attuazione dell’articolo 31, comma 1, della legge 11 febbraio 1994, n. 109”. L. 3 agosto 2007, n. 123, “Misure in tema di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro e delega al Governo per il riassetto e la riforma della normativa in materia”. Art. 2087 del Codice Civile “Relativo alla tutela delle condizioni di lavoro”. Art. 673 del Codice Penale “Relativo all’omesso collocamento o rimozione di segnali o ripari (in luoghi di pubblico transito)”. Bibliografia essenziale Antoniotti M., Guida ai piani di sicurezza. Maggioli editore. Rimini 2003. Berlincioni M., Sicurezza. Modalità esecutive, Berlincioni editore, Roma 2000. Lusardi G., Guida per il coordinatore per l’esecuzione dei lavori, EPC libri, Roma 2005. Mainardi V., Il registro di cantiere e gli atti del coordinatore. Grafill, Palermo 2006. Pieraccioni C., Il piano di sicurezza per la realizzazione dei solai misti in la terizio,”Costruire in Laterizio”, Faenza editrice, n. 73 (gennaio-febbraio 2000), pp. 54-61. Pieraccioni C., La sicurezza nei cantieri come fattore di innovazione del pro dotto. “Costruire in Laterizio”, Faenza editrice, n. 83 (gennaio-febbraio 2001). pp. 52-55. Laterizi e sicurezza sul lavoro, “Alverolater Notizie”, n. 28 (dicembre 2007), pp. 12-14. «Costruire in laterizio»
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EVENTI INFORTUNISTICI NEGLI SCAVI Metodi e tecniche per evitarli di Corrado Romagnoli e Piergiorgio Priori
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e attività di scavo e le relative strutture di sostegno, spesso considerate “minori”‘nel complesso di un’opera edi lizia, sono purtroppo carat terizzate da un’elevata incidenza di eventi infortunistici tanto che nel settore delle costruzioni è la terza causa di infortuni gravi e mortali. Quasi tutte le opere di ingegneria civile ed industriale prevedono lavori di scavo e movimentazione di terre e rocce, come attività preliminari o come parti integranti della realizzazione delle opere stesse. Per questo motivo è importante affrontare correttamente la pianificazione della sicurezza in questo sottoinsieme delle attività di ingegneria. Possiamo avere diverse tipologie di scavo: a) Scavi di sbancamento per fondazioni e movimento terra Ci si riferisce in particolare agli scavi a cielo aperto e a sezione obbligata con pareti verticali o subverticali, eventualmente effettuati in luoghi già abitati (aree urbane, centri storici). Tali ambiti operativi sono generalmente caratterizzati da ampie superfici di impronta, dislivelli notevoli, assenza di vie di fuga, problemi di drenaggio dell‘acqua e notevole sviluppo delle pareti di taglio. Tra i principali fattori di rischio, quindi, oltre alla pericolosità conseguente all’alterazione dell’equilibrio statico del sito (cedimenti e rigonfiamenti, scarsa tenuta delle pareti di taglio, ecc.), sono da citare rischi da sep pellimento o sprofonda mento spesso dovuti ad ac cumuli di materiali sul ciglio, vibrazioni, presenza sul fondo dello scavo di armature, casseforme, nonché ri schi di scivolamento o annegamento per la presenza di falde acquifere, circolazione di fluidi e condizioni ambientali. b) Costruzioni idrauliche e posa sottoservizi Si tratta di scavi a sezione obbligata, con notevole sviluppo longitudinale, di profondità in genere non elevata e con possibile disomogeneità litologica e strutturale dei terreni attraversati. Tali situazioni sono caratterizzate da spazi spesso ristretti e pertanto si configurano come ambiti operativi angusti. Tra i principali fattori di rischio, oltre a quanto indicato nel paragrafo precedente, sono da menzionare: posizionamento disordinato di utensili sui bordi; vibrazioni dovute a utensili e macchine operatrici, quali martelli pneumatici, gru, paranchi, escavatrici; presenza di mezzi d’opera nei dintorni. c) Costruzioni stradali e ferroviarie In tali situazioni esiste notevole variabilità nella tipologia dei lavori di taglio, scavo e sagomatura dei versanti, anche in funzione dell‘assetto plano-altimetrico (gallerie, ponti ecc.), dell’antropizzazione del territorio e delle opere previste lungo il tracciato (per es. passanti stradali e ferroviari sotterranei, incassati o sopraelevati). Questi lavori sono caratterizzati, oltre che dai parametri di rischio citati nei casi precedenti, anche dalla pericolosità connessa a dislivelli elevati. Lungo i tracciati e trasversalmente ad essi si possono presentare problemi di stabilità dei versanti a causa della variabilità compo-
sizionale e strutturale dei terreni, in termini di comportamenti fisico-meccanici, anche in relazione all’idrogeologia degli spazi interessati dall’intervento. Caratteristiche dei terreni Instabilità È di fondamentale importanza ai fini della sicurezza conoscere le caratteristiche fisico-meccaniche dei terreni interessati dalle opere di scavo, le peculiarità geotecniche dei materiali, da cui dipendono in massima parte le condizioni di “tenuta” delle pareti di scavo e che costituiscono il principale fattore predisponente a possibili fenomeni di instabilità. La capacità della parete di scavo di autosostenersi in assenza di opere di stabilizzazione deve essere valutata in sede progettuale in modo rigoroso; è necessario quindi effettuare tutte le indagini preliminari di natura geologica e geotecnica e le relative elaborazioni. Tra le cause di instabilità dello scavo, oltre alle caratteristiche geotecniche del materiale, molta importanza hanno anche l’altezza del fronte di scavo, la presenza di sovraccarichi, e l’azione dell’acqua (erosione per ruscellamento ed aumento del peso di volume del terreno per imbibizione). Infatti, è possibile dare allo scavo un’inclinazione (definita Inclinazione di sicurezza, scarpa, angolo di scarpa) tale per cui essa risulti stabile nel breve periodo e non vi sia pericolo di crollo. Dal punto di vista pratico-descrittivo è possibile operare una prima distinzione tra rocce propriamente dette e terre; il secondo gruppo rappresenta quello di maggiore interesse, in quanto gran parte delle opere cui ci si riferisce interferiscono con materiali incoerenti e/o con la porzione superficiale più degradata di ammassi rocciosi (pertanto spesso allo stato detritico-sciolto). A titolo esemplificativo non esaustivo, possiamo definire alcuni tipi di materiale di scavo: - rocce coerenti, poco fessurate a matrice resistente e notevole resistenza all’abbattimento (inclinazione parete di scavo 84°); - rocce semicoerenti, mediamente fessurate, a matrice poco resistente, con presenza di minerali quali le marne, terreni clastici (inclinazione parete di scavo 79°); - rocce pseudo coerenti, poco resistenti e/o molto fessurate, argilliti, scisti molto fratturati, terreni fini molto compatti o cementati (inclinazione parete di scavo 72°); - terreni fini mediamente compatti o cementati, terreni a matrice limosa compatti, sabbie e ghiaie poco cementati o legati da terreno fine (inclinazione parete di scavo 63°); - terreni granulari ben addensati o debolmente cementati, sabbie e ghiaie compatti (inclinazione parete di scavo 56°); - terreni granulari poco addensati, sabbie e ghiaie poco compatte e non cementate (inclinazione parete di scavo 45°). Organizzazione dello scavo Prima di avviare le operazioni di scavo, si dovrà procedere ad una serie di attività preliminari, per le quali innanzitutto occorrerà:
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Sicurezza sul lavoro • effettuare un sopralluogo per individuare: - l’esatta collocazione di tutte le utenze sotterranee del luogo di scavo; - le condizioni al contorno (edifici, strade, alberi ecc.) che possono determinare situazioni di rischio; • valutare l’effettivo rischio specifico riferito a: - possibili situazioni legate a fattori ambientali ed umani; - presenza di atmosfere pericolose o presunta mancanza di ossigeno nello scavo; - presenza di canalizzazioni di servizio; - condizioni difficoltose di accesso ed uscita dallo scavo; • redigere un piano di sicurezza specifico; • stilare, ove previsto, un apposito progetto per le armature di sostegno; • produrre una tavola tecnica degli scavi. La stessa dovrà contenere l’andamento in planimetria dello scavo, alcune sezioni trasversali significative, l’indicazione delle zone in cui sono necessarie tecniche di scavo particolari e/o armature, le indicazioni sul posizionamento degli apparecchi di sollevamento, macchinari, ecc. Il datore di lavoro, inoltre, prima dell’inizio dell’attività di scavo, deve predisporre un piano per la gestione di e-ventuali situazioni di emergenza connesse alle peculiarità del cantiere. È importante che le indicazioni da seguire in caso di e-mergenza siano immediatamente visibili e di facile comprensione. Per la gestione di eventuali emergenze devono anche essere individuati sia il responsabile che la relativa “squadra”. Il datore di lavoro deve mettere a disposizione dei lavoratori i DPI idonei e controllare che gli stessi li utilizzino, così come previsto, dalla normativa in vigore. Il personale addetto allo scavo, prima dell’inizio dei lavori, deve ricevere un’appropriata formazione e informazione sulle tecniche di lavorazione adottate, sui sistemi di protezione individuali e collettivi e sulle procedure di sicurezza e di soccorso da seguire in caso di emergenza. L’intervento formativo per gli addetti ai lavori di scavo deve almeno prevedere: • le tecniche di lavorazione da seguire durante lo scavo; • l’uso dei dispositivi di protezione individuale; • le procedure da seguire in presenza di atmosfere pericolose;
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n.3-4/ 2008 • le procedure di emergenza e le tecniche di primo soccorso. Fattori ambientali Altra problematica legata alle operazioni di scavo riguarda l’interferenza dei diversi fattori ambientali (naturali e/o antropici), valutazione indispensabile per garantire la sicurezza dei lavoratori. Condizioni meteorologiche Le prescrizioni individuate nel piano di sicurezza devono essere verificate alla luce dell’effettiva situazione meteorologica: piogge persistenti, gelo, prolungala siccità, presenza di acqua nello scavo, ecc., che influiscono sull’effettiva compattezza del terreno e/o sulle forze di coesione. Scavi in presenza di acque Qualora negli scavi ci sia o possa verificarsi un accumulo di acqua, le precauzioni da prendere variano in funzione della situazione specifica e possono prevedere: • armature particolari per evitare franamenti delle pareti dello scavo; • sistemi adeguati per l’eliminazione delle acque o per il controllo del livello (es. canalizzazioni e/o barriere per impedire l’allagamento dello scavo; well points, particolari tipi di pompe autoadescanti che aspirano acqua dal suolo mediante punte filtranti infisse a percussione, per la captazione preventiva delle acque di falda; • uso di opportuni dispositivi di protezione individuali. In ogni caso, ogni qual volta si ravvisi il rischio di presenza d’acqua, unitamente a difficoltà di drenaggio a gravità, sarà indispensabile prevedere l’impiego di sistemi di pompaggio carrellati di adeguata portata, possibilmente azionati da motori diesel. Nell’eventualità di allagamento dell’area di scavo occorre attivare la procedura di emergenza, con la sospensione dei lavori, l’immediato allontanamento dei lavoratori e l’attivazione dei sistemi di smaltimento delle acque da parte degli addetti all’emergenza. Presenza di canalizzazioni di servizio La presenza di reti di servizio può provocare gravi incidenti, quando si fa uso di utensili o macchine di scavo, ossia nella quasi totalità dei contesti operativi. Nel caso specifico in cui i lavori di scavo devono essere effettuati in prossimità di gasdotti o linee elettriche sotterranee, occorre comunicarlo all’azienda erogatrice e ottenere le necessarie autorizzazioni, pertanto, lo scavo deve essere avviato solo quando le aziende di servizio hanno comunicato l’effettiva collocazione delle canalizzazioni; quando non è possibile stabilire l’esatta posizione delle canalizzazioni, neanche mediante sistemi elettronici di rilevamento, il lavoro deve essere fatto con cautela e, quando possibile, con scavo manuale. Per garantire la salubrità dell’aria nella trincea e la sicurezza dei lavoratori dal rischio incendio o esplosione, si dovrà disporre all’occorrenza di strumenti di rilevazione di gas nocivi od esplodenti. Se in fase di lavorazione si danneggiano cavi, tubazioni, ecc., i lavoratori devono allontanarsi rapidamente dalla zona di scavo ed il responsabile tecnico è tenuto ad avvertire immediatamente le aziende di servizio e sospendere il lavoro fino al sopralluogo di controllo effettuato dalle stesse aziende fornitrici. Scavi in prossimità di strutture edilizie esistenti Quando la stabilità di edifici adiacenti, muri o altre strut-
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n. 3-4/2008 ture può essere compromessa dalle operazioni di scavo, occorre predisporre opportuni sistemi di protezione quali armature, puntelli, ecc., che garantiscano sia la sicurezza dei lavoratori addetti che la stabilità delle strutture stesse. In via generale non deve essere consentito lo scavo sotto il livello di fondazione delle strutture edilizie o di muri di sostegno, quando ciò possa comportare situazioni di rischio. Tali lavori si possono effettuare quando: • viene realizzato un sistema di supporto o di puntellamento in grado di garantire la sicurezza dei lavoratori e la stabilità della struttura adiacente; • lo scavo interessa una roccia stabile; • un tecnico competente certifichi, sulla base di uno studio geotecnico, che lo scavo è ad una distanza tale da non comportare rischi alla stabilità delle strutture adiacenti. Stesse considerazioni vanno fatte quando si realizzano scavi sotto marciapiedi, pavimenti, ecc.. Caduta detriti I lavoratori che operano all‘interno dello scavo devono essere sempre protetti dalla possibile caduta di terreno, detriti o frammenti di roccia che si possono staccare dalle pareti dello scavo stesso; provvedendo a rimuovere tutte le parti rischiose delle superfici di scavo e con la predisposizione di barriere protettive sufficienti a fermare e contenere il materiale (reti di trattenuta, spritz beton o altri sistemi di protezione equivalente). Per prevenire la caduta di arnesi e di detriti, e che eventuale materiale di stoccaggio determini instabilità dello scavo, occorre che il materiale e le relative attrezzature siano collocate tra 1 e 2 metri di distanza dal ciglio dello scavo stesso (1 m fino a 12 t di peso complessivo, 2 m tra 12 e 40t). Qualora questo non sia possibile, si devono installare barriere e parapetti adeguati. Ove possibile, il terreno di risulta dovrebbe essere disposto in modo tale da rappresentare una barriera all‘ingresso dell’acqua piovana nello scavo. 1 bordi superiori dello scavo devono essere, per quanto possibile, tenuti puliti e sgombri e, in caso di pioggia, protetti con teli impermeabili atti a evitare gli effetti erosivi dell’acqua piovana. Macchine operatrici I rischi associati alla presenza di macchine operatrici sono riconducibili all’investimento dei lavoratori, al ribaltamento o all’uso improprio e alla rumorosità. La circolazione degli automezzi e delle macchine semoventi all’interno della zona di scavo deve avvenire secondo percorsi predisposti in fase di organizzazione del cantiere. Quando è possibile occorre prevedere percorsi separati per l’accesso dei lavoratori, opportunamente segnalati e illuminati. Per evitare situazioni di rischio è opportuno che: • nessun lavoratore si trovi nel campo d’azione delle macchine; • i lavoratori non sostino in prossimità dei lavori; • non ci sia la presenza contemporanea nello scavo di macchine ed operai; • in fase di avvio della macchina non siano presenti lavoratori nelle vicinanze; • i lavoratori non indossino indumenti che si possono impigliare negli organi in movimento. Quando l’operatore della macchina non ha una visione ottimale o diretta del fronte di scavo, oppure deve operare in
Sicurezza sul lavoro retromarcia o con rotazione della cabina, occorre utilizzare sistemi di protezione quali: • barriere protettive; • segnali di avviso acustici manuali o automatici.
