1 Progetto di Ricerca Titolo: Analisi dei meccanismi fisiopatologici alla base della sensibilità al glutine. Tutor: Enzo Spisni Razionale a) Patologie collegate al glutine Solamente dieci anni fa, la celiachia era considerata una malattia estremamente rara al di fuori dell'Europa e, quindi, era quasi completamente ignorata dai professionisti del settore sanitario. In soli 10 anni, tappe fondamentali hanno spostato la celiachia al cento degli interessi della ricerca clinica e dell’industria alimentare. Quello che accade oggi è che il numero di persone che abbracciano uno dieta priva di glutine (GFD) appare molto superiore al numero previsto di pazienti celiaci, alimentando un mercato globale di alimenti senza glutine che ha raggiunto i 2,5 miliardi dollari nel 2010. Questa tendenza è sostenuta dalla nozione che oltre alla malattia celiaca esistono altri disturbi connessi con l'ingestione di glutine. Oggi sappiamo che le patologie correlate al glutine sono diverse e comprendono sia forme allergiche (allergia al glutine, che forrme autoimmuni (malattia celiaca, dermatite erpetiforme e atassia glutine) che altre forme immuno‐mediate che sembrano avere una prevalenza in aumento nella popolazione occidentale come la sensibilità al glutine. Per questa ragione è stata recentemente proposta [1] una nuova nomenclatura e classificazione delle patologie collegate al glutine (Fig. 1).
Figura 1: Nuova nomenclatura e classificazione delle patologie collegate al glutine.
b) La Celiachia La celiachia (dal greco koilia, cavità, ventre), detta anche malattia celiaca è un'intolleranza genetica, permanente, al glutine (termine utilizzato genericamente per indicare alcune proteine specifiche del grano, dell'orzo e di altri cereali, come la gliadina). La malattia si manifesta con una caratteristica progressione sindromica autoimmune multiorgano. L'insieme di proteine contenute in molti cereali causa una risposta immunitaria abnorme a livello intestinale che induce un'infiammazione cronica capace di danneggiare i tessuti dell'intestino tenue e portare alla scomparsa dei villi intestinali, inducendo un grave danno alla mucosa duodenale con conseguente perdita della sua funzione essenziale ed indispensabile per i processi di digestione ed assorbimento.
c) Epidemiologia della celiachia Per molto tempo la malattia celiaca è stata considerata una malattia rara e di interesse quasi esclusivamente pediatrico. Negli ultimi venti anni sono stati però eseguiti svariati studi volti a determinare l'incidenza della celiachia nella popolazione generale. Ne è nata una profonda revisione dell'epidemiologia e del quadro clinicopatologico della malattia avendo questi studi dimostrato che la celiachia è una malattia frequente, presente non solo nei bambini ma anche, in forme più o meno evidenti, negli adulti interessando nei paesi occidentali oltre l’1% della popolazione [2]. Trattandosi di malattia genetica la celiachia è necessariamente congenita; tuttavia oggi è comune che venga diagnosticata solo in età adulta. Secondo dati pubblicati dall'Associazione Italiana Celiachia (A.I.C., www.celiachia.it), in Italia si stima la presenza di circa 380.000‐400.000 persone affette da malattia celiaca (incidenza di malattia celiaca 1/100‐ 150 sulla popolazione italiana), ma ne sono stati diagnosticati ad oggi intorno a 85.000. Ogni anno vengono effettuate 5.000 nuove diagnosi e nascono 2.800 nuovi celiaci, con un incremento annuo di circa il 10%.
d) Eziologia La celiachia, come abbiamo detto, è una malattia genetica. Esistono però eventi precisi nel corso della vita che possono evidenziare la malattia latente, tali eventi possono essere ad esempio una gravidanza, un intervento chirurgico, un parto, un'infezione virale o altre occasioni di stress acuto. Come causa della malattia celiaca concorrono fattori ambientali e fattori genetici. I fattori ambientali sono rappresentati dal glutine, ovvero la componente proteica delle farine di frumento, orzo, segale ed avena [3]. Il glutine è una proteina complessa formata da glutenina e gliadina. La sua funzione è quella di formare una maglia elastica che conferisce agli impasti viscosità, elasticità e coesione. Pertanto la qualità e la quantità di glutine presente in una farina è un importante indice per valutarne l'attitudine alla panificazione. Maggiore è il contenuto di glutine minore sarà il tempo necessario al processo di panificazione. Uno dei fattori ambientali che sembra giocare un ruolo nello sviluppo della malattia è l'allattamento al seno, che potrebbe svolgere un ruolo protettivo o perlomeno ritardante la comparsa. Altri fattori ambientali sono relativi al tipo di alimentazione ed in particolare alla quantità di glutine introdotto con la dieta. Per quanto riguarda i fattori genetici, non sono ancora stati identificati tutti i geni coinvoltinella malattia. Il rischio di celiachia nei familiari di primo grado di un soggetto affetto è superiore al 10%. La concordanza tra gemelli monozigoti è stata calcolata superiore all'85% [3]. Infatti, attualmente sono previsti due livelli di screening: il primo rivolto ai soggetti con sintomi indicativi di una intolleranza al glutine; il secondo rivolto ai gruppi a rischio ovvero famigliari di primo grado di celiaci. Ulteriore prova dell'importanza dei fattori genetici è l'associazione tra la malattia e i geni che codificano per le molecole HLA di classe II. Infatti, oltre il 90% dei pazienti celiaci presenta la molecola HLA DQ2 e negli individui non portatori del DQ2 in circa il 5‐10% è stato identificata la molecola HLA alternativa ovvero DQ8. Ma anche se l'assenza di ambedue gli eterodimeri DQ2 e DQ8 ha un alto valore predittivo negativo, in più del 30‐40 degli individui sani, non celiaci, è comunque presente una delle due molecole.
