“L’amore non è donarsi ma unirsi all’altro… Il futuro entra in noi, per trasformarsi in noi, molto prima che
accada. Amare è durare. La vita ha ragione, in ogni caso.” (Rainer M. Rilke: uno dei più importanti poeti di lingua tedesca del XX secolo di origine boema - Praga, 4 dicembre 1875 – Montreux, 29 dicembre 1926)
Oggi, chi si sposa in Chiesa non dice più: «Prometto di esserti fedele per sempre»; ma: «Con la grazia di Cristo prometto di esserti fedele per sempre». Perché questa aggiunta? Perché una lunga esperienza dimostra che l'amore umano, anche quando è sincero e profondo, resta sempre un tesoro in un vaso fragile. Basta poco per mandare tutto in frantumi. Non basta confidare nelle proprie forze (l'amore sembra onnipotente), e non basta neppure appoggiarsi l'uno all'altra. L'esperienza dimostra che è facile innamorarsi; ma dimostra anche che è difficile amarsi per tutta la vita. Le forze umane non bastano. È necessario l'intervento di Dio. Si costruisce la casa dell'amore sulla roccia che è Dio. 1. L’amore è un dono di Dio Quando ha creato l'uomo e la donna, Dio li ha fatti simili a Sé, cioè li ha fatti con lo stesso bisogno e lo stesso desiderio di amore. Si può fare a meno di tante cose, ma non di amore. Senza amore si muore anche se si è in buona salute. Si sente il bisogno di essere amati e di amare. L'amore è un tesoro prezioso; ma non sempre le persone che lo ricevono in dono sanno apprezzarlo e viverlo bene. Perché - è una verità che pochi capiscono - l'amore viene vissuto diversamente secondo la capacità di amare che hanno maturato. Tutti sono preparati a godere l'amore, ma non tutti sono invece preparati ad amare. Per capire questo principio ricordiamo la parabola di Gesù quando parla del seme e del campo. Il seme è sempre lo stesso. Ma dà risultati diversi secondo il terreno che trova. Bisogna andare a scuola di amore e creare in sé le qualità che sono necessarie per amare. Per il cristiano il maestro in amore è Dio stesso. È Lui che lo ha creato e sa meglio di ogni altro come deve essere pensato e come deve essere vissuto. Per questo i cristiani, quando si sposano, entrano in chiesa: vanno da Lui a chiedergli che insegni loro cos'è l'amore e come deve essere vissuto. (Gen 2,18.21-24) Il Signore Dio disse: «Non è bene che l'uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile». Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all'uomo, una donna e la condusse all'uomo. Allora l'uomo disse: «Questa volta essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa. La si chiamerà donna perché dall'uomo è stata tolta». Per questo l'uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne. Il racconto è semplice, ma in esso Dio dice che l'uomo non può vivere da solo. È inquieto finché non trova il "simile a sé" e lo ama. Nell'amore trova la gioia di vivere, perché l'amore è come una cornice solare nella quale si muovono due persone che si desiderano, si incontrano, gioiscono per la presenza dell'altro. Ma soprattutto costruiscono insieme la loro vita. Ma quest'ultimo elemento viene troppo spesso trascurato: le persone si fermano al capitolo della gioia e dimenticano quello dell'impegno a costruire insieme la loro vita. Tante coppie sono partite piene di entusiasmo e ora sono spente. Sembra che non abbiano più nulla da dirsi. Pare che il quotidiano abbia il potere agghiacciante di spegnere giorno per giorno ogni vitalità. Si invecchia anche nell'amore? Si arriverà a vivere come dei separati in casa, addirittura a ignorarsi, a provare animosità contro l'altro, a odiarsi, a desiderare di separarsi? Bisogna forse concludere - come fanno tanti - che l'amore è un grande inganno, e che inutilmente l'uomo e la donna sognano di incontrarlo e di viverlo?