È indispensabile individuare preventivamente l’escavatore da utilizzare, scegliendo quello più adatto per il tipo di lavoro da effettuare e, quindi, delimitare le aree di rispetto e di pericolo per il movimento della macchina operatrice. Comunque, in presenza di mezzi meccanici, è sempre opportuno rispettare le seguenti indicazioni: • non lasciare mai le macchine accese senza l’operatore; • non transitare o lasciare le macchine in sosta presso il ciglio dello scavo; • verificare che le rampe naturali o meccaniche di accesso allo scavo siano adeguate al tipo di macchina impiegata. • non fare uso improprio della macchina (ad esempio usare la benna di un escavatore come mezzo di sollevamento, oppure utilizzare la benna per accedere al fondo dello scavo). Il rischio “rumore” deve essere opportunamente valutato in fase di piano di sicurezza dei lavori, secondo le modalità previste dalla normativa vigente. In caso di attività con uso di macchine ad elevata rumorosità che superano i valori limite di esposizione fissati dalle norme, l’accesso alla zona di lavoro deve essere impedito con segnalazioni o recinzioni. Opere provvisionali di sostegno e sistemi di protezione Quando si deve realizzare uno scavo, sulla scorta di una attenta valutazione dei rischi, occorre prima verificare se necessitano opere di sostegno. Quando si effettua uno sbancamento (o scavo a cielo aperto) di larghezza superiore rispetto all’altezza, in materiali a comportamento granulare, il sistema di protezione è necessario solo se l’inclinazione della parete dello scavo è maggiore dell’angolo di attrito interno del terreno, o se si supera l’altezza critica in materiali coesivi. Nel caso di scavi a sezione obbligata, in cui la profondità è maggiore della larghezza, occorre necessariamente armare lo scavo per evitare crolli e franamenti delle pareti. Fanno eccezione i casi in cui lo scavo non raggiunge la profondità di 1,5 metro, o quando esso è realizzato in roccia ed
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Sicurezza sul lavoro il tecnico competente ritiene non verificabile un crollo delle pareti di scavo. Opere di contrasto e di sostegno Armature, contrafforti e puntelli Quando la collocazione dello scavo o la sua profondità non consentono di realizzare le pareti secondo l’angolo d’attrito interno del terreno, o si supera l’altezza critica caratteristica del materiale, è necessario armare lo scavo. L’armatura deve essere tale da resistere alle sollecitazioni indotte da: • pressione del terreno; • strutture adiacenti; • carichi addizionali e vibrazioni (attrezzature, traffico veicolare, materiale di stoccaggio, ecc.). Le strutture di sostegno devono essere installate a diretto contatto con la facciata dello scavo e, ove necessario, deve essere inserito del materiale di rincalzo tra la facciata dello scavo e l’armatura, per garantire la continuità del contrasto. Le armature dello scavo possono essere realizzate con elementi in legno o in metallo. Se si utilizzano puntelli di acciaio disposti perpendicolarmente ai montanti o ai pannelli in legno, occorre sempre verificare la compatibilità del carico trasmesso dall’acciaio al legno stesso. Nella predisposizione degli elementi delle armature in legno occorre seguire precisi metodi per la scelta delle loro caratteristiche geometriche, nonché opportune procedure, al fine di rendere sicure le opere di contrasto. A questo proposito esistono apposite tabelle tecniche, riferite alle condizioni e al tipo di terreno nonché alla profondità e larghezza dello scavo, che forniscono le dimensioni di traverse, montanti, puntoni, pannelli in legno. La scelta del tipo di armatura da disporre nello scavo e del materiale da utilizzare dipende sostanzialmente dalla natura del terreno, dal contesto ambientale e dal tipo di scavo da eseguire. L’armatura deve comunque rispettare sempre le seguenti tre condizioni: 1. essere realizzata in modo da evitare il rischio di seppellimento; 2. essere sufficientemente resistente da opporsi, senza deformarsi o rompersi, alla pressione esercitata dal terreno sulle pareti dello scavo; 3. essere realizzata in modo da poter sopportare, senza deformarsi, anche carichi asimmetrici del terreno. Il rispetto di queste condizioni è finalizzato a rendere tutti gli elementi dell’armatura (pannelli, montanti, puntoni) un modulo unitario simile ad una gabbia di sicurezza. Esaminiamo ora le diverse tipologie di armatura degli scavi che si possono realizzare. Armatura di scavi in terreni coesivi In presenza di un terreno di sufficiente coesione, in cui non è possibile realizzare lo scavo per tutta la profondità richiesta, si può effettuare lo scavo stesso fino a 80-120 cm e dopo aver disposto una prima armatura, si può procedere ad un’altra fase di scavo e così via. Quando il terreno ha una buona coesione, la realizzazione delle strutture di sostegno è abbastanza semplice e non richiede materiali ed attrezzature particolari. In questo caso basta posizionare i pannelli di legno, di altezza leggermente superiore alla profondità dello scavo, contro le pareti dello scavo e fissarli con puntoni di legno provvisori per
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n.3-4/ 2008 consentire agli operai di scendere nella trincea e disporre gli elementi di contrasto definitivi. Una evoluzione della stessa procedura consiste nell’utilizzare da subito puntoni idraulici di metallo che si possono collocare dall’esterno con una pompa che agisce sugli stessi fino a mettere in contrasto i pannelli con le pareti dello scavo. Un altro tipo di struttura di contrasto utilizzata è quella che fa uso di teli con barre di fibra di vetro. Il peso trascurabile del telo facilita il trasporto e la messa in opera, con costi sicuramente inferiori. Questo tipo di armatura è adatto per scavi non molto profondi (2 m - 2,5 m massimo) e per terreni di buona coesione; non può essere utilizzata per scavi di larghezza inferiore a cm. 80 in quanto limita lo spazio libero nella trincea. Quando l’armatura di sostegno è in fase di realizzazione, la benna dell’escavatore deve essere collocata nello scavo in modo da costituire una protezione addizionale in caso di frana del terreno. Durante il montaggio dell’armatura deve essere disponibile una scala, per accedere e uscire dallo scavo, ad una distanza non superiore a 3 metri dalla zona di lavoro. L’armatura deve essere realizzata dall’alto verso il basso: i primi puntoni vanno collocati ad una profondità massima di cm. 20 dalla superficie del terreno e i successivi secondo lo schema predisposto in fase di progettazione dell’armatura. La corretta installazione del primo e del secondo puntone a contrasto dei montanti verticali rappresenta un momento importante ai fini della stabilizzazione delle pareti dello scavo. Quando tra armature e terreno si utilizza un pannello di legno o di acciaio, il puntone non deve essere direttamente installato sul pannello, ma collocato sull’elemento verticale che lo sostiene. Dopo aver installato almeno due puntoni sulla coppia di montanti verticali, si può procedere alla sistemazione del puntone posto in basso. È importante ricordare che questa armatura di contrasto necessita di almeno due puntoni per ogni coppia di montanti verticali. Armatura di scavi in terreni granulari Quando il terreno non rende possibile nemmeno uno scavo di profondità minima, oppure quando si deve operare in siti urbani e occorre evitare qualsiasi depressione del terreno, è necessario rispettare rigorosamente le seguenti modalità: dopo aver scavato per circa 30 centimetri si infiggono nel terreno le due pareti verticali aventi una leggera inclinazione. Quindi si dispongono i puntoni di contrasto e si realizza un successivo scavo installando un secondo blocco di armatura, con pareti aventi la stessa inclinazione di quelle superiori e cosi via. La procedura descritta consente di raggiungere anche notevoli profondità in terreni senza alcuna coesione. Va ricordato che questo tipo di armatura non è facile da eseguire a regola d’arte: richiede, infatti, attrezzature specifiche e mano d’opera molto qualificata. Rimozione dell’armatura Per la rimozione dell’armatura occorre procedere dal basso verso l’alto, avendo particolare cura nel proteggere sempre il lavoratore che si trova dentro lo scavo. Se al momento del disarmo si avverte che l’armatura (puntoni e montanti) è sottoposta a pressione perché il terreno ha subito dei movimenti, occorre riempire la trincea con il terreno prima di rimuovere puntoni e montanti. Protezioni blindate Gli elementi dell’armatura sono solitamente realizzati con pannelli metallici e in legno o con telai multipli in acciaio.
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n. 3-4/2008 A) Pannelli metallici I cassoni da realizzare comprendono due pannelli metallici laterali tenuti insieme da due puntoni d’acciaio. I pannelli, costituiti da profilati metallici saldati insieme per tutta la loro lunghezza, sono rinforzati da un montante verticale centrale su cui sono fissati i puntoni. La base dei pannelli è appuntita per consentire una più facile penetrazione nel terreno, i puntoni, in numero minimo di due, sono realizzati a vite e consentono di regolare e di inclinare il cassone in modo da facilitare la sua messa in opera. Un altro tipo di cassone utilizzato è quello dotato di quattro puntoni disposti due alla volta alle estremità dei pannelli. Con lo stesso principio costruttivo, esistono diverse categorie di cassoni aventi una diversa robustezza, a secondo dei carichi e delle spinte che dovranno sopportare. In ciascuno di essi, elementi particolari consentono di adattare esattamente le dimensioni dei cassoni a quelle della trincea da armare. Per consentire agli operai di collocare in sicurezza la canalizzazione, è necessario utilizzare simultaneamente tre elementi di tre metri di lunghezza. Per canalizzazioni corte (da 2 a 3 metri) bastano solo due elementi di cassoni. Conviene sempre utilizzare cassoni di un’altezza leggermente superiore alla profondità dello scavo. Quando non si può armare lo scavo per tutta la sua altezza è pre-feribile collocare i cassoni nella parte superiore dello scavo e lasciare non armato il fondo, il cui franamento è molto improbabile, a meno che non ci si trovi in presenza di argille molli o terreni similari. B) Pannelli in legno I pannelli in legno si utilizzano solitamente per lavori di scavo di piccole dimensioni. L’impiego del legno consente di costruire direttamente i pannelli a seconda dell’altezza dello scavo e di disporre i successivi puntoni a vite secondo le dimensioni della stessa armatura. L’armatura così realizzata è subito disponibile per la messa in opera. C) Telai in acciaio Se lo scavo è realizzato in un terreno in cui la decompressione può procurare collassi ed improvvisi smottamenti, per effettuare lavori di piccola durata si possono utilizzare telai mobili realizzabili direttamente dall’impresa che effettua i lavori. Queste strutture, con ossatura metallica e pareti realizzate con montanti, devono avere una sufficiente resistenza ai carichi dinamici e dissimmetrici che si presentano in caso di frana. Vanno evitati telai leggeri che non hanno adeguata resistenza, anche se più facili da collocare nello scavo. Nei terreni poco coerenti o quando vanno assolutamente evitate compressioni nel materiale stesso, si rende necessaria la messa in opera delle protezioni durante lo scavo. Per i componenti ed il montaggio valgono le stesse indicazioni sopra riportate. In questo caso però gli elementi sono assemblati in fase di avanzamento. Palancole metalliche In molti casi è fondamentale rinforzare il terreno con resistenti palancole metalliche prima di avviare le operazioni di scavo. Per effettuare questo tipo di armatura occorre utilizzare un macchinario speciale che permette di infiggere contestualmente nel terreno le palancole che devono supportare le
Sicurezza sul lavoro due facciate dello scavo. Dopo questa operazione, durante lo scavo devono essere inseriti i puntoni di contrasto man mano che la profondità della trincea aumenta. Il numero degli elementi di contrasto dipende ovviamente dalla natura del terreno e dalle dimensioni dello scavo. Nella maggior parte dei casi è sufficiente la sola armatura di contrasto superiore, che rende inoltre più facile la posa in opera delle canalizzazioni. Un altro sistema di protezione con palancole é quello che fa uso di una cintura, con il duplice scopo di armatura di contrasto e guida dentro cui far passare le palancole stesse. Montanti e pannelli metallici Un sistema alternativo a quello delle palancole, è quello che fa uso di montanti e pannelli metallici infissi nel terreno sempre prima di iniziare lo scavo. I montanti sono realizzati con due profilati metallici tenuti insieme da puntelli aventi contrasto regolabile. Per profondità da 3 a 7 metri esistono montanti metallici che consentono di mettere in opera per ogni lato della trincea due pannelli metallici. Sistemi di protezione e di accesso allo scavo Parapetti In presenza di scavi profondi oltre 2 metri, per evitare rischi di caduta dall’alto, si devono predisporre lungo i bordi dello scavo appositi parapetti, alti almeno 1 metro, dotati di tavola ferma piede di circa 20 cm. Lo spazio tra la tavola ferma piede e il corrente superiore non deve superare i 60 cm. I parapetti dovranno poter sopportare un carico di almeno 50 kg/m. In presenza di persone o traffico veicolare, il parapetto deve essere sempre segnalato con nastro di colore rosso/bianco e con lampade elettriche o lanterne ad olio durante la notte. Passerelle e rampe Le rampe di accesso e di uscita dallo scavo devono essere realizzate secondo un progetto effettuato da un tecnico specializzato. Quando le rampe sono costruite con due o più elementi strutturali, gli stessi devono essere assemblati in modo da evitare movimenti o spostamenti che ne compromettano la stabilità. Per rendere possibile e sicuro l’attraversamento dello scavo o della trincea da parte dei soli lavoratori, occorre predisporre delle passerelle larghe almeno 60 cm. Quando le passerelle vengono utilizzate anche per il trasporto di materiale, devono essere larghe minimo 120 cm. In tutti i casi devono comunque essere sempre dotate di parapetti e barriere ferma piede su entrambi i lati. Scale Le scale a mano utilizzate per accedere al fondo dello scavo devono essere: • sporgenti di almeno 1 metro oltre il bordo dello scavo; • raggiungibili entro 10 metri da un qualsiasi punto del fondo scavo; • realizzate con materiale isolante quando si prevede nello scavo la presenza di linee elettriche interrate; • utilizzate solo su superfici di appoggio stabili e a livello. In caso contrario esse vanno stabilizzate con opportuni vincoli; • posizionate con un’inclinazione tale che la distanza tra il piede della scala e la parete verticale sia pari a circa un quarto dell’altezza dello scavo.