e) Diagnosi La diagnosi di malattia celiaca si basa principalmente su due analisi mirate [4]: • L'analisi sierologica che determina il livello di anticorpi specifici antigliadina (AGA) del tipo IgA e IgG, antiendomisio (EmA) di tipo IgA e di anticorpi anti‐transglutaminasi (anti‐tTG) del tipoIgA e IgG, nel sangue. Gli AGA‐IgA e anti‐tTG di classe IgA sono considerati i più specifici. • II test istologico che, su biopsia duodenale permette di verifìcare la flogosi specifica (da linfociti T), il danno, l'eventuale atrofìa dei villi intestinali ed il suo grado. Per poter affermare la diagnosi di malattia celiaca occorre osservare una condizione di certa atrofìa dei villi unitamente ad un incremento patologico del numero dei linfociti intraepiteliale (valore superiore a 25/100 cellule epiteliali, con valutazione di positività per CD3 e CD8 nei casi dubbi). Sia le lesioni intestinali che la presenza di anticorpi specifici nel siero sono glutine‐dipendenti ovvero reversibili: una volta che il paziente ha eliminato il glutine dalla dieta, quando cioè venga meno lo stimolo si negativizzeranno. Pertanto, quando si pensa che un paziente sia affetto da malattia celiaca, bisogna eseguire ricerca degli anticorpi specifici e successiva biopsia duodenale quando il paziente sta ancora assumendo glutine. Far iniziare la dieta aglutinata prima di aver eseguito questi accertamenti complica o vanifica la diagnosi. Infatti, può non essere più possibile capire se non vi sia malattia o se gli accertamenti sono negativi per regressione del danno dovuto a dieta aglutinata. f) Sintomatologia Una diagnosi sintomatologica della celiachia risulta essere complessa perché tale patologia può presentarsi con un ampio spettro di manifestazioni cliniche che vanno da segni e sintomi di un franco malassorbimento a quadri più subdoli e sfumati. Inoltre, in una percentuale non irrilevante di casi, la celiachia non sviluppa alcun sintomo evidente ma comporta comunque un danno flogistico che, se si protrae, conduce ad un'atrofìa della mucosa intestinale [4]. Gli eventi sintomatologici della celiachia possono essere anche molto diversi e rendersi evidenti in fasi diverse della vita. In qualche caso non si hanno manifestazioni patologiche a livello del sistema digerente, ma sotto altre forme. Tra i sintomi della malattia si possono elencare dolori addominali ricorrenti, diarrea cronica, steatorrea, dimagrimento, feci chiare, anemia, flatulenza, osteoporosi anche gravissima, cambiamenti comportamentali (come irritabilità), crampi muscolari, stanchezza, crescita ritardata, dolori articolari, insensibilità agli arti, ulcere dolorose nella bocca, irritazioni della pelle (come dermatiti herpetiformi), danneggiamento dello smalto e del colore dei denti, irregolarità dei cicli mestruali, aborti spontanei ed infertilità. Tra questi, l'anemia, la perdita di peso e il ritardo nella crescita sono il risultato di un insufficiente assorbimento di nutrienti, e quindi di una forma di malnutrizione che rendeva tipicamente evidente la malattia nell'infanzia [4]. L'Associazione celiaci italiani classifica la malattia in forme diverse: • tipica, che ha come sintomatologia la diarrea e l'arresto della crescita; • atipica, che si presenta tardivamente con sintomi soprattutto extraintestinali (come anemia); • silente, asintomatica ma con regolari alterazioni intestinali e positività ai test diagnostici; • latente, con esami sierologici positivi ma con biopsia intestinale normale. Se la celiachia era sino a vent'anni fa considerata solo come una rara causa di ritardo di crescita del bambino, il suo interesse oggi si è enormemente accresciuto per via della dimostrata correlazione della malattia con una lunga e varia serie di malattie associate tra cui le più comuni sono il diabete tipo I, le tiroiditi, deficit di IgA, la sindrome di Sjögren e la sindrome di Down che costituiscono la condizione necessaria per ricercare un eventuale concomitante malattia celiaca. Sono state descritte anche manifestazioni cliniche e segni neurologici coinvolgenti sia il sistema nervoso periferico che centrale con una temporalità spesso indipendente dalla durata di malattia e dal suo grado di coinvolgimento di altri apparati. Lo spettro delle manifestazioni neurologiche include: epilessia farmaco‐resistente, atassia cerebellare, mielopatie, polineuropatie, mononeuropatie multiple, miopatie, disautonomia ed altre. La
prolungata esposizione al glutine, dovuta ad una dieta poco rigorosa e/o ad una diagnosi tardiva, rappresenta poi il fattore più importante per lo sviluppo delle complicanze in riferimento al morbo. Innanzitutto, l’evoluzione neoplastica (gastrointestinale ed extraintestinale). In generale le complicanze comprendono lo sviluppo di linfoma intestinale, digiunoileite ulcerativa e la malattia celiaca refrattaria, responsabile dell’innalzamento dell’indice di mortalità tra i celiaci diagnosticati in età adulta rispetto alla popolazione generale dei celiaci.
g) Trattamento L'unica terapia a tale intolleranza è la dieta priva di glutine, osservata rigorosamente per tutta la vita [2]. E' importante ricordare che per un soggetto celiaco anche tracce di glutine, presenti per cross‐ contaminazione, sono dannose. Inizialmente può risultare difficile attenersi a tale terapia sia da un punto di vista psicologico che pratico: molti prodotti in commercio, derivati dalla lavorazione di alimenti naturalmente senza glutine, possono contenere glutine anche in tracce negli aromi, negli addensanti e negli emulsionanti. Nelle fasi iniziali della dieta, inoltre, può essere necessaria una terapia di supporto che va limitata alla correzione di specifici deficit dovuti alla presenza di una mucosa ancora danneggiata. Il trattamento dietetico rappresenta l'unico necessario in più del 70% dei celiaci [5]. Nelle forme gravi, refrattarie al solo trattamento dietetico aglutinato, si ricorre al trattamento immunosoppressivo.