a. 1a fase dell’Amore: emozione. L’uomo e la donna devono educarsi ad amare Dio assicura che l'amore non è un inganno: l’amore porta dentro di sé e conserva per sempre tutta la forza e la capacità di vita che promette all'inizio. L’amore non tradisce. È sempre gioia, sicurezza, presenza rassicurante, forza di vita, speranza aperta al futuro. La colpa non è dell'amore. Non è vero che l'amore promette molto e mantiene poco. L’amore è come il seme (della parabola evangelica) che porta in sé una energia prorompente, ma i frutti dipendono dal terreno su cui il seme cade. Nasce con facilità e dà molto frutto quando il terreno è preparato e fertile; quando invece il terreno è arido e sassoso trova difficoltà a germogliare; e anche se giunge a germogliare muore prima di diventare spiga, per mancanza di terra buona. Il seme dell'amore è sempre ricco di vita; ma per dare frutti e per durare nel tempo richiede un terreno umano preparato, un terreno che supera l’emozione amorosa. Per garantire continuità all'amore, l'uomo e la donna devono dissodare e arricchire il terreno della propria persona; cioè devono lavorare su di sé, sul proprio carattere, sulle proprie abitudini e mentalità e creare in sé quelle disposizioni che sono necessarie per stabilire una intesa profonda. Se non succede ciò, la persona non passa alla fase successiva - quella che dà i veri frutti - e che trasforma l'emozione amorosa nella scelta della persona con la quale si elabora e si costruisce un progetto di vita. b. 2a fase dell’amore: l'amore si ricostruisce con Dio Dio dice che l'uomo e la donna sono diventati incapaci di amare, pur sentendo un bisogno struggente di amare, perché si sono staccati da Lui che è la sorgente dell' amore. Dio nel libro della Genesi racconta che Adamo ed Eva erano felici, e lo sono stati fino al momento in cui sono vissuti in armonia e amicizia con Lui. Ma appena hanno pensato di poter fare a meno di Dio («sarete come Lui» suggerisce il serpente ad Eva) e si sono allontanati da Lui, si sono allontanati anche l'uno dall'altra. Scompare il paradiso, perché il paradiso non è tanto uno scenario di cose belle e affascinanti; ma è soprattutto una relazione di amore. Adamo non vede più Eva come quella creatura meravigliosa che lo ha tolto dalla solitudine e gli ha aperto orizzonti di vita nuova; ma è quella disgraziata che lo ha ingannato e ha rovinato la sua vita. Il primo conflitto coniugale è avvenuto all'indomani del peccato, nella cornice di un paradiso ormai perduto. Senza Dio, l'uomo e la donna perdono la capacità di amare in modo vero, anche se continuano a portare dentro di sé il bisogno di amore. Sì, sono ancora capaci di emozioni amorose, di innamoramenti folli, di pazzie e avventure d'amore ma non sono più capaci di costruire e reggere una vita di amore vero, in cui l'uno è per l'altro gioia e speranza di vita, per sempre. Da quel momento tutti i rapporti umani sono stati profondamente alterati. Lo vediamo guardando ci attorno. Predomina la logica dell'egoismo. L'uomo è affamato di vita e non sa dove trovarla. La cerca scompostamente in ogni direzione, preoccupato solo della propria felicità. È diventato un predatore di vita. Diventa diffidente, perché proietta sugli altri quello che è, e teme che tutti siano persone infide da cui difendersi (anche nella vita di coppia questa diffidenza continua con mille dubbi sull'amore e sulla fedeltà dell'altro); tende a strumentalizzare ogni persona che entra nella sua vita, cioè tende a fame una pedina al servizio della propria vita (anche questo atteggiamento è continuamente presente nella vita di coppia e chi vuole amare veramente deve essere sempre attento a non strumentalizzare l'altro); diventa aggressivo, cioè tende a piegare la resistenza di chi non vuole lasciarsi strumentalizzare: e lo fa con la forza fisica, o con la forza morale, giungendo magari fino al plagio. L'uomo è ancora fondamentalmente buono; ma i suoi sentimenti delicati e generosi devono essere difesi e protetti. Deve rieducarsi ad amare. E il primo passo per ridiventare capace di amare è quello di ritrovare Dio e di vivere in comunione con Lui. Ormai l'amore come era stato sognato da Dio per la sua creatura non è più possibile. Il peccato lo ha reso difficile. L'uomo continua ad averne bisogno come ha bisogno dell'aria che respira; ma non trova più in sé la forza per alimentarlo e farlo crescere. L’uomo senza Dio diventa un vaso fragile, anche se continua ad avere in sé cose preziose. Gesù diceva: «Non potete mettere il vino nuovo in otri vecchi, perché gli otri si spezzano; ma vino nuovo in otri nuovi». Non si può mettere il vino dell'amore con la sua forza di novità in una umanità "vecchia e screpolata; l'amore richiede di essere messo dentro una persona che è fatta nuova dalla forza di Dio.