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Sicurezza sul lavoro Quando si prevede sul fondo dello scavo la presenza di oltre 25 addetti e quando la scala rappresenta l’unica via di uscita, è necessario prevedere almeno due scale.
Ai lavoratori che fanno uso delle scale deve essere vietato il trasporto di materiale o carichi che possano determinare il rischio di caduta. Tecniche alternative di scavo Prevenzione vuol dire anche ricerca di nuove soluzioni e tecniche di lavoro alternative alle attività tradizionali, in grado di coniugare la riduzione dei rischi e il miglioramento della competitività delle aziende. L’utilizzo di tecniche moderne di posa in opera delle reti di servizi (cosiddette “no dig”) realizzano una notevole riduzione, se non l’eliminazione, del rischio più grave: il seppellimento nello scavo. In Italia la tecnologia “no dig”, introdotta per la prima volta agli inizi degli anni ‘80, ha subito, nella seconda metà
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n.3-4/ 2008 degli anni ‘90, un notevole impulso, soprattutto per le opere relative al cablaggio di importanti città. Questa tecnica, utilizzata per la posa delle reti di distribuzione di gas, di acqua e di servizi telefonici, permette di evitare i problemi tipici dei cantieri nei centri abitati e storici delle città; consente infatti di limitare gran parte dei disagi e di superare agevolmente le difficoltà di tipo geologico, idrogeologico e quelle connesse alla presenza di infrastrutture viarie (ferrovie, strade, ponti, canalizzazioni). Queste nuove tecnologie permettono anche di prolungare la vita delle tubazioni già in opera con operazioni di manutenzione in-situ, senza dover smantellare quanto si trova al di sopra di questi servizi interrati. Si tratta di metodi diversi di microperforazione che permettono di realizzare nel sottosuolo fori sub-orizzontali con diametri inferiori a 3500 mm, utilizzando speciali “talpe” a calcestruzzo in progressione, dove il rivestimento consente l’avanzamento della batteria di perforazione e l’armatura metallica permette di conferire all’opera la sua forma ed il suo aspetto. Le tecnologie no dig si distinguono in: directional drilling, microtunneling, pipe ramming, pipe bursting e splitting. Il directional drilling utilizza speciali perforatrici dotate di un sistema di guida in grado di direzionare, nel sottosuolo, una batteria di perforazione secondo traiettorie di forma diversa. Con questa tecnologia si possono posare condotte con diametro sino a 1200 millimetri e lunghezza di tiro (distanza tra i punti di entrata e di uscita) fino a 1000 metri. Questa tecnica risulta più conveniente per profondità superiori ai due metri, anche con riferimento ai soli costi di costruzione. Il microtunnelling si basa sull‘impiego di microfrese sotterranee, (microtunneller) in grado di ruotare autonomamente, che ricevono la spinta necessaria all’avanzamento da un apposito gruppo idraulico che viene alloggiato nel pozzo di partenza. Il microtunnelling permette la posa di condotte aventi diametri oscillanti tra i 400 ed i 3500 mm. Il pipe ramming è una tecnologia che permette di posare condotte di acciaio con impiego di speciali percussori pneumatici in grado di spingere la tubazione attraverso il terreno. I metodi pipe bursting e splitting, che prevedono operazioni di demolizione e posa che avvengono nel sottosuolo senza scavi a cielo aperto, consentono la posa di nuove condotte in sostituzione di quelle esistenti. I vantaggi di queste nuove tecniche di lavorazione sono strettamente connessi alla maggiore economicità e rapidità nell’esecuzione delle operazioni di installazione e/o manutenzione. «Il geometra bresciano»
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IL TRAMEZZO INCANNUCCIATO La stima dei costi di Maria Gullì Premessa I tramezzo è una ripartizione interna di separazione tra due ambienti confinati, la cui funzione “non strutturale” consente di eseguire con facilità interventi di sostituzione e modifica funzionale. Storicamente, il tramezzo è stato realizzato con diversi materiali e diverse tecniche costruttive, in base alla disponibilità di risorse naturali e maestranze specializzate nella posa in opera delle stesse. I sistemi costruttivi più diffusi sono stati realizzati con pannelli in legno, mattoni d’argilla, canne palustri, terra e paglia, ecc.. Negli anni ‘60, la produzione industriale ha favorito la diffusione dei blocchi in laterizio forati, di varie dimensioni e tipologie, pertanto fino a qualche decennio fa in quasi tutte le parti del mondo, i tramezzi venivano realizzati con questo materiale, perché leggero, resistente, economico e facile da montare. Oggi l’innovazione tecnologica e la sperimentazione di nuovi materiali e componenti offre una vasta gamma di pannelli prefabbricati e/o mobili, nei quali i materiali più diffusi sono: il calcestruzzo soffiato, il calcestruzzo alleggerito (o cls leggero), il gesso e il cartongesso. Mentre da un lato la produzione in serie ha garantito l’abbattimento dei tempi e dei costi delle costruzioni, dall’altro si è diffuso l’uso di materiali inquinanti (colle, vernici, ecc.) causa del propagarsi di una nuova forma di inquinamento all’interno delle case chiamato “inquinamento indoor” inteso come emissione di sostanze tossiche provenienti dagli arredi, dalle finiture di pareti e pavimenti, dalle condense degli elementi tecnici che non “respirano”. Sulle problematiche legate all’utilizzo di materiali tossici nel campo dell’edilizia si sta delineando un nuovo principio ossia, quello di ottenere una “casa ecologica”, valorizzando prevalentemente i materiali tradizionali e naturali, come il legno e recuperando tradizioni costruttive talvolta dimenticate.
In questa ottica bisogna menzionare una tecnica costruttiva locale, caratteristica dell’edilizia storica calabrese, introdotta per far fronte ai problemi di sismicità e identificabile come una delle tecniche che oggi rispondono meglio alle esigenze di coibentazione termica e acustica, leggerezza e facilità di montaggio e smontaggio, resistenza alle azioni sismiche. A ciò bisogna aggiungere la facile reperibilità dei materiali naturali necessari per realizzarla, la completa recuperabilità dei componenti e la loro biodegradabilità, tanto da renderla competitiva rispetto ai vari sistemi oggi in commercio. 1. La ricostruzione di un tramezzo incannucciato: tecnica e costi Nel corso dei rilievi effettuati all’interno delle case storiche di Bova (RC), è stato individuato un tramezzo realizzato artigianalmente in legno, canne palustri e intonaco (figure 1 e 2). Il tramezzo storico individuato è stato riproposto nel progetto di recupero redatto per un piccolo edificio1 del medesimo centro.
Fig. 2 - Dettaglio deltramezzo con parte di intonaco
La sua ricostruzione ha previsto, come prima operazione, la realizzazione della struttura portante in montanti e traverse in legno di castagno assemblati con chiodi (figura 3), Sulla struttura portante lignea è stata montata la controventatura incan-
Fig. 1 - La struttura portante lignea sotto l’incannucciato
Fig. 3 - Rilievo in fase esecutiva della struttura poratnte lignea
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nucciata eseguita con la messa in opera, tramite chiodatura, di canne palustri reperite in un torrente vicino, così come avveniva in passato. Gli elementi lignei sono stati ancorati al pavimento con un dormiente e all’estremità superiore sulla trave portante del solaio del piano superiore, con staffe metalliche chiodate agli elementi del tramezzo (figure 4 e 5),
Fig. 4 e 5 - Sistemi di ancoraggio del tramezzo al pavimento e al soffitto
2. Determinazione del costo di realizzazione del tramezzo incannucciato La tabella sottostante rappresenta l’analisi dei prezzi in cui sono riportati i “fattori elementari”, ricavati dal monitoraggio in cantiere, che compongono la lavorazione, articolati in: numero di operai impiegati e ore di lavoro effettuate, tipologia e quantità di materiali impiegati, attrezzature utilizzate. Applicando il costo unitario a ogni fattore elementare, si è giunti alla definizione dell’importo complessivo dell’intervento, pari a ¤ 115,43 al metro quadrato di tramezzo: Il costo al metro quadrato del tramezzo incannucciato, elaborato nell’analisi prezzi riportata sopra, risulta elevato rispetto a un divisorio ordinario, in quanto tutti gli elementi, compresa la struttura portante lignea, sono stati realizzati in cantiere come sperimentazione comportando una notevole incidenza del costo della manodopera. Le canne palustri, utilizzate per la realizzazione dell’incannucciato del tramezzo, sono state reperite in un torrente vicino al centro abitato di Bova (figura 6) per tale motivo il costo riportato nella scheda di analisi prezzi del traFig. 6 mezzo storico è stato ipotizzato a corpo. Di seguito si riporta la sequenza fotografica delle fasi esecutive di realizzazione del “tramezzo storico”, con i tempi occorsi alle maestranze per effettuare le diverse lavorazioni e le relative quantità di materiali utilizzate.
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Tab. 1 - Determinazione del costo: analisi dei fattori elementari (manodopera, materiali, noli e trasporti)
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GLI INTONACI DI TERRA CRUDA Metodi antichi per nuove applicazioni biocompatibili di Giuseppe Mori e Raffaella Annovazzi
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all’antichità e dalle regioni do ve non se n’è mai abbandonato l’uso, torna oggi sul mercato dell’edi lizia un prodotto che, al solo cenno di un suo uso, fa sorridere i più: si tratta della terra, della terra cruda come materiale da ostruzione o, quanto meno, come mate riale di finitura. Di questo ritorno, almeno presso chi si occupa di bioe dilizia, si parla da tempo, anche se per un impiego an cora limitato. Eppure i vantaggi dell’utilizzo dell’intonaco di terra cruda sono davvero numerosi, anche se vi si riconoscono alcune limitazioni. Un primo, assoluto vantaggio rispetto a ogni altro materiale “concorrente” sul mercato - compresi gli intonaci di calce naturale o a base di grassello di cui abbiamo ampiamente trattato in articoli precedenti - la terra cruda senza dubbio ce l’ha: può vantare infatti un processo di produzione dal dispendio energetico estremamente basso. Per la sua preparazione l’argilla richiede semplici processi di pulizia, asciugatura e riduzione in polvere. In ragione di questa sua semplicità produttiva i calcoli per la determinazione dell’LCA (Life Cycle Asses-sments - Analisi del ciclo di vita) stimano sufficienti 30 kwh al metro cubo di terra, a fronte dei 645 necessari per produrre l’argilla e-spansa o degli 815 per la fabbricazione di un late rizio forato (Protocollo ITACA, gennaio 2004). La ragione di ciò sta nel fatto che l’inerte di partenza l’argilla naturale facile da reperire in natura - non subisce cottura: i forni indispensabili per la produzione della calce possono restare spenti, risparmiando cosi il grande consumo energetico necessario per il loro uso. La diffusione dell’argilla rende evidente quanto essa sia materiale ecologica mente sostenibile che con tribuisce alla riduzione dei costi energetici e di quelli generati dall’inquinamento e dal trasporto. L’altro aspetto a favore della sua sostenibilità è la sua totale riciclabilità in caso di smaltimento a fine vita dell’edificio. Vediamo quali altre qualità rendono la terra cruda appe tibile per il suo impiego in bioedilizia, ma potremmo dire anche nel settore delle costruzioni in generale. Salubrità Uno dei principi alla base della filosofia della bioedilizia è che l’abitazione debba essere concepita come un luogo sano; in tal senso la terra cruda offre alcune certezze legate alla sua composizione: argilla pura e nient’altro, la cui lavora zione non richiede aggiunta di sostanze che ne alterino le caratteristiche originarie. Sono quindi assenti inquinanti che, viceversa, con l’impiego di altri materiali, potremmo ritrovarci nell’abitazione. Altre importanti caratteri stiche della terra sono la sua capacità d’assorbire e neutralizzare odori, fumo e altre sostanze dannose per la salute dell’uomo e la proprietà d’impedire una volta completato il processo d’essiccamento - la formazione di muffe o funghi.