H) Meccanismi molecolari alla base della celiachia II meccanismo immunomediato è quello attraverso il quale il glutine innesca il processo patologico comprovato dall'associazione tra malattia celiaca e i geni che codificano per le molecole HLA di classe II, in specifico le molecole HLA‐DQ2 e DQ8 [5]. II glutine è una sostanza lipoproteica che si origina dall'unione, in presenza di acqua, di due tipi di proteine: la gliadina e la glutenina presenti principalmente nell'endosperma delle cariossidi dei cereali quali frumento, farro, segale, kamut e orzo. Il glutine non può essere scisso completamente in aminoacidi singoli o di/tri‐pepeptidi poiché la sua composizione in prolina e acido glutammico lo rende non digeribile dai nostri enzimi digestivi. Di conseguenza la risposta immunitaria è causata dall'intolleranza e persistenza all'intemo dell'organismo della gliadina non digerita (frammento polipeptidico del glutine). La gliadina, superata la barriera intestinale subisce una deaminazione e una conversione dei suoi residui di glutammina in acido glutammico da parte della transglutaminasi (tTG). Tali peptidi presentano forte affinità per le molecole HLA‐DQ2 e DQ8 [5] poste sulla superfìcie delle cellule presentanti l'antigene (APC) ai linfociti T‐CD4+ presenti nella lamina propria della mucosa intestinale. A seguito dell'attivazione linfocitaria si ha, in sede subepiteliale, selezione dei cloni linfocitari gliadina‐specifìci con la produzione non solo di anticorpi verso tale proteina ma anche di autoanticorpi verso la tTG‐tessutale e verso i complessi proteici tTG‐gliadina che innescano così i meccanismi di danno tessutale. Vi è la possibilità che l'innesco di tali reazioni a catena si realizzi grazie a un concorso di eventi patogenetici diversi come:
secrezione di citochine infiammatorie in seguito all’iniziale reazione dei linfociti T‐CD4+ della lamina propria verso peptidi inalterati del glutine; liberazione di mediatori capaci di innescare meccanismi di danno cellulare tossicità diretta della gliadina sulla mucosa intestinale.
La successiva liberazione delle tTG e la loro azione sui peptidi di gliadina sembra incrementare l'affinità di questi per DQ2/DQ8, amplificando quindi la risposta T‐cellulare. Oltre all'azione dei linfociti T, nei pazienti affetti da malattia celiaca non trattata si ritrova anche un'azione dei linfociti B che porta alla produzione di anticorpi antigliadina, antiendomisio e antitransglutaminasi tessutale [5]. Sebbene questi anticorpi siano molto utili per la diagnosi, non è ancora chiaro se siano anch'essi responsabili del danno sulla mucosa o se siano piuttosto una conseguenza. Tutti questi anticorpi sono glutine‐sensibili, cioè scompaiono dal siero dei pazienti posti in dieta priva di glutine. Il meccanismo patogenetico sopradescritto porta allo sviluppo di atrofìa dei villi, ipertrofìa delle cripte e aumento del numero dei linfociti intraepiteliali. Queste lesioni
colpiscono inizialmente il duodeno ed il digiuno prossimale per poi diffondersi distalmente verso l’ileo. Ciò comporta la riduzione della superfìcie utile all'assorbimento dei nutrienti presenti nel lume intestinale e si instaura quindi un disturbo di malassorbimento, tanto più grave quanto più estese sono le lesioni. I celiaci che ingeriscono glutine hanno un aumento della permeabilità: la loro barriera intestinale si apre più facilmente al passaggio di peptidi di diverse dimensioni, tra cui la stessa gliadina. La zonulina, precursore di una proteina, l'aptoglobulina‐2, sembra avere un ruolo chiave in diverse malattie autoimmuni, fungendo da "chiave" di apertura e chiusura dei passaggi (giunzioni serrate) tra le cellule dell'epitelio intestinale [6]. Alessio Fasano, professore italiano che da 15 anni dirige il Centro di Ricerca sulla Celiachia e Biologia Mucosale dell'Università del Maryland a Baltimora, negli Stati Uniti, ha scoperto una possibile pillola anti‐ celiachia che oggi ha superato la seconda fase di sperimentazione clinica. Il farmaco agirebbe sulla proteina zonulina, inibendone l'azione così da ridurre la permeabilità intestinale e bloccare il passaggio dei peptidi tossici i del glutine, non digeriti, dal lume intestinale alle cellule che scatenano la risposta immunitaria. La pillola, assunta prima dei pasti, blocca l'effetto tossico del glutine per consentire ai celiaci di mangiare in modo normale. Stando agli ultimi risultati, ottenuti in una sperimentazione di fase 2 su circa 200 celiaci, la pillola riduce i sintomi dell'assunzione di glutine nell'85% dei casi [6]. Qesta pillola, comunque, non eliminerà la necessità della dieta, ma servirà in quei casi in cui non è possibile essere certi dell’assenza di glutine in quello che si sta per mangiare. La trasformazione della gliadina (deaminazione) ad opera della tTG tessutale porta la produzione di peptidi ad alta affinità per HLA‐DQ2 .Questo legame è alla base della attivazione dei linfociti T‐CD4+. Sulla base di questo processo si sono creati peptidi in grado di legare con ancora maggiore affinità, rispetto alla gliadina, le molecole HLA‐DQ2 senza che però vi sia riconoscimento da parte dei linfociti T, evitando in questo modo l'innesco della cascata infiammatoria. Recentemente, il gruppo di ricerca del Prof. Frits Koning (Immunohaematology and Blood Transfusion, Leiden University Medical Center, The Netherlands) ha utilizzato linee di linfociti T gliadina‐specifìci isolati dalla mucosa intestinale di pazienti celiaci al fine di ottenere peptidi con affinità per l'HLA‐DQ2 nettamente maggiore rispetto ai peptidi naturali [6]. Sono stati così ottenuti peptidi sintetici con capacità di legare FHLA‐DQ2 con affinità da 100 a 200 volte superiore ai peptidi gliadinici. Questi peptidi modificati sono in grado di competere con i peptidi di gliadina divenendo così i candidati per ulteriori studi per perseguire una loro effettiva utilità a fini terapeutici.