c. Il cammino dell' amore di Gesù Per Gesù l'amore non è stato facile. «Venne tra i suoi, ma i suoi non lo hanno accolto». Gli è stato rifiutato un luogo per nascere, ed è nato in una stalla; appena nato hanno cercato di ucciderlo ed è stato costretto a fuggire; è stato ricambiato con l'indifferenza e l'ingratitudine; più volte è stato aggredito verbalmente e anche fisicamente; Giuda lo tradisce e gli apostoli nel momento della prova lo abbandonano; dopo una passione atroce viene crocifisso. Ma tutto questo non spegne la sua volontà di amare. Egli accetta tutto. Le stesse difficoltà sopportate danno la misura del suo amore. Il suo amore si è dimostrato più forte dell'ingratitudine, dell'insulto, del tradimento, della morte stessa. Dimostrerà in modo chiaro che amare non consiste nel provare emozioni gioiose, ma nel dare vita; e il dare vita passa anche attraverso la pazienza, il dialogo, la rinuncia, la sofferenza, la morte. Col proprio amore si genera alla vita l'amato. Il cammino dell'amore tracciato dal Cristo può essere presentato in quattro tappe: Gesù ha amato incarnandosi, accogliendo e condividendo, percorrendo l'itinerario pasquale, salvando. CONIUGAZIONE 1. Amare è incarnarsi. Il primo gesto dell'amore di Gesù è stata l'incarnazione. Incarnarsi significa entrare totalmente nell' altro, viverlo dal di dentro. Gesù ha vissuto nella sua persona due vite: quella di Dio e quella dell'uomo. E quando dice di amare come Egli ama, invita tutti a incarnarsi nella vita della persona amata, cioè a vivere in qualche modo due vite, la sua e quella della persona amata. Con la sua incarnazione Gesù insegna che il primo gesto dell'amore è quello di impegnarsi a capire l'altro, perché capire significa aprirsi all'altro e lasciare che l'altro abiti dentro il mio cuore e dentro la mia vita. 2. Amare è condividere, cioè accogliere tutta la persona amata. Non basta capire l'altro. Quando si ama si accetta di accogliere e di condividere la vita dell'altro. Tutta la sua vita. Non si sposa una qualità o una parte della persona, quella che piace e che offre intense emozioni gioiose. Nella formula del matrimonio si dice: «Accolgo te»; e non: «Accolgo quello che mi piace di te». Si accoglie nella propria vita la persona intera, come è, con le sue qualità e i suoi difetti, i suoi pregi e i suoi limiti, i suoi sorrisi e le sue tristezze, i tempi gioiosi e quelli amari, la salute e la malattia. Gesù ha condiviso tutto dell'uomo; ha accettato l'uomo come lo ha trovato: superbo, arrogante, bugiardo, avido di potere e di ricchezze, sfruttatore dei suoi simili, ignorante, corrotto, ingrato, sbandato; ma nello stesso tempo lo ha accolto con i suoi profondi desideri di bontà, di amore, di solidarietà, di pace. Un uomo contraddittorio. Lo ha accettato e lo ha amato come lo ha trovato. Non ha rifiutato nulla della sua vita. Ma lo ha accolto e ha condiviso la sua vita, e ha puntato sugli aspetti positivi che continuavano ad esistere nella sua creatura, e partendo da questi aspetti ha fatto con lui un cammino per farlo uscire dalla sua contraddizione e per portarlo alla salvezza. Egli sapeva che sotto le incrostazioni e le deformazioni esisteva ancora la bellezza del volto di Dio. L'uomo sente la nostalgia delle cose belle e buone; ma resta sempre attaccato a quello che gli dà piacere. Rifiuta chi vuole strapparlo dal piacere per portarlo al bene. È difficile fargli capire che la vera gioia non si trova nei piaceri, ma nel bene dell'amore. 3. Amare è percorrere l'itinerario pasquale, cioè dare vita con la propria vita. L'itinerario pasquale è il cammino che il Cristo ha percorso negli ultimi giorni della sua vita: un cammino che sfocia nella resurrezione, ma dopo essere passato per la passione e la morte. Ha insegnato che non è possibile dare vita se non a costo della propria vita: la risurrezione passa attraverso la passione e la morte. «Nessuno ama tanto l’amico quanto colui che dà la vita per l’amico». Per amare sul serio, a fatti e non a parole, bisogna entrare in questa logica, quella del saper morire a qualcosa della propria vita per far nascere la vita di coppia. Non è facile, perché ognuno di noi non vuole perdere nulla di se stesso (abitudini, comodità, modi di pensare, gusti, hobby, giro di amicizie, affermazione di sé nella carriera, indipendenza, senso di sicurezza che proviene dalla famiglia di origine, ecc.). «Se il chicco di grano caduto in terra non muore, resta
solo». Cioè: «Se l'uomo e la donna entrati nel cammino dell'amore non accettano di morire a qualcosa di sé, resteranno soli». Amare è dare vita. Si ama quando si è saputo generare vita nell'altro, facendo nascere in lui/lei qualcosa di personale attraverso l'azione paziente e forte di chi sa prendere qualcosa della propria vita e regalarla all'altro. 4. Amare è salvare la persona amata. A chi ha scelto di sposarsi in chiesa Gesù chiede di imparare a guardare il partner anche nella sua vita interiore e non solo nelle sue esigenze e nei suoi desideri materiali. Chiede di aiutarsi non solo nelle cose materiali, ma anche nella vita spirituale. Questa attenzione globale e questo impegno distribuito su tutta la vita della persona può essere indicato con il verbo "salvare". Salvare significa togliere una persona da una situazione penosa e difficile dalla quale da sola non riesce a liberarsi. Per il cristiano ha un significato ancor più preciso. Significa tre cose.