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Polmone igrometrico La fortissima capacità della terra cruda di regolare l’umidità presente negli ambienti è senza dubbio una sua caratteristica peculiare. L’into naco d’argilla - e ancor più, ovviamente, se posato su un muro dello stesso materiale - ha potere igroscopico elevato, in grado di svolgere la funzione di polmone igro metrico, capace cioè di as sorbire momentanei eccessi d’umidità per rilasciarla quando l’ambiente troppo secco lo richiede, contri buendo a mantenere un mi croclima piacevole e sano. Il giusto grado d’umidità, lo ricordiamo, previene la formazione di polveri e riduce l’insorgere di forme allergiche e asmatiche. La tabella sotto riprodotta mostra che un intonaco d’argilla è capace d’assorbire da 4 a 10 volte più acqua rispetto a un normale intonaco base calce, nell’ipotesi d’un aumento dell’umidità relativa dal 50 all’80% in 48 ore. Se si considera che in un’abitazione si possono produrre mediamente 10 litri di vapore acqueo al giorno, e che esso non sempre viene smaltito attraverso i ricambi d’aria, si capisce ancor più l’importanza della presenza di un elemento idroregolatore nella costruzione qual è appunto la terra cruda.
Tabella 1
Accumulatore di calore L’argilla è un materiale dotato di notevole inerzia termica. Questa dote le consente di assolvere anche al compito di “smussare“ i picchi di caldo e freddo all‘interno dell’ambiente, contribuendo in tal modo al miglioramento del microclima. Ricordiamo infatti che gran parte del comfort termico all‘interno di una stanza è garantito dalla media delle temperature delle pareti che ci circondano e che, anche in presenza di una temperatura dell’aria piuttosto elevata, proviamo senso di freddo se le pareti sono fredde. Quanto più quindi noi riusciremo a garantire una temperatura costante, tanto più sarà assicurato il benessere termico. Tutto ciò migliora il comfort, sia d’inverno, sia d’estate. Fonoassorbenza Sempre maggior peso assume nell’edilizia moderna l’attenzione alla trasmittanza acustica dei materiali. In questo senso l’attitudine all’isolamento acustico dell‘argilla conferisce certa-
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Impasto di terra cruda pronto per l’impiego
Mattoni di terra cruda su tetto ecologico
mente qualità all’immobile: la sua capacità di attenuare i rumori è assicurata dalla massa e dalla struttura grezza dell’intonaco di base. A titolo d’esempio, si consideri che una parete di 15 centimetri di spessore realizzata con adobe (mattoni di terra cruda) assicura un’insonorizzazione di 48 dB, mentre, per ottenere il medesimo risultato, è necessario uno spessore circa doppio dei convenzionali mattoni forati cotti.
Economica e adatta al “fai da te” Se tutte queste proprietà estetiche possono indurre a considerare l’intonaco di argilla come una raffinatezza destinata a poche residenze di lusso, ecco subito la smentita: l’argilla, reperibile praticamente ovunque (e adatta al fai da te), è un materiale da costruzione economico. Ricordiamo che, a differenza degli intonaci di calce, l’argilla cruda si presta ad essere lavorata senza alcun pericolo per la salute e che, essendo continuamente lavorabile nel tempo, consente di correggere precedenti errori compiuti in fase di posa: è infatti sufficiente bagnare la superficie dell’intonaco e lisciarla a frattazzo per
Intonaco di terra cruda su cannicciata (terre di differente provenienza)
Intonaco di argilla e sensazioni Fra gli aspetti non descrivibili in termini quantitativi vi sono quelli puramente estetici: con la sua plasticità l’argilla consente di adattarsi alle forme più irregolari consentendo anche una notevole varietà di finiture superficiali: da quelle più “forti” e rustiche a quelle più delicate, ottenute mescolando lo strato fine superficiale con coloranti, a loro volta ottenuti da terre di varie tonalità. Con gli intonaci di terra e con specifica lavorazione superficiale si possono ottenere anche finiture tipo stucco veneziano, conservando sempre la massima naturalità unita al “calore” e al colore della madre terra. Certamente belle e particolari sono tutte quelle lavorazioni che lasciano volutamente affiorare in superficie gli additivi naturali - fibre e paglizze di varie specie vegetali - che conferiscono maggiore resistenza meccanica all’intonaco di terra.
Posa di intonaco su rete, per supporti poco adatti
“cancellare” le tracce di precedenti irregolarità, riportando la superficie alla perfezione esecutiva. Ovviamente se per la realizzazione dell’intonaco ci si deve rivolgere a una ditta specializzata, le cose cambiano, ma ormai, grazie all‘argilla confezionata in sacchi e pronta all’uso, possono essere utilizzate normali intonacatrici a pompa con un costo alla portata di molte tasche. Finora abbiamo evidenziato una grande varietà di aspetti positivi degli intonaci di argilla: esaminiamo però anche le limitazioni che questo materiale presenta, affinché siano chiari i presupposti di questa proposta tecnologica antica e innovativa allo stesso tempo.
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Operazione d’intonacatura a mano e con intonacatrice meccanica
Uso esterno? o grazie, a meno che... Ricordiamo che l’attenzione di questa serie di articoli era fin dal suo inizio puntata sulle finiture interne della casa, ma se spostiamo la visuale su quelle esterne, uno dei grandi vantaggi della terra cruda si trasforma nel suo limite maggiore. Come abbiamo appena visto, la facile lavorabilità che consente di recuperare le imperfezioni con la semplice aggiunta d’acqua e lisciatura, può trasformarsi in scarsa o pessima resistenza agli agenti atmosferici. In questa condizione solo protezioni adeguate come la presenza di aggetti importanti che proteggano dal dilavamento le facciate e la presenza di pietra o cotto (o altro materiale adeguato) nella parte bassa dell’abitazione (lo zoccolo) più esposta all’azione della pioggia battente, consentono l’uso in ambiente esterno dell’argilla. La soluzione
n. 3-4/ 2008 di questo problema si affida all’adozione di rivestimenti protettivi, ovviamente sempre ecocompatibili e traspiranti, e al sovradimensionamento dello spessore dell’intonaco (o del muro), considerando lo strato superficiale passibile di successivi rimodellamenti periodici di manutenzione. Scelte più complesse e onerose, come per esempio la posa di una paretina protettiva di mattoni di cotto, sono interessanti ma assumono qualche significato solo se si tratta di proteggere una muratura interamente in terra cruda e non solo di un intonaco. Attenzione all’uso della terra cruda deve essere posta anche in locali particolarmente umidi come bagni e lavanderie, in cui si rischia la presenza di acqua nelle parti basse: anche in questo caso è consigliabile che la parte vicino a terra dell’intonaco sia adeguatamente protetta o sostituita con intonaci tradizionali. Maestranze poco esperte Un’osservazione fatta negli articoli precedenti per gli intonaci di calce, quella che raccomanda l’uso del grassello per il confezionamento delle malte e riguardante la difficoltà di trovare maestranze in grado di affrontare senza problemi queste tecniche antiche, ormai scarsamente utilizzate, è valida anche nel caso della terra cruda. Fatto salvo il caso di personale disponibile a una riqualificazione attraverso corsi specifici, o quello di affidare i lavori a imprese già pratiche dell’applicazione di intonaci di questo tipo, il mercato in genere offre notevole resistenza all’impiego di questi materiali, scoraggiando chi invece intendesse farne uso. La formazione degli operatori dell’edilizia - a partire anche da noi geometri, che di tecniche antiche conosciamo poco resta quindi la strada necessaria da percorrere verso questo “ritorno al futuro”.
In alto a sinistra: terra fine per coloritura di finiture superficiali. A destra, finitura colorata con pagliuzze superficiali; al centro: finitura rustica con pagliuzze luccicanti; in basso: tipi di velature con terre colorate. Diverse tipologie d’intonaco
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«Il geometra bresciano»
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LA PROTEZIONE DELLE MURATURE DALL’UMIDITÀ ASCENDENTE di Oliviero Tronconi
L
’impermeabilità è la caratteristica che impedisce l’infiltrazione di acqua e umidità; è propria di alcuni materiali molto elastici in grado di seguire le deformazioni strutturali dovute a effetti termici o meccanici. Le opere necessarie per proteggere l’edificio o bonificarlo contro l’umidità e la penetrazione dell’acqua di origine sotterranea si distinguono in: isolamento dall’umidità sotterranea e isolamento dall’umidità ascendente. In questo breve contributo affronteremo prevalentemente le problematiche inerenti gli interventi per il contrasto e l’eliminazione dell’umidità ascendente dal terreno lungo le murature, limitandoci ad alcuni cenni sintetici per quanto riguarda l’isolamento dell’umidità sotterranea. Isolamento dall’umidità sotterranea Il terreno è ricco di umidità che si diffonde per capillarità. Diviene, quindi, necessario isolare le strutture dell’edificio in posizio ne interrata utilizzando dei materiali im permeabilizzanti che vanno applicati all’e sterno. Tra i più diffusi: - asfalto steso a caldo su uno strato di malta; - guaine bituminose armate con reti di po liestere o fibra di vetro; - guaine sintetiche armate con reti di poliestere ecc. Occorre altresì che gli ambienti interrati siano adeguatamente aerati con aperture dirette, ovvero che l’orizzontamento del piano terra sia posto superiormente al piano di campagna, oppure - ove questa soluzione non sia perseguibile - utilizzando aperture dette a “bocca di lupo”. Nel caso di ambienti interrati “ciechi” (sen za aperture dirette) si dovrà provvedere ricavando delle “canne di aerazione” potenziate da adeguati “aeratori”. Prima della realizzazione di ambienti interrati occorrerà sincerarsi dell’altezza raggiungibile nel tempo dalla falda freatica. Per impedire la penetrazione dell’acqua di falda nei locali interrati occorre eliminare ogni discontinuità tra le opere di fondazione orizzontali e quelle verticali utilizzando giunti di gomma che devono essere incorporati nella fondazione e successivamente risvoltati e incor porati nelle opere verticali. Nel caso di locali al piano terreno occorrerà che l’orizzontamento (struttura portante orizzontale) sia staccata dal terreno realizzando una appo sita struttura denominata “gattaiolato” op portunamente aerata da appositi condotti. Nel passato si realizzavano normalmente delle pavimentazioni posate su “vespai” costituiti da uno spessore di 30-40 cm di pietrisco e ghiaione opportunamente costipato e aerato con apposite tubazioni. Tale soluzione è oggi quasi completamente ab bandonata in favore di orizzontamenti strutturali (solai, solette). Isolamento dall’umidità ascendente Il terreno è naturalmente ricco di umidità che può facilmente inserirsi e diffondersi per capillarità nelle strutture in elevazione verticale di un edificio. Questo accade quando le
stesse non siano state adeguatamente isolate dal terreno attraverso opere di impermeabilizzazione. Questo fenomeno è relativamente diffuso negli edifici realiz zati con struttura portante in muratura di laterizio o pietrame: in questi contesti l’umidità può diffondersi per capillarità lungo l’intera altezza e sviluppo lineare delle murature. Premesso che le conoscenze oggi a nostra disposizione non consentono di impedire la risalita per capillarità dell’umidità lungo le strutture in elevazione; le tecniche principali per bloccare l’umidità ascendente sono tre: creazione di una barriera fisica, creazione di una barriera chimica, creazione di una barriera elettromagnetica (l’e lettrosmosi, attiva con generatore di cor rente o passiva senza generatore). Creazione di una barriera fisica La prima e forse più diffusa tecnica è di tipo meccanico e consiste nel taglio delle murature lungo tutto 11 loro sviluppo lineare e successiva interposizione di una barriera invalicabile all’umidità costituita da lamiera di rame o altro materiale di origine sintetica con elevata resistenza all’umidità. Il taglio, realizzato con apposite macchine segatrici a movimento orizzontale, andrà operato nelle murature a una altezza di 20-40 cm da terra e si dovrà avere cura di rea lizzarlo per sezioni della lunghezza di 150-200 cm tra loro sovrapposte. Questa tecni ca deve essere realizzata con grande cura perché rischia di compromettere la continuità strutturale delle murature oggetto del trattamento (figura 1).
Fig. 1 - Risanamento dell’umidità ascendente delle strutture verticali
Creazione di una barriera chimica Inserimento nelle murature di particolari soluzioni fluide a base siliconica che in presenza di umidità cristallizzano creando una barriera impermeabile che impedisce la risalita dell’umidità lungo le murature. La soluzione può essere inserita nelle murature per caduta o forzando la sua penetrazione con apposite pompe movimentate su carrello. L’inserimento della soluzione deve essere realizzato a una altezza dal suolo
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di 20-40 cm e ogni foro di diffusione dovrà essere realizzato a distanze non superiori a 150 cm l’uno dall’altro, sia sul lato esterno delle murature oggetto del trattamento, che su quello Interno. Creazione di una barriera elettromagnetica L’elettrosmosi è il fenomeno per cui un liquido risale per capillarità attraverso una muratura a causa della differenza di poten ziale elettrico naturale esistente tra il terreno (polo positivo) e la muratura (polo ne gativo) (figura 2). Questa conoscenza è stata utilizzata per realizzare un’altra soluzione tecnica in grado di bloccare l’umidità ascendente.
Fig. 3 - Esempio di applicazione della tecnica di elettrosmosi passiva che annulla la differenza di potenziale elettrico naturale tra terreno e muratura
Si realizza un circuito elettrico i cui con duttori di rame sono disposti alla base del la muratura. Il circuito viene alimentato da un generatore di corrente a basso poten ziale (612 volt) (figura 4).