i) Dalla Celiachia alla sensibilità al glutine Il fatto che il glutine possa causare disturbi gastrointestinali a persone che non soffrono di celiachia è stato un punto fortemente dibattuto negli ultimi due anni. L’esistenza di questi disturbi, definiti come “sensibilità al glutine” è stata definitivamente dimostrata da studi indipendenti [7,8]. Peter Gibson (Dept. Of Medicine and Gastroenterology, Box Hill Hospital, Box Hill, Victoria, Australia) ha condotto uno studio in doppio cieco su pazienti affetti da disturbi gastrointestinali causati da glutine, confrontati con soggetti sani [7]. Lo studio conclude che disturbi associati all’assunzione di glutine esistono in pazienti negativi per tutti i marcatori della celiachia. Per quanto riguarda i meccanismi molecolari della sensibilità al glutine, questi restano per la maggior parte ignoti. In un recente studio condotto da Alessio Fasano ed Anna Sapone (Mucosal Biology Research, School of Medicine, Baltimora, Maryland, USA) è stato dimostrato che l’aumentata permeabilità della barriera intestinale che si osserva nei celiaci non è presente nella sensibilità al glutine in cui la permeabilità intestinale sembra anzi ridursi, a causa di una maggiore espressione del messaggero per la Claudina 4, una delle principali molecole di adesione presenti nelle giunzioni serrate [8]. Anche per quello
che riguarda l’espressione dei mediatori dell’infiammazione nella mucosa intestinale, celiachia e sensibilità al glutine sembrano differire. Mentre nella mucosa di pazienti celiaci si osserva un’aumentata trascrizione dei geni per IL‐6, IL‐1, IL‐21, IL‐23, ed IFN‐ ed un concomitante aumento di questi mediatori nel plasma dei pazienti [8], nella sensibilità al glutine si ritrova soltanto una diminuita espressione del messaggero per IFN‐a livello della mucosa, mentre mancano studi approfonditi riguardanti citochine e chemochine circolanti in questi pazienti. Inoltre, nella sensibilità al glutine, non si osservano mai fenomeni autoimmuni e la mucosa intestinale è normale o solo lievemente infiammata (Stadio 0 o 1 della Classificazione di Marsh‐ Oberhuber). Sembra perciò che nella sensibilità al glutine, oltre alla componente genetica, giochi un grande ruolo l'alimentazione ed in particolare il fatto che le specie di grano che oggi consumiamo contengano quantità di glutine decisamente superiori a quella dei grani precedenti la “rivoluzione verde”, iniziata negli anni ’40 dal premio Nobel Norman Borlaug. L’ipotesi che le frazioni di glutine contengano componenti potenzialmente tossiche anche per gli individui sani si sta diffondendo nella comunità scientifica. Un recente studio condotto su adulti sani dimostra che una dieta priva di glutine è capace dopo soli 30 giorni, di modificare sia la flora batterica intestinale che le risposte in vitro dei leucociti mononucleati (PBMC) prelevati dal sangue periferico [9]. In particolare, la dieta aglutinata sembra in grado di diminuire la secrezione di citochine infiammatorie come IL‐8, IL‐10, TNF‐ ed IFN‐ da parte dei PBMC messi a contatto con estratti fecali, sistema però poco fisiologico. Ad oggi, l’eziologia ed i meccanismi molecolari alla base della sensibilità al glutine rimangono quindi sconosciuti. l) Diagnosi della GS Attualmente, vengono considerati GS quei pazienti che presentano reazioni avverse al glutine in cui i meccanismi allergici e autoimmuni sono stati entrambi esclusi (diagnosi con criteri di esclusione). Più specificamente, si tratta di casi negativi a test immuno‐allergici al frumento e con sierologia negativa per la celiachia (anti‐EMA e/o anti‐tTG negativi), con normale istopatologia duodenale e con la possibile presenza di biomarcatori di reazioni di immunità innata al glutine (AGA +). I pazienti inoltre, devono mostrare una risoluzione completa dei sintomi quando vengono messi a dieta priva di glutine. Si stima che i pazienti che soffrono di GS siano circa 10 volte il numero dei pazienti celiaci, raggiungendo incidenze pari al 6‐10% nella popolazione occidentale [1]. m) Sintomatologia della GS I sintomi della GS sono simili a quelli associati alla celiachia, ma con una prevalenza dei sintomi extraintestinali, come i cambiamenti comportamentali, i dolori articolari e la fatica cronica. Tra il 2004 e il 2010, 5.896 pazienti sono stati visitati presso il Center for Celiac Research, dell’università del Maryland [1]. I criteri per la diagnosi della GS erano soddisfatti da 347 pazienti (circa il 6% dei pazienti visitati). I loro sintomi includevano dolore addominale (68%), eczema e/o eruzioni cutanee (40%), mal di testa (35%), 'mente annebbiata' (34%), affaticamento (33%), diarrea (33%); depressione (22%), anemia (20%), intorpidimento di gambe, braccia o dita (20%); e dolori articolari (11%). Mentre l’aplotipo HLA‐DQ2 e HLA‐ DQ8 sono presenti in quasi tutti i pazienti celiaci, questi geni sono presenti solo nel 50% dei pazienti con GS, una percentuale superiore rispetto alla popolazione generale [1]. n) Trattamento della GS A differenza dei celiaci, che devono rimaner a dieta priva di glutine per tutta la vita, i pazienti GS vengono sottoposti ad un periodo più o meno lungo (solitamente almeno 3 mesi) di dieta priva di glutine, per poi passare ad una fase in cui si reintroducono nuovamente alimenti contenente glutine, in piccole dosi. La