a. Anzitutto togliere la persona dalla situazione più disastrosa in cui può venire a trovarsi, ed è la situazione di peccato. Se io amo una persona, devo aiutarla a liberarsi da ciò che distrugge la sua bellezza e rende senza significato la sua vita: e questo è principalmente il peccato, perché il peccato fa scomparire Dio dall'orizzonte della persona. E senza Dio si cade nell'insignificanza della vita. Tutto si scolora, diventa scialbo e senza senso. b. Salvare significa una seconda cosa: aiutare la persona amata a liberarsi e a superare tutte quelle situazioni spiacevoli e penose che affliggono la vita dell'uomo (sono il risultato secondario del peccato originale), cioè la fatica del lavoro, la noia della vita, la sofferenza, la malattia, la paura della morte, l'incostanza, l'infedeltà, la tendenza a strumentalizzarsi a vicenda, ecc. Gesù è per noi un modello perfetto, perché ha impegnato la sua vita e l'ha offerta tutta per liberare l'uomo dai molti mali che lo affliggono. Ha dato la vista ai ciechi, l'udito ai sordi, la vita ai morti, il pane agli affamati, la guarigione ai lebbrosi e ai paralitici. Ma ha fatto molto di più: ha tracciato all'uomo una via nuova che porta alla vita vera. Ha portato la pace nel cuore della Maddalena, ha ridato a Zaccheo il senso della giustizia e il rispetto per i poveri, ha perdonato Pietro che lo aveva tradito, ha ridato all'umanità intera la speranza della vita. c. Il terzo elemento della salvezza è: portare la persona amata alla pienezza della vita, cioè a Dio, perché solo Dio può dare all'uomo quei beni che l'anima desidera con ansia indicibile e che la creatura non può dare. Se amare è volere e fare il bene della persona amata, il bene maggiore che possiamo desiderare per lei è che viva nella pienezza della comunione con Dio, perché è Lui la fonte della vita e della felicità. Ricordiamo ancora una volta le parole di sant'Agostino: «Ci hai fatti per Te, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Te». Il giorno del matrimonio ciascun sposo ha il potere non solo di donare la propria persona all' amato, ma di avere il potere di donare a vicenda “Dio”: vi donerete l'uno all'altro; ma porterete nella vita dell'altro anche la persona di Dio.