Fig. 2 - Il potenziale elettrico naturale del terreno provoca per osmosi la risalita dell’umidità dal terreno
La sua efficacia è però meno sperimentata delle soluzioni tradizionali precedentemente illustrate. L’obiettivo di questa tecnica è di annullare la differenza di potenziale elettrico esistente tra la muratura e il terreno in tal modo bloccando la risalita dell’umidità (elettrosmosi passiva). Per ottenere questo risultato si realizza con cavi di rame, alla base della muratura, un circuito elettrico. Al circuito elettrico sono connesse una serie di sonde (fili di rame) passanti attra verso la muratura che terminano con punte metalliche infisse nel terreno che fungono da prese di terra. In tal modo dovrebbe potersi annullare la differenza di potenziale elettrico naturale esistente tra il terreno e la muratura (figura 3). Nell’elettrosmosi attiva, invece, l’obiettivo è di creare nella muratura un potenziale elet trico positivo maggiore rispetto al potenziale elettrico naturale del terreno (positivo).
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Fig. 3 - Esempio di applicazione della tecnica di elettrosmosi attiva
«Consulente Immobiliare»
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LA PROGETTAZIONE DELL’ISOLAMENTO ACUSTICO NEGLI EDIFICI di Oliviero Tronconi
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ggi esistono conoscenze scientifiche, materiali e tecniche di posa che consentono, sin dalla fase progettuale, di affrontare efficacemente il problema dell’inquinamento acustico negli edifici, sia nelle nuove costruzioni sia nel caso di interventi di recupero. Negli edifici moderni, con struttura portante in calcestruzzo armato, si è realizzato un notevolissimo risparmio dei materiali impiegati nella costruzione rispetto agli edifici in muratura portante. Questo ha contribuito, in carenza di una cultura e di criteri progettuali che assumessero nell’ambito dei propri obiettivi il controllo del fenomeno acustico, a una generalizzata e assai grave propagazione del disagio derivante dalla diffusione dell’inquinamento acustico: i rumori trasmessi da solai, partizioni interne, vani scale e ascensori e dagli impianti sono una realtà assai diffusa e spesso uno dei problemi che angustiano la vita di molte famiglie e di ambienti di lavoro. Oggi però esistono conoscenze scientifiche, materiali e tecniche di posa che consentono di affrontare efficacemente questo tipo di problemi durante la fase progettuale, sia nelle nuove costruzioni, sia nel caso di interventi di recupero. Materiali e fenomeno acustico Quando un’onda sonora impatta con un ostacolo (per esempio una parete) l’energia sonora viene in parte riflessa, in parte assorbita, in parte trasmessa: l’energia sonora assorbita si trasforma in energia termica (figura 1).
Fig. 1 - Comportamento delle strutture investite dal suono
Quanto più il materiale che costituisce l’ostacolo è a struttura porosa e non omogenea, tanto maggiore sarà la sua capacità di assorbimento. L’onda sonora penetra nelle cavità e ne mette in vibrazione l’aria, la quale realizza la trasformazione grazie alla resistenza per viscosità e attrito del materiale. L’assorbimento è quindi un processo dissipativo dell’energia sonora favorito dalla presenza
di materiali con molte e irregolari cavità. I materiali compatti di elevato peso specifico hanno ovviamente minore capacità di assorbimento. L’assorbimento acustico o fonoassorbimento di un materiale o elemento costruttivo indica la quantità di energia sonora che una volta colpita la sua superficie viene assorbita. L’assorbimento acustico di un materiale o elemento costruttivo viene espresso dal coefficiente a ed è variabile da 0 a 1. Quindi a comprende sia la componente propriamente assorbita sia quella trasmessa attraverso il materiale o elemento costruttivo. Il coefficiente a di un materiale è espresso dalla formula 1r dove r rappresenta la frazione di energia sonora che una volta colpita la superficie del materiale viene riflessa. Il coefficiente di assorbimento è, quindi, il rapporto tra energia sonora assorbita e trasmessa (o riflessa) ed energia totale incidente. Per esempio, un materiale ha coefficiente di assorbimento 0,30 quando un’unità di superficie di esso (mq) assorbe il 30% dell’energia incidente. I materiali, in rapporto al fenomeno acustico, possono essere classificati come materiali riflettenti (acciaio, lapidei) o assorbenti (materiali con struttura porosa e non compatta). Il potere fonoisolante di un materiale o elemento costruttivo indica, invece, la quantità di energia sonora che una volta colpita la sua superficie non viene trasmessa e che quindi viene propriamente assorbita. Il potere fonoisolante di un materiale o elemento costruttivo viene espresso dal coefficiente R e si misura in decibel (dB); il coefficiente R di un materiale viene espresso dalla formula R = 10 log (1/t) dove t indica la frazione di energia sonora che viene trasmessa attraverso il materiale. È quindi evidente che più è elevato il coefficiente R maggiore sarà la capacità di assorbimento (fonoisolamento). In generale, l’espressione evidenzia che l’andamento del potere fonoisolante di un materiale o elemento costruttivo cresce in base alla sua massa per unità di superficie (ovvero lo spessore del materiale o elemento colpito dall’energia sonora), questo incremento non è però direttamente proporzionale. La resistenza acustica è, invece, il prodotto della densità del materiale per la velocità di propagazione del suono in esso: dipende quindi dalle sue caratteristiche fisiche. Per ostacolare la trasmissione del suono nell’aria (che ha bassa resistività acustica) occorrono materiali con resistività diversa (alta): quindi di elevato peso specifico. Più in generale per impedire la trasmissione del suono di un corpo di determinata resistività occorrono materiali con resistività acustica differente, opposta. Questo spiega perché gli edifici tradizionali realizzati con murature portanti sono in grado di offrire ottime prestazioni ai rumori aerei. Aumentando lo spessore (e quindi il peso) di una muratura realizzata con materiale ad alta resistività (laterizi-pietra) non si ottiene che un modesto aumento di attenuazione dell’energia sonora trasmessa. Infatti, esperimenti e ricerche hanno dimostrato che l’isolamento acustico (fonoisolamento) varia con il
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Tecnica delle costruzioni logaritmo della massa. Per ottenere livelli elevati di isolamento acustico con materiali rigidi e pesanti (ad alta resistività) occorrerebbe raggiungere pesi enormi (grafico 1).
n. 3-4/ 2008 Per i diversi tipi di pareti e i solai, anche negli interventi di recupero, sono ormai disponibili prodotti in pannelli o rotoli che abbinano materiali isolanti termici e acustici (polistirene vergine con densità fino a 35-40 kg/m3, gomme fibrose) in grado di offrire prestazioni elevate (figura 2).
Fig. 2 - Alcuni tipi di parete di separazione di appartamenti Grafico 1. Livello di intensità dei rumori
Per esempio: una muratura di laterizi pieni, spessore 25 cm, peso di circa 200 kg/m2 attenua 48 dB; raddoppiandone lo spessore, e quindi il peso, l’attenuazione aumenta del 10% (53 dB). È quindi evidente l’opportunità di utilizzare nella costruzione di edifici in calcestruzzo armato murature di tamponamento composte, costituite cioè da setti diversi tra loro ma connessi rigidamente, realizzati con materiali leggeri e separati da una intercapedine di aria che può essere riempita di materiale termoacustico isolante. L’isolamento acustico di questa tipologia di parete è sicuramente superiore alla somma dei pesi dei diversi strati che ne costituiscono la struttura. Classificazione dei rumori In generale i rumori negli edifici sono classificabili secondo queste 3 tipologie principali: 1. rumori aerei, emessi da sorgenti che trasmettono vibrazioni direttamente nell’atmosfera; 2. rumori provocati da macchinari, attrezzature e impianti che trasmettono vibrazioni alle strutture dell’edificio; 3. rumori prodotti da percussioni (colpi ai pavimenti e alle pareti: passi, urti contro i muri, spostamenti di mobili ecc.). Rumori trasmessi dalle vibrazioni dell’aria Questa tipologia di rumori entra negli edifici attraverso le chiusure verticali esterne opache (tamponamenti) e le aperture. Nel caso la sorgente emissiva sia all’interno dell’edificio stesso la trasmissione del rumore avviene attraverso le partizioni interne (muri divisori) e i solai. Per questa tipologia di rumore esistono oggi materiali e tecnologie in grado di offrire una soluzione ottimale al problema per quanto riguarda i tamponamenti, le partizioni interne, i solai e ovviamente le aperture (serramenti).
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Discorso analogo vale per i serramenti: materiali, diversi tipi di profilati e vetri, sono in grado di garantire ottime prestazioni in termini di isolamento acustico. Rumori trasmessi alle strutture dell’edificio Questi rumori in edifici terziari e residenziali possono essere fortemente attenuati grazie a un appropriato isolamento dei macchinari-impianti e tubazioni-condotti che determinano e trasmettono le vibrazioni. Ormai molto diffusi sono i materiali elastici (gomma) di composizione fibrosa in grado di non alterarsi nel tempo per l’azione di umidità e/o calore, che vengono utilizzati per assorbire e trattenere le vibrazioni. Ottimi isolanti materiali sono il sughero (teme però l’umidità) e le lastre composte di legno truciolare pressato e mischiato con prodotti con funzione legante. Nel caso del macchinario-impianti, qualunque sia il materiale utilizzato per l’isolamento sarà ovviamente necessario realizzare un apposito basamento di ancoraggio, a sua volta perfettamente isolato da tutte le strutture (figura 3).
Fig. 3 - Isolamento per basamenti di macchine rumorose
Particolare cura occorre nel caso di isolamento di tubazioni-
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n. 3-4/2008 condotti fissati alle strutture o che le attraversano. In questa situazione è necessario isolare le zincature con anelli di materiale elastico e resistente (figura 4).
Fig. 4 - Isolamento di tubazioni
Rumori indotti da urti all’interno degli edifici In questi casi è possibile intervenire utilizzando materiali fonoassorbenti per il rivestimento di partizioni interne e solai; materiali in grado di assorbire le vibrazioni e trasformarle in energia termica. Per gli urti ai pavimenti e alle partizioni interne occorre evitare che le vibrazioni vengano trasmesse alle strutture dell’edificio (solai): in questi casi occorre perciò isolare le pavimentazioni (e le partizioni interne) dai solai realizzando “pavimentazioni galleggianti”. Si tratta di posare sul solaio un manto elastico risvoltato sulle partizioni interne per un’altezza superiore allo spessore del pavimento; su questo strato elastico si realizza il massetto sul quale si poserà la pavimentazione che sarà così staccata netta-
Fig. 5 - Schemi di isolamenti afonici per pavimenti (pavimenti galleggianti)
mente dalle partizioni interne e dai solai (figura 5). Per completare al meglio l’isolamento acustico il manto elastico dovrà essere interposto anche tra le partizioni interne e il solaio: in questo caso i colpi alle pareti non si trasmetteranno. Sono ormai diffusi anche diversi tipi di sostanze addittivanti per calcestruzzi leggeri e isolati: si tratta di “perline” (per esempio di polistirolo espanso) che vengono aggiunte al calcestruzzo per la realizzazione di sottofondi di densità variabili. Livelli di intensità del rumore La velocità del suono nell’aria è di 343 m/sec, in altri materiali è direttamente proporzionale alla densità degli stessi: più il materiale è compatto e a elevato peso specifico maggiore risulterà la velocità di trasmissione del suono attraverso di esso. MATERIALE
PESO SPECIFICO
VELOCITÀ DEL SUONO
Calcestruzzo
2,5 gr/cm c
4.500 m/sec
Laterizio (Mattone pieno)
1,8 gr/cm c
3.600 m/sec
Acciaio
7,8 gr/cm c
5.000 m/sec
Vetro
3,9 gr/cm c
5.000 m/sec
Pesi specifici dei materiali da costruzione e velocità del suono
L’unità di misura del suono è il decibel (dB) che rappresenta il minimo aumento di suono percepibile dall’orecchio umano, ovvero rappresenta la misura di una amplificazione o alterazione del suono rispetto a una grandezza base di riferimento che è lo zero decibel. In realtà il nostro orecchio percepisce il suono in rapporto sia alla sua intensità (decibel), sia alla frequenza di emissione. Il phon è l’unità di misura fisiologica che tiene conto dell’effetto simultaneo sull’orecchio dell’uomo sia dell’intensità sonora, che della frequenza. Attraverso sperimentazioni sono state definite delle curve dette “isofoniche“ che esprimono in funzione della frequenza di emissione il livello di intensità sonora percepita dall’uomo. Si evidenzia che il livello di percezione del suono espresso in phon è uguale al livello di decibel solo per la frequenza di 1.000 Hz. Occorre a questo proposito ricordare che nel caso di partizioni interne il miglior risultato in termini di abbattimento del rumore è dato da materiali ad alta densità (elevato peso specifico), in contrasto con le regole dell’isolamento termico. Infatti, una parete in laterizi pieni trasmette meno rumore di una parete in laterizi forati, che per converso offre però maggiori prestazioni in termini di isolamento termico. «Consulente Immobiliare»
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ISOLAMENTO TERMICO IN EDILIZIA Come raggiungere l’efficienza energetica di Claudia Chili
L