maggior parte dei pazienti (circa il 70% di quelli arruolati presso il Center for Celiac Research, dell’Università del Maryland), dopo il periodo di assenza di glutine, tollerano bene dosi moderate di glutine, e non necessitano di ulteriori terapie. Gli altri invece manifestano nuovamente i sintomi della GS e vengono quindi rimessi in dieta priva di glutine.
Obiettivi del Progetto a) Comitato Etico ed arruolamento dei pazienti La richiesta al Comitato Etico per la sperimentazione prevista nel presente progetto è già stata ottenuta. L’arruolamento dei pazienti sarà effettuato presso l’Unità di Gastroenterologia (SVD), diretta dal Prof. Alberto Lanzini ‐A.O.Spedali Civili di Brescia, Università degli Studi – Brescia. Questo studio si propone di arruolare 80 individui, di cui 20 sani, 20 con diagnosi di celiachia, 40 con diagnosi di sensibilità al glutine. I criteri di inclusione ed esclusione sono stati elaborati dalla Dott.ssa Ricci. b) Valutazione della risposta dei PBMC in coltura agli estratti proteici di differenti farine alimentari La risposta dei PBMC alla gliadina o a peptidi da essa derivati è stata valutata in diversi studi, per quanto riguarda l’espressione delle principali citochine infiammatorie. In pochissimi casi però sono stati utilizzati estratti complessi di proteine provenienti da farine e nessuno si è spinto alla determinazione di un numero elevato di citochine chemochine e fattori di crescita. La valutazione di un quadro complesso di espressione di questi importanti mediatori dovrebbe ragionevolmente portare nuova luce sui meccanismi molecolari che sono alla base della sensibilità al glutine. c) Valutazione degli effetti di farine a medio e basso contenuto in glutine sulla stimolazione dei PBMC in coltura Una delle ipotesi maggiormente accreditata è quella di un importante ruolo dell'alimentazione nello sviluppo della sensibilità al glutine. Diventa quindi importante capire se gli estratti proteici ricavati da farine antiche a basso tenore di glutine o ottenuti da sottospecie di grano a minore contenuto in glutine (come il Triticum turgidu o Kamut) si comportino in modo analogo o differente per quanto riguarda la stimolazione in vitro dei PBMC. Come controllo di questi esperimenti sarà utilizzata la stimolazione dei PBMC con un estratto proteico di farina di riso gluten‐free.
d) Messa a punto di un test in vitro per l’accertamento della sensibilità al glutine Mentre per la celiachia esiste la possibilità di una diagnosi su basi molecolari ed istologiche, per la sensibilità al glutine la diagnosi è basata esclusivamente sulla scomparsa della sintomatologia in seguito a dieta aglutinata. L’identificazione di alcune molecole pro‐infiammatorie capaci di discriminare tra il comportamento dei PBMC isolati da individui sani o da individui sensibili al glutine, significherebbe la possibilità di utilizzare test rapidi per l’accertamento della sensibilità al glutine, nonché chiarire, almeno in parte, le modificazioni a carico del sistema immunitario che si associano a questo stato di sensibilità. Il
lavoro di messa a punto del test in vitro è già iniziata ed ha dato, su di un numero limitato di pazienti, ottimi risultati. Tanto che sono in corso contatti con il Knowledge Transfer Office ‐ Intellectual Property Protection, Area Ricerca e Trasferimento Tecnologico dell’Università di Bologna per il deposito di un pre‐ brevetto sulla metodica diagnostica. e) Verifiche dei meccanismi molecolari su biopsie intestinali Una volta individuati in vitro gli eventuali network infiammatori coinvolti nella celiachia e nella sensibilità al glutine, si procederà con analisi istologiche e molecolari su biopsie digiunali, volte a verificare se una alterata espressione di citochine, chemochine e fattori di crescita sia presente anche a livello tissutale. Per fare questo si utilizzeranno tecniche di immunoistochimica, ibridazione in situ e proteomica (Western Blotting e 2‐D Elettroforesi), già utilizzate nel nostro laboratorio. f) Analisi dell’efficienza della barriera intestinale Nelle malattie infiammatorie croniche intestinali, la traslocazione microbica all’interno del circolo ematico risulta essere uno dei principali fattori coinvolti nella progressione e nella cronicizzazione. La traslocazione delle differenti specie batteriche all’interno del circolo ematico, normalmente considerate batteriemie transitorie, porterebbe ad una conseguente attivazione del sistema immunitario accompagnato a danno tissutale. L’aumentata permeabilità della barriera intestinale (riduzione della resistenza elettrica dell’epitelio, aumento della permeabilità cellulare) che si osserva nella celiachia, ma non nella sensibilità al glutine, potrebbe causare un consistente passaggio di batteri commensali attraverso l’intestino. La metodologia per valutare il passaggio dei batteri attraverso la barriera intestinale sarà basata su una PCR panbatterica quantitativa, con primers e sonde specifiche per il DNA della sub unità ribosomiale 23S, effettuata su sangue periferico congelato di soggetti sani, celiaci e sensibili al glutine.