“IO” Quel giorno si dirà: "io accolgo te…” . E’ l' “io” che accoglie un “tu” come sposa/o, cioè si tratta di una accoglienza che non dura un giorno o un week-end; ma tutta la vita. Non si tratta di una accoglienza che si limita a stare bene insieme, come due amici in vacanza, ma è una accoglienza che ha lo scopo di costruire insieme la vita di entrambi. Altro è il modo di accogliere una persona senza particolari responsabilità nei suoi confronti, e altro è accogliere una persona promettendole di prendersi cura di lei per tutta la vita. Il verbo centrale resta sempre ''accogliere'. L'uomo e la donna promettono di essere l'uno per l'altra la casa umana dove è bello vivere e crescere, senza mai chiudersi la porta in faccia, anzi aprendola anche ai figli che da essi nasceranno. E amarsi per tutta la vita è un'impresa che supera le capacità umane. È necessario… «lo accolgo te ... »: “io” - Ma chi è questo "io" che accoglie nella sua vita un “tu”? Ogni "io" ha una sua storia. Ma è poco nota. Gli altri non la conoscono; solo io ne ho una conoscenza e spesso è una conoscenza insufficiente. Spesso siamo degli sconosciuti a noi stessi. Sembra strano. L’ “io" si presenta con mille volti. C'è l'io possessivo e quello generoso e altruista; c'è l'io autoritario e soffocante e quello rispettoso dell' altro; c'è l'io apprensivo infantile e quello equilibrato che ha maturato una sua storia personale ricca e viva; c'è l'io presuntuoso e vanitoso, che ritiene di essere sempre il migliore e che disprezza tutti gli altri, e c'è l'io che si giudica un buono a nulla e non sa far valere le sue qualità reali; c'è l'io che crede in Dio e quello che crede solo in se stesso; c'è l'io aperto, comunicativo, sorridente, simpatico, e quello chiuso, introverso, che non ha mai nulla da dire e da comunicare; c'è l'io sincero e fedele, e quello ambiguo e infido, ecc. Soprattutto, preferiamo vivere con quel poco di "io" che conosciamo, quello che ripete i gesti di ogni giorno, che ha fame o sete, che si interessa di moda e di sport, di cronaca, di tivù. Non abbiamo voglia di liberare tutto il nostro "io" e di vederlo bene in faccia. Siamo come le sculture dei "Prigioni" di Michelangelo (a Firenze): il proprio io è chiuso dalla massa rocciosa: liberarsene è una fatica immane che troppi “io” cercano di evitare. Chiediamoci: quanto parliamo di noi con la persona che amiamo, e cosa raccontiamo quando parliamo di noi? Dobbiamo prendere atto che parliamo poco di noi: perché non ci conosciamo? o perché non sappiamo trovare le parole adatte per raccontare noi stessi? E allora ci fermiamo alle cose più facili, quelle che formano la trama della vita quotidiana: quello che ho fatto, che ho visto, che ho detto; i rapporti con i genitori, con gli amici; gli impegni di lavoro, la cronaca dei nostri giorni. Furio Colombo nel suo libro Carriera: vale una vita? descrive in questo modo il "ragazzo della business school", quello che "è già impegnato a far funzionare il mondo": «Sulla faccia giovane non trovo che una tranquilla tabula rasa con al centro un solo pensiero: se stesso» (p. 9). Non sappiamo raccontare quello che viviamo dentro: perché? Come mai? …forse perché non conosciamo la storia interiore della nostra vita? Nella storia del nostro "io" possiamo distinguere più livelli: L'''io'' della cronaca: è il livello più superficiale è quello della cronaca; quello che può essere raccontato e documentato anche da altri: nato il tale giorno, da questi genitori, ha frequentato questi ambienti e queste persone, è stato educato in questo modo, ha fatto parte di tali gruppi e movimenti, ha raggiunto questa posizione, sposato con la tale persona, e ha avuto tali figli, ecc. Quando parliamo con gli altri e anche con la persona della quale ci siamo innamorati, quasi sempre parliamo di queste cose, perché sono le uniche che conosciamo bene. È la scorza della vita. Quella che appare all' esterno, che noi stessi non abbiamo difficoltà a narrare. L' ''io" dell'interiorità: dentro di noi vive tutto un mondo di pensieri, sentimenti, desideri, emozioni, speranze, sogni, gioie profonde, delusioni, sofferenze, ecc. Gli altri non lo vedono; ma anche noi lo conosciamo poco. Non sappiamo esplorarlo ed esprimerlo. Quando tentiamo di parlarne ci troviamo in difficoltà. Ci scusiamo dicendo che non troviamo le parole adatte. Ma il problema non consiste solo nella povertà di parole. Il fatto è che non sappiamo leggere dentro di noi, per poi raccontarci agli altri. Siamo degli analfabeti dei sentimenti. Eppure è il livello più interessante della nostra vita, quello che la persona amata vorrebbe conoscere, perché le permetterebbe di entrare negli aspetti più ricchi e