a recente normativa europea relativa alla certificazione energetica degli edifici (D. Lgs. 192/05 e sue correzioni e integrazioni apportate dal D. Lgs. 311/06) ha gettato le basi per l’inizio di una cultura del risparmio energetico in edilizia, attraverso l’abbattimento delle emissioni inquinanti e l’eliminazione degli sprechi energetici. Parallelamente le finanziarie 2007-2008 hanno ripreso la normativa comunitaria, prevedendo la possibilità di detrarre fino al 55% della ‘spesa sostenuta per la riqualificazione-energetica degli edifici’ (commi dal 344 al 349 del D. Lgs, 192/05) e hanno definito l’obbligo di una certificazione e classificazione degli edifici di nuova costruzione e di quelli già esistenti, in caso di ‘trasferimento oneroso’ o ristrutturazione. Tutti i professionisti del settore edile e gli enti accreditati saranno così chiamati a rilasciare un attestato di efficienza energetica che consente di esercitare un controllo effettivo sull’attività edilizia. Secondo il decreto, il sistema della classificazione energetica - del tutto simile a quello già impiegato con successo per gli elettrodomestici, sarà indicato in lettere da A a G: alla classe A corrisponderà un consumo inferiore a 35 kWh/mCa, fino ad arrivare alla classe G, assegnata agli immobili che consumano tra i 150175 kWh/m2a. L’assegnazione ad una classe energetica alta potrebbe valorizzare sensibilmente gli edifici, traducendosi effettivamente in un incremento del valore economico dello stabile stimato tra il 3 e il 10%. Tra le aziende operanti nel settore edile, alcune si distinguono perché hanno sempre cercato di realizzare sistemi costruttivi ecologici, dimostrandosi attente alle tematiche ambientali e realizzando prodotti per la costruzione all’avanguardia, in grado di limitare le emissioni inquinanti, risultando adeguati ai parametri della normativa. Oggi esistono sistemi di isolamento completi che permettono di ottenere ottimi risultati in termini di isolamento termico e acustico, comprendendo soluzioni che interessano sia l’interno che l’esterno degli edifici. Nel primo caso i sistemi costruttivi danno la possibilità di ristrutturare un’immobile senza stravolgere eccessivamente gli spazi, anche grazie all’ingombro minimo delle pareti, ottenibile con le nuove tecniche, ad esempio applicando delle contropareti su struttura metallica, dei rivestimenti isolanti, o dei semplici controsoffitti, tutte soluzioni rapide da installare e dalle alte qualità isolanti. Per l’esterno esistono sistemi in grado
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di rispondere alle più severe situazioni climatiche, attraverso la realizzazione di rivestimenti di facciata ad alto isolamento termico e acustico, oppure di controsoffitti esterni o pareti di tamponamento leggere in grado di ottenere un ottimo risultato in termini di efficienza energetica. Intervenire su edifici esistenti Tutti gli interventi di ristrutturazione di edifici esistenti, rientrando nella normativa, dovranno necessariamente essere certificati. Indicativamente la spesa necessaria per l’adeguamento degli immobili ai nuovi parametri si rivela più costosa rispetto ad una ristrutturazione fatta secondo il metodo tradizionale, ma rappresenta un investimento che viene ammortizzato con un risparmio sulle bollette. Questo tipo di interventi può interessare un’ampia parte della struttura - dalle facciate ai controsoffitti, fino alle pareti interne. Per questo esistono vari metodi di realizzazione: si può collocare l’isolante esternamente rispetto all’involucro (cappotto), in intercapedine o integrarlo interamente nelle contropareti in gesso rivestito. I sistemi costruttivi tecnologicamente avanzati realizzati dalle principali aziende del settore, consistono nella fabbricazione di contropareti e controsoffitti che donano agli interni comfort climatico tutto l’anno e permettono l’inserimento dello stabile in una classe energetica elevata (A, B o C). Questo si traduce in una spesa minore per riscaldare o climatizzare gli appartamenti: tenendo presenti le stime relative all’aumento delle bollette, questo rappresenta un dato confortante. Ristrutturare un edificio è sicuramente più impegnativo di prima, ma questi sistemi sono studiati per semplificare il lavoro degli operatori, che chiedono alle aziende produttrici materiali e soluzioni efficienti e rapidi da applicare. Come detto, quando si tratta di operare su strutture esistenti, ci sono diverse possibilità di intervento in ambito di isolamento termico e acustico: ci sono soffitti modulari, ispezionabili, costituiti da pannelli di varia natura in appoggio su una struttura metallica (a vista, seminascosta o nascosta), che permettono di sfruttare la capacità isolante dei materiali impiegati e al contempo offrono la possibilità di avere una struttura ispezionabile per qualsiasi esigenza (per esempio si possono ricavare spazi nascosti per la collocazione degli impianti). Queste caratteristiche congiunte li rendono una soluzione adatta per uffici e strutture aperte al pubblico, solitamente caratterizzate da ampi spazi e difficili da riscaldare in modo efficiente. I controsoffitti forniscono un risultato molto simile: realizzati con materiali all’avanguardia acquistano una duplice funzione, permettendo di isolare acusticamente e termicamente gli ambienti, consentendo un riscaldamento più rapido e una minore trasmissione del rumore. E ancora, le contropareti, particolarmente adatte per edifici già esistenti, possono essere eseguite rapidamente e rappresentano uno dei sistemi più efficienti per ambienti di ogni dimensione. Dal punto di vista tecnico hanno diversi vantaggi: sono particolarmente leggere, sono compatibili con qualsiasi materiale isolante, sono applicabili anche su superfici irregolari; inoltre sono già presenti sul mercato sistemi dal minimo ingombro.
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n. 3-4/2008 Le nuove costruzioni Costruire oggi uno stabile da zero permette di realizzare una struttura che è in grado di consumare solo l’energia realmente necessaria, evitando gli sprechi e raggiungendo in modo molto più semplice l’obiettivo imposto dalla normativa europea. Edificare secondo i nuovi parametri imposti può costare 5-10% in più rispetto a prima, ma questa spesa viene recuperata in bolletta nei primi 8-10 anni. Tecnicamente gli interventi di isolamento realizzati su edifici di nuova costruzione interessano principalmente le pareti perimetrali per cui sono state messe a punto tecnologie che evitano la dispersione di calore e contemporaneamente consentono un’agevole installazione di tutte le reti impiantistiche, sfruttando al meglio gli spazi e risolvendo in parte i problemi di allocazione degli allacci tecnologici. I sistemi costruttivi impiegati all’esterno sono in grado di sopportare le situazioni climatiche più ostili. Fondamentalmente si tratta di pareti di tamponamento dalla alta resistenza all’acqua e alle sollecitazioni meccaniche, realizzate in cemento fibrorinforzato. Queste soluzioni rappresentano bene la logica del costruire preservando energia e a differenza di quello che si può pensare, sfruttano tecnologie molto semplici, fondate sull’utilizzo di telai strutturali in cemento armato, legno o metallo. L’obiettivo, già da definire in fase progettuale, è quello di eliminare i ponti termici, un fenomeno che incide negativamente sull’isolamento di un edificio perché costituisce una via privilegiata per gli scambi di calore da e verso l’esterno. Anche gli intonaci giocano un ruolo importante sull’opera di isolamento: esistono intonaci coibenti speciali da esterno, molto flessibili applicabili su qualsiasi tipo di muratura o sui soffitti di logge e porticati. La situazione in Italia L’Italia si attesta agli ultimi posti in Europa per consumo di materiali per isolamento termico: per questo il parco immobiliare edificato fino a oggi nel nostro Paese è caratterizzato in gran parte da edifici che disperdono molta energia e risultano compresi principalmente tra le classi E e G, consumando tra i 100 e i 175 kWh/mCa. Ad onor del vero nel nostro Paese era già stata approvata una legge sull’uso razionale dell’energia nel gennaio del 1991 (L. 10/91 - “Norme in materia di uso razionale dell’energia, di risparmio energetico e di sviluppo delle fonti rinnovabili di energia”) derivante da una direttiva comunitaria: purtroppo però, le regole fissate risultarono blande in materia edilizia e gli unici esempi di edilizia ecologica degli anni scorsi si devono all’iniziativa dei singoli committenti lungimiranti o ecologisti convinti. I punti deboli delle abitazioni italiane possono riassumersi in pochi ma decisivi elementi: - gli impianti di riscaldamento e climatizzazione, poco performanti a fronte di un grande spreco di energia; - il tetto, non considerato un elemento da isolare in modo particolare e quindi trascurato; - gli infissi, composti da vetri singoli e senza guarnizioni; - l’orientamento, ovvero lo studio della posizione in cui edificare rispetto al sole, considerato elemento poco decisivo. Gli impianti di riscaldamento fino a pochi anni fa non brillavano per efficienza energetica: l’impianto più obsoleto, costoso e spesso inquinante, ad esempio, era rappresentato dai sistemi centralizzati, senza nessuna contabilizzazione dei consumi dei singoli condomini, per molto tempo impiegati in Italia; al contrario, le
Tecnica delle costruzioni caldaie a condensazione specie se applicate a sistema radiante, che solo da poco vengono impiegati in modo massiccio nelle aree più fredde, sono caratterizzati da un basso livello di emissioni inquinanti e bassi consumi. I maggiori esperti sostengono che anche l’isolamento del tetto, se realizzato adeguatamente, riesce da solo ad evitare la dispersione di quasi il 15% del calore prodotto e rende più vivibile la casa in estate. Lo stesso vale per gli infissi con vetro singolo e senza guarnizioni, colpevoli di lasciar sfuggire il 20% del calore prodotto. Inoltre, il parco immobiliare italiano in passato è stato realizzato per la maggior parte senza tener troppo conto degli studi sul clima, molto diverso da sud a nord, e della possibilità di risparmiare energia seguendo il criterio di costruzione in base all’orientamento (esposizione al sole). Un ottimo esempio di isolamento in edilizia è rappresentato invece dalla casa passiva, un tipo di edificio realizzato secondo le più moderne tecniche, chiamato così perché la somma degli apporti passivi di calore dell’irraggiamento solare trasmessi dalle finestre e il calore generato internamente all’edificio da elettrodomestici e dagli occupanti stessi, sono quasi sufficienti a compensare le perdite di calore dell’involucro durante la stagione fredda. Un’attenzione particolare viene posta nella fase di progettazione di queste case, isolando in modo efficace le pareti perimetrali e applicando sistemi di approvvigionamento energetico, come ad esempio i pannelli solari. La storia delle case passive inizia in Svezia, per poi diffondersi in molti Paesi nordeuropei: ad oggi, Germania, Austria e Olanda ne registrano una buona diffusione, diversamente dall’Italia, dove però si iniziano a notare iniziative incoraggianti. In Alto Adige ad esempio è stata emanata una legge provinciale che obbliga a progettare e realizzare in classe C come minimo (Classe C < 70 kWh/mq-anno che equivalgono a 7 litri di gasolio per riscaldare 1 mq in un anno) (www.agenziacasa-clima.it). Non si può infine prescindere, in ogni progettazione in chiave di efficienza energetica, dagli aspetti della gestione estiva del fabbricato, ne’ dagli aspetti di comfort acustico. Anche la recente normativa tiene di conto questi aspetti, ed in qualche modo mette in evidenza che si può far meno degli impianti di condizionamento (!) se la progettazione è adeguata! In estate, il problema sarà dunque quello di avere una sufficiente inerzia, termica dell’involucro (tamponamento) tale da impedire il rapido riscaldamento dell’aria interna. La soluzione sta nella corretta progettazione dei materiali isolanti, che devono dare adeguata risposta inerziale. La somma di tutte queste esperienze nazionali ed europee, unita all’esigenza di mettere a punto soluzioni semplici e applicabili a qualunque tipo di edificio da ristrutturare, si esplica perfettamente nell’esperienza di Casa Kyoto (www.casakyoto.eu): grazie alla messa a punto di semplici soluzioni esportabili (con gli opportuni adattamenti) a qualunque caso di ristrutturazione, con Casa-kyoto è possibile ottenere una casa calda e silenziosa (dunque confortevole), mettendo fuori gioco freddo, muffe, consumi eccessivi e rumori fastidiosi. Casakyoto è anche un edificio esistente a Gavirate (VA) dove le tecnologie sono state applicate e in cui si può verificarne l’efficacia. La possibilità combinata di accedere alle detrazioni del 55% per le spese sostenute e di far salire la classe energetica della propria abitazione rendono le “10 mosse” di Casa Kyoto convenienti anche da un punto di vista economico, oltre che di comfort. «gestione energia»
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IMPIANTI GPL PER USO CIVILE NORME E DETTAGLI
A
lto rendimento, facilità di trasporto e distribuzione, elevati standard di sicurezza. Tutti gli sviluppi degli impianti GPL e la loro diffusione anche in ambito
civile La fornitura di GPL può avvenire tramite serbatoi autonomi monoutenza da interro o fuori terra, oppure attraverso una rete canalizzata, utilizzata per località isolate: da un unico stoccaggio partono le tubazioni interrate che arrivano a ogni utente provvisto di contatore. Per quanto riguarda in particolare i serbatoi autonomi vi sono una serie di normative da rispettare per la salvaguardia della sicurezza che riguardano sia le modalità di esercizio che quelle di installazione, argomento che interessa anche il progettista.
Caratteristiche del serbatoi Capacità massima La capacità complessiva massima consentita per il deposito è fissata dal decreto del 2004 in 13m3. Questa misura può essere ottenuta con uno o più serbatoi di capacità singola compresa tra 0,15 e 13m3. Due o più serbatoi, al servizio della stessa utenza, devono essere considerati depositi distinti quando la distanza tra il perimetro dei serbatoi più vicini dei singoli depositi è superiore a 15 metri e ciascun deposito non ha in comune con gli altri depositi il punto di riempimento, eventuali vaporizzatori e riduttori di pressione di primo stadio. Accessori dei serbatoi Tutti i serbatoi devono essere dotati di un indicatore di livello del liquido a segnalazione continua, che fornisce la percentuale volumetrica di riempimento del serbatoio, e di manometro per la rilevazione della pressione massima di esercizio consentita, che, una volta raggiunta, mette in funzione la valvola di sicurezza. Vaporizzatori, scambiatori termici e regolatori di pressione I vaporizzatori possono essere installati in prossimità dei serbatoi. Gli scambiatori termici possono essere installati all’interno dei serbatoi. Le tubazioni Le tubazioni devono essere realizzate con materiali compatibili con il GPL (acciaio, rame e polietilene secondo la norma UNK 9860); possono essere installate sia fuori terra, sia interrate, sia in cunicolo. Le tubazioni di polietilene ammesse se sono solo interrate. Per quelle in rame sono previsti differenti spessori se si tratta di condotte interrate o aeree. Le tubazioni interrate devono correre ad almeno 0,4 m sotto il piano di campagna; nel caso che la zona di posa sia transitabile, la profondità di interramento delle tubazione deve essere di almeno 0,9 m. Per quanto riguarda i criteri di posa delle condotte che dal serbatoio vanno all’esterno del fabbricato la profondità di interramento è vincolata alle specie della condotta e alla tipologia di terreno. Le tubazioni fuori terra devo essere disposte su appositi sostegni, devono essere ancorate e devono essere protette da eventuali urti, anche con cordoli o altri sistemi adeguati.