Programma Sperimentale a) Preparazione di estratti proteici da diversi tipi di farine di grano e da farine prive di glutine In collaborazione con il Prof. Giovanni Dinelli dell’ex‐DiSTA di Bologna, verranno estratte le proteine totali di farine commerciali ad alto tenore di glutine (Manitoba) e di riso gluten‐free. Si procederà inoltre all’estrazione delle proteine totali da farine integrali di specie antiche (precedenti la rivoluzione verde). Tali estratti proteici saranno stoccati tal quali a ‐80°C ed utilizzati per la stimolazione in vitro dei PBMC. b) Estrazione di leucociti mononucleati di sangue periferico (PBMC) di pazienti celiaci o sensibili al glutine Campioni di sangue periferico prelevato da pazienti celiaci o da pazienti con sensibilità al glutine saranno prelevati nei due centri ospedalieri che collaborano a questo progetto. Il sangue, appena raccolto, verrà spedito al nostro laboratorio, dove si provvederà all’estrazione dei PBMC con la metodica basata sulla centrifugazione in gradiente di densità di FICOLL. I PBMC estratti saranno messi in coltura in terreno RPMI
supplementato da siero bovino (10%) e saranno messi in contatto per 8 ore con gli estratti proteici di farine precedentemente preparati, digeriti e non digeriti. I primi esperimenti serviranno a mettere a punto le dosi efficaci degli estratti proteici, ed a definire il gruppo di citochine e chemochine la cui secrezione si modifica in presenza di questi estratti (vedi punto seguente). c) Mediatori infiammatori coinvolti nella celiachia e nella sensibilità al glutine (in vitro) I surnatanti provenienti dalla incubazione dei PBMC con gli estratti proteici di farine verranno centrifugati ed immagazzinati a ‐80°C fino al momento del dosaggio di citochine, chemochine e fattori di crescita. Il dosaggio verrà effettuato con la tecnologia multiplex di Luminex, presente nel laboratorio di Proteomica, che permette il dosaggio contemporaneo di oltre 40 molecole, con elevata sensibilità. I primi esperimenti verranno effettuati utilizzando un pannello di 42 citochine‐chemochine‐fattori di crescita (Human 42 Plex, Millipore) e serviranno a determinare quali molecole presentano una alterata secrezione in seguito alla stimolazione con gli estratti proteici delle farine contenente glutine. In seguito si procederà con pannelli per l’analisi dei soli analiti di interesse. d) Mediatori infiammatori coinvolti nella celiachia e nella sensibilità al glutine (in situ) Una volta identificate le citochine e le chemochine coinvolte nella risposta in vitro agli estratti proteici contenente glutine, si procederà alle verifiche in situ, utilizzando biopsie digiunali di pazienti affetti da celiachia o da sensibilità al glutine. Le biopsie verranno processate di routine dai centri ospedalieri per la valutazione del danno duodenale. Una serie di 10 vetrini per ogni paziente sarà invece inviata nel nostro laboratorio, dove procederemo ad analisi di espressione di citochine, chemochine, fattori di crescita e loro recettori, con tecniche di immunoistochimica ed ibridazione in situ. Le biopsie soprannumerarie prelevate potranno essere utilizzate direttamente per l’estrazione di proteine e le successive analisi proteomiche (2D‐ E o Western Blotting) oppure essere messe in coltura per verificare, con tecniche di proteomica basate sulla 2‐D Elettroforesi, la composizione del secretoma. e) Barriera intestinale alterata e passaggio di batteri della microflora La metodologia per valutare il passaggio dei batteri attraverso la barriera intestinale sarà basata su una PCR panbatterica quantitativa con primers e sonde specifiche per il DNA della sub unità ribosomiale 23S mediante rilevazione ed amplificazione di una regione altamente conservata all’interno delle differenti specie batteriche. Infatti, i livelli ematici di DNA ribosomiale 23S possono essere considerati indicatori della traslocazione microbica dal lume intestinale all’interno del circolo ematico. La quantificazione e la successiva identificazione delle differenti specie batteriche presenti all’interno del circolo ematico, saranno eseguite presso il Centro Regionale per le Emergenze Microbiologiche (CRREM), Unità Operativa di Microbiologia, dell’Ospedale S.Orsola‐Malpighi.