misteriosi della vita. È più facile dire sbrigativamente «Ti amo», che cercare di analizzare e riflettere cosa c'è dentro queste parole. Nessuno ci ha insegnato come si ascolta e si racconta la propria vita interiore ad un altro. Ognuno è autodidatta e si forma poco alla volta. E’ più facile costruire una casa di mattoni che la propria casa interiore. Ma se non facciamo lo sforzo di ascoltare la nostra vita interiore, e se non troviamo le parole per raccontarla, una grande parte di noi resterà sconosciuta anche al nostro partner. Non è raro sentire il lamento amaro: «Sono tanti anni che viviamo insieme e non so chi tu sia». Si vive insieme comunicando le cose esterne della nostra vita, senza aver imparato a comunicare quello che ognuno sente e prova per l'altro, e cosa vuole fare con l'altro nella vita e per la vita. Ci accontentiamo di vivere la parte più superficiale e più facile di noi stessi, e perdiamo la parte più profonda e più ricca. Lottiamo, ci affatichiamo per raggiungere traguardi che riguardano il livello più esterno di noi (quello del fare, dell'avere, del consumare, della carriera, delle cose, delle comodità, del prestigio personale) e lasciamo inespressa o addormentata la parte più profonda del nostro" io". Presto ci accorgeremo che la persona che amiamo non ha bisogno solo di cose, ma ha bisogno della nostra umanità; non vuole sentire solo il racconto di quello che facciamo o di quello che abbiamo o del traguardo sociale che abbiamo raggiunto; desidera soprattutto che raccontiamo e diamo noi stessi, il mondo della nostra interiorità. Parliamo di tutto: di sport, di politica, di carriera, di cose che vogliamo comprare per star bene, dell' alloggio che dobbiamo preparare, dei miglioramenti economici, delle ferie, degli amici, ecc. Ma non sappiamo parlare di noi perché non ci viviamo. Perdiamo per noi e per la persona amata la parte migliore di noi stessi. L’ “io” del profondo: C'è un livello più profondo che resta quasi sempre in ombra. Viene a galla solo in certi momenti: nascono con le domande «Chi sono?», «Cosa significa questo mio esistere nel tempo?», «Verso cosa sto andando?», «Perché amo?», «Perché esisto?». È un fatto che avviene raramente, in particolari condizioni di vita; come, per esempio, quando ci troviamo di fronte all'immensità di un cielo stellato o alla bellezza colorata della natura, o quando viviamo intensamente un dolore o una gioia: sono momenti intensi in cui si avverte quanto profonda e immensa sia la ricchezza di vita che è nascosta dentro di noi. L’invito a "fare silenzio" per ascoltare questi echi profondi del nostro essere cade quasi sempre nel vuoto. Abbiamo paura del silenzio, mettiamo le cuffie alle orecchie, o ci stordiamo nelle chiacchiere e nelle discoteche; abbiamo paura del vuoto, ci disperdiamo troppo nelle cose da fare e nelle emozioni da consumare. L’ “io” svelato da Dio: Alla domanda «chi sono?» posso rispondere in molti modi. Ma come credente posso rivolgere a Dio stesso questa domanda. Perché so che Dio ha parlato dell'uomo all'uomo. È Lui che mi ha creato e che più di ogni altro mi conosce e sa come mi ha fatto e perché mi ha fatto. Dio non parla il linguaggio degli scienziati, dei medici, degli psicologi, dei sociologi, dei filosofi. Parla un linguaggio semplice e accessibile, quello comprensibile ad ogni uomo. E non mi dice neppure tutto, ma svela le cose essenziali e più profonde, quelle che l'uomo non avrebbe mai raggiunte da solo; e ha poi lasciato all'uomo il compito di continuare la ricerca sull'uomo. Quello che Dio dice dell'uomo potrebbe essere riassunto in questa frase: «Sei tanto grande da costare la vita di un Dio; ti apprezzo e ho per te un amore così grande da non esitare a dare la mia vita per te: desidero entrare in comunione con te; e tu puoi farlo se rispondi "sì ", cioè se - come me - fai tutto con amore e per amore». Con queste parole Dio non dice come sono fatto a livello anatomo-fisiologico; e neppure svela i misteri del conscio e dell'inconscio, dell'io e del super io. C'è un modo di dire le cose più profonde ed essenziali che è ancora più efficace e più illuminante del linguaggio scientifico. Un fidanzato dice alla fidanzata: «Sono innamorato di te». Con queste parole non dice nulla sulla struttura biologica o sui dinamismi psichici o sui principi che reggono la vita dell'uomo; ma svela un fatto straordinario. Dice all'altro che è il suo oggetto di amore; gli dice che è qualcuno che ha saputo destare amore; afferma che è tanto importante da essere indispensabile per la sua vita. Dio mi dice che sono tanto grande da destare in Lui ammirazione e amore; e che porto in me una così grande dignità da poter essere introdotto nella sua casa e vivere la sua stessa vita. Aggiunge che la mia vita sarà giudicata sull'amore; il che è sufficiente per capire chi sono e come devo impostare tutta la mia vita.