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I tratti di tubazioni interrati devono essere protetti da incamiciatura che garantisca una perfetta tenuta e sia provvista di sfiato costituito da tubo alto almeno 2,5 metri sul piano di calpestio, con parte terminale tagliafiamma. I cunicoli destinati a contenere tubazioni rigide di adduzione GPL in fase liquida devono essere internamente rivestiti con malta cementizia o con materie che ne assicurino un’equivalente impermeabilità, riempiti con sabbia, muniti di copertura resistente alle sollecitazioni del traffico sovrastante, ispezionabili in corrispondenza di eventuali valvole o accoppiamenti flangiati. Le giunzioni delle linee interrate, se realizzate con flange, devono essere alloggiate in pozzetti aventi caratteristiche costruttive analoghe a quelle previste per i cunicoli.
Schema esemplificativo per le distanze da osservare da un serbatoio con capacità fino a 3 m3
Regole per l’installazione Modalità di installazione I serbatoi, a seconda delle caratteristiche costruttive, possono essere installati fuori terra o interrati. In entrambi i casi essi devono essere ancorati al terreno, per evitare spostamenti durante il riempimento e l’esercizio e per resistere ad eventuali spinte idrostatiche. Serbatoi fuori terra I serbatoi da installarsi fuori terra devono essere specificamente previsti per tale tipo di impiego. Gli accessori devono essere accessibili da parte dell’operatore. Serbatoi interrati Di norma tutti gli accessori e i dispositivi di sicurezza dei serbatoi interrati sono raggruppati all’interno di un pozzetto stagno, protetto da apposito coperchio, chiudibile a chiave e realizzato in modo da evitare infiltrazioni di acqua nel pozzetto medesimo. Il pozzetto e il coperchio, se metallici, devono avere continuità elettrica con il serbatoio stesso. Il pozzetto deve essere dotato di un idoneo sistema di sfiato per l’eventuale fuoriuscita di gas dai dispositivi di sicurezza o dagli accessori.
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n. 3-4/2008 L’attacco per la pinza di collegamento equipotenziale del serbatoio con l’autocisterna deve essere collocato all’esterno del pozzetto e deve essere facilmente accessibile. Vicinanza minima da aree transitabili Quando i serbatoi sono installati a meno di tre metri da aree transitabili da veicoli, deve essere realizzata una difesa fissa che possa impedire urti accidentali contro i serbatoi fuori terra o il transito di veicoli sull’area di interro dei serbatoi. Questa protezione deve essere posta a distanza di almeno un metro dal perimetro in pianta del serbatoio. La difesa può essere costituita semplicemente da un cordolo, anche discontinuo che deve avere altezza minima di 20 cm e distanza minima dal serbatoio non inferiore a 1,5 m. Installazione a cielo libero I serbatoi, sia interrati che fuori terra, devono essere installati esclusivamente su aree a cielo libero. E’ vietata l’installazione su terrazze e comunque su aree sovrastanti luoghi chiusi. Può essere ammessa l’installazione in cortili a patto che vengano rispettate determinate condizioni: i serbatoi devono essere di tipo interrato; il cortile deve avere una superficie non inferiore a 1.000 m2 e avere almeno un quarto del perimetro libero da edifici, mentre per i restanti tre quarti non sono ammessi edifici destinati ad affollamento di persone o ad abitazione con altezza antincendio superiore a 12 metri; l’accesso al cortile deve avere larghezza ed altezza non inferiori a 4 metri. L’installazione di serbatoi in rampe carrabili non è invece ammessa. Installazione in pendenza L’installazione di serbatoi su terreno in pendenza è ammessa. In tal caso le distanze di sicurezza devono essere misurate in proiezione orizzontale. Quando la pendenza del terreno è maggiore del 5%, non si applicano le riduzioni delle distanze di sicurezza previste.
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Schema esemplificativo per le distanze da osservare da serbatoi con capacità da 3 a 5 m3
Le norme per i serbatoi fino a 13 m3 Il GPL, proprio per le sue caratteristiche chimico/fisiche, presenta rischi legati a possibilità di incendio ed esplosione, e per questo le attività connesse allo stoccaggio e alla movimentazione degli impianti sono ormai completamente standardizzate e disciplinate da apposite normative. Questo tipo di installazione consiste generalmente in un piccolo serbatoio fisso, interrato o fuori terra, di capacità variabile fra i 1.000 e i 5.000 litri. Ogni impianto è dotato di dispositivi, equipaggiamenti e condotte adatti per alimentare in sicurezza le apparecchiature di utilizzo collegate e per consentire i controlli d’esercizio. Le norme di sicurezza per i depositi di GPL con capacità complessiva non superiore a 13 m3 sono definite dal DM 14 maggio 2004 “Approvazione della regola tecnica di prevenzione incendi per l’installazione e l’esercizio dei depositi di gas di petrolio liquefatto con capacità complessiva non superiore a 13 m3“, emesso dal Ministero dell’Interno, e successive modifiche e integrazioni. Il decreto contiene le norme di prevenzione incendi i depositi dì gas petrolifero liquefatto in serbatoi fissi con capacità geometrica complessiva non superiore a 13 m3, destinati ad alimentare impianti di distribuzione a usi civili, industriali, artigianali e agricoli. Per quanto riguarda l’installazione il deposito deve essere installato conformemente alle disposizioni di Prevenzione Incendi ed è soggetto ad autorizzazione e controllo da parte del Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco.
Le piazzole di posa dei serbatoi devono risultare in piano e di superficie adeguata in modo che il bordo esterno disti non meno di un metro dal perimetro dei serbatoi. «modulo»
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“NULLA È STABILE FUORCHÉ IL PROVVISORIO” Le opere provvisionali, soluzioni tecnologiche tradizionali e sperimentali di Alessia Bianco Premessa In termini consueti all’architettura si associa il carattere della stabilità, della continuità, della persistenza, della durevolezza; queste peculiarità sono però derogate da un’ampia categoria di opere concepite e realizzate per essere temporanee, in quanto poste ad assolvere funzioni provvisorie. Basti pensare agli spettacolari apparati effimeri di legno, stucco e carta pesta, di epoca non solo barocca, con cui la città, in occasione di visite, feste, celebrazioni, poteva in breve mutare il suo aspetto, rappresentando talvolta per architetti e scultori campo di sperimentazione di soluzioni e forme espressive; più recentemente il riferimento non può che andare all’architettura d’allestimento, che già da anni ha assunto le vesti di una disciplina settoriale autonoma. Tra le architetture provvisionali un ruolo molto ampio e di lunga tradizione hanno i provvedimenti di coadiuvo strutturale, specialmente in caso di emergenza. In luoghi, come l’Italia, ove sono frequenti alcuni eventi calamitosi naturali, basti pensare al sisma, esiste una lunga esperienza in tal senso, anche se la circostanza per cui tale materia non rappresenti una disciplina autonoma e compiuta porti non raramente a manifesti e maldestri errori di sproporzione, per insufficienza (fig. 1) o, di contro, per eccesso (fig. 2),
Fig. 2 - Breve catalogo di opere provvisionali sovradimensionate(campanile della Chiesa dell’Immacolata a Sulmona, il Tempio della Concordia ad Agrigento, un palazzo a Noto, la Chiesa del Redentore a Lecce)
Fig. 3 - Casa puntellata a Montoro (AV)
nia), posta,a richiamare la forma che doveva assumere la copertura ora perduta o ancora T’imbracatura” di un albero secolare nel Parco Massari a Ferrara (fig. 4).
Fig. 1 - Breve catalogo di opere provvisionali insufficienti (il Castello di Lecce, una casa di Ortigia, una casa di Roccella Jonica, due case di Matera)
Questa lunga tradizione dimostra anche come non di rado queste opere, nate per avere un ruolo solo temporaneo, finiscono con l’assumere funzioni continuative, permanenti, talvolta con un’accezione negativa, come i puntellamenti per il sisma-dei 1980 dell’Irpinia, ancora oggi posti a triste memoria del luttuoso evento (fig. 3), ma talune volte anche in termini positivi, come il puntellamento del chiostro del Duomo di Cefalù, evocativo della continuità architettonica dei quattro bracci, una cen tina nel sito archeologico di Jerash (Giorda-
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Fig. 4 - Esempi positivi di opere di puntellamento (il braccio est del chiostro del Duomo di Celafù, un albero secolare nel Parco Massari a Ferrara, edificio d’ingresso al sito archeologico di Jerash)
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n. 3-4/2008 1. Materiali e tecnologie La lunga storia di questo tipo di provvedimenti fa sì che si ca ratterizzi per un’estrema vastità di materiali (il legno, i metalli, i compositi a matrice metallica: SRP, SRG, o a matrice sintetica: PET, PEN, FRP, FCRP, ma anche la muratura ed il calcestruzzo armato) e di soluzioni (puntelli, cerchiature, centinature, tirantature, età), la cui fortuna critica è da sempre determinata dalla loro capacità di rispondere a specifiche caratteristiche: di tipo tecnico (quali l’efficacia, l’affidabilità, la durevolezza, la facilità di ispezione e la non necessità di manutenzione); di tipo pratico (quali l’ingombro, la reperibilità, la trasportabilità soprattutto in termini di peso, la realizzabilità da manodopera anche non specializzata, la velocità di messa in opera, la facilità nella rimozione, la possibilità del loro riutilizzo; di tipo testing (cioè la possibilità di monitoraggio strumentale con celle di carico, estensimetri, trasduttori, età, al fine di quantificare le condizioni di carico o di tiro, monitorare il comportamento dell’intervento nel tempo, a fatica o in condizioni di stress dinamici, quali il sisma); oltre che di ordine economico (figg. 5, 6, 7 e 8).
Fig. 5 - Rete in FRCP Fig. 6 - Applicazione di FRP in un edificio a Napoli Fig. 7 - Cerchiatura in nastro polimero, Parigi
Tecnica delle costruzioni e della tecnologia più utile per le più diffuse categorie di intervento provvisionale (fig. 9).
Fig. 9 -Tabella : Criteri di scelta e classificazione delle opere provvisionali soluzioni/materiali.
Il punto interrogativo fa riferimento al fatto che la durevolezza dei materiali compositi non è ancora ben nota, essendo questi materiali di recente introduzione. A titolo esemplificativo si riporta poi il caso elementare di una colonna, affetta da una patologia strutturale da schiacciamento per sovraccarico, che rende necessaria la realizzazione di cerchiature; nel primo caso si utilizzano cerchiature metalliche, nel secondo fasciature in FCRP. Si è scelto il caso della cerchiatura perché in questo tipo di in tervento l’utilizzo della cerchiatura metallica presenta rispetto ai FCRP dei forti svantaggi, tra cui la necessità di saldature, la variazione della capacità di contrasto e confinamento attivo in funzione della sensibile variazione termica lineare,,la difficoltà di garantire un’aderenza continua tra la cerchiatura e la co lonna a svantaggio dell’attrito laterale (fig. 10).
Fig. 10 Tabella - Caratteristiche tecniche di fasce in FCRP e fasce metalliche - O.P.C.M. 3274/2003
Fig. 8 – Martinetti oleodinamici, Rouen 1957
Dalle verifiche numeriche emerge che nel caso delle fasciature metalliche si dovranno applicare delle fasce di sezione 0,8x5 cm con un interasse di 70 cm; nel caso invece delle fasciature in FCRP si dovranno utilizzare fasce di sezione 1,2x5 cm con interasse 120 cm; ciò determina una riduzione di materiale del 40% con un conseguente significativo abbattimento dei costi (fig. 11, riportata nelle pagine seguenti).
Nel panorama del settore tecnico specialistico queste tecnologie sono ormai molto note, tanto da non rendere utile una specifica dissertazione in merito; scarso è invece il dibattito circa i criteri di scelta che devono orientare il tecnico verso il materiale e la soluzione più idonea; per tale motivo si propone un’articolata, sebbene sintetica, tabella, con cui si indica un metodo razionale di orientamento nella scelta del materiale
Conclusioni Nella realizzazione delle opere provvisionali, i materiali innovativi risultano avere migliori prestazioni di tipo tecnico (efficacia, affidabilità, poca manutenzione - con esclusione della durevo lezza, che rappresenta ancora un’incognita per materiali di recente applicazione, sebbene in letteratura sono molti gli studi di laboratorio volti a comprenderne il compor-
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n. 3-4/ 2008 ra). La possibilità di strumentare l’intervento caratterizza quasi esclusivamente i materiali innovativi; ma i costi di quest’ultimi sono ancora poco competitivi rispetto a quelli tradizionali, anche se le capacità prestazionali dei materiali innovativi sono significativamente più elevate dei materiali tradizionali, consentendo ai tecnici di impiegarli in quantità molto minori, mo tivo per cui la discrasia in termini economici tra materiali tradizionali e innovativi tende ad essere inferiore rispetto a quanto diffusamente ritenuto.