Unità di Ricerca che collaborano al progetto Il gruppo di lavoro è costituito da cinque unità:
Unità di Fisiologia Molecolare del Dipartimento di Biologia Sperimentale dell’Università di Bologna, diretta dal Prof. Enzo Spisni. SSD Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali del Policlinico S.Orsola‐Malpighi, Bologna, diretta dal Prof. Massimo Campieri, di cui fa parte la Dott.ssa Maria Chiara Valerii. Unità di Gastroenterologia (SVD), Prof. Alberto Lanzini e Dott.ssa Chiara RICCI ‐ A.O.Spedali Civili di Brescia, Università degli Studi – Brescia. Centro Regionale per le Emergenze Microbiologiche (CRREM), Unità Operativa di Microbiologia, dell’Ospedale S.Orsola‐Malpighi, Prof. Vittorio Sambri.
Possibili sviluppi futuri In linea teorica, tutti gli alimenti assunti quotidianamente potrebbero essere alla base di risposte anomale del nostro sistema immunitario. Su questo assunto, accettato da molti gastroenterologi, sostenitori dell’esistenza della sensibilità a diversi alimenti, alcune aziende hanno sviluppato test non convenzionali in vivo (Dria Test, EAV test, test kinesiologico) o in vitro (test leucocitotossico) per la diagnosi di queste presunte sensibilità. Nessuno di questi test, finora, è stato accettato dalla comunità scientifica in quanto tutti presentano sensibilità e riproducibilità scadenti. Sarebbe quindi molto importante, al fine della messa a punto di test sviluppati su base scientifica, riuscire a comprendere i meccanismi di queste sensibilità, utilizzando come modello sperimentale la sensibilità al glutine che è l’unica la cui esistenza è stata accertata e la cui diagnosi è codificata da criteri internazionalmente accettati. Dal punto di vista dell’evoluzione dei geni coinvolti nella Sensibilità al Glutine, non appena identificate le proteine coinvolte, in collaborazione con la Prof.ssa Donata Luiselli si potrà valutare quali varianti di questi geni sono presenti nelle popolazioni, confrontando etnie che hanno utilizzato per migliaia di anni cibi ad alto tenore di glutine con altre che invece hanno utilizzato il riso o altri prodotti a scarso tenore di glutine come prodotti base della loro alimentazione.
Bibliografia essenziale 1) Sapone A, Bai JC, Ciacci C, Dolinsek J, Green PH, Hadjivassiliou M, Kaukinen K, Rostami K, Sanders DS, Schumann M, Ullrich R, Villalta D, Volta U, Catassi C, Fasano A. Spectrum of gluten‐related disorders: consensus on new nomenclature and classification. BMC Med. 2012 Feb 7;10:13. Review. 2) Green P H. and Cellier C, Celiac Disease, N Engl J Med 2007, 357:1731‐43. 3) García‐Manzanares A, Lucendo AJ. Nutritional and dietary aspects of celiac disease. Nutr Clin Pract. 2011, 26:163‐ 73. 4) Moore JK, West SR, Robins G. Advances in celiac disease. Curr Opin Gastroenterol. 2011, 27:112‐8. 5) Schuppan D, Junker Y, Barisani D. Celiac disease: from pathogenesis to novel therapies. Gastroenterology. 2009, 137:1912‐33. 6) Fasano A. Zonulin and its regulation of intestinal barrier function: the biological door to inflammation, autoimmunity, and cancer. Physiol Rev. 2011, 91:151‐75. 7) Biesiekierski JR, Newnham ED, Irving PM, Barrett JS, Haines M, Doecke JD, Shepherd SJ, Muir JG, Gibson PR. Gluten causes gastrointestinal symptoms in subjects without celiac disease: a double‐blind randomized placebo‐controlled trial. Am J Gastroenterol. 2011, 106:508‐14 8) Sapone A, Lammers KM, Casolaro V, Cammarota M, Giuliano MT, De Rosa M, Stefanile R, Mazzarella G, Tolone C, Russo MI, Esposito P, Ferraraccio F, Cartenì M, Riegler G, de Magistris L, Fasano A. Divergence of gut permeability and mucosal immune gene expression in two gluten‐associated conditions: celiac disease and gluten sensitivity. BMC Med. 2011, 9: 9‐23. 9) De Palma G, Nadal I, Collado MC and Sanz Y. Effects of a gluten‐free diet on gut microbiota and immune function in healthy adult human subjects. British Journal of Nutrition 2009, 102: 1154–60.
2. Programma formativo Questo studio si propone di analizzare le differenze tra il network infiammatorio coinvolto nella celiachia e quello coinvolto nella sensibilità al glutine, utilizzando array in sospensione, basati su tecnologia Luminex (Bio‐Plex), tecniche di immunoistochimica, ibridazione in situ e proteomica (Western Blotting e 2‐D Elettroforesi), tutte disponibili presso il Dipartimento di Biologia Geologia ed Ambiente, all’interno del quale si svolgeranno tutte le principali attività di ricerca. Come modelli sperimentali, si utilizzeranno colture di leucociti mononucleati di sangue periferico (PBMC) e biopsie prelevate da soggetti sani e da pazienti con diagnosi di celiachia o di sensibilità al glutine. I prelievi saranno effettuati in presso l’Unità di Gastroenterologia (SVD), Prof. Alberto Lanzini e Dott.ssa Chiara RICCI ‐ A.O.Spedali Civili di Brescia, Università degli Studi – Brescia. Nei 24 mesi previsti per lo svolgimento di questo progetto, l’assegnista si troverà all’interno di un importante network costituito da due dei maggiori centri italiani per lo studio della celiachia e della sensibilità al glutine. L’assegnista potrà approfondire conoscenze importanti sullo sviluppo di studi clinici ed apprenderà metodiche certamente di avanguardia quali gli array in sospensione su tecnologia Luminex, di cui si richiede una conoscenza di base iniziale. La formazione si estenderà alla applicazione di tecniche in situ (citochimica quantitativa, immunoistochimica, ibridazione in situ), condotte a microscopia ottica per l’analisi dei processi trascrizionali e post‐trascrizionali nonché la coltura di biopsie intestinali in vitro. L’assegnista apprenderà inoltre l’utilizzo di tecniche avanzate di analisi proteomica (come l’elettroforesi bidimensionale associata all’analisi in spettrometria di massa) e tecniche avanzate di biologia molecolare (PCR panbatterica quantitativa). L’assegnista parteciperà alle riunioni di coordinamento ed avanzamento del progetto, che si terranno alternativamente a Bologna e Brescia. Presenterà inoltre i risultati ottenuti ai principali congressi nazionali ed internazionali sul tema, confrontandosi con ricercatori e gruppi di ricerca di tutto il mondo. Appena ottenuto il deposito del brevetto relativo alla metodica di diagnosi della Gluten Sensitivity, l’assegnista parteciperà attivamente alla preparazione dei manoscritti da inviare per la pubblicazione sulle principali riviste del settore biomedico.