Cosa sarò io nella vita dell' altro In amore, quando dico: «Ti amo e ti accolgo nella mia vita», intendo dire: «Faccio della mia vita il luogo in cui potrai abitare per sempre e sarai felice». “Ti regalo la mia vita”. Per questo in una relazione non si può incominciare dalla domanda «cosa l'altro porterà nella mia vita», oppure «cosa sarà l'altro nella mia vita». Dovremmo piuttosto chiederci: sono una persona fatta bene, dove l'altro sarà felice di abitare? Cosa troverà quando io la accoglierò e potrà vedere quello che veramente sono? Troverà una persona viva, attenta, delicata, affettuosa, intelligente, fedele, generosa, capace di dialogare e di capire; una persona viva, laboriosa, sana, che crede nella vita e sa affrontarla con coraggio, ecc.; oppure troverà una di quelle persone che con le labbra dicono: «Ti amo», ma nei fatti sono lagnosi, spenti, viziosi, superficiali, autoritari, aggressivi, sempre scontenti di tutto e di tutti: caratteri intrattabili, chiusi, autoritari, egoisti, capricciosi, gretti, graffianti, ecc.? Quando l'altro scoprirà quello che veramente sono, con la mia personalità vera, quella feriale e non quella dei giorni di festa, cosa proverà, come reagirà? Nel corso delle esperienze abbiamo sentito frasi quali: «È bello vivere con te», «Tu porti gioia di vivere», «Con te mi sento sicuro/a, serena/o», ecc. Ma abbiamo sentito anche frasi di amarezza e delusione: «Sei la più grande delusione della mia vita», oppure «Sei l'inferno nella mia vita»; «Mi hai spento/a»; «Hai fatto il vuoto dentro e intorno a me». Il futuro della vostra vita dipende da quello che entrambi sarete l'uno per l'altro. E allora il primo compito è quello di fare un esame di quello che siete. Non potete ingannare una persona lasciando che si culli nell'illusione che con voi sarà felice, se invece siete preoccupati di pensare solo a voi stessi e vedete tutti gli altri - compresi quelli ai quali dite: «Ti amo» - come pedine a servizio della vostra vita. In altre parole: non potete pensare di essere capaci di amare, se non avete formato in voi le qualità necessarie per amare. Da adolescenti si può giocare all'amore, si può provare l'emozione dell'innamoramento; ma per amare si richiede molto di più. Si richiede quella maturità che rende capaci di assumersi la responsabilità della vita dell'altro. «Uomini/donne si nasce, ma persone si diventa» Quando nasciamo siamo ancora tutti da fare. Lo sviluppo fisico avviene in modo automatico. Nessuno di noi programma la propria crescita, perché la natura stessa provvede con i suoi meravigliosi meccanismi; ma lo sviluppo umano avviene solo se l'uomo lo vuole, se lo programma e lo realizza con le scelte di ogni giorno. Si nasce tendenzialmente buoni, onesti, leali, altruisti; ma queste tendenze hanno bisogno di essere coltivate, perché accanto a queste tendenze ne troviamo altre opposte che hanno il potere di distruggerle. Gesù diceva che la vita dell'uomo è come un campo nel quale sono presenti semi di grano buono e semi di zizzania; si tratta di sapere quelli che vogliamo coltivare. Possiamo fare della nostra vita uno splendido campo di grano, e possiamo invece trasformarla in un terreno selvaggio, pieno di erbacce e di cespugli spinosi. Se uno è buono, generoso, attento, altruista, maturo, paziente, è segno che ha saputo far fruttare bene le sue qualità, contenendo le pulsioni al male. Altri invece preferiscono abbandonarsi alle inclinazioni facili e piacevoli: quelle che fanno di noi degli egoisti, dei collerici, dei disonesti, degli insensibili, delle persone che pensano sempre e solo a se stesse. «Dio ha creato l'uomo e lo lasciò in balia del suo volere» (Sir 15,14). Il che significa che la nostra vita è nelle nostre mani. Possiamo viverla e costruirla bene oppure sciuparla: dipende da noi. E’ solo una scusa quando diciamo: “Son fatto così”. Saremmo invece più sinceri se dicessimo: «ci siamo costruiti così». In giro circolano molti "involucri d'uomo" che poco hanno di umano, anche se hanno 1'apparenza e la facciata dell' uomo. Possono essere persone fisicamente belle, possono incarnare perfettamente i canoni della bellezza umana; ma se si ha con esse un piccolo dialogo ci accorgiamo che - come spesso si dice - sono persone vuote che non sanno di niente: sono solo bellezza o solo muscoli. Ma sotto quelle apparenze c'è il vuoto di umanità. Per sposarsi è indispensabile essere una persona