Fig. 10 Tabella - Caratteristiche tecniche di fasce in FCRP e fasce metalliche - O.P.C.M. 3274/2003 Fig. 11 - Verifiche numeriche di fasce metalliche e fasce in FCRP
tamento nel tempo); di contro i materiali tradizionali presentano migliori caratteristiche pratiche (reperibilità, realizzabilità, riutilizzo - con esclusione della velocità di messa in ope-
Bibliografia Abruzzese D., Como M. (1392), On the lateral strenght of multistory masonry walls with openings and horizontal reinfor-cing connectìons, Earthquake Engineering, tenth world confe-rence, Balkema-Rotterdam. Barruchiello L, Assenza G. (2000), Diagnosi dei dissesti e consolidamento delle costruzioni, DEI - Tipografia del Genio Civile, Roma. Bellizzi M. (2000), Le opere provvisionali nell’emergenza si smica, Agenzia di Protezione Civile - Servizio Sismico Nazionale, Roma. CIGNI G. (1978), Il consolidamento murario, Ed. Kappa, Roma. Di Stefano R. (2001), Il consolidamento strutturale nel restauro tecnico, Ed. Scientifiche Italiane, Firenze. HOLLAWAY L. (1993), Polimer Composites for civil andstruc-tural engineering, Chapman S. Hall, Great Britain. Le immagini sono dell’autore
LA DIRETTIVA 89/10B/CEE di Paolo Galletta
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a Direttiva 89/106/CEE ha regolamentato una molte plicità di ambiti produttivi: dagli aggregati ai pannelli in legno, dai camini alle porte e alle finestre, pressoché tutti i materiali utilizzati nel campo dell’edilizia rientrano nella sfera di applicazione della Direttiva sui prodotti da costruzione. Questa direttiva è, per eccellenza, la direttiva che regola la fornitura di materiali e prodotti che entrano nelle opere edilizie in modo stabile e tocca anche aspetti inerenti la progettazione e la posa in opera, in quanto rende validi i requisiti essenziali anche per gli interi edifici. La direttiva oltre a recepire e rispettare il concetto di “specificazione tecnica” da una più ampia spiegazione allargando il suo significato anche ai benestari tecnici europei, cioè a valutazioni tecniche che comprovano l’idoneità all’impiego del prodotto basate sui requisiti essenziali. Inoltre costituisce il documento legislativo quadro nell’ambito del quale si sviluppano successivamente le norme tecniche relative ai prodotti da costruzione. Il DPR 246/1993 ha recepito in Italia questa Direttiva e il Decreto Interministeriale n. 159 del 2003 ha fissato i criteri di abilitazione per gli Organismi che, se il livello di attestazione di conformità lo richiede, ispezionano e certificano il controllo del processo produttivo.
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Sistema 1+ → Questo sistema prevede l’Attestazione di conformità rilasciata da un organismo notificato che esegue sia una valutazione della conformità del tipo di prodotto alle norme armonizzate sia una sorveglianza continua del controllo della produzione in fabbrica con prove a campione di verifica su materiale prelevato dalla produzione. Sistema 1 → Questo sistema prevede l’Attestazione di conformità rilasciata da un organismo notificato che esegue sia una valutazione della conformità del tipo di prodotto alle norme armonizzate sia una sorveglianza continua del controllo della produzione in fabbrica. Sistema 2+ → Questo sistema prevede l’Attestazione di conformità rilasciata al produttore sulla base di prove iniziali di tipo effettuate sotto la sua propria responsabilità, e dell’intervento di un organismo notificato che effettua la sorveglianza continua del controllo di produzione in fabbrica. Sistema 2 → Questo sistema prevede l’Attestazione di conformità rilasciata dal produttore, sulla base di prove iniziali di tipo effettuate sotto la sua propria responsabilità e dell’intervento di un organismo notificato che effettua un’ispezione iniziale della fabbrica e del controllo di produzione. Sistema 3 → Questo sistema prevede l’Attestazione di con-
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n. 3-4/2008 formità rilasciata dal produttore, sulla base di prove iniziali di tipo effettuate da un laboratorio notificato e di un controllo di produzione in fabbrica effettuato sotto la propria responsabilità. Sistema 4 → Questo sistema prevede l’Attestazione di conformità rilasciata dal produttore, sulla base di prove iniziali di tipo e da un controllo di produzione in fabbrica effettuati sotto la propria responsabilità.
Tabella 1 - Livelli di attestazione previsti e compiti del produttore e dell’organismo notificato.
Allo scopo che i prodotti da costruzione siano tali da assicurare che le opere nelle quali vengono incorporati rispettino i requisiti essenziali per la sicurezza, la salute e altre esigenze specificate, la Direttiva 89/106/CEE prescrive che questi prodotti possano essere immessi sul mercato europeo soltanto se idonei all’uso previsto. La certificazione di tali requisiti viene eseguita da istituti accreditati legalmente a livello europeo. Ad ogni requisito corrisponde una norma tecnica redatta dal CEN che deve essere recepita a livello nazionale e riporta i limiti per il soddisfacimento del requisito stesso. Dall’entrata in vigore della direttiva non sarà più possibile immettere sul mercato prodotti non certificati [cioè senza marcatura CE], previa sanzione penale. L’entrata in vigore dell’obbligo della marcatura scatta dopo un anno dalla data di entrata in vigore delle norme armonizzate. Per ogni prodotto da costruzione marcato CE quindi è richiesto che il fabbricante o il suo rappresentante avente sede nell‘Unione Europea predisponga, in aggiunta alla marcatura CE, un’attestazione di conformità. In funzione degli specifici casi, la marcatura CE deve essere applicata: sul prodotto o sull’etichetta o sull’imballaggio o sui documenti accompagnatori, oppure mediante una combinazione delle modalità precedenti. L’attestazione di conformità implica sempre che il fabbricante abbia un sistema di controllo della propria attività produttiva che consenta di stabilire che i prodotti siano conformi alle prescrizioni applicabili, anche quando non è previsto che un Organismo notificato intervenga nella valutazione e nella sorveglianza del controllo del processo produttivo. La marcatura CE non è un marchio di qualità come un marchio volontario di prodotto, ma un attestato obbligatorio per la libera circo-
Tecnica delle costruzioni lazione delle merci nell’Unione Europea e rappresenta il livello minimo accettabile per le prestazioni del prodotto. In tal modo si intende abbattere le barriere commerciali tra gli Stati membri mediante: un sistema armonizzato di specifiche tecniche, un sistema di attestazione della conformità comune, una rete di organismi notificati, e la marcatura CE dei prodotti. La marcatura CE può essere apposta su prodotti con-; formi alle norme armonizzate, conformi a norme nazionali se non esistono norme armonizzate (i documenti nazionali devono però essere riconosciuti dalla Commissione Europea], e conformi a benestare tecnico europeo. Gli Stati membri non possono ostacolare la libera circolazione, l’immissione sul mercato o l’utilizzazione nel proprio territorio dei prodotti che soddisfano le disposizioni della CPD, (Direttiva sui prodotti della costruzione] e quindi possiedono la marcatura CE e devono provvedere affinché l’utilizzazione di tali prodotti ai fini a cui sono destinati non venga proibita da norme o condizioni imposte da un qualsivoglia Organismo pubblico. Gli Stati membri possono determinare i livelli di prestazione da osservare nell’ambito delle classificazioni adottate a livello comunitario. Gli stessi vigilano sulla corretta utilizzazione della marcatura CE: se si constata che la marcatura CE è stata apposta su un prodotto che non soddisfa o non soddisfa più la CPD, lo Stato membro in cui è stata attestata la conformità provvede affinché sia vietata la marcatura e si provveda al ritiro dei prodotti. In Italia la situazione per quanto riguarda la marcatura dei prodotti è ancora confusa. Mancano gli organismi notificati per i ritardi Ministeriali. In tal modo i produttori nazionali sono costretti a ricorrere ad istituti e laboratori esteri. Poco male, ma questo ha danneggiato i nostri produttori e generato ritardi e costi che si potevano evitare. Inoltre nessuno si è preoccupato di informare gli utenti. Oggi quindi vi sono malintesi e cattiva informazione ormai diffusa. Infine dobbiamo considerare che, almeno per ora, vi è un assoluta incertezza sui meccanismi di controllo: chi controllerà e come l’applicazione corretta della marcatura CE e quindi in definitiva chi tutelerà gli utenti e conseguentemente i produttori scrupolosi. Nessuna marcatura CE di conformità alla Direttiva sui prodotti da costruzione può essere applicata in assenza di un Sistema di Controllo della Produzione di Fabbrica adeguatamente documentato. Tra le varie novità infatti, introdotte dalle nuove norme europee armonizzate ai sensi della direttiva 89/106 sui prodotti da costruzione, quella più rilevante è che. indipendentemente dalla destinazione d’uso del prodotto e dalla severità del sistema di attestazione della conformità stabilito dalla Commissione Europea, il produttore deve necessariamente adottare il cosiddetto “controllo di produzione in fabbrica”, ovvero il controllo interno permanente della produzione. Il controllo di produzione in fabbrica deve essere sempre effettuato da parte del produttore, interamente sotto la propria responsabilità (sistema di attestazione di conformità 4) per impieghi senza alti requisiti di sicurezza, così come stabilito dalle Autorità nazionali, oppure sotto la sorveglianza continua di un organismo notificato (sistema 2+) per impieghi con alti requisiti di sicurezza. Il controllo del processo di produzione, indicato tecnicamente come CPF [Controllo di Produzione in Fabbrica], è descritto in 9 punti ai quali il produttore deve conformarsi per poter applicare la marcatura CE alla propria produzione: 1 - Organizzazione
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Tecnica delle costruzioni 2 - Procedure di controllo 3 - Gestione della Produzione 4 - Controlli e prove 5 - Registrazioni 6 - Controllo dei prodotti non conformi 7 - Movimentazione, stoccaggio e condizionamento sul sito 8 - Formazione del personale A giugno 2004, è scattato l’obbligo di marcatura CE per gli aggregati. Le norme di riferimento sono 7 e riguardano gli aggregati leggeri per calcestruzzo, malta e malta per iniezione (UNI EN 13055-1), gli aggregati per calcestruzzo (UNI EN 12620), per malta (UNI EN 13139), gli aggregati per conglomerati bituminosi e trattamenti superficiali per strade, aeroporti e altre aree soggette a traffico (UNI EN 13043), gli aggregati per materiali non legati e legati con leganti idraulici per l’impiego in opere di ingegneria civile e nella costruzione di strade (UNI EN 13242), gli aggregati per massicciate ferroviarie (UNI EN 13450) e gli aggregati grossi per opere idrauliche (UNI EN 13383-1). Con il mandato M125, che è un contratto che lega la Commissione e l’Organismo di normazione (solitamente il CEN) si stabiliscono le caratteristiche di prestazione che dovranno essere prese in considerazione dalle norme armonizzate per ogni prodotto ed il sistema di attestazione di conformità relativo. Secondo il Mandato l’insieme delle proprietà degli aggregati sono: 1 - Dimensione, forma e massa delle particelle 2 - Resistenza alla frammentazione/frantumazione 3 - Pulizia 4 - Resistenza alla levigabilità/abrasione/usura 5 - Composizione chimica 6 - Stabilità volumetrica 7 - Assorbimento d’acqua 8 - Sostanze pericolose 9 - Durabilità al gelo 10 - Durabilità contro la reazione alkali-aggregato Prove sugli aggregati I produttore dovrà caratterizzare il proprio aggregato, effettuando delle prove iniziali di tipo (ITT), i risultati ottenuti da tali prove saranno utilizzati al fine della marcatura CE dell’aggregato [etichettatura]. Per il mantenimento delle caratteristiche dichiarate, il produttore dovrà quindi istituire ed applicare un controllo di produzione [FPC] che comprenderà una serie prove fisico, chimico, geometriche richiamate negli Appendici ZA delle norme armonizzate. E’ importante sottolineare che, in qualsiasi caso, il produttore è sempre l’unico responsabile delle prove effettuate e dei relativi valori determinati ed esso deve garantire nel tempo la conservazione dei risultati ai fini di future verifiche. Si riportano come esempio alcune delle principali prove da effettuare per gli aggregati per calcestruzzo (tab. 2).
Tabella 2
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Tabella 3 - Tipologie di aggregato e categorie tipo
Gli aggregati devono essere individuati in termini di classi gra-nulometriche in modo più preciso rispetto al passato, attraverso la designazione di d/D dove d e D sono rispettivamente la dimensione nominale inferiore e la dimensione nominale superiore. In base alla granulometria la norma prevede 5 tipo di aggregati: Aggregati grossi con d> 2 mm e D > 4 mm; Aggregati fini sabbie aventi D < 4 e d=0; Misto granular, naturale 0/8 con D > 8 mm; Misti di aggreg. grossi e fini con d=0 e D> 45 mm; Filler passanti al setaccio da 0,075 mm. Pertanto è stata riportata una tabella (tab. 3) indicativa con la quale si individuano le categoria e le relative norme di riferimento in relazione alla tipologia di aggregato. Bibliografia DIRETTIVA 89/10B/CE del Consiglio, del 21 dicembre 1988, relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri concernenti i prodotti da costruzione Gazzetta ufficiale L. 40 dell’11.02.1989. DIRETTIVA 93/B8/CEE del Consiglio, del 22 luglio 1993 pub blicata sulla Gazzetta ufficiale L 220 del 30.08.1993. DECRETO del Presidente della Repubblica n° 24B del 21/04/1993 “Regolamenta di attuazione della direttiva 89/106/CEE relativa ai prodotti da costruzione”, pubblicato sulla G. U. Italiana n° 170 del 22/07/1993. DM n. 15B del 9 maggio 2003, avvenuta il 3 luglio 2003, che ha definito i “Criteri e modalità per il rilascio dell’abilitazione degli organismi di certificazione, ispezione e prova nel settore dei prodotti da costruzione”. NORME tecniche di riferimento: - UNI EN 12620: Aggregati per calcestruzzo; - UNI EN 13139: Aggregati per malta; - UNI EN 13043: Aggregati per conglomerati bituminosi; - UNI EN 13055: Aggregati leggeri per calcestruzzo e malte; - UNI EN 13242: Aggregati per opere civili e stradali; - UNI EN 13450: Aggregati per massicciate per ferrovie; - UNI EN 13383: Aggregati grossi per opere idrauliche. «LaborEst»