3) Elenco pubblicazioni presentate 2007‐2011 Sono indicati IF (JCR, 2010) e classificazione secondo l’Osservatorio della Ricerca. In grassetto quelle in cui il richiedente è primo, ultimo nome o corresponding author, oppure quelle in cui lo è un diretto collaboratore del proponente.
1)
Isani G, Andreani G, Carpenè E, Di Molfetta S, Eletto D, Spisni E. Effects of waterborne Cu exposure in gilthead sea bream (Sparus aurata): a proteomic approach. Fish Shellfish Immunol. 2011 Dec;31(6):1051‐8. IF= 3.04 (A)
2)
Calabrese C, Marzano V, Urbani A, Lazzarini G, Valerii MC, Liguori G, Di Molfetta S, Rizzello F, Gionchetti P, Campieri M, Spisni E. Distinct proteomic profiles characterise non‐erosive from erosive reflux disease. Aliment Pharmacol Ther. 2011 Oct;34(8):982‐93. IF=3.861 (A)
3)
Puoliväli J, Nurmi A, Miettinen TK, Soleti A, Riccardino F, Kalesnykas G, Heikkinen T, Vartiainen N, Pussinen R, Tähtivaara L, Lehtimäki K, Yrjänheikki J, Canistro D, Sapone A, Spisni E, Paolini M. The radical scavenger IAC (bis(1‐hydroxy‐2,2,6,6‐tetramethyl‐4‐piperidinyl) decantionate) decreases mortality, enhances cognitive functions in water maze and reduces amyloid plaque burden in hAβPP transgenic mice. J Alzheimers Dis. 2011;27(3):499‐510. IF=4.26 (A)
4)
Massimo Benaglia , Angelo Alberti , Enzo Spisni , Alessio Papi , Emanuele Treossi and Vincenzo Palermo. Polymeric micelles using pseudo‐amphiphilic block copolymers and their cellular uptake J. Mater. Chem., 2011,21, 2555‐2562. IF=5.10 (A)
5)
Strillacci A, Griffoni C, Lazzarini G, Valerii MC, Di Molfetta S, Rizzello F, Campieri M, Moyer MP, Tomasi V, Spisni E. Selective cyclooxygenase‐2 silencing mediated by engineered E. coli and RNA interference induces anti‐tumour effects in human colon cancer cells. Br J Cancer. 2010 Sep 28;103(7):975‐86. IF= 4.831 (A)
6)
Benetti F, Ventura M, Salmini B, Ceola S, Carbonera D, Mammi S, Zitolo A, D'Angelo P, Urso E, Maffia M, Salvato B, Spisni E. Cuprizone neurotoxicity, copper deficiency and neurodegeneration. Neurotoxicology. 2010 Sep;31(5):509‐17. IF=2,92 (A)
7)
Griffoni C, Di Molfetta S, Fantozzi L, Zanetti C, Pippia P, Tomasi V, Spisni E. Modification of proteins secreted by endothelial cells during modeled low gravity exposure. J Cell Biochem. 2011 Jan;112(1):265‐72. IF=3.12 (B)
8)
Spisni E, Valerii MC, Manerba M, Strillacci A, Polazzi E, Mattia T, Griffoni C, Tomasi V. Effect of copper on extracellular levels of key pro‐inflammatory molecules in hypothalamic GN11 and primary neurons. Neurotoxicology. 2009 Jul;30(4):605‐12. IF=2.92 (A)
9)
Strillacci A, Griffoni C, Sansone P, Paterini P, Piazzi G, Lazzarini G, Spisni E, Pantaleo MA, Biasco G, Tomasi V. MiR‐101 downregulation is involved in cyclooxygenase‐2 overexpression in human colon cancer cells. Exp Cell Res. 2009 May 1;315(8):1439‐47. IF=3.61 (A)
10) Griffoni C & Spisni E, Strillacci A, Toni M, Bachschmid MM, Tomasi V. Selective inhibition of prostacyclin synthase activity by rofecoxib. J Cell Mol Med. 2007 Mar‐Apr;11(2):327‐38. IF=4.61 (A)
Media IF tre migliori prodotti = 4.85 ricavato da [5.10 (n°4)+ 4.83 (n°5) +4.61 (n°10)]/3
4 Importo del cofinanziamento Questo assegno di ricerca sarà cofinanziato al 50% con fondi già disponibili (22.947 euro) provenienti da overhead del progetto FIRB 2003.