umanamente matura e ricca. Ma quando si può dire che una persona sia umanamente matura? Cosa è necessario costruire in noi perché si possa dire: «Qui c'è veramente una persona umana»? Potremmo elencare una lista interminabile di qualità: la sincerità, la lealtà, il rispetto e l'attenzione per gli altri, la coerenza, l'autenticità, il dominio di sé, la forza nel sostenere le difficoltà e le avversità, il senso della giustizia, la generosità, il sapersi sacrificare per gli altri, la sensibilità per le cose belle e per i valori della vita, ecc. Tutte queste qualità sono necessarie per imbastire una vita di coppia che sia veramente umana e costruttiva. Per vivere in due è necessaria almeno una iniziale maturità: quella maturità che permette di capire che il rapporto umano non si fonda solo su cose o su aspetti esteriori; e che non si fonda neppure sulle sole emozioni. Per amare non basta provare l'emozione dell'amore e dire con convinzione: «Ti amo». È necessario che la persona sappia tradurre queste parole nei gesti concreti della vita. L’innamoramento può trasformarsi in amore maturo solo se trova nella persona una struttura solida che lo faccia durare nel tempo. Questa solidità è assicurata da alcune qualità umane fondamentali: a) la capacità di saper prendere delle decisioni in modo responsabile (=prudenza); b) la capacità di controllarsi e dominarsi (=temperanza); c) la capacità di saper affrontare con forza le situazioni difficili (=fortezza); d) la capacità di rispettare le persone in tutta la loro realtà e in ogni circostanza (=giustizia). Ma tutto questo è ancora insufficiente. Una persona è veramente persona quando sa quello che vuole fare di tutta la sua vita. Non basta proporsi un obiettivo immediato. Non basta essere padrone di sé, dominare le situazioni, ponderare con oculatezza le scelte. È necessario anche dare alla propria vita una direzione che la orienti verso qualcosa che le dia un senso compiuto. E per il cristiano questa realtà è Dio. Ci si sposa per camminare insieme verso Dio, la Vita. Il partner può essere meraviglioso; ma non è sufficiente a riempire quel bisogno infinito di vita che ognuno porta dentro di sé. Anche le cose sono utili, ma sono ancor meno sufficienti a riempire una vita. C'è una domanda che ognuno di noi porta dentro di sé e che non trova risposta in niente e in nessuno: neppure nella persona amata che sembra promettere tutta la felicità che si può desiderare. Allora si capisce che amarsi significa camminare insieme pensando l'uno all 'altro e aiutandosi a raggiungere Qualcuno che sta al di là del coniuge e anche dei figli. L'amore diventa un'esperienza vera e costruttiva quando si prende coscienza che solo la Persona di Dio è capace di rispondere al bisogno di vita che spinge i due a cercarsi, a mettere insieme le loro vite, a percorrere insieme ogni giorno le strade della vita. IO ACCOLGO TE "Accogliere" non significa solo aprire la parta e magari stringere tra le braccia la persona che si aspetta. In amore l'azione dell'accogliere è al centro di una lunga storia. Inizia con il fatto di accorgersi di una persona e sentire interesse per lei, innamorarsene, decidere di sposarla, vivere insieme e con lei progettare la propria vita e la propria felicità, e soprattutto impegnarsi a realizzarla. Nella formula si parla di un' accoglienza fatta di amore, di rispetto e di fedeltà in tutti i tempi e in tutte le situazioni della vita, «nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia». È una promessa talmente impegnativa da richiedere l'aiuto di Dio. L'uomo da solo non ne è capace perché si tratta di accogliere l'altro per quello che è, senza processi riduttivi che privano la persona dei suoi valori e dei suoi talenti, e senza processi mitizzanti che la fanno apparire migliore di quello che è. Non si sposa l'immagine che ingenuamente e acriticamente ci siamo fatti di una persona, ma si sposa la persona nella sua realtà. L'altro non è più un essere "per me", ma un essere "in me". L'amore passa dalla fase possessiva alla fase oblativa. L'amore coniugale non si ferma a questa fase. Porta in sé un progetto che si sviluppa nel tempo e che dilata la vita dell'uomo e della donna nella vita della coppia, della famiglia, della società. È veramente un amore con un potenziale di vita unico. Dal punto di vista cristiano il progetto va oltre la coppia, oltre la famiglia e la società. L'amore dei cristiani contiene un sogno ambizioso: non si limita ad aiutare il partner, i figli, la società nel cammino della vita; ma possiede la capacità di creare un rapporto con Dio.